Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe (anno C) (27/01/2013)

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ulisseitaca
00sabato 26 gennaio 2013 13:02

Vangelo: Sir 44, 23 - 45, 1a. 2-5; Ef 5, 33 - 6, 4; Mt 2, 19-23
Lettura del libro del Siracide 44, 23 - 45, 1a. 2-5

Ben Sirà o Siracide (figlio di Sira) è uno scriba e maestro di sapienza, vissuto probabilmente a Gerusalemme tra il III e il II secolo a.C. Il testo porta anche la firma del suo autore, uno dei pochi nella Scrittura (50,27). E' un'opera scritta in ebraico intorno al 180 a.C. e tradotta in greco dal nipote attorno al 130 a.C. ( come dice nel Prologo, all'inizio del libro).

E' uno di quegli scritti accolto nell'elenco dei testi ispirati dalla Chiesa Cattolica e ortodossa ma non considerato nell'elenco ebraico dei libri ispirati e quindi non incluso dal mondo protestante.

Tutto il cap. 44 sviluppa la lode degli antichi padri d'Israele che manifestano, nella loro grandezza, la sapienza e lo splendore di Dio. In loro il progetto di Dio si è irrobustito poiché hanno offerto l'esempio e la fedeltà, pur nelle difficoltà e nella fatica quotidiana. "Facciamo ora l'elogio di uomini illustri, dei padri nostri nelle loro generazioni. Il Signore li ha resi molto gloriosi e la sua grandezza è da sempre" (44,1-2). La lunga rassegna inizia con i Patriarchi, da Enoc fino a Giacobbe (44,16-23). Poi il Siracide parla di Mosè, "amato da Dio e dagli uomini" (45,1) e continua, ricordando che l'intervento di Dio su di lui è stato particolarmente carico di attenzioni. Così Mosè diventa depositario della legge e quindi custode della sapienza di Dio per il suo popolo e per le generazioni future. Lo santifica "nella fedeltà e nella mansuetudine" e questo suggerisce quali miracoli Dio è capace di fare. Sa mantenere il cuore nella continuità e nella non violenza poiché, qualunque cosa si voglia dire della Prima Alleanza, il vertice della Santità è la misericordia e quindi la mansuetudine come virtù attiva.

Mosè è trattato come un amico, un messo, un ambasciatore, un interprete presso il popolo. Introdotto nella nube misteriosa, riceve i comandamenti che sono progettati per vivere, per capire e per maturare l'Alleanza.

Ci si rende conto, pur in pochi versetti, come l'impegno morale si gioca continuamente con diffidenze, paure, stanchezze, oscurità. Il Signore sa che sono in gioco due libertà: la sua che è fedele ed ha garantito con giuramento che non sarà ritirata, e insieme la libertà dell'uomo che è soggetta a ripensamenti e a fatica, a delusioni ed a dimenticanze. Mosè è descritto come il maestro dotato di virtù e di responsabilità tali da saper condurre questo popolo alla piena obbedienza e fedeltà.

Lettera di san Paolo apostolo agli Efesini 5, 33 - 6, 4

Questa lettera esprime una grande attenzione e tenerezza verso gli abitanti credenti di Efeso. Può essere stata scritta a Roma, nel periodo della prigionia (61-63 d.C), oppure qualche anno prima a Cesarea (58-60 d. C.). E' una grande lettera teologica in cui è centrale l'amore grande di Dio, "ricco di misericordia" ed è centrale la Chiesa, luogo carico di novità e di vita. Poiché la Chiesa ha una sua visibilità che la porta a diventare segno, significato ed esempio, i rapporti tra le famiglie, tessuto fondamentale dell'esperienza e della quotidianità, debbono svolgersi in correttezza e sapienza. Quello che leggiamo oggi è solo una piccola parte della conclusione della lettera in cui vi sono cenni ad una morale familiare con destinatari precisi:

5,22-33 il rapporto della coppia,
6,1-4: il rapporto tra padri e figli,
6,5-9: il rapporto tra schiavi e padroni.
Dopo il ricordo di un comportamento rispettoso tra marito e moglie che è di reciprocità e di chiara attenzione, ci si sofferma al rapporto tra figli e padri.

