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EVOLUZIONISMO E CHIESA CATTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2023 11:42
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24/04/2011 20:08
 
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La teoria dell’evoluzione

La teoria dell’evoluzione  sembrava contraddire il principio della creazione.
Una prima apertura fu quella di Pio XII con l’Enciclica “Humani generis” del 1950: il prossimo 12 agosto compie 70 anni.
Giovanni Paolo II afferma che “la creazione si pone nella luce dell’evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo - come una ‘creatio continua’ - in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra”. Papa Francesco sottolinea che “quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con tanto di bacchetta magica nel fare tutte le cose. Ma non è così.
Egli ha creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza (…)
Il Big-Bang, che oggi si pone all’origine del mondo, non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige.
L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono”.

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  « Davanti alla questione fondamentale irrisolvibile dalla stessa teoria dell'evoluzione – se comandi l'insensatezza o il senso – la fede esprime la convinzione che il mondo nella sua interezza, come dice la Bibbia , venga fuori dal logos, cioè dal senso creatore, e rappresenti la forma contingente del suo proprio compimento [...] Il riconoscimento del mondo in divenire come autocompimento di un pensiero creatore racchiude il suo ricondurre alla creatività dello spirito, al Creator Spiritus. »
 
(Joseph Ratzinger, Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione[1])

Sin dalla pubblicazione de L'origine delle specie di Charles Darwin nel 1859, le gerarchie della Chiesa cattolica hanno lentamente definito e rifinito la loro posizione sulla teoria dell'evoluzione evitando inizialmente di prendere una posizione ufficiale, contrariarmene a quanto fecero quelle delle chiese protestanti che, maggiormente legate ad una interpretazione letterale della Bibbia, immediatamente avversarono il pensiero darwiniano [2]. Fino ai primi anni del XX secolo, nel mondo cattolico si riscontrava una generale ostilità all'evoluzionismo, tuttavia in quel periodo la Chiesa non prese mai una posizione ufficiale sulla questione. Nel corso del XX secolo alcune alte gerarchie ecclesiastiche con pubbliche affermazioni e documenti ufficiali hanno affermato che la fede cattolica e l'evoluzionismo, in particolare riguardo all'origine dell'uomo, non sono in conflitto; diversi papi si sono esplicitamente espressi favorevolmente riguardo alla conciliabilità dell'evoluzionismo con la fede cattolica. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, la teologia cattolica, confrontandosi con la teoria dell'evoluzione, ha fatto importanti progressi ed ha definito alcune fondamentali questioni di fede relative all'origine dell'uomo, all'azione di Dio nel mondo ed alla dottrina sul peccato originale.

Indice

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[modifica] Il pensiero cattolico di fronte all'evoluzionismo: 1859 - 1900

[modifica] Il problema storiografico

Un'analisi sintetica dei rapporti tra la teoria dell'evoluzione e la religione cattolica, e della posizione della Chiesa di Roma su questo tema, nei primi decenni di diffusione delle teorie di Charles Darwin, esposte per la prima volta ne L'origine delle specie (1859), risulta essere pressoché impossibile. All'incirca fino alla prima metà del ventesimo secolo, la tendenza prevalente era quella di inquadrare i rapporti storici tra scienza e religione in uno schema molto semplice: il perpetuo conflitto tra la ragione scientifica ed il dogma religioso[3]. Negli ultimi decenni del ventesimo secolo invece questo quadro è stato completamente superato[4]. La storiografia più moderna tende ormai ad allinearsi alla cosiddetta "tesi della complessità", esposta esplicitamente per la prima volta dallo storico della scienza John Hedley Brooke nel suo libro Science and Religion: Some Historical Perspectives (1991). Scrive Brooke[5]:

(EN)
« Serious scolarship in the history of science has revealed so extraordinarily rich and complex a relationship between science and religion in the past that general theses are difficult to sustain. The real lesson turns out to be the complexity. »
(IT)
« Studi rigorosi sulla storia della scienza hanno rivelato dei rapporti tra scienza e religione nel passato così straordinariamente ricchi e complessi, che risulta difficile sostenere delle tesi generali. L'unica lezione risulta essere la complessità »
 

I rapporti tra scienza e religione sono quindi stati, storicamente, una realtà molto varia e complessa, che non può essere ridotta ad alcuno schema semplice; la storiografia si trova quindi costretta a trattare in maniera organica questa vasta realtà, ed è per questo che risulta difficile riuscire ad esporre un'analisi concisa e sintetica.

Sulla cultura scientifica negli Stati pontifici nel XIX secolo, scrive Pietro Redondi[6]: «Si stabilirà così alla metà del secolo un saldo programma culturale. Esso sarà basato sulla possibilità di conciliare la scienza e la fede religiosa attraverso l'assunzione di alcune categorie dell'epistemologia positivistica, ossia alleando a una visione teistica lo sperimentalismo e la critica antimetafisica del causalismo avanzata dai positivisti. Scopo dichiarato e di grande importanza storica di questo programma culturale era l'affossamento delle idee materialistiche dell'illuminismo per rendere possibile una reale penetrazione della teologia cattolica nel pensiero moderno, ovvero il pensiero e la cultura della società industriale che stava nascendo e che riponeva un grande consenso nelle scienze positive. [...] Il problema della scienza nell'ultimo scorcio dello Stato pontificio non può perciò essere liquidato sbrigativamente in termini di semplice oscurantismo e merita un esame più approfondito».

Molti intellettuali cattolici si occuparono di evoluzionismo negli ultimi quattro decenni del XIX secolo, ovvero gli anni che videro la diffusione delle teorie di Darwin, e le loro variegate e multiformi posizioni sull'argomento devono essere trattate caso per caso. Ma per quanto riguarda specificamente la posizione della Santa Sede, si deve anche tener presente che i documenti del Sant'Uffizio e della Congregazione dell'Indice, riguardanti il dibattito sull'evoluzionismo, sono diventati accessibili solo nel 1998, quando gli archivi sono stati aperti agli studiosi. Prima di questa data, gli storici potevano essenzialmente basarsi sugli articoli de La Civiltà Cattolica (che al tempo si occupò molto della questione evoluzionista), su pochi altri articoli in altre riviste ed in certi casi su lettere private di intellettuali cattolici che si occuparono di evoluzione[7]. L'unico studio esistente basato sui nuovi documenti è il saggio Negotiating Darwin (2006) di Artigas, Glick e Martinez; prima del loro studio, e dal momento che non esisteva alcun pronunciamento ufficiale della Chiesa cattolica sull'evoluzionismo, gli storici (ad esempio Molari e O'Leary) ed i teologi cercavano di comprendere la posizione della Chiesa essenzialmente attraverso gli articoli de La Civiltà Cattolica; la redazione di questa rivista infatti lavorava, e tuttora lavora, a stretto contatto con la Segreteria di Stato Vaticana, che ne approva i testi; per questo motivo si riteneva che le posizioni sull'evoluzionismo espresse ne La Civiltà Cattolica, riflettessero fedelmente la posizione e le direttive della Santa Sede.

In realtà lo studio di Artigas, Glick e Martinez ha rivelato una situazione molto più complessa che non coincide con quanto si fosse fino a quel momento potuto dedurre dall'esame degli articoli ne La Civiltà Cattolica. In particolare si è scoperto che non è mai esistito alcun provvedimento del Sant'Uffizio verso l'evoluzionismo, contrariamente a quanto affermato invece più volte da La Civiltà Cattolica. Questo errore influenzò purtroppo molti testi di teologia dell'epoca ed anche autori più moderni; ad esempio, ancora nel 1953, Karl Rahner nel suo libro De Deo creante et elevante et de peccato originali attribuiva al Sant'Uffizio delle decisioni contro l'evoluzionismo, in realtà mai prese.

[modifica] Sintesi dei risultati dello studio dei documenti del Sant'Uffizio e della Congregazione dell'Indice

Il risultato fondamentale dello studio di Artigas, Glick e Martinez è stato quello di appurare che la Chiesa non solo non aveva, al tempo, una posizione ufficiale sull'evoluzionismo né prese mai provvedimenti contro questa teoria, ma che nel trattare tale questione non si atteneva neanche ad una politica predefinita[8]. Analizzando vari testi di teologia dell'epoca si è scoperto che la maggior parte dei teologi erano molto critici verso l'evoluzionismo, ma soltanto pochi di essi, in particolare Matthias Joseph Schebeen (1835 - 1888), ed i gesuiti Camillo Mazzella (1833 - 1900) e Giovanni Perrone (1794 - 1876) affermavano che la creazione immediata del corpo di Adamo dal fango della terra dovesse esser considerata dottrina cattolica.

C'è comunque da premettere che a quel tempo la Chiesa si sentiva, letteralmente, sotto assedio[9]. Dopo il 1861, anno dell'unità d'Italia, dello Stato Pontificio rimaneva soltanto la città di Roma difesa dai francesi di Napoleone III; il 20 settembre 1871 l'esercito italiano entrò nella città: il potere temporale dei papi era finito e si apriva un periodo di forti contrasti tra la Chiesa e lo Stato italiano. Dal mondo scientifico arrivavano inoltre dure critiche alla religione cattolica, descritta spesso come causa di ignoranza, arretratezza e freno del progresso. La teoria dell'evoluzione veniva ampiamente utilizzata, affermando l'inattendibilità e la falsità delle Sacre Scritture, per criticare i fondamenti della dottrina cattolica; le teorie di Darwin, che per spiegare l'evoluzione facevano appello soltanto a cause naturali e contingenti, permettevano di sostenere filosofie atee e materialiste. Il darwinismo nel mondo cattolico fu quindi accolto, inizialmente, con profonda ostilità e disprezzo[10]. Per i teologi Dio aveva sempre fatto parte dell'interpretazione scientifica del mondo; per la teologia naturale la scoperta dell'ordine del mondo che si otteneva dallo studio delle scienze naturali forniva la prova dell'esistenza di Dio e della sua azione provvidenziale. Le teorie di Darwin inferivano un duro colpo a questa concezione.

In questa situazione è facile comprendere l'esistenza, nel mondo cattolico, di un generale clima di sospetto o di opposizione nei confronti dell'evoluzionismo. Ma nonostante queste condizioni, la Chiesa non prese mai alcuna posizione sull'evoluzionismo, né decise in generale di prendere provvedimenti verso quegli intellettuali cattolici che accettavano le nuove teorie e ne sostenevano la conciliabilità con la dottrina cattolica. Questi ultimi certamente venivano molto criticati da La Civiltà Cattolica, ma, come spiegato nel paragrafo precedente, essa non rifletteva le posizioni della Santa Sede. La Civiltà Cattolica partecipò vivamente alla polemica contro l'evoluzione[11]; quando le teorie di Darwin cominciarono a diffondersi in Italia, essa intervenne con critiche e puntualizzazioni praticamente su ogni nuovo libro od episodio relativo al dibattito filosofico-teologico-scientifico sull'argomento.

Ma per quanto riguarda direttamente la Santa Sede, di fatto la Congregazione dell'Indice si occupò soltanto di tre casi di studiosi cattolici sostenitori dell'evoluzionismo: Raffaello Caverni, Dalmace Leroy e John Augustine Zahm. Tuttavia la Congregazione non si mosse mai di sua spontanea volontà, ma fu costretta ad agire in quanto aveva ricevuto delle denunce formali delle opere di questi autori. Ognuno di questi casi ha caratteristiche proprie e deve essere analizzato singolarmente, ma una caratteristica importante e comune a tutti e tre i casi la si è potuta trovare: una ragione importante che spingeva la Santa Sede ad evitare un pronunciamento ufficiale contro l'evoluzionismo era il timore di ritrovarsi con un nuovo caso Galilei. Si arrivò poi ad una condanna ufficiale solo nel caso di Caverni: tuttavia, affinché la condanna delle sole tesi di questo studioso non potesse essere interpretata come una condanna dell'evoluzionismo, la Congregazione decise di inserire il libro di Caverni nell'Indice dei libri proibiti senza esplicitarne, pubblicamente, le motivazioni. Per questo motivo la condanna di Caverni è stata completamente ignorata da tutti gli storici (ed anche, incredibilmente, da La Civiltà Cattolica) fino allo studio di Artigas, Glick e Martinez. A Leroy e Zahm invece ci si limitò soltanto a richiedere una ritrattazione, che poi, nel caso di Zahm, fu soltanto indiretta. Un altro studioso cattolico, George Mivart, importante biologo inglese che fu anche collaboratore di Darwin, è stato in passato citato molte volte per essere stato condannato dalla Congregazione dell'Indice[12]; ma in realtà il caso di Mivart non ebbe niente a che vedere con l'evoluzionismo, ma riguardava delle controversie prettamente dottrinali. Diversi altri autori cattolici, trattati separatamente nei successivi paragrafi, che accettarono le teorie evoluzioniste, non furono mai oggetto di indagine da parte della Santa Sede, benché alcuni di essi fossero stati comunque pesantemente criticati da La Civiltà Cattolica; due di essi, Geremia Bonomelli e John Cuthbert Hedley, ritrattarono spontaneamente le loro tesi sull'evoluzionismo, pur non essendo mai stato intrapreso alcun provvedimento ufficiale della Santa Sede contro di loro.

[modifica] Encicliche e concili

Nel 1860 il Concilio regionale di Colonia approvò un canone contenente la seguente formula[13]:

(LA)
« Primi parentes a Deo immediate conditi sunt. Itaque scripturae sacrae fideique plane adversantem illorum declaramus sententiam, qui asserere non verentur, spontanea naturae imperfectioris in perfectiorem continuo ultimoque humanam hanc immutatione hominem, si corpus quidem spectes, prodidisse. »
(IT)
« I primi progenitori sono stati creati immediatamente da Dio. Pertanto dichiariamo come contraria alla sacra scrittura e alla fede l'opinione di coloro che non temono di affermare che l'uomo, per ciò che concerne il suo corpo, è venuto ad essere attraverso una mutazione spontanea da una natura imperfetta ad una più perfetta e che, in un processo continuo, sia infine diventato umano. »
 

I canoni di questo concilio furono approvati, come di procedura, dalla Congregazione del Concilio a Roma. Ma Artigas, Glick e Martinez, citando lo Ius Decretalium di Franz Xaver Wernz, un'importante opera sul diritto canonico, fanno notare che le delibere di un concilio regionale non hanno mai valore dottrinale e che l'approvazione (recognitio) da parte della Santa Sede non conferisce ad esse maggiore autorità; l'approvazione da parte della Congregazione del Concilio è normale procedura per ogni concilio regionale e serve soltanto ad accertare che esso sia stato tenuto secondo le regole e che nelle sue delibere non ci sia niente da censurare. Artigas, Glick e Martinez spiegano che questo concilio è testimonianza del generale clima di ostilità verso l'evoluzionismo che al tempo caratterizzava il mondo cattolico, ma esso non costituisce affatto la prova di un pronunciamento ufficiale della Santa Sede contro l'evoluzionismo.

Nel settembre del 1863, in un congresso di studiosi cattolici tenutosi a Monaco e presieduto dal sacerdote, storico e teologo Ignaz von Döllinger (che in seguito divenne uno dei più illustri esponenti del vetero-cattolicesimo) si attaccò direttamente il Magistero della Chiesa Cattolica, affermando che esso costituisse un ostacolo al progresso delle scienze[14]. A queste tesi rispose nel 1864 Papa Pio IX condannando nel Sillabo le seguenti proposizioni: «I decreti della S. Sede e della Curia romana impediscono il libero progresso delle scienze»; «Il metodo ed i principi, con cui gli antichi dottori scolastici hanno sviluppato la teologia non sono adatti alle necessità dei nostri tempi e al progresso delle scienze».

Il Concilio Vaticano I (1869 - 1870) non affrontò la questione evoluzionistica, tuttavia in un relazione venne ricordata[15] «quella turpe dottrina che cerca gli inizi del genere umano da una scimmia irsuta e pone l'avvio del genere umano non nel paradiso ma nello sporco e turpe fango». Ma alla fine, nei documenti approvati, non c'era niente contro l'evoluzionismo, e ci si limitava soltanto a reiterare la condanna del materialismo e a riaffermare la fede in Dio creatore dell'anima e del corpo.

Il 18 novembre 1893 Papa Leone XIII emanò l'enciclica Providentissimus Deus che era interamente dedicata agli studi biblici ed esegetici. In questa enciclica si ribadivano prima di tutto l'inerranza delle sacre scritture e l'autorità del Magistero; ma essa fu tuttavia molto interessante ed importante per via del fatto che, in pratica, veniva accettato[16] il criterio esegetico proposto a suo tempo da Galileo Galilei nella sua famosa lettera a Cristina di Lorena del 1615. Il nome di Galilei non viene mai menzionato esplicitamente nell'enciclica, ma la sua influenza è evidente sia per le tesi che nell'enciclica vengono sostenute, sia per il fatto che Leone XIII utilizzò gli stessi passi di Sant'Agostino utilizzati da Galilei. Riguardo al rapporto tra l'esegesi biblica e le scienze naturali l'enciclica contiene un passo che coincide perfettamente con le tesi galileane:

  « Dicendo che la difesa della sacra Scrittura deve essere condotta strenuamente, non ne segue che si debbano ugualmente sostenere tutte le sentenze che i singoli padri e successivamente gli interpreti affermano nello spiegarla, in quanto essi, date le opinioni del tempo, nell'interpretare i passi in cui si tratta di cose fisiche non sempre forse giudicarono secondo la verità oggettiva, di modo che alcune interpretazioni allora proposte, ora sono meno accettabili. Occorre perciò distinguere diligentemente quali siano di fatto le interpretazioni che essi tramandarono come spettanti alle cose di fede o strettamente connesse con essa; quali poi siano state tramandate con unanime consenso, poiché infatti "nelle cose che non sono di necessità di fede fu lecito ai santi, come anche a noi, pensare in modo diverso", secondo la sentenza di san Tommaso. Il quale in altro luogo molto prudentemente avverte: "Mi sembra cosa più sicura riguardo alle opinioni comunemente ammesse dai filosofi e che non ripugnano alla nostra fede, non asserirle come dogma di fede, anche se introdotte talvolta sotto il nome dei filosofi, ma neppure negarle come contrarie alla fede, per dar occasione ai sapienti di questo mondo di disprezzare la dottrina della fede". Quantunque sia certamente compito dell'interprete dimostrare che le cose proposte come certe per mezzo di argomenti certi dagli studiosi di scienze naturali non contraddicono affatto le Scritture, se rettamente spiegate, non deve tuttavia sfuggire all'interprete questo fatto e cioè che talora avvenne che alcune cose date come certe furono poi poste in dubbio e quindi ripudiate. Che, se poi gli scrittori di scienze naturali, oltrepassati i confini della propria disciplina, invadessero con errate opinioni il campo della filosofia, l'interprete teologo domandi ai filosofi di confutarle. »
   

Nel caso di Dalmace Leroy[17], anche se poi si concluse con una richiesta di ritrattazione, durante la disamina del libro, alla Congregazione dell'Indice fu sottoposto un rapporto iniziale in cui, citando proprio la Providentissimus Deus, si affermava che le tesi di Leroy sull'evoluzionismo fossero accettabili per la fede cattolica e che esse non fossero in contrasto con la sacra scrittura.


[Modificato da Credente 04/07/2020 15:38]
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24/04/2011 20:10
 
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[modifica] Intellettuali cattolici analizzati da Artigas, Glick e Martinez

[modifica] Raffaello Caverni

Raffaello Caverni[18] (1837 - 1900) fu un sacerdote, professore di fisica e matematica e storico della scienza, autore del notevole saggio Storia del metodo sperimentale in Italia (1888), per il quale vinse un premio dal Regio Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Egli si occupò delle teorie di Charles Darwin nell'opera De' nuovi studi della filosofia: lavoro rivolto a un giovane studente (1877). Sostanzialmente Caverni accettava il darwinismo e tentava di riconciliarlo con la dottrina cattolica. Rifacendosi al pensiero di Galileo egli sosteneva che nella Bibbia convivessero due diversi aspetti, umano e divino. Quello divino, che concerne le verità di fede ed è infallibile; quello umano, che riflette invece concezioni acquisite con la ragione e con lo studio e che pertanto possono essere vere o false e variare nel tempo. Il fedele non avrebbe dovuto avere alcun timore delle scienze ed avrebbe dovuto avere piena libertà di indagine scientifica. Tuttavia Caverni ammetteva che le scienze avessero dei precisi limiti: esse si occupano solo di fatti materiali e non possono trattare nulla che riguardi la spiritualità. Partendo da queste considerazioni Caverni accettava il darwinismo per spiegare l'origine di tutte le specie di animali, ma ne escludeva l'uomo.

Il libro di Caverni attirò l'attenzione de La Civiltà Cattolica che tra il 1878 ed il 1880 pubblicò a firma del padre gesuita Pietro Caterini una lunga serie di articoli di critica al darwinismo[19]. La critica era per lo più portata avanti sul piano scientifico utilizzando quelli che al tempo erano gli argomenti contrari più utilizzati, ovvero: la mancanza di forme di transizione (comunemente chiamate anelli mancanti); il fatto che individui di una specie generassero sempre altri individui della stessa specie; il fatto che storicamente non fosse mai stata osservata alcuna trasformazione da una generazione all'altra; una teoria dell'ereditarietà che al tempo era puramente speculativa. Tuttavia il darwinismo veniva anche attaccato sulla base dell'interpretazione tradizionale della Genesi secondo la quale Dio creò gli esseri viventi, ed in particolare l'uomo, immediatamente e non attraverso successive trasformazioni.

Nel novembre del 1877 la Congregazione dell'Indice iniziò a muoversi non di sua iniziativa, ma dietro denuncia da parte dell'Arcivescovo di Firenze, Eugenio Cecconi. Nel maggio del 1878 l'importante teologo domenicano Tommaso Maria Zigliara presentò sul libro di Caverni un rapporto di novantanove pagine che può essere riassunto in tre parti:

  1. Secondo Zigliara il darwinismo interpretato da Caverni avrebbe trovato fondamento essenzialmente nel parallelismo con l'embriologia, richiamandosi alle teorie di Ernst Haeckel secondo cui "l'ontogenesi ricapitola la filogenesi". Ma in questo modo il darwinismo non sarebbe stato altro che una forma di Hegelismo, nel momento in cui da una cellula primitiva si salti ad una potenziale cellula universale, corrispondente ad una sorta di Assoluto Hegeliano. Caverni affermava inoltre che un'evoluzione cieca guidata da forze puramente naturali sarebbe stata una sorta di panteismo; ma supponendo che la capacità di evolversi nella materia fosse infusa da Dio e che Egli stesso guidasse il processo evolutivo, allora si sarebbe superato sia il panteismo che il materialismo. Zigliara apprezzava questo tentativo di Caverni, ma tuttavia faceva notare che, anche ammettendo l'ipotesi di Caverni, se si fosse accetta l'idea darwinista di una cellula primitiva da cui si fossero differenziate tutte le specie, l'evoluzione sarebbe comunque stata ricondotta ad evoluzione della pura materia e quindi si sarebbe giunti ugualmente ad una sorta di panteismo, seppur sui generis.
  2. Secondo Zigliara inoltre il criterio esegetico proposto da Caverni era inaccettabile perché sarebbe stato impossibile stabilire esattamente ciò che pertiene alla fede e ciò che pertiene alla scienza. Applicando rigorosamente questo criterio si sarebbe dovuta negare l'infallibilità di tutte quelle parti della scrittura che si ritenessero pertinenti alla razionalità e si sarebbe ottenuto che, accettando su questi basi il darwinismo, si sarebbe poi dovuto anche accettare anche qualunque altro sistema fisiologico, geologico ecc. quand'anche questi fossero manifestamente in contraddizione con la Scrittura.
  3. Sulla base dei due precedenti argomenti, secondo Zigliara non avrebbe neanche più avuto senso escludere l'uomo dall'evoluzione. Accettando il darwinismo ed il criterio esegetico proposto da Caverni, non ci sarebbe stato alcun motivo per non includere anche l'uomo in questo sistema. Secondo Zigliara il darwinismo, anche come inteso da Caverni, avrebbe condotto necessariamente al materialismo, anche se questa non era certamente l'intenzione del Caverni stesso.

Nel luglio del 1878 la Congregazione dell'Indice prese la sua decisione. Si decise di inserire l'opera di Caverni nell'Indice dei libri proibiti, tuttavia questa risoluzione presentava un notevole problema. Ciò che veniva condannato erano soltanto le tesi di Caverni e non il darwinismo, tuttavia essendo quest'ultimo la materia trattata, proibire il libro avrebbe implicato una condanna indiretta del darwinismo. La Congregazione era però consapevole che una tale presa di posizione dottrinale non era di sua competenza, e temeva che un'eventuale condanna avrebbe potuto far sorgere un nuovo caso Galileo. Si decise così di inserire nell'Indice il libro di Caverni senza rendere pubbliche le motivazioni della decisione. Di fatto quindi la vicenda di Caverni non comportò alcuna ufficiale presa di posizione della Chiesa, e fu poi in pratica completamente ignorata fino al lavoro di Artigas, Glick e Martinez.

Solo tre anni dopo lo stesso Caverni poté pubblicare senza problemi un altro libro sull'origine dell'uomo (Dell'antichità dell'uomo secondo la scienza moderna), dove spiegava che il darwinismo era un'ipotesi scientifica ancora molto incerta; dichiarava inoltre che i credenti avrebbero dovuto partecipare al dibattito scientifico senza timori, perché la scienza non può pretendere, su alcuna base, di contraddire la rivelazione divina.

[modifica] Dalmace Leroy

Dalmace Leroy[17] (1828 - 1905), fu un domenicano francese. Nella sua opera L'Evolution des Espécies Organiques (1887), Dalmace Leroy premette un richiamo al caso di Galileo:

  « Per l'idea dell'evoluzionismo succederà come per quella di Galileo; dopo aver suscitato l'ira degli ortodossi, una volta che l'emozione si sarà placata, la verità, liberata da ogni esagerazione da una parte e dall'altra, finirà per farsi strada. Allora saremo grati forse a un religioso per non aver avuto paura di scommettere sul suo avvenire. Dobbiamo saper rendere a Cesare quello che è di Cesare, per poi invitare Cesare a rendere a Dio quello che è di Dio. »
   

Pur ammettendo il darwinismo, Leroy certamente accetta l'idea della creazione dal nulla di tutto il cosmo; riconosce che l'inizio della vita sulla Terra sia dovuto all'azione diretta di Dio e riconosce l'esistenza dell'azione della divina Provvidenza nell'universo che si dispiega secondo una grande piano che rivela un'intelligenza infallibile[20]. Come Caverni, anche Leroy esclude l'uomo dal normale processo evolutivo; infatti, dal momento che, rifacendosi a San Tommaso d'Aquino, la natura di ogni cosa sta nella sua forma, e dato che la forma dell'uomo è certamente la sua anima, è allora evidente che il corpo umano non possa nascere da quello di un animale. Tuttavia verso la fine del libro Leroy osserva:

  « Se il corpo dell'uomo è stato formato direttamente da Dio stesso, non potremmo tuttavia ammettere che il substratum destinato a ricevere l'anima umana e a diventare quindi il corpo dell'uomo o l'organismo umano - perché è tutt'uno - non potremmo supporre che questo substratum sia opera di cause seconde e che sia stato preparato, sempre sotto l'azione del Creatore, per evoluzione? »
   

Le tesi di Leroy furono criticate nel maggio del 1889 in un articolo a firma del gesuita Joseph Brucker nella rivista Etudes Religieuses pubblicata a Lione dalla Compagnia di Gesù, mentre tra il 1893 ed il 1896 la rivista domenicana, con sede a Parigi, Revue Tomiste pubblicò nove articoli a firma del teologo domenicano Ambroise Gardeil, nei quali venivano favorevolmente esposte le tesi di Leroy.

Il libro di Leroy fu denunciato con una lettera alla Congregazione dell'Indice nell'estate del 1894 da uno sconosciuto francese che si firmò come Ch. Chalmel. Il procedimento contro Leroy comportò una dettagliatissima analisi del suo libro che non può, per brevità, essere riportata qui[21]. Basterà dire che vennero prodotti ben quattro rapporti sulle sue tesi. Nel primo rapporto, citando l'enciclica Providentissimus Deus e gli insegnamenti di San Bonaventura, San Tommaso d'Aquino e Sant'Agostino, si ammetteva che la Genesi potesse essere interpretata in senso allegorico, e di conseguenza le tesi di Leroy potevano essere sostanzialmente ammesse. Anche il secondo rapporto era favorevole a Leroy, tuttavia veniva fatta un'obiezione: Leroy diceva che il corpo dell'uomo non si sarebbe evoluto da una bestia, ma da materia perfettamente organizzata. Ma che cosa sarebbe, era scritto nel rapporto, questa materia perfettamente organizzata se non una bestia? Quindi, pur essendo il rapporto favorevole a Leroy, alla fine consigliava di ammonirlo. Un terzo rapporto invece fu più critico e alla fine proponeva di proibire il libro oppure di chiedere una ritrattazione dell'autore, propendendo per questa seconda ipotesi. Ma il rapporto più critico fu il quarto, a firma del domenicano Enrico Buonpensiere. Egli portò avanti una dura critica all'evoluzionismo sul piano scientifico, ed una volta stabilita così l'inconsistenza della teoria secondo la scienza (ovviamente secondo gli argomenti di Buonpensiere, che poi erano quelli classici: individui di una stessa specie riproducendosi non originano nuove specie; mancano all'appello molte forme transizionali) qualunque tentativo di riconciliarla con la dottrina cattolica sarebbe stato da considerarsi sconsiderato ed anti-cristiano. In conclusione il rapporto consigliava di inserire il libro nell'Indice dei libri proibiti. Dopo questo la Congregazione dell'Indice decise comunque di non proibire il libro di Leroy, ma si limitò semplicemente a chiedere una ritrattazione pubblica da parte di Leroy; ritrattazione che egli fece il 26 febbraio 1895 sul giornale Le Monde di Parigi[22]. Successivamente Leroy tentò di far approvare dalla Congregazione dell'Indice un'edizione riveduta della sua opera, ma non ci riuscì.

