Credente
00giovedì 19 ottobre 2017 11:25
Riportiamo la traduzione dall'inglese (che purtroppo google non rende molto bene) dei capitoli tratti dalla VITA DI COSTANTINO di Eusebio di Cesarea, il quale riporta le proprie osservazioni in qualità di partecipante al Concilio e le parole stesse che Costantino pronunciò al Concilio di Nicea.
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Capitolo VII - Del Consiglio Generale, in cui i Vescovi di tutte le Nazioni erano presenti.
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In effetti, i più celebri ministri di Dio di tutte le chiese che,
abbondanti in Europa, Libia,
3239 e Asia erano qui riuniti. E una sola casa di preghiera,
come se fosse divinamente allargata, bastasse contenere contemporaneamente i siriani e gli uomini, i fenici
e arabi, delegati della Palestina e altri da Egitto; Tebani e libici, con
quelli provenienti dalla regione di Mesopotamia. Anche un vescovo persiano era presente
non era nemmeno un scettista che voleva il numero.
3240 Pontus, Galatia e
Pamphylia, Cappadocia, Asia e Frigia, hanno fornito i loro più importanti prelati;
mentre quelli che abitavano nei distretti più distrutti della Tracia e della Macedonia, dell'Acaia e
Epirus, nonostante la presenza. Anche dalla stessa Spagna, la cui fama era
ampiamente diffuso ha preso la sua sede come un individuo nel grande assemblea.
3241 Il prelato del
la città imperiale
3242 è stata impedita di frequentare la vecchiaia; ma i suoi presbiteri erano
presente e fornito il suo posto. Costantino è il primo principe di ogni età che ha legato insieme
una ghirlanda come questa con il legame della pace e la presentò al suo Salvatore come un ringraziamento-
per le vittorie che aveva ottenuto su ogni nemico, esponendo nel nostro tempo un
similitudine della società apostolica.
Capitolo VIII - L'Assemblea era composta, come negli Atti degli Apostoli, degli individui
da diverse nazioni.
Perché si dice
3243 che nell'epoca degli Apostoli si sono riuniti "uomini devoti da tutti"
nazione sotto il cielo "; tra i quali erano i Parthi, Medei, Elamiti, e il
abitanti della Mesopotamia, in Giudea e Cappadocia, a Pontus e in Asia, a Phrygia e
Pamphilia, in Egitto e le parti della Libia su Cirene; e dei residenti di Roma, entrambi
Ebrei e proseliti, cretesi e arabi. Ma quell'assemblea era meno, in quel non tutti coloro
composto erano ministri di Dio; ma nella società presente, il numero dei vescovi
superato i duecentocinquanta, 3244 mentre quello dei presbiteri e dei diaconi nel loro treno,
e la folla di acoliti e di altri assistenti era al di là del calcolo.
Capitolo IX - La virtù e l'età dei duecento e cinquanta vescovi.
Di questi ministri di Dio, alcuni erano distinti dalla saggezza e dall'elevazione, altri
per la gravità della loro vita e per la paziente fortezza di carattere, mentre altri ancora unificati
in tutte queste grazie.3245 C'erano tra loro uomini i cui anni chiedevano
venerazione: altre erano più giovani, e in primis di vigore mentale; e alcuni avevano, ma di recente
sono entrati nel corso del loro ministero. Per il mantenimento di tutte le ampie disposizioni era
quotidianamente fornito dal comando dell'imperatore.
Capitolo X.-Consiglio nel Palazzo. Costantino, entrando, prese la sua sede nell'Assemblea.
Ora quando è arrivato il giorno fissato, su cui si è riunito il consiglio per la soluzione finale
delle domande in discussione, ciascun membro era presente per questo nell'edificio centrale della
palazzo, 3246 che sembrava superare il resto in magnitudine. Su ogni lato dell'interno di
erano molti posti disposti in ordine, occupati da coloro che erano stati invitati
a partecipare, secondo il loro rango. Quindi, come l'intero assemblea si era seduto
diventando ordinanza, prevaleva un silenzio generale, in attesa dell'arrivo dell'imperatore.
E prima di tutto, tre della sua famiglia immediata entrarono in successione, poi altri precedettero
il suo approccio, non dei soldati o delle guardie che lo accompagnavano solitamente, ma solo amici
nella fede. Ed ora, tutti alzandosi al segnale che indicava finalmente l'ingresso dell'imperatore
egli stesso procedeva in mezzo all'assemblea, come un messaggero celeste di
Dio, vestito di vestiti che scintillavano come erano con i raggi di luce, riflettendo l'incandescente
luminosità di un abito viola e ornato dal brillante splendore dell'oro e prezioso
pietre. Tale era l'aspetto esterno della sua persona; e per quanto riguarda la sua mente, lo era
evidente che egli era distinto dalla pietà e dalla paura divina. Questo è stato indicato dal suo discesa
gli occhi, l'arrossire del suo volto e il suo passo. Per il resto delle sue eccellenze personali, lui
superato tutti i presenti in altezza di statura e bellezza della forma, così come in maestosa dignità
di mien, e forza e vigore invincibili. Tutte queste grazie, unite a una suavità di maniera,
e una serenità diventando la sua stazione imperiale, ha dichiarato l'eccellenza delle sue qualità mentali
per essere soprattutto lode.3247 Non appena si era avvicinato all'estremità superiore dei sedili, in un primo momento
rimase in piedi, e quando una sedia bassa di oro lavorato era stata fissata per lui, lui aspettò
finché i vescovi non gli avevano chiamato, e poi si sedette, e dopo di lui l'intero assemblea
ha fatto lo stesso.
Capitolo XI - Silenzio del Consiglio, dopo alcune parole del vescovo Eusebio.
Il vescovo che ha occupato il posto principale nella giusta divisione dell'assemblea3248
rosa, e, rivolgendosi all'imperatore, fece un discorso conciso, in un ceppo di ringraziamento
a Dio Onnipotente per suo conto. Quando aveva ripreso il suo posto, il silenzio ebbe luogo,
guardò l'imperatore con attenzione fissa; su cui si guardò serenamente intorno all'assemblea
con un aspetto allegro e, dopo aver raccolto i suoi pensieri, con un tono calmo e dolce
affermare le seguenti parole.
