SINDONE : una sfida per la scienza

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Credente
sabato 16 gennaio 2010 19:18
DESCRIZIONE DELLA SINDONE


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sabato 16 gennaio 2010 19:19
DOCUMENTARIO SULLA SINDONE

AmarDio
venerdì 2 aprile 2010 12:18
LA SINDONE "LETTA" CON I SALMI

Coordin.
sabato 22 maggio 2010 00:18
STUDI SULLA SINDONE: Analisi della immagine bi-tridimensionale


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mercoledì 14 luglio 2010 08:29
PARTENDO DAL VOLTO IMPRESSO SULLA SINDONE, SI CERCA DI ARRIVARE PROGRESSIVAMENTE AL VOLTO REALE DI CRISTO

Coordin.
lunedì 7 marzo 2011 12:30
INCHIESTA SULLA SINDONE

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mercoledì 30 marzo 2011 22:18
UNA FOTO DI 2000 ANNI FA

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mercoledì 30 marzo 2011 22:28
SERVIZIO SULLA SINDONE PRESENTATO DA "PORTA A PORTA"

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Porta a Porta - Sindone (2008) 11/11
Coordin.
sabato 24 marzo 2012 21:35
Preparazione alla Pasqua con la Sindone

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martedì 3 aprile 2012 00:00
La Sindone non è un falso medievale: nuove acquisizioni
Coordin.
domenica 10 giugno 2012 23:50
Intervista al dottore che ha fatto l'autopsia alla Sacra Sindone

 
 
Nell'Università degli Studi di Milano, il professor Giampietro Farronato è ordinario di Ortognatodonzia, quella branca dell'odontoiatria che studia le anomalie dei denti e delle ossa mascellari. Con una squadra di superspecialisti - Bruno Barberis, Luigi Fabrizio Rodella, Giovanni Pierucci, Mauro Labanca, Alessandra Majorana e Massimo Boccaletti -, ha passato al bisturi nientemeno che la Sindone. Ne è venuto fuori un libro ricco e intrigante, Autopsia dell'Uomo della Sindone (Elledici, Leumann [Torino] 2015), presentato qualche giorno fa a Milano nella Chiesa di San Gottardo in Corte, nell'ambito della rassegna «Scuola della cattedrale» promossa dalla Veneranda Fabbrica del Duomo.
PROFESSOR FARRONATO, AVETE FATTO L'AUTOPSIA ALLA SINDONE. COME VI E' SALTATO IN MENTE?
La medicina legale non aveva ancora detto tutta la sua ed eccoci qui. L'idea risale a quasi tre anni fa. Condurre un studio anatomico accurato dell'impronta sindonica a partire dalle istantanee scattate da Secondo Pia nel 1898 da cui risultò che l'immagine sul lino si comporta come un negativo fotografico. Abbiamo riletto daccapo una gran mole di foto e i risultati degli studiosi che ci hanno preceduto.
E CHE IDEA VI SIETE FATTI DELLA SCENA DEL CRIMINE?
Che ovviamente non esiste più. Abbiamo indagato il crimine solo attraverso l'impronta lasciata dal cadavere.
POCHINO...
Molto. L'anatomia è stata ricostruita dai dati morfologici offerti del lino. Soprattutto il volto, ricco e completo. Praticamente abbiamo assimilato l'immagine della Sindone alla "maschera" medico-legale abitualmente utilizzata per descrivere le lesioni su un corpo, cadavere o vivente.
E POI?
Io e Alessandra Majorana abbiamo reso l'impronta più leggibile per meglio esaminarla medicalmente. Con software per la gestione d'immagini, i più innovativi disponibili, abbiamo invertito i chiari e gli scuri, nonché l'orientamento destra-sinistra. Poi, applicando le metodiche utilizzate per rendere leggibili la TAC, la tomografia computerizzata Cone Beam, quindi la risonanza magnetica e altri esami tridimensionali, abbiamo ottenuta una completa diagnosi ortognatodontica, campo in cui la sofisticazione e la precisione arriva oggi sino al dettaglio più minuto.
SEMBRA CSI.
Può darsi... Ma è una metodica scientifica, non cinematografica. E infatti siamo riusciti a evidenziare dettagli che ci hanno portato a misurazioni davvero accurate.
VORREBBE DIRMI CHE SOLO STUDIANDO UN'IMMAGINE VECCHIA DI SECOLI SU UN TELO USURATO SIETE RIUSCITI AD ANALIZZARE IL VOLTO COME FOSSE QUELLO DI UN CADAVERE IN CARNE E OSSA?
Di più. È stato come essere davanti a un paziente da sottoporre a correzione terapeutica di tipo ortodontico o chirurgico.
PONTI, IMPIANTI DENTALI, OPERAZIONI MAXILLO-FACCIALI, COSE COSI'?...
Sì.
ROMPO L'APLOMB: FANTASTICO. COSA LE HA DETTO ALLA FINE QUEL VOLTO SETACCIATO IN LABORATORIO?
Tante cose. Avendo per la prima volta applicato metodiche scientifiche quali la cefalometria cranica, che evidenzia le alterazioni strutturali presenti nell'Uomo della Sindone, i dati ottenuti sono: asimmetria nelle bozze frontali, zigomatiche; deviazione del setto nasale; e asimmetria della mandibola con dislocazione riferibili a traumi occorsi in un arco temporale prossimo al decesso.
BOTTE VIOLENTISSIME...
Il volto che emerge è dovuto al sangue versato, le cui tracce sono riferibili a essudati e a un'impronta che interessa un piccolissimo spessore della tela.
DUNQUE?...
Le metodologie oggi disponibili non sono in grado né di riprodurre né di spiegare quell'impronta che interessa solo un piccolissimo spessore della tela.
CHI SIA L'UOMO DELLA SINDONE E' L'OGGETTO DI UNA CONTROVERSIA ANTICA, A VOLTE PURE VEEMENTE. LA SCIENZA CHE DICE?
La scienza dice che si tratta dell'impronta del cadavere di un uomo veramente sottoposto ante mortem a torture, flagellazioni e percosse, incoronato di spine e alla fine crocefisso. Questo ha determinato la morte di quell'uomo con una corrispondenza totale ai racconti dei Vangeli anche nella successione temporale in cui le torture sono state inferte, compresa la natura post mortem del colpo di lancia nel costato (cfr. Gv 19, 33-34). Studi scientifici proprio del marzo di quest'anno, coordinati dal prof. Giulio Fanti ed elaborati dall'Università degli Studi di Padova (che ha coordinato ricerche svolte in collaborazione con altri atenei), corredati da tre datazioni chimiche e meccaniche, hanno portato a una nuova datazione del lino: tra il 283 a.C. e il 217 d.C., arco di tempo compatibile con la vita di Gesù in Palestina. Ma la modalità di formazione dell'immagine resta un mistero inestricabile.
TACCIO. ANZI NO: E' GESU'?
L'uomo di fede non può rivolgere alla scienza domande a cui la scienza non può dare risposte.

di Marco Respinti
Coordin.
lunedì 27 agosto 2012 23:36
ZOOM SULLA SINDONE

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martedì 30 ottobre 2012 17:43
PERCHE' LA SINDONE E' STATA DATATA COME MEDIOEVALE?

PRIMA PARTE



SECONDA PARTE

Credente
sabato 30 marzo 2013 23:06
La datazione

Credente
sabato 8 giugno 2013 17:51
OLOGRAMMA TRIDIMENSIONALE DEL VOLTO SINDONICO

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sabato 8 giugno 2013 18:01
Sindone di Torino Volto Santo di Manoppello
NELL'IMMAGINE DEL VOLTO DELLA SACRA SINDONE DI TORINO SONO RINTRACCIABILI LE PIEGHE DEL TELO DEL VOLTO SANTO DI MANOPPELLO. Questa eccezionale scoperta è venuta alla luce dopo che al computer stato possibile definire la perfetta sovrapposizione in scala 1:1 delle foto dei reperti sacri. Le pieghe , sul Santo Volto passano in verticale per gli zigomi e sono contraddistinte dai punti d'incrocio con un'altra piega in orizzontale che si trova all'altezza del mento.

http://sindonevoltosanto.blogspot.it/2012/09/sindone-il-vero-volto-di-cristo-in-3d.html





Credente
giovedì 3 luglio 2014 18:30
Per approfondire il tema relativo alla Sindone, vedasi anche a questo link:

QUANTO E' PROBABILE CHE LA SINDONE SIA AUTENTICA ?
Credente
sabato 21 febbraio 2015 22:33

Una misteriosa riproduzione della Sindone
che si trova ad Arquata del Tronto
Il mistero della Sindone di Arquata del TrontoArquata_14.jpgArquata_10-001.jpgArquata_13.jpg

    

(Arquata del Tronto ) - Nello Statuto d'Arquata risalente al 1574 si legge «Che alcuno non se parta della terra d'Arquata e suo contado con animo de non ritornare a detta terra». Tre secoli prima (nell'anno 1215) vi era giunto san Francesco d'Assisi, durante la sua missione di predicatore. Tre secoli dopo...vi arriverà e pernotterà Giuseppe Garibaldi, prima di partire alla volta di Roma, terza ed ultima tappa in territorio ascolano.

Arquata del Tronto è infatti posta sulla Salaria, antichissima via di comunicazione al crocevia di tre regioni (Lazio, Umbria e Abruzzo) il che spiega la sua natura signorile: una storica "rocca medioevale" che sovrasta un territorio particolarmente prezioso. Questo infatti è l'unico comune d'Europa racchiuso all'interno di due aree naturali protette: il Parco Nazionale del Gran Sasso e Monti della Laga, a sud, ed il Parco Nazionale dei Monti Sibillini a nord.

Meno noto il reperto che è custodito nella chiesa di San Francesco di Borgo: una copia della Sacra Sindone custodita a Torino. Si tratta di una fedele riproduzione del sacro lino che reca l'impronta dell'uomo sindonico, flagellato e crocifisso.  Il telo è un unico panno, in filo di lino, un lenzuolo insomma di forma rettangolare (440 cm in lunghezza e 114 cm in altezza), dove sono evidenti le impronte del viso e della nuca. Nessuna velleità circonda il reperto che non accampa pretese di essere il telo in cui fu avvolto il Cristo. In  stampatello  si legge «extractum ab originali» cioè "estratto dall'originale".

Non sono noti i metodi usati per ottenere la riproduzione.
Tutto sarebbe avvenuto solo per contatto. Anche questo reperto è dunque un mistero: non è infatti stata dipinta e l'immagine si compone dalla diversa intensità dell'ordito (è dunque anzitutto un capolavoro di tessitura). Ma conserva la sua santità per un motivo semplice: non essendo una "copia" ma un "estratto dall'originale" contiene, anche se a livello infinitesimale, una parte del sangue di Gesù  e questo per chi crede è motivo di profonda devozione.


Analisi sono state affidate a studiosi per stabilire la consistenza delle materie organiche che in essa si sarebbero "trasferite" e tuttora il reperto è oggetto di studio.

La sindone di Arquata, oggi custodita in una teca di recente realizzazione, fu rinvenuta nel corso di lavori di conservazione e restauro della chiesa dedicata a san Francesco, eseguiti tra il 1980 e il 1981. Il telo si trovava piegato e racchiuso all'interno di un'urna dorata nascosta dentro la nicchia di un altare.
Risale al 1655 e a testimoniarlo è un'antica pergamena dove si spiega che questo lino per volontà del vescovo Massimo Bucciarelli (all'epoca segretario del cardinale Federico Borromeo) fu fatto combaciare con la Sindone e da qui venne la reliquia "per contatto".

Ma perchè si volle fare una copia? Solo per devozione? Probabilmente ci si voleva tutelare da possibili incidenti che potessero accorrere all'originale che, oltretutto, era in possesso non della Chiesa ma dei Savoia.

"L'aver posto la copia in un luogo così remoto conforta la tesi che questa volesse essere una sorta di copia di sicurezza" spiega Leonardo Gabrielli che ci guida nella visita al reperto. E quindi i francescani l'hanno custodita gelosamente per secoli, limitando le ostensioni ed utilizzandola per le processioni solo in casi eccezionali.

Vicino al telo si trova un imponente altare in legno con una tela raffigurante S. Carlo Borromeo inginocchiato dinanzi ad un'altare, ed una tela più piccola anch'essa del tardo '500, raffigurante Gesù che osserva un lenzuolo disteso. Questi due dipinti dimostrano lo stretto legame esistente fra la famiglia Borromeo e la Sacra Sindone.