[modifica] John Zahm

John Augustine Zahm[23] (1851 - 1921), sacerdote e scienziato statunitense, sostenne il darwinismo nel suo libro Evolution and Dogma (1896). Richiamando le "ragioni seminali" di cui parlava Sant'Agostino, ed utilizzando il pensiero di San Tommaso d'Aquino, secondo cui Dio agisce sia come Causa Prima, sia attraverso le cose create (cause seconde), Zahm sosteneva che l'evoluzione potesse essere interpretata in senso teistico. Secondo Zahm Dio può agire attraverso le leggi naturali che Egli stesso ha fissato, ed attraverso esse può attuare il suo piano provvidenziale; questi interventi di Dio non sarebbero però miracolosi in quanto non al di fuori delle leggi naturali. A differenza di Caverni e Leroy, Zahm ammetteva che anche il corpo dell'uomo fosse il prodotto di un processo evolutivo, affermando comunque che l'anima fosse creata immediatamente da Dio. Nel suo libro inoltre Zahm discute l'argomento teleologico secondo il quale nella natura sarebbe evidente un "disegno intelligente" sottostante alle cose; il preciso e complicato funzionamento degli organismi, ed il perfetto adattamento di ogni pianta od animale all'ambiente circostante dimostrerebbero l'esistenza di questo disegno. Il darwinismo vanificava questo argomento, spiegando che l'evoluzione fosse solo il risultato di mutazioni casuali, poi selezionate secondo il principio della sopravvivenza del più adatto. Tuttavia, secondo Zahm, l'abbandono dell'argomento teleologico classico avrebbe permesso di intuire un disegno sottostante ancora più ricco ed interessante; infatti un lunghissima evoluzione, dalla materia inorganica fino ad organismi altamente sofisticati, suppone l'esistenza di potenziali che, attuandosi poco a poco, se non si inquadrassero in un grande progetto, renderebbero incomprensibile l'intero processo.

Il libro di Zahm fu giudicato positivamente in due recensioni, una del luglio 1896 sul Revue de Question Scietifiques (un rivista cattolica belga), l'altra, di ottobre, sul Dublin Review a firma del francescano David Fleming. Ma nel gennaio del 1897 arrivò un giudizio molto critico su La Civiltà Cattolica a firma del gesuita Francesco Salis Seewis. Seewis affermava di criticare l'evoluzionismo solo dal punto di vista scientifico; secondo Seewis al darwinismo erano state opposte molte obiezioni logiche e scientifiche, che fino a quel momento non erano mai state risolte; il darwinismo per lui era traballante dal punto di vista logico e non supportato dai fatti. Seewis criticava inoltre coloro che pensavano che il principale ostacolo per l'accettazione dell'evoluzionismo fosse la sua apparente contraddizione con la Bibbia; il darwinismo era in realtà, secondo Seewis, un'ipotesi inattendibile, e solamente se e quando fosse stata dimostrata valida dal punto di vista scientifico, sarebbe allora stato necessario riflettere sulle sue implicazioni filosofiche e teologiche.

Nell'agosto del 1897 Zahm partecipò al quarto Congresso Scientifico Internazionale dei Cattolici che si tenne a Friburgo; in questo congresso egli espose ancora le tesi contenute nel suo libro, le quali furono accolte con favore dagli altri partecipanti. Da alcuni documenti ritrovati da Artigas, Glick e Martinez risulta che il Santo Uffizio avesse iniziato un'indagine sul libro di Zahm, ma subito dopo una breve e superficiale analisi il procedimento fu interrotto.

Nel mese di novembre Evolution and Dogma fu denunciato alla Congregazione dell'Indice dall'arcivescovo John Joseph Frederick Otto Zardetti. Come per il caso di Leroy, anche per il libro di Zahm fu presentato, nell'aprile del 1898, un rapporto da parte di Enrico Buonpensiere. Questi continuava a sostenere che l'evoluzionismo non fosse attendibile dal punto di vista scientifico; criticava l'interpretazione che Zahm forniva di Sant'Agostino e di San Tommaso d'Aquino e faceva notare come Zahm non spiegasse adeguatamente per quale motivo l'evoluzionismo non sarebbe stato in contrasto con la fede cattolica, ma che si limitasse piuttosto a fare delle affermazioni. Inoltre, basandosi sul criterio ermeneutico secondo il quale il senso ovvio e naturale delle parole bibliche non avrebbe dovuto essere abbandonato a meno che esso non avesse portato a conclusioni assurde, Buonpensiere sosteneva che fosse dottrina cattolica l'affermare che Adamo fosse stato creato direttamente dal fango della terra. Tuttavia la posizione di Buonpensiere risulta un po' ambigua; ad un certo punto infatti egli ammetteva tranquillamente l'idea che Dio non avesse creato immediatamente tutte le cose, ma che avesse generato inizialmente solo la materia primitiva, e che poi tutto il resto, eccetto l'anima umana, si fosse formato in virtù delle potenzialità intrinseche alla materia stessa. Buonpensiere affermava che il contrasto tra evoluzionisti ed anti-evoluzionisti fosse solo sul piano metafisico, in quanto si giudicava diversamente se tali potenzialità fossero attive o passive. Per gli evoluzionisti esse sarebbero state attive, mentre secondo gli anti-evoluzionisti sarebbero state passive ed avrebbero dovuto essere attivate dalla parola di Dio. Nella conclusione del suo rapporto Buonpensiere sosteneva che il libro avrebbe meritato la proscrizione, ma tuttavia consigliava di limitarsi a chiedere una ritrattazione da parte dell'autore.

Tra settembre ed ottobre la Congregazione dell'Indice discusse il caso e, nonostante fossero emersi diversi e discordanti pareri, alla fine decise di inserire Evolution and Dogma nell'Indice dei libri proibiti e di rendere pubblico il decreto di condanna. Tuttavia questo non avvenne mai. La decisione della Congregazione fu infatti comunicata a Zahm prima che il decreto fosse pubblicato, cosicché egli poté intervenire per cercare di far ritirare la condanna.

La situazione si complicò per il fatto che Zahm era un esponente del cosiddetto Americanismo, una tendenza che aveva avuto origine negli Stati Uniti ed il cui pensiero può essere riassunto con le parole di Leone XIII[24]:

  « II fondamento dunque delle nuove opinioni accennate a questo si può ridurre: perché coloro che dissentono possano più facilmente essere condotti alla dottrina cattolica, la chiesa deve avvicinarsi maggiormente alla civiltà del mondo progredito, e, allentata l'antica severità, deve accondiscendere alle recenti teorie e alle esigenze dei popoli. E molti pensano che ciò debba intendersi, non solo della disciplina del vivere, ma anche delle dottrine che costituiscono il "deposito della fede". Pretendono perciò che sia opportuno, per accattivarsi gli animi dei dissidenti, che alcuni capitoli di dottrina, per così dire di minore importanza, vengano messi da parte o siano attenuati, così da non mantenere più il medesimo senso che la chiesa ha tenuto costantemente per fermo. »
   

L'Americanismo fu condannato da Leone XIII con la lettera apostolica Testem Benevolentiae Nostrae del 22 gennaio 1899 ed indirizzata al cardinale James Gibbons che fu uno dei più importanti esponenti di questo movimento.

La "trattativa" tra Zahm e la Congregazione dell'Indice andava così ad inserirsi in una questione più ampia e complessa, nella quale Zahm era sostenuto da altri americanisti. Il dibattito fu intenso[25] (il caso Galilei fu ricordato più volte; in due occasioni Leone XIII intervenne a bloccare la pubblicazione del decreto di condanna) e si concluse quando il 16 maggio 1899 Zahm scrisse a La Civiltà Cattolica una lettera in cui affermava:

  « Ho appreso da fonte sicura che la Santa Sede si oppone ad ogni ulteriore distribuzione di Evolution and Dogma, e pertanto vi prego di utilizzare tutta la vostra influenza per far ritirare il libro dal mercato. »
   

Questa non era certo una ritrattazione delle sue idee, ma come tale venne interpretata ed il caso fu considerato chiuso. Nessuna condanna venne mai ufficialmente emessa nei confronti di Zahm, né il suo libro venne mai elencato nell'Indice dei Libri Proibiti. Secondo Artigas, Glick e Martinez, quello di Zahm è uno dei casi più esemplificativi della complessità dei rapporti tra scienza e religione.

[modifica] George Mivart

George Mivart[26] (1827 - 1900) fu un importante biologo cattolico inglese, contemporaneo di Darwin. Egli certamente accettava l'idea dell'evoluzione e inizialmente condivideva la teoria di Darwin. Mivart fu amico sia di Thomas Huxley (notoriamente molto critico verso la religione) e dello stesso Darwin. Tuttavia Mivart si rendeva conto che la teoria dell'evoluzione avrebbe potuto essere accettata senza entrare in contrasto con la dottrina della Chiesa, e senza dover necessariamente assumere un punto di vista ateo e materialista. I rapporti con Darwin e Huxley cominciarono ad incrinarsi quando nel luglio del 1871, Mivart scrisse sul Quarterly Review un articolo di forte critica al libro di Darwin The Descent of Man. I rapporti si ruppero completamente dopo che Mivart pubblicò il suo libro On the genesis of species (1871).

Mivart criticava diversi aspetti della teoria di Darwin, in particolare riteneva che il concetto di selezione naturale non fosse sufficiente a spiegare l'evoluzione. Inoltre Mivart era convinto che l'evoluzionismo non fosse capace di spiegare gli aspetti più caratteristici della specie umana, ossia l'intelligenza, la coscienza e il senso morale. Le critiche di Mivart erano molto competenti (egli fu definito eccelletente biologo dallo stesso Darwin), ed infatti nella sesta edizione de L'Origine delle Specie, Darwin dovette aggiungere un capitolo proprio per discuterne le obiezioni. Per i suoi meriti scientifici, nel 1876 Mivart fu insignito da Pio IX del titolo di Dottore in Filosofia.

In alcuni testi[12] viene detto che Mivart entrò in contrasto con le gerarchie cattoliche per via della sua accettazione dell'evoluzionismo. In realtà verso Mivart non venne mai intrapreso alcun procedimento legato a questo argomento. I problemi di Mivart con il Sant'Uffizio iniziarono quando tra il 1892 ed il 1893 egli scrisse una serie di tre articoli che andavano sotto il titolo di Happiness in Hell (La felicità nell'inferno), pubblicati sulla rivista Nineteenth century. In questi articoli egli tentava di conciliare la dottrina sull'inferno con la moderna sensibilità, sostenendo che all'inferno potesse comunque esserci un minimo livello di felicità e che la dannazione potesse non essere eterna. Questi tre articoli furono inseriti immediatamente nell'Indice dei libri proibiti e Mivart ritrattò le sue posizioni.

Tuttavia dopo questo episodio Mivart continuò a portare avanti un'aspra polemica verso le gerarchie cattoliche, in particolare sull'esegesi biblica e sulla necessità di adattare la dottrina cattolica alle necessità ed alle idee moderne (Mivart sosteneva che anche la dottrina dovesse essere soggetta ad un naturale processo evolutivo). Quando gli fu richiesto di desistere, egli rifiutò e venne interdetto dai sacramenti dal Cardinale Herbert Vaughan. Mivart morì il 1 aprile del 1900; la sua famiglia riuscì ad ottenere la sepoltura nel cimitero cattolico di Kansas Green, spiegando che l'atteggiamento intransigente tenuto da George Mivart negli ultimi anni della sua vita, fu dovuto all'aggravarsi delle sue condizioni di salute.

[modifica] Geremia Bonomelli

Il cardinale Geremia Bonomelli[27] (1831 - 1914) cominciò ad interessarsi all'evoluzione dopo la lettura della lezione tenuta dallo scrittore cattolico Antonio Fogazzaro il 2 marzo 1893 al Collegio Romano sul tema Origine dell'uomo e il sentimento religioso. Bonomelli, essendo amico di Fogazzaro, ebbe la possibilità di leggere questa lezione prima che fosse data alle stampe; questo gli permise di suggerire all'autore un'importante correzione; secondo Bonomelli, quando Fogazzaro parlava dell'origine dell'anima, non era chiaro se intendesse che anche questa fosse un prodotto dell'evoluzione oppure se fosse creata direttamente da Dio. Ben cosciente di come questo fosse uno dei temi più controversi della teoria, Bonomelli suggerì a Fogazzaro di chiarirlo prima di pubblicare la sua lezione; Fogazzaro accolse il suggerimento e scrisse esplicitamente che l'anima doveva intendersi creata direttamente da Dio.

Bonomelli accettò pienamente la teoria dell'evoluzione dopo aver letto il libro di John Augustine Zahm, Evolution and Dogma. Nel 1898 Bonomelli aveva pubblicato il primo volume della sua opera Seguiamo la Ragione; dopo la lettura di Evolution and Dogma decise di scrivere un'appendice a questo primo volume nella quale trattava le teoria dell'evoluzione. All'inizio della trattazione Bonomelli ebbe molta cura nel distinguere chiaramente l'evoluzionismo come teoria scientifica dalle sue interpretazioni ideologiche di tipo materialistico; poi sostanzialmente espose le tesi di Zahm.

In quello stesso periodo però Bonomelli era in forte contrasto con le gerarchie vaticane a causa delle sue posizioni sulla Questione romana; Bonomelli sosteneva che il papa dovesse ormai definitivamente rinunciare a rivendicare il potere temporale, che il non expedit dovesse essere superato e che la Chiesa avrebbe dovuto riconciliarsi con lo Stato Italiano. L'opera in cui Bonomelli aveva esposto le sue tesi, Roma e l’Italia e la realtà delle cose (1889), era stata inserita nell'Indice dei libri proibiti.

Dopo essere venuto a conoscenza della ritrattazione di Zahm, Bonomelli decise allora di non complicare ulteriormente la sua situazione, e, con una lettera che fu pubblicata dal giornale Lega Lombarda di Milano il 22 ottobre 1898, egli spontaneamente ritrattò pubblicamente le sue tesi sull'evoluzione. Di fatto nessun procedimento da parte della Santa Sede risulta che sia mai stato intrapreso su di lui relativamente alla questione evoluzionistica.

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24/04/2011 20:16
 
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John Cuthbert Hedley

Il vescovo John Cuthbert Hedley[28] (1838 - 1915) non si occupò mai direttamente di evoluzionismo (non era uno scienziato), tuttavia entrò nel dibattito quando nel 1898 pubblicò sul Dublin Review un articolo sul libro di John Augustine Zahm, Evolution and Dogma. Sostanzialmente Hedley accoglieva le tesi di Zahm, ma riteneva tuttavia necessarie alcune cautele. Ad esempio Hedley riteneva che Zahm fosse troppo ottimista quando sosteneva che dall'evoluzione si potesse con sicurezza dedurre la creazione e l'azione divina nel mondo. Hedley sosteneva che la teoria dell'evoluzione dovesse limitarsi ai fatti e che non avesse niente da dire su Dio. Anche sull'interpretazione della Sacra Scrittura, Hedley dichiarava che non fosse immediatamente concepibile il modo di riconciliarle con l'evoluzionismo.

La recensione di Hedley fu criticata su La Civiltà Cattolica con un articolo a firma di Salvatore Brandi del gennaio 1899. Brandi affermava che al momento la teoria dell'evoluzione non fosse ancora scientificamente soddisfacente e che essa mancasse di prove; in queste condizioni egli riteneva assurdo che si tentasse di conciliare con la dottrina cattolica una teoria così incerta e contrastante con la millenaria tradizione della Chiesa.

Venuto a conoscenza di questa critica, Hedley decise immediatamente di chiudere il dibattito e, con una lettera alla rivista cattolica The Tablet in data 14 gennaio 1899, dichiarò che non avrebbe difeso ulteriormente le tesi di Zahm. Come nel caso di Bonomelli, anche Hedley tornò sui propri passi spontaneamente; verso di lui non ci fu alcun intervento da parte della Santa Sede.

[modifica] Importanti scienziati cattolici italiani

[modifica] Angelo Secchi

Padre Angelo Secchi (1818 - 1878), che fu uno dei più importanti scienziati dell'epoca, non si occupò mai direttamente di evoluzionismo, tuttavia nell'edizione del 1874 della sua nota ed influente opera L'unità delle forze fisiche[29], aggiunse un capitolo in cui discuteva brevemente le teorie darwiniane ed il loro rapporto con il teismo.

Fondamentalmente Secchi non respingeva l'ipotesi evoluzionistica, ma non accettava la spiegazione che ne dava Darwin, il quale escludeva qualunque processo teleologico; per Secchi l'idea di un'evoluzione puramente spontanea doveva essere rifiutata e sostituita con un concezione finalistica, l'unica che sarebbe stata veramente in grado di spiegare l'armonia e la complessità degli organismi viventi. Un passo tratto da L'unità delle forze fisiche riassume perfettamente la concezione evoluzionistica di Secchi:

  « Confessiamo dunque che le invadenti teoriche darwiniane sono semplicemente insostenibili e parto della immaginazione, non appoggiate da nessuna prova seria che richiede la vera scienza. Esiste è vero in natura una mirabile serie di esseri e uno sviluppo meraviglioso di forme dalle più semplici alle più complesse, organismi dai più rudimentari ai più sublimi, ma la causa che le determinò non può trovarsi nelle pure leggi della materia, ed è necessario ricorrere ad un principio libero che nella scelta e coordinazione delle forme, tra le infinite possibili, fissò quelle che erano in armonia con le leggi primordiali delle forze fisiche liberamente da lui stabilite e di cui ab origine vide e conobbe tutte le conseguenze e mise gli organi in correlazione coll'uso e colla necessità della creatura. E se anche si dica che queste forme si svilupparono per circostanze speciali come le curve di una stessa equazione col variare dei parametri, noi diremo che lo stabilire quella prima formola da cui derivano le altre esige intelligenza e azione fuori della materia in cui si compiono: e ciò basti per tranquillare quelli che temono cattive conseguenze dalle idee darwiniane, ove si venissero a dimostrare, il che non crediamo. »
   

[modifica] Giovanni Giuseppe Bianconi e Filippo De Filippi

Giovanni Giuseppe Bianconi (1809 - 1878) e Filippo De Filippi (1814 -1867) furono due importanti naturalisti cattolici italiani[30]. Sul darwinismo essi avevano idee contrastanti, ma il loro scontro si mantenne sempre sul piano scientifico e non sfociò in questioni personali o ideologiche[31].

Bianconi, che non accettava la teoria di Charles Darwin, ha un suo valore scientifico proprio perché si propone il vaglio critico, attraverso una serie di indagini anatomiche e fisiologiche, di un problema teorico circostanziato. Questo lavoro resta una rara occasione in cui il dibattito sul darwinismo ebbe in Italia un certo spessore scientifico, e non soltanto motivazioni ideologiche e filosofiche estranee all'aspetto propriamente biologico della teoria dell'evoluzione[32]. Per Bianconi l'uomo non sarebbe potuto derivare da scimmie antropomorfe, ed avrebbe invece dovuto essere il risultato di una creazione indipendente, essendo distinto da tutti gli altri animali dall'intelligenza e dalla morale. Fondamentalmente Bianconi assumeva una teoria detta, appunto, delle creazioni indipendenti che gli permetteva di negare la necessità di un rapporto filogenetico per spiegare l'esistenza di strutture morfologiche simili tra specie differenti; in questa teoria si assumeva che ogni organismo fosse stato creato indipendentemente dagli altri, il che permetteva poi di poter attribuire direttamente a Dio ciò che per i darwinisti era invece l'effetto di un'evoluzione spontanea. Bianconi pertanto non negava il succedersi delle specie come fatto, ma respingeva completamente la spiegazione che ne dava Darwin.

Filippo De Filippi da parte sua accettava pienamente la teoria di Darwin, ma era convinto che questa non costituisse affatto una minaccia per la fede. Alla fine del suo breve saggio L'uomo e le scimie del 1864 scrive:

  « ... mi sia lecito il ripetere che l'autore delle forme organiche è pure l'autore delle leggi che le governano e singolarmente e nel complesso, e che in queste, più che nelle prime, si manifesta la Sapienza infinita; che si può essere profondamente atei ammettendo la formazione di getto delle specie organiche, mentre un vero sentimento religioso è conciliabile colla dottrina della figliazione genealogica della specie da un tipo primitivo, come l'esclamazione ascetica "non casca foglia che Dio non voglia" è conciliabile col pieno riconoscimento delle leggi della gravità. »
   

[modifica] Antonio Stoppani, l'esegesi biblica e l'apologetica

L'abate Antonio Stoppani (1824 - 1891) fu uno dei più importanti geologi e paleontologi italiani dell'epoca. Egli fu anche uno dei più importanti intellettuali del tempo a trattare del rapporto tra scienza e religione, esponendo le sue idee in due importanti opere: Il Dogma e le Scienze Positive del 1884 e Sulla Cosmogonia Mosaica del 1887. Che egli fu un intellettuale molto influente è testimoniato anche dal fatto che, come lo stesso Stoppani racconta nella prefazione de Il Dogma e le Scienze Positive, egli fu ricevuto nel marzo del 1879 da Papa Leone XIII proprio per esporre le sue idee su come organizzare, sviluppare e diffondere lo studio delle scienze moderne nel mondo cattolico. L'enciclica Providentissimus Deus del 1893, nella parte in cui tratta i criteri esegetici in rapporto alle questioni scientifiche, sarà poi in perfetta sintonia con i metodi esposti dallo Stoppani[33].

Ne Il Dogma e le Scienze Positive, Stoppani, richiamando soprattutto i testi di San Tommaso d'Aquino, afferma che nessun reale conflitto possa mai esserci tra la ragione e la fede. Scrive Stoppani[34]:

  « Dateci dunque, dicevo, un vero propriamente dimostrato, come quello, per esempio, che il mondo non s'è fatto in sei giorni[35], ma in milioni di anni e di secoli, e, per quanto possa sembrare contrario alla fede, lo ammetteremo senza esitazione, senza rimorsi, anche non intendendo come si concili colla fede; per questa ragione semplicissima, e certissima a priori, che, ciò che si credeva o si crede di contrario al vero dimostrato, non si credeva nè si crede per fede appoggiata alla Rivelazione, ma per falsa interpretazione della Rivelazione stessa. È questa per noi dottrina cattolica. »
   

E continua:

  « È questa, ripeto, dottrina cattolica, proclamata dai Padri e dai Concili, dai primi tempi fino ai nostri, che non ci può essere contraddizione tra il vero razionale e il rivelato; per cui basta che una cosa sia vera da una parte, perché sia vera dall'altra, e perché sia falsa, da una parte e dall'altra, la proposizione contraria. Dove c'è contraddizione c'è difetto di ragione (ex defectu rationis, dice S. Tommaso) ossia di ragionamento. »
   

E più avanti aggiunge[36]:

  « La ragione immediata per cui una cosa è falsa, non è già quella dell'essere la medesima contraria alla fede; mentre si dirà piuttosto contraria alla fede perché è falsa. Quando fosse dimostrato (faccio un'ipotesi impossibile) che una cosa è falsa razionalmente, non potrebbe cessare d'essere tale, perché la Rivelazione, e tutti insieme i libri del Vecchio e del Nuovo Testamento, la dicessero vera. Nemmeno Dio non può cambiar la natura delle cose e far sì che sia vero il falso e falso il vero. Una cosa è falsa per l'unica ragione che è falsa; vera per l'unica ragione che è vera. »
   

A questo punto Stoppani si domanda come comportarsi nei casi in cui si presenti una nuova proposizione rigorosamente cavata dalla scienza, contro un punto che si ritiene doversi prendere alla lettera e come tale ritenersi di fede[34]. Negare per fede ciò che si ritiene rigorosamente dimostrato con la ragione non avrebbe alcun senso. Stoppani abbozza allora le seguenti regole esegetiche (che poi svilupperà compiutamente nella prima parte del saggio Sulla Cosmogonia Mosaica)[34]:

  « 1) Cominciare dall'accertare la verità di quanto dice la scienza e una volta che sia certa, ritenerla, cavandone necessariamente la conclusione a priori che il senso letterale del testo biblico non corre. 2) Ritenuto che il senso letterale non va (non mettiamo nemmeno in questione se la Bibbia sia in errore), ritenere che trattasi di senso figurativo, o semplicemente di un modo volgare di esprimersi. 3) Fare le opportune indagini per riconoscere una cosa o l'altra coll'applicazione dei canoni esegetici, nella certezza a priori che si arriverà per questa via a stabilire la concordanza tra la scienza e il testo biblico. »
   

Su queste basi Stoppani critica duramente due categorie di apologisti cattolici che lui stesso definisce[37]. I letteralisti o tradizionalisti, che pretendono di negare le proposizioni scientifiche opponendogli per fede un'interpretazione letterale dei passi biblici; per Stoppani questo atteggiamento è semplicemente ridicolo, e per di più contrario alla stessa dottrina cattolica, che tradizionalmente ha sempre tenuto in gran conto l'utilizzo della ragione (e a sostegno di ciò Stoppani richiama sempre la filosofia di San Tommaso d'Aquino). I concordisti, che invece si adoperano per stiracchiare il senso delle Scritture fino a pretendere che esse espongano, in nuce, le teorie scientifiche che vengono man mano proposte sull'origine del mondo, della vita e dell'uomo[38]; anche questo approccio per lo Stoppani è da respingere integralmente; primo perché la Bibbia non è affatto un trattato che ha lo scopo di insegnarci verità scientifiche (seppure espresse per sommi capi); secondo perché questo tipo di esegesi sottomette la Rivelazione divina alla mutabilità e alla precarietà delle conoscenze scientifiche, che sono un prodotto umano e raramente si possono considerare come stabili e definitive.

Stoppani raccomanda poi ai cattolici di studiare con impegno le discipline scientifiche così da poter "rispondere alla scienza con la scienza"[39], ovvero rispondere con la ragione e non col catechismo a chi volesse utilizzare argomenti tratti dalle scienze per criticare la religione. Una massima che egli enuncia ad uso degli apologisti è: «Non negare i fatti ma precisarne le conseguenze»[40]; e continua spiegando:

  « Quando adunque sentiamo asserirsi un fatto, benché ci sembri evidentemente contrario al dogma più definito e più certo, benché chi l'asserisce sia un materialista, un ateo, un nemico professo della Religione; la prudenza c'insegna, non a negare il fatto di primo acchitto, ma ad accertarne l'esistenza, a depurarlo, per rifiutarlo se falso, pronti al contrario ad ammetterlo se vero ed in quanto è vero, ed a procedere quindi allo stesso esame riguardo alle conseguenze che sono o sembrano contrarie al dogma. Non occorre ripetere che, se il fatto è vero e le conseguenze logiche, né l'uno né l'altre si potranno trovare in opposizione col dogma. »
   

Ed ecco allora nello specifico, sulle basi enunciate, come lo Stoppani prescrive di trattare le questioni che emergono dalle teorie di Darwin[40]. I fautori delle teorie di Darwin mettono di solito in evidenza tutte le somiglianze tra l'organismo umano e quello delle scimmie per sostenere che il primo derivi dalle seconde; gli apologisti al contrario spesso si sforzano di controbattere elencandone le differenze, attaccandosi ad un muscolo, un osso, un tendine e a tanti altri dettagli. A questi apologisti Stoppani risponde:

  « Via; si può negare che l'uomo è un animale? Mai più. Si può egli negare che la somiglianza tra l'organismo umano e quello delle bestie si verifica al massimo grado tra quello dell'uomo e quello delle scimmie? Mai più. [...] Perché contendere con ansia affannosa all'anatomia comparata le sue scoperte [...]? »
   

Secondo Stoppani questo modo di difendere la fede costringerebbe in realtà a darla vinta ai suoi nemici, infatti

  « se venisse giorno, per un'ipotesi, che si trovi una scimmia, o vivente o fossile, affatto simile all'uomo, quanto all'organismo corporeo, tanto che uomo e scimmia non possano più distinguersi zoologicamente che come si distinguono il cane dal lupo, il cavallo dall'asino, il gorilla dal chimpanzè, la dareste vinta ai materialisti? Mai più. »
   

Stoppani invece non ha problemi ad ammettere che l'uomo, per quanto riguarda il suo corpo, derivi da un animale[41], ma in realtà sono proprio le somiglianze fisiche con l'animale che testimoniano la superiorità dell'uomo rispetto a tutte le altre creature. L'uomo fisicamente di certo somiglia alla scimmia, ma contrariamente a questa egli è dotato di raziocinio, coscienza morale e libera volontà; l'uomo è nel contempo l'artista, il poeta, il letterato, lo storico, il filosofo, il matematico, il naturalista, il teologo, il legislatore, il condottiero d'armate, il reggitore di popoli, lo scopritore di mondi, lo scrutatore del tempo e dello spazio. Stoppani afferma che l'anatomia e la fisiologia non possono assolutamente spiegare come tutto ciò emerga dalla sola materia, e questo non fa altro che confermare la veracità delle parole di Dio riportate nella Genesi: Facciamo l'uomo ad immagine e somiglianza Nostra, ed egli imperi ai pesci del mare, ai volatili del cielo, alle bestie della terra.