Capitolo XII.-Indirizzo di Costantino al Consiglio sulla Pace.3249
"Era una volta il mio desiderio principale, amici più cari, di godere dello spettacolo del tuo unito
presenza; e ora che questo desiderio si compie, mi sento legato a rendere grazie a Dio
il re universale, perché, oltre a tutti i suoi altri benefici, mi ha concesso una benedizione
superiore a tutto il resto, nel permettermi di vederti non solo tutti insieme, ma tutti
uniti in una comune armonia di sentimenti. Prego dunque che nessun avversario maligno
può ora interferire per mar del nostro felice stato; Prego, ora, l'ostile ostilità di
i tiranni sono stati rimossi per sempre dal potere di Dio nostro Salvatore,
le luci del male non possono inventare altri mezzi per esporre la legge divina a blasfemi calunnia;
perché, a mio giudizio, la lotta intestinale nella Chiesa di Dio, è molto più male e pericoloso
che qualsiasi tipo di guerra o conflitto; e queste nostre differenze mi sembrano più gravi di
eventuali problemi esterni. Di conseguenza, quando, per volontà e con la cooperazione di Dio, io
era stato vittorioso sui miei nemici, pensavo che non fosse più niente di rendere
grazie a lui e simpatizzare nella gioia di coloro che aveva restituito alla libertà
la mia strumentalità; non appena ho sentito che l'intelligenza che avevo meno aspettato di ricevere,
Voglio dire la notizia della tua disgrazia, ho giudicato che non abbia importanza secondaria, ma con
il desiderio serio che un rimedio per questo male possa anche essere trovato attraverso i miei mezzi,
mandato mediamente per richiedere la vostra presenza. E ora mi rallegro di vedere il tuo assemblea; ma
Sento che i miei desideri saranno pienamente soddisfatti quando posso vederti tutti uniti in uno
il giudizio, e quello spirito comune di pace e concordia che prevalgono tra tutti voi, che
diventa voi, consacrati al servizio di Dio, a lodare agli altri. Non ritardare quindi,
cari amici: non ritardatevi, voi ministri di Dio e fedeli servi di chi è nostro comune
Signore e Salvatore: inizia da questo momento per scartare le cause di quella disunione che ha
esisteva tra voi e rimuove le perplessità della controversia abbraccando i principi
di pace. Poiché da tale comportamento si agirà contemporaneamente in modo più piacevole
al supremo Dio, e tu mi darai un favore estremo che sono tuo collega-
servitore."
Capitolo XIII - Come ha portato i Vescovi Dissentienti all'armonia del sentimento.
Non appena l'imperatore aveva parlato queste parole nella lingua latina, quale altro
interpreta, ha dato il permesso a coloro che hanno presieduto al consiglio per consegnare le loro opinioni.
Su questo alcuni hanno cominciato ad accusare i loro vicini, che si sono difesi e recriminati
a loro volta. In questo modo le affermazioni innumerevoli sono state presentate da ciascuna parte e da un violento
le controversie sono sorte all'inizio dell'inizio. Nonostante ciò, l'imperatore ha dato il paziente
pubblico a tutti, ricevendo con estrema attenzione tutte le proposte e
assistendo in modo assolutamente l'argomento di ogni partito, ha gradualmente disposto anche il massimo
disputanti vehement per una riconciliazione. Allo stesso tempo, grazie all'affidabilità del suo indirizzo
a tutti, e il suo uso della lingua greca, con la quale non era completamente ignorato,
apparve in una luce veramente attraente e amabile, persuadendo alcuni, convincendo altri da
i suoi ragionamenti, lodando coloro che hanno parlato bene e spingendo tutti all'unità di sentimento, fino a
per ultimo è riuscito a portarli in una mente e nel giudizio rispettando tutte le controversie
domanda.
Capitolo XIV.-Dichiarazione unanime del Consiglio sulla fede e la celebrazione
di Pasqua.
Il risultato era che non erano uniti solo per quanto riguarda la fede, ma che il tempo
per la celebrazione della festa salutare di Pasqua è stato concordato da tutti. Questi punti anche
che sono stati sanciti dalla risoluzione di tutto il corpo si sono impegnati a scrivere, e
ha ricevuto la firma di ogni membro. 325 Allora l'imperatore, credendo che abbia avuto
ottenendo così una seconda vittoria contro l'avversario della Chiesa, procedette a solennizzare a
festa trionfale in onore di Dio.
Capitolo XV-Come Costantino intratteneva i Vescovi in Occasione della Sua Vicennalia.
Su questo tempo ha completato il ventesimo anno del suo regno.3251 In questa occasione
feste pubbliche sono state celebrate dal popolo delle province in generale, ma l'imperatore
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egli stesso ha invitato e festeggiato con quei ministri di Dio che aveva riconciliato e così
offerto come era attraverso loro un sacrificio adatto a Dio. Non era uno dei vescovi
volendo al banchetto imperiale, 3252 le cui circostanze furono splendide oltre la de-
scrizione. I distacchi della guardia del corpo e altre truppe circondavano l'ingresso della
palazzo con spade mosse, e in mezzo a questi gli uomini di Dio procedevano senza
paura nel più interno degli appartamenti imperiali, in cui alcuni erano l'imperatore
compagni al tavolo, mentre altri si reclinavano su divani disposti su entrambi i lati.3253 Uno
avrebbe potuto pensare che un'immagine del regno di Cristo fosse così ombreggiata e un sogno
piuttosto che la realtà.
Capitolo XVI - Presenta ai Vescovi e alle Lettere al Popolo in generale.
Dopo la celebrazione di questa festa brillante, l'imperatore ha ricevuto cortesemente tutto il suo
ospiti, e generosamente aggiunto ai favori che aveva già offerto personalmente presentando
doni ad ogni individuo secondo il suo rango. Ha inoltre dato informazioni sul procedimento
del sinodo a coloro che non erano presenti, con una lettera nella sua scrittura a mano. E
questa lettera anche io insegnerò come era su un monumento inserendolo in questa mia narrazione
della sua vita. Era come segue:
Capitolo XVII - Lettera di Costantino alle Chiese che rispettano il Concilio a Nicéa.
"Costantino Augusto, alle Chiese.
"Avendo avuto piena prova, nella prosperità generale dell'impero, quanto grande il favore di
Dio è stato verso di noi, ho giudicato che dovrebbe essere il primo oggetto dei miei sforzi,
quella unità della fede, la sincerità dell'amore e la comunità di sentimento riguardo al culto
Dio Onnipotente, potrebbe essere conservato tra la moltitudine altamente favorita che la compongono
Chiesa cattolica. E poiché questo oggetto non poteva essere efficacemente e sicuramente assicurato,
a meno che tutti, o almeno il maggior numero dei vescovi dovessero incontrarsi insieme, e una discussione
di tutte le informazioni relative alla nostra religione santissima per avvenire; per questo motivo numerosi
è stato convocato un assieme possibile, al quale io stesso ero presente, come uno tra i
voi stessi (e lontano da me negare ciò che è la mia più grande gioia, che io sono il tuo collega-
servo), e ogni domanda è stata ricevuta con esattezza e completa, fino a quella sentenza che
Dio, che vede tutte le cose, potrebbe approvare, e che tendeva all'unità e alla concordia, è stato portato
alla luce, in modo che non venisse lasciata alcuna stanza per ulteriori discussioni o controversie in relazione al
fede.
Capitolo XVIII - Parla della loro Unanimità nel rispetto della Festa della Pasqua, e contro la
Pratica degli ebrei.
"In questa riunione è stata discussa la questione riguardante il giorno più santo della Pasqua,
ed è stato risolto dal giudizio unito di tutti i presenti, che questa festa dovrebbe essere mantenuta
tutto e in ogni luogo in uno stesso giorno. Per quello che può essere più divenire o onorare
a noi che questa festa da cui date le nostre speranze di immortalità, va osservata
incessantemente da tutti uguali, secondo un ordine e disposizione stabiliti? E prima di
tutto, sembrava una cosa indegna che nella celebrazione di questa santissima festa dovremmo
seguire la pratica degli ebrei, che hanno profanamente contaminato le loro mani con un enorme peccato,
e sono dunque meritatamente afflitte dalla cecità dell'anima. Perché lo abbiamo nel nostro potere,
se abbandoneremo la loro abitudine, prolungare il dovuto rispetto di questa ordinanza in età futura,
da un ordine più vero, che abbiamo conservato sin dal giorno della passione fino al presente
tempo. Non abbiamo quindi nulla in comune con la folla ebraica detestabile; perché abbiamo
ricevuto dal nostro Salvatore un modo diverso. Un corso di una volta legittime e onorevoli bugie
aperta alla nostra religione santissima. Fratelli carissimi, con un consenso adottiamo questo corso,
e ci ritiriamo da ogni partecipazione alla loro bassezza.3254 Il loro vantarsi è assurdo
anzi, che non è nel nostro potere senza istruzioni da loro di osservare queste cose.