- See more at: www.giornalesentire.it/article/sindone-di-arquata-del-tronto.html#sthash.n9626...
Credente
domenica 26 aprile 2015 23:26
DIAVOLO E ACQUA SANTA A CONFRONTO SULLA SINDONE. DIALOGO TRA PIERGIORGIO ODIFREDDI E MONS. GIUSEPPE GHIBERTI


Da una parte il matematico irriverente, per il quale la Sindone è una ‘bufala’ che ‘come testimonianza storica vale tanto quanto il film di Gibson’. Dall’altra il monsignore presidente della Commissione per la sindone della diocesi di Torino, per il quale ‘la forza della Sindone’ sta proprio nella ‘povertà di certezze’ e nel suo ‘messaggio’. Un carteggio fra punti di vista opposti sulla più controversa e studiata reliquia della cristianità.

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Dialogo tra Piergiorgio Odifreddi e mons. Giuseppe Ghiberti,
da MicroMega 4/2010

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Caro don Ghiberti,
propongo di iniziare questo nostro scambio sulla Sindone partendo da lontano: cioè, dal tempo in cui conosciamo la sua esistenza. Che, comunque, non è così lontano quanto quello al quale vorrebbero risalire coloro che la ritengono autentica.
Mi permetto di ricordare, che la conquista di Costantinopoli del 1204 rivelò all’Occidente la cornucopia di reliquie conservate nei santuari di Bisanzio. Comprate o trafugate dai Crociati, in breve tempo esse andarono ad arricchire il patrimonio di meraviglie sacre conservate nelle chiese medioevali, per l’elevazione spirituale dei fedeli e materiale del clero, e furono sbeffeggiate dal Belli nel sonetto La mostra de l’erliquie.
Miracolosamente sopravvissute nei millenni, le memorie del Vecchio Testamento erano sorprendenti. La mensa di Abramo. La scure con cui Noè costruì l’arca, e il ramoscello d’ulivo riportato dalla colomba dopo il diluvio. Le tavole della legge e la verga di Mosè. La manna e l’arca della Santa Alleanza. Tre delle trombe con cui Giosuè fece crollare le mura di Gerico. Il trono di David eccetera.
Altrettanto incredibili erano i reperti del Nuovo Testamento. La mangiatoia di Betlemme. Ampolle col latte della Madonna, e l’ultimo respiro di San Giuseppe. Il cordone ombelicale e otto prepuzi di Gesù bambino. I suoi denti da latte, più vari frammenti di unghie e peli di barba. Le pietre sulle quali fu circonciso e battezzato. Le lettere che avrebbe scritto di proprio pugno. I dodici canestri della moltiplicazione dei pani. La coda dell’asino della Domenica delle Palme. Il famoso Santo Graal, cioè il calice dell’ultima cena. Il catino in cui Cristo lavò i piedi agli apostoli, e il panno con cui li asciugò. La clamide scarlatta, la corona di spine, lo scettro di canna, il flagello e le orme dei suoi piedi di fronte a Pilato. La Veronica col suo volto. La cenere del falò acceso dopo la rinnegazione di Pietro. Molti chiodi della croce, e un numero enorme di suoi frammenti di legno. In miracoloso contrasto con essi, la croce tutta intera, ritrovata nel 326 dalla madre di Costantino. La spugna, l’aceto, la canna e la punta della lancia del centurione. Il marmo su cui il corpo fu deposto, con i segni delle lacrime della Madonna. La candela che illuminava il sepolcro. Il dito che l’apostolo Tommaso mise nel costato. La pietra dell’assunzione al cielo eccetera.
Benché alcune di queste reliquie siano (state) conservate nelle basiliche più sacre della cristianità, da Santa Maria Maggiore a San Giovanni in Laterano, chiunque argomentasse seriamente oggi a favore della loro attendibilità storica verrebbe quasi sempre preso per matto. Quasi, ma non sempre, almeno a giudicare dai milioni di fedeli che accorrono a Torino a vedere la Sindone. O meglio, una delle quarantatré sindoni di cui si ha notizia: alcune con immagini, altre no. Molte andate distrutte da incendi e, come già ironizzava Calvino, prontamente rimpiazzate. Una, quella «miracolosa» di Besançon, distrutta per ordine del Comitato di salute pubblica durante la Convenzione nazionale della rivoluzione francese.
La Sindone di Torino, un telo di lino di circa quattro metri per uno, apparve per la prima volta nel 1353 presso Troyes, nel cuore della regione di Chartres e Reims, famose per le loro cattedrali. Il telo reca una doppia immagine, fronte e retro, di un cadavere nudo, rappresentato secondo i canoni e le proporzioni dell’arte gotica dell’epoca: figura rigidamente verticale, gambe e piedi paralleli, tratti del viso più caratterizzati di quelli del corpo. La presenza di segni di ferite in perfetto accordo con il racconto evangelico della passione poteva far supporre che quella fosse un’immagine impressa dal corpo di Cristo sepolto, stranamente mai menzionata nei testi sacri, né rappresentata iconograficamente nel primo millennio.
Nel 1389 il vescovo di Troyes inviò però un memoriale al papa, dichiarando che il telo era stato «artificiosamente dipinto in modo ingegnoso», e che «fu provato anche dall’artefice che lo aveva dipinto che esso era fatto per opera umana, non miracolosamente prodotto». Nel 1390 Clemente VII emanò di conseguenza quattro bolle, con le quali permetteva l’ostensione ma ordinava di «dire ad alta voce, per far cessare ogni frode, che la suddetta raffigurazione o rappresentazione non è il vero Sudario del Nostro Signore Gesù Cristo, ma una pittura o tavola fatta a raffigurazione o imitazione del Sudario».
Alla testimonianza storica del pontefice di allora, evidentemente diverso dai suoi successori di oggi, possiamo ormai aggiungere la conferma scientifica della datazione al radiocarbonio effettuata nel 1988 da tre laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo, su incarico della diocesi di Torino e del Vaticano: la data di confezione della tela si situa tra il 1260 e il 1390, e l’immagine non può dunque essere anteriore.
Stabilito che la Sindone è un artefatto, rimane da scoprire come sia stata confezionata. L’immagine è indelebile, essendo sopravvissuta sia a ripetute immersioni in olio bollente e liscivia effettuate nel 1503 in occasione di un incontro tra l’arciduca Filippo il Bello con Margherita d’Austria, sia al calore di un incendio del 1532, che la danneggiò in più punti. Inoltre, è negativa (le parti in rilievo sono scure, quelle rientranti chiare), unidirezionale (il colore non è spalmato), tridimensionale (l’intensità dipende dalla distanza tra la tela e la parte rappresentata), e ottenuta per disidratazione e ossidazione delle fibre.
Siamo dunque di fronte non a una pittura ma a un’impronta, che certo non può essere stata lasciata da un cadavere. Dal punto di vista anatomico, infatti, le immagini frontale e dorsale non hanno la stessa lunghezza (differiscono di quattro centimetri), ma hanno la stessa intensità, benché il peso avrebbe dovuto essere tutto scaricato sul retro. L’avambraccio destro è più lungo del sinistro. Le braccia sono piegate, ma le mani ricoprono il pube, il che richiederebbe una tensione delle braccia o una legatura delle mani. Le dita sono sproporzionate, e l’indice e il medio sono uguali. Posteriormente si vede l’impronta del piede destro, benché le gambe siano allungate. Dal punto di vista geometrico, l’impronta stereografica lasciata da un corpo o da una statua sarebbe distorta e deformata, soprattutto nella faccia: esattamente come accade per la famosa «maschera di Agamennone», che è distorta proprio perché aderiva al volto del defunto, e contrasta apertamente con la raffigurazione veristica della Sindone.
Solo un bassorilievo di poca profondità può lasciare un’impronta simile. Non è naturalmente possibile sapere con certezza come si sia passati dall’uno all’altra, ma non è necessario scomodare i miracoli. Anzitutto, qualunque calco sarebbe automaticamente negativo e unidirezionale. Per quanto riguarda la tridimensionalità, ci sono due possibilità naturali.
La prima è stata riprodotta dall’anatomopatologo Vittorio Pesce Delfino, che l’ha descritta in E l’uomo creò la Sindone (Dedalo, 2000). Basta scaldare un bassorilievo metallico a 220 gradi e appoggiarvi brevemente un telo, per ottenere un’immagine dal caratteristico colore giallastro della reliquia: lo stesso delle bruciature da ferro da stiro. La tridimensionalità è causata da una duplice trasmissione del calore: per contatto diretto in alcuni punti, e per convezione a distanza in altri. Le foto del libro mostrano come anche una rudimentale e brutta figura sia in grado di lasciare un’impronta sorprendentemente simile alla Sindone.
La seconda possibilità è descritta dal chimico Luigi Garlaschelli nel delizioso libretto Processo alla Sindone (Avverbi, 1998), e rende anche conto di due fatti aggiuntivi: sulla reliquia sono state trovate tracce di colore, e le riproduzioni antiche mostrano un’immagine più intensa di quella attuale. In questo caso l’impronta è ottenuta ponendo il telo sul bassorilievo e strofinandovi sopra dell’ocra in polvere, come si fa col carboncino sulla carta. Col tempo il colore si stacca e lascia un’impronta fantasma residua, come le foglie negli erbari.
A ciascuno dei fatti oggettivi che ho esposto è naturalmente possibile opporre opinioni soggettive, invocanti cause naturali o soprannaturali, nel tentativo di ricondurre la ragione alla fede. La più fantasiosa fra quelle avanzate, tra pollini e monetine, è certamente l’ipotesi che imprecisati fenomeni nucleari avvenuti all’atto della resurrezione atomica di Cristo abbiano modificato la struttura del telo, cospirando a falsarne la datazione in modo da farla coincidere proprio con il periodo della sua apparizione storica. Evidentemente, non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Coloro che invece hanno orecchie per intendere, intendono che il fatto miracoloso non sussiste.
Per me, dunque, il caso è chiuso. Ma sono curioso di conoscere la sua opinione sull’argomento: quello oggettivo che ci presenta la Sindone, ma anche quello soggettivo che ho esposto io.

