CREDENTI

Interventi del Papa su temi di attualità

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    AmarDio
    00 29/01/2010 14:48

    Ratzinger: rispettare l'indissolubilità del matrimonio cristiano, i giudici non cedano a «richieste soggettive»

    (Afp)
    CITTÀ DEL VATICANO - Benedetto XVI richiama la Sacra Rota. L'indissolubilità del matrimonio cristiano, secondo il Pontefice, va rispettata, e i giudici della Sacra Rota non devono cedere a «richieste soggettive» che conducano «ad ogni costo alla dichiarazione di nullità», ha specificato Benedetto XVI ricevendo i componenti del Tribunale della Rota Romana, tribunale ordinario della Santa Sede in occasione dell'inaugurazione dell'Anno giudiziario. Un richiamo specifico è stato fatto dal Papa anche agli avvocati, chiamati a «evitare con cura» di assumere il patrocinio di cause che «non siano oggettivamente sostenibili».

    COMUNIONE E ANNULLAMENTI - Secondo Ratzinger, la sofferenza che vivono i divorziati risposati perché non sono ammessi all'Eucaristia non può portare i Tribunali Ecclesiastici a dichiarare, per venire loro incontro, come «nulli» dei matrimoni che invece sono validi. «Occorre rifuggire - ha detto il Santo Padre - da richiami pseudopastorali che situano le questioni su un piano meramente orizzontale, in cui ciò che conta è soddisfare le richieste soggettive per giungere ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l'altro, gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell'Eucaristia». «Il bene altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale, esige invece - ha sottolineato il Pontefice - di considerare l'autentico bene delle persone, inscindibile dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione dei sacramenti, con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria condizione personale». «Vorrei oggi sottolineare - ha detto poi Benedetto XVI ai giudici rotali - come sia la giustizia, sia la carità, postulino l'amore alla verità e comportino essenzialmente la ricerca del vero. In particolare, la carità rende il riferimento alla verità ancora più esigente». Per il Papa, del resto, come aveva affermato nell'enciclica, «senza verità la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario».

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    Coordin.
    00 29/01/2010 21:33


    SU INTERNET LA CHIESA SI RIVOLGA ANCHE AI NON CREDENTI

    "Una pastorale nel mondo digitale e' chiamata a tener conto anche di quanti non credono, sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verita' non caduche, dal momento che i nuovi mezzi consentono di entrare in contatto con credenti di ogni religione, con non credenti e persone di ogni cultura". Lo afferma Benedetto XVI per il quale "e' forse possibile ipotizzare che il web possa fare spazio - come il 'Cortile dei gentili' del Tempio di Gerusalemme, da lui evocato nel discorso del 22 dicembre alla Curia Romana - anche a coloro per i quali Dio e' ancora uno sconosciuto". "Lo sviluppo delle nuove tecnologie e, nella sua dimensione complessiva, tutto il mondo digitale rappresentano - scrive nel messaggio per la Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali - una grande risorsa per l'umanita' nel suo insieme e per l'uomo nella singolarita' del suo essere e uno stimolo per il confronto e il dialogo". "Con il Vangelo nelle mani e nel cuore, occorre ribadire - raccomanda il Pontefice - che e' tempo anche di continuare a preparare cammini che conducono alla Parola di Dio, senza trascurare di dedicare un'attenzione particolare a chi si trova nella condizione di ricerca, anzi procurando di tenerla desta come primo passo dell'evangelizzazione".
     
    "Anche nel mondo digitale - auspica il Papa - deve emergere che l'attenzione amorevole di Dio in Cristo per noi non e' una cosa del passato e neppure una teoria erudita, ma una realta' del tutto concreta e attuale. La pastorale nel mondo digitale, infatti, deve poter mostrare agli uomini del nostro tempo, e all'umanita' smarrita di oggi, che Dio e' vicino; che in Cristo tutti ci apparteniamo a vicenda". "Chi meglio di un uomo di Dio - si chiede Ratzinger in riferimento al tema di quest'anno, 'Il sacerdote e la pastorale nel mondo digitale: i nuovi media al servizio della Parola' - puo' sviluppare e mettere in pratica, attraverso le proprie competenze nell'ambito dei nuovi mezzi digitali, una pastorale che renda vivo e attuale Dio nella realta' di oggi e presenti la sapienza religiosa del passato come ricchezza cui attingere per vivere degnamente l'oggi e costruire adeguatamente il futuro?". "Compito di chi, da consacrato, opera nei media e' quello - ricorda il messaggio - di spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualita' del contatto umano e l'attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo nostro tempo 'digitale' i segni necessari per riconoscere il Signore; donando l'opportunita' di educarsi all'attesa e alla speranza e di accostarsi alla Parola di Dio, che salva e favorisce lo sviluppo umano integrale".
     
    Per il Papa teologo, l'annuncio del Vangelo "potra' cosi' prendere il largo tra gli innumerevoli crocevia creati dal fitto intreccio delle autostrade che solcano il cyberspazio e affermare il diritto di cittadinanza di Dio in ogni epoca, affinche', attraverso le nuove forme di comunicazione, Egli possa avanzare lungo le vie delle citta' e fermarsi davanti alle soglie delle
    case e dei cuori per dire ancora: 'Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verro' da lui, cenero' con lui ed egli con me'". -

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    AmarDio
    00 10/02/2010 13:30

    Papa: Crocifisso Specchio In Cui Si Riconoscno Credenti e Non Credenti

    Forum: Papa Benedetto XVI

    (ASCA) - Citta' del Vaticano, 10 feb - Il crocifisso e' come uno ''specchio'' in cui tutti, ''credenti e non credenti'', possono trovare ''un significato che arricchisce la vita'': parole di papa Benedetto XVI, che questa mattina, nella catechesi dell'udienza generale odierna, si e' soffermato sulla figura di sant'Antonio da Padova. ''Antonio, alla scuola di Francesco - ha detto il pontefice - mette sempre Cristo al centro della vita e del pensiero, dell'azione e della predicazione''. ''Anche la visione del Crocifisso - ha sottolineato il papa - gli ispira pensieri di riconoscenza verso Dio e di stima per la dignita' della persona umana, cosi' che tutti, credenti e non credenti, possano trovarvi un significato che arricchisce la vita''. Di qui l'attualita' delle parole di Antonio: ''Cristo, che e' la tua vita, sta appeso davanti a te, perche' tu guardi nella croce come in uno specchio. Li' potrai conoscere quanto mortali furono le tue ferite, che nessuna medicina avrebbe potuto sanare, se non quella del sangue del Figlio di Dio. Se guarderai bene, potrai renderti conto di quanto grandi siano la tua dignita' umana e il tuo valore. In nessun altro luogo l'uomo puo' meglio rendersi conto di quanto egli valga, che guardandosi nello specchio della croce''.

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    Coordin.
    00 19/02/2010 16:16
    Il Papa: La materia possiede un'intelligibilità in grado di parlare all'intelligenza dell'uomo. È la lezione di Galileo...


    Il messaggio di Benedetto XVI per il convegno »Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva« alla Pontificia Università Lateranense

    Nessun conflitto all'orizzonte

    Il Papa ha inviato all'arcivescovo Rino Fisichella, rettore della Pontificia Università Lateranense, un messaggio in occasione del convegno "Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva. Scienza, Filosofia e teologia in dialogo" che si è aperto lunedì 30 novembre e si chiuderà mercoledì 2 dicembre. Pubblichiamo il testo del messaggio e, in basso, ampi stralci della relazione tenuta dall'arcivescovo Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura.

    Al Venerato Fratello
    Mons. Rino Fisichella
    Rettore Magnifico della Pontificia Università Lateranense

    Sono lieto di rivolgere il mio saluto a tutti i partecipanti al Congresso internazionale sul tema Dal telescopio di Galileo alla cosmologia evolutiva. Scienza, Filosofia e Teologia in dialogo. Lo porgo in modo particolare a Lei, Venerato Fratello, che si è fatto promotore di questo importante momento di riflessione, nel contesto dell'"Anno Internazionale dell'Astronomia", per celebrare il quarto centenario della scoperta del telescopio. Il mio pensiero va anche al Prof. Nicola Cabibbo, Presidente della Pontificia Accademia delle Scienze, che ha collaborato nella preparazione della presente Assise. Saluto cordialmente le personalità venute da diversi Paesi del mondo, che, con la loro presenza, qualificano queste giornate di studio.
    Quando si apre il Sidereus nuncius e si leggono le prime espressioni di Galileo, traspare subito la meraviglia dello scienziato pisano dinanzi a quanto lui stesso aveva compiuto: "Grandi cose - egli scrive - in questo breve trattato propongo all'osservazione e alla contemplazione degli studiosi della natura. Grandi, dico, sia per l'eccellenza della materia in se stessa, sia per la novità mai udita nei secoli, sia anche per lo strumento attraverso il quale queste stesse cose si sono manifestate al nostro senso" (Galileo Galilei, Sidereus nuncius, 1610, tr. P.A. Giustini, Lateran University Press 2009, p. 89). Era l'anno 1609 quando Galileo puntò per la prima volta verso il cielo uno strumento "da me escogitato - come scriverà - illuminandomi prima la grazia divina": il telescopio. Quanto si presentò al suo sguardo è facile immaginarlo; la meraviglia si trasformò in emozione e questa in entusiasmo che gli fece scrivere: "Grande cosa è certamente aggiungere all'immensa moltitudine delle stelle fisse, che con la naturale facoltà visiva si sono potute scorgere fino ad oggi, altre innumerevoli stelle, non mai vedute prima d'ora e che superano più di dieci volte il numero delle stelle antiche già note" (Ibid.). Lo scienziato poteva osservare con i propri occhi quanto, fino a quel momento, era solo frutto di ipotesi controverse. Non si sbaglia chi pensa che l'animo profondamente credente di Galileo, dinanzi a quella visione, si sia aperto quasi naturalmente alla preghiera di lode, facendo propri i sentimenti espressi dal Salmista: "O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra!... Quando vedo i tuoi cieli, opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai fissato, che cosa è mai l'uomo perché di lui ti ricordi, il figlio dell'uomo perché te ne curi? Davvero... gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, tutto hai posto sotto i suoi piedi" (Sal 8, 1.4-5.7).
    Con questa scoperta crebbe nella cultura la consapevolezza di trovarsi di fronte a un punto cruciale della storia dell'umanità. La scienza diventava qualcosa di diverso da come gli antichi l'avevano sempre pensata. Aristotele aveva permesso di giungere alla conoscenza certa dei fenomeni partendo da principi evidenti e universali; ora Galileo mostrava concretamente come avvicinare e osservare i fenomeni stessi, per carpirne le cause segrete.
    Il metodo deduttivo cedeva il passo a quello induttivo e apriva la strada alla sperimentazione. Il concetto di scienza durato per secoli veniva ora a modificarsi, imboccando la strada verso una moderna concezione del mondo e dell'uomo. Galileo si era addentrato nelle vie sconosciute dell'universo; egli spalancava la porta per osservarne gli spazi sempre più immensi.
    Al di là probabilmente delle sue intenzioni, la scoperta dello scienziato pisano permetteva anche di risalire indietro nel tempo, provocando domande circa l'origine stessa del cosmo e facendo emergere che anche l'universo, uscito dalle mani del Creatore, ha una sua storia; esso "geme e soffre le doglie del parto" - per usare l'espressione dell'apostolo Paolo - nella speranza di essere liberato "dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio" (Rm 8, 21-22).
    Anche oggi l'universo continua a suscitare interrogativi a cui la semplice osservazione, però, non riesce a dare una risposta soddisfacente: le sole scienze naturali e fisiche non bastano.

    L'analisi dei fenomeni, infatti, se rimane rinchiusa in se stessa rischia di far apparire il cosmo come un enigma insolubile: la materia possiede un'intelligibilità in grado di parlare all'intelligenza dell'uomo e indicare una strada che va al di là del semplice fenomeno. È la lezione di Galileo che conduce a questa considerazione.

