Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!

CREDENTI

PAPA FRANCESCO

  • Messaggi
  • OFFLINE
    Credente
    00 21/10/2013 13:08
    Pregare sempre, ma non per convincere il Signore a forza di parole! Lui sa meglio di noi di che cosa abbiamo bisogno!
    Piuttosto la preghiera perseverante è espressione della fede in un Dio che ci chiama a combattere con Lui, ogni giorno, ogni momento, per vincere il male con il bene.

    Angelus 20.10.13
  • OFFLINE
    Credente
    00 22/10/2013 15:08

    PER ORIENTARSI DA BUONI CATTOLICI SU CIO’ CHE I GIORNALI SCRIVONO SUL PAPA
    Posted: 20 Oct 2013 01:28 AM PDT
    Giù le mani dal papa. Bisogna ripeterlo oggi che Francesco si trova strattonato a destra e a sinistra.

    Bersagliato da contestatori cattolici superficiali e imprudenti che lo rappresentano come modernista eterodosso e stravolto da sostenitori laicisti che lo applaudono attribuendogli idee egualmente eterodosse e quasi atee.

    Un circo mediatico assurdo.

    Come se non bastasse a questi due schieramenti se ne aggiunge un terzo, quelli dei neobergogliani fondamentalisti, che si sentono “superapostoli” di questo papa e “giudicano” chi, fra i credenti, ha la fede e la grazia, e chi no.

    Ma di questi dirò in conclusione.



    SENZA DIO?



    Comincio dal caso più eclatante: quello di “Repubblica”. Martedì scorso, un editoriale di prima pagina di Ian Buruma, che sembra ignaro di secoli di dottrina cattolica relativa alla “retta coscienza”, attribuiva al papa l’idea che “non è poi necessario che Dio o la Chiesa ci dicano come dobbiamo comportarci. Basta la nostra coscienza”.

    L’editorialista traeva la conclusione che papa Francesco starebbe così abbattendo il credo cattolico: “nemmeno i protestanti più devoti si spingerebbero tanto lontano. I protestanti si sono limitati ad eliminare i preti in quanto tramite tra l’individuo e il suo creatore. Le parole di papa Francesco lasciano pensare invece che quella di eliminare lo stesso Dio potrebbe rappresentare un’opzione legittima”.

    Abbiamo letto bene? Dunque, secondo quanto sta scritto sulla prima pagina di “Repubblica”, papa Francesco vorrebbe insegnare a “eliminare Dio”?

    In realtà lo stesso Buruma poi giudica “un po’ sconcertante” tale idea. Per la precisione è una colossale sciocchezza. Che neanche meriterebbe una confutazione.

    Siccome però qualche lettore laico di “Repubblica” o qualche cattolico intransigente potrebbe crederci (e magari partire all’attacco del Papa), faccio sommessamente notare che il vero magistero di Francesco insegna esattamente il contrario di quella nozione di coscienza che il giornale scalfariano gli attribuisce.



    FRANCESCO CONTRO IL RELATIVISMO



    Proprio l’11 ottobre, quattro giorni prima dell’editoriale di Buruma, ricevendo una delegazione della comunità ebraica di Roma, Francesco ha fatto un discorso importante e solenne in cui ha insistito a chiedere una collaborazione col mondo ebraico sui principi morali, indicandone la base nella “testimonianza alla verità delle dieci parole, il Decalogo”.

    I Dieci Comandamenti, ha detto il Papa, sono “solido fondamento e sorgente di vita anche per la nostra società”, indicandone dunque la validità anche per la vita sociale e politica.

    Poi ha sottolineato che del Decalogo, legge consegnata da Dio a Mosè sul Sinai, c’è estremo bisogno perché la società del nostro tempo è “così disorientata da un pluralismo estremo delle scelte e degli orientamenti, e segnata da un relativismo che porta a non avere più punti di riferimento solidi e sicuri”.

    Francesco ha dunque richiamato il magistero di Benedetto XVI per affermare che nel Decalogo la coscienza trova il suo ancoraggio sicuro, contro il dilagante relativismo.

    Con tanti saluti a “Repubblica”, a Scalfari e a Buruma. Questo è il magistero di papa Francesco. Ed è stato questo fin dall’inizio. Identico peraltro a ciò che insegnava come cardinale arcivescovo di Buenos Aires: un recente articolo di Alessandro Martinetti lo ha dimostrato mettendo a confronto, su alcuni temi scottanti, i suoi testi (del tutto in linea con Ratzinger) con quelli, molto diversi, del cardinal Martini.



    IL POTERE DEL PAPA



    Del resto Papa Francesco si è proclamato ripetutamente “figlio della Chiesa” e la Chiesa sempre e dovunque ha insegnato la stessa dottrina, fino a Benedetto XVI, passando per il Concilio Vaticano II che nella “Gaudium et spes” afferma: “Nell’intimo della coscienza l’uomo scopre una legge che non è lui a darsi, ma alla quale invece deve obbedire”.

    Se così non fosse, se non esistesse la Verità oggettiva e se l’uomo potesse decidere soggettivamente cosa è Bene e cosa è Male, tutto diventerebbe arbitrariamente autogiustificabile (anche per soggetti come Priebke, Stalin e Hitler).

    S’illude chi spera che papa Francesco possa ribaltare ciò che la Chiesa ha sempre insegnato e professato. Non ha neanche il potere di farlo.

    Molti, a “Repubblica”, ma anche fra i cattolici, ignorano perfino qual è lo “statuto” del papato: al papa è consegnato il “depositum fidei”, la verità rivelata e sempre professata, affinché la custodisca e la difenda. Ma non può assolutamente sovvertirla. Nessun papa ha tale potere perché nel momento stesso in cui insegnasse una verità diversa decadrebbe e non sarebbe più papa.

    Ha scritto Joseph Ratzinger: “Il Papa non è un monarca assoluto la cui volontà abbia valore di legge. Egli è la voce della tradizione e solo a partire da essa si fonda la sua autorità”.

    Quindi sono totalmente fuori strada sia certi fans laicisti, sia i cattolici intransigenti che lo contestano per lo stesso (assurdo) motivo.

    I laicisti con Francesco faranno la fine di quei loro predecessori che acclamavano Pio IX per usarlo politicamente contro l’Austria e indurlo a fare la guerra: appena si accorsero che il Papa non si faceva “usare”, lo trasformarono nel loro peggior nemico.

    Per questo il grande e saggio don Bosco insegnava ai suoi ragazzi a gridare non “Viva Pio IX”, come facevano certi laici, ma “Viva il papa”.

    E ancora meglio Francesco, in più di una occasione, a chi acclamava il suo nome (“Francesco, Francesco”), ha chiesto piuttosto di acclamare “Gesù! Gesù!”. Perché il Salvatore è Lui, non il papa.

    Proprio considerando questo desiderio di papa Francesco di mettere al centro Cristo e non se stesso (come ha fatto con grande umiltà Ratzinger), bisogna segnalare che c’è una terza categoria di persone che fraintendono.



    I TROPPO ZELANTI



    Penso, tanto per fare un nome, alla neoeditorialista di Avvenire Stefania Falasca. Conosco Stefania da più di 20 anni, perché era redattrice di “30 Giorni” mentre io ne ero direttore.

    Quando ho letto il suo editoriale sull’“Avvenire” di giovedì ho pensato: sia pure involontariamente queste invettive rischiano di danneggiare il papa più dei suoi critici.

    Anzitutto perché – su questo ha ragione Giuliano Ferrara – sotto la “scomunica” falaschiana contro i “rigidi eticisti” cade tutta la linea ruiniana-wojtyliana-ratzingeriana dello stesso “Avvenire” fino ad oggi (e magari, se la si capovolge, si dovrebbe dare qualche spiegazione).

    Ma soprattutto quei fulmini – contro gli “specialisti del Logos” – rischiano di finire in pieno su pontefici del rango di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI e sul loro magistero.

    Un “lusso” che nessuno può permettersi. Specialmente se non si ha nemmeno l’attrezzatura culturale per discutere. Non si fa un favore a papa Francesco a lanciare questi anatemi sotto la sua insegna.

    Del resto è alquanto paradossale che in nome del cristianesimo della “tenerezza” si scaglino fulmini su dei credenti, pretendendo di giudicare loro, la loro coscienza e la loro fede.

    Non che nella Chiesa non esistano effettivamente dei “rigidi eticisti”. Ce ne sono, ha ragione su questo la Falasca: hanno pure contestato il cardinal Ruini, la Cei e implicitamente Ratzinger e Wojtyla perché non hanno “scomunicato” la legge 40 sulla procreazione assistita.

    Ma sono pochissimi e non mettono certo a rischio la Chiesa come i tanti (anche teologi) che vengono a patti con le ideologie del mondo (e contro cui nulla si dice).

    Inoltre anche i cosiddetti “rigidi eticisti” (che di solito sono bravi cattolici, persone di grande fede e in certi casi eroici nelle prove della vita) meritano di essere trattati con la “tenerezza di Cristo” e con la paternità che il papa riserva a tutti.

    Francesco è proteso a raggiungere tutti, a riportare tutti a Cristo. E non vuole perdere nessuno. Sarebbe incredibile una Chiesa dove ci fosse posto per tutti fuorché per i cattolici e per chi ama la Chiesa stessa.

    Di sicuro non è questo che il Papa vuole. E non è di questo che la Chiesa ha bisogno.



    Antonio Socci

  • OFFLINE
    Credente
    00 31/10/2013 12:11

    Il sociologo Bauman:
    «Francesco è una chance per l’umanità»

    Come tutte le spiegazioni che resistono per più generazioni, anche questa contiene una parte di verità: le religioni sono effettivamente un tentativo umano di approdare al quel mistero a quella “X” che chiunque percepisce come completamento di sé. L’uomo che riflette seriamente e onestamente su se stesso riconosce di essere teso continuamente verso un qualcosa, in ricerca verso una soddisfazione che non riesce mai a raggiungere. “Attesa” è la parola che più di tutte definisce l’uomo, in qualunque epoca storica e in qualunque area del mondo. «Qualcuno ci ha mai promesso qualcosa? E allora perché attendiamo?» si domanda ad esempio Cesare Pavese (Il mestiere di vivere, Einaudi 1973, p. 276). Certamente le condizioni di miseria sociale portano l’uomo a riflettere maggiormente sul senso della sua vita, dunque non sarebbe affatto strano se -ammesso sia vero- gli abitanti dei Paesi con maggior benessere riuscissero adistrarsi maggiormente dal loro “vero” bisogno, ripiegando sul consumismo sfrenato (questo sì, un rifugio!).

    L’uomo fin dalla preistoria ha imparato a chiamare ”Dio” l’oggetto di questa attesa. «Chiuso fra cose mortali / (Anche il cielo stellato finirà) / Perché bramo Dio?», si domanda Ungaretti. Il cristianesimo, tuttavia, si colloca ben oltre alle altre religioni e testimonia una rivelazione di questo “Dio” alla ragione umana, attraverso Gesù Cristo. Questo oggetto di attesa è divenuto incontrabile nella storia, ha deciso di mostrarsi e lo ha fatto in modo credibile (tanto che ancora oggi la storia è divisa in prima e dopo Cristo). La sete di infinito ha trovato una fonte a cui abbeverarsi, senza comunque mai saziarsi (almeno in questa vita).

    Dunque le religioni contengono tutte qualcosa di vero (cioè la tensione verso Dio), ma solo il cristianesimo nasce al di fuori dell’uomo: è Dio stesso che si fa incontro, che prende l’iniziativa. Affidarsi al cristianesimo non è però uno scappare dal mondo e dalle fatiche umane, ma è affrontare seriamente la verità più profonda di noi stessi: è proprio il vivere intensamente le “cose mortali”, come dice Ungaretti, che porta alla consapevolezza che ogni risultato raggiunto non basta mai, l’uomo attende perché è fatto per Altro, per l’Infinito.

    Da questo punto di vista è molto interessante la recente intervista al celebre sociologoZygmunt Bauman, uno dei più autorevoli interpreti della condizione umana e padre della fortunata immagine della “modernità liquida” per indicare una situazione di diffusa incertezza, in cui sembra venir meno qualsiasi punto stabile di riferimento. Ha osservato che proprio grazie all’avanzare della secolarizzazione è contemporaneamente aumentato il bisogno di spiritualità«concepita come qualcosa che potrebbe conferire un senso compiuto alle nostre vite, riempiendole. Evidentemente, si constata che i piaceri materiali (“della carne”, si sarebbe detto un tempo) non bastano: occorre un contatto con qualcosa che trascenda le nostre occupazioni e preoccupazioni quotidiane».

    Tuttavia non c’è un ritorno generale al cristianesimo, spiega Bauman, ma una forma di “Dio personale”. Le pretese illuministe e razionalista dell’uomo misura di tutto hanno fallito, si è tornati dunque al riconoscere e prendere sul serio la tensione interna all’uomo verso quella “X”,«l’umanità è intenta a ricercare disperatamente dentro o fuori di se dei punti d’appoggio a cui reggersi»Papa Bergoglio, spiega il sociologo laico, «sa parlare alla spiritualità tipica del nostro tempo: i seguaci del “Dio personale”, in effetti, non sono molto interessati alle prescrizioni morali impartite dai rappresentanti delle istituzioni religiose, ma desideranorintracciare un senso nella frammentarietà delle loro esistenze individuali. Sono ancora in attesa di un “evangelo”, nell’accezione originaria del termine — di una buona notizia».

    Concludendo ha replicato a coloro che spiegano il fenomeno religioso come alternativa di rifugio al malessere sociale: «La seconda parte del secolo scorso, in campo economico, è stato dominata da presupposti apparentemente indiscutibili, che hanno influenzato profondamente i comportamenti individuali e collettivi degli esseri umani. Che la ricerca della felicità andasse di pari passo con un aumento dei consumi: i luoghi naturali dell’appagamento personale sarebbero stati i negozi, piuttosto che le relazioni sociali, o le attività con cui ognuno potrebbe rendersi utile ai suoi simili, cooperando con loro. Queste convinzioni hanno prodotto, di fatto,una gran quantità di miseria materiale e spirituale, oltre a intaccare gravemente le risorse naturali dell’intero pianeta: da un lato, abbiamo vissuto al di sopra dei nostri mezzi; dall’altro, abbiamo scoperto dolorosamente che la felicità non si può acquistare. Dunque, a tutti noi oggi è richiesto di cambiare radicalmente l’assetto delle nostre vite. Per esprimere questa stessa idea, Papa Bergoglio userebbe probabilmente un antico termine della tradizione cristiana: conversione». Per questo Bauman crede «che il pontificato di Bergoglio costituisca una chance, non solo per la Chiesa cattolica, ma per l’umanità intera».

    Ovviamente il celebre sociologo parla da un punto di vista laico, ma è vero che il Pontefice indica insistentemente una proposta all’umanità per curare le sue ferite e agli uomini per riflettere seriamente sul loro bisogno di spiritualità, la soluzione è la stessa degli ultimi 2000 anni: «l’incontro con Gesù Cristo Via, Verità e Vita, realmente presente nella Chiesa e contemporaneo in ogni uomo, porta a diventare uomini nuovi nel mistero della Grazia, suscitando nell’animo quella gioia cristiana che costituisce il centuplo donato da Cristo a chi lo accoglie nella propria esistenza»ha spiegato all’inizio del suo pontificato. «La verità cristiana è attraente e persuasiva perché risponde al bisogno profondo dell’esistenza umana, annunciando in maniera convincente che Cristo è l’unico Salvatore di tutto l’uomo e di tutti gli uomini. Questo annuncio resta valido oggi come lo fu all’inizio del cristianesimo, quando si operò la prima grande espansione missionaria del Vangelo».

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 30/11/2013 08:52
    La fede, ovvero al centro Cristo
    di Anna Minghetti
    25/11/2013 - Il Pontefice ha chiuso ieri, davanti alle reliquie di san Pietro, l'Anno della Fede indetto a fine 2012 da Benedetto XVI. Un'opportunità «di riscoprire la bellezza di quel cammino che ha avuto inizio nel giorno del nostro Battesimo»
    Papa Francesco, in mano, le reliquie di San Pietro.
    Papa Francesco, in mano, le reliquie di San Pietro.
    «Cristo è al centro. Cristo è il centro». L’omelia con cui Papa Francesco ha chiuso l’Anno della Fede domenica 24 novembre in piazza San Pietro ruota attorno a questo. La centralità di Cristo. Lo stesso punto da cui era partito Benedetto XVI l’11 ottobre 2012 per dare inizio all’Anno che poi avrebbe consegnato in eredità al suo successore, parlando di Cristo come centro del cosmo, della storia e della fede cristiana. La continuità tra i due Pontefici viene ancora una volta esplicitata dalle parole di Francesco, che ricorda il Papa emerito con «affetto e riconoscenza per questo dono che ci ha dato». È l’opportunità, ha detto Francesco, «di riscoprire la bellezza di quel cammino di fede che ha avuto inizio nel giorno del nostro Battesimo». La meta di questo cammino è l’incontro con Dio, perché solo in Lui possiamo «entrare nella felicità a cui il nostro cuore anela».

    È la prima occasione in cui vengono pubblicamente esposte le reliquie dell’apostolo Pietro, alle quali il Papa rende omaggio all’inizio della celebrazione. Francesco di fronte a Pietro: una legame che abbraccia la storia della cristianità e che unisce il primo e l’attuale pastore della Chiesa Universale. Per l’intera recita della Professione di Fede il Santo Padre ha voluto tenere tra le mani l’urna che conserva le reliquie, come a sottolineare la roccia su cui poggia la fede che non vacilla e di cui gli ultimi due Pontefici sono stati testimoni durante questo anno, prima ancora che con le parole, con la propria persona.

    Ripensando all’Anno della Fede non possono infatti non venire in mente i grandi episodi in cui è stata evidente la reale portata dell’affidarsi a Dio: dalla rinuncia di Benedetto al pontificato di Francesco, il vescovo di Roma non ha mai avuto così tanti occhi puntati addosso. E questo non per una strategia mediatica azzeccata, ma perché porre Cristo al centro della propria vita porta una novità di cui sembrano accorgersi tutti, anche chi non crede.

    La fede, ricorda ancora il Papa, non è altro che questo “centrare” la propria vita in Cristo, non una particolare coerenza. Come il buon ladrone che ha sbagliato per tutta la vita, ma alla fine si aggrappa pentito a Cristo: «Ricordati di me, quando entrerai nel tuo Regno». E Gesù non solo non lascia cadere la richiesta di chi ha il coraggio di chiedere perdono, ma «dona sempre di più di quanto gli si domanda»: «oggi sarai con me nel Paradiso».

    In questa celebrazione Francesco ha anche voluto rivolgere un saluto particolare ai Patriarchi e agli Arcivescovi Maggiori delle Chiese cattoliche orientali presenti, esprimendo riconoscenza per «l’esemplare fedeltà» nel portare l’annuncio di Cristo, «spesso pagata a caro prezzo», e desiderando raggiungere, attraverso loro, i cristiani d’Oriente perché finalmente si ottenga «per tutti il dono della pace e della concordia».

    Prima della recita dell’Angelus, il Papa ha consegnato alcune copie dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium, documento di conclusione dell’Anno della Fede, ai rappresentanti delle realtà protagoniste degli eventi di questi tredici mesi: cresimati, seminaristi, novizi, famiglie, non vedenti, giovani, confraternite, movimenti, insieme a un vescovo, un sacerdote e un diacono. Oltre a questi, anche rappresentanti del mondo della cultura: lo scultore giapponese Etsuro Sotoo e la pittrice polacca Anna Gulak, insieme a due giornalisti. Trentasei persone provenienti da diciotto Paesi da tutti continenti, verso le quali il Santo Padre non ha nascosto un’attenzione paterna, carica di semplicità commovente. Dal passo in avanti verso chi fatica a salire i gradini, al bacio al bambino in braccio al papà, non smette di stupire l’umanità di chi riserva a ciascuno un sorriso diverso.
  • OFFLINE
    Credente
    00 13/12/2013 15:11

    Bergoglio, giovane prete
    Bergoglio, giovane prete

    Domani la ricorrenza del padre gesuità che sarebbe diventato Papa
    Redazione
    Roma


    Era il 13 dicembre del 1969, esattamente 44 anni fa e Jorge Mario Bergoglio veniva ordinato sacerdote nella Compagnia di Gesù.