Piergiorgio Odifreddi

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Caro professor Odifreddi,
vedo che siamo ambedue nativi della provincia di Cuneo e questo mi dà gioia e mi provoca simpatia. I cuneesi sono «quelli del gozzo» (quante bisticciate da ragazzo con quelli della provincia di Torino), ma anche se non si fanno tanti complimenti, per lo più finiscono per capirsi. Avremo qualche difficoltà, perché il nostro modo di rapportarci alla Sindone è dissimile; ma chi sa che non ci scopriamo meno distanti di quanto sembri.
Lei inizia il suo discorso con la lista delle stramberie medioevali e recenti in campo di reliquie e tra di esse pone la Sindone di Torino; quest’ultimo caso però è peggiore, perché, a differenza delle altre, questa continua a essere supervenerata. Poi descrive per sommi capi l’oggetto in questione e le sue vicende, per concludere che è un artefatto, portante un’impronta, che non può essere stata lasciata da un cadavere. L’enumerazione delle anomalie presenti nell’immagine non conclude a una identificazione del fenomeno, ma a una dichiarazione di simpatia per i tentativi operati da Delfino Pesce e da Garlaschelli nella riproduzione di quell’immagine. A fronte di questi fatti oggettivi lei enumera le opinioni soggettive dei favorevoli alla Sindone, che cercano il modo di ricondurre la ragione alla fede, ricorrendo magari alla risurrezione atomica di Cristo. Tutta la descrizione conclude per l’inesistenza del fatto miracoloso e quindi viene giustificata la sentenza: il caso è chiuso. Spero di averla riassunta fedelmente.
Ho l’impressione che quanto lei descrive della Sindone non abbia molto in comune con quanto io penso di questa realtà. So che si ricorre solitamente alla vicenda delle reliquie per spiegare la nascita della Sindone, ma al massimo questo potrebbe individuare la causa della contraffazione, non però la modalità della sua formazione. So che si dicono cose peregrine sull’origine dell’immagine, ma l’essenziale della realtà sindonica non è condizionato a esse. Io per primo non le condivido, come, d’altra parte, tanto meno condivido le proposte di Pesce e di Garlaschelli.
Devo cercare allora di dirle quali sono le mie convinzioni sulla Sindone, come cerco di esporle alla gente e come spero che coincidano, nella sostanza, con quelle che guidano la Chiesa nel proporre la Sindone alla venerazione dei credenti. A me sembra innegabile che l’immagine presente sulla Sindone raffiguri un uomo morto a causa della tortura della crocifissione. Lei ha enumerato parecchie anomalie presenti nella figura sindonica, ma queste aumentano la stranezza misteriosa del reperto, senza però impedire la constatazione di fondo che dicevo: immagine di un uomo morto per crocifissione. La reazione di chi guarda questa immagine può essere varia: una persona con un po’ di cuore sente compassione per tanta sofferenza e indignazione per quella dimostrazione di crudeltà raffinata; sorge intanto la curiosità di capirci qualcosa. Chi ha un po’ di conoscenza della vicenda di Gesù di Nazaret si rende facilmente conto della corrispondenza che passa tra la vicenda dell’uomo della Sindone e quella che ha portato Gesù alla morte: glielo dice una tradizione di devozione, ma soprattutto ne ha conferma da quel poco o tanto che conosce dei racconti evangelici della passione di Gesù. A questo punto, se chi guarda ha la fede, nasce un sentimento spontaneo di interesse affettuoso per un oggetto testimone di un evento tanto importante per la sua vita.
Mi sembra che questo sentimento sia di natura prescientifica, perché viene prima che siano state poste e affrontate tutte le domande che il reperto suggerisce. Queste domande sorgono ben presto e io che guardo ci vado dietro con molto interesse, ma non mi sento condizionato dalle risposte che posso udire, perché la funzione di segno comunque è svolta da quell’oggetto, qualunque cosa possa pensare della datazione della sua origine e della modalità di formazione della sua immagine (che sono poi le due domande fondamentali provocate da quel reperto).
Penso che questa lettura sia determinante, perché relativizza non solo la scienza ma la Sindone stessa: il suo interesse fondamentale consiste nell’essere un segno e questo funziona indipendentemente dalla consistenza della sua natura (la scritta «senso unico» ha la stessa forza di segno sia che la trovi incisa su una lastra di metallo prezioso sia che l’abbiano stampata su cartongesso). La povertà di certezze è la forza della Sindone, e a me personalmente la rende anche cara. Partendo da questa lettura delle cose, non mi sento condizionato al discorso dell’autenticità. C’è chi dice: per continuare a proporre la devozione alla Sindone, la Chiesa deve decidersi a definirne l’autenticità; e c’è chi dice: l’autenticità è del tutto esclusa e quindi la Sindone deve essere eliminata. Non condivido nessuno dei due presupposti: che sia stata detta l’ultima parola sull’autenticità oppure che siano state portate prove definitive della non autenticità; e comunque non mi sento condizionato né dall’uno né dall’altro, perché nel primo caso comunque non avrebbe senso parlare di definizione (la Sindone non è un articolo di fede) e nel secondo caso resterebbe immutata la sua efficacia di segno.
Il discorso a questo punto è tutt’altro che finito, ma può svolgersi in uno stato d’animo sereno. M’interessa molto sapere se questo lenzuolo ha veramente avvolto il cadavere di Gesù. Mi viene sempre spontaneo esemplificare con una mia vicenda personale. In una visita a mia mamma, una volta lei mi venne incontro con una sua fotografia, bella grande e ben incorniciata. Alla mia reazione di sorpresa lei rispose: «Ti servirà dopo». Il «dopo» arrivò presto, perché il Signore me la venne a prendere all’improvviso dopo pochi mesi. Cercando tra le sue cose, trovai una foto di gruppo dove il suo volto era ben visibile e molto naturale; chiesi al fotografo di evidenziarla e ottenni così una seconda fotografia, forse addirittura più naturale della prima. Delle due certamente mi è più cara la prima, che ha avuto un rapporto assai più diretto con lei; eppure tutte e due mi rimandano con molta fedeltà a lei, e tutte e due non sono lei, ma solo dei segni. Così è per la Sindone: non so con sicurezza se appartiene alla categoria della prima (come spero e mi sembra probabile) o della seconda fotografia, ma comunque mi rimanda con particolare forza a Gesù, e comunque non è Gesù.
Certo è la causa di Gesù che viene in gioco con la Sindone. Se non fosse così, i misteri che essa porta in sé interesserebbero sì gli scienziati, ma verrebbero discussi in un loro gremio ristretto, se ne scriverebbe su qualche rivista letta da una dozzina di lettori, e tutto finirebbe lì. Certo la Chiesa ha la sua parte in questa proposta devozionale, ma credo proprio di poter dire – dall’esperienza delle tre ostensioni di cui ho avuto una particolare responsabilità – che il tono apologetico è stato evitato il più possibile, a costo anche di essere decisi nel determinare un orientamento corrispondente a chi avesse voluto pronunciamenti impropri. Ognuno ha il suo modo di sentire, ma l’impostazione fondamentale ha cercato di essere coerente e ha avuto la gioia di sentirsi confermata dall’insegnamento del papa, quando venne in pellegrinaggio nel 1998. Per conto nostro si ripeteva spesso che la Sindone non ha bisogno delle nostre esagerazioni; ciò che conta è l’attenzione e la disponibilità di vita di fronte al suo messaggio.
So che ora si aprono due argomenti enormi: quello appunto del messaggio e quello della discussione scientifica sui problemi della sindonologia. Vorrei però arrestarmi su quanto detto fin qui, perché mi sembra indispensabile per qualunque prosecuzione del discorso.

Giuseppe Ghiberti


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Caro don Ghiberti,

grazie per la sua risposta, e per il suo amichevole ricordo delle nostre comuni origini. Devo però dirle che lei non mi sembra affrontare per niente le obiezioni che ho sollevato.
Il suo atteggiamento nei confronti della Sindone è abbastanza tipico dei credenti coi quali ho, a varie riprese, discusso l’argomento. Se posso riassumerlo, mi sembra che consista, da un lato, nell’accantonare le critiche fattuali che vengono opposte al reperto, in quanto «non conclusive» e incapaci di spiegare le modalità della sua esecuzione. E, dall’altro lato, nel rivendicare comunque alla Sindone un valore di «segno» che punta alle vicende narrate dai vangeli.
Per quanto riguarda l’aspetto fattuale, lei dice che le «interessa molto sapere se questo lenzuolo ha veramente avvolto il cadavere di Gesù». A me invece interesserebbe molto sapere in che modo questo sarebbe mai possibile! Mi sembra infatti ovvio che si possa falsificare la Sindone, ad esempio mediante la datazione al radiocarbonio. Anzi, non solo si può, ma è appunto già stato fatto, benché molti si rifiutino di accettare l’unanime responso dei tre laboratori indipendenti, accampando ogni genere di scuse per vanificarlo.
Ma mi sembra altrettanto ovvio che non sia invece possibile autenticare la Sindone. Anche una sua datazione agli inizi della nostra era, infatti, non significherebbe certo che essa ha avvolto il corpo di Gesù, ma solo che è che coeva agli avvenimenti narrati dai vangeli! Per questo i tentativi di retrodatazione sono inutili, anche se capisco che renderebbero un po’ meno anacronistica e imbarazzante la venerazione della reliquia.
Mi permetto comunque di far notare che i fedeli rifiutano la radiodatazione solo quando non si accorda coi loro desideri, come nel caso in questione. Non contestano invece il metodo quand’esso dà un responso «favorevole», come nel caso dei resti recentemente ritrovati sotto la Basilica di San Paolo fuori le Mura. Infatti, da quella datazione a duemila anni fa Benedetto XVI ha immediatamente e solennemente dedotto l’autenticità delle reliquie dell’Apostolo delle Genti, compiendo un errore logico soprendente per un papa che si suppone «filosofo»!
Per finire con l’aspetto fattuale, non mi sembrano poi rilevanti le obiezioni alle critiche basate sull’osservazione che non è ancora stato soddisfacentemente spiegato come sia stata confezionata la reliquia. Nessuno lo nega, e anch’io non sono particolarmente impressionato dalle riproduzioni di Pesce Delfino o Garlaschelli. Ma si tratta di due aspetti completamente diversi e indipendenti: un conto è smascherare un falsario, un altro riuscire a emularlo! E una bufala che non si sa riprodurre, rimane pur sempre e comunque una bufala.
Passando all’aspetto simbolico della Sindone, capisco benissimo l’atteggiamento dei fedeli che credono alle narrazioni dei vangeli, e ritrovano nell’una e negli altri una vicendevole conferma. D’altronde, persino Giovanni Paolo II ha esclamato, dopo aver visto il polpettone di Mel Gibson sulla passione di Cristo: «È andata proprio così». Come se lui avesse potuto sapere com’erano andate le cose! E come se non fosse invece vero, semplicemente, che il film si era basato sulle narrazioni evangeliche. Lo stesso si può supporre anche per la Sindone, che come testimonianza storica vale tanto quanto il film di Gibson.
A proposito di vangeli, devo però confessare che, come non credente, ho su di loro dubbi ancora più radicali che sulla Sindone: non credo affatto che essi siano libri di storia, che riportano fatti veramente accaduti, e li considero piuttosto come testi letterari, che narrano storie inventate, né più né meno di un romanzo. D’altronde, immagino anche lei consideri allo stesso modo i testi sacri delle religioni diverse dalla sua: a meno che non creda, ad esempio, che le favole sul bambino Krishna sono vere tanto quanto quelle del bambino Gesù.
Per me, dunque, il problema di sapere se la Sindone abbia o no avvolto il cadavere di Gesù non si pone nemmeno. È il circo mediatico dell’ostensione, che mi dà fastidio. Non tanto, o non solo, perché considero la Sindone un falso. Ma anche, e soprattutto, perché essa costituisce uno dei tanti tasselli di un mosaico di superstizioni rudimentali e credulità popolari che la Chiesa cavalca, e che si compone di apparizioni e pianti della Madonna, di sangue di san Gennaro, di miracoli di Padre Pio e via dicendo.
Lei dice che, nel caso dell’ostensione, «il tono apologetico è stato evitato il più possibile», e che la visita di Giovanni Paolo II nel 1998 ha confermato questa impostazione. A me sembra esattamente il contrario: semmai, era la Chiesa del Trecento che evitava i toni apologetici, e che per bocca del vescovo di Troyes e di Clemente VII avvertiva esplicitamente i fedeli che la «reliquia» era un artefatto!
Oggi, sette secoli dopo, siamo costretti a rimpiangere il Medioevo, e a sentire il cardinal Poletto affermare che la Sindone è «probabilmente autentica». Io, di autentico, ci vedo soltanto il business: un business che è stato finanziato con quattro milioni di euro da due amministrazioni piemontesi (regionale e comunale) sedicenti «di sinistra», e con altri sei milioni di euro dalle locali fondazioni bancarie, le une e le altre sottoposte a un esplicito pressing da parte del cardinale.
Comunque sia, l’ostensione è ormai cominciata. Ed è cominciata nel peggiore dei modi: con la sfilata dei vip, dai politici locali agli industriali della Fiat, che hanno beneficiato di una giornata di ostensione privata per evitare di fare la coda e mescolarsi al popolo che governano e sfruttano. In queste occasioni, effettivamente mi piacerebbe avere la fede, per poter credere che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che uno di quei ricchi entri nel Regno dei Cieli».
Ma, se la fede non ce l’ho, è anche perché sono troppo abituato a vedere il cardinale ricevere quegli stessi potenti e ricchi sul sagrato del duomo, nell’attesa di essere sostituito nelle cerimonie da un papa ben più potente e ricco di loro. Un papa che farebbe meglio a dedicare un po’ meno attenzione a un falso lenzuolo di ieri, e un po’ di più ai veri scandali del clero di oggi. In fondo, non è stato proprio quello che lui crede essere l’uomo della Sindone, a dire che a coloro che danno scandalo ai bambini bisogna appendere una macina da mulino al collo e buttarli a mare?