    Non era, forse, lo scienziato di Pisa a sostenere che Dio ha scritto il libro della natura nella forma del linguaggio matematico? Eppure, la matematica è un'invenzione dello spirito umano per comprendere il creato. Ma se la natura è realmente strutturata con un linguaggio matematico e la matematica inventata dall'uomo può giungere a comprenderlo, ciò significa che qualcosa di straordinario si è verificato: la struttura oggettiva dell'universo e la struttura intellettuale del soggetto umano coincidono, la ragione soggettiva e la ragione oggettivata nella natura sono identiche. Alla fine, è "una" ragione che le collega entrambe e che invita a guardare ad un'unica Intelligenza creatrice (cfr. Benedetto XVI, Discorso ai giovani della Diocesi di Roma, in: Insegnamenti ii, [2006], 421-422).
    Le domande sull'immensità dell'universo, sulla sua origine e sulla sua fine, come pure sulla sua comprensione, non ammettono una sola risposta di carattere scientifico. Chi guarda al cosmo, seguendo la lezione di Galileo, non potrà fermarsi solo a ciò che osserva con il telescopio, dovrà procedere oltre per interrogarsi circa il senso e il fine a cui tutto il creato orienta. La filosofia e la teologia, in questa fase, rivestono un ruolo importante, per spianare il cammino verso ulteriori conoscenze. La filosofia davanti ai fenomeni e alla bellezza del creato cerca, con il suo ragionamento, di capire la natura e la finalità ultima del cosmo. La teologia, fondata sulla Parola rivelata, scruta la bellezza e la saggezza dell'amore di Dio, il quale ha lasciato le Sue tracce nella natura creata (cfr. San Tommaso d'Aquino, Summa theologiae, ia. q. 45, a. 6). In questo movimento gnoseologico sono coinvolte sia la ragione che la fede; entrambe offrono la loro luce. Più la conoscenza della complessità del cosmo aumenta, maggiormente richiede una pluralità di strumenti in grado di poterla soddisfare; nessun conflitto all'orizzonte tra le varie conoscenze scientifiche e quelle filosofiche e teologiche; al contrario, solo nella misura in cui esse riusciranno ad entrare in dialogo e a scambiarsi le rispettive competenze saranno in grado di presentare agli uomini di oggi risultati veramente efficaci.
    La scoperta di Galileo è stata una tappa decisiva per la storia dell'umanità. Da essa, hanno preso avvio altre grandi conquiste, con l'invenzione di strumenti che rendono prezioso il progresso tecnologico a cui si è giunti. Dai satelliti che osservano le varie fasi dell'universo, diventato paradossalmente sempre più piccolo, alle macchine più sofisticate utilizzate dall'ingegneria biomedica, tutto mostra la grandezza dell'intelletto umano, che, secondo il comando biblico, è chiamato a "dominare" l'intero creato (cfr. Gen 1, 28), a "coltivarlo" e a "custodirlo" (cfr. Gen 2, 15).

    Vi è sempre un sottile rischio, però, sotteso a tante conquiste: che l'uomo confidi solo nella scienza e dimentichi di innalzare lo sguardo oltre se stesso verso quell'Essere trascendente, Creatore di tutto, che in Gesù Cristo ha rivelato il suo volto di Amore. Sono certo che l'interdisciplinarità con cui si svolge questo Congresso permetterà di cogliere l'importanza di una visione unitaria, frutto di un lavoro comune per il vero progresso della scienza nella contemplazione del cosmo.

    Accompagno volentieri, venerato Fratello, il vostro impegno accademico, chiedendo al Signore di benedire queste giornate, come pure la ricerca di ognuno di voi.
    Dal Vaticano, 26 novembre 2009

    © Copyright 2009 - Libreria Editrice Vaticana

    (©L'Osservatore Romano - 30 novembre 1 dicembre 2009)
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    00 07/03/2010 19:27

    Papa: I credenti si facciano missionari

    Invito alle famiglie a ruolo attivo nell'annuncio Vangelo

     

    Papa: credenti si facciano missionari

     

    (ANSA) - ROMA, 7 MAR -

    I credenti devono ''farsi missionari'' nell'ambito sociale, senza aspettare che ''altri vengano a portare altri messaggi''. Lo ha detto Benedetto XVI. Nell'omelia della messa da lui presieduta durante la visita alla parrocchia romana di S. Giovanni della Croce. Il Papa ha rinnovato ''l'invito alla conversione della nostra vita e a compiere degne opere di penitenza''. Il Pontefice ha invitato le ''famiglie cristiane'' ad avere un ruolo attivo nell'annuncio del Vangelo.

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    00 12/03/2010 11:29
    «Il confessionale
    è luogo di Misericordia»
    Di fronte alla «perdita del senso del peccato» e alla «crisi» del «sacramento della penitenza» occorre instaurare con i penitenti il «dialogo di salvezza» sull’esempio del Santo Curato d’Ars, e «tornare al confessionale» anche come «luogo in cui "abitare" più spesso».

    È l’esortazione rivolta questa mattina da Benedetto XVI ai partecipanti al corso promosso dalla Penitenzieria apostolica, ricevuti in udienza. Rammentando che il corso «si colloca, provvidenzialmente, nell’Anno sacerdotale» indetto per il 150° della morte di San Giovanni Maria Vianney, il Papa ne ha riproposto il «modo eroico e fecondo» di esercitare il ministero della riconciliazione e “il metodo del «dialogo di salvezza» che in esso si deve svolgere».

    «Viviamo in un contesto culturale segnato dalla mentalità edonistica e relativistica, che tende a cancellare Dio dall’orizzonte della vita, non favorisce l’acquisizione di un quadro chiaro di valori di riferimento e non aiuta a discernere il bene dal male e a maturare un giusto senso del peccato» ha spiegato il Pontefice; «un circolo vizioso tra l’offuscamento dell’esperienza di Dio e la perdita del senso del peccato» che «rende ancora più urgente il servizio di amministratori della misericordia divina».

    «Nelle condizioni di libertà in cui oggi», a differenza dell’epoca del Curato d’Ars, «è possibile esercitare il ministero sacerdotale, è necessario – ha ammonito Benedetto XVI - che i presbiteri» vivano in «modo alto» la «propria risposta alla vocazione» per poter «suscitare nei fedeli il senso del peccato, dare coraggio e far nascere il desiderio del perdono di Dio».

    È necessario, ha aggiunto il Papa, «tornare al confessionale, come luogo nel quale celebrare il sacramento della riconciliazione, ma anche come luogo in cui ‘abitare’ più spesso, perché il fedele possa trovare misericordia, consiglio e conforto».

    La «crisi» del «sacramento della penitenza» interpella «anzitutto i sacerdoti» e «chiede loro di dedicarsi generosamente all’ascolto delle confessioni sacramentali; di guidare con coraggio il gregge, perché non si conformi alla mentalità di questo mondo».

    Per questo «è importante che il sacerdote abbia una permanente tensione ascetica, nutrita dalla comunione con Dio, e si dedichi ad un costante aggiornamento nello studio della teologia morale e delle scienze umane». «San Giovanni Maria Vianney – ha concluso Benedetto XVI - sapeva instaurare con i penitenti un vero e proprio ‘dialogo di salvezza’ mostrando la bellezza e la grandezza della bontà del Signore”. E’ compito del sacerdote “favorire quell’esperienza».
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    00 16/03/2010 12:54
    Il Papa ai giovani: «Non
    rinunciate ai vostri sogni»
    «Non abbiate paura» di affrontare le grandi sfide di oggi, la disoccupazione, le incertezze della crisi, e non rinunciate alla fede, «che vi aiuterà a dare un senso pieno alle vostre scelte» e «qualità alla vostra esistenza».È il messaggio rivolto da Benedetto XVI ai giovani del mondo, in occasione della XXV Giornata mondiale della Gioventù che sarà celebrata, a livello diocesano, il 28 marzo prossimo, domenica delle Palme.

    «Chi vive oggi la condizione giovanile - afferma il pontefice nel messaggio, pubblicato oggi dalla sala stampa della Santa Sede - si trova ad affrontare molti problemi derivanti dalla disoccupazione, dalla mancanza di riferimenti ideali certi e di prospettive concrete per il futuro. Talora si può avere l'impressione di essere impotenti di fronte alle crisi e alle derive attuali. Nonostante le difficoltà - ha aggiunto - non lasciatevi scoraggiare e non rinunciate ai vostri sogni».

    Affrontando il tema della crisi economica, il pontefice ha elencato, riprendendo la sua enciclica sociale Caritas in Veritate, «alcune grandi sfide attuali», invitando i giovani a non sottrarsene: dall'ecologia alla redistribuzione dei beni, dal controllo dei meccanismi finanziari alla lotta contro la fame nel mondo, dalla difesa della dignità e della vita al «buon uso» dei mezzi di comunicazione sociale. 
      
    «Non si tratta - ha affermato - di compiere gesti eroici o straordinari, ma di agire mettendo a frutto i propri talenti e le proprie possibilità, impegnandosi a progredire costantemente nella fede e nell'amore». Una fede ai quali i giovani dovrebbero accostarsi - ha insistito Benedetto XVI citando anche Giovanni Paolo II, sapendo che «il cristianesimo non è primariamente una morale, ma esperienza di Gesù Cristo, che ci ama personalmente, giovani o vecchi, poveri o ricchi; ci ama - ha aggiunto - anche quando gli voltiamo le spalle».

    Ha quindi invitato a «non avere paura» di affrontare un progetto di vita guidato dalla fede e dai comandamenti. "«scoltarli e metterli in pratica - ha concluso - non significa alienarsi, ma trovare il cammino della libertà e dell'amore autentici, perchè i comandamenti non limitano la felicità, ma
    indicano come trovarla».



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    00 17/03/2010 22:47
    Il Papa: «La vera teologia non è arrogante»
    "C'è un modo arrogante di fare teologia, una superbia della ragione che si pone sopra alla Parola di Dio". Lo ha detto il Papa durante l'udienza generale in piazza san Pietro, dedicata oggi alla figura di san Bonaventura. Secondo Benedetto XVI, tuttavia, c'è anche "un modo diverso di fare teologia, mossi dall'amore di Dio, ed è quello di qualcuno che fa teologia perché cerca di conoscere meglio l'Amato". Il Papa, citando il grande teologo francescano di epoca medievale, ha sottolineando che "l'amore si estende oltre la ragione, vede di più. Dove la ragione non vede più, vede l'amore". Per Benedetto XVI, tale conclusione "non è testimonianza di una devozione senza contenuto ma un'espressione limpida e realistica della spiritualità francescana.

    Per Benedetto XVI dunque "la vera teologia" non è né arrogante né superba e ha "un'altra origine: conoscere meglio l'amato. Questa è la vera natura della teologia". "Nella notte oscura della Croce - ha detto nella catechesi - appare tutta la grandezza dell'Amore Divino; dove la ragione non vede più, vede l'amore". "Tutto questo non è anti-intellettuale e non è anti-razionale: suppone il cammino della ragione, ma lo trascende nell'amore del Cristo crocifisso", ha spiegato agli oltre 11 mila fedeli riuniti in piazza san Pietro per l'Udienza del mercoledì, nella quale ha accostato san Bonaventura da Bagnoregio a san Tommaso d'Aquino. "Entrambi - ha ricordato - hanno scrutato i misteri della Rivelazione, valorizzando le risorse della ragione umana, in quel fecondo dialogo tra fede e ragione che caratterizza il Medioevo cristiano. Per san Tommaso il fine supremo, al quale si dirige il nostro desiderio è: vedere Dio. Per san Bonaventura il destino ultimo dell'uomo è invece: amare Dio. Per ambedue il vero è anche il bene, ed il bene è anche il vero; vedere Dio è amare ed amare è vedere. Si tratta di accenti diversi di una visione fondamentalmente comune".
     
    Nell'elaborazione del tema del "primato dell'amore" san Bonaventura trovò una fonte negli scritti di Pseudo-Dionigi: "nella salita verso Dio - ha chiarito il Papa - si può arrivare ad un punto in cui la ragione non vede più. Ma nella notte dell'intelletto l'amore vede ancora - vede quanto rimane inaccessibile per la ragione. L'amore si estende oltre la ragione, vede più, entra più profondamente nel mistero di Dio". "Tutta la nostra vita - ha concluso Ratzinger, citando ancora san Bonaventura - è un pellegrinaggio, una salita verso Dio. Ma con le nostre sole forze non possiamo salire verso l'altezza di Dio. Dio stesso deve aiutarci, deve tirarci in alto. Perciò è necessaria la preghiera. La preghiera, comedice il Santo, è la madre e l'origine della elevazione.

    Al termine dell’udienza a Benedetto XVI è stata conferita la cittadinanza onoraria di Romano Canavese, paese natale del suo Segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone. In piazza san Pietro, oggi, anche la fiaccola benedettina “per la pace”, proveniente da Colonia e diretta a Cassino per le celebrazioni della festa di san Benedetto.
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    00 23/03/2010 11:49
    «Intransigenti con il peccato indulgenti con le persone»
    Cari fratelli e sorelle!

    Siamo giunti alla Quinta Domenica di Quaresima, nella quale la liturgia ci propone, quest’anno, l’episodio evangelico di Gesù che salva una donna adultera dalla condanna a morte (Gv 8,1-11). Mentre sta insegnando nel Tempio, gli scribi e i farisei conducono a Gesù una donna sorpresa in adulterio, per la quale la legge mosaica prevedeva la lapidazione. Quegli uomini chiedono a Gesù di giudicare la peccatrice con lo scopo di“metterlo alla prova” e di spingerlo a fare un passo falso. La scena è carica di drammaticità: dalle parole di Gesù dipende la vita di quella persona, ma anche la sua stessa vita. Gli accusatori ipocriti, infatti, fingono di affidargli il giudizio, mentre in realtà è proprio Lui che vogliono accusare e giudicare. Gesù, invece, è “pieno di grazia e di verità” (Gv 1,14): Egli sa che cosa c’è nel cuore di ogni uomo, vuole condannare il peccato, ma salvare il peccatore, e smascherare l’ipocrisia. L’evangelista san Giovanni dà risalto ad un particolare: mentre gli accusatori lo interrogano con insistenza, Gesù si china e si mette a scrivere col dito per terra. Osserva sant’Agostino che quel gesto mostra Cristo come il legislatore divino: infatti, Dio scrisse la legge col suo dito sulle tavole di pietra (cfr Comm. al Vang. di Giov., 33, 5). Gesù dunque è il Legislatore, è la Giustizia in persona. E qual è la sua sentenza? “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. Queste parole sono piene della forza disarmante della verità, che abbatte il muro dell’ipocrisia e apre le coscienze ad una giustizia più grande, quella dell’amore, in cui consiste il pieno compimento di ogni precetto (cfr Rm 13,8-10). E’ la giustizia che ha salvato anche Saulo di Tarso, trasformandolo in san Paolo (cfr Fil 3,8-14).

