Scrisse Thomas Jefferson, uno dei fondatori degli Stati Uniti d’America:
«il sistema morale del cristianesimoè il più perfetto e sublime che sia mai stato insegnato dall’uomo ed è una religione fra tutte le altre più amica della libertà, della scienza e della più libera espansione della mente umana» (Jefferson, “Writings”, The Libray of America 1984, p. 1125).
Hegel era dello stesso parere:
«sono già millecinquecento anni che, mediante il cristianesimo, la libertà della persona ha iniziato a fiorire ed è divenuta, in una parte peraltro piccola del genere umano, principio universale» (citato in M. Caleo, “Hegel filosofo di babilonia”, Guida 2001, p. 145).
Più recentemente il celebre filosofo laico Jürgen Habermas:
«l’universalismo egualitario –da cui sono derivate le idee di libertà e convivenza sociale, autonoma condotta di vita ed emancipazione, coscienza morale individuale, diritti dell’uomo e della democrazia- è una diretta eredità ebraica della giustizia e dell’etica cristiana dell’amore. Questa eredità è stata continuamente riassimilata, criticata e reinterpretata senza sostanziali trasformazioni. A tutt’oggi non disponiamo di alternative. Anche di fronte alle sfide attuale della costellazione postnazionale continuiamo ad alimentarci a questa sorgente. Tutto il resto sono chiacchiere postmoderne» (J. Habermas, “Tra scienza e fede”, Laterza 2006, p. 34).