E continuando a parlare delle varie teorie sull'evoluzione biologica, nel trattato Sulla Cosmogonia Mosaica, Stoppani spiega che non ha senso cercare di accordare i dettagli del racconto biblico della creazione con le moderne conoscenze scientifiche; la Genesi non ha questo significato, bensì essa si limita ad affermare una grande verità[42]:

  « La Creazione - Tutte le cose cavate dal nulla per volere di Dio e Dio creatore di tutte le cose per un atto eterno della sua volontà. Ecco ciò che costituisce, pel primo capitolo della Genesi, il vero e principale obietto del divino insegnamento. È questa la verità semplicissima. »
   

E conclude il discorso con una sentenza definitiva:

  « Siate eterogenisti, siate darwinisti, appigliatevi a qualunque delle teorie naturali o positive, ed inventatene quante ne volete per descriver fondo a tutto l'universo[43]; osate tutto, pretendete tutto nel vostro campo, e siate inesorabili nello scrutare, nel tormentar la natura per strapparle fino all'ultimo segreto. Ma arrestatevi, di buon grado volenti, davanti al problema dell'Essere, dove vi tocca per forza d'arrestarvi anche non volenti. »
   

[modifica] Giuseppe Augusto Tuccimei, cattolico antievoluzionista

Geologo e paleontologo come lo Stoppani, il Tuccimei fu un acceso esponente di quella parte del mondo cattolico che avversava in tutto la teoria darwiniana dell'evoluzionismo.

Fu dottore in Medicina, Scienze Naturali e in Diritto Canonico poi professore in diversi atenei (nella facoltà di Filosofia della Pontificia Università Lateranense) e licei romani, membro della Pontifica Accademia de' Nuovi Lincei e di quella d'Arcadia, e decorato della commenda dell'Ordine di San Gregorio Magno su proposta del cardinale vicario.

Contro l'evoluzione si espresse in numerosi scritti, tra cui "Teoria dell'evoluzione e il problema dell'origine umana" (1897), "La decadenza di una teoria" 1908" e "Storia dell'Evoluzione dal Darwin sino al presente" (1915). Tuccimei pur affermando di riconoscere la semplicità della teoria e la sua possibile estensione all'intero universo, non riuscirebbe a spiegare i fatti su cui si basa e cadrebbe in contraddizioni interne [44]

[modifica] La graduale accettazione dell'evoluzionismo nel pensiero cattolico: 1900 - 1950

Alle fine del XIX secolo e nella prima parte del XX la generale ostilità del mondo cattolico all'evoluzionismo cominciò ad allentarsi[45]. Non che ci fosse un consenso generalizzato, tutt'altro; molti rimanevano i teologi che si opponevano a queste nuove teorie, né ci furono pronunciamenti ufficiali da parte della Santa Sede, per i quali si dovrà attendere il 1950 con l'enciclica Humani generis di Papa Pio XII. Molari[46] riporta la testimonianza di Carlo Colombo, che affermava ci fossero state forti pressioni su Pio XI affinché questi condannasse l'evoluzionismo; tuttavia egli avrebbe rifiutato dicendo che «di casi Galileo nella storia della chiesa ne basta uno solo.»

Ma comunque il clima iniziò a cambiare; finirono le censure ed i cattolici cominciarono a discutere di evoluzionismo con maggiore libertà, ed ovviamente il numero di coloro che lo accettavano cresceva pian piano. Questa nuova situazione è ben testimoniata da Antonio Fogazzaro; nel 1898 egli raccolse nell'opera Ascensioni umane diversi suoi testi nei quali illustrava le teoria evoluzionista, e manifestava la convinzione che essa fosse in perfetta armonia con la religione cattolica; Fogazzaro non era uno scienziato né un teologo ed i suoi testi erano pieni di allusioni letteriare e poetiche, pertanto la sua opera non è molto interessante né sotto il profilo scientifico né teologico; tuttavia, nel proemio l'autore ben sintetizza il nuovo clima illustrato. Scrive nel proemio:

  « Dal giorno in cui difesi per la prima volta la ipotesi evoluzionista contri i suoi avversari religiosi, essi indietreggarono, abbandonarono trincee di obbiezioni che parevano formidabili. Fuori d'Italia il vessillo dell'evoluzionismo cristiano venne inalberato in adunanze cattoliche solenni. In Italia, libri di ecclesiastici stranieri schiettamente evoluzionisti si tradussero e si pubblicarono con licenze delle Curie vescovili. [...] Se la ipotesi dell'evoluzione viene ancora combattuta fra di noi dal punto di vista religioso e pare odiosa a molti credenti, si è però dimostrata col fatto la libertà nostra di giudicare che, rettamente intesa, essa torna a maggior gloria del Creatore; e fra coloro che le gridano anatema non vi ha più, forse, un solo intelletto alto. »
   

Nei manuali di teologia comunque le posizioni più diffuse sono ben rappresentate[47] dalla sintesi che Orazio Mazzella (1860 - 1939) fornisce della sua analisi dell'evoluzionismo, nel secondo volume delle Praelectiones scholastico-dogmaticae[48]:

  « Se il trasformismo viene inteso in senso rigido e materialistico, è evidente che esso è un errore contrario sia ai principi della fede che al dettato della ragione. Se invece lo si intende in senso più tenue e spiritualistico, in quanto spiega l'origine delle specie inferiori, è un'ipotesi non dimostrata anzi infirmata da gravi ragioni contrarie, ma non si oppone alla fede, come tutti convengono. In quanto poi spiega l'origine dell'uomo non solo è un'ipotesi indimostrata scientificamente, ma anche, secondo l'opinione dei più, non sembra si possa conciliare con i documenti della fede. »
   

La discussione intorno all'evoluzionismo proseguì quindi senza particolari intoppi nel corso della prima metà del XX secolo, e fu caratterizzata da quattro momenti fondamentali: due pronunciamenti della Pontificia Commissione Biblica sull'interpretazione della Bibbia ed in particolare della Genesi; i lavori dei teologi Henri de Dorlodot ed Ernest C. Messenger; l'originalissima concezione dell'evoluzione sviluppata dal paleontologo gesuita Pierre Teilhard de Chardin.

[modifica] Direttive dalla Pontificia Commissione Biblica

La Pontificia Commissione Biblica si pronunciò due volte, nel 1905 e nel 1909, su questioni pertinenti all'interpretazione della Bibbia in relazione alla questione evoluzionista. Il primo intervento è molto breve e conviene riportarlo integralmente:

  « Dubbio. Si può ammettere come principio di retta esegesi la sentenza che sostiene che i libri della sacra Scrittura considerati storici, nella loro totalità o in qualche loro parte, talvolta non riferiscano la storia propriamente detta e oggettivamente vera, ma presentano solamente l'apparenza della storia per significare qualcosa di differente rispetto al senso propriamente letterale o storico delle parole? »
   
  « Risposta. No, eccetto il caso, che non si deve ammettere facilmente o con leggerezza, nel quale, senza opporsi al senso della chiesa e salvo sempre il suo giudizio, si provi con solidi argomenti che l'agiografo non intese riferire una storia vera e propriamente detta, ma sotto il genere e la forma di storia, intese proporre una parabola o una allegoria o qualche altro significato diverso dal senso propriamente letterale o storico delle parole. »
   

In poche parole si ammette che, in casi particolari, quella che sembra una narrazione storica potrebbe essere interpretata allegoricamente o come una parabola.

Il secondo intervento invece è più complesso, riguarda specificamente la Genesi e stabilisce alcuni importanti limiti entro i quali essa possa essere reinterpretata. Nei primi due paragrafi viene chiaramente affermato che non si possa escludere il senso letterale dei primi tre capitoli, e che non sia lecito affermare che essi contengano non la narrazione di fatti realmente accaduti, ma favole derivanti da miti antichi oppure allegorie e simboli, utilizzati, in forma di storia, per insegnare verità religiose e filosofiche.

Nel terzo paragrafo si nega la possibilità di mettere in dubbio i seguenti insegnamenti fondamentali:

  « la creazione di tutte le cose operata da Dio all'inizio del tempo; la particolare creazione dell'uomo; la formazione della prima donna dal primo uomo; l'unità del genere umano; la felicità originale dei progenitori nello stato di giustizia, integrità e immortalità; l'ordine dato da Dio all'uomo per mettere alla prova la sua obbedienza; la trasgressione dell'ordine divino per istigazione del diavolo sotto l'apparenza di un serpente; la perdita dei progenitori di quel primitivo stato d'innocenza; e la promessa di un Redentore futuro. »
   

Questa rigidezza iniziale viene però molto mitigata nei successivi paragrafi. Nel paragrafo 4 si stabilisce che nelle parti in cui l'interpretazione sia stata lasciata indefinita dai Padri e dai Dottori della Chiesa, sia lecito proporre nuove opinioni purché prudenti e sempre rimettendosi al giudizio della Chiesa. Nel paragrafo 5 si ammette la possibilità di allontanarsi dal senso proprio delle parole e delle frasi che alla ragione appaiano chiaramente inaccetabili, improprie od utilizzate in senso metaforico. Nel paragrafo 6 si ammette che alcuni passi, pur presupponendo il fondamentale carattere storico, possano essere interpretati allegoricamente secondo l'esempio dei Padri e della Chiesa. Nel paragrafo 7 viene affermato che non sia necessario ricercare l'esattezza scientifica nel racconto della creazione. Infine, nel paragrafo 8, relativamente al racconto della creazione in sei giorni, si ammette che la parola ebraica Yom (giorno) possa essere interpretata come un periodo di tempo indefinito.

[modifica] Henri de Dorlodot

Nel 1909 alla Cambridge University venne celebrato il centenario della nascita di Charles Darwin ed il cinquantenario della pubblicazione de L'origine delle specie[49]. In quell'occasione anche l'Università Cattolica di Lovanio fu invitata a mandare un suo rappresentante.

Venne scelto il canonico Henri de Dorlodot (1855 - 1929), paleontologo, teologo e direttore del dipartimento di geologia. Nel discorso iniziale che egli inviò a Cambridge, e che fu preventivamente letto ed approvato sia dal preside di facoltà a Lovanio sia dal professore di teologia dogmatica, scriveva che, senza alcuna esagerazione, si potesse affermare che Darwin fosse stato per la biologia ciò che Isaac Newton fu per la fisica[50]. Nel periodo in cui restò in Inghilterra, Dorlodot tenne diverse lezioni su Darwin, e queste lezioni costituirono poi la base del suo libro Le Darwinisme au point de vue de l'orthodoxie catholique (Il Darwinismo dal punto di vista dell'ortodossia cattolica), pubblicato nel 1921.

In questo libro Dorlodot ricordava prima di tutto che, per quanto riguardava l'applicazione della teoria dell'evoluzione alla specie umana, Darwin non era mai stato giudicato eretico dalla Chiesa. Proseguiva poi dicendo che i dettagli scientifici ed i meccanismi fisici dell'evoluzione non erano di interesse per la teologia; la teoria di Darwin, considerata dal punto di vista strettamente scientifico e libera da interpretazioni filosofiche, riguardava il ruolo delle cause seconde nell'evoluzione, e non rigettava il ruolo della Causa Prima.

Egli faceva particolare riferimento al De Genesi ad litteram di Sant'Agostino, per mostrare come i cattolici avessero piena libertà di accettare la trasformazione delle specie proposta da Darwin, basata su cause seconde e senza richiedere alcun speciale intervento di Dio nel corso del processo evolutivo; e continuava poi criticando gli autori cattolici che avevano sostenuto l'incompatibilità tra il darwinismo e l'ortodossia. Nella sua esposizione, Dorlodot utilizzava a sostegno della possibilità di accettare l'evoluzionismo anche i sopra citati pronunciamenti della Pontificia Commissione Biblica. Il lavoro di Dorlodot fu molto influente e rafforzò la tendenza che era già emersa alla fine del XIX secolo; da allora divenne sempre più difficile per i cattolici sostenere la totale opposizione tra evoluzionismo e dottrina cattolica[51], anche se ovviamente le resistenze continuavano a manifestarsi, come ad esempio nei libri Anthropology and the Fall di Humphrey Johnson e Attitude of Catholics towards Darwinism and Evolution del gesuita Hermann Muckermann[52]


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24/04/2011 20:18
 
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Ernest C. Messenger

[modifica] La sintesi di Messenger

Il lavoro più importante sulle relazioni tra teologia ed evoluzione fu certamente[53], per la prima metà del XX secolo, quello del teologo Ernest Charles Messenger, Evolution and Theology: the problem of Man's origin (1932). In questo libro Messenger discute prima le evidenze scientifiche sulla generazione spontanea della vita e sull'evoluzione dell'essere umano, dopodiché le discute sotto il profilo esegetico e teologico. Nel capitolo finale del suo libro[54] egli stesso fornisce una sintesi dei risultati del suo lavoro.

Sulla generazione spontanea della vita, Messenger spiega che essa non ha alcuna evidenza scientifica, ma comunque non può essere completamente rigettata, per due motivi: il primo è che essa potrebbe essere avvenuta in condizioni fisiche completamente differenti da oggi; il secondo, e più importante motivo, è invece che in fondo non è possibile dimostrare scientificamente che la generazione spontanea non sia avvenuta, e pertanto la si potrebbe ammettere su base teologica piuttosto che su base scientifica, come, spiega Messenger, fecero i Padri della Chiesa ed i teologi fino al XIII secolo, quando poi, sulla base della fisica elaborata dagli scolastici, essa fu messa da parte.

Riguardo all'evoluzione delle specie in generale, Messenger afferma che ormai esistano un gran numero di prove, e che pertanto si deve ammettere che l'evoluzione sia avvenuta, anche se comunque c'è ancora da discutere molto sulle modalità. Ma riguardo all'evoluzione dell'uomo scrive che non esista alcuna prova davvero conclusiva, anche se ammette che comunque essa sia un'ipotesi scientifica molto convincente.

Comunque, dal punto di vista teologico, secondo Messenger la scrittura non dimostra né confuta la teoria dell'evoluzione del corpo umano; infatti spesso la scrittura attribuisce a Dio i risultati delle attività di cause seconde, e pertanto quando tali cause seconde non vengono nominate esplicitamente, ciò non dimostra che Dio non sia servito di esse; inoltre in Genesi 2, 7 sta scritto che Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e in Genesi 2, 19 che Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche, ma in Genesi 1, 24 sta anche scritto che la terra produca esseri viventi secondo la loro specie, e pertanto non è possibile provare che l'uomo non sia stato prodotto da forze attive in natura.

Ad ogni modo Messenger afferma che in tutta la tradizione cattolica non esista un accordo sul fatto che l'uomo sia stato o meno prodotto con il concorso di cause seconde, e, pertanto, che questo sia un problema ancora aperto sul quale la Chiesa non ha ancora una posizione. Per Messenger i teologi che rigettano l'evoluzione dell'uomo si basano essenzialmente su una lettura troppo letteralista della Genesi, che non trova sufficiente sostegno nella tradizione. Comunque Messenger dichiara[55] che, allo stato attuale, i cattolici sono, individualmente, liberi di accettare l'evoluzione dell'uomo.

A questo punto Messenger tenta di sviluppare una dimostrazione del fatto che Dio si sia servito di cause seconde nella formazione del corpo umano, utilizzando il criterio scotista secondo cui Dio potuit, decuit, ergo fecit (Dio poteva, ciò era conveniente, dunque fece).

Il primo punto (potuit) è evidente, essendo Dio onnipotente, e non necessita di essere sviluppato. Il secondo (decuit) è più complesso; Messenger tenta di dimostrarlo utilizzando quello che lui definisce Principio del Naturalismo Cristiano secondo cui Dio fa uso di cause seconde ogniqualvolta ciò sia possibile; a sostegno di questo Messenger cita i due seguenti passi dalla Summa Contra Gentiles di San Tommaso d'Aquino[56]:

  « È incompatibile con la sapienza che ci sia qualcosa di inutile nelle opere del sapiente. Ora, se le cose create non avessero nessun influsso nel produrre gli effetti, ma fosse Dio a compiere ogni cosa immediatamente, sarebbe inutile che egli si servisse di altre cose per produrre degli effetti. Dunque tale opinione è incompatibile con la sapienza di Dio. »
   
  « Chi dà a qualcuno ciò che è principale gli comunica anche tutte le proprietà che ne derivano: la causa, per esempio, che dà a un corpo la gravità, gli dà pure il moto verso il basso. Ora, il fare o rendere in atto deriva dall'essere in atto, com'è evidente in Dio stesso: egli infatti è l'atto puro (di essere), ed è insieme causa prima dell'essere in tutte le cose, come abbiamo visto. Quindi, se egli, producendole, ha comunicato ad altre cose la propria somiglianza quanto all'essere, è logico che abbia loro comunicato la propria somiglianza quanto all'agire, in modo che anche le cose create abbiano le proprie azioni. »
   

Messenger spiega poi che esistono diversi gradi nella causalità; uno scultore è la causa principale della statua che egli produce con uno scalpello, ed i genitori sono la causa principale dei figli; ma non è lecito affermare in senso stretto che lo scalpello sia la causa della statua e le forme embrioniche quella dei bambini. Pertanto è sempre necessario, per ogni effetto, risalire alla causa principale, e non limitarsi alle cause secondarie e strumentali; queste ultime non agiscono soltanto tramite le proprie forze, ma anche attraverso le virtù conferite loro dalla causa principale. Quindi, pur ammettendo la partecipazione di cause naturali ed organiche nella formazione del corpo dell'uomo, si deve comunque ammettere lo speciale intervento divino.

(EN)
« The production of the first human body was an effect out of proportion to any organic cause then existing on the earth, for the human body is specifically different from, and superior to, any other body,[...]. Hence its production, though brought about through the instrumentality of created organic causes, could not strictly be attributed to those causes, but (inasmuch as we have good reasons for excluding angelic agency) only to God Himself.[57] »
(IT)
« La produzione del primo corpo umano fu un effetto sproporzionato per qualunque causa organica al tempo esistente sulla terra, per via del fatto che il corpo umano è specificamente diverso, e superiore, a qualsiasi altro corpo [...]. Pertanto la sua formazione, sebbene portata avanti utilizzando come strumenti le cause organiche create, non potrebbe essere strettamente attribuita a tali cause, ma (dato che abbiamo buone ragioni per escludere interventi angelici) soltanto a Dio stesso. »
 

Sull'ultimo punto (ergo fecit) Messenger lascia un punto interrogativo. Egli si dichiara incline a concludere definitivamente che Dio si sia servito di cause seconde, e quindi dei meccanismi evolutivi, per formare il corpo dell'uomo, tuttavia, prudentemente, sospende il giudizio in attesa che il Magistero della Chiesa cattolica fornisca delle indicazioni più certe.

Molto più problematica, sotto il profilo scientifico, risulta invece essere la spiegazione che Messenger fornisce[58] della creazione di Eva dal corpo di Adamo[59]. Messenger ipotizza infatti che Eva avrebbe potuto esser stata creata per partenogenesi da Adamo, ma questa spiegazione scientificamente è assurda ed inconcepibile. Messenger riconosce la difficoltà e pertanto è costretto ad appoggiarsi pesantemente all'onnipotenza divina.

[modifica] Il dibattito successivo al lavoro di Messenger

Le tesi di Messenger stimolarono moltissimo la discussione sull'evoluzionismo che, nel mondo cattolico, incontrava pian piano sempre maggiore approvazione. Diverse furono le pubblicazioni che seguirono al libro di Messenger da parte di autori cattolici favorevoli all'evoluzionismo, e nessuno di questi testi fu mai censurato.[60]

Nel febbraio 1932 il reverdo P. G. M. Rhodes scrisse una recensione al libro di Messenger pubblicata sulla rivista Clergy review[61]. Rhodes continuava a dichiararsi scettico riguardo alla creazione del corpo umano attraverso cause secondarie, tuttavia ammetteva che se il testo di Messenger avesse continuato a diffondersi senza censure, allora sarebbe davvero stato necessario concludere che l'evoluzionismo, anche applicato al corpo umano, fosse teologicamente accettabile. Egli esaminò inoltre un migliaio di testi scritti dagli studenti di quasi tutte le scuole cattoliche inglesi, e ne trasse la conclusione che ormai l'evoluzionismo stava diventando un'opinione accettata da quasi tutti.

Anche il reverendo R. W. Meagher, docente di teologia dogmatica all'Ushaw College, scrisse nel marzo del 1932 una recensione a Messenger sulla rivista Ushaw Magazine[61]. Meagher apprezzava il libro di Messenger, tuttavia spiegava che il riferimento ai Padri della Chiesa sulle questioni evoluzionistiche non era molto sensato; infatti, secondo Meagher, gli antichi Padri non avevano alcuna idea dell'evoluzione, e pertanto non c'era senso nel citarli per discutere di questioni scientifiche a loro completamente estranee. Secondo Meagher in pratica, sarebbe stato inutile cercare nella tradizione dei punti di riferimento per discutere dell'evoluzionismo; questo era una moderna scoperta, e pertanto avrebbe potuto essere accettata dai cattolici solo su basi scientifiche, senza considerare le implicazioni teologiche.

John O'Brien, un professore della Newman Foundation presso l'Università dell'Illinois, pubblicò nel 1932 il libro Evolution and religion[62]. In questo libro egli riportò il dato secondo cui, tra tutti gli scienziati in qualche modo implicati con la teoria dell'evoluzione, ormai il 91% la accettasse. O'Brien, citando la Providentissimus deus e lo stesso Galileo ribadì ancora che la Bibbia non abbia lo scopo di insegnare proposizioni scientifiche, e che non avesse più alcun senso continuare ad opporla all'evoluzionismo. Grazie alle scoperte scientifiche, era accettato da tutti, ad esempio, che i sei giorni della creazione non fossero da intendersi letteralmente, e quindi un'interpretazione allegorica poteva ormai essere ammessa anche per la formazione dell'uomo. Secondo O'Brien una reinterpretazione flessibile della Genesi si rendeva ormai più che necessaria.

Nel libro Religion and evolution since 1859 (1939)[63], Mary Frederick, una suora, tentò di stabilire quale fosse il grado di accettazione dell'evoluzionismo nel mondo cattolico. Un'analisi accurata era impossibile, tuttavia la Frederick fece alcune osservazioni: dai tempi di John Henry Newman erano ormai pochi gli scienziati cattolici con buone competenze di filosofia; quasi tutti gli apologisti cattolici che scrivevano di evoluzione non erano tanto interessati alla discussione scientifica, ma solo alla difesa ad oltranza della loro religione; l'ostilità dei cattolici all'evoluzionismo derivava soprattutto dalle interpretazioni filosofiche di tipo materialistico ed ateo; da quando le teorie di Darwin erano state introdotte, la filosofia cattolica non era cambiata di nulla riguardo alle idee di Dio, della creazione, dell'origine dell'uomo, dell'anima e del peccato originale. Tutti questi fattori ostacolavano l'accettazione dell'evoluzionismo che, secondo la Frederick, era ancora rifiutato dalla maggior parte dei cattolici. Tuttavia ammetteva che un cambiamento era in corso, e che con il tempo sempre più cattolici avrebbero assunto un'opinione positiva della teoria dell'evoluzione.

[modifica] Ulteriore sviluppo del pensiero di Messenger

Nel 1951 Ernest C. Messenger pubblicò il volume Theology and evolution, seguito del precedente Evolution and theology. In questo volume cercava di analizzare come, dalla pubblicazione del primo testo, fosse cambiato l'atteggiamento cattolico verso l'evoluzione. Messenger osserva che il suo primo testo non aveva subito alcuna censura e che la Santa Sede aveva di fatto assunto l'atteggiamento di aspettare e vedere come procedessero le cose; ad indicare che comunque a Roma si stava pian piano assumendo una posizione più favorevole all'evoluzionismo, Messenger porta come esempio la terza (1940) e quarta edizione (1948) del Tractatus de Deo Creante del gesuita Charles Boyer, utilizzato come libro di testo alla Pontificia Università Gregoriana, nel quale l'autore passava da una posizione di rifiuto dell'evoluzionismo ad un atteggiamento aperto ad accoglierlo.

Messenger spiega inoltre che, con il proseguire delle ricerche, sempre più prove fossero emerse a sostegno dell'evoluzione di piante e di animali, e pertanto risultava sempre più plausibile l'applicazione della teoria anche al corpo umano. Anche il vecchio argomento degli anelli mancanti cominciava a diventare debole, dato che ritrovamenti come quello dell'Uomo di Giava e dell'Uomo di Pechino fornivano le prove dell'esistenza di antenati dell'Homo sapiens.

Messenger torna a discutere anche la creazione di Eva, ma di fatto non riesce a proporre un'ipotesi più attendibile di quella esposta nel primo volume.

Quando Theology and evolution era ancora in fase di stampa, Messenger venne a sapere che Papa Pio XII stava per pubblicare l'enciclica Humani generis, nella quale avrebbe parlato anche dell'evoluzionismo; si affrettò così ad apportare una modifica al testo nella quale dichiarava che si sarebbe completamente rimesso ai pronunciamenti del Papa, nel caso in cui questi fossero stati in contrasto con le sue tesi.

[modifica] Il pensiero di Pierre Teilhard de Chardin

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pensiero di Teilhard de Chardin.

Il padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881 - 1955), che fu un importante paleontologo, espose la sua concezione dell'evoluzione nell'opera Il fenomeno umano, scritta tra il 1938 e il 1940, rivista tra il 1947 e il 1948, ed infine pubblicata postuma nel 1955.

Lo scopo dichiarato di quest'opera[64] non è quello di essere una trattazione metafisica o teologica, bensì quello di fornire una descrizione scientifica dell'uomo e al tempo stesso descriverne il suo posto all'interno della natura. L'autore si ripropone di restare sempre e solo sul piano scientifico e fenomenologico (il fenomeno umano appunto), ma volendo descrivere l'uomo in rapporto con la totalità del cosmo, inevitabilmente il discorso deve sfociare sul piano filosofico e religioso.

Teilhard parte dal considerare la materia, che egli definisce la stoffa delle cose[65]. La materia è caratterizzata dalla pluralità dei suoi atomi e al tempo stesso dalla capacità di questi di interconnettersi; queste interconnessioni producono mano mano diverse strutture secondo una gerarchia di complessità crescente, e alla conoscenza scientifica l'universo appare così come un tutto (totum) in cui l'ordine, il disegno, è visibile solo nell'insieme. Per Teilhard questo ordine però è comprensibile solo dall'alto, e sfugge invece a chi volesse indagarlo partendo dal basso, ciò guardando direttamente agli atomi e alle loro interconnessioni.

La coscienza emergerebbe poi dalla stessa materia organizzata oltre un certo livello di complessità[66]. In questo modo la coscienza sarebbe allora completamente indagabile come fenomeno rilevabile scientificamente; ma in realtà per Teilhard, oltre alle condizioni chimico-fisiche che rappresentano l'esterno delle cose, esiste anche un'energia spirituale che ne rappresenta l'interno; dietro la coscienza dell'uomo vi sarebbe quindi un principio trascendente (e quindi non sondabile scientificamente) che organizza la materia e prepara, appunto, l'emergere della coscienza.

Per Teilhard l'evoluzione degli esseri viventi è certamente un dato di fatto, ma essa non è un prodotto del caso, come vorrebbero i darwinisti, bensì sarebbe orientata[67], pur non essendo ancora tale direzionalità rigorosamente dimostrata dal punto di vista scientifico. Teilhard fornisce comunque degli argomenti, e prende in considerazione l'organizzazione della materia, i cui progressi successivi si accompagnano interiormente, come possiamo constatare, a un accrescimento e a un approfondimento continuo di coscienza.

Il parametro fisico che caratterizza l'evoluzione diventa allora il grado di cerebralizzazione:

  « Sì, certo, negli organismi viventi esiste un meccanismo prescelto per l'attività della coscienza; è sufficiente guardare in noi stessi per scoprirlo: si tratta del sistema nervoso. Noi cogliamo concretamente una sola interiorità al Mondo: la nostra, in modo diretto; e contemporaneamente, per immediata equivalenza, grazie al linguaggio, anche quella degli altri. Ma abbiamo le migliori ragioni di ritenere che esista, anche negli animali, una certa interiorità, approssimativamente commisurabile alla perfezione del loro cervello. Cerchiamo dunque di suddividere i viventi in base al grado di «cerebralizzazione». Cosa succede? — Un ordine, l'ordine stesso che noi desideravamo, si stabilisce, — ed automaticamente. »
   

Teilhard passa allora ad analizzare lo sviluppo del sistema nervoso e del cervello nelle varie specie animali e conclude dicendo:

  « Potremmo continuare all'infinito quest'analisi. Ma ciò che ho detto è sufficiente a indicare con quale facilità, se il filo è afferrato dalla parte giusta, la matassa si lascia districare. Per ovvie ragioni di comodità i naturalisti sono indotti a classificare le forme organizzate in base a certe variazioni negli elementi ornamentali oppure a certe modificazioni funzionali dell'apparato osseo. La loro classificazione, che segue processi ortogenetici riguardanti la colorazione delle ali, o la disposizione delle membra, o il disegno dei denti, è in grado di individuare i frammenti, o persino lo scheletro di una struttura nel mondo vivente. Ma poiché le linee così tracciate esprimono solo alcune armoniche secondarie dell'evoluzione, l'insieme del sistema non assume né volto né movimento. Al contrario, non appena la misura (o parametro) del fenomeno evolutivo viene ricercata nell'elaborazione del sistema nervoso, non solo la moltitudine dei generi e delle specie acquisisce un ordine, ma l'intera rete dei loro verticilli, dei loro strati, delle loro branche, si erge come un fascio vibrante. Non solo una ripartizione delle forme animali secondo il loro grado di cerebralizzazione coincide esattamente con i modelli imposti dalla Sistematica, ma conferisce inoltre all'Albero della Vita un rilievo, una fisionomia, uno slancio nei quali è impossibile non riconoscere l'impronta della verità. Una coerenza così perfetta, — e, aggiungiamo pure, tanta facilità, tanta inesauribile fedeltà e tanta potenza evocatrice in questa coerenza, — non possono essere effetto del caso. Tra le infinite modalità in cui si disperdono le complessificazioni vitali, la differenziazione della sostanza nervosa spicca, così come la teoria lo faceva prevedere, come una trasformazione significativa. Conferisce un senso, — e di conseguenza dimostra che vi è un senso nell'Evoluzione»
   

Dopo la comparsa dell'uomo, l'evoluzione diventa anche evoluzione culturale; nei capitoli successivi Teilhard definisce così la Noosfera, ovvero l'insieme delle conoscenze umane, l'informazione globale, che si organizza e cresce in complessità, e all'interno della quale si inserisce ogni azione e pensiero individuale; la Noosfera è frutto e completamento della biosfera. Il motore dell'evoluzione della Noosfera è il Punto Omega, ovvero il punto di convergenza naturale dell'umanità; esso è di natura trascendente e si rivolge contemporaneamente e Dio e al mondo, costituendo quindi il legame tra l'umanità e Dio.