    Quando gli accusatori “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani”, Gesù, assolvendo la donna dal suo peccato, la introduce in una nuova vita, orientata al bene: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È la stessa grazia che farà dire all’Apostolo: “So soltanto questo: dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,14). Dio desidera per noi soltanto il bene e la vita; Egli provvede alla salute della nostra anima per mezzo dei suoi ministri, liberandoci dal male col Sacramento della Riconciliazione, affinché nessuno vada perduto, ma tutti abbiano modo di convertirsi. In questo Anno Sacerdotale, desidero esortare i Pastori ad imitare il santo Curato d’Ars nel ministero del Perdono sacramentale, affinché i fedeli ne riscoprano il significato e la bellezza, e siano risanati dall’amore misericordioso di Dio, il quale “si spinge fino a dimenticare volontariamente il peccato, pur di perdonarci” (Lettera di indizione dell’Anno Sacerdotale).

    Cari amici, impariamo dal Signore Gesù a non giudicare e a non condannare il prossimo. Impariamo ad essere intransigenti con il peccato – a partire dal nostro! – e indulgenti con le persone. Ci aiuti in questo la santa Madre di Dio che, esente da ogni colpa, è mediatrice di grazia per ogni peccatore pentito.
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    00 25/03/2010 22:13
    «Il vero amore è fedele»

    24 Marzo 2010
    ESORTAZIONE
    Il Papa al Forum giovani:
    «Il vero amore è fedele»
    Un’esortazione «a scoprire la grandezza e la bellezza del matrimonio» cristiano nel quale «la relazione tra l'uomo e la donna riflette l'amore divino in maniera del tutto speciale; perciò il vincolo coniugale assume una dignità immensa». A lanciarla oggi ai giovani partecipanti al X Forum Internazionale dei Giovani, che si tiene questa settimana a Rocca di Papa sul tema “Imparare ad amare”, è Benedetto XVI.

    Il Sacramento del matrimonio. In una lettera di saluto indirizzata al cardinal Stanislaw Rylko, presidente del Pontificio Consiglio per i Laici, promotore dell’iniziativa, il Pontefice ricorda che «mediante il Sacramento del matrimonio, gli sposi sono uniti da Dio e con la loro relazione manifestano l'amore di Cristo. In un contesto culturale in cui molte persone considerano il matrimonio come un contratto a tempo che si può infrangere – ha sottolineato il Papa - è di vitale importanza comprendere che il vero amore è fedele, dono di sé definitivo. Poiché Cristo consacra l'amore degli sposi cristiani e si impegna con loro, questa fedeltà non solo è possibile, ma è la via per entrare in una carità sempre più grande. Così, nella vita quotidiana di coppia e di famiglia, gli sposi imparano ad amare come Cristo ama. Per corrispondere a questa vocazione è necessario un serio percorso educativo ed anche questo Forum si pone in tale prospettiva».

    La vocazione all'amore. Invitando i giovani a cercare “con tutto il cuore di scoprire la loro vocazione all'amore, come persone e come battezzati” Benedetto XVI ha ricordato che “la vocazione all'amore prende forme differenti a seconda degli stati di vita”, tra questi anche il sacerdozio: “I sacerdoti danno la vita, affinché i fedeli possano vivere dell'amore di Cristo. Le persone consacrate nel celibato sono anche un segno eloquente dell'amore di Dio per il mondo e della vocazione ad amare Dio sopra ogni cosa”. “Questi giorni di formazione mediante l'incontro, l'ascolto delle conferenze e la preghiera comune – ha concluso il Pontefice - devono essere anche uno stimolo per tutti i giovani delegati a farsi testimoni presso i loro coetanei di ciò che hanno visto e ascoltato. Si tratta di una vera e propria responsabilità, per la quale la Chiesa conta su di loro. Essi hanno un ruolo importante da svolgere nell'evangelizzazione dei giovani dei loro Paesi”.
    [Modificato da Credente 25/03/2010 22:13]
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    AmarDio
    00 02/04/2010 11:29
    L'udienza del mercoledì
    «Vivere intensamente il Triduo pasquale»
    Cari Fratelli e Sorelle,

    stiamo vivendo i giorni santi che ci invitano a meditare gli eventi centrali della nostra Redenzione, il nucleo essenziale della nostra fede. Domani inizia il Triduo pasquale, fulcro dell'intero anno liturgico, nel quale siamo chiamati al silenzio e alla preghiera per contemplare il mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore.

    Nelle omelie i Padri fanno spesso riferimento a questi giorni che, come osserva Sant’Atanasio in una delle sue Lettere Pasquali, ci introducono «in quel tempo che ci fa conoscere un nuovo inizio, il giorno della Santa Pasqua, nella quale il Signore si è immolato» (Lett. 5,1-2: PG 26, 1379).

    Vi esorto pertanto a vivere intensamente questi giorni affinché orientino decisamente la vita di ciascuno all'adesione generosa e convinta a Cristo, morto e risorto per noi.

    La Santa Messa Crismale, preludio mattutino del Giovedì Santo, vedrà domani mattina riuniti i presbiteri con il proprio Vescovo. Nel corso di una significativa celebrazione eucaristica, che ha luogo solitamente nelle Cattedrali diocesane, verranno benedetti l’olio degli infermi, dei catecumeni e il Crisma. Inoltre, il Vescovo e i Presbiteri, rinnoveranno le promesse sacerdotali pronunciate il giorno dell’Ordinazione. Tale gesto assume quest’anno, un rilievo tutto speciale, perché collocato nell’ambito dell’Anno Sacerdotale, che ho indetto per commemorare il 150° anniversario della morte del Santo Curato d’Ars. A tutti i Sacerdoti vorrei ripetere l’auspicio che formulavo a conclusione della Lettera di indizione: «Sull’esempio del Santo Curato d’Ars, lasciatevi conquistare da Cristo e sarete anche voi, nel mondo di oggi, messaggeri di speranza, di riconciliazione, di pace!».

    Domani pomeriggio celebreremo il momento istitutivo dell’Eucaristia. L’apostolo Paolo, scrivendo ai Corinti, confermava i primi cristiani nella verità del mistero eucaristico, comunicando loro quanto egli stesso aveva appreso: «Il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me» (1Cor 11,23-25). Queste parole manifestano con chiarezza l’intenzione di Cristo: sotto le specie del pane e del vino, Egli si rende presente in modo reale col suo corpo donato e col suo sangue versato quale sacrificio della Nuova Alleanza. Al tempo stesso, Egli costituisce gli Apostoli e i loro successori ministri di questo sacramento, che consegna alla sua Chiesa come prova suprema del suo amore.

    Con suggestivo rito, ricorderemo, inoltre, il gesto di Gesù che lava i piedi agli Apostoli (cfr Gv 13,1-25). Tale atto diviene per l’evangelista la rappresentazione di tutta la vita di Gesù e rivela il suo amore sino alla fine, un amore infinito, capace di abilitare l’uomo alla comunione con Dio e di renderlo libero. Al termine della liturgia del Giovedì santo, la Chiesa ripone il Santissimo Sacramento in un luogo appositamente preparato, che sta a rappresentare la solitudine del Getsemani e l’angoscia mortale di Gesù. Davanti all’Eucarestia, i fedeli contemplano Gesù nell’ora della sua solitudine e pregano affinché cessino tutte le solitudini del mondo. Questo cammino liturgico è, altresì, invito a cercare l’incontro intimo col Signore nella preghiera, a riconoscere Gesù fra coloro che sono soli, a vegliare con lui e a saperlo proclamare luce della propria vita.

    Il Venerdì Santo faremo memoria della passione e della morte del Signore. Gesù ha voluto offrire la sua vita in sacrificio per la remissione dei peccati dell’umanità, scegliendo a tal fine la morte più crudele ed umiliante: la crocifissione. Esiste una inscindibile connessione fra l’Ultima Cena e la morte di Gesù. Nella prima Gesù dona il suo Corpo e il suo Sangue, ossia la sua esistenza terrena, se stesso, anticipando la sua morte e trasformandola in un atto di amore. Così la morte che, per sua natura, è la fine, la distruzione di ogni relazione, viene da lui resa atto di comunicazione di sé, strumento di salvezza e proclamazione della vittoria dell’amore. In tal modo, Gesù diventa la chiave per comprendere l’Ultima Cena che è anticipazione della trasformazione della morte violenta in sacrificio volontario, in atto di amore che redime e salva il mondo.

    Il Sabato Santo è caratterizzato da un grande silenzio. Le Chiese sono spoglie e non sono previste particolari liturgie. In questo tempo di attesa e di speranza, i credenti sono invitati alla preghiera, alla riflessione, alla conversione, anche attraverso il sacramento della riconciliazione, per poter partecipare, intimamente rinnovati, alla celebrazione della Pasqua.

    Nella notte del Sabato Santo, durante la solenne Veglia Pasquale, "madre di tutte le veglie", tale silenzio sarà rotto dal canto dell’Alleluia, che annuncia la resurrezione di Cristo e proclama la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte. La Chiesa gioirà nell’incontro con il suo Signore, entrando nel giorno della Pasqua che il Signore inaugura risorgendo dai morti.

    Cari Fratelli e Sorelle, disponiamoci a vivere intensamente questo Triduo Santo ormai imminente, per essere sempre più profondamente inseriti nel Mistero di Cristo, morto e risorto per noi. Ci accompagni in questo itinerario spirituale la Vergine Santissima. Lei che seguì Gesù nella sua passione e fu presente sotto la Croce, ci introduca nel mistero pasquale, perché possiamo sperimentare la letizia e la pace del Risorto.

    Con questi sentimenti, ricambio fin d’ora i più cordiali auguri di santa Pasqua a tutti voi, estendendoli alle vostre Comunità e a tutti i vostri cari.
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    AmarDio
    00 05/04/2010 16:56
    Sacerdoti come angeli:
    messaggeri del Bene
    Per essere fedeli alla loro vocazione i sacedoti debbono essere "angeli". Lo ha ricordato oggi il Papa citando le parole dell'antico scrittore cristiano Tertulliano nel breve discorso pronunciato a Castelgandolfo – dove trascorre alcuni giorni di vacanza – prima della preghiera mariana del Regina Caeli che nel periodo pasquale prende il posto dell'Angelus. «Il termine "angelo" oltre a definire gli Angeli, creature spirituali dotate di intelligenza e volontà, servitori e messaggeri di Dio, è anche – ha spiegato Ratzinger – uno dei titoli più antichi attribuiti a Gesù stesso». «Cristo – ha aggiunto – è stato anche chiamato "angelo del consiglio", cioè annunziatore, che è un termine che denota un ufficio, non la natura. In effetti, egli doveva
    annunziare al mondo il grande disegno del Padre per la restaurazione dell'uomo».
     
    «Così – dunque– Gesù Cristo, il Figlio di Dio viene chiamato anche l'Angelo di Dio Padre: Egli è il Messaggero per eccellenza del suo amore». Ma «come Gesù è stato annunciatore dell'amore di Dio Padre, anche noi lo dobbiamo essere della carità di Cristo: siamo messaggeri della sua risurrezione, della sua vittoria sul male e sulla morte, portatori del suo amore divino». «Certo – ha ammesso il Papa – rimaniamo per natura uomini e donne, ma riceviamo la missione di "angeli", messaggeri di Cristo: viene data a tutti nel Battesimo e nella Cresima. In modo speciale, attraverso il Sacramento dell'Ordine, la ricevono i sacerdoti, ministri di Cristo; mi piace sottolinearlo – ha concluso – in quest'Anno Sacerdotale».
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    AmarDio
    00 15/04/2010 11:55
    Papa: sacerdote non annunci se stesso e non cerchi successi

    Seguendo l'esempio di Gesù che diceva "la mia dottrina non è mia", il sacerdote "non interpreta una filosofia, non parla da sè per crearsi ammiratori o un proprio partito: insegna in nome di Cristo presente, propone la verità che è Cristo stesso". Lo ha ricordato il Papa nell'Udienza Generale di oggi. "Non propogo le mie idee, non dico quanto mi piace, ma sono bocca e voce di Cristo e propongo questa unica dottrina", ha spiegato parlando come dovrebbe fare un qualunque sacerdote che "non annuncia le proprie idee ma una dottrina che non è sua perchè è di Cristo". E neppure però "sarebbe come un portavoce che legge un testo", infatti deve vivere lui per primo quanto annuncia e cioè "la genuina dottrina ecclesiale, espressa nel Catechismo della Chiesa Cattolica". 

    Il "primo compito" del sacerdote è dunque il "munus docendi", cioè "quello di insegnare": un "compito" che oggi, "in piena emergenza educativa", "risulta particolarmente importante", se "esercitato concretamente attraverso il ministero di ciascun sacerdote", ha detto il Papa, che ha dedicato la catechesi dell'udienza generale di oggi - in una piazza S. Pietro affollata da circa 35 mila fedeli - alla "realtà feconda della configurazione del sacerdote a Cristo Capo, nell'esercizio dei 'tria munerà che riceve, cioè dei tre uffici di insegnare, santificare e governare". Il sacerdote che "insegna", ha puntualizzato subito dopo Benedetto XVI, "non propone mai se stesso, il proprio pensiero o la propria dottrina, ma, come Cristo rivela all'umanità il volto del Padre, la profonda comunione d'amore che Dio vive in se stesso e la 'vià che conduce a Lui, così il sacerdote è chiamato ad indicare agli uomini la realtà e la presenza di Dio, vivo ed operante nel mondo, annunciando tutto ciò che Dio stesso ha rivelato di Sè, che la tradizione ci ha consegnato e che il magistero autentico ha ininterrottamente interpretato per duemila anni".
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    Credente
    00 18/04/2010 21:36

    Il papa incontra le vittime dei preti

    Malta
    Un riferimento allo scandalo pedofilia e' stato fatto durante la messa celebrata dal Papa oggi a Floriana, a Malta. Una bambina ha letto una preghiera perchè la chiesa possa essere consegnata "senza macchia alle future generazioni".