Per come dovrebbero essere in grado di formare un giudizio sano, che, dal loro parrocidio
la colpa per uccidere il loro Signore, sono stati sottoposti alla direzione, non alla ragione, ma a non governare
passione, e sono influenzati da ogni impulso dello spirito pazzo che è in loro? Quindi è così
a questo punto, così come ad altri, non hanno alcuna percezione della verità, in modo che essendo totalmente
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ignoranti del vero adattamento di questa domanda, talvolta celebrano due volte la Pasqua
lo stesso anno. Perché allora dovremmo seguire coloro che sono confessati in un errore grave?
Sicuramente non accetteremo mai di mantenere questa festa una seconda volta nello stesso anno. Ma supponendo
queste ragioni non erano di peso sufficiente, comunque sarebbero incombenti sulle vostre Sagacities3255
a lottare e pregare continuamente che la purezza delle vostre anime non può sembrare in nulla
condannati dalla comunione con le abitudini di questi uomini più malvagi. Dobbiamo anche considerare,
che un giudizio discordante in un caso di tale importanza e nel rispetto di tali religiosi
festival, è sbagliato. Perché il nostro Salvatore ci ha lasciato una festa in occasione della commemorazione del nostro giorno
liberazione, intendo il giorno della sua santissima passione; e ha voluto che il suo cattolico
La Chiesa deve essere una, i cui membri, per quanto dispersi in molti e diversi luoghi,
sono ancora accolti da uno spirito pervading, cioè dalla volontà di Dio. E lasciate che le vostre Santità '
la sagacità riflette quanto gravissima e scandalosa è che nei giorni stessi, alcuni dovrebbero
essere impegnati nel digiuno, altri in festa festosa; e ancora, che dopo i giorni di Pasqua
alcuni dovrebbero essere presenti a banchetti e divertimenti, mentre altri sono adempienti i nominati
digiuni. È quindi chiaramente la volontà della Divina Provvidenza (come suppongo che tutti voi vedete chiaramente), che
questo utilizzo dovrebbe ricevere una correzione adeguata e ridursi ad una regola uniforme.
1307
Parla della loro Unanimità nel rispetto della Festa della Pasqua, e contro ...
Capitolo XIX - Esortazione per seguire l'esempio della parte più grande del mondo.
"Poiché dunque era necessario che questa materia venisse rettificata, affinché possiamo
non hanno nulla in comune con quella nazione di parricidi che hanno ucciso il loro Signore: e da quel momento
l'accordo è coerente con la proprietà che è osservato da tutte le chiese occidentali,
meridionali e settentrionali del mondo, e anche da parte dell'est: per questi motivi
tutti sono all'unanimità in questa occasione attuale nel pensare che sia degno di adozione. E io stesso
hanno preso atto che questa decisione dovrà soddisfare con l'approvazione delle vostre Sagacities, 3256 in
la speranza che i tuoi Wisdoms abbiano volentieri ammettere questa pratica che viene osservata immediatamente
nella città di Roma e in Africa; in tutta Italia e in Egitto, in Spagna, i Galli, la Gran Bretagna,
Libia e tutta la Grecia; nelle diocesi dell'Asia e Pontus, e in Cilicia, con tutto
unità di giudizio. E considererete non solo che il numero delle chiese è lontano
maggiore nelle regioni che ho enumerato che in qualsiasi altra, ma anche che è più adatta
che tutti si uniscano a desiderare quello che la ragione sana sembra richiedere, e nell'evitare
tutta la partecipazione alla condotta condotta degli Ebrei.3258 Bene, che posso esprimere il mio
il che significa in poche parole possibile, è stato determinato dalla sentenza comune di
tutti, che la festa più santa di Pasqua dovrebbe essere mantenuta in uno stesso giorno. Per il
da un lato una discrepanza di opinioni su una questione così sacra non è affatto e, dall'altro, una domanda
è certamente meglio agire su una decisione priva di strane follia e errore.
Capitolo XX - Esortazione di obbedire ai decreti del Consiglio.
"Ricevi quindi, con ogni volontà, questa vergogna divina, e lo consideri come in verità
il dono di Dio. Perché ciò che è determinato nelle sante assemblee dei vescovi è quello di essere
considerato come indicativo della volontà divina. Presto, dunque, come hai comunicato
questi atti a tutti i nostri fratelli amati, siete vincolati da quel momento in avanti
adottare per voi stessi e per ordinare agli altri la disposizione sopra menzionata, e la
rispettoso rispetto di questo giorno più sacro; che ogni volta che vengo alla presenza del tuo
l'amore che ho desiderato a lungo, potrei avere nel mio potere celebrare la santa festa
tu nello stesso giorno, e rallegrarmi con te su tutti i conti, quando vedo la crudele
potenza di Satana rimossa dagli aiuti divini attraverso l'agenzia dei nostri sforzi, mentre il tuo
la fede e la pace, e la concordia in tutto il mondo fioriscono. Dio ti conserva, fratelli amati! "
L'imperatore ha trasmesso una copia fedele di questa lettera a ogni provincia, in cui
coloro che la leggevano potevano discernere come in uno specchio la pura sincerità dei suoi pensieri e del suo
pietà verso Dio.
Credente
00venerdì 20 ottobre 2017 13:53
Costantino e la storicità dei Vangeli
Dal Processo al Codice da Vinci di Andrea Tornielli, 2006
Il presunto complotto per "divinizzare" Gesù
Possiamo ora affrontare uno dei capisaldi della costruzione teorica sottesa al suo Codice da Vinci, vale a dire il «complotto» che avrebbe ordito l’imperatore Costantino e la Chiesa nel corso del Concilio di Nicea, per «eliminare» i testi evangelici scomodi, salvando solo quelli più innocui, e al tempo stesso «divinizzare» l’umana figura di Gesù di Nazaret. Il quale, secondo Brown e i suoi molti ispiratori, non era certo il figlio di Dio, ma un grande profeta. Ricordiamo, a mo’ di promemoria, alcune delle affermazioni contenute in proposito nel Codice da Vinci.