Nell'Epilogo de Il fenomeno umano Teilhard spiega allora il valore e la funzione del Cristianesimo, e come questo si concili perfettamente con la visione evolutiva del mondo precedentemente sviluppata. Il Punto Omega si identifica così con il Cristo che ha lo scopo di riunire l'umanità e condurla a Dio. Scrive Teilhard:

  « Per ragioni di praticità, e forse anche per timidezza intellettuale, la Città di Dio è troppo sovente descritta, nei libri di spiritualità, in termini convenzionali e puramente morali. Dio e il mondo che Egli governa: una vasta associazione di essenza giuridica concepita sul modello di una famiglia o di un governo. Ben altra è la prospettiva di fondo alla quale si alimenta e dalla quale scaturisce sin dalle origini la linfa cristiana. Per un falso evangelismo, si crede spesso di onorare il cristianesimo riducendolo ad una qualche dolce filantropia. Significa capir nulla dei suoi “misteri” non vedervi la più realistica e la più cosmica delle fedi e delle speranze. Una grande famiglia, il regno di Dio? Sì, in un certo senso. Ma anche, in un altro senso, una prodigiosa operazione biologica, quella dell'Incarnazione redentrice.

Creare, completare e purificare il mondo, come già leggiamo negli scritti di Paolo e di Giovanni, ha per Dio il significato di unificarlo unendolo organicamente a sé. Ora, come procede per unificarlo? Si immerge parzialmente nelle cose, si fa “elemento” e, successivamente, grazie al punto di appoggio trovato interiormente nel cuore della materia, assume la direzione e si mette alla testa di ciò che noi, ora, chiamiamo l'evoluzione. Principio di universale vitalità, il Cristo, per il fatto di essere sorto uomo tra gli uomini, si è messo in posizione di poter piegare — e da sempre sta difatti piegando — sotto il suo dominio, epurandola, dirigendola e superanimandola, l'ascesa generale delle coscienze nella quale si è inserito. Mediante una perenne azione di comunione e di sublimazione, Egli si aggrega l'intero psichismo della terra. E allorché avrà in questo modo radunato tutto e trasformato tutto, raggiungerà in un gesto finale il Focolaio divino dal quale non è mai uscito, e si racchiuderà così su se stesso e sulla sua conquista. E allora, dice San Paolo «non ci sarà più che Dio, tutto in tutti». Forma superiore di “panteismo”, in verità, senza traccia avvelenata di mescolanza né di annientamento. Attesa di perfetta unità, nella quale, per il fatto stesso della propria immersione, ogni elemento troverà, contemporaneamente all'universo, la sua consumazione.

L'universo che si compie in una sintesi di centri, in perfetta conformità con le leggi dell'unione. Dio, Centro di centri. In questa visione culmina il dogma cristiano. Ciò s'inquadra così esattamente e così bene con il Punto Omega che probabilmente non avrei mai osato prospettarne o formularne razionalmente l'ipotesi se, nella mia coscienza di credente, io non ne avessi trovato, non solo il modello speculativo, ma la realtà vivente. »
   

[modifica] La ricezione del pensiero di Teilhard de Chardin da parte della Chiesa

L'interpretazione del pensiero di Teilhard de Chardin ha comportato notevoli problemi per i teologi[68]. Teilhard elabora, senza dubbio, una visione profondamente cristiana della natura, muovendosi tra risultati scientifici, testi biblici e teologia; per fare questo egli elabora un linguaggio nuovo, facendo uso di neologismi e metafore, e spostando spesso sul piano metafisico e teologico termini e concetti prettamente scientifici. Questo è il motivo per cui i teologi, formati sulla metafisica e sulla teologia classica, hanno trovato molta difficoltà ad interpretare i testi di Teilhard e a verificarne l'ortodossia. Teilhard restò sempre, indubbiamente, cristiano e cattolico, ma lo studio e l'esposizione dei suoi testi richiede, per la Chiesa, particolare prudenza.

Per questi motivi, durante la sua vita, Teilhard fu oggetto di alcuni provvedimenti disciplinari all'interno della Compagnia di Gesù, che gli impedirono di insegnare materie di tipo filosofico o teologico e di pubblicare testi su questi argomenti. Nel 1962 il Sant'Uffizio pubblicò il seguente Monitum[69]:

  « Certe opere del P. Pietro Theilard de Chardin, comprese anche alcune postume, vengono pubblicate ed incontrano un favore tutt'altro che piccolo (affatto disdicevole). Indipendentemente dal dovuto giudizio in quanto attiene alle scienze positive, in materia di Filosofia e Teologia si vede chiaramente che le opere menzionate racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi, che offendono la dottrina cattolica. Di conseguenza, gli Eccellentissimi e Reverendissimi Padri della Suprema Congregazione del Santo Ufficio esortano tutti gli Ordinari e i superiori di Istituti Religiosi, i Rettori di Seminari e i Direttori delle Università, a difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Theilard de Chardin e dei suoi discepoli. - Dato in Roma, nel Palazzo del Santo Ufficio, il 30 giugno 1962 »
   

Il Monitum non specifica quali siano effettivamente gli errori e le ambiguità, ma si può ipotizzare[68] che si riferisse ad una possibile visione panteistica, ad una insufficiente separazione ontologica tra materia e spirito, ad un'idea determinista dell'incarnazione e ad un'errata comprensione del peccato originale.

Il cardinale Henri-Marie de Lubac tentò di esporre e di sintetizzare il pensiero di Teilhard de Chardin in un libro pubblicato nel 1962[70], al termine del quale si dichiarò convinto di aver mostrato la perfetta ortodossia dello scienziato gesuita. Questo giudizio tuttavia non fu unanimemente condiviso, come spiegato in un articolo de L'Osservatore Romano del 30 giugno 1962[71] che riportò anche il Monitum.

Papa Paolo VI invece, in una sua allocuzione del 1966[72], di Teilhard de Chardin disse

  « ... che ha dato una spiegazione dell’universo e, tra tante fantasie, tante cose inesatte, ha saputo leggere dentro le cose un principio intelligente che deve chiamarsi Iddio. »
   

Nel 1981, il Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, in una lettera[73] a monsignor Paul Poupard e riportata da L'Osservatore Romano, parla di Teilhard de Chardin:

  « Una forte intuizione poetica del valore profondo della natura, una percezione acuta del dinamismo della creazione, un’ampia visione del divenire del mondo s’intrecciavano in lui con un innegabile fervore religioso. »
   

ed aggiunge:

  « Senza dubbio il nostro tempo ricorderà, al di là delle difficoltà della concezione e le deficienze dell’espressione di questo audace tentativo di sintesi, la testimonianza della vita tutta di un pezzo di un uomo afferrato da Cristo nel profondo del suo essere, e che ha avuto la preoccupazione di onorare nello stesso tempo la fede e la ragione, rispondendo quasi in anticipo a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura, aprite, spalancate le porte a Cristo, gli immensi campi della cultura della civiltà, dello sviluppo”. »
   

Dopo questa lettera, in un articolo de L'Osservatore Romano dell'11 luglio 1981, la sala stampa della Santa Sede spiegò che le parole di Agostino Casaroli non dovessero essere intese come una completa riabilitazione di Teilhard de Chardin e che diversi aspetti problematici del suo pensiero non erano ancora stati chiariti.

Ancora oggi la discussione resta aperta e, come spiega Giuseppe Tanzella Nitti[68],

  « il credente che desideri accostarsi alle opere di Teilhard lo faccia dall'interno di un quadro teologico nel quale una precisa conoscenza dei principali contenuti della Rivelazione non solo lo protegga dall'estrapolare o dal fraintendere il pensiero dell'Autore, ma possa addirittura aiutarne una comprensione matura, chiarendo ciò che nel linguaggio esperienziale e mistico del pensatore gesuita potrebbe restare dogmaticamente incompiuto. Sarà probabilmente il tempo a dirci, come avvenuto in occasione di altri autori, se una nuova contestualizzazione del pensiero di Teilhard potrebbe mutarne il sobrio ma significativo giudizio disciplinare, e su quali aspetti della sua sintesi intellettuale i Pastori della Chiesa vorranno eventualmente intervenire, se lo riterranno opportuno, con ulteriori indicazioni. »
   


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24/04/2011 20:19
 
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[modifica] La Chiesa ammette l'evoluzionismo

[modifica] Pio XII e l'enciclica Humani Generis

[modifica] Il dibattito teologico precedente la Humani generis

Nella prima metà del XX secolo emersero nel dibattito teologico particolari posizioni che deviavano dalla tradizione e che suscitavano preoccupazione nella Chiesa di Roma[74][75][76]. Le questioni sulle quali si discuteva riguardavano diversi argomenti, non solo l'evoluzionismo, sui quali intervenne il magistero di Pio XII nel 1950 con l'enciclica Humani generis[75][77].

In particolare erano circolati, all'interno di università e scuole di teologia cattoliche, diversi testi anonimi in cui venivano esposte interpretazioni filosofiche e teologiche dell'evoluzionismo tutt'altro che ortodosse[75]. In uno di questi testi ad esempio si affermava che l'evoluzionismo costituisse ormai, innegabilmente, un nuovo modo di pensare e di ragionare e che, soprattutto, non era più chiaro che cosa fosse la materia ed in che cosa essa differisse dalla vita e dallo spirito (ammesso che delle differenze effettivamente ci fossero). In questo modo si rischiava di negare l'esistenza di punti fermi nel pensiero teologico, che sarebbe stato anch'esso soggetto ad evoluzione, e si introduceva nella realtà un monismo in cui materia e spirito sarebbero stati indistinti. In un altro testo si spiegava che Cristo stesso sarebbe la guida, la direzione, ed il polo verso il quale convergerebbe l'evoluzione universale; l'uomo sarebbe un tutt'uno con l'intero universo, che attraverso l'evoluzione si avvicinerebbe ed infine si unirebbe a Dio, realizzando così una sorta di panteismo.

Il 30 novembre 1941, Pio XII tenne, davanti agli accademici pontifici, un discorso in cui fornì ai teologi alcune indicazioni sulla questione evoluzionista[78][79]. Il Papa indicò tre elementi che si dovessero ritenere come sicuramente affermati dal testo sacro, senza ammettere interpretazioni allegoriche: 1) La superiorità dell'uomo rispetto a tutti gli altri animali, dovuta alla sua anima spirituale; 2) la derivazione del corpo della prima donna da quello del primo uomo; 3) l'impossibilità che padre e progenitore di un uomo possa essere altri che un uomo, l'impossibilità cioè che il primo uomo possa essere figlio di un bruto, generato quindi in senso proprio da esso. Tuttavia poi concludeva il discorso spiegando:

  « Le molteplici ricerche, sia della paleontologia, che della biologia e della morfologia su altri problemi riguardanti le origini dell'uomo, non hanno finora apportato nulla di positivamente chiaro e certo. Non rimane quindi che lasciare all'avvenire la risposta al quesito, se un giorno la scienza, illuminata e guidata dalla rivelazione, potrà dare sicuri e definitivi risultati sopra un argomento così importante »
   

Molari scrive che[80] la forma è molto guardinga, i limiti sono ancora ben segnati, ma la porta è aperta.

Tra il 1930 ed il 1950 il numero di teologi che affermavano la conciliabilità dell'evoluzionismo con la fede cattolica era stato in continuo aumento, ed anche coloro che ancora lo rifiutavano avevano comunque addolcito le loro critiche[79]. La stessa Civiltà Cattolica, in un articolo del 1946[81], pur ricordando che gli entusiasti dell'evoluzionismo

  « dimenticano un po' troppo i fatti per fondarsi quasi esclusivamente sulle loro speranze, che la nostra fede sull'evoluzione è presentemente di origine intuitiva, metafisica si potrebbe dire, piuttosto che scientifica »
   

prosegue spiegando:

  « E d'altra parte riteniamo non meno prudente di far presente a certi fissisti intransigenti che l'origine del corpo umano per evoluzione, nel senso permesso dalla rivelazione, è una possibilità che viene accreditata, come pare, dai continui reperti della paleoantropologia. La posizione più sicura a questo riguardo è quella del Santo Padre in uno stupendo discorso agli accademici pontifici. »
   

Nel 1948, il teologo della Pontificia Università Gregoriana Maurizio Flick riassumeva il dibattito teologico successivo al discorso del Papa[79]. In primo luogo spiegava che era ormai ammissibile affermare che, nella creazione del corpo dell'uomo, Dio si fosse servito anche di cause seconde; secondariamente, pur seguendo la lezione del Papa e quindi non ammettendo la generazione in senso proprio dell'uomo da un bruto, si poteva concedere che il regno animale avesse contribuito alla formazione del corpo umano attraverso l'evoluzione; fermo restando il fatto che l'uomo era da considerarsi superiore a tutti gli altri animali per via della sua anima creata immediatamente da Dio. L'intervento di Dio era quindi da considerarsi necessario pur ammettendo i meccanismi evolutivi per il corpo dell'uomo. Risultava quindi inamissibile una dottrina evoluzionista che sostenga la spontanea trasformazione delle specie viventi inferiori in superiori, senza ricorso ad uno speciale intervento divino, però

  « se si ritenga necessaria, come si deve ritenere, una speciale azione di Dio per la formazione del corpo del primo uomo, anche se si ammetta quest'azione essersi esercitata sopra un organismo già vivente, ogni difficoltà sparisce. Dipendendo infatti l'intervento di Dio unicamente dalla Sua libera volontà, esso ha potuto esercitarsi quando, come e dove Egli ha voluto secondo i suoi piani provvidenziali. »
   

Flick spiegava poi che, in rapporto alla questione evoluzionista, non era possibile ricavare dalla lettura dei Padri della Chiesa una interpretazione sicura ed unanime dei primi capitoli della Genesi. Le interpretazioni completamente letterali erano comunque da respingere e si potevano ammettere letture allegoriche, come già aveva detto la Pontificia Commissione Biblica nel 1909; infatti se, ad esempio, si fosse voluto interpretare alla lettera il racconto di Dio che plasma il corpo dell'uomo dal fango della terra e poi gli soffia nelle narici lo spirito vitale, allora si sarebbe caduti nell'errore di un antropomorfismo in cui Dio avrebbe assunto forma e comportamenti umani per creare l'uomo. Flick citava anche l'enciclica Divino Afflante Spiritu di Pio XII, riguardante gli studi biblici e l'esegesi, dove il Papa spiegava che[82]

  « ciò che quegli antichi hanno voluto significare con le loro parole non va determinato soltanto con le leggi della grammatica o della filologia, o arguito dal contesto; l'interprete deve quasi tornare con la mente a quei remoti secoli dell'Oriente e con l'appoggio della storia, dell'archeologia, dell'etnologia e di altre scienze, nettamente discernere quali generi letterari abbiano voluto adoperare gli scrittori di quella remota età. Infatti gli antichi Orientali per esprimere i loro concetti non sempre usarono quelle forme o generi del dire, che usiamo noi oggi; ma piuttosto quelle ch'erano in uso tra le persone dei loro tempi e dei loro paesi. [...] a nessuno che abbia un giusto concetto dell'ispirazione biblica farà meraviglia che anche negli Scrittori Sacri, come in tutti gli antichi, si trovino certe maniere di esporre e di narrare, certi idiotismi, propri specialmente delle lingue semitiche, certi modi iperbolici od approssimativi, talora anzi paradossali, che servono a meglio stampar nella mente ciò che si vuol dire. »
   

Da tutto questo Flick ne ricavava che:

  « Stando le cose in questi termini, non sembra veramente possibile affermare senz'altro che il sacro testo insegna aver Dio immediatamente formato il corpo del primo uomo da una materia inorganica, semplicemente perché in esso leggiamo che Dio lo formò con polvere del suolo, e che ricevendo l'anima, l'uomo diventò anima vivente. »
   

Flick concludeva affermando che l'evoluzionismo era possibile alla luce della ragione, e che non poteva essere escluso dalle fonti della Rivelazione. Tuttavia, notava, per un giudizio conclusivo sarebbero state necessarie ulteriori investigazioni della scienza illuminata dalla fede.

Ancora abbastanza problematica continuava invece ad essere l'interpretazione del racconto della creazione di Eva dal corpo di Adamo, infatti

  « si potrà anche in questo caso ricorrere ad un'interpretazione non strettamente letterale del racconto genesiaco se si tratti di determinare il modo con cui il corpo di Eva derivò dal corpo di Adamo, ma è assolutamente necessario ritenere almeno il fatto della derivazione, se non si voglia svuotare di ogni significato un'affermazione che è contenuta nelle fonti della rivelazione. »
   

[modifica] L'enciclica Humani generis

Il 22 agosto 1950, Pio XII pubblicò l'enciclica Humani Generis, circa alcune false opinioni che minacciano di sovvertire i fondamenti della dottrina cattolica. Nell'introduzione dell'enciclica il Papa respinge le nuove opinioni teologiche che sono state esposte nel paragrafo precedente. Scrive Pio XII:

  « Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell'ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso delle scienze naturali, e con temerarietà sostengono l'ipotesi monistica e panteistica dell'universo soggetto a continua evoluzione. Di quest’ipotesi volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio.[83] »
   

E continua poi esponendo le conseguenze di tali posizioni:

  « Le false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripudiato quanto vi è di assoluto, fermo ed immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni di una nuova filosofia che, facendo concorrenza all'idealismo, all'immanentismo e al pragmatismo, ha preso il nome di "esistenzialismo" perché, ripudiate le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo della "esistenza" dei singoli individui.[83] »
   
  « Si aggiunge a ciò un falso "storicismo" che si attiene solo agli eventi della vita umana e rovina le fondamenta di qualsiasi verità e legge assoluta sia nel campo della filosofia, sia in quello dei dogmi cristiani.[83] »
   

Fin qui il Papa si limita a prendere in considerazione soltanto alcune interpretazioni teologiche e filosofiche dell'evoluzionismo, mentre più avanti, nella parte quarta, si occupa specificamente dell'evoluzionismo come teoria propriamente biologica. Premette alcune considerazioni generali sulle scienze positive:

  « Rimane ora da parlare di quelle questioni che, pur appartenendo alle scienze positive, sono più o meno connesse con le verità della fede cristiana. Non pochi chiedono instantemente che la religione cattolica tenga massimo conto di quelle scienze. Il che è senza dubbio cosa lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati; ma bisogna andar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo fondate scientificamente, nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o anche nella tradizione. Se tali ipotesi vanno direttamente o indirettamente contro la dottrina rivelata, non possono ammettersi in alcun modo. »
   

Questo passo, come si vede, è in linea con gli insegnamenti della Providentissimus Deus di Leone XIII[33], che Pio XII aveva già esplicitamente richiamato nella seconda parte della Humani Generis.

Dopo queste considerazioni generali, viene esplicitamente accettato l'evoluzionismo applicato al corpo dell'uomo, invocando comunque prudenza nel trattare tale questione:

  « Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica preesistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente sia Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all'evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l'ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede. Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela. »
   

[modifica] Le ultime resistenze

Nonostante la Humani Generis, fino alla fine degli anni 50, la maggior parte dei teologi era ancora restia ad ammettere l'evoluzionismo[84]. Certamente era scomparsa ormai l'ostilità, tuttavia essi continuavano a muoversi con molta moderazione e prudenza. Nel 1951, Réginald Garrigou-Lagrange scriveva che[85]

  « la creazione immediata dell'anima dal nulla è dogma di fede, secondo la predicazione della chiesa universale e i concili, e secondo la comune dottrina dei Padri e dei teologi il corpo del primo uomo è stato formato da Dio dalla terra senza trasformazione di specie con azione speciale ed immediata »
   

E conclude:

  « Veramente non sembra assurdo in assoluto che Dio abbia infuso un'energia in un organismo animale. Ma questa è una pura e gratuita ipotesi, non fondata sui fatti e contraria al senso letterale almeno proprio della narrazione biblica. »
   

Nel 1958, J. F. Sagües sosteneva[86], citando numerosi teologi, che escludere il trasformismo naturale per il corpo umano fosse un'opinione teologicamente certa, e giudicava probabile anche l'opinione che escludeva completamente l'evoluzionismo.

Non mancavano comunque posizioni più moderate, come quella di M. Schmaus che, dopo aver esposto diverse argomentazioni teologiche contro la derivazione dell'uomo dall'animale, scriveva[87]:

  « Nello stato attuale delle cose è prudente attendere che nuove scoperte confermino o meno il problema lasciato aperto dalla Bibbia, circa la derivazione dell'uomo dall'animale. »
   

Ed aggiunge che

  « anche le decisioni della chiesa si muovono in questa direzione. »
   

A differenza dei teologi, i biblisti, dopo l'enciclica Divino Afflante Spiritu, cominciarono a muoversi con maggiore libertà[88]. Certamente restavano ancora diversi esegeti, soprattutto i più anziani, che ancora si mostravano molto ostili all'evoluzionismo; ad esempio Gaetano Maria Perella (1890 - 1946), in un volume pubblicato postumo[89], dopo aver enunciato come principio generale che la Bibbia non intende dare insegnamenti su questioni scientifiche, affermava che a questa regola esistessero alcune eccezioni: la Bibbia insegna la creazione divina della materia e degli esseri viventi, quindi non si poteva ammettere l'eternità della materia e l'origine spontanea della vita; la Bibbia racconta di un intervento speciale di Dio nella creazione dell'uomo, quindi era inaccettabile il trasformismo assoluto e materialista di Darwin. Nel manuale molto diffuso di Simón-Prado[90], gli autori scrivevano invece che l'evoluzionismo non fosse ancora sufficientemente provato neanche sul piano paleontologico, quindi giudicavano incauta la tesi di quei teologi che sostenevano la possibilità di un trasformismo mitigato, secondo il quale Dio avrebbe formato il corpo dell'uomo da quello di un bruto; tale tesi era, secondo Simón-Prado, contraria al senso ovvio della Scrittura, e avrebbe dovuto essere respinta fino a che non si fossero trovati argomenti più solidi con i quali sostenerla.

Ma queste erano eccezioni; la maggioranza dei biblisti infatti si spostò verso interpretazioni più libere, avendo ormai accettato il fatto che i risultati scientifici richiedessero lo sviluppo di nuovi metodi ermeneutici; nel Dictionnaire de théologie catholique, il biblista Albert Gelin scrisse[91]:

  « Possiamo attribuire alla scienza, in rapporto ai dai biblici, un vero ruolo riduttivo: dissolvendo poco a poco nei testi ciò che apparteneva a rappresentazioni imperfette nell'ordine scientifico, essa aiuta la teologia a discernervi con maggiore esattezza le affermazioni assolute »
   

Ma nonostante l'attenzione nei confronti delle scienze, gli esegeti dovevano anche cercare di mantenere una certa autonomia rispetto ad esse; a proposito di questo scriveva Franco Festorazzi[92]:

  « Un esegeta [...] deve ricercare ciò che l'agiografo (Dio) ha voluto di fatto dire, sicuro che non ci sarà possibilità di contraddizione con ciò che la scienza afferma. Un'ipotesi scientifica può servire al massimo per stimolare o suscitare un approfondimento dell'esegesi, non certo per guidarla. Ci sarebbero in tal caso per lo meno due pericoli: quello di generare il sospetto di esegesi "opportunistica", o la tentazione di cadere nel concordismo. Per questo è almeno "psicologicamente" sbagliato partire da un presupposto scientifico in un'indagine biblica. »
   

Negli anni '60 comunque le cose cambiarono completamente, ed anche la maggioranza schiacciante dei teologi si schierò a difesa dell'evoluzionismo[93]. In questo cambiamento, furono certamente molto influenti le riflessioni di Pierre Teilhard de Chardin, i cui testi ebbero in quel periodo grandissima diffusione, nonostante le riserve espresse dalla Santa Sede. Fondamentale fu il riconoscimento da parte dei teologi dell'evoluzione come legge cosmica, non riguardante soltanto la formazione delle specie viventi, ma l'intero universo. Pierre Smulders scriveva[94]:

  « Ai nostri giorni, quando abbiamo cominciato a scoprire che non solo l'origine delle nuove specie, ma anche quella della vita e della terra sono eventi intratemporali e intracosmici, la scienza deve ricercarne le cause naturali. Il rispetto del creatore e della creazione obbliga la scienza attuale a non prendere più in considerazione quella che è stata chiamata "l'ipotesi creazionista", termine infelice e fallace per designare l'intervento divino nella costituzione delle diverse specie. Malgrado tutte le oscurità e le incertezze, la scienza deve riconoscere l'evoluzione come un fatto. »
   

Estremamente significativo è l'itinerario esposto dagli importanti teologi Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy[95]:

  « Negli anni cinquanta, il trasformismo ci è sembrato una teoria biologica; in seguito ad un contatto più approfondito con il pensiero di Teilhard de Chardin ci siamo resi conto che l'evoluzione è una legge cosmica, valevole per tutto il mondo fenomenale, che abbraccia tutti gli esseri visibili, cominciando dall'atomo, fino al pieno sviluppo dell'umanità, specie dell'evoluzione. »
   


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L'esegesi biblica moderna

La maggiore libertà dei biblisti nell'occuparsi dell'evoluzionismo derivava essenzialmente dagli insegnamenti dell'enciclica Divino Afflante Spiritu (1943) di Pio XII, che poneva come condizione necessaria per una corretta esegesi la precisa determinazione del genere letterario della Scrittura[82]:

  « L'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com'è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possano condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che in questa parte del suo ufficio non può essere trascurato senza recare gran danno all'esegesi cattolica. Infatti per portare solo un esempio quando taluni presumono rinfacciare ai Sacri Autori qualche errore storico o inesattezza nel riferire i fatti, se si guarda ben da vicino, si trova che si tratta semplicemente di quelle native maniere di dire o di raccontare, che gli antichi solevano adoperare nel mutuo scambio delle idee nell'umano consorzio, e che realmente si tenevano lecite nella comune usanza. Quando dunque tali maniere si incontrano nella divina parola, che per gli uomini si esprime con linguaggio umano, giustizia vuole che non si taccino d'errore più che quando occorrono nella quotidiana consuetudine della vita. Con l'accennata conoscenza e l'esatta valutazione dei modi ed usi di parlare e di scrivere presso gli antichi, si potranno sciogliere molte obbiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture; e non meno porterà un tale studio ad una più piena e più luminosa comprensione del pensiero del Sacro Autore. »
   

Questa posizione venne in seguito ribadita nel 1965 in uno dei principali documenti approvati durante il Concilio Vaticano II, la Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum[96]. Essa, dopo aver ricordato che

  « i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture »
   

spiega:

  « Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani. »
   

Quando allora fu appurato che il racconto genesiaco presenta molte analogie con altre cosmogonie orientali, ed una volta stabilito che queste ultime utilizzassero un genere mitico, venne posto il problema se anche la Genesi potesse essere interpretata come un mito[97]. I biblisti preferirono parlare di racconto eziologico sapienziale con elementi mitici: eziologia, oppure etiologia (dal greco αἰτία, aitia = causa), si ha quando si costruisce un racconto che, indicando delle cause in eventi del passato, spiega una situazione attuale. Si è ormai stabilito che i racconti della Genesi utilizzino un linguaggio simbolico primitivo, soltanto attraverso il quale è possibile cogliere gli aspetti più complessi dell'esperienza umana. Questi racconti evocano infatti importanti esperienze collettive e remote come, ad esempio, la scoperta della vita, dell'amore, del peccato e della morte; questi racconti non sono pertanto la semplice narrazione di eventi ma, utilizzando un linguaggio storico, trasmettono messaggi complessi relativi ad esperienze primordiali comuni a tutta l'umanità.

Un aspetto del racconto genesiaco che chiaramente presenta aspetti mitologici è quello relativo allo stato primitivo dell'umanità[98]. Tradizionalmente fino agli anni '50, nei manuali di teologia veniva esposta la dottrina della perfezione dello stato originario dell'uomo appena creato da Dio; ciò che caratterizzava questa perfezione era l'immortalità, l'assenza di concupiscenza e la possibilità di vivere nell'agiatezza all'interno di un ambiente accogliente (vedi Giardino dell'Eden). Negli anni '50 e '60 lo stato primitivo dell'uomo venne però completamente demitizzato; si riconobbe che le abituali descrizioni dell'umanità primitiva non appartenevano alla fede, ma risalivano a tradizioni e mitologie popolari. In particolare, l'idea che è un cosa è più perfetta quanto più è vicina all'origine, era legata ad una concezione fissista del mondo che era stata ormai definitivamente abbandonata[99].