    Molte volte nei suoi discorsi papa Francesco ha parlato della figura del presbitero. A conoscerlo da vicino, fra la fine degli anni Settanta e i primi anni Ottanta, è stato padre Miguel Yanez, gesuita argentino, oggi direttore del dipartimento di Teologia morale della Pontificia Università Gregoriana.

    Padre Yanez ha infatti studiato al collegio San Giuseppe a San Miguel, in Argentina, dal ''77 al ''79, quando l'allora padre Jorge Mario Bergoglio era provinciale dei gesuiti e viveva lì e, successivamente, lo ha incontrato di nuovo, dall'81 all' 85, quando padre Bergoglio era diventato rettore del collegio.

    La condivisione della Messa mattutina, la quotidianità della vita in collegio, lo studio, ma anche i momenti di ricreazione insieme, sono fra i suoi tanti ricordi.

    ''Era molto vicino a noi, - ricorda padre Miguel Yanez a Radio Vaticana - ci spingeva veramente ad una vita spirituale seria e condivisa in una comunità di fratelli, di amici, dove c'era anche il momento del divertimento, però spinti a comunicare il Vangelo soprattutto ai più poveri e a farci carico di loro. Per me sono stati anni molto intensi, anni che ricordo sempre e che mi hanno dato una prospettiva sia per la mia vita spirituale sia per la mia vita di studi e di insegnamento''
  • OFFLINE
    Credente
    00 18/12/2013 16:45

    Papa Francesco,
    né progressista né tradizionalista

    POPE FRANCIS GENERAL AUDIENCE WITH THE PRESSDi pochi giorni precedente l’uscita dell’esortazione apostolicaEvangelli Gaudium è una sorprendente omelia a Santa Marta diPapa Francesco il cui punto di partenza è il primo libro dei Maccabei (1, 10-15; 41-43; 54-57; 62-64): in quell’occasione è chiaramente declinata la mondanità spirituale nella sua variante progressista.

    La mondanità spirituale su cui ritorna spesso non è tanto una categoria teologica, quanto piuttosto un pericolo concreto di origine evangelica: “tanto che [Gesù] aveva pregato il Padre affinché ci salvasse dallo spirito del mondo”. Il “progressismo adolescenziale” cui fa riferimento Francesco non è ciò che culturalmente si contrappone al tradizionalismo, ma è lo scivolamento apostata che “negozia” con il mondo: il progressista crede di avere già la conoscenza essenziale che gli consente di scavalcare la Legge (non ha bisogno della Grazia per capire ciò che davvero gli serve per vivere – per questo è gnostico); tecnicamente ha già a disposizione tutto il necessario per conseguire ciò che gli conviene, per cui può tranquillamente fare quello che fanno tutti.

    Spiega Papa Francesco: “Questa gente ha trattato con il re, ha negoziato. Ma non ha negoziato abitudini… ha negoziato la fedeltà al Dio sempre fedele. E questo si chiama apostasia”. Il cattolico che professa di credere senza praticare, quello che deve dimostrare quanto èopen-minded andando a braccetto con l’ideologia gay o al sesso come fatto privato nella sua smania o terrore di essere aggiornato, sembra proprio quello che vede in questi fenomeni solo abitudini, espressioni del secolo, incapaci di comprometterlo seriamente e magari dannarlo. E’ direttamente all’abortista della carità senza verità – il buonismo – che il Papa sembra indirizzare la richiesta: “Voi pensate che oggi non si fanno sacrifici umani?”… “Se ne fanno tanti, tanti. E ci sono delle leggi che li proteggono”. Ma cos’è che sta alla radice del pensiero unico con cui fare alleanza? Cosa bisogna accettare per fare alleanza con il mondo e rinunciare alla fedeltà a Dio e alla propria identità? Il relativismo è lo strumento migliore. Questo è il tributo al genio dell’imperatore che il progressista accetta di fare anziché essere martire (=testimone).

    Nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium salta invece agli occhi la durissima presa di posizione di Papa Francesco nei confronti di tutta quella galassia tradizionalista che vive nell’alveo cattolico con la certezza di meritare la Grazia: pronto a polemizzare e gloriarsi delle proprie posizioni, il tradizionalista in parola si affretta a conquistare lo spazio che sancisce l’indiscutibile equivalenza della propria opinione con ciò che la Chiesa preconciliare – spesso solo quella che si può evincere dagli “anatema” – affermava. Nell’ Evangelii Gaudium è questo“il neopelagianesimo autoreferenziale e prometeico di coloro che in definitiva fanno affidamento unicamente sulle proprie forze e si sentono superiori agli altri perché osservano determinate norme o perché sono irremovibilmente fedeli ad un certo stile cattolico proprio del passato”.

    Tipico della mondanità spirituale è lo gnosticismo: parafrasando la magnifica espressione diAngela Pellicciari, che definisce questa chiusura nel proprio soggettivismo come l’atteggiamento di quella minoranza che ritiene di incarnare l’avanguardia morale e intellettuale dell’umanità, si potrebbe azzardare che – esattamente come il progressimo contemporaneo relativista e modernista – il neopelagianesimo è gnostico perché autoreferenziale ed ossessionato dalla purezza dottrinale in forza di una conoscenza più profonda della cattolicità.“E’ una presunta sicurezza dottrinale o disciplinare che dà luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario,dove invece di evangelizzare si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare.”

    In conclusione, Francesco sembra il padre della parabola che a sinistra mostra la via della gioia dell’essere figli ad un figlio minore prodigo non è ancora tornato alla casa del Padre e, a destra, ammonisce il fratello maggiore che continua a ripetere i suoi meriti e perciò non può partecipare alla festa. Un centro diverso e più alto di quello politico per definire cosa sta a destra e cosa a sinistra, un centro sapienziale: Francesco non entra nemmeno nelle argomentazioni dell’uno o dell’altro; a lui – si è capito – non interessano molto le idee,interessa l’uomo, interessa discernere ciò che l’uomo vuole affermare attraverso certe posizioni, qual è il bene che intende esprimere. Una frase dell’esortazione apostolica è davvero severa e sembra quella del vignaiolo che si appresta a tagliare dei tralci o del missionario che sceglie i suoi compagni per l’’evangelizzazione: “Non è possibile immaginare che da queste forme riduttive di cristianesimo possa scaturire un autentico dinamismo”.

    Fabrizio Ede


  • OFFLINE
    Credente
    00 04/01/2014 14:11

    franc


    Il 2014 che inizia “è un ulteriore passo verso la meta che sta davanti a noi: una meta di speranza, una meta di felicità, perché incontreremo Dio, ragione della nostra speranza e fonte della nostra letizia”. Lo ha affermato Papa Francesco nell’omelia pronunciata ieri pomeriggio in San Pietro in occasione del “Te Deum” di fine anno.


    “Dobbiamo – ha esortato – raccogliere, come in una cesta, i giorni, le settimane, i mesi che abbiamo vissuto, per offrire tutto al Signore”. “Domandiamoci – ha suggerito il Pontefice – come abbiamo vissuto il tempo che Lui ci ha donato?”.


     ”Lo abbiamo usato – ha continuato Francesco – soprattutto per noi stessi, per i nostri interessi, o abbiamo saputo spenderlo anche per gli altri?”. “Quanto tempo – si è chiesto inoltre ad alta voce il Papa – abbiamo riservato per ‘stare con Dio’, nella preghiera, nel silenzio, nell’adorazione?”.


    Nell’omelia di fine anno, Bergoglio ha poi sottolineato che siamo già nei “tempi ultimi”, dopo i quali il passaggio finale sarà la seconda e definitiva venuta di Cristo. “Con Gesù – ha concluso il Pontefice – è venuta la ‘pienezza’ del tempo, pienezza di significato e pienezza di salvezza. E non ci sarà più una nuova rivelazione, ma la manifestazione piena di ciò che Gesù ha già rivelato”. La visione biblica e cristiana del tempo e della storia, infatti, “non è ciclica, ma lineare: è un cammino che va verso un compimento


  • OFFLINE
    Coordin.
    00 05/01/2014 07:43



    «Per favore, non facciamo affari con Satana»
 <br /> 
 <br /> Papa Francesco torna a parlare del diavolo. E invita a prendere sul serio le Scritture che ne parlano. Bergoglio l'ha fatto nell'omelia di questa mattina a Santa Marta, commentando il brano evangelico di Luca dove si legge di Gesù che scaccia il demonio ma non viene compreso  dai suoi.
 <br /> 
 <br /> «Ci sono alcuni preti - ha detto il Papa - che quando leggono questo brano del Vangelo, questo e altri, dicono: ''Ma, Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica". Non leggono questo qui, no? È vero che in quel tempo si poteva confondere un'epilessia con la possessione del demonio - ha continuato Francesco, secondo quanto riferito dalla Radio Vaticana - ma è anche vero che c'era il demonio! E noi non  abbiamo diritto di fare tanto semplice la cosa, come per dire: ''Tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici". No! La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio».
 <br /> 
 <br /> Colpisce l'invito di Francesco e non minimizzare e a non confondere l'azione del diavolo con le malattie psichiche. Francesco ha chiesto ai cristiani di «non essere ingenui» davanti al tentativo di trovare spiegazioni «per diminuire la forza del  Signore». Una tentazione ricorrente quella di sminuire la figura di Gesù come fosse «al massimo un guaritore», da non prendere  «tanto sul serio». Un atteggiamento, ha denunciato il Papa, che è «arrivato ai nostri giorni».
 <br /> 
 <br /> Il Papa ha quindi indicato le tre vie per «resistere» al maligno. «Non confondere la verità. Gesù lotta contro il diavolo: primo criterio. Secondo criterio: chi non è con Gesù, è contro Gesù. Non ci sono atteggiamenti a metà. Terzo criterio: la vigilanza sul nostro cuore, perché il demonio è astuto. Mai è scacciato via per sempre! Soltanto l'ultimo giorno lo sarà».
 <br /> 
 <br /> E ha invitato i cristiani alla «vigilanza, perché la strategia di lui è quella: ''Tu ti sei fatto cristiano, vai avanti nella tua fede, io ti lascio, ti lascio tranquillo. Ma poi quando ti sei abituato e non fai tanta vigilanza e ti senti sicuro, io torno". Il Vangelo di oggi incomincia con il demonio scacciato e finisce con il demonio che torna! San Pietro lo diceva: "È come un leone feroce, che gira intorno a noi". È così».
 <br /> 
 <br /> «''Ma, Padre, lei è un po' antico! Ci fa spaventare con queste cose" - ha aggiunto il Papa, riferendosi a possibili obiezioni - No, io no! È il Vangelo! E queste non sono bugie: è la Parola del Signore! Chiediamo al Signore la grazia di prendere sul serio queste cose. Lui è venuto a lottare per la nostra salvezza. Lui ha vinto il demonio! Per favore, non facciamo affari con il demonio! Lui cerca di  tornare a casa, di prendere possesso di noi... Non relativizzare, vigilare! E sempre con Gesù».
 <br /> 
 <br /> 
 <br /> ANDREA TORNIELLI





    «Per favore, non facciamo affari con Satana» Papa Francesco torna a parlare del diavolo. E invita a prendere sul serio le Scritture che ne parlano. Bergoglio l'ha fatto nell'omelia di questa mattina a Santa Marta, commentando il brano evangelico di Luca dove si legge di Gesù che scaccia il demonio ma non viene compreso dai suoi. «Ci sono alcuni preti - ha detto il Papa - che quando leggono questo brano del Vangelo, questo e altri, dicono: ''Ma, Gesù ha guarito una persona da una malattia psichica". Non leggono questo qui, no? È vero che in quel tempo si poteva confondere un'epilessia con la possessione del demonio - ha continuato Francesco, secondo quanto riferito dalla Radio Vaticana - ma è anche vero che c'era il demonio! E noi non abbiamo diritto di fare tanto semplice la cosa, come per dire: ''Tutti questi non erano indemoniati; erano malati psichici". No! La presenza del demonio è nella prima pagina della Bibbia e la Bibbia finisce anche con la presenza del demonio, con la vittoria di Dio sul demonio». Colpisce l'invito di Francesco e non minimizzare e a non confondere l'azione del diavolo con le malattie psichiche. Francesco ha chiesto ai cristiani di «non essere ingenui» davanti al tentativo di trovare spiegazioni «per diminuire la forza del Signore». Una tentazione ricorrente quella di sminuire la figura di Gesù come fosse «al massimo un guaritore», da non prendere «tanto sul serio». Un atteggiamento, ha denunciato il Papa, che è «arrivato ai nostri giorni». Il Papa ha quindi indicato le tre vie per «resistere» al maligno. «Non confondere la verità. Gesù lotta contro il diavolo: primo criterio. Secondo criterio: chi non è con Gesù, è contro Gesù. Non ci sono atteggiamenti a metà. Terzo criterio: la vigilanza sul nostro cuore, perché il demonio è astuto. Mai è scacciato via per sempre! Soltanto l'ultimo giorno lo sarà». E ha invitato i cristiani alla «vigilanza, perché la strategia di lui è quella: ''Tu ti sei fatto cristiano, vai avanti nella tua fede, io ti lascio, ti lascio tranquillo. Ma poi quando ti sei abituato e non fai tanta vigilanza e ti senti sicuro, io torno". Il Vangelo di oggi incomincia con il demonio scacciato e finisce con il demonio che torna! San Pietro lo diceva: "È come un leone feroce, che gira intorno a noi". È così». «''Ma, Padre, lei è un po' antico! Ci fa spaventare con queste cose" - ha aggiunto il Papa, riferendosi a possibili obiezioni - No, io no! È il Vangelo! E queste non sono bugie: è la Parola del Signore! Chiediamo al Signore la grazia di prendere sul serio queste cose. Lui è venuto a lottare per la nostra salvezza. Lui ha vinto il demonio! Per favore, non facciamo affari con il demonio! Lui cerca di tornare a casa, di prendere possesso di noi... Non relativizzare, vigilare! E sempre con Gesù».

    ANDREA TORNIELLI

  • OFFLINE
    Credente
    00 13/01/2014 18:23



    DICHIARAZIONI FALSE ATTRIBUITE A PAPA FRANCESCO
 <br /> 
 <br /> Cari amici, alcuni dei nostri lettori ci hanno segnalato alcune storie che circolano in internet, anche in diverse lingue, riguardo a delle dichiarazioni che Papa Francesco avrebbe rilasciato con riferimento a tematiche di diverso genere, sulla Bibbia, le relazioni tra le religioni, sul rinnovamento della dottrina della Chiesa, fino alla presunta convocazione di un "Terzo Concilio Vaticano". Cogliamo pertanto l'occasione per ricordare che su internet possono circolare molte storie false, di cui non si conoscono gli autori: molti approfittano del fatto che è facile "lanciare la pietra e nascondere la mano". 
 <br /> 
 <br /> Incoraggiamo quindi tutti i lettori a consultare le fonti ufficiali del Vaticano per avere ulteriori conferme circa le dichiarazioni di Papa Francesco. 
 <br /> 
 <br /> Se le parole attribuite al Papa non appaiono nei media ufficiali del Vaticano, significa che le fonti informative riportano notizie non vere. 
 <br /> 
 <br /> Di seguito riportiamo un elenco dei siti web dei media vaticani ufficiali, che potrete consultare per verificare la veridicità delle notizie che vengono pubblicate riguardo al Papa:
 <br /> 
 <br /> - News.va:  raccoglie in un solo sito le notizie degli altri media vaticani. L'indirizzo web è: www.news.va/it - esiste anche la relativa pagina facebook: www.facebook.com/news.va.it
 <br /> 
 <br /> - L'Osservatore Romano: www.osservatoreromano.va
 <br /> 
 <br /> - Radio Vaticana: www.radiovaticana.va
 <br /> 
 <br /> - VIS (Vatican Information Service): www.vis.va
 <br /> 
 <br /> - Sala Stampa della Santa Sede: www.vaticanstate.va/content/vaticanstate/it/altre-istituzioni/sala-stampa-santa-sede.html
 <br /> 
 <br /> - Centro Televisivo Vaticano: www.ctv.va/content/ctv/it.html
 <br /> 
 <br /> - Vatican.va: Sito web ufficiale della Santa Sede, dove potrete trovare il testo integrale ufficiale di tutti i discorsi, le omelie, i messaggi, ecc di Papa Francesco: www.vatican.va
 <br /> 
 <br /> - PopeApp: app per smartphones dedicata alla figura del Santo Padre (Copyright News.va)
 <br /> 
 <br /> - @Pontifex: Profilo Twitter del Santo Padre (in italiano: Pontifex_it).
 <br /> 
 <br /> Un saluto molto cordiale a tutti e molte grazie per la vostra attenzione e per le vostre segnalazioni e suggerimenti. Condividete queste informazioni con i vostri contatti. Grazie!

    DICHIARAZIONI FALSE ATTRIBUITE A PAPA FRANCESCO

    Cari amici, alcuni  segnalano alcune storie che circolano in internet, anche in diverse lingue, riguardo a delle dichiarazioni che Papa Francesco avrebbe rilasciato con riferimento a tematiche di diverso genere, sulla Bibbia, le relazioni tra le religioni, sul rinnovamento della dottrina della Chiesa, fino alla presunta convocazione di un "Terzo Concilio Vaticano". Cogliamo pertanto l'occasione per ricordare che su internet possono circolare molte storie false, di cui non si conoscono gli autori: molti approfittano del fatto che è facile "lanciare la pietra e nascondere la mano". Incoraggiamo quindi tutti i lettori a consultare le fonti ufficiali del Vaticano per avere ulteriori conferme circa le dichiarazioni di Papa Francesco. Se le parole attribuite al Papa non appaiono nei media ufficiali del Vaticano, significa che le fonti informative riportano notizie non vere. Di seguito riportiamo un elenco dei siti web dei media vaticani ufficiali, che potrete consultare per verificare la veridicità delle notizie che vengono pubblicate riguardo al Papa: - News.va: raccoglie in un solo sito le notizie degli altri media vaticani.
    L'indirizzo web è:www.news.va/it -
    esiste anche la relativa pagina facebook: www.facebook.com/news.va.it -
    L'Osservatore Romano:www.osservatoreromano.va -
    Radio Vaticana:www.radiovaticana.va -
    VIS (Vatican Information Service): www.vis.va -
    Sala Stampa della Santa Sede:www.vaticanstate.va/content/vaticanstate/it/altre-istituzioni/sala-stampa-santa-sede.html -
    Centro Televisivo Vaticano:www.ctv.va/content/ctv/it.html -
    Vatican.va: Sito web ufficiale della Santa Sede, dove potrete trovare il testo integrale ufficiale di tutti i discorsi, le omelie, i messaggi, ecc di Papa Francesco:www.vatican.va -
    PopeApp: app per smartphones dedicata alla figura del Santo Padre (Copyright News.va) - @Pontifex: Profilo Twitter del Santo Padre (in italiano: Pontifex_it). 

  • OFFLINE
    Credente
    00 14/01/2014 21:46

    «LA FEDE NON È UN PESO
    SULLE SPALLE DELLA GENTE»

    14/01/2014  Così il Papa stamane nell'omelia a Santa Marta. Per riflettere sulla vera natura della testimonianza cristiana, Jorge Mario Bergoglio ha indicato, spiegandoli, i quattro modelli di credenti delineati dalle letture odierne: Gesù, gli scribi, il sacerdote Eli e i suoi due figli, anch’essi sacerdoti.