Piergiorgio Odifreddi

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Caro professor Odifreddi,
la redazione di MicroMega mi dice che i tempi per la pubblicazione sono ristrettissimi e perciò mi devo accontentare di pochi cenni di risposta. Spero che questo non arresti il dialogo.
Non ho intenzione di accantonare le «critiche fattuali» opposte al reperto; soltanto le relativizzo per la funzione che rivestono nei confronti del nostro oggetto.
Inizio da un’osservazione marginale, per sgombrare il campo da un’obiezione che non mi sembra determinante: quello che è stato detto sull’attendibilità del referto radiocarbonista riguardante le ossa di san Paolo mi lascia abbastanza indifferente; ne prendo atto, ma nella consapevolezza della sua esile consistenza. Vedremo quel che diranno gli sviluppi futuri della verifica del metodo della datazione con il C14.
Sono d’accordo con lei che se le analisi del C14 nel 1988 avessero concluso per una datazione di epoca romana, non ne sarebbe derivata la certezza che quel lenzuolo abbia avvolto il corpo di Gesù deposto dalla croce; si avrebbe solo un indizio di possibilità da cui partire per la valutazione degli altri indizi.
Non riesco a seguirla nell’attribuzione della qualifica di bufala al reperto sindonico. Se per ora non sappiamo come si sia formata l’immagine sindonica, che cosa ci permette di dire che è opera di un falsario? Che cosa ha permesso di «smascherarlo»? Sarà forse perché comunque ho già deciso che quel reperto può solo avere quell’origine? A me sembra che questo fatto, senza portarmi a conclusioni precipitate, mi suggerisca un atteggiamento di disponibilità di fronte a conclusioni non scontate in partenza.
Passando a quello che lei chiama l’«aspetto simbolico» della Sindone, mi sembra che sia da impostare diversamente il discorso sull’attendibilità storica dei vangeli. L’attendibilità storica della crocifissione di Gesù non è messa in dubbio da nessuno, oggi, e la fonte principale di notizie su quell’evento è offerta dai vangeli. Si potrà discutere sull’intenzionalità storiografica di certi particolari, magari di certe scene, ma l’informazione globale è accettabile. Ora, nel nostro caso, constato due fatti: una descrizione letteraria della crocifissione e morte di Gesù e una descrizione per immagini dei particolari della tortura che ha portato a morte l’uomo della Sindone. Dal loro confronto nasce un’ulteriore costatazione: che i due racconti si corrispondono in una misura eccezionalmente fedele. Questa constatazione suscita quella reazione di interesse, che può assumere forme diverse a seconda del rapporto che l’osservatore ha nei confronti della persona di cui parlano i vangeli. Poi lui cercherà di seguire la pista, da una parte, della riflessione personale sulla sua vita e, dall’altra parte, della ricerca scientifica, unica competente per rispondere alle domande sulla datazione del reperto e sull’origine e modalità di formazione dell’immagine. Ma intanto la funzione di segno ha iniziato a operare, nel modo più legittimo.
Quanto al Medioevo da rimpiangere, forse ha ragione, per tanti motivi, non certo però per le affermazioni usate dal vescovo Pierre d’Arcy nel definire la Sindone, di cui aveva una conoscenza del tutto fantasiosa. Fra gli studi recenti in proposito sono determinanti quelli di Gian Maria Zaccone.
La responsabilità della definizione del business la lascio a lei. Le faccio solo osservare che nelle cifre è stato un po’ troppo… generoso: li avessimo avuto dieci milioni di euro! Ma a questo punto stiamo abbandonando il discorso vero e proprio della Sindone, per entrare nel comportamento della Chiesa. Alla fine lei dice che, «se la fede non ce l’ho, è anche perché…»: non so quanto questo «anche» incida in percentuale sulla decisione di fare la rinuncia alla fede, ma comunque è sempre una cosa dolorosa, di cui non finiremo mai di chiedere scusa.
Sono lieto per avere avuto questo piccolo scambio di opinioni. Lo concludo, in qualità di collega più anziano, con un cordiale augurio al collega più giovane.

Giuseppe Ghiberti

http://temi.repubblica.it/micromega-online/diavolo-e-acqua-santa-a-confronto-sulla-sindone-dialogo-tra-piergiordo-odifreddi-e-mons-giuseppe-ghiberti/
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martedì 28 aprile 2015 07:59
UN EVENTO UNICO

La Sindone mostra l’abisso della sofferenza umana raccolta tutta in un corpo, concentrata tutta su un uomo. Perché non c’è un centimetro quadrato di quel corpo che non sia macellato, seviziato, triturato. Con l’inevitabile sofferenza interiore prodotta dall’odio, dal disprezzo, dalle umiliazioni.

Ma la Sindone mostra pure la formidabile resistenza fisica di quell’Uomo, senza la quale sarebbe bastata la selvaggia flagellazione a farlo morire: resistenza fisica che può essere prodotta solo da una sovrumana forza interiore, quindi da una titanica decisione di sopportare tutto, di espiare per tutti, perciò da un oceano di compassione. Egli si è preso sulle spalle le sofferenze di noi tutti.

Infine la Sindone è anche un formidabile fenomeno scientifico che parla soprattutto a questo nostro tempo, il primo della storia che ha la possibilità e gli strumenti per decifrare i tantissimi messaggi che contiene.

Proviamo allora a elencare alcuni di questi elementi.

Anzitutto è un “unicum”, perché non si è trovata alcuna spiegazione scientifica alla formazione di questa immagine che non è data da pigmento, ma da una bruciatura superficiale del lino e – sottolineo – una bruciatura non per contatto (altrimenti nel lenzuolo aperto l’immagine sarebbe apparsa deformata): gli scienziati ipotizzano un gigantesco, istantaneo e inspiegabile sprigionarsi di energia da quel corpo.

Quindi la Sindone porta le tracce di un avvenimento unico nella storia, un fatto non naturale e che non è possibile riprodurre nemmeno oggi.

Inoltre la Sindone contiene informazioni e dati – per esempio la tridimensionalità – che oggi sono strumentalmente decifrabili, ma che non potevano essere conosciuti e prodotti dagli uomini dei secoli scorsi, né in tutti i secoli precedenti (così pure le tracce microscopiche di polline dell’area di Gerusalemme, come lo Zygophyllum dumosum, che non si possono collocare o rilevare senza i moderni microscopi).

LE PROVE

Infine le analisi medico legali hanno appurato

1) che quel lenzuolo ha sicuramente avvolto il corpo di un uomo morto, come dimostrato dal sangue cadaverico e dalla rigidità cadaverica delle gambe (peraltro quella ferita al costato è incompatibile con la vita);

2) l’équipe di scienziati americani dello STURP che analizzarono ogni centimetro del lenzuolo nel 1978 ha accertato inoltre che quel corpo morto è stato contenuto dentro al lenzuolo meno di 40 ore, perché non c’è alcuna traccia di putrefazione;

infine 3) la stessa équipe ha scoperto che i contorni della macchie di sangue rivelano che non vi fu alcun movimento fra il corpo e il lenzuolo, quindi quel corpo è uscito dal lenzuolo senza strappo dei coaguli ematici, cioè senza movimento, senza spostarsi, come passando attraverso il lenzuolo.

Quindi quel corpo risuscitando ha acquisito delle proprietà che nessun altro corpo normale possiede (proprio come dicono i Vangeli).

E tutto è accaduto con un’esplosione di luce che ha impresso – con modalità sconosciute – l’immagine sul lenzuolo. Arnaud-Aaron Upinsky nota che, scientificamente parlando, “la Sindone porta la prova di un fatto metafisico”. E’ la resurrezione.

LA FORZA

L’Uomo della Sindone ha preso su di sé tutta la debolezza e le sofferenze degli uomini e le ha investite con tutta la Potenza di Dio, che spazza via la morte.

E quell’Uomo-Dio ora è vivo. La sua è la luce che brilla sui volti di tanti che oggi non soccombono alle croci. Misteriosamente presente fra noi, dona, con la sua amicizia, la sua stessa forza.

Cosicché già qui sulla terra è possibile sperimentare – anche fra le lacrime e le prove della vita – la misteriosa letizia della vittoria.

Quell’eroica ragazza in croce, che ho citato, accennando alla Sindone, mi ha detto: “Che commozione sentir parlare del nostro Salvatore! Con il suo folle amore ha voluto rendere libero e felice ognuno di noi”.



Antonio Socci
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lunedì 12 ottobre 2015 13:17
L'OMBRA DEL CORPO E LA LUCE DEL MISTERO

Il Premio internazionale di Cultura cattolica sarà consegnato alla sindonologa Emanuela Marinelli (nella foto) il 23 ottobre alle 20.30, in una solenne cerimonia nel Teatro Remondini di Bassano del Grappa. La professoressa Marinelli, romana, si occupa della Sindone da 38 anni e sull’argomento ha scritto 17 libri e tenuto centinaia di conferenze in vari Paesi del mondo; è stata anche coordinatrice del Comitato organizzatore del congresso mondiale «Sindone 2000» ad Orvieto. Il riconoscimento bassanese, gestito dalla locale Scuola di cultura cattolica e giunto alla XXXIII edizione, è andato tra gli altri a personalità come Joseph Ratzinger, Krysztof Zanussi, Angelo Scola, Riccardo Muti, Camillo Ruini, Ugo Amaldi, Michael Novak, Divo Barsotti, Cornelio Fabro, Augusto Del Noce...


Nel 1977 il botanico svizzero Max Frei rese noti i risultati di una ricerca sui pollini di cui aveva trovato traccia sulla Sindone: su 58 tipi, 38 appartenevano a piante della Palestina che non esistono in Europa. I più frequenti erano pollini identici a quelli che si trovano nei sedimenti del lago di Genezaret. In Emanuela Marinelli, allora giovane laureata in Scienze naturali e in Geologia alla «Sapienza» di Roma, la scoperta suscitò un interesse profondo. Pollini dalla Palestina, come una firma sulla reliquia che dal 1933 non veniva esposta al pubblico. La Marinelli bussò al Centro romano di Sindonologia di monsignor Giulio Ricci, cominciò a studiare. Apprese che in corrispondenza del tallone dello sconosciuto avvolto nel telo c’erano tracce di un tipo di aragonite, identico a quello che si trova nelle grotte di Gerusalemme. 

Ed Emanuela Marinelli si innamorò della Sindone. Amore tenace: quasi quarant’anni di studio. E 17 libri, centinaia di articoli, migliaia di conferenze, dall’Indonesia al Kazakistan al Burkina Faso: lunghi viaggi, talvolta pericolosi, sempre con una copia della Sindone piegata nella valigia, per andare a spiegare, in capo al mondo. Per questa appassionata attività di divulgazione la professoressa riceve il 23 ottobre prossimo a Bassano del Grappa il prestigioso Premio internazionale della Cultura Cattolica.

La incontriamo in un caffè di Roma. Giovanile, vivace, da come parla è evidente che l’innamoramento per la Sindone continua, da quel lontano giorno in cui, dice, davanti a una sua copia si ritrovò senza parole: «Mi parve – dice – un Vangelo scritto col sangue». Ma venne il 1988, l’anno del famoso test effettuato con il carbonio 14 su un frammento del telo: la Sindone, almeno così fu detto, alla prova della scienza. Dai laboratori di Oxford, Tucson e Zurigo arrivò il verdetto: il lenzuolo risaliva al Medio Evo. Un esito tranchant, che sembrò spazzare via secoli di speranze di avere, ancora, una traccia materiale del passaggio di Cristo sulla terra. Quasi tutti a quel punto, come scrisse Vittorio Messori, si inchinarono, devoti, a «san carbonio 14». 

Non proprio tutti, però. Emanuela Marinelli: «L’angolo del telo sottoposto all’analisi risultò essere stato manipolato, rammendato, inquinato da funghi e batteri. Se il campione era inquinato, la datazione poteva riferirsi alle tracce lasciate da polveri e manipolazioni». Lo sostennero poi, del resto, studiosi illustri come Gove. L’ombra che la scienza sembrava avere dissipato, in realtà rimaneva. Benché, dice la Marinelli, «si avvertisse una volontà di negare la storicità della Sindone, a prescindere da ogni elemento emerso dalla ricerca. Una volontà ideologica di negare: forse perché, come disse il cardinale Biffi, se la Sindone è falsa per un cristiano non cambia niente, ma se la Sindone è vera, per gli atei cambiano tante cose…».

La 'verità' assoluta sentenziata dal carbonio 14 fu per la Marinelli, che si era laureata in Scienze naturali con una tesi sulla radioattività dei minerali di uranio, una sfida a studiare ancora. Fu allora che pubblicò il primo dei suoi 17 libri, vagliando ogni ricerca, ogni parola pronunciata sulla Sindone. Perché ancora molto, secondo lei, non era chiaro. «Il tessuto – dice – mostra una cimosa e una cucitura particolari, ed è assimilabile ai tessuti trovati anni fa a Masada, e risalenti al I secolo dopo Cristo. Le analisi provano che in corrispondenza delle ferite c’è sangue; altre analisi dimostrano che un corpo giacque nel telo per 36/40 ore. Ma non c’è traccia del trascinamento che dovrebbe apparire, se il cadavere fosse stato rimosso». 

«Infatti sa quali studiosi, anche se atei e 'negazionisti', ammettono che nella Sindone è stato avvolto un uomo? I medici e gli artisti: i primi perché riconoscono che quello è sangue, i secondi perché capiscono che quella non è pittura. L’esperimento più significativo, però, è stato quello condotto in Italia, all’Enea. Un laser a eccimeri è stato puntato su un tessuto, e l’effetto ottenuto è quanto di più simile abbiamo all’immagine della Sindone. La stoffa risulta ingiallita, come fosse stata attraversata da un fortissima luce». 

La fede non influisce sui suoi studi? chiediamo. Lei, pacata: «No. I pollini, l’aragonite, la cimosa del tessuto, sono tutti elementi concreti. Oggi si può affermare che la prova del carbonio 14 non basta più per smentire la autenticità della Sindone». È possibile, secondo lei, svolgere nuovi test attendibili? «Temo di no, perché l’incendio cui il telo scampò chiuso in una cassetta, nel 1532 a Chambéry, può averlo comunque contaminato e ciò altererebbe i risultati dell’indagine con il carbonio». 