     
    Benedetto XVI

    Benedetto XVI

    Roma,

    Alcuni membri della Chiesa hanno violato i diritti dell'infanzia, "un comportamento che la Chiesa non manca e non mancherà di deplorare e condannare". Lo ha affermato papa Benedetto XVI ricevendo i partecipanti all'assemblea plenaria del Pontificio consiglio per la famiglia.

    "La tenerezza e l'insegnamento di Gesù - ha aggiunto il Papa che ha già annunciato per le prossime settimane una lettera pastorale ai fedeli irlandesi dopo alcuni rapporti giudiziari su abusi compiuti da religiosi - hanno sempre costituito un appello pressante a nutrire nei loro confronti profondo rispetto e premura".

    "La tenerezza e l'insegnamento di Gesù, che considerò i bambini un modello da imitare per entrare nel regno di Dio - afferma il Pontefice - hanno sempre costituito un appello pressante a nutrire nei loro confronti profondo rispetto e premura. Le dure parole di Gesu' contro chi scandalizza uno di questi piccoli impegnano tutti a non abbassare mai il livello di tale rispetto e amore".

    "Perciò - sottolinea il Papa - anche la Convenzione sui diritti dell'infanzia è stata accolta con favore dalla Santa Sede, in quanto contiene enunciati positivi circa l'adozione, le cure sanitarie, l'educazione, la tutela dei disabili e la protezione dei piccoli contro la violenza, l'abbandono e lo sfruttamento sessuale e lavorativo".

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    Credente
    00 18/04/2010 21:43
    Papa Benedetto XVI

    Papa Benedetto XVI

    Parigi,

    "Una campagna denigratoria con l'obiettivo di infangare il papa". Cosi' l'arcivescovo di
    Parigi, card. Andre' Vingt-Trois, commenta gli attacchi rivolti al Pontefice in merito agli scandali sui preti pedofili che stanno scuotendo la Chiesa cattolica.

    In un'intervista al Parisien, Vingt-Trois - che e' anche presidente della Conferenza episcopale francese - ricorda come fu proprio Ratzinger, quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (dal 1981 al 2005), ad incoraggiare i
    vescovi ad adottare misure contro la pedofilia, chiedendo loro di "trasmettere sistematicamente" a Roma le informazioni in loro possesso sui casi di abusi.

    L'arcivescovo bolla i casi di pedofilia come dei "crimini abominevoli" commessi da sacerdoti che "deturpano la nostra Chiesa", ma avverte che il fenomeno non riguarda solo i religiosi bensi' l'intera societa'.

    "Non siamo di fronte ad un un diluvio di atti di pedofilia, ma ad un'ondata di rivelazioni di atti commessi durante gli ultimi cinquant'anni. Se scavassimo tutti i casi di pedofilia in Francia nell'ultimo mezzo secolo, si potrebbe fare un catalogo degli orrori in cui i religiosi sono una minoranza".

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    Credente
    00 25/04/2010 17:36
    Sabato, 24.04.2010 - UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE “TESTIMONI DIGITALI. VOLTI E LINGUAGGI NELL’ERA CROSSMEDIALE”, PROMOSSO DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Stampa E-mail

    Sabato, 24.04.2010 - UDIENZA AI PARTECIPANTI AL CONVEGNO NAZIONALE  “TESTIMONI DIGITALI. VOLTI E LINGUAGGI NELL’ERA CROSSMEDIALE”, PROMOSSO  DALLA CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA Alle ore 12 di questa mattina, nell’Aula Paolo VI, il Santo Padre Benedetto XVI riceve in Udienza i partecipanti al Convegno nazionale “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”, promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana. Pubblichiamo di seguito il discorso che il Papa rivolge ai presenti: ! DISCORSO DEL SANTO PADRE Eminenza, Venerati Confratelli nell’episcopato, cari amici, sono lieto di questa occasione per incontrarvi e concludere il vostro convegno, dal titolo quanto mai evocativo: “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era crossmediale”. Ringrazio il Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, Cardinale Angelo Bagnasco, per le cordiali parole di benvenuto, con le quali, ancora una volta, ha voluto esprimere l’affetto e la vicinanza della Chiesa che è in Italia al mio servizio apostolico. Nelle sue parole, Signor Cardinale, si BOLLETTINO N. 0249 - 24.04.2010 2 rispecchia la fedele adesione ...

    ... a Pietro di tutti i cattolici di questa amata Nazione e la stima di tanti uomini e donne animati dal desiderio di cercare la verità. Il tempo che viviamo conosce un enorme allargamento delle frontiere della comunicazione, realizza un’inedita convergenza tra i diversi media e rende possibile l’interattività. La rete manifesta, dunque, una vocazione aperta, tendenzialmente egualitaria e pluralista, ma nel contempo segna un nuovo fossato: si parla, infatti, di digital divide. Esso separa gli inclusi dagli esclusi e va ad aggiungersi agli altri divari, che già allontanano le nazioni tra loro e anche al loro interno. Aumentano pure i pericoli di omologazione e di controllo, di relativismo intellettuale e morale, già ben riconoscibili nella flessione dello spirito critico, nella verità ridotta al gioco delle opinioni, nelle molteplici forme di degrado e di umiliazione dell’intimità della persona. Si assiste allora a un “inquinamento dello spirito, quello che rende i nostri volti meno sorridenti, più cupi, che ci porta a non salutarci tra di noi, a non guardarci in faccia…” (Discorso in Piazza di Spagna, 8 Dicembre 2009). Questo Convegno, invece, punta proprio a riconoscere i volti, quindi a superare quelle dinamiche collettive che possono farci smarrire la percezione della profondità delle persone e appiattirci sulla loro superficie: quando ciò accade, esse restano corpi senz’anima, oggetti di scambio e di consumo. Come è possibile, oggi, tornare ai volti? Ho cercato di indicarne la strada anche nella mia terza Enciclica. Essa passa per quella caritas in veritate, che rifulge nel volto di Cristo. L’amore nella verità costituisce “una grande sfida per la Chiesa in un mondo in progressiva e pervasiva globalizzazione” (n. 9). I media possono diventare fattori di umanizzazione “non solo quando, grazie allo sviluppo tecnologico, offrono maggiori possibilità di comunicazione e di informazione, ma soprattutto quando sono organizzati e orientati alla luce di un’immagine della persona e del bene comune che ne rispetti le valenze universali” (n. 73). Ciò richiede che “essi siano centrati sulla promozione della dignità delle persone e dei popoli, siano espressamente animati dalla carità e siano posti al servizio della verità, del bene e della fraternità naturale e soprannaturale” (ibid.). Solamente a tali condizioni il passaggio epocale che stiamo attraversando può rivelarsi ricco e fecondo di nuove opportunità. Senza timori vogliamo prendere il largo nel mare digitale, affrontando la navigazione aperta con la stessa passione che da duemila anni governa la barca della Chiesa. Più che per le risorse tecniche, pur necessarie, vogliamo qualificarci abitando anche questo universo con un cuore credente, che contribuisca a dare un’anima all’ininterrotto flusso comunicativo della rete. È questa la nostra missione, la missione irrinunciabile della Chiesa: il compito di ogni credente che opera nei media è quello di “spianare la strada a nuovi incontri, assicurando sempre la qualità del contatto umano e l’attenzione alle persone e ai loro veri bisogni spirituali; offrendo agli uomini che vivono questo tempo «digitale» i segni necessari per riconoscere il Signore” (Messaggio per la 44a Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 16 maggio 2010). Cari amici, anche nella rete siete chiamati a collocarvi come “animatori di comunità”, attenti a “preparare cammini che conducano alla Parola di Dio”, e ad esprimere una particolare sensibilità per quanti “sono sfiduciati ed hanno nel cuore desideri di assoluto e di verità non caduche” (ibid.). La rete potrà così diventare una sorta di “portico dei gentili”, dove “fare spazio anche a coloro per i quali Dio è ancora uno sconosciuto” (ibid.). Quali animatori della cultura e della comunicazione, voi siete segno vivo di quanto “i moderni mezzi di comunicazione siano entrati da tempo a far parte degli strumenti ordinari, attraverso i quali le comunità ecclesiali si esprimono, entrando in contatto con il proprio territorio ed instaurando, molto spesso, forme di dialogo a più vasto raggio” (ibid.). Le voci, in questo campo, in Italia non mancano: basti qui ricordare il quotidiano Avvenire, l’emittente BOLLETTINO N. 0249 - 24.04.2010 3 televisiva TV2000, il circuito radiofonico inBlu e l’agenzia di stampa SIR, accanto ai periodici cattolici, alla rete capillare dei settimanali diocesani e agli ormai numerosi siti internet di ispirazione cattolica. Esorto tutti i professionisti della comunicazione a non stancarsi di nutrire nel proprio cuore quella sana passione per l’uomo che diventa tensione ad avvicinarsi sempre più ai suoi linguaggi e al suo vero volto. Vi aiuterà in questo una solida preparazione teologica e soprattutto una profonda e gioiosa passione per Dio, alimentata nel continuo dialogo con il Signore. Le Chiese particolari e gli istituti religiosi, dal canto loro, non esitino a valorizzare i percorsi formativi proposti dalle Università Pontificie, dall’Università Cattolica del Sacro Cuore e dalle altre Università cattoliche ed ecclesiastiche, destinandovi con lungimiranza persone e risorse. Il mondo della comunicazione sociale entri a pieno titolo nella programmazione pastorale. Mentre vi ringrazio del servizio che rendete alla Chiesa e quindi alla causa dell’uomo, vi esorto a percorrere, animati dal coraggio dello Spirito Santo, le strade del continente digitale. La nostra fiducia non è acriticamente riposta in alcuno strumento della tecnica. La nostra forza sta nell’essere Chiesa, comunità credente, capace di testimoniare a tutti la perenne novità del Risorto, con una vita che fiorisce in pienezza nella misura in cui si apre, entra in relazione, si dona con gratuità. Vi affido alla protezione di Maria Santissima e dei grandi Santi della comunicazione e di cuore tutti vi benedico. [00576-01.01] [Testo originale: Italiano] [B0249-XX.01]

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    Coordin.
    00 04/05/2010 09:19
    Un pensiero rivolto AL PAPA

    Siamo stanchi dei continui attacchi al Papa, fatti sotto mille pretesti.
    Ci proponiamo di boicottare tutti i massmedia, servizi e prodotti che deridono il Santo Padre, la religione cattolica, la Chiesa Cattolica e la sua morale.
    Smettiamo di guardare i programmi TV, acquistare quotidiani (es. Repubblica), comprare prodotti laicisti (es. la pubblicità poligamica della Renault).
    ______________________________________________
    Lettera di Mons. Luigi Negri, vescovo di San Marino, al Papa

    Santità,
    la menzogna e la violenza diabolica si avventano, ogni giorno, sulla Sua Sacra Persona.
    Lei vive di fronte a tutta la Chiesa una singolarissima partecipazione alla Passione del Signore Gesù Cristo.
    Di fronte alla Chiesa e al mondo Lei sta percorrendo “la via dolorosa”. Ci senta accanto a Lei, con un affetto infinito e con la volontà di confortare, per quanto possiamo, questo suo dolore. Nel suo dolore, Santità, vibra già tutta la potenza di Dio che, in questo dolore e per questo dolore, vince oggi il male del mondo.

    Un grandissimo e comune amico, il Presidente Marcello Pera, mi ha scritto in questi giorni: com’è possibile che un miliardo di cristiani assistano in silenzio ed impotenti al tentativo di distruggere il Papa, senza rendersi conto che dopo questo non ci sarà più salvezza per nessuno.

    Santità, è necessario che tutti noi lavoriamo, sotto di Lei, ad una grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa, fondata sull’adesione incondizionata al Suo Magistero.
    Solo questo può approfondire il senso della nostra dignità, di fronte a noi stessi e al mondo, e dell’ inderogabile compito della missione, che ci è conferito dal nostro battesimo.

    Troppe cattive teologie, troppi vacui esegetismi, molte volte in polemica esplicita con il suo Magistero, avviliscono oggi la cultura della Chiesa.

    A questa grande riforma dell’intelligenza e del cuore della Chiesa seguirà necessariamente una vera riforma morale, premessa di una nuova fioritura di santità. E cosi rifiorirà la missione della Chiesa in questo mondo, forte, lieta e sacrificata. Nei momenti più gravi della sua storia, la Chiesa ha sempre sperimentato tutto questo. Oggi, come allora, accoglieremo la grazia di questa sofferenza per vivere anche più profondamente le nostre responsabilità.

    Santità Lei conosce i nostri cuori, sa che ci stringeremo in un abbraccio alla Sua Persona, pronti a morire per Lei e per la Chiesa.
    Santità perdoni il nostro ardire e ci benedica.