    Qual è la vera natura della vera testimonianza cristiana? Nella Messa mattutina alla Casa Santa Marta, papa Francesco ha risposto ispirandosi  alle figure presentate dalle letture del giorno e indicando quattro possibili modelli di credenti: Gesù, gli scribi, il sacerdote Eli e i suoi due figli, anch’essi sacerdoti. Jorge Mario Bergoglio ha messo in guardia da atteggiamenti ipocriti o legalisti che allontano la gente dalla fede.


    Il Vangelo, ha osservato papa Francesco secondo il resoconto pubblicato sul suo sito da Radio Vaticana,  ci dice qual era “l’atteggiamento di Gesù nella sua catechesi”, “insegnava come uno che ha autorità e non come gli scribi”
    . Questi ultimi, ha affermato, “insegnavano, predicavano ma legavano la gente con tante cose pesanti sulle spalle, e la povera gente non poteva andare avanti: E Gesù stesso dice che loro non muovevano queste cose nemmeno con un dito, no? E poi, dirà alla gente: ‘Fate quello che dicono ma non quello che fanno!’. Gente incoerente… Ma sempre questi scribi, questi farisei, è come se bastonassero la gente, no? ‘Dovete fare questo, questo e questo’, alla povera gente… E Gesù disse: ‘Ma, così voi chiudete – lo dice a loro! – la porta del Regno dei Cieli. Non lasciate entrare, e neppure voi entrate!’. E’ una maniera, un modo di predicare, di insegnare, di dare testimonianza della propria fede… E così, quanti ci sono che pensano che la fede sia cosa così…”.

    Nella prima lettura, tratta dal Libro di Samuele, ha quindi affermato Bergoglio, troviamo la figura di Eli, “un povero prete, debole, tiepido” che “lasciava fare tante cose brutte ai suoi figli”. Eli era seduto davanti a uno stipite del Tempio del Signore e guarda Anna, una signora, “che pregava a suo modo, chiedendo un figlio”. Questa donna, ha affermato il Papa, “pregava come prega la gente umile: semplicemente, ma dal suo cuore, con angoscia”. Anna “muoveva le labbra”, come fanno “tante donne buone” “nelle nostre chiese, nei nostri santuari”. Pregava così “e chiedeva un miracolo”. E l’anziano Eli la guardava e diceva: “Ma, questa è una ubriaca!” e “la disprezzò”.

     

     

    Lui, ha ammonito il Papa, “era il rappresentante della fede, il dirigente della fede, ma il suo cuore non sentiva bene e disprezzò questa signora”: “Quante volte il popolo di Dio si sente non benvoluto da quelli che devono dare testimonianza: dai cristiani, dai laici cristiani, dai preti, dai vescovi… ‘Ma, povera gente, non capisce niente... Deve fare un corso di teologia per capire bene’. Ma perché ho certa simpatia per quest’uomo? Perché nel cuore ancora aveva l’unzione, perché quando la donna gli spiega la sua situazione, Eli le dice: ‘Vai in pace, e il Dio di Israele ti conceda quello che gli hai chiesto’. Viene fuori l’unzione sacerdotale: pover’uomo, l’aveva nascosta dentro e la sua pigrizia… è un tiepido. E poi finisce male, poveretto”.

    I suoi figli, ha proseguito papa Francesco, non si vedono nel passo della prima lettura, ma erano quelli che gestivano il Tempio, “erano briganti”.
     “Erano sacerdoti, ma briganti”. “Andavano dietro al potere, dietro ai soldi – ha detto il Papa – sfruttavano la gente, approfittavano delle elemosine, dei doni” e “il Signore li punisce forte”. Questa, ha poi osservato, “è la figura del cristiano corrotto”, “del laico corrotto, del prete corrotto, del vescovo corrotto, che profitta della sua situazione, del suo privilegio della fede, di essere cristiano” e “il suo cuore finisce corrotto”, come succede a Giuda. Da un cuore corrotto, ha proseguito, esce “il tradimento”. Giuda “tradisce Gesù”. I figli di Eli sono dunque il terzo modello di credente.

     

     

    E poi c’è il quarto, Gesù. E di Lui la gente dice: “Questo insegna come uno che ha autorità:questo è un insegnamento nuovo!” Ma dov’è la novità, si chiede Papa Francesco? E’ “il potere della santità”, “la novità di Gesù è che con sé porta la Parola di Dio, il messaggio di Dio, cioè l’amore di Dio a ognuno di noi”. Gesù, ha ribadito, “avvicina Dio alla gente e per farlo si avvicina Lui: è vicino ai peccatori”. Gesù, ha ricordato il Papa, perdona l’adultera, “parla di teologia con la Samaritana, che non era un angiolino”. Gesù, ha spiegato ancora, “cerca il cuore delle persone, Gesù si avvicina al cuore ferito delle persone. A Gesù soltanto interessa la persona, e Dio”. 

    Gesù, ha evidenziato, “vuole che la gente si avvicini, che lo cerchi e si sente commosso quando la vede come pecora senza pastore”. E tutto questo atteggiamento, ha rilevato, “è quello per cui la gente dice: ‘Ma, questo è un insegnamento nuovo!’”.  No, ha osservato il Papa, “non è nuovo l’insegnamento: è il modo di farlo, nuovo. E’ la trasparenza evangelica”:“Chiediamo al Signore che queste due Letture ci aiutino nella nostra vita di cristiani: tutti. Ognuno nel suo posto. A non essere legalisti puri, ipocriti come gli scribi e i farisei. A non essere corrotti come i figli di Eli. A non essere tiepidi come Eli, ma a essere come Gesù, con quello zelo di cercare la gente, di guarire la gente, di amare la gente e con questo dirle: ‘Ma, se io faccio questo così piccolo, pensa come ti ama Dio, come è tuo Padre!’. Questo è l’insegnamento nuovo che Dio chiede da noi. Chiediamo questa grazia”.


  • OFFLINE
    Credente
    00 17/01/2014 13:14

    Papa Francesco ci sta riportando sui binari,
    ascoltiamolo

    Francesco battezza GiuliaE’ chiaro, Papa Francesco ci sta educando. Capiamo benissimo, è imbarazzante a volte la zuccherosa riverenza laico-devota che gli viene riservata dai media più anticlericali e da persone che hanno sempre odiato la Chiesa e i cattolici. Un tempo si accusavano gli atei-devoti alla Giuliano Ferrara di essere baciapile, oggi il fenomeno dilaga anche tra gli accusatori di allora, i laici duri e puri. A partire da Eugenio Scalfari.

    Ma questo non deve distrarci, sopratutto non deve farci cadere nell’equivoco che Francesco sia un secondo Vito Mancuso, che cerchi a tutti i costi l’applauso del mondo, che sia appositamente ambiguo e reticente. Anche Gesù fu accusato ingiustamente di condividere il suo tempo con peccatori e pubblicani, non dimentichiamolo. L’errore, dicevamo qualche mese fa, è nostro: di Benedetto XVI e di Papa Wojtyla abbiamo forse soltanto trattenuto la loro forte intransigenza sull’etica e sui principi morali inviolabili, che è poi la stessa di Papa Francesco.

    Allora era giusto così, bisognava risvegliare le coscienze come occorre fare ancora oggi, occorreva chiarire pubblicamente la posizione della Chiesa su questi argomenti. Il Pontefice argentino si è però accorto che tali posizioni hanno finito per scalzare il compito essenziale del cristiano e vuole rimetterci sul binario, ricordandoci che «l’annuncio di tipo missionario si concentra sull’essenziale, sul necessario, che è anche ciò che appassiona e attira di più, ciò che fa ardere il cuore, come ai discepoli di Emmaus. Dobbiamo quindi trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo». Lo ha detto nel manifesto del suo pontificato, l’intervista a “La Civiltà Cattolica”. «Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile».

    Aggiungendo che «la cosa più importante è invece il primo annuncio: “Gesù Cristo ti ha salvato!”». Spesso ci siamo dimenticati di questo, anteponendo le giustissime battaglie in difesa della vita, della libertà religiosa, della famiglia. E invece è l’opposto: «È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali». Ma il compito principale è «curare le ferite e riscaldare il cuore dei fedeli». Da questo deriva anche tutto il resto: quando si prende coscienza di tale annuncio la vita cambia davvero, cambia il modo di pensare e ne conseguirà anche una posizione morale sull’aborto, sull’eutanasia, sul matrimonio omosessuale ecc. Il dibattito pubblico deve andare avanti, ma è qualcosa in più rispetto all’essenziale che non deve mettere in secondo piano la misericordia verso il peccatore e l’annuncio cristiano. Altrimenti il rischio è «somministrare un vaccino contro la fede», ha ricordato recentemente proprio Francesco. 

    D’altra parte, pensiamoci, quanti omosessuali hanno interrotto i loro comportamenti sessuali (a volte cambiandoli radicalmente) dopo essersi convertiti? Tantissimi. Il Vangelo lo spiega benissimo attraverso la storia di Zaccheo, il grande peccatore di Gerico. Gesù si auto-invita a casa sua, molti lo criticano per la sua scelta ambigua di giustificare il peccatore, oggi lo avrebbero accusato di relativismo. Eppure Zaccheo non prosegue nel suo comportamento poco nobile, non pensa che Gesù lo stia incoraggiando a proseguire, ma si converte, dona metà dei suoi beni ai poveri e la tradizione dice che diventerà il primo vescovo di Cesarea di Palestina.

    Allo stesso modo Papa Francesco ha recentemente voluto battezzare una bambina nata da due genitori non sposati in Chiesa. I media si sono eccitati a segnare “l’ennesimo strappo”sperando maliziosamente di scandalizzare i cattolici impegnati nella difesa del matrimonio, e tanti di noi ci sono cascati. Eppure, come ha ricordato Andrea Tornielli, è cosa frequente che ciò avvenga nelle parrocchie e non è nemmeno una novità per Papa Bergoglio che, anche da cardinale, ha celebrato il battesimo di bambini di ragazze madri e di genitori non sposati. Il motivo non è un inno al relativismo o il voler promuovere pubblicamente la convivenza di coppia, equiparandola a chi ha fatto la scelta di unirsi nel sacramento del matrimonio, davanti a Dio. Ma, come ha spiegato il card. Bergoglio, «il bambino non ha alcuna responsabilità dello stato del matrimonio dei suoi genitori. E poi, spesso il battesimo dei bambini diventa anche per i genitori un nuovo inizio. Di solito si fa una piccola catechesi prima del battesimo. In seguito, i sacerdoti e i laici vanno a fare le visite a queste famiglie, per continuare con loro la pastorale post-battesimale. E spesso capita che i genitori, che non erano sposati in chiesa, magari chiedono di venire davanti all’altare per celebrare il sacramento del matrimonio».

    Si capisce il cambio di prospettiva? E’ affascinante. Gli uomini hanno prevalso nella guerra contro la Chiesa e ora si trovano al tappeto, confusi e con le vite piene di macerie (divorzi, contro-divorzi, aborti, compagni temporanei e amanti). Tuttavia, come una madre premurosa che aveva messo in guardia i suoi figli, la Chiesa si china nuovamente su di loro, non rinfanccia i loro errori ma cerca di riportarli vicino a sé. Papa Francesco è come il padre del figliol prodigo

    Papa Francesco è più incompreso di Benedetto XVI: incompreso dai media, che pensano stia scardinano la dottrina cattolica (con le classiche forzature e invenzioni plateali, subite anche dal Pontefice emerito) e incompreso da tantissimi devoti cattolici che abboccano e pensano esattamente quel che i media vogliono. Ribadiamo la domanda fatta nel settembre scorso: diventiamo anche noi “cattolici adulti”, emancipandoci e pensando di sapere cosa il Papa dovrebbe dire e fare, oppure con umiltà e fiducia ci rimettiamo in cammino, dietro al successore di Pietro?


  • OFFLINE
    Coordin.
    00 23/01/2014 20:56

    MESSAGGIO DEL SANTO PADRE FRANCESCO
    PER LA XLVIII GIORNATA MONDIALE
    DELLE COMUNICAZIONI SOCIALI
     

    Comunicazione al servizio di un’autentica cultura dell’incontro

    [Domenica, 1 giugno 2014]

     

    Cari fratelli e sorelle,

    oggi viviamo in un mondo che sta diventando sempre più “piccolo” e dove, quindi, sembrerebbe essere facile farsi prossimi gli uni agli altri. Gli sviluppi dei trasporti e delle tecnologie di comunicazione ci stanno avvicinando, connettendoci sempre di più, e la globalizzazione ci fa interdipendenti. Tuttavia all’interno dell’umanità permangono divisioni, a volte molto marcate. A livello globale vediamo la scandalosa distanza tra il lusso dei più ricchi e la miseria dei più poveri. Spesso basta andare in giro per le strade di una città per vedere il contrasto tra la gente che vive sui marciapiedi e le luci sfavillanti dei negozi. Ci siamo talmente abituati a tutto ciò che non ci colpisce più. Il mondo soffre di molteplici forme di esclusione, emarginazione e povertà; come pure di conflitti in cui si mescolano cause economiche, politiche, ideologiche e, purtroppo, anche religiose.

    In questo mondo, i media possono aiutare a farci sentire più prossimi gli uni agli altri; a farci percepire un rinnovato senso di unità della famiglia umana che spinge alla solidarietà e all’impegno serio per una vita più dignitosa. Comunicare bene ci aiuta ad essere più vicini e a conoscerci meglio tra di noi, ad essere più uniti. I muri che ci dividono possono essere superati solamente se siamo pronti ad ascoltarci e ad imparare gli uni dagli altri. Abbiamo bisogno di comporre le differenze attraverso forme di dialogo che ci permettano di crescere nella comprensione e nel rispetto. La cultura dell’incontro richiede che siamo disposti non soltanto a dare, ma anche a ricevere dagli altri. I media possono aiutarci in questo, particolarmente oggi, quando le reti della comunicazione umana hanno raggiunto sviluppi inauditi. In particolareinternet può offrire maggiori possibilità di incontro e di solidarietà tra tutti, e questa è una cosa buona, è un dono di Dio.

    Esistono però aspetti problematici: la velocità dell’informazione supera la nostra capacità di riflessione e giudizio e non permette un’espressione di sé misurata e corretta. La varietà delle opinioni espresse può essere percepita come ricchezza, ma è anche possibile chiudersi in una sfera di informazioni che corrispondono solo alle nostre attese e alle nostre idee, o anche a determinati interessi politici ed economici. L’ambiente comunicativo può aiutarci a crescere o, al contrario, a disorientarci. Il desiderio di connessione digitale può finire per isolarci dal nostro prossimo, da chi ci sta più vicino. Senza dimenticare che chi, per diversi motivi, non ha accesso ai media sociali, rischia di essere escluso.

    Questi limiti sono reali, tuttavia non giustificano un rifiuto dei media sociali; piuttosto ci ricordano che la comunicazione è, in definitiva, una conquista più umana che tecnologica. Dunque, che cosa ci aiuta nell’ambiente digitale a crescere in umanità e nella comprensione reciproca? Ad esempio, dobbiamo recuperare un certo senso di lentezza e di calma. Questo richiede tempo e capacità di fare silenzio per ascoltare. Abbiamo anche bisogno di essere pazienti se vogliamo capire chi è diverso da noi: la persona esprime pienamente se stessa non quando è semplicemente tollerata, ma quando sa di essere davvero accolta. Se siamo veramente desiderosi di ascoltare gli altri, allora impareremo a guardare il mondo con occhi diversi e ad apprezzare l’esperienza umana come si manifesta nelle varie culture e tradizioni. Ma sapremo anche meglio apprezzare i grandi valori ispirati dal Cristianesimo, ad esempio la visione dell’uomo come persona, il matrimonio e la famiglia, la distinzione tra sfera religiosa e sfera politica, i principi di solidarietà e sussidiarietà, e altri.

    Come allora la comunicazione può essere a servizio di un’autentica cultura dell’incontro? E per noi discepoli del Signore, che cosa significa incontrare una persona secondo il Vangelo? Come è possibile, nonostante tutti i nostri limiti e peccati, essere veramente vicini gli uni agli altri? Queste domande si riassumono in quella che un giorno uno scriba, cioè un comunicatore, rivolse a Gesù: «E chi è mio prossimo?» (Lc 10,29). Questa domanda ci aiuta a capire la comunicazione in termini di prossimità. Potremmo tradurla così: come si manifesta la “prossimità” nell’uso dei mezzi di comunicazione e nel nuovo ambiente creato dalle tecnologie digitali? Trovo una risposta nella parabola del buon samaritano, che è anche una parabola del comunicatore. Chi comunica, infatti, si fa prossimo. E il buon samaritano non solo si fa prossimo, ma si fa carico di quell’uomo che vede mezzo morto sul ciglio della strada. Gesù inverte la prospettiva: non si tratta di riconoscere l’altro come un mio simile, ma della mia capacità di farmi simile all’altro. Comunicare significa quindi prendere consapevolezza di essere umani, figli di Dio. Mi piace definire questo potere della comunicazione come “prossimità”.

    Quando la comunicazione ha il prevalente scopo di indurre al consumo o alla manipolazione delle persone, ci troviamo di fronte a un’aggressione violenta come quella subita dall’uomo percosso dai briganti e abbandonato lungo la strada, come leggiamo nella parabola. In lui il levita e il sacerdote non vedono un loro prossimo, ma un estraneo da cui era meglio tenersi a distanza. A quel tempo, ciò che li condizionava erano le regole della purità rituale. Oggi, noi corriamo il rischio che alcuni media ci condizionino al punto da farci ignorare il nostro prossimo reale.

    Non basta passare lungo le “strade” digitali, cioè semplicemente essere connessi: occorre che la connessione sia accompagnata dall’incontro vero. Non possiamo vivere da soli, rinchiusi in noi stessi. Abbiamo bisogno di amare ed essere amati. Abbiamo bisogno di tenerezza. Non sono le strategie comunicative a garantire la bellezza, la bontà e la verità della comunicazione. Anche il mondo dei media non può essere alieno dalla cura per l’umanità, ed è chiamato ad esprimere tenerezza. La rete digitale può essere un luogo ricco di umanità, non una rete di fili ma di persone umane. La neutralità dei media è solo apparente: solo chi comunica mettendo in gioco se stesso può rappresentare un punto di riferimento. Il coinvolgimento personale è la radice stessa dell’affidabilità di un comunicatore. Proprio per questo la testimonianza cristiana, grazie alla rete, può raggiungere le periferie esistenziali.

    Lo ripeto spesso: tra una Chiesa accidentata che esce per strada, e una Chiesa ammalata di autoreferenzialità, non ho dubbi nel preferire la prima. E le strade sono quelle del mondo dove la gente vive, dove è raggiungibile effettivamente e affettivamente. Tra queste strade ci sono anche quelle digitali, affollate di umanità, spesso ferita: uomini e donne che cercano una salvezza o una speranza. Anche grazie alla rete il messaggio cristiano può viaggiare «fino ai confini della terra» (At 1,8). Aprire le porte delle chiese significa anche aprirle nell’ambiente digitale, sia perché la gente entri, in qualunque condizione di vita essa si trovi, sia perché il Vangelo possa varcare le soglie del tempio e uscire incontro a tutti. Siamo chiamati a testimoniare una Chiesa che sia casa di tutti. Siamo capaci di comunicare il volto di una Chiesa così? La comunicazione concorre a dare forma alla vocazione missionaria di tutta la Chiesa, e le reti sociali sono oggi uno dei luoghi in cui vivere questa vocazione a riscoprire la bellezza della fede, la bellezza dell’incontro con Cristo. Anche nel contesto della comunicazione serve una Chiesa che riesca a portare calore, ad accendere il cuore.

    La testimonianza cristiana non si fa con il bombardamento di messaggi religiosi, ma con la volontà di donare se stessi agli altri «attraverso la disponibilità a coinvolgersi pazientemente e con rispetto nelle loro domande e nei loro dubbi, nel cammino di ricerca della verità e del senso dell’esistenza umana» (Benedetto XVIMessaggio per la XLVII Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali, 2013). Pensiamo all’episodio dei discepoli di Emmaus. Occorre sapersi inserire nel dialogo con gli uomini e le donne di oggi, per comprenderne le attese, i dubbi, le speranze, e offrire loro il Vangelo, cioè Gesù Cristo, Dio fatto uomo, morto e risorto per liberarci dal peccato e dalla morte. La sfida richiede profondità, attenzione alla vita, sensibilità spirituale. Dialogare significa essere convinti che l’altro abbia qualcosa di buono da dire, fare spazio al suo punto di vista, alle sue proposte. Dialogare non significa rinunciare alle proprie idee e tradizioni, ma alla pretesa che siano uniche ed assolute.