Il concilio di Nicea e le imposizioni di Costantino
Innanzitutto la Bibbia e i suoi scritti canonici, così come essi sono stati tramandati a noi, sarebbero stati raccolti da Costantino il Grande, il quale nell’anno 325 avrebbe anche deciso di unificare l’impero sotto un’unica religione, il cristianesimo. Mentre fino a quel momento, a detta di Dan Brown, Gesù era stato considerato dai suoi seguaci «come un profeta mortale», da quel momento, con un voto a maggioranza, Costantino lo impone come «divino». Anche in questo caso, il nostro romanziere non inventa nulla: un’affermazione simile la ritroviamo nel libro di Baigent, Leigh e Lincoln, The Holy Blood and The Holy Grail: «Il Concilio di Nicea decise, con una votazione, che Gesù era un dio e non un profeta mortale… (Costantino), un anno dopo il Concilio di Nicea, sanzionò la confisca e la distruzione di tutte le opere che contestavano gli insegnamenti ortodossi: le opere dei pagani che parlavano di Gesù e quelle dei cristiani “eretici”… Fu a questo punto che vennero apportate probabilmente quasi tutte le alterazioni decisive al Nuovo Testamento e Gesù assunse la posizione eccezionale che ha avuto da allora… Delle cinquemila versioni manoscritte più antiche del Nuovo Testamento, nessuna è anteriore al IV secolo. Il Nuovo Testamento nella sua forma attuale è sostanzialmente il prodotto dei revisori e degli scrittori del IV secolo: custodi dell’ortodossia, “seguaci del messaggio” con precisi interessi da difendere».
Cominciamo col porci alcune domande. Innanzitutto, chi era Costantino? La descrizione che ne fa Dan Brown nel Codice da Vinci è veritiera e corrispondente alla storia (alla storia, non alla fede cristiana)? Il lettore che ci ha seguito fin qui probabilmente già immagina la risposta. Ma procediamo per gradi.
La vera storia di Costantino
Costantino I detto il Grande (Caio Flavio Valerio Aurelio) imperatore romano dal 306 al 337 nasce da Costanzo I Cloro, quando questi era ancora un semplice ufficiale, e da Flavia Elena. Dopo la nomina a «cesare» del padre, Costantino viene cresciuto nella città di Nicomedia presso Diocleziano, per essere in futuro associato all’impero e anche come «garanzia» della fedeltà dello stesso Costanzo. Accompagna Diocleziano in Egitto nel 296 e al servizio di Galerio come tribuno militare combatte contro i persiani e i sarmati. Richiamato dal padre Costanzo, dopo che quest’ultimo era stato proclamato «augusto» in seguito all’abdicazione di Diocleziano e di Massimiano, lo segue in una campagna in Britannia e alla sua morte, per acclamazione dei soldati, ne assume il posto e il titolo. Siamo all’anno 306. Dopo aver vinto i franchi, Costantino si accorda con Massimiano, che aveva intanto assunto nuovamente il potere. Sposa la figlia di Massimiano, Fausta, e ottiene il riconoscimento di «augusto», che però gli viene contestato da Diocleziano. Crescono pure i contrasti con il suocero, che Costantino fa prigioniero a Marsiglia costringendolo al suicidio nel 310. Si allea allora con l’«augusto» Licinio, al quale dà in moglie la sorellastra Costanza, e con Massimino Daia, lasciando entrambi a governare l’Oriente, si dedica a fare guerra a Massenzio, il figlio di Massimiano, che mirava al governo dell’Occidente. Costantino ha la meglio sull’esercito di Massenzio e dopo aver marciato su Roma lo sconfigge a Ponte Milvio, il 23 ottobre 312. A questo punto, Costantino si fa riconoscere dal Senato romano il titolo di «maximus augustus» e, all’inizio dell’anno 313, s’incontra con Licinio a Milano, emanando assieme a lui il famoso editto con il quale viene proclamata la libertà di culto per i cristiani e si decretava la restituzione dei beni che erano stati loro confiscati.
L'editto di Milano
«Noi, Costantino Augusto e Licinio Augusto, felicemente uniti a Milano», si legge nell’editto, «e trattando di ciò che riguarda la sicurezza e l’utilità pubblica, abbiamo creduto che uno dei primi nostri doveri fosse di regolare ciò che interessa il culto della divinità e di dare ai cristiani, come a tutti gli altri nostri sudditi, la libertà di seguire la religione che ognuno desidera (“liberam potestatem sequendi religionem, quam quisquam voluisset), onde richiamare il favore del Cielo sopra di noi e sopra tutto l’Impero».
Il pericolo dei barbari
L’accordo tra Costantino e Licinio, dopo l’eliminazione di Massimino Daia (avvenuta nell’estate del 313) è precario: il definitivo conflitto tra i due «augusti» avviene ad Adrianopoli e a Crisopoli nel 323. Abolito il sistema della tetrarchia instaurato da Diocleziano (che prevedeva due «augusti» e due «cesari» che sarebbero loro subentrati), Costantino rimane unico e incontrastato imperatore. Durante il suo regno deve affrontare il pericolo incombente dei barbari: nel 332 stabilisce una pace con i goti (che saranno evangelizzati dopo pochi anni secondo il credo ariano). Si dimostra spietato nei confronti dei familiari, facendo uccidere il figlio maggiore Crispo e poi la moglie Fausta.
L'avvicinamento al cristianesimo e la libertà religiosa dell'impero
Alla vigilia della battaglia di Ponte Milvio, Costantino aveva diffuso la notizia di avere avuto la visione di una divinità, che l’aveva ispirato promettendogli la vittoria; aveva quindi assunto come insegna un simbolo, il labaro, che fu poi interpretato come il «chrismon» cristiano (le lettere «chi» e «ro», iniziali del nome di Cristo), o come l’emblema della croce. Fatti e simboli, questi, ai quali sarà dato un preciso significato cristiano solo più tardi, quando la nuova religione si sarà pienamente affermata.
Si può legittimamente pensare che Costantino si sia avvicinato per gradi al cristianesimo, a partire da un culto monoteistico del «dio sole» che egli professava. Con l’editto di Milano, l’imperatore, per assicurare la pace nel suo regno, concede a tutti di adorare Dio nel modo che preferiscono. Presiede il Concilio di Nicea, in qualità di «vescovo di coloro che sono fuori dalla Chiesa», e attribuisce a se stesso una funzione di regolatore della vita religiosa, anche se mantiene la carica tradizionale degli imperatori, vale a dire quella di «pontifex maximus», sommo sacerdote del culto pagano. Nel 321 concede ai cristiani il riconoscimento della domenica come giorno di riposo, seppure battezzata con il nome di «giorno del sole»: in questo modo accontenta anche i pagani, soprattutto i numerosi adepti del culto di Mitra, per i quali la domenica è proprio il «giorno del sole».
Una monarchia di diritto divino
Si converte, con tutta probabilità, soltanto alla fine della vita. Il vescovo ariano Eusebio di Nicomedia, molto influente a corte, lo battezza sul letto di morte. Al di là delle diatribe sulla data della sua conversione, è indubitabile che proprio grazie a Costantino e alle sue leggi (libertà di culto, restituzione dei beni confiscati, dispensa per il clero dalle prestazioni obbligatorie, diritto della Chiesa di ricevere donazioni, abolizione delle leggi contro il celibato, costruzione di basiliche) che il cristianesimo si diffonderà nell’impero. Con l’imperatore Costantino l’impero romano assume in modo definitivo la forma di una monarchia di diritto divino, con aspetti orientaleggianti. La figura del sovrano è al centro di tutto, governa tutto e tutto ciò che lo riguarda diventa sacro: in sua presenza bisogna rispettare un «religioso silenzio». È lui a fondare una nuova capitale, Costantinopoli, sul luogo dell’antica Bisanzio. E sarà attribuito a lui un documento apocrifo, la cosiddetta «Donazione di Costantino» che sarebbe stata rivolta a Silvestro, vescovo di Roma, nell’anno 313, attraverso la quale l’imperatore concedeva al Papa il potere temporale.