Come in ogni comunità, antica o contemporanea, la riflessione sul comportamento verte molto nel rapporto tra padri e figli. Gli esempi sono lampanti, le differenze tra generazioni sviluppano diverse logiche di comportamento; spesso prevalgono l'emotività e la intemperanza contro il comando e la rigidità.

" Fate attenzione al vostro modo di vivere" (5,15): è la sintesi di una esemplificazione successiva che richiama la saggezza:"il buon uso del tempo" (16), il non essere sconsiderati, il non ubriacarsi per non perdere il controllo di sé, desiderosi di ricevere e di vivere nello Spirito, attenti ad un preghiera interiore e ad un continuo rendimento di grazie" (5,15-20). Viene suggerito il cammino nella sapienza che permette di superare contrasti, discordie, incomprensioni familiari che rivelano, spesso, la volontà di prevaricazioni che l'uno vuole avere sull'altro. Perciò, viene formulata la regola d'oro dei rapporti educativi, a iniziare dai rapporti di coppia: "Nel timore di Cristo, siate sottomessi gli uni agli altri" (5,21). Quando ci si sente perplessi per una teologia di Paolo che richiama la lettura ebraica del rapporto uomo-donna, non bisogna mai dimenticare questo versetto che ridimensiona e corregge immediatamente l'idea della sudditanza o della supremazia.

Nel rapporto con i figli ci si ritrova in quei conflitti perenni che hanno bisogno di equilibrio e di pazienza. E qui Paolo tenta di proporre il comandamento fondamentale: "Onora tuo padre e tua madre! Questo è il primo comandamento che è accompagnato da una promessa: perché tu sia felice e goda di una lunga vita sulla terra". Corrispettivo che si ritrova nel libro dei Proverbi: "Figlio mio, osserva il comando di tuo padre e non disprezzare l'insegnamento di tua madre (Prov 6,20).

Il rapporto educativo, oggi, sembra molto complesso e, in questi tempi, molto più difficile poiché non c'è facilmente un pensiero etico comune, c'è molta capricciosità anche negli adulti, derivata da una mancanza educativa della libertà che si suppone senza regole, da molteplicità di modelli di comportamento diversissimi senza una corretta e tempestiva analisi critica, almeno in presenza dei giovani, dal moltiplicarsi di spettacoli amorali o immorali nella vita e nei mezzi di comunicazione sociale, dalla difficoltà di parlare in modo convincente di tali problemi in famiglia, dal disagio dei genitori che non sanno essi stessi motivare i perché morali. E si può continuare. Ma ci sono anche molte più occasioni di confronto, la possibilità di una migliore apertura mentale, più scuola e più cultura, più generosità e disponibilità al confronto, un più profondo desiderio di pace e di non violenza. Tutto questo suppone che educare è fondamentale poiché dipende dal modo di comportarsi più che dal modo di argomentare, dipende dalla correttezza normale di un contegno non occasionale, dalla misericordia che si ha con altri ma, insieme, dalla responsabilità e lucidità su di sé.

La Comunità cristiana dovrebbe senz'altro attrezzarsi per aiutare i genitori, prima che aiutare i figli. Ma questa è la scommessa di ogni generazione che affronta i problemi dell'etica e tenta di dare soluzioni coerenti al proprio credo.

La conclusione ai padri è saggia: "E voi, padri, non esasperate i vostri figli, ma fateli crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore: " e corrisponde ad un suggerimento simile nella lettera ai Colossesi. "Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore. Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino (Col3,20-21).

Lettura del Vangelo secondo Matteo 2, 19-23

Il racconto ci riporta a preoccupazioni di richiami teologici. Le vicende di Gesù ci ricollegano a Mosé ed alle sue avventure, ci ricorda il cammino dell'Esodo e il ritorno dall'Egitto del popolo di Giacobbe liberato.

L'evangelista, che vuole motivare il perché Gesù non sia cresciuto nel paese di Davide, a Betlemme, vuole garantire che Gesù è stato osteggiato fin dall'inizio, ma il Signore aveva un suo progetto di salvezza e, per quanto ci si accanisca contro, se chi porta il progetto accetta di essere disponibile e fedele, arriverà a concludere: porterà la fiducia e la novità.

Certo, e qui ci ritroviamo nella tragedia della storia. L'adesione a Dio e al suo disegno costa vittime, sangue e morte. E perché Dio non è intervenuto?