    L’icona del buon samaritano, che fascia le ferite dell’uomo percosso versandovi sopra olio e vino, ci sia di guida. La nostra comunicazione sia olio profumato per il dolore e vino buono per l’allegria. La nostra luminosità non provenga da trucchi o effetti speciali, ma dal nostro farci prossimo di chi incontriamo ferito lungo il cammino, con amore, con tenerezza. Non abbiate timore di farvi cittadini dell’ambiente digitale. È importante l’attenzione e la presenza della Chiesa nel mondo della comunicazione, per dialogare con l’uomo d’oggi e portarlo all’incontro con Cristo: una Chiesa che accompagna il cammino sa mettersi in cammino con tutti. In questo contesto la rivoluzione dei mezzi di comunicazione e dell’informazione è una grande e appassionante sfida, che richiede energie fresche e un’immaginazione nuova per trasmettere agli altri la bellezza di Dio.

    Dal Vaticano, 24 gennaio 2014, memoria di san Francesco di Sales

     

    FRANCESCO

    da http://www.vatican.va/


  • OFFLINE
    Coordin.
    00 24/01/2014 08:03
    Nessuno è "cosa non necessaria"
    Discorso di papa Francesco ai membri del corpo diplomatico presso la Santa Sede, Sala Regia, lunedì 13 gennaio 2014
    14/01/2014

    Eminenza, Eccellenze, Signore e Signori,
    È ormai una lunga e consolidata tradizione quella che, all’inizio di ogni nuovo anno, vuole che il Papa incontri il Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede per porgere voti augurali e scambiare alcune riflessioni, che sgorgano anzitutto dal suo cuore di pastore, attento alle gioie e ai dolori dell’umanità. È perciò motivo di grande letizia l’incontro di oggi. Esso mi permette di formulare a Voi personalmente, alle Vostre famiglie, alle Autorità e ai popoli che rappresentate i miei più sentiti auguri per un Anno ricco di benedizioni e di pace.

    Ringrazio anzitutto il Decano Jean-Claude Michel, il quale ha dato voce, a nome di tutti Voi, alle espressioni di affetto e di stima che legano le Vostre Nazioni alla Sede Apostolica. Sono lieto di rivedervi qui, così numerosi, dopo avervi incontrato una prima volta pochi giorni dopo la mia elezione. Nel frattempo sono stati accreditati numerosi nuovi Ambasciatori, a cui rinnovo il benvenuto, mentre, tra coloro che ci hanno lasciato, non posso non menzionare, come ha fatto il Vostro Decano, il compianto Ambasciatore Alejandro Valladares Lanza, per diversi anni Decano del Corpo Diplomatico, che il Signore ha chiamato a sé alcuni mesi fa.

    L’anno appena conclusosi è stato particolarmente denso di avvenimenti non solo nella vita della Chiesa, ma anche nell’ambito dei rapporti che la Santa Sede intrattiene con gli Stati e le Organizzazioni internazionali. Ricordo, in particolare, l’allacciamento delle relazioni diplomatiche con il Sud Sudan, la firma di accordi, di base o specifici, con Capo Verde, Ungheria e Ciad, e la ratifica di quello con la Guinea Equatoriale sottoscritto nel 2012. Anche nell’ambito regionale è cresciuta la presenza della Santa Sede, sia in America centrale, dove essa è diventata Osservatore Extra-Regionale presso il Sistema de la Integración Centroamericana, sia in Africa, con l’accreditamento del primo Osservatore Permanente presso la Comunità Economica degli Stati dell’Africa Occidentale.

    Nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, dedicato alla fraternità come fondamento e via per la pace, ho notato che «la fraternità si comincia ad imparare solitamente in seno alla famiglia» (Messaggio per la XLVII Giornata Mondiale della Pace, 8 dicembre 2013, 1), la quale «per vocazione, dovrebbe contagiare il mondo con il suo amore» (ibid.) e contribuire a far maturare quello spirito di servizio e di condivisione che edifica la pace (cfr ibid., 10). Ce lo racconta il presepe, dove vediamo la Santa Famiglia non sola e isolata dal mondo, ma attorniata dai pastori e dai magi, cioè una comunità aperta, nella quale c’è spazio per tutti, poveri e ricchi, vicini e lontani. E si comprendono così le parole del mio amato predecessore Benedetto XVI, il quale sottolineava come «il lessico familiare è un lessico di pace» (Benedetto XVI, Messaggio per la XLI Giornata Mondiale della Pace [8 dicembre 2007], 3: AAS 100 [2008], 39).
  • OFFLINE
    Credente
    00 25/01/2014 18:49

    nella Chiesa più spazio per le donne



    WCITTA’ DEL VATICANO - Si accresca la presenza femminile nella sfera pubblica, mantenendo il ruolo imprescindibile della donna nella famiglia. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nell’udienza al Cif, il Centro italiano femminile, in occasione del 70.mo anniversario di fondazione. Il Papa ha, inoltre, auspicato che si espandano gli spazzi di responsabilità delle donne in ambito ecclesiale e civile.


    La Chiesa riconosce “la forza morale” e “la forza spirituale” della donna. Papa Francesco ha iniziato il suo discorso al Cif richiamando quanto affermato dal Concilio Vaticano II e ribadito poi con forza da Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem. Il Pontefice ha rilevato che negli ultimi decenni il ruolo della donna, tanto nella famiglia quanto nella società, ha “conosciuto mutamenti notevoli”. Ed ha ricordato, come già in altre occasioni, “l’indispensabile apporto della donna nella società”, specie con la “sua sensibilità” verso i più deboli:


    “Mi sono rallegrato nel vedere molte donne condividere alcune responsabilità pastorali con i sacerdoti nell’accompagnamento di persone, famiglie e gruppi, come nella riflessione teologica; ed ho auspicato che si allarghino gli spazi per una presenza femminile più capillare ed incisiva nella Chiesa”.

    Il Papa ha auspicato che per le donne possano “ulteriormente espandersi” questi “nuovi spazi e responsabilità che si sono aperti”, “nell’ambito ecclesiale quanto in quello civile e delle professioni”. E tuttavia, ha soggiunto, non si può “dimenticare il ruolo insostituibile della donna nella famiglia”:

    “Le doti di delicatezza, peculiare sensibilità e tenerezza, di cui è ricco l’animo femminile, rappresentano non solo una genuina forza per la vita delle famiglie, per l’irradiazione di un clima di serenità e di armonia, ma una realtà senza la quale la vocazione umana sarebbe irrealizzabile”.

    “Se nel mondo del lavoro e nella sfera pubblica è importante l’apporto più incisivo del genio femminile – ha proseguito – tale apporto rimane imprescindibile nell’ambito della famiglia”. Questo, infatti, ha precisato, “per noi cristiani non è semplicemente un luogo privato, ma quellaChiesa domestica, la cui salute e prosperità è condizione per la salute e prosperità della Chiesa e della società stessa”:

    “Pensiamo alla Madonna… La Madonna nella Chiesa crea qualcosa che non possono creare i preti, i vescovi e i Papi. E’ lei il genio femminile proprio, no? E pensiamo alla Madonna nelle famiglie… A cosa fa la Madonna in una famiglia. La presenza della donna nell’ambito domestico si rivela quanto mai necessaria, dunque, per la trasmissione alle generazioni future di solidi principi morali e per la stessa trasmissione della fede”.

    “Come è possibile – si chiede dunque il Papa – crescere nella presenza efficace in tanti ambiti della sfera pubblica, nel mondo del lavoro” laddove sono “adottate le decisioni più importanti, e al tempo stesso mantenere” un’attenzione “preferenziale e del tutto speciale nella e per la famiglia?”. E qui, è stata la sua riflessione, “è il campo del discernimento che, oltre alla riflessione sulla realtà della donna nella società, presuppone la preghiera assidua e perseverante”:

    “E’ nel dialogo con Dio, illuminato dalla sua Parola, irrigato dalla grazia dei Sacramenti, che la donna cristiana cerca sempre nuovamente di rispondere alla chiamata del Signore, nel concreto della sua condizione”.

    In questo impegno, ha concluso il Papa, la presenza materna di Maria “vi indichi la strada da percorrere per approfondire il significato e il ruolo della donna nella società e per essere pienamente fedeli al Signore”.


  • OFFLINE
    Credente
    00 30/01/2014 16:18

    Papa Francesco:
    «assurdo ascoltare Cristo ma non la Chiesa»

    Lo stesso concetto lo aveva espresso durante l’Udienza del mercoledì nel maggio scorso:«Ancora oggi qualcuno dice: “Cristo sì, la Chiesa no”. Come quelli che dicono “io credo in Dio ma non nei preti”. Ma è proprio la Chiesa che ci porta Cristo e che ci porta a Dio; la Chiesa è la grande famiglia dei figli di Dio. Certo ha anche aspetti umani; in coloro che la compongono, Pastori e fedeli, ci sono difetti, imperfezioni, peccati, anche il Papa li ha e ne ha tanti, ma il bello è che quando noi ci accorgiamo di essere peccatori, troviamo la misericordia di Dio, il quale sempre perdona».

    Parole scandalose per le orecchie di molti devoti al politicamente corretto, che vorrebbero usare il “Pontefice progressista e relativista“, dicono loro, per colpire l’odiata Chiesa cattolica a suon di ricatti morali. Dopo la rivista gay che lo ha incoronato “uomo dell’anno”, dopo l’elogio del “Time”, è arrivata in questi giorni anche la copertina della rivista “Rolling Stones”, dedicata appunto a Francesco.

    Ancora una volta, però, non il vero Francesco. Ma quello finto, quello raccontato e inventato dai media e da molti vaticanisti. L’attacco mediatico a Francesco è molto più forte di quello a Ratzinger perché è subdolo e non diretto. Tanto che Francesco si vede continuamente elogiato da chi odia la Chiesa e contrapposto a Benedetto XVI. L’iniziativa di “Rolling Stones”, ha dichiarato il portavoce del Pontefice, padre Lombardi«si squalifica cadendo nell’abituale errore di un giornalismo superficiale, che per mettere in luce aspetti positivi di Papa Francesco pensa di dover descrivere in modo negativo il pontificato di Papa Benedetto, e lo fa con unarozzezza sorprendente. Peccato. Non è questo il modo di fare un buon servizio neppure al Papa Francesco, che sa benissimo quanto la Chiesa deve al suo Predecessore”.

    Il nuovo tentativo laicista, il commento di “Zenit.it”, diffonde «l’illusione dell’avvento di una Chiesa “politicamente corretta” e perfettamente in linea con i canoni del mondo secolarizzato e con lo “spirito dei tempi”». Ma la Chiesa cattolica è e rimarrà l’unica istituzione veramente libera, autonoma e indipendente da qualunque ideologia, perché formata da persone libere. Anzi, da persone liberate. Il tentativo mediatico di omologarla per l’incapacità di capirlo e poterne prendere possesso sarà fallimentare. Ancora una volta.


    [Modificato da Credente 30/01/2014 16:21]
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 05/02/2014 07:57

    Papa Francesco: «Anche Dio piange per i suoi figli ribelli,
    ma non li rinnega mai»

    «Dio piange! Gesù ha pianto per noi! E quel pianto di Gesù è proprio la figura del pianto del Padre, che ci vuole tutti con sé»
    San Pietro, udienza generale del PapaPapa Francesco, nell’omelia alla Messa oggi in Santa Marta, ha detto che anche Dio, come ogni padre, piange per i figli ribelli, che non rinnega mai. Prendendo spunto dalla lettura odierna (Davide piange la morte del figlio Assalonne), il pontefice ha fatto notare che il re si commuove per la triste sorte del figlio, sebbene questi gli avesse dichiarato guerra. La sconfitta dell’esercito di Assalonne, diventa per Davide un’amara consolazione: il figlio che lo combatteva è morto. «Un padre non rinnega mai suo figlio. “È un brigante, è un nemico. Ma è mio figlio!”… Due volte Davide pianse per un figlio: questa e l’altra quando stava per morire il figlio dell’adulterio. Anche quella volta ha fatto digiuno, penitenza per salvare la vita del figlio. Era padre!».

    Prendendo poi spunto dalla lettura in cui si narra la storia di Giàiro che prega Gesù di guarire la figlia malata, papa Francesco ha detto: «[Giàiro] era una persona importante, ma davanti alla malattia della figlia non ha vergogna di gettarsi ai piedi di Gesù».

    DIO E’ COSI’ CON NOI. «Per loro – ha spiegato il Santo Padre – ciò che è più importante è il figlio, la figlia! Non c’è un’altra cosa. L’unica cosa importante! Ci fa pensare alla prima cosa che noi diciamo a Dio, nel Credo: “Credo in Dio Padre…”. Ci fa pensare alla paternità di Dio. Ma Dio è così con noi! “Ma, Padre, Dio non piange!”. Ma come no! Ricordiamo Gesù, quando ha pianto guardando Gerusalemme. “Gerusalemme, Gerusalemme! Quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli, come la gallina raduna i suoi pulcini sotto le ali”. Dio piange! Gesù ha pianto per noi! E quel pianto di Gesù è proprio la figura del pianto del Padre, che ci vuole tutti con sé».
    Dio è un Padre come quello del figlio prodigo che è andato via «con tutti i soldi, con tutta l’eredità. Ma il padre lo aspettava» tutti i giorni e «lo ha visto da lontano». ««Il Padre ha come un’unzione che viene dal figlio: non può capire se stesso senza il figlio! E per questo ha bisogno del figlio: lo aspetta, lo ama, lo cerca, lo perdona, lo vuole vicino a sé».


  • OFFLINE
    Credente
    00 11/02/2014 11:38

    Il peccato di Davide



    di Alessandra Stoppa


    04/02/2014 - Attraverso l'episodio del re e Betsabea, il pontefice ci richiama ai nostri peccati non riconosciuti. E alle vittime di questa superbia. Il vero problema non è la tentazione, né cadere. Ma «non chiamare per nome» le proprie miserie





    Il più grande peccato di oggi è non chiamare il peccato per nome. Sostituirlo con «un problema da risolvere». Le omelie a Santa Marta sono ormai parte fondamentale del magistero di papa Francesco. Se pur così brevi e a braccio, contengono sempre i cardini del suo annuncio e del suo modo di annunciare. Come l’omelia di venerdì scorso: pochi minuti, in cui ha rimesso a fuoco la vera conoscenza del peccato e di se stessi. Ha guardato alla vicenda di re Davide per dirci quanto sia inconfessata la nostra superbia. E nel farlo ha dato un giudizio culturale molto duro sul contesto di oggi, con parole difficili da “attutire”, per la radicalità che portano. 

    Il secondo Libro di Samuele racconta che Davide s’invaghisce di Betsabea, moglie di uno dei suoi fedeli soldati, Urìa l’Hittita. La vede dalla terrazza, la vuole per sé e la ottiene. Ma Betsabea resta incinta e Davide manda Urìa in battaglia, dando l’ordine che combatta in prima fila. Dove troverà la morte. Davide non è scosso dal tradimento, né dall’assassinio: «Si trova davanti ad un grosso peccato», dice il Papa: «Ma lui non lo sente, il peccato. Non gli viene in mente di chiedere perdono». Vuole solo trovare un modo per superare il problema. E il modo più veloce è eliminare il problema stesso. 

    «Tutti siamo tentati e la tentazione è il pane nostro di ogni giorno», dice il Papa: «Se qualcuno di noi dicesse: "Io mai ho avuto tentazioni", o è un cherubino o è un po' scemo, no? È normale nella vita la lotta, il diavolo non sta tranquillo, lui vuole la sua vittoria». Ma il fatto più grave che il brano ci mette davanti non è la tentazione, né il cadere: «È come agisce Davide. Lui non pensa al peccato, ma ad un problema che deve risolvere». È una conoscenza distorta di cosa viviamo o abbiamo davanti. Non è un problema moralistico, ma una mancanza nello sguardo e nel giudizio. Innanzitutto, nella coscienza di se stessi. E lo dice un uomo che alla domanda: «Chi è Jorge Mario Bergoglio?», ha risposto: «Sono un peccatore». Non come lo diciamo noi: siamo tutti peccatori... Lo aveva spiegato sempre in una messa mattutina (del 25 ottobre): «Noi lo diciamo come cercando sempre una giustificazione. Non come san Paolo, che vive una lotta dentro di sé, e si confessa peccatore davanti alla comunità». Per questo, la vergogna che proviamo confessandoci “faccia a faccia” con il prete «è una grazia: perché il peccato è concreto, mentre noi tendiamo a nascondere la realtà delle nostre miserie». Non le riconosciamo.

    Così, le sue parole sul re Davide sono anche un giudizio potente sulla mentalità del nostro tempo, che rifiuta di chiamare le cose con il proprio nome, arrivando ad affermare che tutto è uguale a tutto: dall’aborto a ideologie come quella del genere che sostituiscono la cultura alla natura. «Questo è un segno!», dice il Papa: «Quando il Regno di Dio viene meno, quando il Regno di Dio diminuisce, un segno è che si perde il senso del peccato. Ogni giorno nel Padre Nostro chiediamo che venga il Tuo regno. Ma uno dei segni che il Regno non cresce è questa perdita del senso del peccato, che lascia spazio ad una visione antropologica superpotente». Non sentire il peccato è affermare: «Io posso tutto». E Davide è schiavo non del suo sbaglio, ma del peccato non riconosciuto. Perché non conoscere se stessi e i propri limiti non permette di sperimentare la pienezza che viene da Dio. La salvezza non verrà da noi stessi, nemmeno dalla nostra «intelligenza e astuzia», ma «dalla grazia di Dio e dall’allenamento quotidiano che noi facciamo di questa grazia». Colpisce anche la conclusione: «Io vi confesso che, quando vedo queste ingiustizie, questa superbia umana, anche quando vedo il pericolo che a me stesso avvenga questo, il pericolo di perdere il senso del peccato, mi fa bene pensare ai tanti Urìa della storia, ai tanti Urìa che anche oggi soffrono la nostra mediocrità cristiana. Sono i martiri dei nostri peccati non riconosciuti». Sono coloro che muoiono perché «pagano il conto del banchetto dei sicuri». Dei «cristiani sicuri»


  • OFFLINE
    Credente
    00 05/04/2014 19:37

    Papa Francesco sfida il riduzionismo
    della cultura secolare

    Papa francesco 

    di Aldo Vitale*
    *ricercatore in filosofia e storia del diritto

     

    «Il Signore disse a Caino:“ Dov’è Abele, tuo fratello?”. Egli rispose:“ Non lo so. Sono forse il custode di mio fratello?». Così recita uno dei primi passi della Genesi ( 4,9 ). Impossibile non rinvenire il collegamento concettuale e teologico con le parole di Papa Francesco nella sua Omelia dello scorso 19 marzo 2013, allorquando il neo-eletto Pontefice ha fermamente ribadito l’imperativo etico in base al quale ciascuno è e deve essere custode dell’altro, del proprio prossimo specificando inoltre che «la vocazione del custodire, però, non riguarda solamente noi cristiani, ha una dimensione che precede e che è semplicemente umana, riguarda tutti».

    Papa Francesco, quindi, ha lanciato una sfida al mondo secolare il quale, sempre più atrofizzato nella sua visione soggettivistica e nella sua concezione relativisticadella natura umana, inciampa su un duplice errore. Per un verso, infatti, si tende ad esaltare il valore della tutela dell’ambiente e della natura, equiparando addirittura l’uomo alle altre creature, senza cogliere e problematizzare le differenze esistenti, mentre, all’un tempo, per altro verso si ritiene che ad una accresciuta tutela dei diritti degli animali (sottraendo gli stessi agli esperimenti da laboratorio, alle manipolazioni genetiche, alla vivisezione e ad altre pratiche artificiose ) non corrisponda una simile salvaguardia da estendere in favore dell’uomo, il cui embrione, per esempio tra i tanti, può essere creato, modificato, manipolato, selezionato, distrutto a seconda delle esigenze o dei desideri del momento.