Il cristianesimo non divenne religione ufficiale in quell'epoca
È vero pertanto, come afferma il Codice da Vinci, che Costantino avrebbe reso il cristianesimo la religione ufficiale dell’impero romano? Assolutamente no. Questo infatti avverrà una quarantina d’anni dopo Costantino, sotto l’imperatore Teodosio, che regna tra il 379 e il 395. Sarà lui a promulgare una legge che vieta ogni culto sacrificale pagano ma anche ogni semplice visita al tempio. Persino adorare gli idoli pagani in casa propria viene proibito.
Il concilio di Nicea
Veniamo ora alla spinosa questione del Concilio di Nicea, che secondo Dan Brown avrebbe stabilito il canone delle scritture cristiane, abolendo quelle apocrife perché pericolose. E avrebbe anche stabilito grazie a una votazione la divinità di Cristo. Tanto per cominciare dobbiamo ricordare che il Concilio di Nicea non si è occupato del canone delle scritture sacre, ma ha affrontato problemi legati alla disciplina ecclesiastica in un momento di grandi dispute dottrinali. Anche se è vero che il canone, già formatosi in precedenza, si va rafforzando nell’età costantiniana con la conseguente perdita d’influenza dei testi considerati apocrifi.
La questione di Dio uno e trino in risposta ad Ario
La grande questione a tema nel Concilio è relativa al Dio unico e allo stesso tempo trino, al Dio unico in tre persone distinte, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo. La convocazione delle assisi conciliari è provocata dalla dottrina ariana, propagata da Ario: per questo sacerdote di origine libica, che apparteneva al patriarcato di Alessandria, le persone divine della trinità non possono essere considerate uguali, dato che soltanto il Padre, in quanto non creato ma anche non generato sarebbe il «vero» Dio, mentre il Figlio, generato dal Padre, occuperebbe un posto intermedio tra Dio stesso e la creazione. Quello di Ario è di fatto un monoteismo assoluto. Le idee di Ario trovano molti seguaci e per dirimere la questione Costantino convoca un Concilio (il primo «ecumenico» in quanto coinvolge la Chiesa universale) presso il palazzo imperiale di Nicea. I vescovi partecipanti sono circa trecento (secondo alcune fonti 318, secondo altre meno di 250) e l’esito del Concilio è la formulazione del «simbolo niceno», vale a dire del «Credo» che precisa la fede della Chiesa e afferma che Gesù è «consustanziale al Padre» («homousios to Patrì») e ha la sua stessa natura. Abbiamo letto nel Codice da Vinci che la proclamazione della divinità di Cristo sarebbe avvenuta con un voto a maggioranza. Peccato che Dan Brown non dica che soltanto due vescovi non sottoscrissero il Credo: Teona di Marmarica e Secondo di Tolemaide. Entrambi vennero deposti e scomunicati dal Concilio, quindi esiliati da Costantino.
Il Credo Niceno
Ecco la formulazione del Credo niceno, che sarà poi ulteriormente sancita dal Concilio di Costantinopoli:
«Crediamo in un solo Dio, Padre Onnipotente, creatore del cielo e della terra, di tutte le cose visibili e invisibili. E in un solo Signore Gesù Cristo, l’unigenito Figlio di Dio, generato dal Padre prima del tempo, luce da luce, Dio vero da Dio vero, generato non creato, della stessa sostanza del Padre, attraverso il quale tutte le cose sono state create; che per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo e fu fatto carne dallo Spirito Santo e dalla Vergine Maria, e divenne uomo, fu crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato, e patì e fu sepolto, e risorse il terzo giorno secondo le Scritture, e ascese al cielo, e siede alla destra del Padre, e tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il cui regno non avrà fine. E nello Spirito Santo, il Signore che dà la vita, che procede dal Padre, e con il Padre e il Figlio è adorato e glorificato, e parlò attraverso i profeti. E in una sola Chiesa, santa, cattolica e apostolica. Riconosciamo un solo battesimo per la remissione dei peccati. Attendiamo la resurrezione dei morti e la vita del mondo che verrà».
Le dispute tra Ario e Atanasio, l'imperatore sarà battezzato ariano
Costantino non si limita a convocare il Concilio del Credo, ma manda l’«eretico» Ario in esilio. Ma non basta. L’arianesimo continua a diffondersi tra le comunità cristiane. Il grande oppositore di Ario è il vescovo Atanasio di Alessandria e l’imperatore tenta, invano, di proporre una soluzione di compromesso accettabile da entrambi. I vescovi che hanno sancito il Credo, però, si rifiutano di modificarlo e così Costantino, stanco di queste diatribe, riabilita l’esiliato Ario e manda in esilio lo stesso Atanasio. Quando viene battezzato sul letto di morte, l’imperatore riceve il battesimo nella fede ariana. La crisi si risolverà soltanto nel 381, con il Concilio di Costantinopoli, convocato dall’imperatore Teodosio, che spiegherà la «coesistenza» dell’unicità di Dio e la distinzione delle tre persone della Trinità in una sola natura. Il Credo costantinopolitano riprende quello di Nicea, afferma che lo Spirito Santo è «consustanziale» e «coeterno» con il Padre e il Figlio con cui forma la Santissima Trinità e riconosce al vescovo di Costantinopoli il posto d’onore dopo quello di Roma.
La divinità di Gesù era chiara ai cristiani molto prima di Nicea
Dobbiamo ora chiederci: alla luce di questo, che fine fa l’affermazione di Dan Brown secondo la quale sarebbe stato il Concilio di Nicea, sotto la guida di Costantino, a divinizzare l’uomo Gesù? Chiunque abbia un minimo di conoscenza dei testi evangelici comprende al volo che ci troviamo davanti all’ennesima fiaba del nostro romanziere. Prendiamo per esempio gli scritti di Paolo, che sono databili tra il 50 e il 68 dopo Cristo, vale a dire almeno trecento anni prima del Concilio di Nicea. Ebbene, in questi scritti troviamo affermata senza tema di smentita la divinità di Cristo. Come nella Prima Lettera ai Corinzi (8, 5-6), che recita: «E in realtà, anche se vi sono cosiddetti dèi e molti signori, per noi c’è un Dio solo, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose, e noi esistiamo per lui». Difficile davvero immaginare un uomo, per quanto grande profeta, «in virtù del quale esistono tutte le cose»! Lo stesso titolo «Signore» veniva spesso riferito a Dio, nella traduzione greca della Bibbia, detta «dei Settanta». Gesù, secondo l’apostolo Paolo, è coinvolto nella creazione del mondo. «Secoli prima di Nicea», scrive Darrell L. Bock, «un importante capo spirituale cristiano affermava la divinità di Gesù non solo mediante l’uso di un titolo, ma anche attraverso la descrizione del suo agire».