La Sindone, dunque, cos’è per lei? «Un’immagine ancora non spiegabile, che ci lascia sulla soglia di un enigma. Come scrisse Arpino: 'In un pianeta che è rigonfio di monumenti, piramidi, colossei, archi trionfali, statue equestri, templi incontaminati o corrosi dalle muffe e dall’abbandono, in questo pianeta solo una pezza di lino, con quell’Orma, conserva il suo mistero'. Ma questa immagine, nella sua povertà, continua a chiamare gli uomini. La Sindone è icona della sofferenza umana. La gente, quando vado a parlarne, mi sta a ascoltare, ovunque: nelle regioni più lontane del mondo, nelle scuole, nelle carceri». 

Ma una sera una donna anziana, finita la conferenza, si alzò dalla platea. Era una donna modesta del Sud Italia, con le mani sciupate dal lavoro casalingo. «Professoressa – disse –, io non ho capito molto del carbonio 14, però una cosa ho capito. Ho capito che noi dobbiamo diventare come la Sindone, dobbiamo stamparci dentro l’immagine di quel volto sofferente, per portarlo a quelli che incontriamo». E quella volta fu la professoressa, commossa, a restare muta.
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venerdì 16 ottobre 2015 16:45
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venerdì 16 ottobre 2015 17:15




OSSERVAZIONI SULLA SINDONE 

Nel libro ‘La Sindone di Gesù nazareno’, Barbara Frale sostiene che l’inchiostro di un certificato di esecuzione sia filtrato attraverso il famoso sudario, rivelando alcune parole e confermando che il tessuto sia autentico, e non – come sostengono gli esperti – un falso medievale: la datazione al radiocarbonio lo data infatti al 13′ o al 14′ secolo. 

La Frale ne è sicura: “In base ai confronti svolti, oggi sono convinta che le tracce di scrittura identificate sul lino della Sindone possano appartenere ad un testo derivato direttamente o indirettamente dai documenti originati fatti produrre per la sepoltura di Yeshua ben Yosef Nazarani, più noto come Gesù di Nazareth detto il Cristo”. 

Le frase, scritta in latino, greco ed ebraico, sarebbe “Gesù Nazareno deposto sul far della sera (o alla nona ora), a morte, perché trovato [colpevole di incitare le persone alla rivolta]. Messo a morte nell’anno 16 di Tiberio”. 

Ecco i punti principali: 

* secondo la Frale il nome “(J)esu(s) Nazarene” (scritto in Greco) prova che non sia stato scritto nel Medioevo; altrimenti si avrebbe fatto riferimento alla sua divinità scrivendo per esempio “Cristo” o “Figlio di Dio” per non cadere nell’eresia. 
* le lettere erano già state viste decine d’anni fa, ma erano state scartate a causa della datazione al radiocarbonio. 
* lo stile di scrittura è tipico del Medio Oriente del 1′ secolo. 
* ci sono almeno 11 parole sparse sul tessuto. 
* una piccola sequenza di lettere in Aramaico non è stata completamente tradotta. Un altro frammento in Greco – “iber” – potrebbe riferirsi all’imperatore Tiberio, che regnò quando Gesù venne crocifisso. 
* un frammento in Greco potrebbe essere letto come “rimosso alla nona ora”: l’ora della morte di Gesù secondo i Vangeli. 
* un eventuale falsario “avrebbe dovuto inventare un sistema complicato per lasciare sul telo certe tracce che sarebbero divenute visibili ai posteri solo tanti secoli dopo, con l’invenzione della fotografia”, dice lei. 

Continua: “Al tempo di Cristo [...] le pratiche di sepoltura ebraiche stabilivano che un corpo sepolto dopo una condanna a morte potessero essere riconsegnate solo alla famiglia dopo esser state purificate per un anno in una fossa comune”. Un certificato di morte attaccato al tessuto intorno al viso era perciò necessario persuccessivi recuperi del corpo. 

A favore, il medievalista Franco Cardini – “gli indizi che lei individua [sono] troppo coerenti per poterli considerare frutto del caso” – e Raymond Rogers del Los Alamos National Laboratory, secondo cui il manufatto risalirebbe dai 1300 ai 3000 anni fa. 

Scettici, oltre al Vaticano, tutti gli altri. 

Per Luciano Canfora la ricchezza di dettagli e il poliglottismo della scritta fanno pensare ad una “vera falsificazione”. 

Scettico pure Bruno Barberis, il direttore del Centro internazionale di Sindonologia di Torino: “Il nodo è che queste scritte sono tutt’altro che confermate. Non è mai stato fatto un rilievo fotografico che dia risposte definitive se sulla Sindone ci siano delle scritte. Del resto in molti vi hanno rinvenuto tantissime parole: sembra più un’enciclopedia che un sudario. Bisognerà stabilire se queste scritte [della Frale] esistono. Che poi si giunga a conclusioni del genere della Frale, mi sembra fantascienza e fantastoria”. 

Lo storico Antonio Lombatti spiega: “Da un lato è vero che se fosse di fattura medievale sarebbe etichettato col nome di Cristo, come tutte le reliquie dell’epoca. Il problema è che non ci sono iscrizioni da vedere [...] Se guardate una foto del sudario, c’è un sacco di contrasto tra chiaro e scuro, ma non ci sono lettere”. Sottolinea poi che testi in Greco e Aramaico sono stati trovati in sepolture ebraiche del primo secolo, ma l’uso del latino è sconosciuto. E rigetta poi l’idea che le autorità riconsegnassero ufficialmente il corpo di un uomo crocifisso ai parenti dopo aver compilato qualche modulo: generalmente o li si lasciava sulla croce o li si ammassava da qualche parte. 

Gian Marco Rinaldi: “Questi miglioramenti [dell'immagine] al computer aumentano il contrasto in un modo non realistico”. 

Secondo uno studio della Frale i Templari possedevano una volta il sudario. Bisogna però far notare che l’Ordine venne sciolto all’inizio del XIV secolo e che la prima menzione della Sindone risale intorno al 1360 nelle mani di un cavaliere francese. 

La Sindone è grande 4 x 1 m. ed ha subito diversi danni nei secoli, tra cui il fuoco. La Chiesa cattolica non ne rivendica l’autenticità, ma la considera un simbolo della sofferenza di Cristo. La prossima esposizione pubblica della Sindone è programmata per il 2010. Anche papa Benedetto XVI ha chiesto di visitarla. 

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Anni fa la Sindone fu datata col sistema del Radiocarbonio C14. 
Ma forse non tutti sanno che tale radiodatazione presenta i seguenti elementi di dubbio: 
Le variazioni della concentrazione di 14C nell'atmosfera del passato sono state studiate principalmente tramite la dendrocronologia: misurando la concentrazione di 14C in resti di alberi di età nota si è ottenuta una curva di calibrazione, usando la quale l'età radiocarbonica di un campione (cioè l'età calcolata in base al suo contenuto di 14C) viene corretta per ottenere la presunta età effettiva. L'applicazione di questa calibrazione comporta generalmente la determinazione di più età differenti, ciascuna con una diversa probabilità ed un differente margine di errore. Organismi che assumono carbonio di diversa provenienza, per esempio fossile (nel qual caso si ottiene una datazione più antica) restituiscono datazioni completamente sbagliate. 
Anche le già citate variazioni di breve e lungo periodo della concentrazione di 14C nell'atmosfera influenzano la datazione, che richiede quindi di essere calibrata tramite il confronto con la dendrocronologia. 
Può accadere in archeologia, che la radiodatazione di un campione dia un risultato in disaccordo con la stratigrafia del sito nel quale esso è stato dissotterrato, o con la sua datazione determinata con metodi differenti. 
In genere vanno considerate le condizioni ambientali e le caratteristiche del sito da cui si preleva il campione. Tuttavia a volte anche campioni trattati con la massima cautela danno datazioni anomale a causa di variazioni del 14C le cui cause spesso rimangono ignote non potendo ricostruire in modo assoluto le "vicissitudini biologiche" del reperto. 
Willi Wölfli, direttore del laboratorio AMS del Politecnico di Zurigo uno dei massimi specialisti mondiali del campo, ha riportato che per 64 campioni prelevati in siti archeologici egiziani, l'età radiocarbonica differiva da quella determinata in base alla cronologia comunemente accettata della storia egizia in media di 400 anni, e per alcuni campioni fino a 800-1200 anni sia in eccesso che in difetto. 

La Sindone ha avuto vicissitudini molto complesse che possono avere alterato le condizioni originarie del telo, tra cui le esposizioni frequenti ai ceri fumiganti, i due incendi, la formazione di miscrospore ed altri condizionamenti che nei primi mille anni della sua storia non ci è possibile sapere, ma che certamente hanno potuto influire sullo stato del tessuto originario. 

Perciò la datazione con quel metodo risulta inattendibile. 
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(ANSA) - ROMA, 4 MAG - I ricercatori dell'Enea di Frascati sono riusciti a riprodurre in laboratorio una colorazione simile a quella della Sindone di Torino. Grazie a speciali laser a eccimeri hanno prodotto un'immagine che al momento e' l'unica con la stessa caratteristica di superficialita' dell'originale. 

Fino ad ora l'immagine della Sindone era ritenuta impossibile da replicare. La Sindone di Torino e' l'esempio piu' famoso di immagine acheropita, cioe' ritenuta non fatta da mano umano. 
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2010 / In News 

“Tutta la terra desidera il tuo volto”. In questa frase della liturgia sta il segreto della Sindone che continua ad attrarre milioni di persone. E’ l’attrazione per colui che la Bibbia definiva “il più bello tra i figli dell’uomo”. E che qui è “fotografato” come un uomo macellato con ferocia. 

La Sindone non è solo “una” notizia oggi, perché inizia la sua ostensione. E’ “la” notizia sempre. Perché documenta – direi scientificamente – la sola notizia che – dalla notte dei tempi alla fine del mondo – sia veramente importante: la morte del Figlio di Dio e la sua resurrezione cioè la sconfitta della morte stessa. 

Sì, avete letto bene. Perché la sindone non illustra soltanto la feroce macellazione che Gesù subì, quel 7 aprile dell’anno 30, con tutti i minimi dettagli perfettamente coincidenti con il resoconto dei vangeli, ma documenta anche la sua resurrezione: il fatto storico più importante di tutti i tempi, avvenuta la mattina del 9 aprile dell’anno 30 in quel sepolcro appena fuori le mura di Gerusalemme. 

Che Gesù sia veramente vivo lo si può sperimentare – da duemila anni – nell’esperienza cristiana. Attraverso mille segni e una vita nuova. Ma la sindone porta traccia proprio dell’evento della sua resurrezione. 

Ce lo dicono la medicina legale e le scoperte scientifiche fatte con lo studio dettagliato del lenzuolo per mezzo di sofisticate apparecchiature. Cosicché questo misterioso lino diventa una speciale “lettera” inviata soprattutto agli uomini della nostra generazione, perché è per la prima volta oggi, grazie alla moderna tecnologia, che è possibile scoprire le prove di tutto questo. 

Cosa hanno potuto appurare infatti gli specialisti? In sintesi tre cose. 

Primo. Che questo lenzuolo – la cui fattura rimanda al Medio oriente del I secolo e in particolare a tessitori ebrei (perché non c’è commistione del lino con tessuti di origine animale, secondo i dettami del Deuteronomio) – ha sicuramente avvolto il corpo di un trentenne ucciso (morto tramite il supplizio della crocifissione con un supplemento di tormenti che è documentato solo per Gesù di Nazaret). 

Che ha avvolto un cadavere ce lo dicono con certezza il “rigor mortis” del corpo, le tracce di sangue del costato (sangue di morto) e la ferita stessa del costato che ha aperto il cuore. 

Secondo. Sappiamo con eguale certezza che questo corpo morto non è stato avvolto nel lenzuolo per più di 36-40 ore perché, al microscopio, non risulta vi sia, sulla sindone, alcuna traccia di putrefazione (la quale comincia appunto dopo quel termine): in effetti Gesù – secondo i Vangeli – è rimasto nel sepolcro dalle 18 circa del venerdì, all’aurora della domenica. Circa 35 ore. 

Terza acquisizione certa, la più impressionante.
Quel corpo – dopo quelle 36 ore – si è sottratto alla fasciatura della sindone, ma questo è avvenuto senza alcun movimento fisico del corpo stesso, che non è stato mosso da alcuno né si è mosso: è come se fosse letteralmente passato attraverso il lenzuolo. 

Come fa la sindone a provare questo?  Lo dice l’osservazione al microscopio dei coaguli di sangue. 