    La provocazione di Papa Francesco si oppone, quindi, alla “vocazione riduzionistica” della cultura secolare contemporanea, ritematizzando in senso più ampio e luminoso il problema dell’ecologia che, a questo punto, può essere interpretata come vera e propria bioetica globale, anzi, riproponendo il problema del creato e della custodia reciproca come dimensione etica universale, Papa Francesco, in modo più che razionale, ha indicato la via per intendere la bioetica come vera e propria forma di ecologia umana. Nell’ambito bioetico, il tema del custodire è quanto mai fertile e foriero di suggestioni. Vi è il custodire della madre rispetto al proprio feto; il custodire del medico rispetto alla vita dei propri pazienti; il custodire dei parenti rispetto alla dignità di chi versa in stati patologici cronici o terminali; il custodire dello scienziato rispetto alla indisponibilità della vita nelle sue molteplici caratterizzazioni e fasi di sviluppo; il custodire dei legislatori rispetto all’integrità sociale fondata sulla famiglia quale società naturale incardinata sull’unione tra uomo e donna; il custodire della sanità pubblica rispetto al diritto alle prestazioni mediche delle fasce meno abbienti; il custodire del bioeticista rispetto al senso del dolore e della sofferenza; il custodire del giurista rispetto a ciò che è giusto o ingiusto, oltrepassando, se necessario, il mero dato della legislazione positiva.

    Il grande scienziato Jerome Lejeune amava raccontare il suo stupore allorquando venne a scoprire, durante una sua conferenza, che l’espressione da lui stesso utilizzata per anni di “tempio segreto” per identificare la gravidanza, coincideva con l’analoga espressione, tipica della cultura giapponese, shi-kyu, cioè “palazzo del bambino”; in entrambi i casi emerge vigorosamente il tema della custodia. In un tempio, infatti, si trova ciò che è sacro, così come nel tempio della vita, cioè la gravidanza, pur nella sua sacrale misteriosità, anzi, proprio per la sua segretezza, si custodisce il feto; al feto si dedica addirittura un “intero palazzo”, cioè la gravidanza, affinché possa essere cresciuto, accudito, per l’appunto custodito. Nella gravidanza, si potrebbe ritenere, l’umanità custodisce se stessa, non già in termini banalmente riconducibili alla successione biologica, circostanza di per sé evidente, ma nel senso ontologico ed etico, per cui in essa l’umanità custodisce il senso di se stessa in quanto consacra la custodia dell’altro, di quell’altro che è più debole, di quell’altro che è più indifeso.

    La sfida di Papa Bergoglio alla modernità, quindi, si muove esattamente in questa direzione, cioè nell’avere il coraggio di fuoriuscire da un’etica utilitaristica ed individualistica, per recuperare, tramite la custodia dell’altro, l’etica della naturale relazionalità. Come ha evidenziato Ryszard Kapuscinski«l’uomo della società di massa è caratterizzato dall’anonimità, dalla mancanza di legami sociali, dall’indifferenza verso l’altro e, a causa del suo sdradicamento culturale, dall’impotenza e dalla vulnerabilità al male, con tutte le sue tragiche conseguenze, di cui la più disumana sarà l’Olocausto». Papa Bergoglio, del resto, si inserisce lungo la via del magistero morale tracciata in questo senso dai suoi predecessori. Giovanni Paolo II, infatti, nel 1995, parlando all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, non evitò di ribadire che «non viviamo in un mondo irrazionale o privo di senso, vi è una logica morale che illumina l’esistenza umana e rende possibile il dialogo tra gli uomini e tra i popoli»Benedetto XVI, infine, ha più volte approfondito il problema, ricordando per l’appunto che l’interruzione volontaria di gravidanza e la sperimentazione sugli embrioni rappresentano una negazione dell’atteggiamento di accoglienza verso l’altro, cioè, in sostanza, una diretta negazione dell’altro: «Scrive Giovanni Paolo II nella Lettera enciclica Centesimus annus: “Non solo la terra è stata data da Dio all’uomo, che deve usarla rispettando l’intenzione originaria di bene, secondo la quale gli è stata donata; ma l’uomo è stato donato a se stesso da Dio e deve, perciò, rispettare la struttura naturale e morale, di cui è stato dotato ”. E’ rispondendo a questa consegna, a lui affidata dal Creatore, che l’uomo, insieme ai suoi simili, può dar vita a un mondo di pace. Accanto all’ecologia della natura c’è dunque un’ecologia che potremmo dire “umana”, la quale a sua volta richiede un’“ecologia sociale”».

    Papa Francesco, insomma, già dall’inizio del suo pontificato non solo si dimostraattento continuatore del magistero morale dei suoi predecessori, ma lascia intendere che il suo Pontificato rappresenterà un baluardo in difesa dei diritti indisponibili, all’insegna non già di un naturismo ideologico o di un ambientalismo cieco e aprioristico, ma proponendo una ecologia che abbia al suo centro un umanesimo integrale, razionale, relazionale. In un’epoca in cui impera una cultura tanatocratica, tramite l’invito al mondo secolare ad attivarsi in favore delle ragioni della natura, il nuovo Pontefice esorta tutti e ciascuno ad abbandonare gli schemi irrazionali ed irragionevoli dell’ideologia per abbracciare, invece, gli assiomi razionali di una ecologia umana, cioè fondata sulla verità ontologica dell’uomo. Per questo, in conclusione, possono utilizzarsi le stesse parole di Papa Francesco che ha ricordato come tutti «siamo custodi della creazione, del disegno di Dio iscritto nella natura, custodi dell’altro, dell’ambiente; non lasciamo che segni di distruzione e di morte accompagnino il cammino di questo nostro mondo».


  • OFFLINE
    Coordin.
    00 17/05/2014 07:46

    Commercio armi e migrazioni forzate mettono a rischio la pace:
    così il Papa ad un gruppo di ambasciatori

    Il Papa ha ricevuto stamani in Vaticano gli ambasciatori di Svizzera, Liberia, Etiopia, Sudan, Giamaica, Sud Africa e India in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali. “Vi sono riconoscente – ha detto - per la disponibilità con cui intraprendete tale missione e vi prego di far giungere l’espressione della mia gratitudine e del mio rispetto ai Capi di Stato dei vostri Paesi. Ad essi e a ciascuno di voi assicuro un ricordo nella preghiera, e per le Nazioni a cui appartenete invoco da Dio onnipotente abbondanza di prosperità e di pace. La pace. Questa parola riassume tutti i beni a cui aspirano ogni persona e tutte le società umane. Anche l’impegno con cui cerchiamo di promuovere le relazioni diplomatiche non ha, in ultima analisi, altro scopo che questo: far crescere nella famiglia umana la pace nello sviluppo e nella giustizia. Si tratta di una meta mai pienamente raggiunta, che chiede di essere ricercata nuovamente da parte di ogni generazione, affrontando le sfide che ogni epoca pone”.
    “Guardando alle sfide che in questo nostro tempo è urgente affrontare per costruire un mondo più pacifico – ha proseguito - vorrei sottolinearne due: il commercio delle armi e le migrazioni forzate.

    Tutti parlano di pace, tutti dichiarano di volerla, ma purtroppo il proliferare di armamenti di ogni genere conduce in senso contrario. Il commercio delle armi ha l’effetto di complicare e allontanare la soluzione dei conflitti, tanto più perché esso si sviluppa e si attua in larga parte al di fuori della legalità. Ritengo pertanto che, mentre siamo riuniti in questa Sede Apostolica, che per sua natura è investita di uno speciale servizio alla causa della pace, possiamo unire le nostre voci nell’auspicare che la comunità internazionale dia luogo ad una nuova stagione di impegno concertato e coraggioso contro la crescita degli armamenti e per la loro riduzione”.

    Poi ha aggiunto: “Un’altra sfida alla pace che è sotto i nostri occhi, e che purtroppo assume in certe regioni e in certi momenti il carattere di vera e propria tragedia umana, è quello delle migrazioni forzate. Si tratta di un fenomeno molto complesso, e occorre riconoscere che sono in atto sforzi notevoli da parte delle Organizzazioni internazionali, degli Stati, delle forze sociali, come pure delle comunità religiose e del volontariato, per cercare di rispondere in modo civile e organizzato agli aspetti più critici, alle emergenze, alle situazioni di maggiore bisogno. Ma, anche qui, ci rendiamo conto che non ci si può limitare a rincorrere le emergenze. Ormai il fenomeno si è manifestato in tutta la sua ampiezza e nel suo carattere, per così dire, epocale. E’ giunto il momento di affrontarlo con uno sguardo politico serio e responsabile, che coinvolga tutti i livelli: globale, continentale, di macro-regioni, di rapporti tra Nazioni, fino al livello nazionale e locale”.

    “Noi – ha detto il Papa - possiamo osservare in questo campo esperienze tra loro opposte. Da una parte, storie stupende di umanità, di incontro, di accoglienza; persone e famiglie che sono riuscite ad uscire da realtà disumane e hanno ritrovato la dignità, la libertà, la sicurezza. Dall’altra parte, purtroppo, ci sono storie che ci fanno piangere e vergognare: esseri umani, nostri fratelli e sorelle, figli di Dio che, spinti anch’essi dalla volontà di vivere e lavorare in pace, affrontano viaggi massacranti e subiscono ricatti, torture, soprusi di ogni genere, per finire a volte a morire nel deserto o in fondo al mare”.

    “Il fenomeno delle migrazioni forzate – ha osservato - è strettamente legato ai conflitti e alle guerre, e dunque anche al problema della proliferazione delle armi, di cui parlavo prima. Sono ferite di un mondo che è il nostro mondo, nel quale Dio ci ha posto a vivere oggi e ci chiama ad essere responsabili dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perché nessun essere umano sia violato nella sua dignità. Sarebbe un’assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, al tempo stesso, promuovere o permettere il commercio di armi. Potremmo anche pensare che sarebbe un atteggiamento in un certo senso cinico proclamare i diritti umani e, contemporaneamente, ignorare o non farsi carico di uomini e donne che, costretti a lasciare la loro terra, muoiono nel tentativo o non sono accolti dalla solidarietà internazionale”.

    Il Papa ha così concluso il suo discorso: Signori Ambasciatori, la Santa Sede dichiara oggi a voi e ai Governi dei vostri rispettivi Paesi la sua ferma volontà di continuare a collaborare affinché si compiano passi in avanti su questi fronti e in tutte le strade che conducono alla giustizia e alla pace, sulla base dei diritti umani universalmente riconosciuti. Nel momento in cui inaugurate la vostra missione, vi rivolgo i miei auguri più sentiti, assicurando la collaborazione della Curia Romana per l’adempimento della vostra funzione. E mentre vi esprimo nuovamente la mia riconoscenza, invoco volentieri su di voi, sui collaboratori e sulle vostre famiglie l’abbondanza delle Benedizioni divine. Grazie”.

    Commercio armi e migrazioni forzate mettono a rischio la pace: così il Papa ad un gruppo di ambasciatori

Il Papa ha ricevuto stamani in Vaticano gli ambasciatori di Svizzera, Liberia, Etiopia, Sudan, Giamaica, Sud Africa e India in occasione della presentazione delle Lettere Credenziali. “Vi sono riconoscente – ha detto - per la disponibilità con cui intraprendete tale missione e vi prego di far giungere l’espressione della mia gratitudine e del mio rispetto ai Capi di Stato dei vostri Paesi. Ad essi e a ciascuno di voi assicuro un ricordo nella preghiera, e per le Nazioni a cui appartenete invoco da Dio onnipotente abbondanza di prosperità e di pace. La pace. Questa parola riassume tutti i beni a cui aspirano ogni persona e tutte le società umane. Anche l’impegno con cui cerchiamo di promuovere le relazioni diplomatiche non ha, in ultima analisi, altro scopo che questo: far crescere nella famiglia umana la pace nello sviluppo e nella giustizia. Si tratta di una meta mai pienamente raggiunta, che chiede di essere ricercata nuovamente da parte di ogni generazione, affrontando le sfide che ogni epoca pone”.
“Guardando alle sfide che in questo nostro tempo è urgente affrontare per costruire un mondo più pacifico – ha proseguito - vorrei sottolinearne due: il commercio delle armi e le migrazioni forzate.

Tutti parlano di pace, tutti dichiarano di volerla, ma purtroppo il proliferare di armamenti di ogni genere conduce in senso contrario. Il commercio delle armi ha l’effetto di complicare e allontanare la soluzione dei conflitti, tanto più perché esso si sviluppa e si attua in larga parte al di fuori della legalità. Ritengo pertanto che, mentre siamo riuniti in questa Sede Apostolica, che per sua natura è investita di uno speciale servizio alla causa della pace, possiamo unire le nostre voci nell’auspicare che la comunità internazionale dia luogo ad una nuova stagione di impegno concertato e coraggioso contro la crescita degli armamenti e per la loro riduzione”.

Poi ha aggiunto: “Un’altra sfida alla pace che è sotto i nostri occhi, e che purtroppo assume in certe regioni e in certi momenti il carattere di vera e propria tragedia umana, è quello delle migrazioni forzate. Si tratta di un fenomeno molto complesso, e occorre riconoscere che sono in atto sforzi notevoli da parte delle Organizzazioni internazionali, degli Stati, delle forze sociali, come pure delle comunità religiose e del volontariato, per cercare di rispondere in modo civile e organizzato agli aspetti più critici, alle emergenze, alle situazioni di maggiore bisogno. Ma, anche qui, ci rendiamo conto che non ci si può limitare a rincorrere le emergenze. Ormai il fenomeno si è manifestato in tutta la sua ampiezza e nel suo carattere, per così dire, epocale. E’ giunto il momento di affrontarlo con uno sguardo politico serio e responsabile, che coinvolga tutti i livelli: globale, continentale, di macro-regioni, di rapporti tra Nazioni, fino al livello nazionale e locale”.

“Noi – ha detto il Papa - possiamo osservare in questo campo esperienze tra loro opposte. Da una parte, storie stupende di umanità, di incontro, di accoglienza; persone e famiglie che sono riuscite ad uscire da realtà disumane e hanno ritrovato la dignità, la libertà, la sicurezza. Dall’altra parte, purtroppo, ci sono storie che ci fanno piangere e vergognare: esseri umani, nostri fratelli e sorelle, figli di Dio che, spinti anch’essi dalla volontà di vivere e lavorare in pace, affrontano viaggi massacranti e subiscono ricatti, torture, soprusi di ogni genere, per finire a volte a morire nel deserto o in fondo al mare”.

“Il fenomeno delle migrazioni forzate – ha osservato - è strettamente legato ai conflitti e alle guerre, e dunque anche al problema della proliferazione delle armi, di cui parlavo prima. Sono ferite di un mondo che è il nostro mondo, nel quale Dio ci ha posto a vivere oggi e ci chiama ad essere responsabili dei nostri fratelli e delle nostre sorelle, perché nessun essere umano sia violato nella sua dignità. Sarebbe un’assurda contraddizione parlare di pace, negoziare la pace e, al tempo stesso, promuovere o permettere il commercio di armi. Potremmo anche pensare che sarebbe un atteggiamento in un certo senso cinico proclamare i diritti umani e, contemporaneamente, ignorare o non farsi carico di uomini e donne che, costretti a lasciare la loro terra, muoiono nel tentativo o non sono accolti dalla solidarietà internazionale”.

Il Papa ha così concluso il suo discorso: Signori Ambasciatori, la Santa Sede dichiara oggi a voi e ai Governi dei vostri rispettivi Paesi la sua ferma volontà di continuare a collaborare affinché si compiano passi in avanti su questi fronti e in tutte le strade che conducono alla giustizia e alla pace, sulla base dei diritti umani universalmente riconosciuti. Nel momento in cui inaugurate la vostra missione, vi rivolgo i miei auguri più sentiti, assicurando la collaborazione della Curia Romana per l’adempimento della vostra funzione. E mentre vi esprimo nuovamente la mia riconoscenza, invoco volentieri su di voi, sui collaboratori e sulle vostre famiglie l’abbondanza delle Benedizioni divine. Grazie”.

  • OFFLINE
    Coordin.
    00 16/06/2014 08:34

    Il Papa: «L’Europa è stanca Aiutiamola a ringiovanire»


    La comunità ebraica ha invitato il Pontefice nella sinagoga








    • PAPA, FRANCESCO CONCLUDE SUA VISITA A S. EGIDIO - FOTO 2





    Neppure il nubifragio che si è abbattuto su Roma ha fermato le migliaia di fedeli che si sono accalcati nelle piazze e nelle strade di Trastevere per ascoltare le parole di Papa Francesco in visita alla Comunità di S. Egidio. A dire il vero, a un certo punto la violenza dell’acquazzone ha coperto anche la voce del Pontefice diffusa dagli altoparlanti. Ma non ha impedito, una volta passato, di pregare e cantare con quanti si trovavano all’interno della basilica di S. Maria in Trastevere.


    Nelle strade del rione c’era davvero tutto il mondo, come di tutto il mondo sono le persone coinvolte nelle attività di S. Egidio. Sulla soglia di quella che può essere definita una roccaforte dell’ecumenismo e del dialogo interreligioso, Francesco ha ricevuto da parte della delegazione ebraica guidata da Riccardo Pacifici l’invito formale a visitare la sinagoga di Roma. Il Papa ha accettato ed ha assicurato che pregherà per i ragazzi israeliani rapiti. C’è stato anche spazio per la Siria, attraverso le parole dell’arcivescovo siro-ortodosso di Damasco, Jean Kawak, che nel suo intervento ha ricordato che «il popolo siriano è prigioniero del male» come sono prigionieri «il nostro metropolita Gregorios Yohanna Ibrahim e il vescovo greco-ortdosso Paul Yazigi, amici di questa comunità. Prigionieri sono tanti sacerdoti, penso a padre Paolo Dall'Oglio, ai padri Maher Mahfuz e Michel Kayyal». Per tutti loro «attendiamo la buona notizia della loro liberazione». La pace è stato uno dei temi toccati anche dal fondatore della Comunità, Andrea Riccardi. E ancora gli anziani, i giovani, i disabili, i disoccupati, i rifugiati, i rom hanno avuto modo di raccontare al Papa la loro esperienza, il loro entrare in contatto con i volontari, la nascita di un’amicizia radicata nel rispetto reciproco, nel sogno di migliorare la società. «Chi è familiare dei poveri - ha detto Riccardi - vuole un mondo diverso. I poveri sono gli amici che ci hanno insegnato a vivere non per noi stessi».


    E a questa «tavola» c’è stato un invitato speciale: l’Europa (tra l’altro all’Angelus il Papa ha annunciato che il 21 settembre andrà in Albania). «Abbiamo sentito la stanchezza della nostra Europa invecchiata, introversa, preoccupata di sé, tutta economia che diventa avarizia - ha affermato ancora Riccardi - È la stanchezza di Roma, invecchiata, un po’ malata, con poca speranza».


    «L'Europa si è stancata, non è invecchiata, ma non sa cosa fare – ha replicato il Papa - Mi hanno chiesto perché non parlo dell'Europa. Ho risposto con un trabocchetto: quando ho parlato dell'Asia? Ma stasera voglio parlare dell'Europa. È stanca - ha ripetuto - dobbiamo aiutarla a ringiovanire, ha rinnegato le sue radici, dobbiamo aiutarla a ritrovarle. Per mantenere l'equilibrio dell'economia mondiale si scartano i bambini: niente bambini in Italia, Francia, Spagna... E si scartano gli anziani con una forma di eutanasia nascosta: quello che non serve e non produce, allora si scarta. Oggi è così grande la crisi che si scartano anche i giovani in quest'Europa stanca. Solidarietà - ha poi ribadito - non è una parolaccia da togliere dal vocabolario, ma una parola cristiana».