Negli scritti di Paolo e nei Vangeli si parla inequivocabilmente di Gesù-Dio
In altri brani, come nella Lettera ai Filippesi (2, 9-11), Paolo applica a Gesù i termini che il profeta Isaia utilizzava per Dio nella Bibbia ebraica: «Per questo anche Dio lo ha esaltato e gli ha dato un nome che è al di sopra di ogni altro nome, affinché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e sotto terra, e ogni lingua proclami che Cristo Gesù è il Signore, a gloria di Dio Padre». Un passo che richiama quello di Isaia (45,23) nel quale il profeta riporta le parole di Dio: «L’ho giurato su me stesso; quello che esce dalla mia bocca è giustizia e non sarà revocato! Infatti davanti a me si piegherà ogni ginocchio e ogni lingua giurerà…».
Lasciamo Paolo, e prendiamo i vangeli. Come leggere il prologo di Giovanni, se non come un inno alla divinità di Cristo?
«In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Questi era in principio presso Dio. Tutto per mezzo di lui fu fatto e senza di lui non fu fatto nulla di ciò che è stato fatto… E il Verbo si fece carne…».
Il Verbo divino che si fa carne è Gesù Cristo, il Nazareno, figlio di Maria, concepito per opera dello Spirito Santo, figlio del Padre, condivide con quest’ultimo la natura divina. Non è soltanto un uomo, un profeta, un predicatore. Veniamo ora ai tre sinottici. E citiamo, a mo’ d’esempio, le parole pronunciate da Gesù davanti al Sinedrio, riunito nell’abitazione dei sommi sacerdoti Anna e Caifa. «Allora il sommo sacerdote levatosi in mezzo all’assemblea interrogò Gesù dicendo: “Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?”. Ma egli taceva e non rispondeva nulla. Di nuovo il sommo sacerdote lo interrogò dicendogli: “Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?”» (Marco 14, 60-61). «Allora il sommo sacerdote gli disse: “Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio”» (Matteo 26, 63). «E gli dissero: “Se tu sei il Cristo, diccelo”» (Luca 22, 67). È il momento culminante del processo giudaico, perché da questa risposta dipende la condanna di Gesù. La risposta, riportata dai vangeli, è questa e appare inequivocabile: «Gesù rispose: “Anche se ve lo dico, non mi crederete; se vi interrogo, non mi risponderete. Ma da questo momento starà il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza di Dio”» (Luca 22, 68-69). «Gesù rispose: “Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo assiso alla destra della Potenza e venire sulle nubi del cielo”» (Marco 14, 62).
Gesù non si presenta solo come Messia, ma come uomo-Dio
La domanda di Caifa, osserva il biblista Gianfranco Ravasi, voleva «provocare Gesù a una semplice dichiarazione messianica, grave ma non blasfema, perché il Messia in Israele era considerato una creatura umana». E Giacomo Biffi, nel suo Gesù di Nazaret (edizioni Elledici) spiega: «Il “messia” per gli ebrei del tempo di Cristo era la figura che radunava in sé tutte le speranze di Israele: era colui che avrebbe ristabilito il regno di Davide, che avrebbe rinnovato e purificato il culto di Dio, che avrebbe fatto conoscere senza ambiguità la volontà di Iahvè e il suo disegno di salvezza, che avrebbe posto fine alla loro storia di dolore e di umiliazione». È interessante notare che il concetto di messia non era necessariamente connotato dalla prerogativa della unicità. Gli ebrei riconoscevano infatti molti messia nel loro passato. Davide, i re, i sacerdoti, i profeti, avevano di volta in volta ricevuto questo appellativo, che ricordava la consacrazione mediante l’unzione. La colpa di «arrogata messianicità», cioè l’autoproclamarsi messia, prevedeva un duro castigo, ma non la condanna a morte. Nella sua risposta, invece, Gesù va ben oltre, fondendo insieme due testi biblici: il Salmo 110, che parla di un messia riconducibile all’orizzonte terreno e atteso da Israele lungo la linea dinastica di Davide, e un passo tratto dal capitolo 7 di Daniele. Quest’ultima citazione aveva un valore più misterioso per le autorità religiose giudaiche, in quanto presentava un «Figlio dell’uomo» messianico che «veniva sulle nubi del cielo», partecipando dunque della stessa vita di Dio. Presentando se stesso con delle caratteristiche divine, Cristo fa scattare l’accusa di bestemmia.
La condanna a morte è per essersi fatto Dio
Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: «Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?». Tutti sentenziarono che era reo di morte (Marco 14, 63-64). Compiendo il gesto rituale dello strapparsi le vesti, Caifa manifesta il suo sdegno più profondo per l’affermazione del Nazareno. «In conclusione», osserva Giuseppe Ricciotti nella sua Vita di Gesù Cristo (Mondadori, 1999), «l’inquirente aveva trionfato in ambedue i campi: in quello nazionale-politico, perché l’imputato aveva confessato di essere il Messia d’Israele; in quello rigorosamente religioso, perché aveva confessato di essere il vero Figlio d’Iddio. Questa seconda confessione era stata decisiva davanti al tribunale del Sinedrio; la prima verrà adottata e sarà ugualmente decisiva davanti al tribunale del procuratore romano».
Altri passi della Scrittura che fanno riferimento esplicito alla divinità di Gesù
Vorremmo ora proporre una pagina significativa del cardinale Giacomo Biffi, tratta dal già citato libro Gesù di Nazaret (pp. 101-104) e dedicata alla divinità di Cristo, che elenca una nutrita serie di citazioni evangeliche dalle quali questa traspare chiaramente. «Pietro proclama: “Tu sei il Figlio di Dio”. Abbiamo qui il terzo, più alto e più sconcertante elemento della unicità di Gesù di Nazaret, cioè la sua divina personalizzazione o, più semplicemente, la sua divinità. Era storicamente impensabile che la divinizzazione di un uomo potesse nascere “per cause naturali” entro la cultura ebraica, totalmente, rigidamente, ferocemente monoteista. Eppure la Chiesa apostolica è arrivata a questa sconvolgente persuasione costretta dalla luce della risurrezione: “Tu sei il mio Signore e il mio Dio” (Giovanni 20,28), è la professione di fede dell’incredulo Tommaso, posta a traguardo della catechesi giovannea».
«La Chiesa apostolica», continua Biffi, «esprime in modo vario questa difficile fede, ma sempre con molta chiarezza e in tutte le sue diverse componenti:
– Paolo: Gesù è “di natura divina” (Filippesi 2,6) e ha ricevuto “il Nome che sta sopra tutti gli altri nomi” (Filippesi 2,9);
– Giovanni: Gesù è il Verbo che “era presso Dio” ed “era Dio” (Giovanni 1,1);
– Matteo: colloca il Figlio tra Dio Padre e lo Spirito di Dio, sullo stesso piano: “Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo” (Matteo 28,19);
– La Lettera agli Ebrei: “del Figlio afferma: Il tuo trono, o Dio, sta in eterno” (Ebrei 1,8).