Il grande interrogativo non ha da parte nostra soluzioni. Ma lo stesso interrogativo si ritrova nella persecuzione a Gesù, nella fatica che egli vive, pur essendo giusto e, quindi, nella sua stessa morte in croce.

Erode muore qualche anno dopo la nascita di Gesù, tra atroci dolori a circa 70 anni. Gli succede Archelao, designato dal padre come re di Giudea, Idumea e Samaria ma l'imperatore Augusto non accetta il testamento di Erode e nomina Archelao solo etnarca dal 4 a.C a 6 d.C, quando è esiliato da Augusto stesso. Non sembri strana la cronologia poiché la data della nascita di Gesù è stata posticipata di circa 6 o 7 anni, quando l'hanno fissata verso il secolo VI d.C. Perciò Gesù sarebbe nato il 6/7.a C.

Il brano che abbiamo letto è un semplice fatto di cronaca, molto arido, se non nascondesse la fatica e la sofferenza di trasferimenti di persone povere, in cerca di una patria, di una casa e di un lavoro e il piano di Dio che deve districarsi nelle avventure umane. La famiglia vive con amore e unità questo tempo, pur dovendo affrontare l'incertezza del domani e la paura dell'oggi. Questo avviene in Egitto, nel ritorno non più praticabile a Betlemme, nella decisione di raggiungere Nazareth da cui erano partiti senza alcuna intenzione di ritorno.

Così, bisogna ricominciare sempre tutto da capo.

L'evangelista Matteo accenna al Nome che sarà dato a Gesù nella sua vita pubblica. Sarà chiamato Nazareno.

E la parola conserva insieme un filo di ironia: Nazareth è una città insignificante (Gv1,46). Ma il nome Nazareth nasconde anche la parola "germoglio, nezer" come il profeta Isaia chiama il Messia (11,1). Qualcuno dice che il nome Nazareth è stato attribuito a questo sperduto villaggio della Galilea poiché un gruppo di rifugiati, discendenti da Davide, sono arrivati esuli qui, in fuga dalla Giudea.

Così la vita quotidiana per questa piccola famiglia inizia nel nascondimento, nel lavoro, nella ferialità di ogni giorno sempre uguale, mentre Gesù cresce, custodito da Giuseppe e Maria e matura la sua umanità nel lavoro, nella convivenza e nello studio della Scrittura, frequentando la sinagoga e la scuola del villaggio. Anche Gesù ha avuto bisogno di una famiglia

Dice il Card. Martini ( nella sua lettera "Dio educa il suo popolo"): "In ogni momento della nostra vita abbiamo bisogno di persone che si interessino veramente di noi, di cui noi stessi ci interessiamo. Abbiamo bisogno di persone, prima che di cose. Non di persone qualsiasi, ma di persone che sentiamo "vive per noi", che abbiano un forte sentimento della nostra esistenza e avvertano come indispensabile la loro esistenza per noi." Tutto questo porta all'educare.

Educare ricorda con chiarezza il rapporto con il tempo, le esigenze, le aspettative, le povertà.

Educare suppone l'avventura di un progetto che i genitori debbono avere ben presente con la domanda: "Quale adulto sarà questo ragazzo/a?".

Educare è il tentativo di trasmettere la sperimentazione ed il valore dell'essere adulto, della comprensione e dell'accoglienza, delle chiarezze e delle responsabilità

Educare è "uscire da" per "orientarsi verso", accettando di scoprire il senso del proprio camminare. Ci piacerebbe conoscere i tanti "perché" di Gesù bambino e le tante spiegazioni di Maria e Giuseppe.

Educare è imparare a saper lavorare e ad offrire la propria competenza, rendendosi consapevole dei bisogni degli altri.

Educare matura la libertà per le scelte migliori.

qumran2
ladymira
00domenica 27 gennaio 2013 17:04
La sacra famiglia è qualcosa di stupendo, la famiglia di Gesù che ha vissuto nell'esempio di Dio e con una vita santa, tutte le famiglie dovrebbero ispirarsi alla sacra famiglia, seguendo la parola di Dio, che si vive anche in famiglia, il primo fulcro della conoscenza di Dio è la famiglia, bacioni.
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