     
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    Credente
    00 12/05/2010 16:02
    DOMENICA PROSSIMA A SAN PIETRO PER PREGARE COL PAPA Stampa E-mail

    DOMENICA PROSSIMA A SAN PIETRO PER PREGARE COL PAPA Stanno organizzandosi. I voli e i treni dal Nord e dal Sud sono già pieni. Molti ragazzi partiranno all’alba, in pullman: sbarcheranno in piazza san Pietro giusto in tempo per il Regina Coeli, e torneranno a casa a notte. Una faticaccia. Ma vogliono andare dal Papa, domenica 16 maggio; vogliono essere insieme a lui. Pregando: con Benedetto XVI e per la Chiesa, cioè per ognuno di noi. E per quelli che hanno sofferto il terribile male che lo stesso Benedetto ha denunciato; e perfino per chi ha compiuto quel male – in una misericordia che è incom-prensibile e scandalosa ai giusti, e agli 'onesti'. Stanno per mettersi in cammino, verso Roma. Già a Torino, domenica scorsa, attorno al Papa si è vista una gran folla, un popolo di ragazzi, famiglie, bambini, vecchi, che lo ha abbracciato all’ingresso in piazza San Carlo con un lungo applauso. Dalla tribuna della stampa, i giornalisti stranieri osservavano stupiti quell’accoglienza; ...

    ... chiedendosi come mai, dopo settimane di attacchi e accuse, ancora tanta gente gremiva una piazza per il Papa. (Sembrava anzi che quell’accoglienza fosse più calda del solito. Che la gente, vedendone la faccia stanca, e più evidente il peso degli anni in questo tempo di burrasca, gli volesse più bene).

    A Roma, domenica, come si va da un padre; con la premura con cui si accorre da un padre che si vede anziano, e affaticato sotto un grande peso. Come avendo iniziato a comprendere quale desiderio anima quest’uomo, e che cosa lo spinge all’audacia di parole come quelle ai cattolici di Irlanda, che ci hanno fatto tremare. Perché svelavano il male e il dolore come il bisturi di un chirurgo che apre una piaga. E chiedevano penitenza, e umana giustizia.

    E tuttavia, quella lettera non si concludeva con questa domanda. Perché, come scriveva Benedetto alle vittime degli abusi, «nulla può cancellare il male che avete sopportato». Umanamente, nulla. Solo Cristo, aggiungeva il Papa, «ha il potere di perdonare persino il più grande dei peccati, e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali». È dentro questa certezza che si spiega perché in tanti andranno al Regina Coeli, domenica. Per dire: siamo con te e siamo con la Chiesa, e anche con chi proprio da uomini di questa nostra Chiesa è stato tradito. Perché in nessun luogo fuori di qui è data la promessa di una misericordia, che è più forte di ogni colpa. Perché nessuno, al di fuori del Dio in cui crediamo, ha il potere «di perdonare perfino il più grave dei peccati e di trarre il bene anche dal più terribile dei mali», come ha scritto Benedetto agli irlandesi. (E a Torino, anche, davanti alla Sindone, ha spiegato come dal buio più oscuro possa venire la luce.

    Come da quel lenzuolo, ombra di un morto crocefisso, icona della ferocia umana; eppure quanta luce ne emana, così che in milioni vanno a cercare quel volto). Si metteranno in cammino sabato notte, o domenica all’alba, coi panini, e la cerata per la pioggia di questo maggio fradicio. Si stringeranno dentro al Colonnato. E intorno. Mostrando che cosa è la Chiesa, davvero. Non quell’oscura cupola di potere che immaginano i giornali americani, o la fantasia di Dan Brown. La Chiesa non è riducibile a un umano 'potere', e non basterebbe un Watergate a ro-vesciarla. La Chiesa è 'corpo di Cristo', è un popolo. Un popolo che si tramanda da duemila anni la certezza che Cristo ha vinto la morte. Che la sua misericordia è più forte di ogni tradimento e dolore.

    Benedetto XVI è la voce che afferma questa verità, in un mondo che sembra travolto dal nichilismo disperato o dall’ansia, a volte rabbiosa, di una giustizia che sempre ci sfugge. Per lui e con lui, con la Chiesa, al Regina Coeli, domenica. Attorno al padre. A testimoniare, ancora, che un’altra vita, dentro un altro sguardo, è possibile.

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    AmarDio
    00 29/05/2010 21:29

    Il Papa ai vescovi: «Risvegliamo
    la passione educativa»

    Risvegliare nelle comunità cristiane la «passione educativa». Lo ha chiesto oggi Benedetto XVI ai vescovi italiani incontrandoli nella aula sinodale in Vaticano dove sono riuniti per l’Assemblea generale della Conferenza episcopale italiana. Il Papa ha sottolineato, andando a braccio, che sono due le sfide culturali di fronte alle quali si pongono oggi gli educatori. La prima è «la falsa idea di autonomia di se stessi» che si registra soprattutto nelle nuove generazioni quando invece è «essenziale» per la persona umana diventare se stessi in relazione al «tu e al noi».

    L’uomo, infatti, ha proseguito Benedetto XVI, «è creato per il dialogo» e «solo l’incontro con il Tu e il noi apre l’io a se stesso». L’altra sfida è «lo scetticismo e il relativismo». Educare, ha detto oggi il Papa, non è «imporre» ma «aprire» la persona «al Tu di Dio». «Pur consapevoli del peso di queste difficoltà – ha concluso il Santo Padre -, non possiamo cedere alla sfiducia e alla rassegnazione. Educare non è mai stato facile, ma non dobbiamo arrenderci». «Risvegliamo piuttosto nelle nostre comunità quella passione educativa», che non si risolve in una didattica». «Educare è formare le nuove generazioni, perché sappiano entrare in rapporto con il mondo, forti di una memoria significativa».

    «Non perdere mai la fiducia nei giovani». E’ l’altra indicazione data oggi ai vescovi italiani da papa Benedetto XVI, parlando loro del tema dell’eduzione. «La sete che i giovani portano nel cuore – ha detto il Papa - è una domanda di significato e di rapporti umani autentici, che aiutino a non sentirsi soli davanti alle sfide della vita».

    I giovani hanno bisogno di «una compagnia sicura e affidabile, che si accosta a ciascuno con delicatezza e rispetto, proponendo valori saldi a partire dai quali crescere verso traguardi alti, ma raggiungibili».

    Ecco perché la proposta cristiana passa «attraverso relazioni di vicinanza, lealtà e fiducia». Il papa ha quindi incoraggiato i presuli ad andare «incontro» ai giovani, «a frequentarne gli ambienti di vita, compreso quello costituito dalle nuove tecnologie di comunicazione, che ormai permeano la cultura in ogni sua espressione. Non si tratta di adeguare il Vangelo al mondo – ha detto il Papa -, ma di attingere dal Vangelo quella perenne novità, che consente in ogni tempo di trovare le forme adatte per annunciare la Parola che non passa, fecondando e servendo l’umana esistenza».

    «La volontà di promuovere una rinnovata stagione di evangelizzazione non nasconde le ferite da cui la comunità ecclesiale è segnata, per la debolezza e il peccato di alcuni suoi membri», ha detto
    il papa. «Questa umile e dolorosa ammissione - ha proseguito - non deve, però, far dimenticare il servizio gratuito e appassionato di tanti credenti, a partire dai sacerdoti». Secondo il
    Pontefice, «l'anno speciale a loro dedicato ha voluto costituire un'opportunità per promuoverne il rinnovamento interiore, quale condizione per un più incisivo impegno evangelico e ministeriale».

    Nel contempo, ha proseguito, «ci aiuta anche a riconoscere la testimonianza di santità di quanti
    - sull'esempio del Curato d'Ars - si spendono senza riserve per educare alla speranza, alla fede e alla carità». In questa luce, ha aggiunto il Papa, «ciò che è motivo di scandalo, deve tradursi per noi in richiamo a un profondo bisogno di ri-imparare la penitenza, di accettare la purificazione, di imparare da una parte il perdono, dall'altra la necessità della giustizia».
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    00 14/06/2010 11:04

    Il Papa: «Sacerdote un dono per la Chiesa e per il mondo»

    «Rendere grazie a Dio per tutti i benefici che da questo Anno sono venuti alla Chiesa universale. Nessuno potrà mai misurarli, ma certamente se ne vedono e ancor più se ne vedranno i frutti». Così si è espresso, Benedetto XVI, prima di guidare la recita dell’Angelus da piazza San Pietro, facendo riferimento all’Anno Sacerdotale che si è concluso l’11 giugno scorso. «Qui a Roma – ha ricordato il Papa – abbiamo vissuto giornate indimenticabili, con la presenza di oltre quindicimila sacerdoti di ogni parte del mondo». Per il Pontefice, «il sacerdote è un dono del cuore di Cristo: un dono per la Chiesa e per il mondo. Dal cuore del Figlio di Dio, traboccante di carità, scaturiscono tutti i beni della Chiesa, e in modo particolare trae origine la vocazione di quegli uomini che, conquistati dal Signore Gesù, lasciano tutto per dedicarsi interamente al servizio del popolo cristiano, sull’esempio del Buon Pastore».

    Il sacerdote, dunque, «è plasmato dalla stessa carità di Cristo, quell’amore che spinse Lui a dare la vita per i suoi amici e anche a perdonare i suoi nemici. Per questo i sacerdoti sono i primi operai della civiltà dell’amore». E qui, ha aggiunto, «penso a tante figure di preti, noti e meno noti, alcuni elevati all’onore degli altari, altri il cui ricordo rimane indelebile nei fedeli, magari in una piccola comunità parrocchiale».
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    00 30/06/2010 08:31

    Catechesi sui grandi teologi del Medioevo

    Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di Tommaso, che in quel momento di scontro tra due culture - quel momento nel quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione - ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti.



    Cari fratelli e sorelle,

    dopo alcune catechesi sul sacerdozio e i miei ultimi viaggi, ritorniamo oggi al nostro tema principale, alla meditazione cioè di alcuni grandi pensatori del Medio Evo. Avevamo visto ultimamente la grande figura di san Bonaventura, francescano, e oggi vorrei parlare di colui che la Chiesa chiama il Doctor communis: cioè san Tommaso d’Aquino. Il mio venerato Predecessore, il Papa Giovanni Paolo II, nella sua Enciclica Fides et ratio ha ricordato che san Tommaso "è sempre stato proposto dalla Chiesa come maestro di pensiero e modello del retto modo di fare teologia" (n. 43). Non sorprende che, dopo sant’Agostino, tra gli scrittori ecclesiastici menzionati nel Catechismo della Chiesa Cattolica, san Tommaso venga citato più di ogni altro, per ben sessantuno volte! Egli è stato chiamato anche il Doctor Angelicus, forse per le sue virtù, in particolare la sublimità del pensiero e la purezza della vita.

    Tommaso nacque tra il 1224 e il 1225 nel castello che la sua famiglia, nobile e facoltosa, possedeva a Roccasecca, nei pressi di Aquino, vicino alla celebre abbazia di Montecassino, dove fu inviato dai genitori per ricevere i primi elementi della sua istruzione. Qualche anno dopo si trasferì nella capitale del Regno di Sicilia, Napoli, dove Federico II aveva fondato una prestigiosa Università. In essa veniva insegnato, senza le limitazioni vigenti altrove, il pensiero del filosofo greco Aristotele, al quale il giovane Tommaso venne introdotto, e di cui intuì subito il grande valore. Ma soprattutto, in quegli anni trascorsi a Napoli, nacque la sua vocazione domenicana. Tommaso fu infatti attratto dall’ideale dell’Ordine fondato non molti anni prima da san Domenico. Tuttavia, quando rivestì l’abito domenicano, la sua famiglia si oppose a questa scelta, ed egli fu costretto a lasciare il convento e a trascorrere qualche tempo in famiglia.

    Nel 1245, ormai maggiorenne, poté riprendere il suo cammino di risposta alla chiamata di Dio. Fu inviato a Parigi per studiare teologia sotto la guida di un altro santo, Alberto Magno, sul quale ho parlato recentemente. Alberto e Tommaso strinsero una vera e profonda amicizia e impararono a stimarsi e a volersi bene, al punto che Alberto volle che il suo discepolo lo seguisse anche a Colonia, dove egli era stato inviato dai Superiori dell’Ordine a fondare uno studio teologico. Tommaso prese allora contatto con tutte le opere di Aristotele e dei suoi commentatori arabi, che Alberto illustrava e spiegava.