[modifica] Nuovi sviluppi della teologia negli anni '60 e '70

[modifica] Le questioni in campo

Nonostante nell'enciclica Humani Generis venisse accettato l'evoluzionismo, alcuni problemi continuavano a restare in campo. La stessa Humani Generis, immediatamente di seguito alla parte sull'evoluzionismo, proseguiva dicendo:

  « Però quando si tratta dell'altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (confronta Romani V, 12-19; Concicilio Tridentino, sessione V, canoni 1-4). »
   

In teologia, il poligenismo indica[100] l'ipotesi che l'umanità discenda da più coppie originarie; tale ipotesi si contrappone, ovviamente, al monogenismo, ovvero l'ipotesi che tutta l'umanità discenda da una sola coppia primitiva (Adamo ed Eva). In ambito scientifico invece viene più che altro utilizzato il termine polifiletismo, che indica la pluralità di rami (ceppi, phyla) originari e si contrappone al monofiletismo (un solo ramo originario per tutta l'umanità). Il poligenismo è compatibile sia con il polifiletismo che con il monofiletismo, mentre il monogenismo implica necessariamente il monofiletismo. Dal punto di vista scientifico è interessante discutere il polifiletismo ed il monofiletismo, mentre che gli uomini derivino da una o più coppie è un problema secondario per gli scienziati anche se comunque, attualmente, il monogenismo sembra essere confutato[101]. Per i teologi invece il problema è tutt'altro che secondario, perché la dottrina tradizionale sul peccato originale insegnava che esso fosse un peccato realmente e personalmente commesso, secondo il racconto genesiaco, da una coppia primitiva, dalla quale poi sarebbe stato trasmesso a tutti i discendenti; accettando la dottrina tradizionale, il poligenismo avrebbe allora implicato l'esistenza di uomini senza peccato originale. Anche Paolo VI, l'11 luglio 1966, pose ancora esplicitamente questo problema in un discorso che fu tenuto ai partecipanti ad un simposio organizzato dai rettori delle Università pontificie e tenutosi a Nemi[102]:

  « È evidente, perciò, che vi sembreranno inconciliabili con la genuina dottrina cattolica le spiegazioni che del peccato originale danno alcuni autori moderni, i quali, partendo dal presupposto, che non è stato dimostrato, del poligenismo, negano, più o meno chiaramente, che il peccato, donde è derivata tanta colluvie di mali nell’umanità, sia stato anzitutto la disobbedienza di Adamo «primo uomo», figura di quello futuro (Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes, numero 22; confronta anche numero 13) commessa all’inizio della storia. Per conseguenza, tali spiegazioni neppur s’accordano con l’insegnamento della Sacra Scrittura, della Sacra Tradizione e del Magistero della Chiesa, secondo il quale il peccato del primo uomo è trasmesso a tutti i suoi discendenti non per via d’imitazione ma di propagazione, «inest unicuique proprium», ed è «mors animae», cioè privazione e non semplice carenza di santità e di giustizia anche nei bambini appena nati (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canoni 2-3). »
   

Paolo VI continuava inoltre il suo discorso esponendo ancora una particolare riserva su come conciliare l'evoluzionismo con la creazione dell'anima:

  « Ma anche la teoria dell’evoluzionismo non vi sembrerà accettabile qualora non si accordi decisamente con la creazione immediata di tutte e singole le anime umane da Dio, e non ritenga decisiva l’importanza che per le sorti dell’umanità ha avuto la disobbedienza di Adamo, protoparente universale (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canone 2). La quale disubbidienza non dovrà pensarsi come se non avesse fatto perdere ad Adamo la santità e giustizia in cui fu costituito (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canone 1).  »
   

Come scrive Molari[103] «gli altri aspetti del problema a questo punto sono tutti scomparsi. Non passerà molto tempo che anche gli ultimi due scompariranno come problemi. Anzi, ad essere esatti, per la teologia essi erano già diventati insignificanti».

[modifica] L'azione di Dio nel Mondo e la creazione dell'anima

Per i teologi l'evoluzione era un aspetto particolare di un problema più generale, quello di capire come il più proceda dal meno, come una perfezione derivi da una causa inferiore[104]; nell'origine della vita si passa dalla materia inorganica alla vita vegetativa, poi dalla vita animale al corpo umano e alla creazione della sua anima. In tutti questi casi i teologi riconoscevano sempre che l'effetto eccedesse la causa, pertanto postulavano l'intervento speciale di Dio. In particolare (come già esposto al paragrafo su Ernest C. Messenger) i teologi ricorrevano alle nozioni di causa prima e causa principale.

Dio è innanzitutto causa prima, ovvero il fondamento di tutte le cose che vengono dette cause seconde. Ma nei casi in cui gli effetti eccedono le possibilità delle cause seconde, allora Dio interverrebbe come causa principale utilizzando le creature come cause strumentali, così come uno scultore (causa principale) utilizza uno scalpello (causa strumentale) per fare una statua[105]. Ma se in un primo tempo questo speciale intervento di Dio veniva considerato come un vero e proprio miracolo, in seguito tale concezione venne completamente abbandonata, e si accettò la lezione che l'intervento divino è invisibile ed in nessun modo può essere rilevato dai sensi[106], introducendo così il concetto di concorso evolutivo, così come spiegavano Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy (1969)[107]:

  « Dio non opera in questo modo dando colpi di pollice per supplire le cause create, e la riflessione ermeneutica ci ha insegnato che non ci sono argomenti teologici per un "intervento" che implichi l'interruzione della catena delle cause seconde. Il concetto di concorso creativo di Dio [...] può essere utilizzato per spiegare anche l'ominizzazione, ed in genere l'evoluzione dalle speci inferiori alle speci superiori. Dio opera, non parallelamente o successivamente all'azione dell'organismo generante, ma attraverso di essa, non supplendo una causalità deficiente, ma facendo sì che l'organismo generante possa esercitare una causalità, che supera la propria capacità naturale. Dio con il suo concorso evolutivo, agisce non solo come causa prima (facendo che la creatura agisca restando sul piano della propria essenza), ma anche come causa principale (che eleva la causa creata a produrre effetti non proporzionati ad essa. »
   

Ma in questo modo sparisce la distinzione tra causa prima e causa principale, ed esse divengono, in Dio, una cosa sola. L'azione di Dio nel cosmo non viene più vista come un intervento diretto, bensì essa diventa azione puramente creatrice e trascendente. Secondo questa nuova concezione «Dio non pruduce le cose,» scrive Molari[108], «ma fa sì che esse, attraverso rapporti, diventino e si sviluppino». Sempre Flick e Alszeghy scrivevano che[109]

  « Dio costruisce e guida il suo mondo senza interrompere o sostituire la serie delle cause seconde, quasi nascondendosi dietro a queste cause, a cui egli dà l'azione e l'efficiacia. »
   

Il cambiamento definitivo della concezione dell'azione di Dio nel mondo si ebbe con Karl Rahner[110]. Egli osservava[111] che per qualunque effetto osservato nel mondo si potesse, e si dovesse, cercare la causa nel mondo stesso, dal momento che Dio agisce sempre attraverso le cause seconde. Ma nel caso della creazione dell'anima, questa regola fondamentale verrebbe spezzata, e l'intervento divino verrebbe a collocarsi, in modo miracoloso, accanto alle creature anziché essere il loro fondamento trascendente. Per risolvere questo problema Rahner introdusse un nuovo modo di intendere il divenire che egli definì come[112] l'autotrascendimento dell'agente, operato da ciò che sta a un livello inferiore. Ogni divenire è partanto un superamento di sé stessi, che è possibile in quanto[113]

  « l'Essere assoluto ne è causa e fondamento originario in modo tale da costituire un intimo fattore, che questo automovimento ha in sé. Si ha perciò un vero autosuperamento e non un essere trasportati in maniera puramente passiva al di sopra di sé [...] Ogni causalità finita è tale in sé stessa proprio in forza dell'essere, che sempre essenzialmente la domina dall'interno e dall'alto. Di conseguenza si può attribuire all'ente finito in quanto mosso interiormente dall'essere assoluto la causalità capace di produrre qualcosa di superiore a sé stesso. »
   

L'autotrascendimento, così definito, è un processo che implica contemporaneamente continuità e discontinuità, infatti[114]

  « secondo la metafisica tomistica esistono diverse essenze solo come diversi gradi di limitazione dell'essere. Un'essenza inferiore perciò non si contrappone e diversifica per il contenuto positivo di essere da un'essenza superiore, ma solo per la sua partecipazione relativamente più limitata all'essere. »
   

In questa nuova prospettiva il problema della creazione dell'anima, anziché postulare l'intervento miracoloso di Dio, può essere risolto in un modo del tutto nuovo, infatti la materia[115]

  « è per la sua origine vicina allo spirito, è momento dello spirito, un momento del Logos eterno, quale egli è per sua libera scelta, ma effettivamente, per sempre. »
   

Di conseguenza[116]

  « l'evoluzione della materia verso lo spirito non è un concetto irrealizzabile. »
   

Non mancarono comunque posizioni più prudenti rispetto a qualle di Rahner, come ad esempio quella di Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy[117] che cercarono di salvaguardare il senso ovvio dell'espressione "creazione immediata dell'anima". Essi distinsero tre gradi di creazione: 1) la creazione propriamente detta, in cui Dio non si serve di alcuna cosa preesistente; 2) il concorso ordinario, in cui Dio fa operare le cause seconde conformemente alle loro capacità; 3) il concorso creativo, in cui Dio agisce come causa principale facendo in modo che gli effetti siano superiori alle capacità delle cause seconde. Il concorso creativo interverrebbe quindi nella creazione dell'anima, in cui[118]

  « l'azione divina non ha per suo termine l'anima separata, ma l'uomo completo: l'uomo infatti non è un conglomerato di due sostanze complete, ma un unico soggetto incarnato [...] Il corpo umano non è la stessa materia inorganica che preesisteva e che era necessaria per la sua generazione; il corpo umano è la manifestazione dell'io e perciò, come unità dell'anima e del corpo, l'uomo non può venire che direttamente da Dio, senza alcun legame orizzontale col mondo biologico. »
   

Nel 1984, Carlo Molari concludeva la sua disamina[119] spiegando che l'espressione "Dio crea l'anima di ogni uomo" stia soltanto ad indicare «l'irripetibile individualità di ogni uomo, la relazione esclusiva che ogni uomo ha con il suo creatore», e non dice nulla sull'azione di Dio in sé. Nel 2002, in un importante documento della Commissione Teologica Internazionale, approvato dallo stesso Joseph Ratzinger (al tempo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede), si riassumeva lo stato della teologia cattolica in merito al problema dell'anima e della sua creazione[120]:

  « Per mantenere l’unità di corpo e anima insegnata nella Rivelazione, il Magistero adotta la definizione dell’anima umana come forma substantialis. Qui il Magistero si è basato sull’antropologia tomistica che, attingendo alla filosofia di Aristotele, vede il corpo e l’anima come i princìpi materiali e spirituali di un singolo essere umano. Possiamo notare come tale impostazione non sia incompatibile con le più recenti scoperte scientifiche. La fisica moderna ha dimostrato che la materia, nelle sue particelle più elementari, è puramente potenziale e non ha tendenza alcuna verso l’organizzazione. Ma il livello di organizzazione nell’universo, nel quale si trovano forme altamente organizzate di entità viventi e non viventi, sottintende la presenza di una qualche «informazione». Un ragionamento di questo genere fa pensare a una parziale analogia tra il concetto aristotelico di forma sostanziale e il concetto scientifico moderno di «informazione». Quindi, ad esempio, il DNA dei cromosomi contiene le informazioni necessarie affinché la materia possa organizzarsi secondo lo schema tipico di una data specie o singolo essere. Analogicamente, la forma sostanziale fornisce alla materia prima quelle informazioni di cui ha bisogno per essere organizzata in un particolare modo. Questa analogia va presa con la dovuta cautela, in quanto non è possibile un raffronto diretto tra concetti spirituali e metafisici e dati materiali e biologici. »
   
  «  Con riferimento alla creazione immediata dell’anima umana, la teologia cattolica afferma che particolari azioni di Dio producono effetti che trascendono la capacità delle cause create che agiscono secondo la loro natura. Il ricorso alla causalità divina per colmare vuoti genuinamente causali, e non per dare risposta a ciò che resta inspiegato, non significa utilizzare l’opera divina per riempire i «buchi» del sapere scientifico (dando così luogo al cosiddetto «Dio tappabuchi»). Le strutture del mondo possono essere viste come aperte all’azione divina non disgregatrice in quanto sono causa diretta di certi eventi nel mondo. La teologia cattolica afferma che la comparsa dei primi membri della specie umana (singoli individui o popolazioni) rappresenta un evento che non si presta a una spiegazione puramente naturale e che può essere appropriatamente attribuito all’intervento divino. Agendo indirettamente attraverso catene causali che operano sin dall’inizio della storia cosmica, Dio ha creato le premesse per quello che Giovanni Paolo II ha chiamato "un salto ontologico [...], il momento di transizione allo spirituale". Se la scienza può studiare queste catene di causalità, spetta alla teologia collocare questo racconto della specifica creazione dell’anima umana all’interno del grande piano del Dio uno e trino di condividere la comunione della vita trinitaria con persone umane create dal nulla a immagine e somiglianza di Dio e che, a suo nome e secondo il suo piano, esercitano in modo creativo il servizio e la sovranità sull’universo fisico. »
   

Si vede ancora quindi come Dio è causa prima e causa principale, ma anche in quanto causa principale non agisce con interventi diretti e particolari. Dio agisce invece rimanendo dietro le cose, ed il salto ontologico dalla materia allo spirito avviene attraverso catene causali che comunque trovano il loro fondamento in Dio stesso. La creazione dell'anima è quindi un evento immediato (un salto), e tuttavia non è il prodotto di un intervento diretto di Dio, ma il risultato di un processo. «In questo evento del tutto singolare la causalità umana supera sostanzialmente i suoi propri limiti - l'autotrascendimento - in virtù dell'azione divina come fondamento trascendente delle causalità intramondane[121]».


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24/04/2011 20:23
 
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Il peccato originale

Dopo il Concilio Vaticano II, la questione più importante ad essere discussa dai teologi fu la dottrina sul peccato originale[122]. I problemi in campo erano essenzialmente due: 1) stabilire se fosse davvero necessario ammettere uno specifico evento originario (ovvero il peccato di Adamo ed Eva narrato in Genesi 3); 2) stabilire se la dottrina sul peccato originale definita dogmaticamente dal Concilio di Trento[123], fosse compatibile con il poligenismo.

Secondo la dottrina tradizionale, il peccato sarebbe entrato nel mondo attraverso la disobbedienza di Adamo ed Eva a Dio, e si sarebbe poi propagato a tutta l'umanità per via della comune discendenza da questa singola coppia primitiva. Ma questa lezione cominciò a cambiare negli anni '60, ed infine, negli anni '70, la posizione più comune tra i teologi divenne la seguente: l'attuale situazione di male e di peccato dell'intera umanità non è originaria, ma dipende da una serie di errori che si sono susseguiti e moltiplicati nel corso della storia; tale serie di errori deve certamente aver avuto un inizio, che però non può essere individuato in alcun modo. Un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede aggiunto in appendice al catechismo olandese[124] del 1966 spiegava:

  « Diversi di questi antichi racconti tentano di spiegare, di illustrare, aspetti della condizione umana attraverso avvenimenti delle origini (racconti eziologici). È così in particolare del racconto della caduta di Adamo ed Eva. Dal punto di vista umano sono umili tentativi esitanti. Dio se ne è servito per insegnarci, se non nei particolari almeno alcuni fatti centrali, qualcosa dell'inizio tragico della storia religiosa dell'umanità. »
   

Anche per il problema del poligenismo fu determinante il contributo di Karl Rahner. In uno suo importante articolo del 1954[125], egli mostrò che le definizioni dogmatiche sul peccato originale formulate nel Concilio di Trento non implicavano necessariamente il monogenismo, e che pertanto la teologia avesse la possibilità di trovare il modo di conciliare il poligenismo con la dottrina sul peccato originale. Infatti Rahner notava che il Concilio di Trento non definiva esplicitamente il monogenismo come dogma, e che, quando parlava del peccato di Adamo, si limitasse semplicemente a riportare il racconto biblico. L'analisi di Rahner in generale convinse i teologi[126].

Proprio durante il simposio di Nemi del 1966 nel cui discorso iniziale Paolo VI ancora ricordava le difficoltà connesse con il poligenismo, maturò il convincimento che esso potesse esser conciliato con la dottrina sul peccato originale[127]. Mentre nella tradizione l'unità del genere umano veniva ricondotta ad una coppia iniziale, con la diffusione della teoria evoluzionista questa unità cominciò ad esser considerata una chiamata piuttosto che uno stato; diventò sufficiente parlare di un unico destino cui un unico creatore, attraverso un unico Salvatore, chiama il genere umano[128]. In questo modo l'unità del genere umano non ha più bisogno di esser basata sulla comune discendenza da Adamo, ma piuttosto sulla dignità di immagine di Dio conferita all'uomo dal suo creatore e sull'unione spirituale verso la quale gli uomini sono chiamati attraverso Cristo. Già nel 1964 l'Hulsbosch scriveva[129]:

  « Nell'ordine salvifico cristiano, così come si realizza sulla terra, l'unità è basata su un principio più alto [...] Non contano più né razza né sesso: decisiva è l'appartenenza a Cristo. Questo nuovo principio di unità ha potuto realizzarsi perché l'uomo vi era già disposto per natura [...] La dignità di immagine di Dio viene conferita ad ogni uomo dal suo creatore e non dal suo progenitore, e la reciproca unione spirituale tra gli uomini, che ne risulta, supera di gran lunga l'unità che deriva dalla comune discendenza. »
   

In questa prospettiva il peccato originale cominciò ad esser visto come un impedimento alla realizzazione del progetto salvifico di Dio. I teologi iniziarono anche a rifiutare l'espressione peccato originale, in quanto esso non poteva più essere legato ad un evento specifico; esso poteva invece essere definito come un'imperfezione ricevuta all'inizio della vita che porta l'uomo a rifiutare Dio e a tendere al male, come spiegavano Flick e Alszeghy[130]:

  « Per evitare malintesi, pensiamo che non sarebbe controindicato designare il peccato originale originato, anche nella catechetica e nella predicazione, talvolta con altri termini, come appartenenza al regno del peccato e della morte, alienazione da Dio, incapacità di orientare l'esistenza verso Dio ecc., che esprimono la malizia fondamentale del cuore umano, introdotta dall'uomo, sanata solamente da Cristo. »
   

Accettata questa posizione, il problema del poligenismo o del monogenismo diventava irrilevante e non riguardava più direttamente la sostanza della fede[131]. Nel già citato documento della Commissione Teologica Internazionale, il poligenismo viene di fatto ammesso[132]:

  « Ogni singolo essere umano, come pure la comunità umana nel suo insieme, è creato a immagine di Dio. Nella sua unità originaria — di cui è simbolo Adamo — l’umanità è fatta a immagine della divina Trinità. Voluta da Dio, procede attraverso le vicissitudini della storia dell’uomo verso una comunione perfetta, anch’essa voluta da Dio, ma che deve ancora essere realizzata. In questo senso, gli esseri umani partecipano alla solidarietà di un’unità che al tempo stesso già esiste e deve ancora essere raggiunta. Condividendo una natura umana creata e confessando il Dio uno e trino che dimora in mezzo a noi, siamo tuttavia divisi dal peccato e aspettiamo la venuta vittoriosa di Cristo che ristabilirà e ricreerà l’unità voluta da Dio in una redenzione finale della creazione. »
   

[modifica] Pronunciamenti di Giovanni Paolo II

Il 26 aprile 1985, Giovanni Paolo II introdusse i lavori del Simposio internazionale “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione” che fu tenuto a Roma[133]. Nel suo discorso egli notava come l'evoluzione costituisse ormai un paradigma accettato ed imprescindibile, e che l'immagine evoluzionistica del mondo cui si era giunti fosse molto diversa dalla vecchia concezione materialistica:

  « Il concetto polivalente e considerato sotto il profilo filosofico di “evoluzione” si sta da tempo sviluppando sempre più nel senso di un ampio paradigma della conoscenza del presente. Pretende di integrare la fisica, la biologia, l'antropologia, l'etica e la sociologia in una logica di spiegazione scientifica generale. Il paradigma dell'evoluzione si sviluppa, non ultimo, attraverso una letteratura in continua crescita, per diventare una specie di concezione del mondo chiusa, un'“immagine del mondo evoluzionistica. Questa concezione del mondo si differenzia dall'immagine materialistica del mondo, che fu propagata alla svolta del secolo, per una vasta elaborazione e per una grande capacità d'integrare dimensioni apparentemente incommensurabili. Mentre il materialismo tradizionale cercava di smascherare come illusione la coscienza morale e religiosa dell'uomo e, talvolta, la combatteva attivamente, l'evoluzionismo biologico si sente abbastanza forte per motivare questa coscienza funzionalmente con i vantaggi della selezione ad essa legati e integrarla nel suo concetto generale. La conseguenza pratica ne è che i fautori di questa concezione del mondo evoluzionaria hanno imposto una nuova definizione dei rapporti con la religione, che si differenzia notevolmente da quella del passato più recente e di quello più remoto. »
   

Continuava poi, dopo aver ricordato l'enciclica Humani Generis di Pio XII, che un'evoluzione rettamente intesa non può costituire un pericolo per la fede:

  « l'evoluzione infatti presuppone la creazione; la creazione si pone nella luce dell'evoluzione come un avvenimento che si estende nel tempo - come una “creatio continua” - in cui Dio diventa visibile agli occhi del credente come Creatore del Cielo e della terra. »
   

L'evoluzione, spiegava Giovanni Paolo II, non crea particolari difficoltà per la fede finché, intesa come teoria biologica, riguarda l'origine del corpo umano. Tuttavia, intendendola in senso esteso, si può tentare di ricondurre ad essa anche tutti i fenomeni spirituali e la morale. È quindi necessario che il pensiero cristiano si occupi di questa concezione del mondo evoluzionaria, che va molto oltre i suoi fondamenti naturalistici, affinché si possa stabilire qual è il contenuto di verità delle teorie scientifiche ed il valore della filosofia che su di esse si sviluppa:

  « È evidente che questo problema grave e urgente non può essere risolto senza filosofia. Spetta proprio alla filosofia sottoporre a un esame critico la maniera in cui i risultati e le ipotesi vengono acquisiti, differenziare da estrapolazioni ideologiche il rapporto tra teorie e affermazioni singole, la collocazione delle affermazioni naturalistiche e la loro portata, in particolare il contenuto proprio delle asserzioni naturalistiche. »
   

Nel 1996, Giovanni Paolo II tornò a parlare di evoluzione in occasione del 60º anniversario della rifondazione della Pontificia Accademia delle Scienze[134]. Egli spiegava come l'evoluzione fosse un tema molto importante per la Chiesa dal momento che essa, come la Rivelazione, contiene importanti insegnamenti sull'origine dell'uomo. Sviluppava poi diverse importanti considerazioni sulla teoria dell'evoluzione.

  « Tenuto conto dello stato delle ricerche scientifiche a quell’epoca e anche delle esigenze proprie della teologia, l’Enciclica Humani generis considerava la dottrina dell’“evoluzionismo” un’ipotesi seria, degna di una ricerca e di una riflessione approfondite al pari dell’ipotesi opposta. Pio XII aggiungeva due condizioni di ordine metodologico: che non si adottasse questa opinione come se si trattasse di una dottrina certa e dimostrata e come se ci si potesse astrarre completamente dalla Rivelazione riguardo alle questioni da essa sollevate. Enunciava anche la condizione necessaria affinché questa opinione fosse compatibile con la fede cristiana, punto sul quale ritornerò. »
   
  « Oggi, circa mezzo secolo dopo la pubblicazione dell’Enciclica, nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria. »
   
  « Qual è l’importanza di una simile teoria? Affrontare questa questione, significa entrare nel campo dell’epistemologia. Una teoria è un’elaborazione metascientifica, distinta dai risultati dell’osservazione, ma ad essi affine. Grazie ad essa, un insieme di dati e di fatti indipendenti fra loro possono essere collegati e interpretati in una spiegazione unitiva. La teoria dimostra la sua validità nella misura in cui è suscettibile di verifica; è costantemente valutata a livello dei fatti; laddove non viene più dimostrata dai fatti, manifesta i suoi limiti e la sua inadeguatezza. Deve allora essere ripensata. »
   
  « Inoltre, l’elaborazione di una teoria come quella dell’evoluzione, pur obbedendo all’esigenza di omogeneità rispetto ai dati dell’osservazione, prende in prestito alcune nozioni dalla filosofia della natura. »
   
  « A dire il vero, più che della teoria dell’evoluzione, conviene parlare delle teorie dell’evoluzione. Questa pluralità deriva da un lato dalla diversità delle spiegazioni che sono state proposte sul meccanismo dell’evoluzione e dall’altro dalle diverse filosofie alle quali si fa riferimento. Esistono pertanto letture materialiste e riduttive e letture spiritualistiche. Il giudizio è qui di competenza propria della filosofia e, ancora oltre, della teologia. »
   

Infine metteva in guardia verso alcune specifiche interpretazioni dell'evoluzionismo:

  « Le teorie dell’evoluzione che, in funzione delle filosofie che le ispirano, considerano lo spirito come emergente dalle forze della materia viva o come un semplice epifenomeno di questa materia, sono incompatibili con la verità dell’uomo. Esse sono inoltre incapaci di fondare la dignità della persona. »
   
  « Con l’uomo ci troviamo dunque dinanzi a una differenza di ordine ontologico, dinanzi a un salto ontologico, potremmo dire. Tuttavia proporre una tale discontinuità ontologica non significa opporsi a quella continuità fisica che sembra essere il filo conduttore delle ricerche sull’evoluzione dal piano della fisica e della chimica? La considerazione del metodo utilizzato nei diversi ordini del sapere consente di conciliare due punti di vista apparentemente inconciliabili. Le scienze dell’osservazione descrivono e valutano con sempre maggiore precisione le molteplici manifestazioni della vita e le iscrivono nella linea del tempo. Il momento del passaggio all’ambito spirituale non è oggetto di un’osservazione di questo tipo, che comunque può rivelare, a livello sperimentale, una serie di segni molto preziosi della specificità dell’essere umano. L’esperienza del sapere metafisico, della coscienza di sé e della propria riflessività, della coscienza morale, della libertà e anche l’esperienza estetica e religiosa, sono però di competenza dell’analisi e della riflessione filosofiche, mentre la teologia ne coglie il senso ultimo secondo il disegno del Creatore. »
   

Infine, nel 1998, nell'enciclica Fides et Ratio, Giovanni Paolo II riprese alcune specifiche parti[83] della Humani generis riguardanti alcune tendenze ed interpretazioni erronee connesse con l'evoluzionismo, e ricordava che Pio XII aveva raccomandato ai filosofi ed ai teologi cattolici di conoscere bene queste opinioni, «sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono ben conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po' di verità, sia, infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche sia teologiche».

[modifica] Posizione di Benedetto XVI

[modifica] Posizioni da arcivescovo di Monaco

Nel 1981, mentre era arcivescovo di Monaco di Baviera, il cardinale Joseph Ratzinger tenne quattro omelie sull'origine e l'evoluzione della vita, poi raccolta in un libro (Creazione e peccato. Catechesi sull'origine del mondo e sulla caduta, ed. Paoline, 1986).

Ratzinger si opponeva alla visione solo metaforica del racconto della Creazione, sostenendo che:[135]

  « Anche oggi la fede nella creazione non è irrealistica; anche oggi essa è ragionevole; anche alla luce dei dati delle scienze naturali essa è "l'ipotesi migliore", quella che offre una spiegazione più completa e migliore di tutte le altre teorie »
   

Ratzinger cita Jacques Monod sull'evoluzione biologica, ricordando come "Ancora oggi molte persone d'ingegno non riescono ad accettare e neppure a comprendere come la selezione, da sola, abbia potuto trarre da una fonte di rumore tutte le musiche della biosfera", e riassumendo l'evoluzionismo moderno con la frase: "Noi siamo il prodotto di errori casuali". [136]

  « Che dire di questa risposta? È compito delle scienze naturali chiarire attraverso quali fattori l'albero della vita si differenzia e si sviluppa, mettendo nuovi rami. Non spetta alla fede. Però possiamo e dobbiamo avere il coraggio di dire: i grandi progetti della vita non sono un prodotto del caso e dell'errore; né sono il prodotto di una selezione, cui si attribuiscono predicati divini, che in questa sede sono illogici, ascientifici, un mito moderno. I grandi progetti della vita rimandano a una ragione creatrice, ci indicano lo Spirito creatore e lo fanno oggi in maniera più chiara e splendente che mai »
   

[modifica] Posizioni in quanto papa

Nell'omelia pronunciata in piazza San Pietro il 24 aprile 2005 in occasione della Messa di inizio del suo pontificato, Benedetto XVI ha dichiarato: "Non siamo il prodotto casuale e senza senso dell'evoluzione" [137].