    Parole nelle quali riecheggiano quelle di Irma Lombardo, 90 anni: «Oggi - ha detto al Papa - sono una persona fragile, ho bisogno di essere accompagnata ed aiutata. Ma non sento questo come una condanna. Ho imparato, da anziana, che la vera condanna, ad ogni età, è dover camminare da soli nella vita». Anziani e giovani. Un binomio che sta molto a cuore al Papa. E così l’intervento di Francesca, 12 anni, di Tor Bella Monaca, diventa emblematico: attraverso il racconto della sua amicizia nata in una casa di riposo con un’anziana che ha rischiato di morire, ha «capito che non siamo noi che diamo qualcosa agli anziani, perché riceviamo moltissimo da loro». Un punto da cui ripartire.





  • OFFLINE
    Coordin.
    00 19/06/2014 08:05

    La Chiesa non è una ong,
    ma un popolo in cammino

     
     

    Finita la catechesi sui doni dello Spirito Santo papa Francesco comincia quella sulla natura della Chiesa. Che «non è una istituzione finalizzata a se stessa, non è una ong», chiarisce subito. «E nemmeno», aggiunge dopo aver scherzato sul tempo che minaccia pioggia, «si deve pensare che la Chiesa sono solo i preti, non bisogna restringerla ai sacerdoti, ai preti, al Vaticano. La Chiesa siamo tutti, siamo tutti famiglia nella madre». Non solo, parlando molto a braccio, il Papa sottolinea che «la Chiesa è una realtà più ampia che non nasce in un laboratorio, la Chiesa non è nata improvvisamente, ma è un popolo con una storia lunga alle spalle e una preparazione che nasce molto prima di Cristo stesso. Cristo la fonda, ma  questa storia della Chiesa si trova già nelle pagine dell'Antico Testamento». 

    Papa Francesco parla della vocazione di Abramo, quando Dio lo scelse e «gli chiese di partire e di andare in un'altra terra che lui gli avrebbe indicato. In questa vocazione Dio non chiama Abramo da solo, ma coinvolge la sua famiglia e tutti quelli che sono a servizio della sua famiglia. E gli promette una discendenza numerosa». 
    Dio allargherà ancora la sua famiglia promettendogli una discendenza.
    Il Papa sottolinea un «primo dato importante che è questo: cominciando da Abramo, Dio forma un popolo perché porti la sua benedizione a tutte le famiglie del mondo. Dio fa questo popolo,fa  la Chiesa in cammino e lì nasce Gesù, in questo popolo».
    Secondo elemento: «non è Abramo a costruire un popolo attorno a sé, ma è Dio che lo forma. In questo caso si assiste a qualcosa di inaudito: è Dio stesso a prendere l'iniziativa, è Dio stesso che bussa alla porta di Abramo e dice vai avanti, va nella tua terra, comincia a camminare e io farò di te un grande popolo. Dio prende l'iniziativa». C'è un dialogo tra Abramo e Dio. E anche «noi possiamo parlare con Dio e Dio parla con noi, questo si chiama preghiera». Dio forma un popolo «con tutti coloro che ascoltano la sua Parola e che si mettono in cammino, fidandosi di Lui», spiega ancora papa Francesco. 

    Ma, ed è il terzo elemento, c'è una condizione per essere popolo e «questa unica condizione è fidarsi di Dio. Se ti fidi di Dio ascolti e ti metti in cammino, questo fa la Chiesa. L'amore di Dio precede tutto e Dio sempre è il primo, arriva prima di noi». Cita «il profeta Isaia o Geremia, non ricordo bene, che diceva che la Chiesa è come il fiore del mandorlo che fiorisce sempre prima e annuncia la primavera. Lui è sempre in anticipo di noi e questo si chiama amore, perché Dio ci aspetta sempre.  Questa è la bellezza della Chiesa che ci porta a questo Dio che ci aspetta».
    E sulla fiducia spiega che «Abramo si mette in cammino anche se non sanno bene chi sia questo Dio e dove vuole condurlo Abramo non aveva un libro di teologia per studiare Dio, si fida di Dio. Questo però non significa che questa gente siano sempre convinti e fedeli. Anzi fin dall'inizio ci sono le resistenze, il ripiegamento su se stessi e sui propri interessi e la tentazione di mercanteggiare con Dio per risolvere le cose a modo proprio. Questi sono i peccati che segnano il cammino del popolo lungo tutto il percorso della salvezza: è la storia della fedeltà di Dio e della infedeltà del popolo. Dio però non si stanca, ha pazienza, tanta pazienza. E nel tempo continua a formare il suo popolo come un padre forma il proprio figlio. Dio cammina con noi e il profeta Osea dice Io ho camminato con te e ti ho insegnato a camminare come un padre insegna al bambino».

    Il Papa non si stanca di ricordare che «il  Signore ci vuole bene e si prende cura di noi». Ed è questa la buona novella che dobbiamo portare agli altri perché «noi cristiani siamo gente che benedice e sa benedire: che bella vocazione!».


  • OFFLINE
    Credente
    00 20/06/2014 20:17

    Papa Francesco: i tweet più belli
    ai giovani e sul lavoro nei primi mesi di pontificato

    Papa Francesco ha sempre utilizzato tutti i mezzi di comunicazione a sua disposizione: ecco i tweet più belli lanciati.

    I tweet più belli di Papa Francesco

    In occasione della Giornata delle Comunicazioni Sociali, in cui il tema cardine è quello dell'eventualità dell'entrata della Chiesa sul web, Papa Francesco delinea la necessità di raggiungere "le periferie", futuro del mondo, gli spazi che molto spesso soffrono della povertà della cultura e della comunicazione. Twitter diventa così per Papa Francesco uno strumento di comunicazione immediato e di guida per i fedeli. Ecco alcuni tweet più belli lanciati durante il suo primo anno di pontificato.

    Papa Francesco: i tweet più belli

    24 marzo 2013: Non dobbiamo credere al maligno che dice che non possiamo fare nulla contro la violenza, l'ingiustizia, il peccato. Il 28 marzo, Papa Francesco celebra nel carcere minorile di Casal del Marmo a Roma il Giovedì Santo, lavando i piedi anche a due ragazze: una è musulmana.

     

    31 marzo 2013: Accetta Gesù risorto nella tua vita. Anche se sei stato lontano, fa' un piccolo passo verso di Lui: ti sta aspettando a braccia aperte. Per Papa Francesco è la prima Pasqua a San Pietro, e celebra la messa davanti a 250mila fedeli. Nel messaggio Urbi et Orbi, il Papa chiede la pace in Siria, Africa, Iraq e tra le due Coree: "Basta tratta degli esseri umani".

    7 aprile 2013: Che bello è lo sguardo di Gesù su di noi, quanta tenerezza! Non perdiamo mai la fiducia nella misericordia paziente di Dio! E ancora il 22 aprile 2013: Ciascuno di noi ha nel cuore il desiderio dell'amore, della verità, della vita...e Gesù è tutto questo in pienezza!

    26 aprile 2013: Cari giovani, non sotterrate i talenti, i doni che Dio vi ha dato! Non abbiate paura di sognar cose grandi! Il 28 aprile Papa Francesco, durante la messa in Piazza San Pietro, si è rivolto ai 44 fedeli cresimati, invitandoli a scommettere sulle "cose grandi". E ancora il 1 maggio 2013: Cari giovani, imparate da San Giuseppe, che ha avuto momenti difficili, ma non ha mai perso la fiducia, e ha saputo superarli. Il2 maggio 2013: Penso a quanti sono disoccupati, spesso a causa di una mentalità egoista che cerca il profitto ad ogni costo.

    16 maggio 2013: Non possiamo essere cristiani "part-time". Cerchiamo di vivere la nostra fede in ogni momento, ogni giorno. 17 maggio 2013: La nostra vita è davvero animata da Dio? Quante cose metto prima di Dio ogni giorno? 26 maggio 2013: Ogni volta che seguiamo il nostro egoismo e diciamo No a Dio, roviniamo la sua storia d'amore con noi. 28 maggio 2013: Cari Giovani, la Chiesa si aspetta molto da voi e dalla vostra generosità. Non perdete coraggio e puntate in alto.

    9 giugno 2013: Con "la cultura dello scarto" la vita umana non è più sentita come valore primario da rispettare e tutelare. 17 giugno 2013: Siamo arrabbiati con qualcuno? Preghiamo per quella persona. Questo è amore cristiano. 30 giugno 2013: Un cristiano non può essere mai annoiato o triste. Chi ama Cristo è una persona piena di gioia e che diffonde gioia.


  • OFFLINE
    Coordin.
    00 26/06/2014 08:02
    Questo cammino lo possiamo vivere non soltanto grazie ad altre persone, ma insieme ad altre persone. Nella Chiesa non esiste il “fai da te”, non esistono “battitori liberi”. Quante volte Papa Benedetto ha descritto la Chiesa come un “noi” ecclesiale! Talvolta capita di sentire qualcuno dire: “Io credo in Dio, credo in Gesù, ma la Chiesa non m’interessa…”. Quante volte abbiamo sentito questo? E questo non va. C’è chi ritiene di poter avere un rapporto personale, diretto, immediato con Gesù Cristo al di fuori della comunione e della mediazione della Chiesa. Sono tentazioni pericolose e dannose. Sono, come diceva il grande Paolo VI, dicotomie assurde. È vero che camminare insieme è impegnativo, e a volte può risultare faticoso: può succedere che qualche fratello o qualche sorella ci faccia problema, o ci dia scandalo… Ma il Signore ha affidato il suo messaggio di salvezza a delle persone umane, a tutti noi, a dei testimoni; ed è nei nostri fratelli e nelle nostre sorelle, con i loro doni e i loro limiti, che ci viene incontro e si fa riconoscere. E questo significa appartenere alla Chiesa. Ricordatevi bene: essere cristiano significa appartenenza alla Chiesa. Il nome è “cristiano”, il cognome è “appartenenza alla Chiesa”.
    Cari amici, chiediamo al Signore, per intercessione della Vergine Maria, Madre della Chiesa, la grazia di non cadere mai nella tentazione di pensare di poter fare a meno degli altri, di poter fare a meno della Chiesa, di poterci salvare da soli, di essere cristiani di laboratorio. Al contrario, non si può amare Dio senza amare i fratelli, non si può amare Dio fuori della Chiesa; non si può essere in comunione con Dio senza esserlo nella Chiesa, e non possiamo essere buoni cristiani se non insieme a tutti coloro che cercano di seguire il Signore Gesù, come un unico popolo, un unico corpo, e questo è la Chiesa. Grazie.

    (Papa Francesco)
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 27/06/2014 07:49
    PAPA FRANCESCO

    MEDITAZIONE MATTUTINA NELLA CAPPELLA DELLA
    DOMUS SANCTAE MARTHAE

    Quelli che parlano senza autorità

    Giovedì, 26 giugno 2014



    (da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIV, n.144, Ven. 27/06/2014)



    La gente ha bisogno del «buon pastore» che sa capire e arrivare al cuore. Proprio come Gesù. Ed è lui che dobbiamo seguire da vicino, senza farci influenzare da coloro che «parlano di cose astratte o casistiche morali», da quanti «senza la fede negoziano tutto con i poteri politici ed economici», dai «rivoluzionari» che vogliono intraprendere «guerre cosiddette di liberazione» politica o dai «contemplativi lontani dal popolo».

    È proprio da questi quattro atteggiamenti che Papa Francesco ha messo in guardia durante la messa celebrata giovedì 26 giugno, nella cappella della Casa Santa Marta. Anzitutto il Pontefice ha posto in risalto come fosse davvero tanta la gente che seguiva Gesù: «Pensiamo al giorno della moltiplicazione dei pani, ce ne erano più di cinquemila». Era gente che seguiva Gesù da vicino, «per le strade». E lo seguivano, spiega il Vangelo, «perché le parole di Gesù davano stupore al loro cuore: lo stupore di trovare qualcosa di buono, grande». Gesù «infatti insegnava loro come uno che ha autorità, non come i loro scribi». Uno stupore raccontato dal passo evangelico di Matteo proposto dalla liturgia (7, 21-29).

    «Il popolo — ha affermato il Pontefice — aveva bisogno di insegnanti, di predicatori, di dottori con autorità». E coloro che «non avevano autorità» parlavano, ma le loro parole non raggiungevano il popolo, «erano lontani dal popolo». Invece la novità era che «Gesù parlava un linguaggio che arrivava al cuore del popolo, era una risposta alle loro domande».

    Papa Francesco ha voluto soffermarsi proprio su «questi scribi, che in quel tempo parlavano al popolo» ma «il loro messaggio non arrivava al cuore del popolo e il popolo li sentiva e se ne andava». E ne ha indicato quattro categorie.

    Sicuramente «il gruppo più conosciuto era quello dei farisei» ha detto, sottolineando però che «c’erano anche farisei buoni». Ma «Gesù, quando si riferisce ai farisei, parla dei farisei cattivi, non dei buoni». Erano persone che «facevano del culto di Dio, della religione, una collana di comandamenti» e da dieci «ne facevano più di trecento!». In sintesi «caricavano sulle spalle del popolo questo peso: “Tu devi fare questo! Tu devi!”». Riducevano a casistica la fede nel Dio vivo, finendo così nelle «contraddizioni della casistica più crudele». E da parte sua, ha notato il Papa, «il popolo li rispettava, perché il popolo è rispettoso, ma non ascoltava questi predicatori casistici».

    Un altro gruppo, ha proseguito il Pontefice, «era quello dei sadducei: questi non avevano fede, avevano perso la fede». E così «il loro mestiere religioso lo facevano sulla strada degli accordi con i poteri: i poteri politici, i poteri economici». In poche parole, «erano uomini di potere e negoziavano con tutti». Ma «il popolo non seguiva» neppure loro.

    «Un terzo gruppo — ha spiegato ancora — era quello dei rivoluzionari» che in quel tempo si chiamavano spesso zeloti. Erano «quelli che volevano fare la rivoluzione per liberare il popolo di Israele dall’occupazione romana». Così «lì c’erano anche i guerriglieri», ma «il popolo ha buonsenso e sa distinguere quando la frutta è matura e quando non lo è». E per questo «non li seguiva».

    Infine, ha affermato il Papa, «il quarto gruppo» era composto da brava gente: gli esseni. «Erano monaci — ha detto — gente buona che consacrava la vita a Dio: faceva la contemplazione e la preghiera nei monasteri». Ma «loro erano lontani dal popolo e il popolo non poteva seguirli».

    Dunque, ha riepilogato il Pontefice, «queste erano le voci che arrivavano al popolo». Eppure «nessuna di queste voci aveva la forza di riscaldare il cuore del popolo». Gesù, invece, ci riusciva. E per questo «le folle erano stupite: sentivano Gesù e il cuore era caldo», perché il suo messaggio «arrivava al cuore» ed egli «insegnava come uno che ha autorità». Infatti, ha proseguito, «Gesù si avvicinava al popolo; Gesù guariva il cuore del popolo; Gesù capiva le difficoltà del popolo; Gesù non aveva vergogna di parlare con i peccatori, andava a trovarli; Gesù sentiva gioia, gli faceva piacere andare con il suo popolo». Ed è lui stesso a spiegare «perché», ha precisato il Papa citando le parole del Vangelo di Giovanni: «Io sono il buon pastore. Le pecorelle sentono la mia voce e mi seguono».

    È esattamente «per questo che il popolo seguiva Gesù: perché era il buon pastore». Certamente, ha rilevato il vescovo di Roma, «non era né un fariseo casistico moralista; né un sadduceo che faceva gli affari politici con i potenti; né un guerrigliero che cercava la liberazione politica del suo popolo; né un contemplativo del monastero. Era un pastore». Egli, ha aggiunto il Pontefice, «parlava la lingua del suo popolo, si faceva capire, diceva la verità, le cose di Dio: non negoziava mai le cose di Dio. Ma le diceva in tal modo che il popolo amava le cose di Dio. Per questo lo seguiva».

    Un altro punto centrale messo in risalto dal Papa è che «Gesù mai si allontana dal popolo e mai si allontana da suo Padre: era uno con il Padre». È così che «aveva questa autorità e per questo il popolo lo seguiva».

    Proprio «contemplando Gesù buon pastore» è opportuno, ha proseguito il Pontefice, fare un esame di coscienza: «A me chi piace seguire? Quelli che mi parlano di cose astratte o di casistiche morali? Quelli che si dicono del popolo di Dio, ma non hanno fede e negoziano tutto con i poteri politici ed economici? Quelli che vogliono sempre fare cose strane, cose distruttive, guerre cosiddette di liberazione, ma che alla fine non sono le strade del Signore? O un contemplativo lontano?».

    Ecco allora la domanda chiave da porre a stessi: «A me chi piace seguire? Chi m’influenza?». Una domanda, ha concluso Francesco, che deve spingerci a chiedere «a Dio, il Padre, che ci faccia arrivare vicino a Gesù, per seguire Gesù, per essere stupiti di quello che Gesù ci dice».
  • OFFLINE
    Coordin.
    00 30/06/2014 09:04

    Le fatiche del Papa:
    finora 12mila colloqui personali 
    e nessun giorno di ferie

    Sveglia alle 4,45 e solo mezz’ora di siesta. Ecco perché ogni tanto crolla e dà forfait
    LAPRESSE

    Papa Francesco saluta i fedeli a San Pietro

     
    ANDREA TORNIELLI
    CITTÀ DEL VATICANO
     

    Ai preti che lo invitavano a prendersi una vacanza, il cardinale di Milano Alfredo Ildefonso Schuster rispondeva, sorridendo, che per riposarsi ci sarebbe stato tutto il tempo nell’aldilà. Francesco, il Papa gesuita con un’agenda che sfiancherebbe un quarantenne, sembra ispirarsi allo stesso modello, anche se i suoi 77 anni lo costringono a dare qualche forfait, com’è accaduto venerdì scorso per la visita al Gemelli.  

     

    «Decide lui la sua agenda», spiega a La Stampa padre Federico Lombardi, «e ha un ritmo di vita molto intenso perché si sente chiamato al servizio del Signore con tutte le sue forze. Neppure quando era arcivescovo a Buenos Aires faceva ferie». Anche nel giorno della settimana tradizionalmente dedicato al riposo per i Papi, il martedì, durante il quale i predecessori non avevano udienze né impegni particolari, Bergoglio non rallenta. Invece di usare questa mattina libera per riposarsi, la utilizza per gli incontri rimasti in sospeso. «Francesco segue lo stile di vita attivo di sant’Ignazio che nelle costituzioni dell’ordine definiva i gesuiti “operai nella vigna del Signore”, perciò - osserva ancora Lombardi - si dedica con totale dedizione alla sua missione, anche al di là delle proprie forze».  

     

    Negli ultimi cento anni le agende dei Papi hanno visto il moltiplicarsi degli impegni, degli appuntamenti pubblici e dei discorsi da pronunciare. Uno sguardo alle statistiche può aiutare a capire. L’appuntamento più significativo del pontificato di Francesco, la messa quotidiana con omelia celebrata la mattina a Santa Marta, alla presenza di una sessantina di fedeli, rappresenta una novità assoluta. Anche i predecessori dicevano messa ogni giorno nella cappella privata dell’appartamento pontificio, ma non predicavano e non avevano di fronte né la telecamera né i microfoni di Radio Vaticana. Se erano indisposti o febbricitanti, se ritardavano, nessuno o quasi nessuno se ne sarebbe accorto. Dal marzo 2013 ad oggi Francesco ha celebrato in Santa Marta 229 messe con altrettante omelie tenute braccio, e si è intrattenuto a salutare personalmente ciascuno dei fedeli presenti: la stima - al ribasso - è di almeno dodicimila persone salutate soltanto nel corso di questo appuntamento mattutino. Le grandi celebrazioni liturgiche che il Papa ha presieduto a Roma o nei viaggi, sono state 95. Le omelie che ha tenuto in queste occasioni sono state 73. 