    In quel periodo, la cultura del mondo latino era stata profondamente stimolata dall’incontro con le opere di Aristotele, che erano rimaste ignote per molto tempo. Si trattava di scritti sulla natura della conoscenza, sulle scienze naturali, sulla metafisica, sull’anima e sull’etica, ricchi di informazioni e di intuizioni che apparivano valide e convincenti. Era tutta una visione completa del mondo sviluppata senza e prima di Cristo, con la pura ragione, e sembrava imporsi alla ragione come "la" visione stessa; era, quindi, un incredibile fascino per i giovani vedere e conoscere questa filosofia. Molti accolsero con entusiasmo, anzi con entusiasmo acritico, questo enorme bagaglio del sapere antico, che sembrava poter rinnovare vantaggiosamente la cultura, aprire totalmente nuovi orizzonti. Altri, però, temevano che il pensiero pagano di Aristotele fosse in opposizione alla fede cristiana, e si rifiutavano di studiarlo. Si incontrarono due culture: la cultura pre-cristiana di Aristotele, con la sua radicale razionalità, e la classica cultura cristiana. Certi ambienti erano condotti al rifiuto di Aristotele anche dalla presentazione che di tale filosofo era stata fatta dai commentatori arabi Avicenna e Averroè. Infatti, furono essi ad aver trasmesso al mondo latino la filosofia aristotelica. Per esempio, questi commentatori avevano insegnato che gli uomini non dispongono di un’intelligenza personale, ma che vi è un unico intelletto universale, una sostanza spirituale comune a tutti, che opera in tutti come "unica": quindi una depersonalizzazione dell'uomo. Un altro punto discutibile veicolato dai commentatori arabi era quello secondo il quale il mondo è eterno come Dio. Si scatenarono comprensibilmente dispute a non finire nel mondo universitario e in quello ecclesiastico. La filosofia aristotelica si andava diffondendo addirittura tra la gente semplice.

    Tommaso d’Aquino, alla scuola di Alberto Magno, svolse un’operazione di fondamentale importanza per la storia della filosofia e della teologia, direi per la storia della cultura: studiò a fondo Aristotele e i suoi interpreti, procurandosi nuove traduzioni latine dei testi originali in greco. Così non si appoggiava più solo ai commentatori arabi, ma poteva leggere personalmente i testi originali, e commentò gran parte delle opere aristoteliche, distinguendovi ciò che era valido da ciò che era dubbio o da rifiutare del tutto, mostrando la consonanza con i dati della Rivelazione cristiana e utilizzando largamente e acutamente il pensiero aristotelico nell’esposizione degli scritti teologici che compose. In definitiva, Tommaso d’Aquino mostrò che tra fede cristiana e ragione sussiste una naturale armonia. E questa è stata la grande opera di Tommaso, che in quel momento di scontro tra due culture - quel momento nel quale sembrava che la fede dovesse arrendersi davanti alla ragione - ha mostrato che esse vanno insieme, che quanto appariva ragione non compatibile con la fede non era ragione, e quanto appariva fede non era fede, in quanto opposta alla vera razionalità; così egli ha creato una nuova sintesi, che ha formato la cultura dei secoli seguenti.

    Per le sue eccellenti doti intellettuali, Tommaso fu richiamato a Parigi come professore di teologia sulla cattedra domenicana. Qui iniziò anche la sua produzione letteraria, che proseguì fino alla morte, e che ha del prodigioso: commenti alla Sacra Scrittura, perché il professore di teologia era soprattutto interprete della Scrittura, commenti agli scritti di Aristotele, opere sistematiche poderose, tra cui eccelle la Summa Theologiae, trattati e discorsi su vari argomenti. Per la composizione dei suoi scritti, era coadiuvato da alcuni segretari, tra i quali il confratello Reginaldo di Piperno, che lo seguì fedelmente e al quale fu legato da fraterna e sincera amicizia, caratterizzata da una grande confidenza e fiducia. È questa una caratteristica dei santi: coltivano l’amicizia, perché essa è una delle manifestazioni più nobili del cuore umano e ha in sé qualche cosa di divino, come Tommaso stesso ha spiegato in alcune quaestiones della Summa Theologiae, in cui scrive: "La carità è l’amicizia dell’uomo con Dio principalmente, e con gli esseri che a Lui appartengono" (II, q. 23, a.1).

    Non rimase a lungo e stabilmente a Parigi. Nel 1259 partecipò al Capitolo Generale dei Domenicani a Valenciennes dove fu membro di una commissione che stabilì il programma di studi nell’Ordine. Dal 1261 al 1265, poi, Tommaso era ad Orvieto. Il Pontefice Urbano IV, che nutriva per lui una grande stima, gli commissionò la composizione dei testi liturgici per la festa del Corpus Domini, che celebriamo domani, istituita in seguito al miracolo eucaristico di Bolsena. Tommaso ebbe un’anima squisitamente eucaristica. I bellissimi inni che la liturgia della Chiesa canta per celebrare il mistero della presenza reale del Corpo e del Sangue del Signore nell’Eucaristia sono attribuiti alla sua fede e alla sua sapienza teologica. Dal 1265 fino al 1268 Tommaso risiedette a Roma, dove, probabilmente, dirigeva uno Studium, cioè una Casa di studi dell’Ordine, e dove iniziò a scrivere la sua Summa Theologiae (cfr Jean-Pierre Torrell, Tommaso d’Aquino. L’uomo e il teologo, Casale Monf., 1994, pp. 118-184).

    Nel 1269 fu richiamato a Parigi per un secondo ciclo di insegnamento. Gli studenti - si può capire - erano entusiasti delle sue lezioni. Un suo ex-allievo dichiarò che una grandissima moltitudine di studenti seguiva i corsi di Tommaso, tanto che le aule riuscivano a stento a contenerli e aggiungeva, con un’annotazione personale, che "ascoltarlo era per lui una felicità profonda". L’interpretazione di Aristotele data da Tommaso non era accettata da tutti, ma persino i suoi avversari in campo accademico, come Goffredo di Fontaines, ad esempio, ammettevano che la dottrina di frate Tommaso era superiore ad altre per utilità e valore e serviva da correttivo a quelle di tutti gli altri dottori. Forse anche per sottrarlo alle vivaci discussioni in atto, i Superiori lo inviarono ancora una volta a Napoli, per essere a disposizione del re Carlo I, che intendeva riorganizzare gli studi universitari.

    Oltre che allo studio e all’insegnamento, Tommaso si dedicò pure alla predicazione al popolo. E anche il popolo volentieri andava ad ascoltarlo. Direi che è veramente una grande grazia quando i teologi sanno parlare con semplicità e fervore ai fedeli. Il ministero della predicazione, d’altra parte, aiuta gli stessi studiosi di teologia a un sano realismo pastorale, e arricchisce di vivaci stimoli la loro ricerca.

    Gli ultimi mesi della vita terrena di Tommaso restano circondati da un’atmosfera particolare, misteriosa direi. Nel dicembre del 1273 chiamò il suo amico e segretario Reginaldo per comunicargli la decisione di interrompere ogni lavoro, perché, durante la celebrazione della Messa, aveva compreso, in seguito a una rivelazione soprannaturale, che quanto aveva scritto fino ad allora era solo "un mucchio di paglia". È un episodio misterioso, che ci aiuta a comprendere non solo l’umiltà personale di Tommaso, ma anche il fatto che tutto ciò che riusciamo a pensare e a dire sulla fede, per quanto elevato e puro, è infinitamente superato dalla grandezza e dalla bellezza di Dio, che ci sarà rivelata in pienezza nel Paradiso. Qualche mese dopo, sempre più assorto in una pensosa meditazione, Tommaso morì mentre era in viaggio verso Lione, dove si stava recando per prendere parte al Concilio Ecumenico indetto dal Papa Gregorio X. Si spense nell’Abbazia cistercense di Fossanova, dopo aver ricevuto il Viatico con sentimenti di grande pietà.

    La vita e l’insegnamento di san Tommaso d’Aquino si potrebbero riassumere in un episodio tramandato dagli antichi biografi. Mentre il Santo, come suo solito, era in preghiera davanti al Crocifisso, al mattino presto nella Cappella di San Nicola, a Napoli, Domenico da Caserta, il sacrestano della chiesa, sentì svolgersi un dialogo. Tommaso chiedeva, preoccupato, se quanto aveva scritto sui misteri della fede cristiana era giusto. E il Crocifisso rispose: "Tu hai parlato bene di me, Tommaso. Quale sarà la tua ricompensa?". E la risposta che Tommaso diede è quella che anche noi, amici e discepoli di Gesù, vorremmo sempre dirgli: "Nient’altro che Te, Signore!" (Ibid., p. 320).

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    AmarDio
    00 18/07/2010 15:22

    Papa: Le ferie tempo favorevole per dare il primo posto a Dio

    12:34 - CRONACA- 18 LUG 2010

    Papa: Le ferie tempo favorevole per dare il primo posto  a Dio

    "Senza amore anche le attività più importanti diventano sterili"
    Roma, 18 lug. (Apcom) - "Senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. Senza un significato profondo, tutto il nostro fare si riduce ad attivismo sterile e disordinato". E' la riflessione che il Papa trae dal Vangelo di oggi, che racconta l'incontro di Gesù con le sorelle di Lazzaro, Marta e Maria: la prima, ricostruisce la scena Benedetto XVI, "che si muove indaffarata, e l'altra come rapita dalla presenza del Maestro e dalle sue parole". Uno spunto ancora più valido nel periodo delle ferie, "un momento favorevole per dare il primo posto a ciò che è effettivamente più importante nella vita, vale a dire l'ascolto della Parola del Signore". Alle rimostranze di Marta sull'atteggiamento della sorella, ricorda Ratzinger durante la celebrazione dell'Angelus a Castel Gandolfo, "Gesù, con grande calma e affetto, risponde: 'ti affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c'è bisogno. Maria ha scelto la parte migliore, che non le sarà tolta'". Dunque "la parola di Cristo - spiega il Pontefice - è chiarissima: nessun disprezzo per la vita attiva, nè tanto meno per la generosa ospitalità; ma un richiamo netto al fatto che l'unica cosa veramente necessaria è un'altra: ascoltare la Parola del Signore; e il Signore in quel momento è lì, presente nella Persona di Gesù. Tutto il resto passerà e ci sarà tolto, ma la Parola di Dio è eterna e dà senso al nostro agire quotidiano". Dunque, sottolinea il Pontefice, "senza amore, anche le attività più importanti perdono di valore, e non danno gioia. E chi - si chiede il Papa - ci dà l'Amore e la Verità, se non Gesù Cristo? Impariamo dunque - esorta - ad aiutarci gli uni gli altri, a collaborare, ma prima ancora a scegliere insieme la parte migliore, che è e sarà sempre il nostro bene più grande".
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    Coordin.
    00 13/09/2010 18:46
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    Credente
    00 18/11/2010 15:25
    Le tecniche relative alla "cosiddetta 'salute riproduttiva', con il ricorso a tecniche artificiali di procreazione comportanti distruzione di embrioni", o alla "eutanasia legalizzata", "feriscono" e sono contrarie alla "giustizia sanitaria". Lo ha affermato Benedetto XVI nel discorso di saluto ai partecipanti alla 25/a Conferenza internazionale per gli operatori sanitari, letto stamane nell'Aula nuova del Sinodo, in apertura dei lavori al cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone. "E' necessario operare con maggiore impegno a tutti i livelli affinché il diritto alla salute sia reso effettivo, favorendo l'accesso alle cure sanitarie primarie".
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    Coordin.
    00 12/12/2010 12:44

    DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
    ALLA FEDERAZIONE ITALIANA DEI SETTIMANALI CATTOLICI

    Sala Clementina
    Venerdì, 26 novembre 2010

    Cari fratelli e sorelle!

    Sono lieto di incontrarvi, in occasione dell’Assemblea della Federazione Italiana dei Settimanali Cattolici. Il mio cordiale saluto va a Mons. Mariano Crociata, Segretario della Conferenza Episcopale Italiana, ai Presuli e Sacerdoti presenti, e a don Giorgio Zucchelli, Presidente della Federazione, che ringrazio per le cortesi parole. Saluto tutti voi, Direttori e collaboratori delle 188 testate giornalistiche cattoliche rappresentate nella Federazione; in particolare il Direttore dell’agenzia Sir e il Direttore del quotidiano Avvenire. Sono grato per questo incontro, con il quale manifestate la vostra fedeltà alla Chiesa e al suo magistero; vi ringrazio anche per l’appoggio che continuate a dare alla colletta dell’Obolo di San Pietro e alle iniziative benefiche promosse e sostenute dalla Santa Sede.

    La Federazione Italiana Settimanali Cattolici riunisce i settimanali diocesani e i vari organi di stampa di ispirazione cattolica di tutta la penisola italiana. Essa sorse nel 1966 per rispondere all’esigenza di sviluppare sinergie e collaborazioni, volte a favorire il prezioso compito di far conoscere la vita, l’attività e l’insegnamento della Chiesa. Creando dei canali di comunicazione tra i diversi organi di stampa locali, sparsi in tutta Italia, si è voluto rispondere all’esigenza di promuovere la collaborazione e dare una certa organicità alle varie potenzialità intellettuali e creative, proprio per aumentare l’efficacia e l’incisività dell’annuncio del messaggio evangelico. Questa è la funzione peculiare dei giornali di ispirazione cattolica: annunciare la Buona Novella attraverso il racconto dei fatti concreti che vivono le comunità cristiane e delle situazioni reali in cui sono inserite. Come una piccola quantità di lievito, mescolato con la farina, fa fermentare tutto l’impasto, così la Chiesa, presente nella società, fa crescere e maturare ciò che vi è di vero, di buono e di bello; e voi avete il compito di dare conto di questa presenza, che promuove e fortifica ciò che è autenticamente umano e che porta all’uomo d’oggi il messaggio di verità e di speranza del Signore Gesù.