Scrive Barbara Frale in un suo libro recente: “enormi fiotti di sangue erano penetrati nelle fibre del lino in vari punti, formando tanti grossi coaguli, e una volta secchi tutti questi coaguli erano diventati grossi grumi di un materiale duro, ma anche molto fragile, che incollava la carne al tessuto proprio come farebbero dei sigilli di ceralacca. Nessuno di questi coaguli risulta spezzato e la loro forma è integra proprio come se la carne incollata al lino fosse rimasta esattamente al suo posto”. 

Lo studio dei coaguli al microscopio rivela che quel corpo si è sottratto al lenzuolo senza alcun movimento, come passandogli attraverso. Ma questa non è una qualità fisica dei corpi naturali: corrisponde alle caratteristiche fisiche di un solo caso storico, ancora una volta quello documentato nei Vangeli. 

In essi infatti si riferisce che il corpo di Gesù che appare dopo la resurrezione è il suo stesso corpo, che ha ancora le ferite delle mani e dei piedi, è un corpo di carne tanto che Gesù, per convincere i suoi che non è un fantasma, mangia con loro del pesce, solo che il suo corpo ha acquisito qualità fisiche nuove, non più definite dal tempo e dallo spazio. 

Può apparire e scomparire quando e dove vuole, può passare attraverso i muri: è il corpo glorificato, come saranno anche i nostri corpi divinizzati dopo la resurrezione. 

Si tratta quindi di un caso molto diverso dalla resurrezione di Lazzaro che Gesù semplicemente riportò in vita. La resurrezione di Gesù – com’è riferita dai Vangeli e documentata dalla sindone – è la glorificazione della carne non più sottoposta ai limiti fisici delle tre dimensioni, l’inizio di “cieli nuovi e terra nuova”. 

La “prova” sperimentale di questa presenza misteriosa di Gesù è propriamente l’esperienza cristiana: Gesù continua a manifestare la sua presenza fra i suoi continuando a compiere i prodigi che compiva duemila anni fa e facendone pure di più grandi. 

Ma la sindone documenta in modo scientificamente accertabile l’unico caso di morto che – anziché andare in putrefazione – torna in vita sottraendosi alla fasciatura senza movimento, grazie all’acquisizione di qualità fisiche nuove e misteriose, che gli permettono di smaterializzarsi improvvisamente e oltrepassare le barriere fisiche (come quella del lenzuolo stesso). 

E’ esattamente ciò che si riferisce nel vangelo di Giovanni: quando Pietro e Giovanni entrano nel sepolcro dove erano corsi per le notizie arrivate dalle donne, si rendono conto che è accaduto qualcosa di enorme proprio perché trovano il lenzuolo esattamente com’era, legato attorno al corpo, ma come afflosciato su di sé perché il corpo dentro non c’era più. 

Più tardi, aprendo quel lenzuolo, scopriranno un’altra cosa misteriosa: quell’immagine. Ancora oggi, dopo duemila anni, la scienza e la tecnica non sanno dirci come abbia potuto formarsi. E non sanno riprodurla. 

Infatti non c’è traccia di colore o pigmento, è la bruciatura superficiale del lino, ma sembra derivare dallo sprigionarsi istantaneo di una formidabile e sconosciuta fonte di luce proveniente dal corpo stesso, in ortogonale rispetto al lenzuolo (fatto anch’esso inspiegabile). 

La “non direzionalità” dell’immagine esclude che si siano applicate sostanze con pennelli o altro che implichi un gesto direzionale. E ci svela che l’irradiazione è stata trasmessa da tutto il corpo (tuttavia il volto ha valori più alti di luminanza, come se avesse sprigionato più energia o più luce). 

Quello che è successo non è un fenomeno naturale e non è riproducibile. Non deriva dal contatto perché altrimenti non sarebbe tridimensionale e non si sarebbe formata l’immagine anche in zone del corpo che sicuramente non erano in contatto col telo (come la zona fra la guancia e il naso). 

Oggi poi i computer hanno permesso di rintracciare altri dettagli racchiusi nella sindone che tutti portano a lui: Gesù di Nazaret. 

Dai 77 pollini, alcuni dei quali tipici dell’area di Gerusalemme (quello dello Zygophillum dumosum, si trova esclusivamente nei dintorni di Gerusalemme e al Sinai), alle tracce (sul ginocchio, il calcagno e il naso) di un terriccio tipico anch’esso di Gerusalemme. Ai segni di aloe e mirra usate dagli ebrei per le sepolture. 

Infine le tracce di scritte in greco, latino ed ebraico impresse per sovrapposizione sul lenzuolo. 

Barbara Frale ha dedicato un libro al loro studio, “La sindone di Gesù Nazareno”. Da quelle lettere emerge il nome di Gesù, la parola Nazareno, l’espressione latina “innecem” relativa ai condannati a morte e pure il mese in cui il corpo poteva essere restituito alla famiglia. 

La Frale, dopo accuratissimi esami, mostra che doveva trattarsi dei documenti burocratici dell’esecuzione e della sepoltura di Gesù di Nazaret. Un fatto storico. Un avvenimento accaduto che ha cambiato tutto. 


Antonio Socci 

 

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venerdì 16 ottobre 2015 17:32
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lunedì 23 novembre 2015 17:52
LA POSIZIONE E LA FORMA DELLE SCRITTE INDIVIDUATE SULLA SINDONE
DALLA RICERCATRICE BARBARA FRALE

SINDONSCRITTE

Nel libro ‘La Sindone di Gesù nazareno’, Barbara Frale sostiene che l’inchiostro di un certificato di esecuzione sia filtrato attraverso il famoso sudario, rivelando alcune parole e confermando che il tessuto sia autentico, e non – come sostengono gli esperti – un falso medievale: la datazione al radiocarbonio lo data infatti al 13′ o al 14′ secolo.

La Frale ne è sicura: “In base ai confronti svolti, oggi sono convinta che le tracce di scrittura identificate sul lino della Sindone possano appartenere ad un testo derivato direttamente o indirettamente dai documenti originati fatti produrre per la sepoltura di Yeshua ben Yosef Nazarani, più noto come Gesù di Nazareth detto il Cristo”.

Le frase, scritta in latino, greco ed ebraico, sarebbe “Gesù Nazareno deposto sul far della sera (o alla nona ora), a morte, perché trovato [colpevole di incitare le persone alla rivolta]. Messo a morte nell’anno 16 di Tiberio”.

Ecco i punti principali:

* secondo la Frale il nome “(J)esu(s) Nazarene” (scritto in Greco) prova che non sia stato scritto nel Medioevo; altrimenti si avrebbe fatto riferimento alla sua divinità scrivendo per esempio “Cristo” o “Figlio di Dio” per non cadere nell’eresia.
* le lettere erano già state viste decine d’anni fa, ma erano state scartate a causa della datazione al radiocarbonio.
* lo stile di scrittura è tipico del Medio Oriente del 1′ secolo.
* ci sono almeno 11 parole sparse sul tessuto.
* una piccola sequenza di lettere in Aramaico non è stata completamente tradotta. Un altro frammento in Greco – “iber” – potrebbe riferirsi all’imperatore Tiberio, che regnò quando Gesù venne crocifisso.
* un frammento in Greco potrebbe essere letto come “rimosso alla nona ora”: l’ora della morte di Gesù secondo i Vangeli.
* un eventuale falsario “avrebbe dovuto inventare un sistema complicato per lasciare sul telo certe tracce che sarebbero divenute visibili ai posteri solo tanti secoli dopo, con l’invenzione della fotografia”, dice lei.

Continua: “Al tempo di Cristo [...] le pratiche di sepoltura ebraiche stabilivano che un corpo sepolto dopo una condanna a morte potessero essere riconsegnate solo alla famiglia dopo esser state purificate per un anno in una fossa comune”. Un certificato di morte attaccato al tessuto intorno al viso era perciò necessario persuccessivi recuperi del corpo.

A favore, il medievalista Franco Cardini – “gli indizi che lei individua [sono] troppo coerenti per poterli considerare frutto del caso” – e Raymond Rogers del Los Alamos National Laboratory, secondo cui il manufatto risalirebbe dai 1300 ai 3000 anni fa.

Scettici, oltre al Vaticano, tutti gli altri.

Per Luciano Canfora la ricchezza di dettagli e il poliglottismo della scritta fanno pensare ad una “vera falsificazione”.

Scettico pure Bruno Barberis, il direttore del Centro internazionale di Sindonologia di Torino: “Il nodo è che queste scritte sono tutt’altro che confermate. Non è mai stato fatto un rilievo fotografico che dia risposte definitive se sulla Sindone ci siano delle scritte. Del resto in molti vi hanno rinvenuto tantissime parole: sembra più un’enciclopedia che un sudario. Bisognerà stabilire se queste scritte [della Frale] esistono. Che poi si giunga a conclusioni del genere della Frale, mi sembra fantascienza e fantastoria”.

Lo storico Antonio Lombatti spiega: “Da un lato è vero che se fosse di fattura medievale sarebbe etichettato col nome di Cristo, come tutte le reliquie dell’epoca. Il problema è che non ci sono iscrizioni da vedere [...] Se guardate una foto del sudario, c’è un sacco di contrasto tra chiaro e scuro, ma non ci sono lettere”. Sottolinea poi che testi in Greco e Aramaico sono stati trovati in sepolture ebraiche del primo secolo, ma l’uso del latino è sconosciuto. E rigetta poi l’idea che le autorità riconsegnassero ufficialmente il corpo di un uomo crocifisso ai parenti dopo aver compilato qualche modulo: generalmente o li si lasciava sulla croce o li si ammassava da qualche parte.

Gian Marco Rinaldi: “Questi miglioramenti [dell'immagine] al computer aumentano il contrasto in un modo non realistico”.

Secondo uno studio della Frale i Templari possedevano una volta il sudario. Bisogna però far notare che l’Ordine venne sciolto all’inizio del XIV secolo e che la prima menzione della Sindone risale intorno al 1360 nelle mani di un cavaliere francese.

La Sindone è grande 4 x 1 m. ed ha subito diversi danni nei secoli, tra cui il fuoco. La Chiesa cattolica non ne rivendica l’autenticità, ma la considera un simbolo della sofferenza di Cristo. La prossima esposizione pubblica della Sindone è programmata per il 2010. Anche papa Benedetto XVI ha chiesto di visitarla.

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lunedì 21 dicembre 2015 13:19

ULTERIORI RISCONTRI SCIENTIFICI SULLA VERIDICITA' DELLA SINDONE

Un team di esperti di Ortognatodonzia, branca dell’odontoiatria che studia le anomalie dei denti e delle ossa mascellari, studiando l’immagine unica al mondo della Sindone di Torino, ne ha ricostruito in maniera più realistica quello che doveva essere il volto dell’Uomo che in essa fu avvolto.

Ne è venuto fuori un libro: Autopsia dell’Uomo della Sindone (Elledici, Leumann [Torino] 2015).
Nella foto in basso, la suggestiva ricostruzione tridimensionale del volto.

– di Marco Respinti –

Nell’Università degli Studi di Milano, il professor Giampietro Farronato è ordinario di Ortognatodonzia, quella branca dell’odontoiatria che studia le anomalie dei denti e delle ossa mascellari. Con una squadra di superspecialisti – Bruno Barberis, Luigi Fabrizio Rodella, Giovanni Pierucci, Mauro Labanca, Alessandra Majorana e Massimo Boccaletti -, ha passato al bisturi nientemeno che la Sindone. Ne è venuto fuori un libro ricco e intrigante, Autopsia dell’Uomo della Sindone (Elledici, Leumann [Torino] 2015), presentato qualche giorno fa a Milano nella Chiesa di San Gottardo in Corte, nell’ambito della rassegna «Scuola della cattedrale» promossa dalla Veneranda Fabbrica del Duomo.

PROFESSOR FARRONATO, AVETE FATTO L’AUTOPSIA ALLA SINDONE. COME VI E’ SALTATO IN MENTE?
La medicina legale non aveva ancora detto tutta la sua ed eccoci qui. L’idea risale a quasi tre anni fa. Condurre un studio anatomico accurato dell’impronta sindonica a partire dalle istantanee scattate da Secondo Pia nel 1898 da cui risultò che l’immagine sul lino si comporta come un negativo fotografico. Abbiamo riletto daccapo una gran mole di foto e i risultati degli studiosi che ci hanno preceduto.

E CHE IDEA VI SIETE FATTI DELLA SCENA DEL CRIMINE?
Che ovviamente non esiste più. Abbiamo indagato il crimine solo attraverso l’impronta lasciata dal cadavere.