     

    Dal marzo 2013 ad oggi Francesco ha scritto un’enciclica (Lumen fidei) e un’esortazione apostolica (Evangelii gaudium), tre lettere apostoliche e quattro «motu proprio», 45 lettere ufficiali. Ha pronunciato o inviato 55 messaggi (tra questi diversi videomessaggi). Da quando è stato eletto Papa, Bergoglio ha pronunciato 231 discorsi, ai quali vanno aggiunti gli interventi prima dell’Angelus, che sono stati 73. Anche se, com’è noto, per la preparazione dei testi il Pontefice si avvale dei collaboratori, ciò che viene predisposto segue le sue indicazioni e dunque lo impegna in termini di tempo. 

     

    Un’altra innovazione riguarda le udienze del mercoledì. Francesco fino ad oggi ne ha tenute 54. Le stime della Prefettura della Casa Pontificia parlano di oltre sei milioni di presenze, tra Angelus e udienze generali. Il Papa ha dilatato di molto il tempo dedicato all’incontro con i fedeli presenti in piazza San Pietro. Gira in lungo e in largo sulla papamobile per salutare tutti e avvicinarsi anche a chi è più lontano. Questi incontri, a motivo della grande partecipazione, si sono sempre svolti in piazza, anche in inverno. Le ore trascorse all’aperto soltanto in queste occasioni, con qualsiasi tempo, sono state non meno di 150. E qualche volta in Papa vi ha preso parte pur essendo indisposto.  

     

    Impossibile è invece il calcolo delle persone ricevute singolarmente in udienza, come pure il calcolo dei malati che Bergoglio ha incontrato. Si è poi notevolmente dilatato il carico della corrispondenza privata. Francesco legge personalmente una cinquantina di lettere al giorno, tra le quattromila che gli arrivano ogni settimana, e dà indicazioni per le risposte. In qualche caso risponde di persona al telefono. 

     

    Ci sono poi i viaggi. Due all’estero (in Brasile e in Terra Santa) e quattro in Italia. Infine, vanno citate le cinque visite alle parrocchie romane: anche qui Francesco ha inaugurato un nuovo stile, facendole il sabato pomeriggio e rimanendo per diverse ore a disposizione dei fedeli. 

     

    Quando è in Vaticano, il Papa si sveglia alle 4,45 e si veste da solo. Per prima cosa legge i «cifrati» provenienti dalle nunziature di tutto il mondo, quindi per oltre un’ora prega e medita le Scritture del giorno preparando l’omelia di Santa Marta. Quindi, sempre da solo, alle 7 scende per celebrare la messa. Dopo la funzione e il saluto ad ognuno dei presenti, fa colazione. Quindi inizia la mattinata di lavoro con le udienze gli incontri. Alle 13 c’è il pranzo, seguito da mezz’ora di siesta. Nel pomeriggio, dopo un tempo di preghiera, riprendono gli incontri, ci sono quindi il disbrigo della corrispondenza e le telefonate. A fine giornata, prima della cena delle 20, c’è solitamente un’ora di adorazione nella cappella. 

     

    «Alcune volte non si può fare tutto - ha confidato Francesco a un gruppo di seminaristi - perché io mi lascio portare per esigenze non prudenti: troppo lavoro, o credere che se io non faccio questo oggi, non lo faccio domani… Così, cade l’adorazione, cade la siesta…». L’ideale, aggiungeva Bergoglio, «è finire la giornata stanchi. Non avere bisogno di prendere le pastiglie: finire stanco. Ma con una buona stanchezza, non con una stanchezza imprudente, perché quello fa male alla salute e alla lunga si paga caro. Questo è l’ideale, ma non sempre lo faccio - ammetteva - perché anche io sono peccatore, e non sempre sono tanto ordinato». 

    Così si definisce Francesco, non un superman ma un «peccatore» che conclude la giornata pieno di stanchezza, costretto di tanto in tanto a cancellare qualche appuntamento. 


  • OFFLINE
    Credente
    00 29/07/2014 13:11

    I DIECI CONSIGLI DI PAPA FRANCESCO
    PER VIVERE BENE

    Papa Francesco ha concesso un'intervista a Viva, la rivista domenicale del quotidiano Clarín, pubblicata il 27 luglio e firmata dal giornalista Pablo Calvo. Nell'incontro di 77 minuti nella residenza di Santa Marta in occasione della visita di un gruppo di esuli argentini in Svezia (7 luglio), ha detto che non gli interessa il Premio Nobel per la Pace e ha espresso preoccupazione per le guerre in corso, la cura dell'ambiente e il pericolo di negare il tempo libero per le relazioni personali e familiari, ricordando anche i giovani e la necessità di aiutarli a trovare un lavoro dignitoso.

    Il decalogo del buon vivere di papa Francesco:

    “Vivi e lascia vivere è il primo passo per la felicità”. Nel video pubblicato sul Clarín, il papa spiega che i romani dicono “Vai avanti e lascia che la gente vada avanti”.

    Darsi agli altri per non far addormentare il cuore. “Se uno si ferma, corre il rischio di essere egoista”, e “l'acqua stagnante è la prima a corrompersi”.

    Muoversi con umiltà, lentamente, tra le persone e le situazioni. Il papa usa il termine “stagnante” riprendendolo da un classico della letteratura gaucha. “In Don Segundo Sombra c'è una cosa molto bella, qualcuno che rilegge la sua vita. Il personaggio dice che da giovane era un ruscello pieno di pietre che si portava dietro tutto, da adulto un fiume che andava avanti e nella vecchiaia si sentiva in movimento, ma lentamente stagnante. Utilizzerei questa immagine del poeta e romanziere Ricardo Güiraldes, quest'ultimo aggettivo, stagnante. La capacità di muoversi con benevolenza e umiltà, il ristagno della vita”, ha affermato il papa rivolgendo il suo pensiero agli anziani che portano con sé “la saggezza e la memoria del popolo”.

    Preservare il tempo libero come “una sana cultura dell'ozio”. Il papa esorta a godere della lettura, dell'arte e dei giochi con i bambini. “Il consumismo ci ha portati all'ansia di perdere la sana cultura dell'ozio”, ha osservato.

    “Ora confesso poco, ma a Buenos Aires confessavo molto e quando veniva una giovane mamma le chiedevo: 'Quanti figli hai? Giochi con i tuoi figli?'. Era una domanda che non si aspettava, ma io le dicevo che giocare con i bambini è fondamentale, è una cultura sana”. È difficile, i genitori vanno a lavoro presto e tornano a casa a volte quando i figli già dormono. È complicato, ma bisogna farlo”.

    La domenica per la famiglia. “L'altro giorno a Campobasso sono andato a un incontro tra il mondo dell'università e il mondo operaio. Tutti chiedevano la domenica non lavorativa. La domenica è per la famiglia”.

    Aiutare in modo creativo i giovani a ottenere un impiego dignitoso. “Bisogna essere creativi con i giovani. Se mancano opportunità, cadono nella droga. E tra i giovani senza lavoro il tasso di suicidi è molto alto. L'altro giorno ho letto, ma non mi fido perché non è un dato scientifico, che ci sono 75 milioni di giovani dai 25 anni in giù disoccupati. Non basta dar loro da mangiare: bisogna inventare corsi di un anno da idraulico, elettricista, sarto. La dignità te la dà il fatto di portare il pane a casa”.

    Prendersi cura della creazione, amare la natura. “Bisogna prendersi cura della creazione e non lo stiamo facendo. È una delle sfide più grandi che abbiamo”. Si affaccia con insistenza la volontà del papa di trasmettere il valore dell'ecologia, probabilmente il tema della prossima enciclica del pontefice.

    Dimenticarsi presto del male. “La necessità di parlar male dell'altro indica una bassa autostima. Vale a dire: io mi sento così in basso che anziché salire abbasso l'altro. Dimenticarsi rapidamente delle cose negative è sano”.

    Rispettare il pensiero degli altri, senza proselitismo religioso. “Possiamo stimolare l'altro con la testimonianza, perché si cresca entrambi in quella comunicazione, ma la cosa peggiore che ci possa essere è il proselitismo religioso, che paralizza: 'Io dialogo con te per convincerti', no. Ciascuno dialoga partendo dalla propria identità. La Chiesa cresce per attrazione, non per proselitismo”.

    Cercare la pace è un impegno. L'ultimo consiglio del pontefice è fare di tutto per cercare la pace di fronte ai conflitti armati che sconvolgono varie regioni del mondo. “Stiamo vivendo in un'epoca con molte guerre. In Africa sembrano guerre tribali, ma sono qualcosa di più. La guerra distrugge, e la richiesta della pace va gridata. La pace a volte dà l'idea di quiete, ma non è mai quiete, è sempre una pace attiva”.

    Il Santo Padre ha affermato che la sua nomina al Premio Nobel per la pace non fa parte della sua agenda, ma ha confermato che “tutti devono essere impegnati nella questione della pace”. Circa il premio ha detto: “Le dico la verità. Non ho mai accettato dottorati e tutte queste cose che ti offrono, senza volerle disprezzare. Non ci penso nemmeno, né, in tutta onestà, penso a cosa farei con tutto quel denaro”.

  • OFFLINE
    Credente
    00 29/07/2014 17:08
    La visita del Papa al pastore Giovanni Traettino presso la Chiesa della Riconciliazione a Caserta:

    Testo integrale dei discorsi pronunciati dai due rappresentanti in occasione di questo storico incontro.

    ::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

    Parole del pastore Giovanni Traettino in apertura dell’incontro con il Papa Francesco:

     E’ bello stare davanti al Signore, vero? (rispondono: sì!). Non c’è posto migliore al mondo che stare alla presenza di Dio. C’è un posto ancora migliore, vivere alla presenza di Dio! E’ lì che facciamo l’esperienza delle gioie più profonde, delle gioie più vere; è lì che la nostra vita viene trasformata e che diventiamo sempre più simili a Lui.

     Voglio condividere alcune considerazioni e, in particolare, carissimo Papa Francesco, amato fratello mio, la nostra gioia è grande per questa sua visita, quella mia personale intanto, quella della mia famiglia, quella dell’intera nostra comunità e della nostra famiglia spirituale, dei nostri ospiti e dei nostri amici. Un dono grande e inatteso, impensabile fino a poco tempo addietro. Lo potrà leggere negli occhi dei bambini e degli anziani, dei giovani e delle famiglie. Le vogliamo bene! E una cosa che deve sapere: verso la Sua persona, anche tra noi evangelici, c’è tanto affetto e tanti di noi anche ogni giorno pregano per Lei: anche ogni giorno pregano per Lei. Del resto, è così facile volerle bene. Diversi di noi credono perfino che la sua elezione a Vescovo di Roma sia stata opera dello Spirito Santo. Una benedizione soprattutto nei confronti del mondo per tutto il cristianesimo: questo è quello che personalmente io penso. Con questo suo gesto, del tutto inatteso e sorprendente, ha dato visibilità e concretezza a quello che appare sempre di più come il motivo conduttore della sua esistenza e dunque del suo ministero, perché la vita precede sempre il ministero. Superando di un solo colpo le complicazioni protocollari, sa andare direttamente al cuore della vita e delle relazioni umane e in particolare del rapporto con chi riconosce come fratello: incontrare il fratello, incontrarlo lì dove è, incontrarlo così come è. Nel nostro caso poi, per farci visita, si è voluto sobbarcare addirittura due giorni di fatica: Le siamo particolarmente grati!

     Non Le è bastato affidare il suo cuore a un documento o a un messaggero… Evidentemente ha riflettuto molto sull’Incarnazione di Gesù Cristo: ha voluto toccarci, ha voluto venire di persona, ad abbracciarci di persona. Ha mostrato un grande coraggio. Libertà e coraggio! Ed ha consegnato se stesso in semplicità e debolezza alla nostra diversità, però anche al nostro abbraccio. Con uomini come Lei, caro Papa Francesco, c’è speranza per noi cristiani. Tutti! Con un solo gesto ha allargato la porta, ha accelerato la realizzazione del sogno di Dio. E’ diventato parte della risposta alla preghiera di Gesù: “che siano tutti uno”. E lo ha fatto con quella gloria, di cui parla Giovanni nel capitolo 17: con quella gloria senza la quale non è possibile costruire l’unità. Parlo della gloria dell’umiltà. Come ha detto qualcuno, l’umiltà è al cuore della gloria. E aggiunge: è sufficiente un po’ di potenza per esibirsi; ce ne vuole molta per ritirarsi. Dio è potenza illimitata di ritrazione di sé, di nascondimento. Anche da questo, forse soprattutto da questo si riconoscono i discepoli di Cristo.

     “La verità è un incontro”: è il titolo di una delle ultime raccolte delle sue preziose meditazioni mattutine di Santa Marta. La verità è un incontro, ma è anche una verità centrale per ogni cristiano, per ognuno che si sia convertito a Cristo e abbia fatto un incontro personale con Lui. Quante volte nei suoi insegnamenti ritorna l’invito alla conversione e all’incontro personale con Cristo. E’ evidente che questa verità è al centro della sua vita, materia viva della sua esperienza spirituale, motivo ispiratore della sua esistenza. Per me che La osservo non potrebbe essere altrimenti. La cosa mi riempie di gioia, perché Cristo è anche la perla preziosa, scusate è la perla preziosa di tutti i cristiani, anche di noi evangelici. Ho visto che l’altro ieri ne ha parlato a Caserta. Egli è il centro e il cuore della nostra vita, la ragione stessa della nostra esistenza. Senza Gesù saremmo persi! La nostra unica ragione di vivere e di esistere è Gesù! Del resto è proprio la passione che portiamo alla centralità di Cristo che ci fa, con solida e serena convinzione, evangelici. Per questo anche viviamo e sperimentiamo un modo nuovo di essere evangelici, che non si nutre più di anticattolicesimo – come pure è stato per un tempo – ma che, riconoscendo le proprie origini e radici nell’albero storico del cristianesimo, cattolicesimo e riforma compresi, ha imparato a relazionarsi in modo costruttivo e redentivo con quelli che riconosce come suoi padri e suoi fratelli e a tirar fuori dal suo tesoro – come lo scriba del Vangelo – cose nuove e cose vecchie. Ha imparato – stiamo sempre più imparando – che deve comprare tutto il campo, come pure dice Gesù in un’altra parte del Vangelo, per entrare in possesso di tutto il tesoro. Occorre avere tutto il campo per scoprire il tesoro. Senza rinunciare al lavoro di discernimento fatto con la Parola di Dio, ma esaminando ogni cosa e ritenendo il bene. In questo modo siamo meno esposti al rischio di disprezzare il contributo dei fratelli, di spegnere lo Spirito o addirittura di attribuire ad altre fonti quello che è invece dal Signore. Come ci esorta Paolo, nella Lettera ai Tessalonicesi: “Non spegnete lo Spirito, non disprezzate le profezie, ma esaminate ogni cosa e ritenere il bene. Astenetevi da ogni sorta di male”.

     Dunque la verità è un incontro e l’incontro con Cristo è l’incontro della vita: è quello che dà verità e fondamento ad ogni altro incontro. Questa è la mia esperienza. I miei incontri e le mie relazioni col prossimo sono profondamente segnati dal mio incontro con Gesù. Questo è il messaggio centrale, il nucleo, il DNA del Vangelo; questo è il cuore della predicazione evangelica; questo è il terreno sul quale costruire ogni possibile dialogo fra di noi e cammino di unità tra le Chiese. Com’è scritto: “Nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto, cioè Cristo Gesù”. E ancora: “Ognuno badi a come vi costruisce sopra”.

     Tempo fa, padre Raniero Cantalamessa, parlando degli evangelici, li aveva definiti “cristiani col carisma dell’essenzialità”. Una definizione che mi piace molto. La condivido. E il cardinale Piovanelli, di Firenze, qualche anno addietro, a chi gli chiedeva una previsione per il terzo millennio, preconizzava: “Sarà un’epoca in cui si ritornerà ai principi fondamentali del cristianesimo”. Credo anche io questa cosa. E’ necessario, è indispensabile che torniamo ai principi fondamentali. Il cardinale Kasper, invece, che so essere suo amico, ha parlato di “un ecumenismo fondamentale e di un ecumenismo spirituale”: anche qui siamo in linea. Egli dice: “I cristiani non sono uniti tra loro, ma anzitutto sono tutt’uno in Cristo. E solo quell’unione o comunione con Cristo rende possibile la vera comunione tra gli uomini in Lui. Il centro dell’unità è il Signore. E la forza che opera e ordina questa unità è lo Spirito Santo”. Forse è proprio da questa comprensione che il cristianesimo deve ripartire. Questo è il perimetro fondamentale della nostra comunione ed è qui che credo di poter dire che sta il contributo maggiore – anche storico e teologico – della profezia della Riforma prima e poi del mondo evangelico dopo. Credo che questa sia la profezia fondamentale a beneficio di tutto il Corpo di Cristo e della Chiesa. Se ha un qualche senso la storia nel cristianesimo…

     L’Apostolo Paolo dice: “Poiché nessuno può porre altro fondamento oltre a quello già posto - cioè Cristo Gesù”. Dunque Cristo; mettere a fondamento Cristo; edificare sopra Cristo; stringersi intorno a Cristo; crescere verso Cristo. Lui è il fondamento della vita del credente. La conversione a Cristo; la relazione personale con Cristo; l’imitazione di Cristo, che non è possibile senza la presenza della vita di Cristo. Dalla vita di Cristo riceviamo la forza per l’imitazione di Cristo, per diventare santi. La formazione di Cristo è resa possibile dalla vita di Cristo in noi. Egli è il fondamento sul quale cresciamo: nasciamo di nuovo, ma poi cresciamo. E questo è il fondamento sul quale va costruita l’esistenza della Chiesa, ancora Cristo: l’Incarnazione di Cristo, come proprio metodo, come stile di vita; l’identificazione con il povero, con il bisognoso, con chi è in difficoltà; la vita di Cristo, lo stile col quale Lui ha vissuto. E tanto spesso il cristianesimo del nostro tempo ha bisogno di ravvedimento e di revisione di vita, perché vengono proposti modelli che sono lontanissimi dal Vangelo. La vita di Cristo, la morte di Cristo: anche noi, per poter vivere di Cristo, dobbiamo morire a noi stessi, perché la vita dello Spirito possa esistere in noi e quindi la resurrezione, l’ascensione, col coronamento della discesa dello Spirito Santo, che ci è indispensabile per poter vivere la vita cristiana.

     Credo che anche nello sviluppo degli spazi di comunione tra le diverse comunità, di nuovo parliamo di Cristo, del ritorno all’essenziale del Vangelo e lì scopriamo che questo spazio è ancora Cristo, l’annuncio di Cristo - il “kerigma”, l’insegnamento di Cristo – la “didaké” - la formazione di Cristo in noi. Come Lei cito una bellissima e antica preghiera, che immagino Lei reciti ogni giorno: “In Cristo, con Cristo, per Cristo, a Te Dio Padre Onnipotente, nell’unità dello Spirito Santo, ogni onore e gloria nei secoli dei secoli”. Questo credo che faccia una buona sintesi di quello che è il pensiero che voglio sottolineare.

     Un’ultima parola. Siamo, viviamo tra il “già” e il “non ancora” – come ha detto qualcuno – e la nostra esperienza è una esperienza di sofferenza, di dolore, di fatica nell’avanzare nel dialogo tra cristiani, nello sperimentare la comunione. C’è il piano della fede: “vi è un corpo solo”, di cui ha parlato ieri il caro Jorge Himitian; “che siano uno”, siamo sul piano della fede; “il Tabernacolo di Dio tra gli uomini”, di cui parla Apocalisse 21. Questo è il piano della fede, ma poi c’è il piano della storia. Il piano della storia è quello della nostra esperienza, dove facciamo l’esperienza della vergogna della divisione, delle guerre tra i cristiani, delle ostilità, delle persecuzioni, perfino in Italia: purtroppo per tantissimi anni abbiamo fatto esperienza di persecuzioni, i pentecostali in modo particolare, negli anni dal ’35 al ’55 la famigerata Circolare Buffarini Guidi… In mezzo c’è il tempo della riconciliazione, il tempo dell’etica se volete; il tempo dell’amore, il tempo della responsabilità, che deve essere riempito da uomini e donne di riconciliazione. Lei, con la sua visita qui, ha dimostrato che prende sul serio la riconciliazione, che Lei è un uomo di riconciliazione, io direi un profeta di riconciliazione.