    Ben sapete come, nel contesto della post-modernità in cui viviamo, una delle sfide culturali più importanti coinvolga il modo di intendere la verità. La cultura dominante, quella più diffusa nell’areopago mediatico, si pone, nei confronti della verità, con un atteggiamento scettico e relativista, considerandola alla stregua delle semplici opinioni e ritenendo, di conseguenza, compossibili e legittime molte “verità”. Ma il desiderio che c’è nel cuore dell’uomo testimonia l’impossibilità di accontentarsi di verità parziali; per questo, la persona umana “tende verso una verità ulteriore che sia in grado di spiegare il senso della vita; è perciò una ricerca che non può trovare esito se non nell’assoluto” (Giovanni Paolo II, Enc. Fides et ratio, 33). La verità, di cui l’uomo è assetato, è una persona: il Signore Gesù. Nell’incontro con questa Verità, nel conoscerla ed amarla, noi troviamo la vera pace e la vera felicità. La missione della Chiesa consiste nel creare le condizioni perché si realizzi questo incontro dell’uomo con Cristo. Collaborando a questo compito, gli organi di informazione sono chiamati a servire con coraggio la verità, per aiutare l’opinione pubblica a guardare e a leggere la realtà da un punto di vista evangelico. Si tratta di presentare le ragioni della fede, che, in quanto tali, vanno al di là di qualsiasi visione ideologica e hanno pieno diritto di cittadinanza nel dibattito pubblico. Da questa esigenza nasce il vostro impegno costante a dare voce ad un punto di vista che rispecchi il pensiero cattolico in tutte le questioni etiche e sociali.

    Cari amici, l’importanza della vostra presenza è testimoniata dalla diffusione capillare delle testate giornalistiche che rappresentate. Questa diffusione passa attraverso il mezzo della carta stampata, che, proprio per la sua semplicità, continua ad essere efficace cassa di risonanza di quanto avviene all’interno delle diverse realtà diocesane. Vi esorto perciò a proseguire nel vostro servizio di informazione sulle vicende che segnano il cammino delle comunità, sul loro vissuto quotidiano, sulle tante iniziative caritative e benefiche che esse promuovono. Continuate ad essere giornali della gente, che cercano di favorire un dialogo autentico tra le varie componenti sociali, palestre di confronto e di dibattito leale fra opinioni diverse. Così facendo, i giornali cattolici, mentre adempiono l’importante compito di informare, svolgono, al tempo stesso, una insostituibile funzione formativa, promuovendo un’intelligenza evangelica della realtà complessa, come pure l’educazione di coscienze critiche e cristiane. Con ciò voi rispondete anche all’appello della Conferenza Episcopale Italiana, che ha posto al centro dell’impegno pastorale del prossimo decennio la sfida educativa, la necessità di dare al popolo cristiano una formazione solida e robusta.

    Cari fratelli e sorelle, ogni cristiano, attraverso il sacramento del Battesimo, diviene tempio dello Spirito Santo e, immerso nella morte e risurrezione del Signore, è consacrato a Lui e gli appartiene. Anche voi, per portare a compimento il vostro importante compito, dovete innanzitutto coltivare un legame costante e profondo con Cristo; solo la comunione profonda con Lui vi renderà capaci di portare all’uomo d’oggi l’annuncio della Salvezza! Nell’operosità e nella dedizione al vostro lavoro quotidiano sappiate testimoniare la vostra fede, il dono grande e gratuito della vocazione cristiana. Continuate a mantenervi nella comunione ecclesiale con i vostri Pastori, così da poter cooperare con essi, come direttori, redattori e amministratori di settimanali cattolici, alla missione evangelizzatrice della Chiesa.

    Nel congedarmi da voi, vorrei assicurarvi il mio ricordo in suffragio del compianto Mons. Franco Peradotto, recentemente scomparso, primo presidente della Federazione dei Settimanali Cattolici Italiani e a lungo direttore della “Voce del Popolo” di Torino. Affidando la Federazione e il vostro lavoro alla celeste intercessione della Vergine Maria e di san Francesco di Sales, di cuore imparto a voi e a tutti i vostri collaboratori la Benedizione Apostolica.

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    00 24/01/2011 22:33

    IL PENSIERO DEL PAPA SU FACEBOOK

    Nei social network e nella ricerca di un sempre maggior numero di "amici", bisogna sempre essere "fedeli a se stessi" e mai cedere a trucchi o "illusioni" come la
    creazione di una falsa identità attraverso il proprio "profilo". E' il primo monito dell'era Facebook mai lanciato da un Papa, quello lanciato da Benedetto XVI, in
    particolare ai giovani, nel suo messaggio per la 45esima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali.

    No a profili falsi
    "Nella ricerca di condivisione, di 'amicizie' - afferma il Papa - ci si trova di
    fronte alla sfida dell'essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere all'illusione di costruire artificialmente il proprio 'profilo' pubblico".

    L'era del web
    Ma Benedetto XVI non ha limitato la sua riflessione a Facebook allargando la riflessione a "un fenomeno caratteristico del nostro tempo: il diffondersi della comunicazione attraverso la rete internet". Il messaggio s'intitola infatti "Verita', annuncio e autenticità di vita nell'era digitale". "E' sempre più comune -
    aggiunge il Pontefice - la convinzione che, come la rivoluzione industriale produsse un profondo cambiamento nella società attraverso le novità introdotte nel ciclo produttivo e nella vita dei lavoratori, cosi' oggi la profonda trasformazione in atto nel campo delle comunicazioni guida il flusso di grandi mutamenti culturali e
    sociali".

    La comunicazione cambia la nostra vita
    "Le nuove tecnologie - rileva ancora il Papa - non stanno cambiando solo il modo di comunicare, ma la comunicazione in se stessa, per cui si puo' affermare che si è di fronte ad una vasta trasformazione culturale. Con tale modo di diffondere informazioni e conoscenze, sta nascendo un nuovo modo di apprendere e di pensare, con inedite opportunità di stabilire relazioni e di costruire comunione".

    Chi siamo in Rete
    "Il coinvolgimento sempre maggiore nella pubblica arena digitale, quella creata dai cosiddetti social network - scrive Benedetto XVI - conduce a stabilire nuove forme di relazione interpersonale, influisce sulla percezione di sé e pone quindi, inevitabilmente, la questione non solo della correttezza del proprio agire, ma anche
    dell'autenticità del proprio essere. La presenza in questi spazi virtuali può essere il segno di una ricerca autentica di incontro personale con l'altro se si fa attenzione ad evitarne i pericoli, quali il rifugiarsi in una sorta di mondo parallelo, o l'eccessiva esposizione al mondo virtuale. Nella ricerca di condivisione, di 'amicizie', ci si trova di fronte alla sfida dell'essere autentici, fedeli a se stessi, senza cedere
    all'illusione di costruire artificialmente il proprio "profilo" pubblico".

    La risposta a Facebook
    "Cristo è la risposta piena e autentica a quel desiderio umano di relazione, di comunione e di senso che emerge anche nella partecipazione massiccia ai
    vari social network", scrive il Papa. E i credenti devono contribuire "affinche' il web non diventi uno strumento che riduce le persone a categorie, che cerca di manipolarle emotivamente o che permette a chi è potente di monopolizzare
    le opinioni altrui". Benedetto XVI non si esime da qualche consiglio pratico per "uno stile cristiano di presenza" nella Rete, a partire da "una forma di comunicazione onesta ed aperta, responsabile e rispettosa dell'altro".

    Non annacquare il Vangelo
    Il Papa chiede anche sul web di "testimoniare con coerenza, nel proprio profilo digitale e nel modo di comunicare, scelte, preferenze, giudizi che siano profondamente coerenti con il Vangelo". Esso "non è qualcosa che possa essere oggetto di consumo, o di fruizione superficiale" e "non trae il suo valore dalla sua 'popolarita" o dalla quantita' di attenzione che riceve".

    Questa verità va fatta "conoscere nella sua integrita' piuttosto che cercare di renderla accettabile magari 'annacquandola'".

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    Coordin.
    00 20/04/2011 10:04
    Il Papa nel suo ultimo libro ci offre un capitolo in tema con i giorni che stiamo vivendo:

    E Giuda entrò nella notte

    Dal secondo tomo di "Gesù di Nazaret". Dal quarto punto del terzo capitolo intitolato "La lavanda dei piedi"

    di Joseph Ratzinger - Benedetto XVI




    La pericope della lavanda dei piedi ci mette di fronte a due differenti forme di reazione dell’uomo a questo dono: Giuda e Pietro. Subito dopo aver accennato all’esempio, Gesù comincia a parlare del caso di Giuda. Giovanni ci riferisce, al riguardo, che Gesù fu profondamente turbato e dichiarò: «In verità, in verità io vi dico: uno di voi mi tradirà» (13, 21).

    Tre volte Giovanni parla del «turbamento» ovvero della «commozione» di Gesù: presso il sepolcro di Lazzaro (cfr. 11, 33. 38); la «Domenica delle Palme» dopo la parola sul chicco di grano morto, in una scena che richiama da vicino l’ora del Monte degli ulivi (cfr. 12, 24-27); e infine qui. Sono momenti in cui Gesù incontra la maestà della morte ed è toccato dal potere delle tenebre — un potere che è suo compito combattere e vincere.

    Ritorneremo a questa «commozione» dell’anima di Gesù, quando rifletteremo sulla notte del Monte degli ulivi.

    Torniamo al nostro testo. L’annuncio del tradimento suscita comprensibilmente agitazione e, al contempo, curiosità tra i discepoli. «Uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: “Signore, chi è?’’. Rispose Gesù: “È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò’’» (13, 23 ss). Per la comprensione di questo testo bisogna anzitutto tener conto del fatto che per la cena pasquale era prescritto lo stare adagiati a tavola.

    Charles K. Barrett spiega il versetto appena citato così: «I partecipanti ad una cena stavano sdraiati sulla loro sinistra; il braccio sinistro serviva a sostenere il corpo; quello destro era libero per essere usato. Il discepolo alla destra di Gesù aveva quindi il suo capo immediatamente davanti a Gesù, e si poteva conseguentemente dire che era adagiato presso il suo petto. Ovviamente era in grado di parlare in confidenza con Gesù, ma il suo non era il posto d’onore più alto; questo era situato a sinistra dell’ospitante. Il posto occupato dal discepolo amato era nondimeno il posto di un intimo amico»; Barrett fa notare in questo contesto che esiste una descrizione parallela in Plinio (p. 437).

    Così come è qui riportata, la risposta di Gesù è totalmente chiara. Ma l’evangelista ci fa sapere che, tuttavia, i discepoli non capirono a chi si riferiva.

    Possiamo quindi supporre che Giovanni, ripensando all’evento, abbia dato alla risposta una evidenza che essa per i presenti, sul momento, non aveva. Il versetto 18 ci mette sulla giusta traccia. Qui Gesù dice: «Deve compiersi la Scrittura: Colui che mangia il mio pane, ha alzato contro di me il suo calcagno» (cfr. Salmi, 41, 10; 55, 14).

    È questo lo stile caratteristico del parlare di Gesù: con parole della Scrittura Egli allude al suo destino, inserendolo allo stesso tempo nella logica di Dio, nella logica della storia della salvezza.

    Successivamente tali parole diventano totalmente trasparenti; si rende chiaro che la Scrittura descrive veramente il suo cammino - ma sul momento rimane l’enigma. Inizialmente se ne arguisce soltanto che colui che tradirà Gesù è uno dei commensali; diventa evidente che il Signore deve subire sino alla fine e fin nei particolari il destino di sofferenza del giusto, un destino che appare in molteplici modi soprattutto nei Salmi. Gesù deve sperimentare l’incomprensione, l’infedeltà fino all’interno del cerchio più intimo degli amici e così «compiere la Scrittura». Egli si rivela come il vero soggetto dei Salmi, come il «Davide», dal quale essi provengono e mediante il quale acquistano senso.

    Giovanni, scegliendo al posto dell’espressione usata nella Bibbia greca per «mangiare» la parola tro-gein con cui Gesù nel suo grande discorso sul pane indica il «mangiare» il suo corpo e sangue, cioè il ricevere il Sacramento eucaristico (cfr. Giovanni, 6, 54-58), ha aggiunto una nuova dimensione alla parola del Salmo ripresa da Gesù come profezia sul proprio cammino.

    Così la parola del Salmo getta anticipatamente la sua ombra sulla Chiesa che celebra l’Eucaristia, nel tempo dell’evangelista come in tutti i tempi: con il tradimento di Giuda la sofferenza per la slealtà non è finita. «Anche l’amico in cui confidavo, che con me divideva il pane, contro di me alza il suo piede» (Salmi, 41, 10).

    La rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono «il suo pane» e lo tradiscono. La sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del mondo, ha scritto Pascal in base a tali considerazioni (cfr. Pensées, VII, 553). Possiamo esprimerlo anche dal punto di vista opposto: Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie della storia.

    Giovanni non ci dà alcuna interpretazione psicologica dell’agire di Giuda; l’unico punto di riferimento che ci offre è l’accenno al fatto che Giuda, come tesoriere del gruppo dei discepoli, avrebbe sottratto il loro denaro (cfr. 12, 6).

    Quanto al contesto che ci interessa, l’evangelista dice soltanto laconicamente: «Allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui» (13, 27). Ciò che a Giuda è accaduto per Giovanni non è più psicologicamente spiegabile. È finito sotto il dominio di qualcun altro: chi rompe l’amicizia con Gesù, chi si scrolla di dosso il suo «dolce giogo», non giunge alla libertà, non diventa libero, ma diventa invece schiavo di altre potenze – o piuttosto: il fatto che egli tradisce questa amicizia deriva ormai dall’intervento di un altro potere, al quale si è aperto.