POCHINO…
Molto. L’anatomia è stata ricostruita dai dati morfologici offerti del lino. Soprattutto il volto, ricco e completo. Praticamente abbiamo assimilato l’immagine della Sindone alla “maschera” medico-legale abitualmente utilizzata per descrivere le lesioni su un corpo, cadavere o vivente.

E POI?
Io e Alessandra Majorana abbiamo reso l’impronta più leggibile per meglio esaminarla medicalmente. Con software per la gestione d’immagini, i più innovativi disponibili, abbiamo invertito i chiari e gli scuri, nonché l’orientamento destra-sinistra. Poi, applicando le metodiche utilizzate per rendere leggibili la TAC, la tomografia computerizzata Cone Beam, quindi la risonanza magnetica e altri esami tridimensionali, abbiamo ottenuta una completa diagnosi ortognatodontica, campo in cui la sofisticazione e la precisione arriva oggi sino al dettaglio più minuto.

SEMBRA CSI.
Può darsi… Ma è una metodica scientifica, non cinematografica. E infatti siamo riusciti a evidenziare dettagli che ci hanno portato a misurazioni davvero accurate.

VORREBBE DIRMI CHE SOLO STUDIANDO UN’IMMAGINE VECCHIA DI SECOLI SU UN TELO USURATO SIETE RIUSCITI AD ANALIZZARE IL VOLTO COME FOSSE QUELLO DI UN CADAVERE IN CARNE E OSSA?

Di più. È stato come essere davanti a un paziente da sottoporre a correzione terapeutica di tipo ortodontico o chirurgico.

PONTI, IMPIANTI DENTALI, OPERAZIONI MAXILLO-FACCIALI, COSE COSI’?…
Sì.

ROMPO L’APLOMB: FANTASTICO. COSA LE HA DETTO ALLA FINE QUEL VOLTO SETACCIATO IN LABORATORIO?
Tante cose. Avendo per la prima volta applicato metodiche scientifiche quali la cefalometria cranica, che evidenzia le alterazioni strutturali presenti nell’Uomo della Sindone, i dati ottenuti sono: asimmetria nelle bozze frontali, zigomatiche; deviazione del setto nasale; e asimmetria della mandibola con dislocazione riferibili a traumi occorsi in un arco temporale prossimo al decesso.

BOTTE VIOLENTISSIME…
Il volto che emerge è dovuto al sangue versato, le cui tracce sono riferibili a essudati e a un’impronta che interessa un piccolissimo spessore della tela.

DUNQUE?…
Le metodologie oggi disponibili non sono in grado né di riprodurre né di spiegare quell’impronta che interessa solo un piccolissimo spessore della tela.

CHI SIA L’UOMO DELLA SINDONE E’ L’OGGETTO DI UNA CONTROVERSIA ANTICA, A VOLTE PURE VEEMENTE. LA SCIENZA CHE DICE?
La scienza dice che si tratta dell’impronta del cadavere di un uomo veramente sottoposto ante mortem a torture, flagellazioni e percosse, incoronato di spine e alla fine crocefisso. Questo ha determinato la morte di quell’uomo con una corrispondenza totale ai racconti dei Vangeli anche nella successione temporale in cui le torture sono state inferte, compresa la natura post mortem del colpo di lancia nel costato (cfr. Gv 19, 33-34). Studi scientifici proprio del marzo di quest’anno, coordinati dal prof. Giulio Fanti ed elaborati dall’Università degli Studi di Padova (che ha coordinato ricerche svolte in collaborazione con altri atenei), corredati da tre datazioni chimiche e meccaniche, hanno portato a una nuova datazione del lino: tra il 283 a.C. e il 217 d.C., arco di tempo compatibile con la vita di Gesù in Palestina. Ma la modalità di formazione dell’immagine resta un mistero inestricabile.

TACCIO. ANZI NO: E’ GESU’?
L’uomo di fede non può rivolgere alla scienza domande a cui la scienza non può dare risposte.

Fonte: Gloria Tv

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mercoledì 23 dicembre 2015 14:11

L’autenticità della Sindone
è supportata dalla scienza e dalla storia

2015 la nuova indagine sulla sindoneSecondo il matematico Bruno Barberis, docente presso l’Università di Torino, il calcolo statistico delle probabilità che laSindone sia autentica, vale a dire che si tratti effettivamente del lenzuolo funerario di Gesù, derivante dalla imponente mole di dati a nostra disposizione, è valutato in 225 miliardi contro 1 (B.Barberis, “L’uomo della Sindone e il calcolo delle probabilità”, in: AaVv, “Sindone. Vangelo-storia-scienza”, Elledici 2010, p.231-246).

Queste numerose informazioni, studiate da anni da storici, scienziati e sindonologi, sono ben raccolte in un volume pubblicato quest’anno, intitolato: 2015. La nuova indagine sulla Sindone, Priuli&Verlucca 2015. L’autore è Pierluigi Baima Bollone, professore emerito di Medicina Legale all’Università di Torino e presidente onorario del Centro Internazionale di Sindonologia. Come lui stesso spiega, «questo libro si propone il duplice obiettivo di stabilire un collegamento tra le conoscenze sulla Sindone, le più recenti esegesi della narrazione della Passione e della Crocifissione neotestamentaria e le più moderne scoperte in ambito umanistico, archeologico, di scienze mediche e fisiche» (p.5).

E’ una bella ed esaustiva sintesi dei lavori e dei risultati fino a oggi disponibili sulla Sindone dal punto di vista storico escientifico, i due tipi di macro-approcci sulla nota icona. Esistono diverse rappresentazioni del volto di Cristo fin dal III secolo che sembrano ricordare quello sindonico, in netta discontinuità rispetto al modo classico con cui si usava rappresentarlo. Tuttavia, dal punto di vista storico, la prima prova storica davvero attendibile della della Sindone è verso la fine del VII secolo, il cui volto è stato riprodotto su monete d’oro e d’argento risalenti al primo periodo del regno di Giustiniano II (685-695), subito dopo il Concilio di Trullano nel quale si disporrà (nel canone 82) che l’immagine di Cristo sia rappresentata come un uomo e non simbolicamente. Le caratteristiche del volto presente su queste monete coincide incredibilmente con quello sindonico e se ne possono rilevare tutte le caratteristiche, compreso il rispetto e la corrispondenza delle proporzioni: lunghi capelli dietro la spalla destra e davanti alla sinistra, un ciuffetto centrale simile all’immagine ematica a forma di epsilon nella medesima collocazione topografica, sopracciglio sinistro più arcuato del destro a motivo di una tumefazione ecc. La mano mostra soltanto quattro dita lunghe, proprio come sulla Sindone (a causa del rigor mortis).

Grazie a sofisticate tecniche di sovrapposizione in luce polarizzata, sono stati identificati oltre cento punti di congruità (Wangher M.V.e Wangher A.D., The impact of the Face Image on Art, Coins and Religions in the Early Centuries, Insert for CSST News, luglio 2007). Nel 705 Giustiniano II fece coniare un altro volto di Gesù (più semitico), mentre imperatori successivi (da Michele III) ripresero il volto sindonico non appena finita l’iconoclastia. Secondo Baima Bollone, che si occupa anche a livello scientifico di numismatica, «è evidente l’esclusiva dipendenza dal volto della Sindone […]. Oggi non è più soltanto verosimile ma veramente è fuor di dubbio che si sia preso, come modello per diffondere e pubblicizzare il volto di Cristo, quello della Sindone che consentiva di presentarlo con precisi caratteri di identità» (p. 32,34).

Interessanti anche alcune note storiche sulle numerose campagne mediatiche che da sempre si sono sollevate con misteriosa violenza contro l’autenticità del lenzuolo, fin dalle prime fotografie di Secondo Pia del 1898 che rilevarono il comportamento positivo dell’immagine sindonica sui negativi fotografici. Le forti critiche di manipolazioni e falsità hanno sempre ignorato le conferme e le dimostrazioni. Significativa, ad esempio, la campagna mediatica orchestrata contro il celebre zoologo ateo Yves Delage che nel 1902 si convinse dell’autenticità dopo personali indagini: i suoi lavori, da sempre stimati a livello internazionale, per la prima volta vennero censurati dalle riviste e la violenza che si sollevò contro di lui fu tale che fu costretto a ritirarsi e rinunciare allo studio della Sindone.

Baima Bollone risponde anche a diverse piccole e grandi obiezioni contro l’autenticità della Sindone, dimostrando che il lino era effettivamente un materiale di pregio (come indicano i Vangeli), usato raramente. L’archeologia è anche in grado di confermare l’esistenza nel mondo antico di telai in grado di produrre manufatti delle dimensioni sindoniche, così come è precedente all’era cristiana la tessitura “a spina di pesce”. Sul fatto che sul sacro lino vi siano macchie di sangue è ormai una certezza granitica come dimostra il susseguirsi di conferme da parte di numerosi scienziati, così come nessuna seria obiezione ha mai scalfito il lavoro di Max Frei sul rilevamento di numerosi pollini presenti sulla Sindone, molti dei quali provenienti da piante che crescono esclusivamente nei dintorni di Gerusalemme (tanto numerosi che si conviene sia una contaminazione da contatto diretto non per ricaduta). Sempre grazie ai pollini, diversi studiosi, compreso l’ebreo Avinoam Danin, hanno concluso grazie al periodo di fioritura delle piante collegate, che l’Uomo della Sindone venne probabilmente avvolto nella sindone nel periodo di marzo-aprile: un’altra conferma ai Vangeli. Sempre Danin, autorità indiscussa sulla flora palestinese, ha anche rilevato dalle fotografie della Sindone la presenza dell’immagine di fiori (come il Cistus creticus), che crescono attorno alla città di Gerusalemme (e anch’essi fioriscono nel periodo di marzo-aprile).

Tra i pollini rilevati ce ne sono alcuni di piante che crescono esclusivamente anche a Edessa e Costantinopoli, confermando dunque la tradizione che vuole il passaggio della Sindone da quei luoghi. In questo si innesta anche la tesi di Ian Wilson, storico inglese e uno dei tanti agnostici convertiti dall’immagine sindonica, secondo il quale il Mandylion, cioè il telo con il volto di Cristo venerato dalle comunità cristiane orientali noto già dal VII secolo ad Edessa, non era altro che il telo della Sindone piegato su se stesso per mostrare soltanto il volto, contenuto in un reliquiario. Effettivamente, dalle numerose descrizioni del volto del Mandylion è possibile paragonare esattamente le caratteristiche del volto sindonico, conferma arriva anche dall’omelia di Gregorio il Referendario di Costantinopoli del 16 agosto 944 (il Mandylion venne trasportato a Costantinopoli il 15 agosto 944), nella quale il Mandylion viene descritto accennando a caratteristiche non solo del volto ma anche del corpo dell’immagine impressa sul telo.

La ricostruzione storica della Sindone, quando la sia abbina al Mandylion, è possibile (seppur con molte congetture). Abbiamo diverse testimonianze della sua presenza a Costantinopoli, importante è il documento di Nicola Mesarite, custode del palazzo imperiale di Bucoleone che nel 1201 ricorda le reliquie conservate in quel luogo, tra cui «i lenzuoli sepolcrali di Cristo» che «hanno avvolto l’ineffabile cadavere, nudo e imbalsamato, dopo la passione»L’intero cadavere, non soltanto il volto: anche questa è una conferma del legame Mandylion-Sindone. Il particolare della nudità di Cristo, oltretutto, è inconcepibile per la mentalità dell’epoca, ma sopratutto senza alcun riscontro iconografico. I Crociati conquistano Costantinopoli nel1203-1204 e il passaggio della Sindone in Europa è avvallato da testimonianze credibili e meno credibili. Un ruolo cruciale potrebbe averlo avutoOttone de la Roche, partecipante della quarta crociata e dell’assedio a Costantinopoli; un’altra tesi è sostenuta dallo storico inglese Ian Wilson e da Barbara Frale, secondo cui in Europa la Sindone sarebbe arrivata grazie all’Ordine dei Templari, da loro custodita fino al 1307 anno della dispersione dei cavalieri crociati. Il silenzio sulla sorte della Sindone è comunque compatibile con le sanzioni pontificie sul traffico di reliquie sottratte a Costantinopoli che durarono fino alla metà del 1300.