Alla luce della Pasqua la Chiesa apostolica è arrivata a questa convinzione, perché alla luce della Pasqua ha finalmente capito che Gesù stesso nei discorsi e negli atti della sua vita terrena aveva in maniera molteplice, anche se cauta, rivendicato a sé le prerogative divine:
– si pone sullo stesso piano del Legislatore del Sinai: “Io invece vi dico” (Matteo 5-7);
– si arroga il diritto di perdonare i peccati (Matteo 9,2; Luca 7,36-50);
– si ritiene il Giudice degli uomini e della storia:
– proclama di essere il “padrone del sabato” e più grande del tempio (Matteo 12, 6-8);
– dice di essere l’unico maestro, che non solo ha sempre ragione, ma “è la verità”;
– si colloca più in alto degli angeli (Marco 13,41);
– si propone come oggetto di un amore che deve essere più grande di quello del padre, della madre, della sposa, dei figli, dei fratelli (Matteo 10,37; Luca 14,26);
– si ritiene non uno dei figli di Dio, ma l’unico Figlio di Dio (Matteo 21,33-34);
– a suo dire Dio e lui sono esattamente sullo stesso piano: “Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio…” (Matteo 11,27; Luca 10,22).
Che Gesù Cristo si è presentato come Dio è una certezza storica
La certezza storica – enunciata da tutti questi indiscutibili “loghia” (detti) – che Gesù stesso si è presentato come Dio, rende assolutamente improbabile la benevola, accomodante, “moderata” concezione che di Cristo hanno molti “benpensanti”, che vogliono poter apprezzare e lodare Gesù, come uomo saggio, giusto e grande, senza riconoscerlo come Signore e come Dio. Una tale “moderazione” è smentita da tutta la documentazione evangelica in nostro possesso: un uomo che dice le cose che lui dice, non può essere giudicato né saggio, né giusto, né grande, non può avere la nostra stima, non può essere onorato. A meno che non sia vero tutto quello che lui dice di sé e tutto quello che la Chiesa apostolica afferma di lui. Non si può dunque arrivare a un accordo generale sulla base di una generica stima di Cristo: o lo si rifiuta, disprezzandolo, o davanti a lui ci si inginocchia».
La credenza diffusa tra i cristiani, molto prima di Nicea, è che Gesù fosse Dio
Come si vede, dunque, la divinità di Cristo è rintracciabile nei testi più antichi, scritti pochi decenni dopo i fatti. Attribuire al voto del Concilio di Nicea questa credenza, facendo intendere, come Dan Brown, che fino a quel momento Gesù era stato considerato soltanto un semplice uomo, significa affermare il falso. Libero Dan Brown, come chiunque altro, di non credere alla divinità di Cristo. Ma scrivere che questa era la credenza diffusa nei primi secoli del cristianesimo è semplicemente una bufala. L’ennesima, tra quelle raccontate nel Codice da Vinci. L’idea della divinità di Gesù, il figlio di Dio, non è stata decisa a maggioranza in una votazione – seppure una votazione conciliare – ma era espressa con evidenza e chiarezza nei vangeli che, lo ricordiamo, sono stati scritti pochi decenni dopo i fatti narrati.
La formazione del canone delle Scritture
Veniamo ora al canone delle Scritture, un tema al quale abbiamo già accennato nel capitolo precedente ma che ora esamineremo più nel dettaglio, per verificare se rispondano al vero le affermazioni di Dan Brown. Secondo il Codice da Vinci (e i suoi «ispiratori»), lo abbiamo visto, l’imperatore Costantino avrebbe commissionato e finanziato una nuova Bibbia, escludendo i vangeli che esaltavano gli «aspetti umani» di Cristo. Ricordiamo le parole precise già citate nel primo capitolo di questo libro, con le quali, nel romanzo, si parla del ruolo avuto dall’imperatore nella formazione del canone delle Scritture: «Costantino aveva innalzato la condizione di Gesù, erano passati quasi quattro secoli dalla morte di Gesù stesso, esistevano migliaia di documenti che parlavano della sua vita di uomo mortale. Per riscrivere i libri di storia, Costantino sapeva di dover fare un colpo di mano… commissionò e finanziò una nuova Bibbia, che escludeva i vangeli in cui si parlava dei tratti umani di Cristo e infiorava i vangeli che ne esaltavano gli aspetti divini. I vecchi vangeli vennero messi al bando, sequestrati e bruciati».
Le tappe principali della formazione del Nuovo Testamento
Anche in questo caso, il Codice da Vinci non la racconta giusta. Nel 397 il vescovo Atanasio fu il primo a proporre una lista dei ventisette libri del Nuovo Testamento e fu anche il primo a usare il termine «canone» per la sua raccolta. Tale lista, dunque, era stata stilata dopo il Concilio di Nicea, che come abbiamo visto si era svolto sotto l’egida di Costantino nel 325. Va però anche aggiunto che in realtà la selezione dei testi cosiddetti canonici si era già sostanzialmente conclusa parecchio tempo prima. Si tratta di un processo graduale, che avviene nel II, III e IV secolo. Tra l’altro, scrivere, come fa Dan Brown, che i manoscritti più antichi del Nuovo Testamento risalgono tutti al IV secolo non è corretto, dato che esistono alcune decine di papiri (e si tratta anche di frammenti di lunghezza considerevole) databili nel II e nel III secolo. Ecco, in sintesi, le tappe principali dell’istituzione del canone delle Scritture cristiane, così com’è stato efficacemente riassunto da Marie-France Etchegoin e Frédéric Lenoir, nel loro libro Inchiesta sul Codice da Vinci (Mondadori, 2005): Giustino martire, che scrive attorno all’anno 150, riferisce che a Roma «si leggevano le Memorie degli apostoli». Si sa che nel II secolo circolavano infatti vari testi, nei quali erano raccontati i fatti della vita di Gesù e le sue parole, insieme con altri scritti apocalittici attribuiti agli stessi apostoli. All’epoca, bisogna precisarlo, nessuna autorità o istituzione ecclesiastica aveva ancora stabilito l’autenticità o meno dei testi in circolazione. Il primo personaggio che redige una selezione rigida è Marcione (85 circa – 160), figlio del vescovo di Sinope, accolto dalla comunità di Roma, il quale rifiuta l’eredità ebraica del cristianesimo e l’Antico Testamento concentrandosi invece sul vangelo di Luca – in una versione da lui adattata – e su alcune lettere di Paolo. Oltre a sostenere l’irriducibilità di giudaismo e cristianesimo, riterrà come soltanto apparente l’incarnazione di Cristo (docetismo). Sarà considerato eretico e scomunicato, e fonderà una chiesa sopravvissuta fino al V secolo. La sua iniziativa contribuirà a incoraggiare una forma di selezione dei sacri testi.
Il frammento Muratoriano: la prima lista dei testi evangelici e delle lettere di Paolo
Un altro documento importante, che serve a smentire la tesi di Dan Brown, è il Frammento muratoriano, che prende il nome da Ludovico Antonio Muratori, storico, bibliotecario ed erudito che nel 1740 ha scoperto questo importante documento risalente all’VIII secolo, nel quale si fa riferimento a «Pio, vescovo di Roma morto nel 157» e si afferma l’esistenza, in quell’epoca, dei quattro vangeli di Marco, Luca, Matteo e Giovanni, degli Atti degli Apostoli attribuiti a Luca e delle tredici lettere di Paolo. Il Pio vescovo di Roma è Pio I. Nel frammento, che consta di ottantacinque righe, sono pure indicati alcuni criteri di selezione per i testi canonici: la loro antichità, vale a dire che essi devono essere il più possibile vicini dal punto di vista temporale ai fatti raccontati, e il loro legame diretto con la predicazione degli apostoli. Criteri che, come il lettore avrà già compreso, di fatto sbaragliano molta produzione apocrifo-gnostica in favore dei quattro vangeli canonici, scelti dunque ben prima di Costantino, circa duecento anni prima del Concilio di Nicea, e non sulla base della loro «pericolosità» circa i contenuti. Non si trattava cioè di scartare o nascondere inesistenti vangeli che ci parlavano delle nozze di Gesù con la Maddalena o dell’umanità di Cristo, semplice profeta e non Dio, favorendo invece gli scritti più innocui e utili alla dottrina dominante. No. I criteri sono precisi, hanno una loro logica, e si richiamano all’antichità del testo e alla sua comprovata origine apostolica, come garanzia di fedeltà ai fatti narrati.