     Dio ci ha riconciliati con sé - dice l’Apostolo Paolo (2a ai Corinzi) - per mezzo di Cristo e ci ha affidato il ministero della riconciliazione. La nostra famiglia spirituale ha scelto questo tema per la propria esistenza: Chiesa della riconciliazione. Ma Egli ha affidato a tutti i cristiani il ministero della riconciliazione, a partire dall’esperienza che essi hanno fatto dentro questo ministero. Egli ha seminato, ha impiantato dentro di noi – dice l’Apostolo Paolo – la parola della riconciliazione (2 Corinzi, 5.19). E’ a partire da questa parola della riconciliazione, che è Gesù stesso, è Lui la parola della riconciliazione dentro di noi, nutrendoci a Lui, al suo spirito, alla sua sensibilità, alla sua morte, a se stesso, che noi possiamo essere abilitati ad essere uomini e donne di riconciliazione. Che significa, a volte, fare il cammino del Calvario; significa, a volte, passare attraverso la Croce; significa il fraintendimento, il frainteso; significa l’incomprensione, perché ci sono tanti cristiani che sono talmente identitari che non riescono a fare spazio all’amore, non riescono a vivere l’amore. E noi vogliamo uscire da questa prigionia, vogliamo essere uomini e donne di riconciliazione.

     Mi piace concludere queste riflessioni con un pensiero di Francesco d’Assisi, che sono sicuro che Lei ama molto, evidentemente, poiché ha scelto il nome di Francesco. Ma voglio dirle che anche gli evangelici amano molto Francesco, anche dal punto di vista storico. Se penso ai valdesi, per esempio:  che hanno una sensibilità profondamente - diremmo - francescana. Avevano lo stesso tipo di taglio, di sensibilità, di spiritualità e noi siamo legati a quella storia, noi siamo legati a quella sensibilità... Alcune moderne sensibilità non ci piacciono nel vissuto del cristiano. Francesco dice: “Cominciate a fare il necessario, poi fate ciò che è possibile e all’improvviso vi scoprirete a fare l’impossibile”. Questa sembrava una cosa impossibile! Dio la benedica!

     Adesso introduciamo Papa Francesco, che vorrà condividerci alcuni pensieri, quello che ha nel cuore…. Non c’è niente di organizzato. E’ un incontro “pentecostale”, quindi facciamo appello allo Spirito Santo, perché guidi il Papa Francesco. Prego.




  • OFFLINE
    Credente
    00 29/07/2014 17:11

    Il discorso del Papa
    nella Chiesa pentecostale "della Roconciliazione"

    Il Papa parla nella Chiesa pentecostale a Caserta

    Il discorso integrale di Papa Francesco stamani nella Chiesa pentecostale della Riconciliazione a Caserta:

     Buongiorno, fratelli e sorelle.

    Mio fratello il pastore Giovanni ha incominciato parlando del centro della nostra vita: stare alla presenza di Gesù. E poi ha detto “camminare” alla presenza di Gesù. E questo è stato il primo comandamento che Dio ha dato al suo popolo, al nostro padre Abramo: “Va’, cammina alla mia presenza e sii irreprensibile”. E poi il popolo ha camminato: alcune volte alla presenza del Signore, tante volte non alla presenza del Signore. Ha scelto gli idoli, gli dei… Ma il Signore ha pazienza. Ha pazienza con il popolo che cammina. Io non capisco un cristiano fermo! Un cristiano che non cammina, io non lo capisco! Il cristiano deve camminare! Ci sono cristiani che camminano, ma non alla presenza di Gesù: bisogna pregare per questi fratelli. Anche per noi, quando in certi momenti camminiamo non alla presenza di Gesù, perché anche noi siamo tutti peccatori, tutti! Se qualcuno non è peccatore, alzi la mano… Camminare alla presenza di Gesù.

    Cristiani fermi: questo fa male, perché ciò che è fermo, che non cammina, si corrompe. Come l’acqua ferma, che è la prima acqua a corrompersi, l’acqua che non scorre… Ci sono cristiani che confondono il camminare col “girare”. Non sono “camminanti”, sono erranti e girano qua e là nella vita. Sono nel labirinto, e lì vagano, vagano... Manca loro la parresia, l’audacia di andare avanti; manca loro la speranza. I cristiani senza speranza girano nella vita; non sono capaci di andare avanti. Siamo sicuri soltanto quando camminiamo alla presenza del Signore Gesù. Lui ci illumina, Lui ci dà il suo Spirito per camminare bene.

    Penso al nipote di Abramo, Giacobbe. Era tranquillo, là, con i suoi figli; ma a un certo punto è arrivata la carestia e ha detto ai suoi figli, ai suoi 11 figli, 10 dei quali erano colpevoli di tradimento, di aver venduto il fratello: “Andate in Egitto, camminate fin là a comprare cibo, perché noi abbiamo soldi, ma non abbiamo cibo. Portate i soldi e compratene là, dove dicono che ce n’è”. E questi si sono messi in cammino: invece di trovare cibo, hanno trovato un fratello! E questo è bellissimo!

    Quando si cammina alla presenza di Dio, si dà questa fratellanza. Quando invece ci fermiamo, ci guardiamo troppo l’uno all’altro, si dà un altro cammino… brutto, brutto! Il cammino delle chiacchiere. E si incomincia: “Ma tu, non sai?”; “No, no, io non so di te. Io so di qua, di là…”; “Io sono di Paolo”; “Io di Apollo”; “Io di Pietro”…. E così incominciano, così dal primo momento è incominciata la divisione nella Chiesa. E non è lo Spirito Santo che fa la divisione! Fa una cosa che le assomiglia abbastanza, ma non la divisione. Non è il Signore Gesù che fa la divisione! Chi fa la divisione è proprio l’Invidioso, il re dell’invidia, il padre dell’invidia: quel seminatore di zizzania, Satana. Costui si immischia nelle comunità e fa le divisioni, sempre! Dal primo momento, dal primo momento del cristianesimo, nella comunità cristiana c’è stata questa tentazione.  “Io sono di questo”; “Io sono di quello”; “No! Io sono la chiesa, tu sei la setta”… E così quello che ci guadagna è lui, il padre della divisione. Non il Signore Gesù, che ha pregato per l’unità (Giovanni 17), ha pregato!

    Cosa fa lo Spirito Santo? Ho detto che fa un’altra cosa, che forse si può pensare che sia divisione, ma non lo è. Lo Spirito Santo fa la “diversità” nella Chiesa. La prima Lettera ai Corinzi, capitolo 12. Lui fa la diversità! E davvero questa diversità è tanto ricca, tanto bella. Ma poi, lo stesso Spirito Santo fa l’unità, e così la Chiesa è una nella diversità. E, per usare una parola bella di un evangelico che io amo tanto, una “diversità riconciliata” dallo Spirito Santo. Lui fa entrambe le cose: fa la diversità dei carismi e poi fa l’armonia dei carismi. Per questo i primi teologi della Chiesa, i primi padri – parlo del secolo III o IV – dicevano: “Lo Spirito Santo, Lui è l’armonia”, perché Lui fa questa unità armonica nella diversità.

    Noi siamo nell’epoca della globalizzazione, e pensiamo a cos’è la globalizzazione e a cosa sarebbe l’unità nella Chiesa: forse una sfera, dove tutti i punti sono equidistanti dal centro, tutti uguali? No! Questa è uniformità. E lo Spirito Santo non fa uniformità! Che figura possiamo trovare? Pensiamo al poliedro: il poliedro è una unità, ma con tutte le parti diverse; ognuna ha la sua peculiarità, il suo carisma. Questa è l’unità nella diversità. E’ in questa strada che noi cristiani facciamo ciò che chiamiamo col nome teologico di ecumenismo: cerchiamo di far sì che questa diversità sia più armonizzata dallo Spirito Santo e diventi unità; cerchiamo di camminare alla presenza di Dio per essere irreprensibili; cerchiamo di andare a trovare il nutrimento di cui abbiamo bisogno per trovare il fratello. Questo è il nostro cammino, questa è la nostra bellezza cristiana! Mi riferisco a quello che il mio amato fratello ha detto all’inizio.

    Poi ha parlato di un’altra cosa, dell’Incarnazione del Signore. L’Apostolo Giovanni è chiaro: “Colui che dice che il Verbo non è venuto nella carne, non è da Dio! E’ dal diavolo”. Non è nostro, è nemico! Perché c’era la prima eresia – diciamo la parola fra di noi – ed è stata questa, che l’Apostolo condanna: che il Verbo non sia venuto nella carne. No! L’incarnazione di Verbo è alla base: è Gesù Cristo! Dio e uomo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, vero Dio e vero uomo. E così lo hanno capito i primi cristiani e hanno dovuto lottare tanto, tanto, tanto per mantenere queste verità: il Signore è Dio e uomo; il Signore Gesù è Dio fatto carne. E’ il mistero della carne di Cristo: non si capisce l’amore per il prossimo, non si capisce l’amore per il fratello, se non si capisce questo mistero dell’Incarnazione. Io amo il fratello perché anche lui è Cristo, è come Cristo, è la carne di Cristo. Io amo il povero, la vedova, lo schiavo, quello che è in carcere… Pensiamo al “protocollo” sul quale noi saremo giudicati: Matteo 25. Amo tutti costoro, perché queste persone che soffrono sono la carne di Cristo, e a noi che siamo su questa strada dell’unità farà bene toccare la carne di Cristo. Andare alle periferie, proprio dove ci sono tanti bisogni, o – diciamolo meglio – ci sono tanti bisognosi, tanti bisognosi… Anche bisognosi di Dio, che hanno fame – ma non di pane, ne hanno tanto di pane – di Dio! E andare là, per dire questa verità: Gesù Cristo è il Signore e Lui ti salva. Ma sempre andare a toccare la carne di Cristo! Non si può predicare un Vangelo puramente intellettuale: il Vangelo è verità ma è anche amore ed è anche bellezza! E questa è la gioia del Vangelo! Questa è proprio la gioia del Vangelo.

    In questo cammino abbiamo fatto tante volte la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe, quando la gelosia e l’invidia ci hanno diviso. Loro sono arrivati prima a voler uccidere il fratello – Ruben è riuscito a salvarlo – e poi a venderlo. Anche il fratello Giovanni ha parlato di quella storia triste. Quella storia triste in cui il Vangelo per alcuni era vissuto come una verità e non si accorgevano che dietro questo atteggiamento c’erano cose brutte, cose non del Signore, una brutta tentazione di divisione. Quella storia triste, in cui pure si faceva la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe: la denuncia, le leggi di questa gente: “va contro la purezza della razza…”. E queste leggi sono state sancite da battezzati! Alcuni di quelli che hanno fatto questa legge e alcuni di quelli che hanno perseguitato, denunciato i fratelli pentecostali perché erano “entusiasti”, quasi “pazzi”, che rovinavano la razza, alcuni erano cattolici… Io sono il pastore dei cattolici: io vi chiedo perdono per questo! Io vi chiedo perdono per quei fratelli e sorelle cattolici che non hanno capito e che sono stati tentati dal diavolo e hanno fatto la stessa cosa dei fratelli di Giuseppe. Chiedo al Signore che ci dia la grazia di riconoscere e di perdonare… Grazie!

    Poi il fratello Giovanni ha detto una cosa che condivido totalmente: la verità è un incontro, un incontro tra persone. La verità non si fa in laboratorio, si fa nella vita, cercando Gesù per trovarlo. Ma il mistero più bello, più grande è che quando noi troviamo Gesù, ci accorgiamo che Lui ci cercava da prima, che Lui ci ha trovato da prima, perché Lui arriva prima di noi! A me, in spagnolo, piace dire che il Signore ci primerea. E’ una parola spagnola: ci precede, e sempre ci aspetta. Lui è prima di noi. E credo che Isaia o Geremia – ho un dubbio – dice che il Signore è come il fiore del mandorlo, che è il primo che fiorisce nella primavera. E il Signore ci aspetta! E’ Geremia? Sì! E’ il primo che fiorisce in primavera, è sempre il primo.

    Questo incontro è bello. Questo incontro ci riempie di gioia, di entusiasmo. Pensiamo a quell’incontro dei primi discepoli, Andrea e Giovanni. Quando il Battista diceva: “Ecco l’agnello di Dio, che toglie i peccati dal mondo”. E loro seguono Gesù, rimangono con Lui tutto il pomeriggio. Poi, quando escono, quando tornano a casa, dicono: “Abbiamo sentito un rabbino”… No! “Abbiamo trovato il Messia!”. Erano entusiasti. Alcuni ridevano… Pensiamo a quella frase: “Da Nazareth può venire qualcosa di buono?”. Non credevano. Ma loro avevano incontrato! Quell’incontro che trasforma; da quell’incontro viene tutto. Questo è il cammino della santità cristiana: ogni giorno cercare Gesù per incontrarlo e ogni giorno lascarsi cercare da Gesù e lasciarsi incontrare da Gesù.

    Noi siamo in questo cammino dell’unità, tra fratelli. Qualcuno sarà stupito: “Ma, il Papa è andato dagli evangelici”. E’ andato a trovare i fratelli! Sì! Perché – e questo che dirò è verità – sono loro che sono venuti prima a trovare me a Buenos Aires. E qui c’è un testimone: Jorge Himitian può raccontare la storia di quando sono venuti, si sono avvicinati… E così è cominciata questa amicizia, questa vicinanza fra i pastori di Buenos Aires, e oggi qui. Vi ringrazio tanto. Vi chiedo di pregare per me, ne ho bisogno… perché almeno non sia tanto cattivo. Grazie!


  • OFFLINE
    Credente
    00 06/08/2014 13:10
    PAPA FRANCESCO AI GIOVANI:
    “NON PERDETE TEMPO CON INTERNET E SMARTPHONE”

    “Non perdete tempo con le chat su internet e con i messaggini del telefonino: non usate male la vostra libertà”. È l’appello che Papa Francesco lancia a tutti i giovani, rivolgendosi in piazza San Pietro agli oltre cinquantamila chierichetti tedeschi in pellegrinaggio a Roma. “Se la libertà non è esercitata bene può farci perdere la dignità”. Per Bergoglio il tempo “è dono divino”, e deve essere impegnato in azioni fruttuose mentre “tanti ragazzi perdono troppe ore in cose inutili: chattare in internet o con i cellulari”, continua il Papa in San Pietro, “prodotti del progresso tecnologico che dovrebbero semplificare e migliorare la qualità della vita e talvolta distolgono l’attenzione da quello che è realmente importante”.

    Il Papa rassicura quindi i chierichetti tedeschi: “Capisco le vostre difficoltà a conciliare l’impegno che avete preso con le varie attività necessarie alla vostra crescita umana e culturale, ma bisogna organizzarsi, programmare in modo equilibrato le cose”, conclude Bergoglio, sorridendo alla folla: “Ma voi siete tedeschi e organizzarsi vi viene bene“. Trova quindi il modo di scherzare sulla proverbiale capacità organizzativa teutonica, papa Francesco, durante l’incontro in Piazza San Pietro con i 50 mila “ministranten”, che in questi giorni hanno invaso Roma per l’annuale pellegrinaggio organizzato dalle diocesi tedesche.

    Davanti a una folla di magliette, bandiere e cappellini colorati, anche se l’accoglienza al Pontefice durante il giro in “papamobile” nella piazza è stata senza eccessi, molto disciplinata e raccolta, Bergoglio ha presieduto i Vespri pronunciando per la prima volta un’omelia in tedesco, lingua da lui perfezionata negli anni ’80 durante gli studi di dottorato a Francoforte. Si è poi intrattenuto con i giovani con un discorso, in italiano con traduzione quasi simultanea, in cui ha risposto a loro domande. Tra i vari regali al Papa, che prima della foto finale mano nella mano con i giovani e di qualche “selfie” con loro ha salutato i vari vescovi al seguito dell’evento, anche la maglietta rossa e nera del pellegrinaggio, che ricorda in parte quella della Germania campione del mondo di calcio, con sul retro il numero 1 e la scritta “Franziskus“.
  • OFFLINE
    Credente
    00 13/08/2014 13:55
    Una condanna chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, e di tutte le persone di buona volontà, dei crimini commessi in Iraq dai jihadisti dello Stato Islamico contro cristiani, yazidi e altre minoranze religiose. A chiederla, in una dichiarazione, è il Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso. Il servizio è di Paolo Ondarza:
    "La situazione drammatica dei cristiani, degli yazidi e delle altre comunità religiose ed etniche numericamente minoritarie in Iraq - si legge nella dichiarazione del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso - esige una presa di posizione chiara e coraggiosa da parte dei responsabili religiosi, soprattutto musulmani, delle persone impegnate nel dialogo interreligioso e di tutte le persone di buona volontà. "Il mondo intero - si legge nel comunicato - ha assistito stupefatto a ciò che viene ormai chiamato 'la restaurazione del califfato' che era stato abolito il 29 ottobre 1923 da Kamal Ataturk, fondatore della Turchia moderna”. “La contestazione di questa 'restaurazione' da parte della maggioranza delle istituzioni religiose e politiche musulmane non ha impedito ai jihadisti dello 'Stato islamico' di commettere e continuare a commettere azioni criminali indicibili".

    Il Pontificio Consiglio insieme a tutti coloro che si impegnano nel dialogo interreligioso, ai fedeli di tutte le religioni e agli uomini e alle donne di buona volontà non può che “denunciare e condannare senza ambiguità" una serie di "pratiche indegne dell'uomo": come il massacro per soli motivi di appartenenza religiosa, le pratiche esecrabili della decapitazione, della crocifissione, dei cadaveri appesi nei luoghi pubblici; o la scelta imposta a cristiani e yazidi tra la conversione all’islam, il pagamento di un tributo o l’esodo; l’espulsione forzata di decine di migliaia di persone, bambini, anziani, donne incinte e malati; il rapimento di ragazze come bottino di guerra; l’imposizione della pratica barbara dell’infibulazione; la distruzione di luoghi di culto e mausolei cristiani e musulmani; l’occupazione forzata o profanazione di chiese e monasteri; il ritiro di crocifissi e altri simboli religiosi cristiani e di altre religioni; la distruzione del patrimonio religioso cristiano di valore inestimabile; l’abietta violenza con lo scopo di terrorizzare le persone e obbligarle ad arrendersi o a fuggire.

    Nessuno – prosegue la dichiarazione del dicastero vaticano - “potrebbe giustificare una tale barbarie e certamente non una religione". Si tratta di un'offesa di estrema gravità verso l'umanità e verso Dio Creatore, come ha spesso ricordato il Papa. “Tutti i responsabili religiosi devono essere unanimi nella condanna senza alcuna ambiguità di questi crimini e denunciare l'invocazione della religione per giustificarli. Altrimenti che credibilità avranno le religioni, i loro seguaci e i loro capi?

    Quale credibilità – dichiara il dicastero vaticano - potrebbe avere ancora il dialogo interreligioso pazientemente perseguito questi ultimi anni?". I responsabili religiosi devono anche "esercitare la loro influenza sui governi" affinchè si ponga fine a questi crimini, sia punito chi li commette, sia ristabilito uno stato di diritto sul territorio e garantito un rientro di quanti esiliati. “Nel ricordare la necessità dell'etica nella gestione delle società umane” la dichiarazione esorta i leader religiosi a sottolineare che "il sostegno, il finanziamento e l'armare il terrorismo è moralmente da condannare”. La violenza non si vince con la violenza, ma con la pace, conclude il Pontificio Consiglio per il Dialogo interreligioso unendosi alla voce del Santo Padre.
2