La prima certezza storica da tutti condivisa sulla Sindone è documentata a Lirey nel 1356, di proprietà di Geoffroy de Charny. Il volume di Baima Bollone -riprendendo il volume La sindone. Storia di una immagine di G.M. Zaccone- offre una efficace confutazione delle convinzioni del più attivo sostenitore della non autenticità del sacro Lino, ovvero lo storico Andrea Nicolotti. Secondo l’attivo ricercatore, infatti, il vescovo di Lirey Pierre D’Arcis avrebbe osteggiato la Sindone, esposta dai canonici di Lirey, scrivendo un Memoriale a papa Clemente VII nel quale afferma che il suo predecessore, il vescovo Herny de Poitiers, avrebbe svolto un’indagine sul sacro lino scoprendo la sua non autenticità poiché aveva identificato un pittore (anonimo) che ammise di averla dipinta. Bisogna innanzitutto ricordare che D’Arcis e i canonici erano in guerra da tempo poiché questi ultimi non avevano chiesto l’autorizzazione per l’ostensione della Sindone al vescovo, la cui cattedrale di Troyes versava in pessime condizioni e un afflusso di pellegrini avrebbe fatto comodo. Inoltre, esiste una lettera del predecessore di Pierre D’Arcis indirizzata a Geoffroy de Charny, nelle cui conclusioni non si fa alcun accenno alla presunta frode della Sindone ma, anzi, si congratula per la fondazione della collegiata di Lirey. In ogni caso è importante ricordare che Clemente VII scelse di non credere al vescovo di Lirey, tanto che in una delle tre bolle che emanò per risolvere la situazione definisce sì la Sindone una pictura seu tabula (al posto di figura seu representacio, come invece viene definita nelle altre due), ma fece prontamentecorreggere il termine sulla copia d’archivio riprendendo la definizione da lui usata nella prima bolla, avvallando dunque la definizione data dai canonici di Lirey che credevano nell’autenticità.

Il primo ad usare erroneamente il Memoriale di Pierre D’Arcis contro l’autenticità della Sindone fu il presbitero razionalista ed illuminista Ulysse Chevalier (1841-1923), a lui si rifanno gli attuali critici. Ma tale Memoriale, come abbiamo visto, non ha alcuna forza per sostenere gli scopi per cui viene usato, inoltre non esiste in forma originale e non si sa se Chevalier abbia o meno apportato delle modifiche, essendosi dimostrato non proprio in buona fede. Fu lui, infatti, il probabile regista di una campagna stampa apparsa su La Croix nel 1902 in cui si sostenne falsamente che la Sacra Congregazione delle Indulgenze e delle Reliquie aveva ufficialmente sottoposto la controversia sull’autenticità della Sindone, sollevata da Chevalier, ad una apposita commissione che ne avrebbe dichiarato la falsità, confermata poi dal Pontefice. La notizia venne ampiamente usata e diffusa da Chevalier in numerosi articoli, nei quali arrivò perfino ad inventarsi precise frasi espresse da questa commissione. Venne smentito dal prefetto dell’Archivio Segreto Vaticano che negò l’esistenza di un tale documento nella documentazione della Congregazione, l’arcivescovo di Torino Agostino Richelmy rivelò qualche anno dopo che, in seguito a questa vicenda, fu ingiunto a Chevalier di interrompere la diffusione di queste falsità, cosa che infatti ben presto accadde dato che il razionalista cattolico abbandonò l’argomento.

Un altro argomento ben affrontato dal volume di Baima Bollone è il famoso esame al radiocarbonio a cui fu sottoposta la Sindone, che diede il responso di un’opera medioevale. Un risultato a cui più nessuno crede essendo stato oggetto di fortissime e documentate critiche da parte di tutti gli studiosi, favorevoli e contrari all’autenticità della Sindone, nonché dagli stessi responsabili del prelievo dei campioni e anche da uno dei laboratori in cui venne analizzata. Nessun verbale delle operazioni, persone totalmente estranee presenti anche dentro i laboratori (come il pastore anglicanoDavid Sox, contrario all’autenticità della Sindone), esclusione ingiustificata degli esperti della Sindone, programma delle operazioni di prelievo dei campioni rivoluzionato a poche ore dall’inizio dei lavori, prelievo del campione nella zona più contaminata di tutta la Sindone. Tanto che anche prima del pubblico annuncio del responso in molti già sospettarono un complotto ai danni del Sacro lino. Baima Bollone spiega anche nel dettaglio perché la“seconda Sindone” prodotta da Luigi Garlaschelli non è nemmeno lontanamente paragonabile a quella autentica, così come vanno abbandonate le tesi sulla formazione dell’immagine tramite un bassorilievo riscaldato: l’immagine sindonica, infatti, non attraversa il lino ma rimane in superficie. Per fabbricare un oggetto delle dimensioni della Sindone occorrerebbe riuscire a stendere una tela rigorosamente parallela a un grosso bassorilievo costantemente mantenuto ad una precisa temperatura (perché il lino si strina imbrunendosi attorno ai 200° e quasi istantaneamente si pirolizza distruggendosi a 220°), possibile solo in un moderno laboratorio (senza considerare che le immagini prodotte dal calore sono completamente diverse da quella sindonica). Tanto che il fisico Paolo Di Lazzaro, dirigente di ricerca presso il Centro Ricerche Enea di Frascati, ha spiegato«la mal riuscita copia di Garlaschelli, al contrario di quanto dichiarato dal Professore, è una ulteriore dimostrazione di quanto sia improbabile che un falsario del Medioevo abbia potuto realizzare la Sindone senza microscopio, senza conoscenze medico-legali, senza un laboratorio chimico attrezzato come quello del Prof. Garlaschelli».  L’immagine sindonica rimane infalsificabile e irriproducibile oggi con le più avanzate tecnologie, le indagini recentirealizzate dall’Enea di Frascati confermano che gli impulsi di laser eccimero sono attualmente l’unico modo di realizzare un’immagine simil-sindonica, oltretutto soltanto in piccole dimensioni poiché non esistono ancora strumenti tecnologici tali da realizzare un’immagine grande come quella della Sindone.

Rimandando un approfondimento specifico di tutto questo ad un dossier specifico che stiamo preparando, concludiamo ricordando un altro argomento possibile a favore dell’autenticità, sul quale non c’è però unanime consenso da parte degli studiosi. Si tratta dell’immagine di due monetevisibili sul volto sindonico con scritte riconducibili a quelle coniate dal procuratore Ponzio Pilato. Oltretutto, con lo stesso errore (“Caicaros” al posto di “Kaicaros”) di un’altra moneta giunta ai nostri tempi che proviene, evidentemente, dal medesimo conio, battuta nell’anno 29-30. Ancora una volta una stretta concordanza cronologica con la sepoltura di Gesù, anche considerando che nessun presunto falsario medioevale avrebbe potuto possedere, ma nemmeno conoscere, l’esistenza di queste monete, identificate soltanto dagli studi numismatici agli inizi del secolo scorso.

Un bel libro, assolutamente consigliato per il suo equilibrio e la volontà dell’autore a non appoggiare a tutti i costi una tesi precostituita, tanto da avanzare obiezioni ai negatori dell’autenticità della Sindone ma anche ad alcuni autenticisti, quando portatori di tesi deboli e smentite. Mettendo su una bilancia le tesi favorevoli e contrarie all’autenticità, si deve riconoscere che l’unica ipotesi che regge davvero alla prova della storia e della scienza è che la Sindone abbia davvero avvolto il cadavere di Gesù. Questo volume lo dimostra bene.


Credente
domenica 27 marzo 2016 22:58

Potete avere le vostre cinque argomentazioni filosofiche dell’esistenza di Dio. Se per voi funzionano va bene, ma ho sempre pensato che le cinque argomentazioni filosofiche dell’esistenza di Dio siano troppo filosofiche e polemiche.


Gli atei amano dire: “Dov’è la prova dell’esistenza di Dio?”, e le argomentazioni filosofiche non sono una prova in quanto tale. Funzionano abbastanza bene, ma restano esercizi mentali astratti. Quando sento gli atei dire che vogliono delle prove, replico chiedendo: “Che tipo di prove volete?” Stranamente, sembrano sconcertati dalla mia domanda.


E allora rispondo per loro: “Vorreste delle prove medico-legali? Prove documentali? Prove archeologiche? Prove botaniche e biologiche? Vorreste delle prove fotografiche? Prove logiche? Prove storiche? Prove di testimoni oculari? Prove legali?” Tutte queste forme di prove per l’esistenza di Dio esistono, ma prima dobbiamo usare qualcuno di quegli esercizi mentali filosofici.


Se Dio non esiste, allora l’ordine naturale dev’essere un sistema chiuso, il che vuol dire che deve operare in base alle regole della natura. Non sono ammessi miracoli, perché un miracolo vorrebbe dire che c’è una forza esterna alla natura e quindi indipendente e più grande della natura. Se c’è anche un unico miracolo, tuttavia – e ce ne serve uno solo –, allora la natura non è un sistema chiuso e c’è una forza più grande della natura ed esterna ad essa. Se quel miracolo è intelligibile, ovvero ha senso, allora la forza che è più grande della natura è intelligente, e se è intelligente è più di una forza, è una personalità. La forza, se volete, ha un volto.


L’unico miracolo che i cristiani rivendicano al di sopra di tutti gli altri è la resurrezione di Gesù Cristo dai morti. Le argomentazioni per l’esistenza di Dio sono molto più interessanti quando iniziano con la prova della resurrezione.


Le conversazioni con gli atei dovrebbero quindi iniziare con quel miracolo, e le discussioni su quel presunto miracolo di duemila anni fa diventano rapidamente molto interessanti.


Quando si considerano le affermazioni per cui Gesù Cristo è risorto dai morti, ci sono solo tre opzioni: primo, che non sia davvero morto e che la “resurrezione” sia quindi solo una forma di rianimazione; secondo, che sia morto, ma poi è accaduto qualcosa per cui il suo corpo è svanito; terzo, i testimoni della resurrezione sono stati ingannati, o loro stessi hanno ingannato gli altri.


Se Gesù non è morto davvero, allora dobbiamo supporre che gli aguzzini romani professionisti (che hanno fatto il loro lavoro in pubblico) abbiano combinato un pasticcio. Dobbiamo anche credere che i nemici di Gesù, che erano lì per assicurarsi che fosse morto, si siano sbagliati. Dobbiamo poi credere che dopo essere stato fustigato con fruste che gli hanno strappato la carne ed essere stato inchiodato su una croce, Gesù sia sopravvissuto anche a un tiro di lancia al cuore da parte di un aguzzino esperto. Anche se è sopravvissuto, dobbiamo credere più o meno un giorno dopo fosse abbastanza forte da spingere via un masso che pesava varie tonnellate e camminare nudo nel giardino. E i suoi discepoli vedendo quest’uomo avrebbero gridato: “È la resurrezione! Iniziamo una nuova religione!” Se aveste visto un vostro amico distrutto e sanguinante sopravvissuto in qualche modo alla crocifissione non avreste chiamato un’ambulanza?


Se Gesù è morto, dall’altro lato, dobbiamo rendere conto di ciò che è accaduto al suo corpo. I suoi discepoli lo hanno rubato? Perché lo avrebbero fatto? Per fingere un miracolo a cui nessuno avrebbe creduto? Due giorni prima fuggivano come conigli spaventati e ora si riuniscono e pianificano una missione: un colpo impossibile? I cani hanno mangiato il corpo di Gesù su un cumulo di spazzatura? Non collima con quello che sappiamo sui costumi di sepoltura ebraici, e oltre a questo la storia dice chiaramente che gli amici di Gesù chiesero il suo corpo e che venne consegnato loro.


I discepoli sono andati alla tomba sbagliata? Non avrebbero detto solo “Ops, tomba sbagliata” piuttosto che “È risorto dai morti!”? Non è stato davvero Gesù ad essere crocifisso? Tutti i suoi nemici erano pronti a catturarlo; si sarebbero fatti ingannare da un falso?


L’unica altra opzione è che i discepoli siano stati ingannati o abbiano loro stessi ingannato. Che ne è stato di loro, e di altre centinaia di persone che hanno detto di aver visto Gesù vivo? Si sono incontrati per mettersi d’accordo sulla storia da raccontare? Se è così, sono stati contorti. In questo caso, avrebbero mantenuto fede alla loro bugia e sarebbero stati disposti ad essere torturati e a morire per questa? Voi lo avreste fatto?


Di fronte a queste argomentazioni schiaccianti, la maggior parte degli atei si limita a scrollare le spalle e a dire: “Beh, ci sono molte cose strane al mondo per cui non abbiamo una risposta”. Ma questo non funziona. Il peso della storia e le prove raccolte richiedono un verdetto. Se gli atei chiedono prove e queste vengono fornite, allora si deve esigere una reazione.


Ricordate che ho parlato di prove botaniche, biologiche, storiche, forensi, fotografiche, scientifiche, fisiche e archeologiche per la resurrezione?


Sarebbe la Sindone di Torino, e richiederebbe un articolo molto più lungo di questo.
Padre Dwight Longeneckeron è stato evangelico, poi anglicano e ora è sacerdote cattolico. Il suo sito è dwightlongenecker.com


L'uomo della Sindone 2


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