La selezione di Ireneo in continuità con la lista Muratoriana
Qualche decennio dopo il pontificato di «Pio, vescovo di Roma morto nel 154», verso la fine del II secolo, il vescovo di Lione Ireneo prepara una lista contenente i quattro vangeli canonici che secondo lui rappresentano la «buona novella». Ireneo si scaglia pure contro le eresie e in particolare contro la gnosi che attacca la vera fede cristiana. Ricordiamo ancora una volta che mancano circa centocinquant’anni al Concilio di Nicea, convocato dall’imperatore Costantino. Ancora, nella Storia ecclesiastica di Eusebio di Cesarea, scritta verso l’anno 325, sono indicati i libri letti nelle Chiese d’Oriente alla fine del II secolo. Vale a dire, i quattro vangeli canonici, gli Atti degli apostoli, le lettere di Paolo e la lettera agli ebrei, le prime lettere di Pietro e Giovanni e alcune altre opere che non saranno poi incluse nel canone definitivo, come l’Apocalisse di Pietro, che pur non essendo contrarie alla dottrina cristiana non sono considerate «ispirate» da Dio. È bene precisare che tra gli apocrifi non ispirati che vengono utilizzati non ci sono vangeli gnostici, ma testi comunque in linea con la dottrina cristiana così come si era andata definendo nei primi secoli. Dunque ne dobbiamo dedurre che già allora una decisiva selezione era stata fatta e non includeva i testi così cari a Dan Brown, anche perché, forse, questi non erano ancora stati redatti.
Gli scritti che saranno decretati canonici sono sostanzialmente gli stessi dei primi secoli
Dunque sia a Roma, nel 154, sia nelle Chiese d’Oriente, più o meno negli stessi anni, il canone delle Scritture del Nuovo Testamento in vigore era sostanzialmente quello degli scritti che saranno considerati canonici nei secoli successivi fino ai nostri giorni. Come avrebbe fatto Costantino, che all’epoca non era ancora nato, a compiere la sua azione selezionatrice? Ha potuto forse viaggiare con una macchina del tempo, superando la barriera di quasi due secoli? Chiediamoci piuttosto perché queste elementari informazioni – per reperire le quali non è necessario tuffarsi per anni nel dedalo degli studi neotestamentari, dato che sono reperibili in una buona enciclopedia – non fossero a conoscenza dell’autore del Codice da Vinci.
La selezione definitiva avviene nel IV secolo con criteri rigorosi: antichità, apostolicità, autenticità e universalità.
Nel corso del IV secolo (arriviamo così finalmente a Costantino!) si pone una volta per tutte il problema di selezionare definitivamente i testi canonici da quelli che non lo sono. Un lavoro che vede all’opera i cosiddetti concili regionali. Ai già citati criteri dell’antichità, dell’apostolicità e dell’autenticità della fede proclamata, se ne aggiunge un altro, molto significativo, vale a dire quello della diffusione universale: per la catechesi e la liturgia saranno cioè adottati quei testi già maggiormente diffusi dalle comunità cristiane in Occidente e in Oriente. Nel 328 il Concilio di Roma stila l’elenco definitivo, con i libri dell’Antico e del Nuovo Testamento, il Concilio di Ippona nel 393 conferma quella scelta e infine nel 397 il Concilio di Cartagine vi aggiunge l’Apocalisse di Giovanni apostolo stabilendo che al di fuori di queste «Scritture canoniche nulla deve essere letto nella Chiesa sotto il nome di divine Scritture».
Nessun colpo di mano: un processo lungo e articolato
Non ci sono, come si vede, colpi di mano. Non ci sono roghi che bruciano antichi testi «pericolosi» per salvare solo quelli «innocui». Il processo è lungo e articolato, dura circa tre secoli, si conclude in modo abbastanza prevedibile visti i criteri che si erano andati affermando. L’idea di Dan Brown finisce male. «C’è un unico elemento storicamente vero nella tesi del Codice da Vinci», scrivono Marie-France Etchegoin e Frédéric Lenoir, «una volta costituita la Bibbia cristiana, le tesi gnostiche vengono sistematicamente condannate…». Il problema degli scritti canonici si porrà nuovamente con la riforma protestante. Ma neanche questa riuscirà a far portare in vigore gli apocrifi gnostici, che continuano a essere considerati inattendibili.
Il culto delle divinità femminile si estinse qualche migliaio di anni prima di Cristo
Qualche breve considerazione, alla fine di questo capitolo dedicato a Costantino e alla formazione del canone dei vangeli, lo merita il tema del «femminino sacro»¸ del culto della dea madre che sembra ossessionare Dan Brown e i protagonisti del suo romanzo, che vedono sacri Graal, simboli sessuali e vagine stilizzate in ogni dove, persino nei cartoni animati di Walt Disney. È accertato, dagli studiosi della preistoria, che per un lungo periodo, tra il paleolitico e il megalitico, le popolazioni del nostro Continente e del Medio Oriente veneravano una sorta di grande dea madre, una divinità femminile. Nelle società primitive, il potere di dare la vita era infatti considerato come qualcosa di divino e di misterioso e la stessa organizzazione della vita di questi nostri progenitori era di tipo matriarcale. «In Europa occidentale», scrivono ancora Marie-France Etchegoin e Frédéric Lenoir, «la venerazione delle dee è terminata probabilmente qualche migliaio di anni prima di Cristo, quando gli Indoeuropei invasero l’Europa da est portando con loro la credenza in divinità maschili. Il culto delle dee si è unito progressivamente al culto di questi dèi dando vita a una grande varietà di religioni pagane». È ovviamente del tutto priva di fondamento la tesi di Brown, secondo la quale sarebbe stato Costantino a sostituire l’iniziale «femminino sacro» o «principio femminile» vigente nel cristianesimo delle origini con il principio maschile o maschilista. La società patriarcale, che aveva sostituito quella matriarcale, era diventata vincente già da moltissimi secoli. Dunque non ci sono cambi in corsa, o sotterfugi, né tantomeno segreti conservati gelosamente da pochi iniziati: l’idea che inizialmente il cristianesimo si fondasse sul principio femminile e che l’uomo Gesù avesse stabilito di lasciare alla moglie la guida della Chiesa, è una pura e semplice invenzione, antistorica, priva di qualsiasi riscontro. L’ennesima, nelle pagine del romanzo di Dan Brown.
tratto da Processo al Codice da Vinci di Andrea Tornielli
pubblicato con Il Giornale e per la casa editrice Gribaudi.