Il 2-3 settembre 2006 a Castelgandolfo Benedetto XVI ha condotto un seminario di analisi dell'evoluzionismo e del suo impatto sulla dottrina cattolica della Creazione. Il seminario è stata l'ultima edizione dello "Schülerkreis" (circolo degli studenti), incontro annuale tra Ratzinger e i suoi ex studenti di dottorato a partire dagli anni '70. [138][139] I saggi presentati dai suoi ex studenti, inclusi scienziati naturalisti e teologi, sono stati pubblicati nel 2007 col titolo Creazione ed evoluzione (Schöpfung und Evolution). Nel contributo di Benedetto XVI, egli dichiara che "la questione non è prendere una decisione per un creazionismo che fondamentalmente esclude la scienza, o per una teoria evoluzionistica che nasconde le sue lacune e non vuole vedere le questioni che stanno oltre le possibilità metodologiche delle scienze naturali", e che "io trovo importante sottolineare che la teoria dell'evoluzione implica questioni che devono essere assegnate alla filosofia, e che esse stesse conducono oltre al campo della scienza"

Commentando le dichiarazioni dei suoi predecessori, Benedetto XVI scrive che "è anche vero che la teoria dell'evoluzione non è una teoria completa e scientificamente provata". Benché commentando che gli esperimenti in un ambiente controllato sono limitati, Benedetto XVI non avalla il creazionismo o la teoria del disegno intelligente. Egli difende l'evoluzione teistica, come riconciliazione tra scienza e religione già sostenuta dai cattolici. Discutendo dell'evoluzione, Benedetto XVI scrive che "Il processo in sè è razionale, nonostante gli errori e la confusione, in quanto esso passa attraverso uno stretto corridoio, scegliendo poche mutazioni positive ed usando una bassa probabilità... Ciò ... inevitabilmente conduce ad una domanda che va oltre la scienza... da dove arriva questa razionalità?"; domanda a cui Benedetto XVI risponde che essa giunge dalla "ragione creativa" di Dio.[140][141][142]


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24/04/2011 20:25
 
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[modifica] Note

  1. ^ Joseph Ratzinger, Fede nella creazione e teoria dell’evoluzione, da Wer ist das eigentlich - Gott? (1969) - traduzione italiana pubblicata su Il Foglio, Il creatore dell'evoluzione - Il dissidio e l’armonia tra fede e scienza secondo il professor Ratzinger, venerdì 23 dicembre 2005 , anno X, numero 303, pagina 1 (Testo completo sul sito del progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede)
  2. ^ Questa iniziale e differente posizione di cautela della chiesa cattolica è riconosciuta anche da Margherita Hack nel suo saggio "Libera scienza in libero stato" spiegandola come dovuta all'esperienza negative del processo intentato tre secoli prima a Galileo Galilei e le recenti posizioni antievoluzioniste sviluppantisi in ambito cattolico sarebbe dovute a chi intende essere "più papista del papa"
  3. ^ Su questo aspetto le opere più influenti sono state History of the Conflict between Religion and Science (1874) di John William Draper e History of the Warfare of Science with Theology in Christendom (1896) di Andrew Dickson White, cofondatore e primo presidente della Cornell University.
  4. ^ David C. Lindberg, Ronald L. Numbers, God and nature: historical essays on the encounter between Christianity and science, University of California Press, 1986 - David C. Lindberg, Ronald L. Numbers, When science & Christianity meet, University of Chicago Press, 2003 - John Hedley Brooke, Science and religion: some historical perspectives, Cambridge University Press, 1991 - Gary B. Ferngren Science and religion: a historical introduction, John Hopkins University Press, 2002
  5. ^ Science and Religion: Some Historical Perspectives, Introduction
  6. ^ Pietro Redondi (vedi bibliografia), Parte III: Aspetti della cultura scientifica negli Stati pontifici
  7. ^ Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 1
  8. ^ Vedere in particolare il capitolo 1 ed il capitolo 8
  9. ^ Don O'Leary (vedi bibliografia), capitolo 3: A Church under Siege (traduzione italiana: Una Chiesa sotto assedio)
  10. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 219
  11. ^ Artigas, Glick, Martinez, capitolo 1 - Molari, pagina 222 (vedi bibliografia)
  12. ^ a b J.W. Gruber, A consciousness in conflict: the life of St. George Jackson Mivart, Columbia University Press, 1960 - Diversi errori ed imprecisioni del testo di Gruber vengono discussi nel lavoro di Artigas, Glick e Martinez.
  13. ^ Gian Domenico Mansi et al., Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio, volume 48, Concilium provinciale Coloniense, 1860, Decreta Concilii - Titulus IV: De homine; caput XIV: De humani generis origine hominisque natura. Testo completo scaricabile da http://www.documentacatholicaomnia.eu/
  14. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 220
  15. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 220-221
  16. ^ Come ben spiega O'Leary (vedi bibliografia), capitolo 3
  17. ^ a b Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 3
  18. ^ Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 2
  19. ^ Gli articoli di Pietro Caterini furono poi raccolti in un'opera unica pubblicata nel 1884 con il titolo Dell'origine dell'uomo secondo il trasformismo
  20. ^ capitolo 2
  21. ^ Per un'analisi più dettagliata di questi rapporti si rimanda ovviamente allo studio completo di Artigas, Glick e Martinez (vedi bibliografia)
  22. ^ Una copia della lettera è conservata anche negli archivi della Congregazione dell'Indice: ACDF Index, Protocolli, 1894-96, fol. 134 (Riferimento riportato alla nota 93 del capitolo 3 nel saggio di Artigas, Glick e Martinez)
  23. ^ Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 4
  24. ^ Leone XIII, Lettera apostolica del 22 gennaio 1899, Testem Benevolentiae Nostrae. Testo completo
  25. ^ La vicenda viene riportata con tutti i particolari nello studio di Artigas, Glick e Martinez; qui ovviamente non è possibile scendere nei dettagli
  26. ^ Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 7
  27. ^ Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 5
  28. ^ Artigas, Glick, Martinez (vedi bibliografia), capitolo 6
  29. ^ Questo libro ebbe al tempo grande diffusione; esso ebbe quattro edizioni in Italia nel giro di venti anni e fu tradotto nelle principali lingue europee (Redondi, pagina 800)
  30. ^ Per una sintesi del lavoro di Bianconi si veda Pietro Redondi, parte III; mentre su Filippo De Filippi si fa qui riferimento direttamente al suo breve saggio L'uomo e le scimie (vedi bibliografia)
  31. ^ scrive De Filippi ne L'uomo e le scimie: "... io non trovo che un solo franco e leale avversario, il prof. Bianconi di Bologna"
  32. ^ Redondi, pagina 808
  33. ^ a b Oltre al passo della Providentissimus Deus già citato al paragrafo 1.3, si consideri anche il seguente passo (parte terza, Scrittura e scienze naturali):
      « È ben manifesto quanto le scienze naturali siano atte a far comprendere la gloria dell'Artefice impressa nelle cose create, purché vengano rettamente proposte, come pure quale grande potere abbiano nello svellere gli elementi di una sana filosofa e nella corruzione dei costumi, se perversamente infuse nei giovani animi. La cognizione perciò delle cose naturali sarà un valido sussidio per il dottore di sacra Scrittura, per scoprire più facilmente e confutare anche siffatti cavilli addotti contro i Libri divini. Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo studioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nel propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant'Agostino di "non asserire nulla temerariamente, né di presentare una cosa certa come incerta". Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà sommariamente le regole del come debba comportarsi in tali casi il teologo: "Tutto ciò che i fisici, riguardo alla natura delle cose, potranno dimostrare con documenti certi, è nostro compito provare non essere nemmeno contrario alle nostre Lettere; ciò che poi presentassero nei loro scritti di contrario alle nostre Lettere e cioè contrario alla fede cattolica, o dimostriamo con qualche argomento essere falso ciò che asseriscono o crediamolo falso senza alcuna esitazione". Per comprendere quanto sia giusta questa regola, notiamo in primo luogo che gli scrittori sacri, o più giustamente "lo Spirito di Dio che parlava per mezzo di essi, non intendeva ammaestrare gli uomini su queste cose (cioè sull'intima costituzione degli oggetti visibili), che non hanno importanza alcuna per la salvezza eterna", per cui essi più che attendere direttamente all'investigazione della natura, descrivevano e rappresentavano talvolta le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il modo comune di parlare di quei tempi ed ancora oggi si usa, riguardo a molte cose, nella vita quotidiana, anche tra uomini molto colti. Dato che nel comune linguaggio viene espresso in primo luogo e propriamente ciò che cade sotto i sensi, così anche lo scrittore sacro (e come ci avverte anche il dottore angelico) "si attenne a ciò che appare ai sensi", ossia a ciò che Dio stesso, parlando agli uomini, espresse in modo umano per farsi comprendere da essi. »
       
  34. ^ a b c Il Dogma e le Scienze Positive, parte prima, capitolo 3
  35. ^ come invece racconta la Genesi
  36. ^ Il Dogma e le Scienze Positive, parte seconda, capitolo 2
  37. ^ Alla critica di alcune delle scuole apologetiche del tempo sono dedicati i capitoli 5 e 6 della parte seconda de Il Dogma e le Scienze Positive
  38. ^ Scrive Carlo Molari (vedi bibliografia), pagina 224, nota 21:
      « I numerosi tentativi "concordisti" che venivano compiuti dagli esegeti e dai teologi per mantenere il carattere storico del racconto biblico o almeno la "verità" della narrazione biblica ed insieme accogliere le conclusioni delle scienze naturali in particolare della geologia, che aveva enormemente ampliato i tempi della formazione della terra, oggi appaiono in gran parte ridicoli. Questo capitolo è scomparso dagli attuali manuali teologici ed anche da quelli esegetici, ma alla fine del secolo scorso e nei primi decenni del nostro secolo era una questione vivamente dibattuta. »
       
  39. ^ Il Dogma e le Scienze Positive, parte seconda capitolo 2
  40. ^ a b Il Dogma e le Scienze Positive, parte seconda, capitolo 3
  41. ^ Anche in una sua lettera ad un amico del 28 ottobre 1889, poi pubblicata nel 1898 nel volume Vita di Antonio Stoppani di Angelo Maria Cornelio, a proposito della teoria di Darwin, Stoppani scrive:
      « io non l'ho combattuta che come contraria ai fatti, e a quelle che noi chiamiamo impropriamente leggi della natura, mentre non anch'esse che fatti contingenti. Per me la successione delle faune, come tutto ciò che riguarda l'evoluzione delle cose create, è obbietto di profonde speculazioni, delle quali non può occuparsi il naturalista come naturalista, ma soltanto il filosofo e il teologo; o per meglio dire, sono questioni di cui non può occuparsi che lo scienziato, non di mediocre ingegno provvisto, e che sia ad un tempo naturalista, filosofo e teologo. »
       
    Stoppani quindi non rigetta l'evoluzionismo, ma di certo respinge le tesi darwiniane.
  42. ^ Sulla Cosmogonia Mosaica, parte terza, capitolo 5
  43. ^ Dante, Inferno, XXXII, 8
  44. ^ Cfr. D. Nys, recensione di Teoria dell'evoluzione e il problema dell'origine umana in Persée : Bulletin cosmologique, p. 451-452, 1900
  45. ^ O'Leary, si vedano i due paragrafi finali del capitolo 6 e l'intero capitolo 7 - Molari, parte seconda (vedi bibliografia)
  46. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 254
  47. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 251
  48. ^ Orazio Mazzella, Praelectiones scholastico-dogmaticae, volume 2, SEI, Augustae Taurinorum, 1946, quinta edizione - pagine 355-356
  49. ^ AA. VV., Darwin and modern science: essays in commemoration of the centenary of the birth of Charles Darwin and of the fiftieth anniversary of the publication of the Origin of species, Cambridge University Press, 1909
  50. ^ Citazione in O'Leary (vedi bibliografia), pagina 126
  51. ^ O'Leary (vedi bibliografia), pagina 128 - Peter J. Bowler, Reconciling science and religion: the debate in early-twentieth-century Britain, University of Chicago Press, 2001, pagina 324
  52. ^ Humphrey John Thewlis Johnson, Anthropology and the fall, Blackwell, 1923 - Hermann Muckermann, Attitude of Catholics towards Darwinism and evolution, quarta edizione, B. Herder, 1924
  53. ^ O'Leary, capitolo 7 - Artigas, Glick e Martinez, pagine 2, 26, 278 (vedi bibliografia)
  54. ^ Messenger, Evolution and Theology (vedi bibliografia), pagine 274-280
  55. ^ Messenger, Evolution and Theology (vedi bibliografia), pagina 251
  56. ^ Tommaso d'Aquino, Tito S. Centi (a cura di), La somma contro i gentili, Edizioni Studio Domenicano, 2001 - volume secondo, libro terzo, capo 69, pagina 247
  57. ^ Messenger, Evolution and theology (vedi bibliografia), pagina 279
  58. ^ Messenger, Evolution and theology (vedi bibliografia), pagine 269-273
  59. ^ Genesi 2, 21-22. Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.
  60. ^ O'Leary (vedi bibliografia), capitoli 7 e 8
  61. ^ a b Questo articolo poi venne riprodotto nel successivo lavoro di Messenger Theology and Evolution del 1952 (vedi bibliografia)
  62. ^ John Anthony O'Brien, Evolution and religion: a study of the bearing of evolution upon the philosophy of religion, The Century Co., 1932
  63. ^ Mary Frederick, Religion and evolution since 1859: some effects of the theory of evolution on the philosophy of religion, University of Notre Dame, 1935
  64. ^ Teilhard de Chardin, Le Phénomène humain (vedi bibliografia), Prologo
  65. ^ Teilhard de Chardin, Le Phénomène humain (vedi bibliografia), parte prima, capitolo 1: L’Étoffe de l’Univers
  66. ^ Teilhard de Chardin, Le Phénomène humain (vedi bibliografia), parte prima, capitolo 2: Le Dedans des Choses
  67. ^ Teilhard de Chardin, Le Phénomène humain (vedi bibliografia), parte seconda, capitolo 3: La Terre-Mère
  68. ^ a b c Jean-Michele Maldamé (Institute Catholique de Toulouse), L’eredità di Pierre Teilhard de Chardin a 50 anni dalla sua scomparsa; Giuseppe Tanzella Nitti (Pontificia Università della Santa Croce), Teilhard de Chardin: le ragioni di un interesse - articoli ([1], [2]) per il progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede
  69. ^ Acta Apostolicae Sedis 54 (1962) pagina 526
  70. ^ Henri-Marie de Lubac, La pensée religieuse du Père Teilhard de Chardin, Aubier, Paris, 1962 (Traduzione italiana, Il pensiero religioso di Teilhard de Chardin, Jaca Book, Milano, 1983)
  71. ^ L'Osservatore Romano, Pierre Teilhard de Chardin e il suo pensiero sul piano filosofico e religioso, 30 giugno 1962 [3]
  72. ^ Paolo VI, Visita ad un importante stabilimento chimico-farmaceutico, 24 febbraio 1966 [4] (Discorso riprodotto in Insegnamenti di Paolo VI, volume 4, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1979, pagine 992-993)
  73. ^ Lettera riportata da L’Osservatore Romano, 10 giugno 1981 (Lettera completa riprodotta sul sito del progetto di Documentazione Interdisciplinare di Scienza e Fede)
  74. ^ O'Leary (Vedi bibliografia), capitolo 8
  75. ^ a b c Cyril Vollert, Humani Generis and the Limits of Theology, Theological Studies, 12.1 (1951) 3-23 (articolo in pdf)
  76. ^ O'Leary fa un breve riassunto del dibattito riguardante l'evoluzionismo, mentre l'articolo di Vollert presenta le varie questioni in campo nel dibattito teologico del tempo, compreso, ovviamente, l'evoluzionismo.
  77. ^ Le encicliche, come è noto, non fanno mai esplicito riferimento a persone, testi o fatti specifici; Cyril Vollert, nel suo commento alla Humani generis, riporta però diversi autori e testi precedenti al 1950 che certamente motivano i contenuti dell'enciclica. Alcuni, ad esempio, rifiutavano l'idea che il peccato fosse un'offesa a Dio, mentre altri mettevano in discussione in concetto di transustanziazione.
  78. ^ Acta Apostolicae Sedis, 43 (1941) 506-507 - citato in Molari (vedi bibliografia), pagine 254-255
  79. ^ a b c M. Flick, L'origine del corpo del primo uomo alla luce della filosofia e della teologia, Gregorianum 29 (1948) 392-416
  80. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 255
  81. ^ Civiltà Cattolica, 1946, V. III, pagine 270-271
  82. ^ a b Papa Pio XII, Lettera enciclica Divino Afflante Spiritu, Roma, 30 settembre 1943 (Testo completo sul sito della Santa Sede) - Parte seconda, paragrafo 3
  83. ^ a b c d Queste parti dell'enciclica Humani Generis di Pio XII vengono richiamate nell'enciclica Fides et Ratio di Giovanni Paolo II
  84. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 259
  85. ^ Réginald Garrigou-Lagrange, De Deo trino et creatore, Marietti, Augustae Taurinorum, 1951, seconda edizione, pagine 405-406 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 259
  86. ^ J. F. Sagües, in Sacrae Theologiae summa, B.A.C., Matriti, 1958, terza edizione, pagina 647 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 259-260
  87. ^ M. Schmaus, Dogmatica cattolica, Marietti, Torino, 1959 125, pagine 646-651 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 260
  88. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 260-265
  89. ^ Gaetano Maria Perella, Introduzione generale alla Sacra Bibbia, Torino 1948, pagina 84
  90. ^ Hadriano Simón, Juan Prado, Praelectiones biblicae ad usum scholarum a H. Simón incoeptae I, De sacra veteris Testamenti historia, Marietti - El perpetuo socorro, Torino-Madrid, I, III, numero 75, pagine 76-81
  91. ^ Albert Gelin, Création, in Dictionnaire de théologie catholique, Tables I (1953) 854 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 261
  92. ^ Franco Festorazzi, La Bibbia e il problema delle origini, Paideia, Brescia 1966, pagina 96 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 261, nota 165
  93. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 263
  94. ^ Pierre Smulders, La vision de Teilhard de Chardin, Desclée de Brouwer, Paris, 1964, pagina 43 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 262
  95. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Il peccato originale, Queriniana, Brescia, 1972, pagina 224 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 263
  96. ^ Paolo VI unitamente ai Padri del Sacro Concilio, Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum, 18 novembre 1965, capitolo 3 (Testo completo sul sito della Santa Sede)
  97. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 266-270, 277, 288-289
  98. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 276-279
  99. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 277 - Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Fiorentina, Firenze, 1969, pagina 182:
      « Non si può negare che l'immagine dello stato paradisiaco è pensata in un contesto fissista, ed in conformità alla persuasione universale ed istintiva, secondo cui tutto ciò che è più vicino al principio è più perfetto e successivamente si degrada. »
       
  100. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 283 - Facchini (vedi bibliografia), pagina 143
  101. ^ Francisco J. Ayala, The Myth of Eve: Molecular Biology and Human Origins, Science, New Series, volume 270, numero 5244 (22 dicembre 1995), 1930-1936
  102. ^ Paolo VI, Discorso ai partecipanti al simposio sul mistero del peccato originale, 11 luglio 1966, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) 469 (testo completo sul sito della Santa Sede)
  103. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 266
  104. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 270-273, 289
  105. ^ Charles Boyer, Tractatus de Deo Creante et Elevante, quinta edizione, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1957, pagina 177:
      « Dio non solo fu la causa prima, ma anche principale e quindi è falso che l'uomo sia stato propriamente generato da un bruto. »
       
  106. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Fiorentina, Firenze, 1969, pagina 127 - Charles Boyer, Tractatus de Deo Creante et Elevante, quinta edizione, Editrice Pontificia Università Gregoriana, 1957, pagina 185
  107. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Fiorentina, Firenze, 1969, pagina 127
  108. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 289
  109. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, I primordi della salvezza, Marietti, Torino, 1979, pagine 93-94 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 273, nota 208
  110. ^ Molari (vedi bibliografia) pagine 273-276
  111. ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969, pagina 96
  112. ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969, pagina 90
  113. ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969, pagine 80-81
  114. ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969, pagina 92
  115. ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969, pagina 68
  116. ^ Karl Rahner, Il problema dell'ominizzazione, Morcelliana, Brescia, 1969, pagina 94
  117. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 275-276 - Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Fiorentina, Firenze, 1969
  118. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Fondamenti di una antropologia teologica, Fiorentina, Firenze, 1969, pagine 119-120 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 276, nota 222
  119. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 290
  120. ^ La persona umana creata a immagine di Dio (vedi bibliografia), paragrafi 30 e 70
  121. ^ Angelo Scola, Gilfredo Marengo, Javier Prades López, La persona umana: antropologia teologica, Editoriale Jaca Book, 2000, pagina 136
  122. ^ Molari (vedi bibliografia), pagine 280-286, 291-293
  123. ^ Concilio di Trento, sessione V (17 giugno 1546), Decreto sul peccato originale (testo completo)
  124. ^ Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 282, nota 247
  125. ^ Karl Rahner, Theologisches zum monogenismus, Zeitschrift fur katholische Theologie 76 (1954) pagine 1-18, 187-233 - Traduzione italiana in Saggi di antropologia teologica, Paoline, Roma, 1965, pagine 169-279 - In seguito Rahner tentò di sviluppare compiutamente un modello per conciliare il poligenismo con l'ipotesi di un peccato originale: Peccato originale ed evoluzione, Concilium 3 (1967) numero 6
  126. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Il peccato originale, Queriniana, 1972, pagina 224
  127. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 284
  128. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 285
  129. ^ Ansfridus Hulsbosch, Storia della creazione storia della salvezza: creazione, peccato e redenzione in una prospettiva evoluzionistica del mondo, Vallecchi, Firenze, 1967 (l'originale è del 1964), pagina 52 - Citazione in Molari (vedi bibliografia), pagina 286
  130. ^ Maurizio Flick, Zoltan Alszeghy, Il peccato originale, Queriniana, 1972, pagina 373
  131. ^ Molari (vedi bibliografia), pagina 286, 291 - Riguardo allo sviluppo della dottrina sul peccato originale, il confronto con l'evoluzionismo è stato di forte stimolo ed ha permesso un notevole approfondimento dell'esegesi biblica. Le conclusioni a cui si è giunti restano ormai valide indipendentemente dalla teoria dell'evoluzione. Sempre Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy (I primordi della salvezza, Marietti, Torino, 1969, pagina 97) notavano:
      « Se un giorno le scienze abbandonassero l'evoluzionismo, ciò in teologia non cambierebbe nulla. Resterebbe sempre un arricchimento dell'intelligenza della fede, provocata dall'incontro con l'evoluzionismo. »
       
  132. ^ La persona umana creata a immagine di Dio (vedi bibliografia), paragrafo 43
  133. ^ Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio internazionale “Fede cristiana e teoria dell'evoluzione” (vedi bibliografia)
  134. ^ Giovanni Paolo II, Messaggio alla Pontificia Accademia delle Scienze in occasione del 60º anniversario della rifondazione (vedi bibliografia)
  135. ^ Creazione e peccato. Catechesi sull'origine del mondo e sulla caduta, ed. Paoline, 1986, p. 17
  136. ^ Creazione e peccato. Catechesi sull'origine del mondo e sulla caduta, ed. Paoline, 1986, p. 45
  137. ^ http://www.zenit.org/italian, codice ZI05042401
  138. ^ Pope to Dissect Evolution With Former Students, Stacy Meichtry, Beliefnet
  139. ^ Benedict's Schulerkreis, John L. Allen Jr, National Catholic Reporter Blog, Sep 8, 2006
  140. ^ Pope says science too narrow to explain creation, Tom Heneghan, San Diego Union-Tribune, April 11, 2007
  141. ^ Evolution not completely provable: Pope, Sydney Morning Herald, April 11, 2007
  142. ^ Pope praises science but stresses evolution not proven, USA Today, 4/12/2007


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27/04/2011 21:40
 
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Una considerazione non secondaria che un credente dovrebbe fare in merito alla ipotesi dell'evoluzione, è la seguente:

La Bibbia dichiara che la morte è il risultato del peccato (il peccato essendo la disubidienza/ribellione a Dio). Un credente che contemporaneamente crede in millioni di anni di evoluzione accetta che i fossili hanno millioni di anni e cosi accetta che la morte e la sofferenze siano stati presente sulla terra prima dell'evoluzione del primo uomo. L'evoluzione assolutamente necessita del processo di morte come il suo meccanismo di elliminazione delle forme di vita meno adatte. Se la morte c'è sempre stata, prima del peccato, allora non può essere la conseguenza del peccato. Allora cosa possiamo dire dell peccato? Sarà un concetto filosofico e se il peccato è un concetto filosofico allora cosa dire della crocefissione di Gesù e la Sua morte per i nostri peccati filosofici? Rende inutile e privo di significato il sacrificio del Figlio di Dio per la nostra redenzione.

Come mai molti credenti non hanno mai fatto questa riflessione e non sono arrivati alla stessa conclusione degli atei? L'ateo Richard Bozarth nella rivista atea American Atheist , ha dichiarato nel suo articolo "The Meaning of Evolution" del 20 Sept. 1979, p. 30: "È chiaro che la comprensione della vita di Gesù e la Sua morte sono la consequenza dell’esistenza di Adamo e del frutto proibito che lui ed Eva mangiarono. Senza il peccato originale, chi ha bisogno di essere redento? Senza la caduta di Adamo in una vita di costante peccato, culminata nella morte, quale ruolo rimane per la Cristianità? Nessuno.”
Ogni credente che accetta l'evoluzione dovrebbe porsi questo problema in quanto da una premessa errata potrebbe venir messa in discussione tutta l'economia della salvezza.
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08/02/2012 22:58
 
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CHIESA ED EVOLUZIONE

1) San Gregorio di Nissa, nel IV secolo, riferendosi alla Bibbia, scrive:-""quale uomo ragionevole crederebbe che possa esserci stato un primo, e un secondo, e un terzo giorno della creazione, ciascuno con il suo mattino e la sua sera, prima che il
sole fosse creato ?""- ( Gn 1,1-13; Gn 1,14- 19 ).

2) Ancora, tutti possono notare che nella Genesi esiste una contraddizione cronologica riguardante la creazione. In una parte della Genesi ( 1,24 -26 ) prima vengono creati gli animali e poi l'uomo. In un'altra parte ( Gn2,7-18 ) prima viene creato l'uomo e poi vengono creati gli animali.

3) La Bibbia, dunque, non è un testo scientifico ma vuole unicamente
comunicare attraverso un linguaggio simbolico - sapienziale,  comprensibile
per gli uomini del tempo, e attraverso le vicende della loro storia, un
messaggio spirituale.

4) La creazione dell'uomo viene raccontata in questo modo:- Allora Dio, il Signore, prese dal suolo un po' di terra e, con quella, plasmò l'uomo. Gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo diventò una creatura vivente- ( Gn 2,7).
Anche questo racconto non può essere preso alla lettera. Infatti, Dio viene
paragonato ad un uomo, ma Dio non è un uomo, non è un vasaio che impasta
l'argilla e non ha polmoni per soffiare l'aria.
  Questa scena è tuttavia adatta per far capire che l'uomo si presenta fatto
di due principi: la materia terrestre e un principio vitale superiore che
non è opera della materia ma gli è infuso da Dio
.
L'uomo appartiene a due mondi: quello della materia e quello dello spirito.
La Bibbia dice che la materia prima è stata fatta da Dio: infatti l 'autore
parla della terra come di una pianura completamente deserta e questo è un
modo rudimentale per esprimere l'idea della creazione della materia prima e
delle sue leggi, materia prima che fu creata insieme con il tempo
stesso( Gn 2,5 ).
  Una parte dell'uomo è fatta con questa materia ma la Bibbia non spiega se
la materia vivente che costituisce la parte fisica dell'uomo sia stata fatta
per azione diretta o attraverso il concorso di forze naturali che abbiano
impiegato tempi lunghissimi: forze naturali che operano all'interno di un
contesto costituito da principi e regole.

5) Sant'Agostino dice: - ""Al principio furono creati solo i germi, o le
cause, delle forme di vita, che in seguito si sarebbero sviluppate
gradualmente"" -.

6)"" Dio non muove il mondo dandogli un impulso iniziale sovrapposto alla
sua natura, ma crea l'intero -sistema- insieme a tutte le sue forze, di modo
che esso fin dal primo momento agisce di per se stesso e in virtù della
propria natura, e insieme tutto il suo agire dipende dall'opera creatrice di
Dio. La natura appare così come un'opera d'arte di un Artista creatore,
senza per questo ridursi ad un meccanismo artificiale senza forze autonome
( in questo caso infatti non sarebbe natura, cioè principio intrinseco di
operazioni ). Dio non è un artista al modo umano, cioè non ordina delle
realtà
preesistenti, bensì istituisce sia l'ordine sia le cose ordinate e le loro
leggi operative: egli causa in quanto Creatore, poiché crea la natura
stessa. La natura non è che il disegno di un'arte divina impressa nelle
cose, per la quale queste si muovono verso il loro fine determinato; come se
il costruttore di una nave potesse conferire al legno la capacità di
muoversi di per se stesso al fine di formare la struttura della nave""
( Mariano Artigas, Juan José Sanguineti, Filosofia della natura, Le Monnier,
Firenze 1989, p.122)

7) La contemporanea e non contraddittoria immanenza-trascendenza di Dio
scavalca il rischio del "panteismo" ( nel quale Dio viene materializzato
oppure la creatura confusa con Dio e divinizzata ) e del "deismo" ( Dio
totalmente separato al mondo e, quindi, mondo, di fatto, senza Dio ).
  La difficoltà a comporre questi due "poli" deriva dal fatto che
trascendenza e immanenza sono colte nella loro dimensione spazio-temporale
e, allora, trascendenza significherebbe distacco e immanenza presenza
dall'interno ). Il conflitto trascendenza-immanenza viene risolto dalla
filosofa dell'essere ( cosiddetto "realismo moderato" ). L'essere è ciò che
fa che le cose siano ( "atto d'essere"). Tutte le cose ricevono in parte (
dottrina della "partecipazione" ) un certo modo d'essere
"essenza" ) ma non sono l'essere assoluto.
  L'essenza esprime la specificità e la natura autonoma di ogni ente ( che
ha in sé il principio delle proprie operazioni ) e, nello stesso tempo, in
ogni ente è presente il necessario rapporto con l'atto d'essere: l'atto
d'essere fa in modo che Dio possa operare in tutte le cose trascendendole
allo stesso
tempo. L'essere allo stato puro ha relazione con ogni altra cosa non in
senso fisico ma come causa di ogni altra causa, atto di ogni altro atto.