    Tuttavia, la luce che, provenendo da Gesù, era caduta nell’anima di Giuda, non si era spenta del tutto. C’è un primo passo verso la conversione: «Ho peccato», dice ai suoi committenti. Cerca di salvare Gesù e ridà il denaro (cfr. Matteo, 27, 3 ss). Tutto ciò che di puro e di grande aveva ricevuto da Gesù, rimaneva iscritto nella sua anima — non poteva dimenticarlo.

    La seconda sua tragedia – dopo il tradimento — è che non riesce più a credere a un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione. Egli vede ormai solo se stesso e le sue tenebre, non vede più la luce di Gesù – quella luce che può illuminare e superare anche le tenebre. Ci fa così vedere il modo errato del pentimento: un pentimento che non riesce più a sperare, ma vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento.

    Fa parte del giusto pentimento la certezza della speranza – una certezza che nasce dalla fede nella potenza maggiore della Luce fattasi carne in Gesù. Giovanni conclude il brano su Giuda in modo drammatico con le parole: «Egli, preso il boccone, subito uscì. Ed era notte» (13, 30).

    Giuda esce fuori – in un senso più profondo. Entra nella notte, va via dalla luce verso il buio; il «potere delle tenebre» lo ha afferrato (cfr. Giovanni, 3, 19; Luca, 22, 53).

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    00 15/05/2011 23:31

    La Messa in latino è approvata definitivamente: ecco tutte le novità e le istruzioni

    pubblicata da Papa Benedetto XVI il giorno sabato 14 maggio 2011 alle ore 15.02

     

    S’intitola Univesae Ecclesiae  l’istruzione applicativa del motu proprio con il quale Benedetto XVI nel 2007 ha liberalizzato la messa antica, ma il documento viene pubblicato solo ora. Nell’istruzione si cita la lettera di Papa Ratzinger ai vescovi, che accompagnava il motu proprio Summorum Pontificum, là dove dice:

    «Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale Romano. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso»

    L’istruzione conferisce alla Pontificia commissione Ecclesia Dei la “potestà ordinaria vicaria per la materia di sua competenza”, vale a dire il potere di agire a nome del Papa per vigilare «sull’osservanza e sull’applicazione delle disposizioni del Motu Proprio Summorum Pontificum». La commissione potrà dunque anche «decidere dei ricorsi ad essa legittimamente inoltrati, quale Superiore gerarchico, avverso un eventuale provvedimento amministrativo singolare dell’Ordinario che sembri contrario al Motu Proprio».

    Per quanto riguarda l’uso della lingua latina, “è necessaria una sua conoscenza basilare, che permetta di pronunciare le parole in modo corretto e di capirne il significato”. Il rito però va conosciuto, visto che l’ultima versione del messale romano è del 1962, e su questo punto la Chiesa spiega: “Si presumono idonei i sacerdoti che si presentano spontaneamente a celebrare nella forma extraordinaria, e l’hanno usato precedentemente”.

    Tra le indicazioni c’è quella che ha suscitato molta curiosità anche ai non addetti ai lavori, ovvero la richiesta di studiare di più il latino, visto che è la quarta lingua ufficiale della Chiesa e non proprio tutte le nuove leve e anche quelle più vecchie sono preparate quanto dovrebbero. Si chiede, infatti, agli Ordinari di offrire al clero “la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito”.

    La Pontificia Commissione 'Ecclesia Dei' e' competente per i ricorsi contro i vescovi da parte di quei fedeli che vogliono poter celebrare la messa in latino.

     

    Un piccolo aneddoto:

     

    Già da diversi anni Ratzinger covava tempesta. Quella volta che Giovanni Paolo II, in viaggio in Nicaragua, ebbe la messa sconvolta dai cori rivoluzionari dei sandinisti, balli e sfilate concluse che s'era passato il segno. Sbottò: «La "missa nicaraguensis" non ha più nulla del mistero di fede. È milizia terrena, arbitrio, artificio, falsità». No, il tirbalismo applicato alla messa  era inammissibile. 

     

    La furia iconoclasta della nuova liturgia, scrive Ratzinger, «ha sì spazzato via dalle chiese tanto Kitsch e molte opere indegne, ma si è anche lasciata dietro un vuoto di cui ormai si percepisce la miseria». Per la musica sacra idem: il Gregoriano, Palestrina e Bach sono finiti in un ghetto. Mentre dilagano anche nelle chiese gli stili pop e rock, «eco di un controculto che si oppone al culto cristiano».

     

    Anche l'architettura delle chiese, che in antico fu sapientemente modellata sulle radici del Vecchio e Nuovo Testamento, è stata stravolta. Un risultato di questo sconvolgimento, sostiene Ratzinger, è tutto l'opposto della tanto decantata partecipazione collettiva al rito. «È una clericalizzazione della Chiesa quale non si era mai data in precedenza». Col sacerdote a far da perno di questa frenesia attivistica, tutto ruota intorno a lui. E tutti che dimenticano il vero «attore» centrale della liturgia cristiana: Dio.

     

    Quando poi durante la messa si danza e si applaude, Ratzinger taglia corto: «Questa non è più liturgia. È intrattenimento».

     

     

    Considerazioni 

     

    Apertura al nuovo o ritorno al passato?

     

    -"Né segno di apertura al nuovo, che non è nuovo, né ritorno al passato, ma semplice recupero di una ricchezza, innanzitutto linguistica, e poi anche liturgica, estetica, musicale e capace di attirare sia i semplici che i colti. 

     

    Cosa cambia dopo questa Istruzione della Santa Sede?

     

    -"Il documento non cancella nulla, del Concilio e della sua benedetta riforma liturgica, e la lingua del popolo resta quella della celebrazione ordinaria, con la possibilità a chi lo desidera del modo "straordinario". Nessun problema! Se poi qualcuno pensa o dice che solo questo, e proprio perché in latino, è buono, e l'altro è "bastardo", come dicevano e dicono gli incorreggibili discepoli, noti o nascosti, di Lefebvre, che restano scismatici, nonostante ogni sforzo della pazienza di Benedetto XVI, allora è lui che è del tutto fuori strada. Lo è anche chi pensa, e magari oggi dice, che basta questa istruzione per cancellare addirittura il Concilio e negare l'eredità di Giovanni XXIII - tra l'altro la Messa autorizzata è quella riformata da Lui - e di Paolo VI a me pare fuori strada: gli estremi si toccano. Come sempre".

    Dopo tre anni di "prova" e alle luce delle osservazioni fatte pervenire dai vescovi di tutto il mondo, la Pontifica Commissione Ecclesia Dei ha quindi deciso di pubblicare il documento odierno.

     

    Il latino avvicina o allontana i fedeli?

     

    -"Il latino allontana chi non conosce il latino, e avvicina chi lo conosce. Può succedere che qualcuno, non conoscendolo, si senta per ragioni sue - tutte emotive e irrazionali - più contento se lo sente pronunciare, pur non comprendendolo, e allora "de gustibus..." Se poi uno, conoscendolo, e perché sa di conoscerlo, pensa che solo così si onora la liturgia cattolica, è malato in testa, e la cura è quella proposta da Gesù per i farisei con cui dialogava duramente. Qualcuno potrà ricordare loro quelle parole...". Il latino rimane la lingua ufficiale della Chiesa, è un diritto dei fedeli e non si può buttarla nel dimenticatoio. Mantenerla in vita contribuisce a rafforzare quel senso di universalità che spetta ad un'Istituzione millenaria e senza tempo come la Chiesa Cattolica. 

     

    Ecco alcuni punti importanti del testo Univesae Ecclesiae  :

     

    13. I Vescovi diocesani, secondo il Codice di Diritto Canonico, devono vigilare in materia liturgica per garantire il bene comune e perché tutto si svolga degnamente, in pace e serenità nella loro Diocesi, sempre in accordo con la mens del Romano Pontefice chiaramente espressa dal Motu Proprio Summorum Pontificum. In caso di controversia o di dubbio fondato circa la celebrazione nella forma extraordinaria, giudicherà la Pontificia Commissione Ecclesia Dei.

     

    15. Un coetus fidelium potrà essere anche costituito da persone che provengano da diverse parrocchie o Diocesi in ragione della loro venerazione per la Liturgia nell’Usus Antiquior, le quali chiedono che questa sia celebrata nella chiesa parrocchiale o in un oratorio o cappella

     

    19. I fedeli che chiedono la celebrazione della forma extraordinaria non devono in alcun modo sostenere o appartenere a gruppi che si manifestano contrari alla validità o legittimità della Santa Messa o dei Sacramenti celebrati nella forma ordinaria e/o al Romano Pontefice come Pastore Supremo della Chiesa universale.

     

    21. Si chiede agli Ordinari di offrire al clero la possibilità di acquisire una preparazione adeguata alle celebrazioni nella forma extraordinaria. Ciò vale anche per i Seminari, dove si dovrà provvedere alla formazione conveniente dei futuri sacerdoti con lo studio del latino e, se le esigenze pastorali lo suggeriscono, offrire la possibilità di apprendere la forma extraordinaria del Rito.

     

     

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    00 14/06/2011 13:41
    Il linguaggio della natura è la matematica, quindi essa è un linguaggio di Dio, del Creatore. Riflettiamo ora su cos'è la matematica. Di per sé è un sistema astratto, un'invenzione dello spirito umano, che come tale nella sua purezza non esiste. È sempre ...realizzato approssimativamente, ma – come tale – è un sistema intellettuale, è una grande, geniale invenzione dello spirito umano. La cosa sorprendente è che questa invenzione della nostra mente umana è veramente la chiave per comprendere la natura, che la natura è realmente strutturata in modo matematico e che la nostra matematica, inventata dal nostro spirito, è realmente lo strumento per poter lavorare con la natura, per metterla al nostro servizio attraverso la tecnica. Soltanto il tipo di certezza derivante dalla sinergia di matematica ed empiria ci permette di parlare di scientificità. Ciò che pretende di essere scienza deve confrontarsi con questo criterio. E così anche le scienze che riguardano le cose umane, come la storia, la psicologia, la sociologia e la filosofia, cercavano di avvicinarsi a questo canone della scientificità. Importante per le nostre riflessioni, comunque, è ancora il fatto che il metodo come tale esclude il problema Dio, facendolo apparire come problema ascientifico o pre-scientifico. Con questo, però, ci troviamo davanti ad una riduzione del raggio di scienza e ragione che è doveroso mettere in questione. Il soggetto decide, in base alle sue esperienze, che cosa gli appare religiosamente sostenibile, e la "coscienza" soggettiva diventa in definitiva l'unica istanza etica. In questo modo, però, l'ethos e la religione perdono la loro forza di creare una comunità e scadono nell'ambito della discrezionalità personale. È questa una condizione pericolosa per l'umanità: lo costatiamo nelle patologie minacciose della religione e della ragione – patologie che necessariamente devono scoppiare, quando la ragione viene ridotta a tal punto che le questioni della religione e dell'ethos non la riguardano più. Ciò che rimane dei tentativi di costruire un'etica partendo dalle regole dell'evoluzione o dalla psicologia e dalla sociologia, è semplicemente insufficiente".   Papa Benedetto XVI   Mostra altro

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    Coordin.
    00 30/06/2011 10:06
    29/06/2011 

    Il Papa "multimediale", in rete il superportale vaticano


    Il nuovo portale vaticano

    Il Papa clicca sul tablet e parte www.news.va

    Il nuovo strumento di informazione è conforme alla logica Web 2.0 e sarà plurilingue. Un deciso passo in avanti rispetto al più statico e monumentale Vatican.va

    Luca Rolandi
    Roma

     

     

     

    Il primo a "navigarlo" è stato Benedetto XVI, dopo aver recitato i vespri per la festa dei santi Pietro e Paolo, il pontefice ha preso in mano un tablet pc ed ha iniziato ad esplorare il nuovo portale multimediale di informazione del Vaticano, www.news.va

     

    Il nuovo sito aggregherà i contenuti testuali, audio e video di tutti i media della Santa Sede: dal quotidiano l’Osservatore Romano alla Radio Vaticana, dal Centro Televisivo Vaticano alle due agenzie, il Vatican Information Service e Fides, legata alla Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli, fino ai comunicati della Sala Stampa Vaticana.

     

     

    «Il portale, almeno per i primi mesi» – ha detto l’Arcivescovo Celli Presidente del Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali; – « sarà solo in due lingue: italiano e inglese. Dopo l’estate avremo un primo restyling del sito e l’apertura del sito in almeno un’altra lingua, forse in spagnolo. Si vedrà, perché è nostro desiderio che sia online anche in francese e portoghese».

     

    «Quale il rapporto con gli altri media vaticani? (...) Il portale non ha una sua specifica linea editoriale: si rifà semplicemente a quanto già scrive o comunica il quotidiano L’Osservatore Romano e la Radio Vaticana o le altre fonti vaticane di informazione. Tutti i media conserveranno la loro autonomia ed identità che risulteranno evidenti dalla presentazione delle principali notizie da loro fornite sul portale».

     


    «Il sito vatican.va»– ha aggiunto  l’Arcivescovo Celli – «non scomparirà, ma conserverà intatta, anzi potenziata, la missione affidatagli di porre online il Magistero – nelle sue varie forme – del Santo Padre. Sin dall’inizio è stato un sito documentale e tale resterà ed opererà in piena sintonia con il nuovo portale».

     

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