8) Piccola nota sulle teorie del caso:
Può essere casuale e cioè non preordinato che il vento apra la finestra e
rovesci i bicchieri che sono sul tavolo. Ma questo avvenimento non
preordinato ha bisogno, per accadere, di una realtà preesistente e
preordinata e cioè ha bisogno del vento, della finestra, del tavolo, dei
bicchieri, della legge di gravità ecc. Così i meccanismi evolutivi hanno
bisogno A)di alcuni elementi B)di differenze e affinità fra questi elementi
C) che questi elementi possano combinarsi D) che le combinazioni possano
permanere per un certo tempo:
"" La vita, legata a certi principi e regole, può comporre solo certe forme;
quel che accade nella storia è semplicemente l'opzione di una forma o di
un'altra, è una scelta ma non dell'illimitato, bensì tra un numero
discontinuoe limitato di forme possibili"" ( Giuseppe Sermonti )

9) Nella Bibbia bisogna distinguere il contenuto dal tipo di forma
espositiva ( genere letterario ) che è stato usato. Se, ad esempio, devo
comunicare una verità psicologica e morale e mi servo di una favola, come
quelle di Esopo, non si potrà dire che il mio racconto è totalmente falso
perché esso è soltanto un modo espressivo per trasmettere un messaggio di
altra natura.

10) Inoltre non bisogna dimenticare che Dio ispira l'autore sacro ma non
detta. L'autore deve tradurre l'ispirazione divina attraverso il suo
linguaggio, la sua cultura, la sua esperienza, la sua capacità: il
linguaggio, la cultura, l'esperienza e la capacità sono caratteristiche di
un determinato individuo, di un determinato tempo e di un determinato
ambiente.
Scrive il pensatore cattolico colombiano Nicolàs Gòmez Dàvila: " Non è stato
un Dio ventriloquo a ispirare la Bibbia. La voce divina attraversa il testo
sacro come un vento tempestoso il folto
di un bosco".

11) Per quanto riguarda l'origine dell'uomo, cosa dice la Chiesa a cui è
affidato il compito di interpretare la Bibbia ? La Chiesa spiega che le
varie teorie dell'evoluzione, le quali dicono che il corpo umano avrebbe
origine dalle trasformazioni di una materia vivente che esisteva prima di
esso, sono compatibili con il messaggio biblico. La Chiesa, però, sottolinea
con forza che l'anima spirituale dell'uomo, comunque egli sia arrivato alla
sua materia corporea, viene sempre creata immediatamente e direttamente da
Dio e non deriva dalle sole forze della materia viva, come se fosse un
semplice epifenomeno cioè un semplice prolungamento di questa materia.
( cfr Giovanni Paolo II, Dalla Bibbia una luce superiore illumina
l'orizzonte di studi e di ricerche sull' origine della vita e sulla sua
evoluzione, Messaggio del Santo Padre alla Plenaria della Pontificia
Accademia delle scienze, L'Osservatore Romano, ed. Settimanale n.44, p.6, 1
novembre 1996 ).


12) L'aggettivo umano va riservato al corpo soltanto in quanto unito
all'anima: esso comincia ad essere umano solo con la creazione dell'anima.
Il momento della creazione dell'anima è un mistero.
  Tale connessione non è un oggetto scientifico da ricercare ma un passaggio
metafisico-filosofico.  ( Non è compito della teologia individuare in quale
fase dell'ominizzazione sia comparso l'uomo.   Questo è un compito della
scienza la quale utilizza tutte le conoscenze che si possono avere sia sul
piano morfologico sia sul piano delle manifestazioni culturali che
contraddistinguono l'uomo).
    Il mistero, si potrebbe dire, è una realtà di cui la ragione riesce a
comprendere l'esistenza ma non riesce a comprenderne completamente
l'essenza, cioè la ragione non riesce a farsi del mistero un concetto
completo, tale da poterlo ridurre ad un'immagine che, seppur riassuntiva,
sia in grado di farcelo possedere interamente. Comprendere una cosa,
dicevano Aristotele e San Tommaso, è in un certo qual modo appropriarsi di
essa, cioè contenerla in sé.

Il mistero non è un'invenzione della religione perché accanto ai misteri
sovrannaturali esistono i misteri naturali, cioè quelli presenti nel mondo
della natura. Ad esempio, possiamo conoscere la forma di un fiore ma non
possiamo dimostrare pienamente perché deve essere in quella maniera e non in
un'altra: possiamo constatare dei fatti ma non possiamo dare una ragione
piena e totale di essi.

Riusciamo, ad esempio, a comprendere con la ragione l'esistenza
dell'infinito, astrazione tipica della matematica ma non possiamo possederlo
interamente: la sola teoria dei numeri e quindi a più forte ragione l'intera
matematica, costituiscono un sistema infinito di verità, nel senso più vero
e profondo della parola infinito e cioè nel senso che ad esso nessuna mente
umana, sempre limitata, potrà mai dare fondo e possederlo interamente


13) L'esistenza dell'anima può essere dedotta ( esistono numerosi passaggi
di  logica metafisica ) dalle operazioni intellettuali e volitive
dell'essere umano: si tratta di deduzioni che usano il principio di non
contraddizione che è il fondamento e l'inizio del ragionamento stesso.

Le strade che il ragionamento può percorrere per dimostrare l'esistenza
dell'anima non sono di tipo sperimentale perché queste valgono solo per le
cose che si possono percepire con i sensi.

La sperimentazione presuppone, da parte dello sperimentatore, un dominio e
quindi una certa superiorità sulla cosa su cui sperimenta: questa, infatti,
deve essere a sua disposizione, deve poterla vedere, toccare, sezionare,
deve poter riprodurre il fenomeno che studia.

Volere una prova sperimentale dell'esistenza dell'anima significherebbe
abbassare l'anima al rango degli enti materiali e quindi sbagliarsi già
metodologicamente su quello che essa è.

La scienza di tipo sperimentale deve riconoscere i suoi limiti e la sua
impotenza in merito al problema dell'esistenza dell'anima: essa non può
affermare o negare l'esistenza dell'anima.

Con il termine anima, che deriva da ànemos - soffio, vento -, si intende il
principio primo dell'attività di tutti gli esseri viventi.

Nell'uomo, la natura dell'anima è immateriale anche se essa informa il corpo
e costituisce con esso un'unica sostanza: il modo di agire manifesta il modo
di essere e alcune operazioni intellettive e volitive dell'essere umano, pur
procedendo dal corpo, trascendono il mondo materiale dimostrando
che non possono avere il corpo come unico soggetto.

L'esistenza dell'anima spirituale è dimostrabile per via logico deduttiva:
essa si deduce dall'esistenza di tre attività umane che trascendono il corpo
e la materia stessa. Queste attività sono la conoscenza intellettiva ( da
non confondere con la semplice conoscenza sensitiva ), l'autocoscienza o
conoscenza riflessa o riflessione, il desiderio della felicità assoluta e
quindi dell'eternità.


La dimostrazione dell'esistenza dell'anima non appartiene alla scienza
sperimentale ma alla scienza metafisica o filosofia prima che studia i
principi primi e più universali della realtà: queste due scienze, pur
essendo autonome non possono, però, essere considerate separate o
antitetiche perché la metafisica si occupa di quegli elementi primi di
conoscenza che sono il presupposto del ragionamento stesso e della stessa
argomentazione scientifica.

Gli scienziati, studiando il funzionamento delle cose, fanno un uso continuo
del principio di causalità e di finalità ma in genere non si chiedono che
cos'è il principio di causalità e di finalità, né si chiedono da quali
nozioni basilari derivino questi principi e, quando lo fanno, anche se non
se ne rendono conto, stanno uscendo dal settore sperimentale e si pongono
considerazioni di carattere metafisico.

La metafisica o filosofia prima, cioè il ragionamento sui primi principi
della realtà, non è in antitesi con la scienza sperimentale perché studia il
presupposto della stessa scienza sperimentale, cioè studia tutto ciò che
viene assunto come premessa dalla stessa ricerca sperimentale.

""La scienza sperimentale, per esistere, ha bisogno di presupposti
metafisici e di scelte etiche che non possono essere misurati e dimostrati
con i mezzi della scienza sperimentale stessa.

Presupposti Metafisici ed etici che istituiscono la scienza sperimentale e
ne permettono la continuità:

1) Che esista una realtà indipendente dalla nostra mente
2) che questa realtà sia ordinata
3) che essa sia comprensibile
4) che sia un bene indagarla:


Scrive Einstein:" Senza la convinzione che con le nostre costruzioni
teoriche è possibile raggiungere la realtà, senza convinzione nell'intima
armonia del nostro mondo, non potrebbe esserci scienza. Questa convinzione
è, e sempre sarà, il motivo essenziale della ricerca scientifica. In tutti i
nostri sforzi in ogni drammatico contrasto fra vecchie e nuove
interpretazioni riconosciamo l'eterno anelito d'intendere, nonché
l'irremovibile convinzione dell'armonia del nostro mondo, convinzione ognor
più rafforzata dai crescenti ostacoli che si oppongono alla comprensione".

Oltre questi presupposti metafisici, la scienza sperimentale, per esistere,
necessita di un fondamentale presupposto etico: si deve, infatti,
presupporre che - il risultato del lavoro scientifico sia importante nel
senso che sia degno di essere conosciuto -. E- sottolinea Max Weber- " qui
evidentemente hanno le loro radici tutti i nostri problemi. Giacché questo
presupposto non può
essere a sua volta dimostrato con i mezzi della scienza. Dunque, dietro la
scienza c'è una scelta etica: la scelta del valore della conoscenza. La
scienza è resa possibile dall'imperativo che ci comanda di acquisire
conoscenza, sempre più conoscenza, sempre - migliore - conoscenza. ""
( Dario Antiseri )


Dedurre dalle operazioni intellettuali e volitive che nell'uomo c'è qualcosa
che va oltre l'uomo come materialità non significa aver chiarito questo
qualcosa.
Un ente spirituale cioè non puramente materiale ( e pertanto non misurabile
con la scienza sperimentale ) resta propriamente un "mistero", cioè un
qualcosa che supera la natura.

Pertanto nessuno potrà mai capire l'essenza dell'anima, né come l'anima è
stata creata, né come si è connessa al corpo durante le fasi evolutive, né
come si connette al corpo nel momento della fecondazione. La nozione di
anima non entra nel dominio della scienza sperimentale
  La stessa filosofia greca, sul problema dell'anima, reputava necessaria
una Rivelazione.
Ogni rivelazione dà luogo a forme di teologia: cioè all'uso della ragione e
quindi del principio di non contraddizione, ma all'interno dei dati
rivelati.


14)L'origine spirituale dell'uomo, il peccato originale, la propagazione del
peccato originale fanno parte , pur con differenze di forma, dell'inconscio
spirituale dell'umanità ( vedi studi di Mircea Eliade ) e sono presenti
nella rivelazione cristiana.
  Qui, però,  si entra nel campo della teologia ( delle sue leggi e del suo
ambito specifico: uso e ricerca della ragione ma all'interno dei dati di
fede).



15) Monogenismo, Poligenismo e ipotesi teologiche



  Per quanto riguarda l'ipotesi poligenista ( teoria secondo cui l'umanità
deriverebbe da più coppie umane), è necessaria una precisazione che faccia
chiarezza di alcuni dubbi teologici che possono nascere.

In questo campo, come cattolici, possediamo solo due verità definitive e
irreformabili: ogni anima umana è direttamente creata da Dio e il peccato
originale è il peccato di Adamo ed Eva che si trasmette non per imitazione
ma per propagazione.   ( CFR  Catechismo della Chiesa Cattolica n.419 ).

  Se l'ipotesi poligenista fosse vera ( cioè dimostrata in modo "apodittico"
: cosa ancora lontana dalla realtà ) il problema sarebbe soltanto quello di
scoprire il modo di conciliare questa verità naturale con le due verità
rivelate: ma, in tal caso, il problema di come conciliarle sarebbe
secondario, perché sicuramente dovrebbe esistere una conciliazione dato che
la verità non può mai contraddire la verità ( cfr Leone XIII,
Provvidentisimus Deus ).

  Il caso Galileo insegna: San Roberto Bellarmino, che aveva partecipato al
processo disciplinare di Galileo, aveva detto che, quando ci sarebbe stata
la dimostrazione scientifica della nuova teoria copernicana, sarebbe stato
necessario dire che certi testi della Bibbia, che sembrano contrari, non
siamo riusciti a capirli invece di dire che è sbagliato quello che viene
scientificamente dimostrato.

  Già S. Agostino scriveva:-" se ad una ragione evidentissima e sicura, si
cercasse di contrapporre l'autorità delle Sacre Scritture, chi fa questo non
comprende e oppone alla verità non il senso genuino delle Scritture, che non
è  riuscito a penetrare, ma il proprio pensiero, vale a dire non ciò che ha
trovato nelle Scritture, ma ciò che ha trovato in se stesso, come se fosse
in esse"-.

  Per l'ipotesi evoluzionista, Pio XII invitava ad un tale lavoro di
conciliazione  ( cfr Humani generis ): se il corpo umano ha origine dalla
materia vivente che esisteva prima di esso, bisogna però tenere presente il
principio secondo cui l'anima spirituale è immediatamente creata da Dio e
quindi l'anima non potrà mai essere considerata un prodotto dell'evoluzione.

  Per dimostrare la propagazione del peccato originale da parte di Adamo ed
Eva, la riflessione teologica  è ricorsa all'ipotesi monogenista, non
sapendo, sul momento, come conciliarla con quella poligenista e, nel fare
ricorso all'ipotesi monogenista, è dovuta ricorrere all'incesto per spiegare
la genesi dell'umanità: infatti se Dio ha creato soltanto Adamo ed Eva, l'
umanità poteva crescere e moltiplicarsi solo grazie all'incesto tra i figli
di Adamo.

  Per questo Pio XII scriveva nella Humani generis che, sul momento, in
merito all'ipotesi poligenista :"- (.) non appare in nessun modo come queste
affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e
gli atti del magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale
(..)"-. Le parole di Pio XII sono prudenti: escludono la poligenesi solo in
quanto comprometta la verità della propagazione del peccato originale da
parte di Adamo ed Eva. Qualora non la compromettesse sarebbe accettabile.

  Secondo un'ipotesi teologica, nata per rispondere alla difficoltà di
attribuire doni preternaturali a un'umanità psichicamente e moralmente
arretrata, il possesso dei doni preternaturali nell'umanità originaria
sarebbe stato vero ma soltanto virtuale o potenziale, non attuale (
potenziale come è,
per esempio, l'uso di ragione nel neonato, oppure in un soggetto malato o
malformato in cui la razionalità non si attualizza mai, o cessa di essere in
atto ). Dall'inizio di un progresso soprannaturale, sostenuto dalla grazia,
l'uomo sarebbe ricaduto sul piano di un'evoluzione soltanto naturale.
Secondo questa ipotesi, l'umanità, se non fosse intervenuto il peccato,
sotto la spinta della grazia non avrebbe sperimentato la fine della vita
terrena come una rottura dolorosa ma come un passaggio, reso sereno dalla
certezza dell'unione con Dio. Nella rivelazione biblica il paradiso
terrestre era solo una condizione provvisoria. Questa ipotesi teologica può
essere utile per dare vita ad una ulteriore riflessione nel caso fosse
dimostrata la presenza, in origine, di più coppie umane ( poligenismo ).

  In questo caso Adamo ed Eva rappresenterebbero la prima coppia in cui si
sarebbero risvegliate le potenze dell'anima per intervento di Dio e quindi
la prima coppia destinata ad avere un ruolo di autorità spirituale nei
confronti di tutte le altre coppie: la coppia deputata  a svegliare le
potenze dell'anima degli altri uomini propagando loro il proprio
 "imprinting" spirituale. Svegliare le potenze dell'anima negli altri uomini
non significa togliere loro la dignità di esseri umani: infatti una persona
non smette di essere persona nel momento in cui dorme perché il soggetto
esiste anche quando per qualche motivo non può agire. Poiché i nostri
progenitori peccarono, essi propagarono questo risveglio spirituale nel
peccato e quindi in uno stato di disordine per quanto riguarda le facoltà
operative che, al risveglio, passavano dalla potenza all'atto: essi
provocarono, con il loro peccato, una ferita profonda nella loro natura e in
tutta la natura umana. Questo "imprinting " spirituale, poi, fu propagato da
altri, in una catena di trasmissione umana destinata a coinvolgere tutti i
primi uomini e a corromperli nel momento in cui le potenze delle loro anime
si risvegliavano "attualizzandosi ". Se il peccato originale si trasmette
per propagazione, questa propagazione sarebbe avvenuta, inizialmente,
attraverso l'imprinting spirituale trasmesso da una coppia ormai decaduta e
corrotta : tale imprinting, una volta raggiunti tutti gli uomini esistenti,
si sarebbe trasmesso, poi, mediante la generazione fisica. In questo caso si
tratterebbe di una verità che si aggiunge in perfetta continuità con quelle
già conosciute, per meglio spiegarle e completarle. Il pensatore cattolico
Gomez Davila scriveva che, nella Chiesa Cattolica, per rinnovare non occorre
contraddire ma basta approfondire. ""Lo sviluppo della dottrina è una verità
chiaramente affermata dalle Scritture, quando il Signore ha detto agli
Apostoli: "Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci
di portarne il peso. Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà
alla verità tutta intera" (Giovanni 16,12-13).
  Esso significa che in un tempo successivo il Magistero della Chiesa -
assistito dallo Spirito Santo - può precisare ed approfondire quanto detto
precedentemente, anche andando al di là di quanto avevano capito gli
estensori del documento precedente. Bisogna accuratamente
distinguere sviluppo da contraddizione. C'è contraddizione solo  quando la
nuova
affermazione afferma esattamente ciò che l'altra nega o viceversa "" ( Don
Pietro Cantoni ). Il peccato originale ha ferito la materia vivente  di
Adamo ed Eva, nostri progenitori spirituali,  e di tutti gli  altri  a cui
giungeva il loro imprinting spirituale,  ferendo, quindi, la stessa materia
vivente da trasmettere ai figli nel momento della fecondazione. Dopo il
peccato originale, infatti, l'anima di ogni essere umano, anche se creata
direttamente da Dio, compie un lavoro di animazione, di sviluppo e di
formazione su di una materia vivente che è stata resa priva dei particolari
benefici di cui Dio l'aveva dotata per poter rispondere alle esigenze dell'
anima stessa: infatti tale materia è diventata corruttibile e reca in sé l'
impronta di un evidente conflitto fra le potenze inferiori dell'anima (
passioni ) e quelle superiori ( ragione e volontà ). Dopo il peccato
originale, l'io spirituale creato da Dio, dotato di coscienza e volontà,
animando una materia vivente contaminata, subisce una situazione di
disordine, non nella sua essenza, ma nelle sue operazioni dato che è
sostanzialmente unito al corpo che "informa".

  Questa solidarietà esistente fra gli uomini, anche per quanto riguarda l'"
attualizzazione" della loro umanità, avrebbe una grande analogia con la
fede, che nessuno può avere se qualcuno non la trasmette con la parola e
potrebbe essere una prefigurazione della Chiesa stessa. "" Alla Chiesa
appartiene essenzialmente l'elemento del - ricevere -, così come la fede
deriva dall'ascolto e non è prodotto di proprie decisioni o riflessioni. La
fede infatti è incontro con ciò che io non posso escogitare o produrre con i
miei sforzi, ma che mi deve invece venire incontro. Questa struttura del
ricevere, dell'incontrare, la chiamiamo - Sacramento -. E appunto per questo
rientra ancora nella forma fondamentale del Sacramento il fatto che esso
viene ricevuto e che nessuno se lo può conferire da solo" ( Joseph
Ratzinger, Chiesa, Ecumenismo e Politica, Nuovi saggi di ecclesiologia,
trad. italiana, edizioni Paoline, Cinisello Balsamo ( Milano ) 1987 ,
pp.15-16 ).

( Bruto Maria Bruti )

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31/10/2014 14:49
 
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Francesco come Dobzhansky:
«l’evoluzione è la creazione di Dio»

Bellissima, inoltre, la riflessione di Francesco sull’evoluzione biologica: «Quando leggiamo nella Genesi il racconto della Creazione rischiamo di immaginare che Dio sia stato un mago, con tanto di bacchetta magica in grado di fare tutte le cose. Ma non è così. Egli ha creato gli esseri e li ha lasciati sviluppare secondo le leggi interne che Lui ha dato ad ognuno, perché si sviluppassero, perché arrivassero alla propria pienezza. Egli ha dato l’autonomia agli esseri dell’universo al tempo stesso in cui ha assicurato loro la sua presenza continua, dando l’essere ad ogni realtà. E così la creazione è andata avanti per secoli e secoli, millenni e millenni finché è diventata quella che conosciamo oggi, proprio perché Dio non è un demiurgo o un mago, ma il Creatore che dà l’essere a tutti gli enti. L’inizio del mondo non è opera del caos che deve a un altro la sua origine, ma deriva direttamente da un Principio supremo che crea per amore. Il Big-Bang, che oggi si pone all’origine del mondo, non contraddice l’intervento creatore divino ma lo esige. L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono. Per quanto riguarda l’uomo, invece, vi è un cambiamento e una novità. Quando, al sesto giorno del racconto della Genesi, arriva la creazione dell’uomo, Dio dà all’essere umano un’altra autonomia, un’autonomia diversa da quella della natura, che è la libertà.».

Subito è scattata la reazione dell’altare laicista italiano, il quotidiano “Repubblica, cheha titolato“Il Papa: “Il big bang non contraddice il creazionismo. Il quotidiano del finto amico di Papa Bergoglio, Eugenio Scalfari, ha scelto di mettere in bocca al Papa il termine “creazionismo”, ovvero l’ideologia (“-ismo”) sostenuta dal mondo protestante sulla lettura letterale della Bibbia, che contrasta apertamente l’evoluzione. Peccato che quello di Francesco sia stato un inno all’evoluzione biologica, con il quale ha voluto mostrare come essa non contraddica affatto la visione teologica cattolica della Creazione.

Il secondo atto della rapida “risposta” di “Repubblica” è stata quella di intervistare un “piccolo Odifreddi”, il fisico Carlo Rovelli il quale ha sostenuto che «è un grave errore dire che il Big Bang esige l’intervento di un creatore divino». Il fisico italiano, nella foga di definirsi “serenamente ateo” e affermare che “tutti gli scienziati sono atei”, ha interpretato il discorso di Papa Francesco come una dichiarazione scientifica. Ed invece era uno sguardo filosofico su un dato scientifico, esattamente come quando Rovelli parla della«meraviglia di molto ordine che nasce dalle infinite combinazioni delle cose. Il credente chiama questa emozione Dio. Io la chiamo emozione». Come quella di Francesco, la sua è una legittima riflessione filosofica sull’universo, seppur rivelante una volontà di fermarsi “all’emozione” senza avere il coraggio di andare oltre ad essa, come invece fece il suo “collega” Albert Einstein«Noi siamo nella situazione di un bambino che è entrato in una immensa biblioteca piena di libri scritti in molte lingue. Il bambino sa che qualcuno deve aver scritto quei libri, ma non sa come e non conosce le lingue in cui sono stati scritti. Sospetta però che vi sia un misterioso ordine nella disposizione dei volumi, ma non sa quale sia. Questa mi sembra la situazione dell’essere umano, anche il più intelligente, di fronte a Dio. La convinzione profondamente appassionante della presenza di unsuperiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea su Dio» (A. Einstein, citato in Isaacson, “Einstein: His Life and Universe”, Simon e Schuster, pag. 27).

D’altra parte è legittima qualunque riflessione filosofica, anche perché -come ha scritto il premio Nobel per la fisica Leon Max Lederman-, «non sappiamo nulla dell’universo fino a quando ha raggiunto l’età matura ad un miliardo di miliardesimo di secondo. Cioè, poco tempo dopo la creazione nel Big Bang. Quando leggete o sentite qualcosa sulla nascita dell’universo, siamo nel regno della filosofia. Solo Dio sa cosa è successo all’inizio»(L.M. Lederman, “The God Particle: If the Universe Is the Answer, What Is the Question”, Mariner Books 2006).

Tuttavia Rovelli ha per lo meno capito che il Papa «ha parlato in polemica con chi legge la Bibbia in maniera letterale. In America la metà dei credenti ritiene che non ci sia stata l’evoluzione della specie e in alcune scuole hanno cancellato Darwin dai programmi. Credo che si stia rivolgendo a questi cristiani dicendo loro che la Chiesa cattolica non è d’accordo». Cosa che non ha afferrato l’opinionista Michele Serra il quale, senza nemmeno leggere il discorso del Pontefice (probabilmente si è fermato al solo titolo di“Repubblica”), lo ha accusato di sostenere l’opposto di quanto ha detto, dipingendolo come un creazionista americano che usa la Bibbia come un testo scientifico. Questo dimostra ancora una volta l’incompetenza dei vecchi giornalisti italiani (che ben presto, fortunatamente, saranno mandati a casa grazie alla diffusione di Internet).

Lo stesso errore di Rovelli, ovvero confondere il discorso del Pontefice come un trattato scientifico, quando invece si tratta di conclusioni filosofiche, lo ha commesso anche il pensionato torinese Piergiorgio Odifreddi. Lo avevamo lasciato quando affermava che le “camere a gas sono un’opinione”, difendendolo (gli unici a farlo) dalle accuse di antisemitismo e spiegando la sua gaffe con la sua semplicemente nota e proverbiale ignoranza. E’ oggi tornato alla guerra al cattolicesimo scrivendo«Francesco continua a credere, sessant’anni dopo Pio XII, che il Big Bang sia un evento nel tempo, che permette di domandare cosa c’era prima di quell’evento». Confusioni dei piani, come abbiamo già sottolineato, tanto che -lo ha ricordato Enzo Pennetta- già Sant’Agostino affermava che la creazione non è un evento nel tempo«Se dicono (i neoplatonici) che sono vuoti i pensieri degli uomini che immaginano spazi infiniti, non essendoci spazio alcuno fuori del mondo, altrettanto si deve loro rispondere che sono vuoti i pensieri degli uomini i quali pensano a tempi passati quando Dio non aveva creato, non essendoci alcun tempo prima del mondo» (De civ. Dei 11, 3). Tanto che il celebre fisico inglese Paul Davies ha affermato: «La teoria del Big Bang descrive come l’universo si è originato dal nulla -proprio dal nulla, nemmeno lo spazio e tempo- in pieno accordo con le leggi della fisica.Sant’Agostino avrebbe capito perfettamente» (citato in Bersanelli e Gargantini, “Solo lo stupore conosce”, Rizzoli 2003).

Tuttavia Odifreddi ha accusato Francesco «di arrampicarsi sugli specchi per conciliare Dio e la scienza a proposito della creazione dell’universo e dell’uomo». Non è dello stesso parere il premio Nobel per la fisica Arno Penzias, il quale scoprì la radiazione di fondo cosmica (una delle più forti prove a favore del Big Bang), dicendo«I migliori dati in nostro possesso sono esattamente quelli che avrei potuto predire se non avessi avuto altro su cui fondarmi che il Pentateuco, i Salmi, la Bibbia nel suo complesso». Questo a proposito di “conciliazione”.

La riflessione di Papa Francesco ha scatenato il laicismo conservatore perché ha avuto il pregio di scardinare decenni di attacchi laicisti alla religione in nome della scienza e dell’evoluzione. Francesco, invece, ha spiegato che un vero sguardo sulla scienza non contraddice affatto la fede cattolica, anzi, può arrivare a sostenerla. La sua affermazione somiglia notevolmente a quella del celebre genetista cristiano Theodosius Dobzhansky, noto universalmente per essere l’autore della cosiddetta “Sintesi moderna”, ovvero la revisione moderna del darwinismo integrata alla moderna genetica, detta anche “neodarwinismo”: «La diversità degli organismi», ha scritto, «diviene, comunque, ragionevole e comprensibile se il Creatore ha creato il mondo vivente non per capriccio, ma attraverso l’evoluzione spinta dalla selezione naturale. E’ sbagliato ritenere creazione ed evoluzione come alternative che si escludono a vicenda. Io sono un creazionista e un evoluzionista. Evoluzione è il modo con cui Dio o la Natura creano» (T. Dobzhansky,“Nothing in Biology Makes Sense except in the Light of Evolution”, “The American Biology Teacher”, 35 (3), 1973, pp. 125-129).


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25/11/2014 20:42
 
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Questa è anche l’opinione della maggior parte degli italiani, lo si evince da un recente sondaggio realizzato dalla Scuola Internazionale Superiore per la Ricerca Interdisciplinare su un campione (SIRI) di 1000 italiani, e commentato sul portale “Disf – Documentazione Interdisciplinare tra Scienza e Fede” da parte del prof. Matteo Bonato del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova.

La prima domanda verteva sull’origine dell’uomo e il 69,5% ritiene che occorra chiamare in causa Dio: per il 41,6% è stato il processo evolutivo a portare la comparsa dell’uomo sulla Terra a partire da forme di vita inferiori e sia stato reso possibile grazie all’aiuto di un Dio creatore (posizione “apertura scienza/apertura trascendenza”), mentre per il 27,9%è stato Dio a creare da nulla l’umanità nella sua forma attuale circa 10.000 anni fa (“chiusura scienza/ apertura trascendenza”). Il 30,5%, infine, sostiene che il processo evolutivo sia avvenuto a partire da forme di vita inferiori, ma senza alcun intervento di Dio (“apertura scienza/chiusura trascendenza”).

Per quanto riguarda l’origine dell’Universo, il 72,1% degli intervistati chiama in causa Dio: il 44,8% pensa che l’Universo sia stato creato da Dio e che la scienza ne possa spiegare l’origine (posizione “apertura scienza/apertura trascendenza”), mentre il 27,3% ritiene che l’Universo sia stato creato da Dio e che la scienza non possa spiegarne l’origine (“chiusura scienza/ apertura trascendenza”). Il 27,9% ritiene invece che l’Universo non sia stato creato da Dio e che la scienza possa spiegarne l’origine (“apertura scienza/chiusura trascendenza”).

Dai risultati emerge, quindi, che l’Italia è una società aperta alla scienza e  alla trascendenza, che non rileva alcun contrasto tra la spiegazione scientifica del mondo e la fede cattolica, in coerenza con la posizione della Chiesa. Per entrambe le domande la frazione di italiani che rifiuta una spiegazione scientifica della comparsa dell’uomo e dell’Universo è la parte più piccola del campione, così come è piccola la frazione di chi pensa che la scienza possa rispondere a tutto.

Se confrontiamo tali percentuali con la popolazione americana(prevalentemente di fede protestante), ne abbiamo parlato anche noi, si rilevano enormi differenze: secondo un sondaggio del Gallup survey 2012, il 46%, appartiene alla categoria di “chiusura scienza/apertura trascendenza” (“Dio ha creato dal nulla l’umanità nella sua forma attuale 10.000 anni fa circa”), circa il 32% ha scelto la risposta di “apertura scienza/apertura trascendenza” (“Il processo evolutivo è avvenuto a partire da forme di vita inferiori… ed è stato reso possibile grazie all’aiuto di Dio”), mentre circa il 15% la posizione di “apertura scienza/chiusura trascendenza” (“Il processo evolutivo è avvenuto a partire da forme di vita inferiori… senza alcun aiuto di Dio”). Negli Stati Uniti, al contrario dell’Italia, emerge dunque prevalentemente una chiusura notevole alla spiegazione scientifica dell’origine dell’uomo, si rileva anche dall’intensità del dibattito tra “evoluzionisti” e “creazionisti”. Nel nostro Paese, invece, sussiste l’apertura verso il contributo proveniente da discipline diverse(biologia e teologia nel primo quesito, cosmologia e teologia nel secondo) sia al dialogo tra di esse.

Un ultimo dato che riteniamo interessante, andando oltre la domanda sulla frequenza religiosa di chi ha risposto alle domande precedenti (che, per diversi motivi, riteniamo poco significativa come ogni tentativo di misurare sociologicamente il grado di religiosità delle persone), è che la maggioranza degli intervistati con titolo di studio più elevato, cioè laurea o superiore, per entrambi i quesiti sulle origini, appartiene alla categoria di chi è apertosia verso le trascendenza sia verso la scienza, mostrando quindi di ritenere compatibili scienza e fede.

Concludendo, condividiamo il giudizio finale del prof. Bonato: «Molto lavoro rimane ancora da fare, anche da parte della comunicazione scientifica e di quella religiosa, per rassicurare la frazione di popolazione che mostra ancora un atteggiamento di timore o diffidenza verso le spiegazioni scientifiche e per mostrare la ricchezza degli studi interdisciplinari nella descrizione della realtà e nella ricerca della verità».


[Modificato da Credente 25/11/2014 20:45]
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12/02/2017 20:46
 
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Il biologo Bizzarri:
«creazionisti e post-darwiniani, identici errori»

darwin day 2017Oggi, 12 febbraio, si festeggia l’anniversario di Charles Darwin, padre della teoria evolutiva. Pubblichiamo qui sotto il contributo che ci ha inviato il dott. Mariano Bizzarri, docente di Patologia e direttore del Systems Biology Group dell’Università La Sapienza di Roma.

 
 
di Mariano Bizzarri*
*docente del Dipartimento Medicina Sperimentale – Università Sapienza Systems Biology Group Lab
 
 

È alquanto paradossale che la Chiesa Cattolica – nei suoi documenti e tramite le affermazioni dei suoi più alti esponenti, inclusi numerosi pontefici – abbia da sempre sostenuto la conciliabilità della fede Cattolica con la teoria dell’evoluzione, mentre il mondo Protestante, pur con differenze nelle sue plurime manifestazioni, ha da subito ferocemente avversato l’evoluzionismo.

Questo rilievo non è peregrino se solo si considerano alcune peculiarità dell’ideologia protestante che, in modo del tutto contraddittorio, da un lato proclama il diritto alla autonoma e libera interpretazione delle Scritture da parte di ciascun fedele, e dall’altro, a seconda dei casi, impone invece una lettura strettamente letterale. Il sottolineare la centralità della “lettera” assume in questo contesto un significato critico. È proprio l’adesione alla “lettera” della scrittura biblica che ha portato il mondo protestante anglosassone in un duplice cul de sac. Per i credenti affiliati ad una delle tante confessioni protestanti, l’adesione alla “lettera” ha necessariamente imposto il doversi conformare ad una vulgata della creazione che inevitabilmente assume i contorni del racconto magico e favolistico (“In sei giorni il Signore ha fatto il cielo e la terra, il mare, e tutto ciò che è in essi”, Esodo, 20,11). Per coloro che non credono, l’adesione alla medesima “lettera” ha fatalmente ispirato le ridicolizzazioni e le critiche più triviali, considerato quanto facile è stato argomentare come il racconto della creazione sia insostenibile dal punto di vista scientifico.

Invero questo atteggiamento – noto come “creazionismo biblico” – è tipico di alcune confessioni cristiane protestanti ed evangeliche che professano l’inerranza biblica, diffuse specialmente negli Stati Uniti d’America. Il mondo cattolico è essenzialmente estraneo a questa diatriba alimentata dal nulla, se non altro perché da sempre educato alla lezione paolina, per la quale “la lettera uccide, lo spirito vivifica” (2Cor, 3,6). Un richiamo analogo è quello che fa Dante quando, a proposito di scritture sacre, ricorda come sia necessaria una loro “interpretazione”, articolata su quattro livelli di significato possibili (Dante Alighieri, Convivio, Libro II, cap. primo, 2-15). Peraltro, la necessità di collocare lo sforzo ermeneutico in un contesto adeguato, individuando preliminarmente il “genere letterario” della Scrittura, sarà poi affermato da Pio XII nell’Enciclica Divino Afflante Spiritu (1943). In ultima istanza, la Bibbia non è un trattato scientifico, ma un libro sapienziale e come tale andrebbe rispettato.

Credo che proprio da questa confusione tra “spirito” e “lettera” nascano la maggior parte dei fraintendimenti moderni che, vogliamo sottolinearlo, sono venuti emergendo solo in tempi relativamente recenti. È infatti solo a partire dall’età dei Lumi che ci si è affannati a cercare tra le righe dei testi sacri la conferma e la legittimazione di quel corpus di conoscenze che andava costituendosi come “scienza”, cercando nei primi una impossibile concordanza con quanto veniva emergendo a valle della sperimentazione. Lo stesso caso di Galilei è stato tramandato in modo artatamente falsato, e con il chiaro intento di mostrare la inconciliabilità tra fede e scienza[1].

Tutto ciò è particolarmente vero nel contesto del dibattito sull’evoluzionismo, dove la posizione prevalente – riassunta in modo estremamente chiaro da Richard Dawkins (L’Orologiaio cieco, Mondadori 2003) – fa leva sulla teoria evoluzionistica per demolire qualunque ipotesi antropocentrica, e affermare l’inesistenza di Dio sulla base del fatto che l’emergere della Vita e dell’Uomo discendono da processi “ciechi”, assolutamente casuali. È alquanto paradossale, notiamolo en passant, come questi risoluti credenti nelle verità assolute della Scienza finiscano con il supportare teorie altrettanto inverosimili – sul piano dell’evidenza empirica – nel momento stesso in cui tanto si affannano a proclamare la loro assoluta adesione al manifesto ateo. È il caso, per esempio, di Francis Crick (Life itself, Simon & Schuster 1981), che, per spiegare la vita sulla Terra, ha elaborato la teoria della Panspermia (per la quale i “semi” vitali sarebbero stati diffusi da intelligenze extraterrestri).

 

Decostruzione del termine “evoluzione”.
Un primo problema si pone inevitabilmente quando ci si confronta con la necessità di assegnare un preciso significato al termine ‘evoluzione’, la cui decodificazione è oggi gravata dalla sovrapposizione di diversi livelli di analisi e dall’esigenza di coniugare la teoria evoluzionistica con sovrastrutture ideologiche meta-scientifiche. Per evoluzione si intende “il progressivo ed ininterrotto accumularsi di modificazioni successive, fino a manifestare, in un arco di tempo sufficientemente ampio, significativi cambiamenti morfologici, strutturali e funzionali negli organismi viventi” (Wikipedia). In questa ampia accezione si ritrovano un po’ tutti – con la significativa esclusione dei creazionisti, un movimento ambiguo attualmente prosperante pressoché esclusivamente nei paesi di cultura protestante.

La Chiesa Cattolica ha da sempre considerato verosimile che la vita sulla Terra sia riconducibile ad un “processo”, e non sia uno stato emerso improvvisamente dalle brume del caos. Già Sant’Agostino riteneva che, pur avendo Dio creato il mondo secondo un abbozzo rudimentale, gli avesse conferito delle “proprietà seminali”, principi per i quali la Natura avrebbe potuto svilupparsi ed evolversi nei modi in cui oggi lo conosciamo[2]. Questo è quanto, in modo più articolato, ripropone Papa Francesco quando sottolinea che “L’evoluzione nella natura non contrasta con la nozione di Creazione, perché l’evoluzione presuppone la creazione degli esseri che si evolvono” (Discorso del Santo Padre Francesco in occasione dell’inaugurazione di un busto in onore di Papa Benedetto XVI, casina Pio IV, 27 ottobre 2014).

Sant’Agostino non manca inoltre di sottolineare che: “Supporre che Dio creò l’uomo dalla polvere con le mani è molto infantile … Dio non plasmò l’uomo con le mani né soffiò su di lui con la gola e le labbra”[3]. Nel solco di queste prime anticipazioni si sono mossi San Tommaso e innumerevoli altri autori di fede cattolica. Il tema è stato recentemente affrontato anche da alcuni pontefici, tra cui Papa Benedetto XVI, per il quale “La dottrina dell’evoluzione è per certo un’ipotesi importante, che però presenta decisamente molti problemi, i quali necessitano ancora di un’ampia discussione”. La chiosa di Papa Francesco prima ricordata si colloca pertanto in modo perfettamente coerente all’interno di una tradizione che, senza soluzione di continuità, può essere fatta risalire fino a Sant’Agostino.

Non si comprende quindi il livore con cui queste parole sono state stigmatizzate in ambito protestante, soprattutto grazie alla lettura distorta operata dal pastore Ken Harn, e successivamente auto-alimentatasi grazie alla diffusione via internet. Non vogliamo inseguire il Sig. Harn sul suo terreno – cominciando per esempio contestandogli l’equiparazione del Papa ad un ‘mago’ – ma riteniamo preferibile rimarcare le criticità evidenziate dal Santo Padre. Perché, infatti, il punto è precisamente questo. L’evoluzione è una teoria – parte di complessiva teoria della Biologia ancora di là da venire – di cui dobbiamo ancora capire quale sia il “motore”. Le “novità” sono realmente tali o sono variazioni su alcuni temi formali, discreti? Sono dovute a modifiche genetiche o intervengono altri fattori, come il condizionamento biofisico imposto dall’ambiente? Sono imposte dal “caso” o si dipanano lungo un percorso predefinito?

 

I limiti dell’Evoluzionismo.
Quello che la dottrina cattolica rifiuta è che il processo dell’evoluzione dipenda esclusivamente da mutazioni genetiche, emerse per caso e selezionate in base al fatto che queste, determinando un diverso fenotipo, gli conferiscano maggiori probabilità di adattamento e sopravvivenza. In sintesi, l’evoluzione non può essere guidata dal caso, definizione che in se è già un ossimoro dato che in linea di principio non si capisce come la stocasticità, da sola, possa conferire ordine e direzione ad un processo.

Questa è la critica di fondo che viene rivolta oggi, non tanto a Darwin (che era ben consapevole dei limiti della sua teoria), quanto ai suoi zelanti epigoni che, come spesso accade, si rivelano essere più “realisti del re”. Di fatto, la teoria evoluzionistica così come ci viene consegnata dai post-darwiniani viene oggi estesamente criticata e discussa in ambito scientifico – basti pensare ai contributi apportati in tale direzione da Steven Jay Gould, Stuart Kauffman o Carl Woese, tanto per citarne alcuni. La riscoperta di una eredità di tipo Lamarkiano, del trasferimento orizzontale dei geni o delle modificazioni ereditate per via epigenetica materna, hanno inoltre contribuito a modificare in modo sensibile l’impianto della teoria di Darwin e ne impongono una profonda rivisitazione.

 

Considerazioni di un “credente sperimentale”.
È veramente curioso che le posizioni più estreme ed intransigenti oggi sul tappeto – il post-darwinismo alla Dawkins e il creazionismo dei tanti predicatori di intolleranza, come il Sig. Ken Harn – militino entrambe nel campo anglosassone protestante. In entrambi i casi si riafferma la fede in un principio deterministico assoluto, centrato sul caso o su un “dio” meccanico, responsabile di ogni sia pur infinitesimale dettaglio. Si comprende subito come l’impostazione filosofica soggiacente sia la medesima. In entrambi i casi viene negata alla Vita quella Libertà che, seppur vincolata alle leggi del creato, costituisce il messaggio primo della Sacra Scrittura. Sia per Dawkins quanto per Harn, la Vita e l’Uomo sono regolati da un “orologiaio”: comunque cieco, perché sia esso il Caso o Dio, procede indifferente al decorso della Storia dell’Uomo. L’intuizione di Sant’Agostino è oggi invece più feconda che mai: perché preserva la libertà dell’Uomo nel contesto di un processo evolutivo che si dipana in accordo alle leggi della Natura che, in se stesse, non hanno nulla di arbitrario.

Il mio lavoro quotidiano è propriamente centrato sulla ricerca e la comprensione di quelle leggi che riescono a coniugare la “libertà” con la “necessità”. Non c’è nulla di arbitrario e casuale – ed aveva quindi ragione Einstein nel ricordare come “a Dio non piaccia giocare ai dadi” – ma neanche nulla di “preordinato”: l’organismo vivente ‘esplora’ uno spazio di possibilità, ristretto ad un numero ‘discreto’ di potenzialità ammesse dalle leggi di Natura. Entro questi limiti si svolge l’evoluzione e gli stessi processi che ricapitolando la filogenesi, portano alla ontogenesi. Questa evidenza è per me constatazione quotidiana, emergendo dal vivo della stessa sperimentazione scientifica. Come tale non solo mi riconferma nella bontà dell’impianto teorico che permette di riconciliare aspetti apparentemente contrapposti in Biologia – come si fa a coniugare evoluzione e permanenza di alcune forme ‘fondamentali’? Come conciliare cambiamento e omeostasi? Come fa un organismo a rimanere se stesso pur cambiando continuamente? – ma mi ribadisce nella sapienza delle Scritture, quando correttamente interpretate nel rispetto della loro complessità ermeneutica. Soprattutto mi aiuta a riscoprire, ogni giorno, dietro ogni fenomeno quella mano invisibile che ci fa sentire vicino Dio. Anche nel mio laboratorio.

 

Note
[1]^ Galilei non si limita a rivendicare l’autonomia della scienza dalla religione, afferma anche che essa è infallibile, se rettamente intesa (secondo criteri da lui stesso definiti); e che, mentre gli scienziati, se applicano fedelmente il metodo sperimentale, non possono sbagliare, possono invece sbagliare quei teologi che pretendono di leggere le Scritture prendendole alla lettera, laddove esse parlano un linguaggio figurato, specialmente riguardo alle verità naturali. In altri termini Galilei sembrerebbe voler mettere la Teologia sotto tutela della Scienza. Non solo, ma il ragionamento galileiano implica che la matematica permetta agli uomini di raggiungere la verità con la medesima grado di certezza di Dio, proprio perché Dio conosce in modo “matematico” e pone all’origine del mondo leggi conoscibili grazie alla matematica.

 

[2]^ Alcune citazioni di Sant’Agostino sono particolarmente illuminanti al riguardo: “Nel granello dunque erano già presenti invisibilmente tutti insieme gli elementi che nel corso del tempo si sarebbero sviluppati per formare l’albero; allo stesso modo dobbiamo immaginare il mondo, quando Dio creò simultaneamente tutte le cose, conteneva simultaneamente tutti gli elementi creati in esso e con esso quando fu fatto il giorno […]. Conteneva inoltre gli esseri che l’acqua e la terra produssero virtualmente e causalmente, prima che comparissero nel corso dei tempi e che noi ora conosciamo come opere che Dio continua a compiere fino al presente” (De Genesi ad litteram, V, 23,44. “[…] un’altra cosa sono i [semi] misteriosi con i quali, al comando del Creatore, l’acqua ha prodotto i primi pesci e i primi volatili, la terra i primi suoi germogli ed i suoi primi animali secondo la loro specie. E nella realizzazione di queste prime nascite non si esaurì la forza vitale di quei semi […]”. De Trinitate, III, 8, 13. [Le creature] acquistano e perdono perfezioni, secondo l’esigenza e il movimento delle realtà, […] perché per Divina Provvidenza tendono a quel risultato che il razionale ordinamento dell’Universo implica”. Ibidem, XII, 5.

 

[3]^ De Genesis contra Manicheos, cit. in Andrew Dickson White, Project Gutenberg A History of the Warfare of Science with Theology in Christendom, vol. 1, New York, Londra, D. Appleton & Companyc, 1922 [1896].

 

 

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27/09/2018 14:14
 
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Evoluzionismo

Sintesi di Gianpaolo Barra


1 Affrontiamo uno degli argomenti più interessanti per noi cattolici, perché e un argomento utilizzato frequentemente per negare 1'esistenza di Dio, per negare che Dio ha creato il mondo, ha creato 1'uomo.
2 Parleremo di "evoluzione": un termine che sentiamo spesso, un tema affrontato nei libri di scuola, trattato in molti programmi televisivi (per esempio; nei documentari sulla natura, presentati da un noto giornalista, si fa sempre cenno all'evoluzione, dandola per scontata). Insomma, si tratta di un termine entrato nel linguaggio comune.
3 Tracciamo subito le tappe della conversazione di questa sera.
4 In primo luogo, cercheremo di capire che cosa si intende per evoluzione, per evoluzione biologica, per evoluzione della specie.
5 In secondo luogo, vedremo perchè - posto che 1'evoluzione biologica sia accertata, dato e non concesso che 1'evoluzione biologica sia stata dimostrata scientificamente - vedremo perché un cattolico può rimanere cattolico e non essere contrario, per principio, alla teoria evoluzionista. Posto che questa sia accertata, abbiamo detto: ma la cosa è ancora tutta da dimostrare,
6 In terzo luogo, 1'evoluzione ci viene presentata, in tutti i libri di scuola, fin dalle elementari, come un dato acquisito dalla scienza, come una conquista definitivamente raggiunta dall'uomo, mentre - va detto subito a chiare lettere - 1'evoluzione è soltanto una "ipotesi", non una tesi. Quindi, è errato credere che oggi 1'evoluzione sia un dato scientificamente acquisito e che tutti gli studiosi siano concordi su di essa.
7 L'evoluzione biologica, l'evoluzione della specie non è una verità incontrovertibile; non è una conquista definitiva del sapere scientifico: è soltanto una ipotesi, formulata per spiegare 1'origine della vita in generale, della vita umana in particolare. Ma è una ipotesi proprio perché non spiega tutto e non risponde a tutti gli interrogativi che l'uomo si pone davanti al mistero della comparsa della vita.
8. Prima di addentrarci in questa conversazione, è opportuno un chiarimento.
9. Noi parliamo di evoluzione, al singolare. Ma gli studiosi hanno diverse teorie riguardanti 1'evoluzione e queste teorie sono spesso una in contrasto con 1'altra. Segno, anche questo, che tra gli esperti non vi è unanimità.
10. Tuttavia, solo per comodità, tratteremo dell'evoluzione al singolare, senza affrontare nei dettagli le varie teorie. Questo per tentare di farci comprendere anche da coloro che non hanno mai approfondito questo tema.
11. Veniamo, dunque, al primo punto: che cosa dobbiamo intendere per evoluzione?
12. In generale, possiamo rispondere in questo modo: per "evoluzione" si intende il fatto che tutti gli esseri viventi che noi vediamo oggi, tutte le specie (gli esseri viventi sono classificati in "specie") sarebbero il "prodotto" di un lungo, lunghissimo processo di trasformazione.
13. Questo processo di trasformazione avrebbe avuto inizio dalla materia, sarebbe passato dalla pura materia alle prime forme di vita, forme molto semplici (in buona parte scomparse) per arrivare, gradualmente, a forme di vita molto più complesse, come quelle che esistono ai nostri giorni.
14. Questo è il significato di evoluzione. In sintesi: passaggio dal meno al più, dalla materia alla vita, e alla vita sempre più complessa.
15 Ora, ecco un prima dato da tener presente: nessuno è ancora riuscito a spiegare come sia avvenuto il passaggio dalla materia alla vita. Cioè, come sia stato possibile il passaggio dalla materia "priva di vita" a qualche cosa che è vita. A meno che non si voglia ammettere che Dio abbia voluto questo passaggio, ma in questo caso si dovrà riconoscere che Dio esiste. Verità che, invece, molti evoluzionisti negano.
16. Qualche secolo fa, venne formulata la teoria della "generazione spontanea" che oggi è ripresa in questi termini: la vita sorge spontaneamente dalla materia inorganica. Facciamo degli esempi: si pensava che le anguille potessero nascere dalla melma dei fiumi, le zanzare dalle paludi, le mosche dalla carne putrefatta.
17. Insomma, da materia inorganica poteva sorgere spontaneamente la vita, la vita animale. L'evoluzione, in tal modo, aveva trovato un fondamento nei fatti. Ma gli studi di Francesco Redi (1626-1698), dell'abate Lazzaro Spallanzani (1729-1799) e di Louis Pasteur (1822-1895) hanno dimostrato inconfutabilmente che quella teoria era falsa e che la vita nasce solo dalla vita. Per avere un essere vivente bisogna che prima ci sia un altro essere vivente. Anche la vita di organismi semplicissimi ha origine da altri organismi viventi semplicissimi, mai dalla materia.
18. Allo stato attuale, dobbiamo ricordare che resta ancora un mistero - che 1'evoluzionismo non sa spiegare - il "come" sia stato possibile l'avvento della vita a partire dalla materia senza vita.
19. Vi è un altro punto da chiarire. Senza aver risolto il problema di come sia apparsa la vita (a meno che non vogliamo ipotizzare Dio), entriamo nel campo dei viventi: 1'evoluzione non è in grado di rispondere a un'altra domanda: come è possibile che dalla vita di un animale - della scimmia, nel nostro caso - derivi 1'uomo?
20. Darwin, che ha scritto nel 1859 il famosissimo "L'origine della specie", affermava che come un allevatore di cavalli o di cani, attraverso una selezione artificiale (cioè fatta dall'allevatore) può rendere le razze animali sempre più adatte ai suoi scopi, cosi anche la natura ha selezionato soltanto le razze più adatte.
21. Spieghiamoci meglio: nella natura, gli esseri viventi lottano per la loro esistenza. Questa lotta, dura, aspra, feroce, lascerebbe in vita soltanto gli individui più forti, quelli che si adattano all'ambiente in cui vivono, mentre gli altri verrebbero eliminati.
22. Ne risulta che animali e piante, in questa lotta per 1'esistenza, nel tentativo di adattarsi sempre meglio alla natura dove vivono, tendono continuamente a diventare migliori, fino a giungere alla situazione odierna, dove si può osservare una enorme varietà di specie perfezionatissime, ognuna adatta a vivere nel proprio ambiente.
23. Questo era il pensiero di Darwin. Il quale, a ben pensare, con questa storia della selezione naturale non ci ha spiegato come nascono nuove specie dalle vecchie: ci ha soltanto detto come sopravvivono i più forti e si eliminano i più deboli all'interno della stessa specie.
24. Bisognava dunque completare la teoria di Darwin e ci ha pensato il cosiddetto "neodarwinismo". 25. Secondo questa teoria, le nuove specie di esseri viventi nascono dal Fatto che, nel corso della selezione naturale, negli esseri viventi si registrano dei mutamenti, dei cambiamenti. Questi cambiamenti avvengono nel DNA (praticamente e il nostro codice genetico) e questi cambiamenti si trasmettono agli eredi.
26. Cambiamento dopo cambiamento, trasmissione ereditaria dopo trasmissione ereditaria, nel corso di miliardi di anni ecco spiegata la situazione attuale.
27. Quindi, selezione naturale (come diceva Darwin) e mutamenti genetici spiegherebbero la variegata complessità di specie che vediamo ai nostri giorni.
28. Ora, facciamo subito due osservazioni.
29. La prima: 1'osservazione scientifica (dunque i fatti, non le teorie) dimostra che in natura i mutamenti sono molto rari, mentre per arrivare allo stadio attuale, partendo dalle forme di vita più semplici, è necessario che siano avvenuti innumerevoli mutamenti.
30. La seconda: 1'osservazione scientifica (i fatti, non le teorie) dimostra non solo che i mutamenti sono rari, ma che quei pochi che avvengono, quando avvengono, nella stragrande maggioranza dei casi non producono un progresso, un passaggio dal meno al più, dall'imperfetto al più perfetto. Producono un fatto negativo, addirittura, spesso, pericoloso per la vita della specie.
31. L'esempio dell'uomo è il più classico. Quando un 'uomo nasce con una "diversità" (chiamiamola cosi) nel suo corredo cromosomico, di solito si ha a che fare con un individuo non normale, problematico. Non abbiamo mai visto un passaggio inverso. Non abbiamo mai visto un uomo, con un mutamento cromosomico importante, diventare più uomo.
32. Non solo. Posto che un mutamento avvenga e che sia positivo, c'è poi da risolvere il problema di come questo mutamento si trasmette agli eredi.
33. Fin da quando eravamo a scuola, abbiamo sentito raccontare il classico episodio delle farfalle, utilizzato per sostenere che i mutamenti si trasmettono agli eredi.
Riguarda un fatto veramente accaduto, ma dal quale si trae una conclusione sbagliata.
34. Sappiamo che nella società industrializzata 1'inquinamento provoca 1'annerimento progressivo dei tronchi d'albero. Questi, a causa dello smog, diventano sempre più scuri, più neri.
35. Ora, in un paese industrializzato fu notato che in una popolazione di farfalle grigie appare una farfalla nera. Questa, proprio a causa del suo colore, si mimetizza con i tronchi d'albero meglio delle farfalle grigie e sfugge quindi agli uccelli predatori.
36. Dopo un certo tempo, la popolazione di farfalle grigie è diminuita mentre è aumentata quella di farfalle nere, che vengono attaccate di meno, sono più sicure, sono più mimetizzate.
37. Passando altro tempo, tutte le farfalle grigie risultano scomparse e rimangono soltanto le farfalle nere. Questo fatto, effettivamente osservato, ci è stato presentato come la prova del miglioramento della specie dovuto a mutazione. Mutazione che si trasmette agli eredi.
38. Certamente un mutamento "nella" specie c'è stato (dal colore grigio al colore nero) ma non è mutata la specie: le farfalle nere sono esattamente identiche a quelle grigie, anche se queste sono scomparse.
39. Un evoluzionista risponderà: è vero, pero piccolo mutamento dopo piccolo mutamento, piccolo adattamento all'ambiente dopo piccolo adattamento all'ambiente, dopo milioni e milioni di anni, ci deve essere stato anche un cambiamento radicale, una evoluzione vera e propria.
40. Ma questo nessuno lo può provare. Anzi, ci sono delle obiezioni contrarie. Ne segnalo due:
41. La prima: gli studiosi hanno calcolato quanto tempo sarebbe stato necessario all'evoluzione perché si giungesse alla situazione attuale, partendo dalle forme di vita più semplici. E ci si accorge che per spiegare la situazione attuale a partire dall'evoluzione progressiva, graduale, non basterebbe tutta l'età dell'universo (Cfr Giuseppe Gerola, ll pregiudizio evoluzionista, in Studi Cattolici, n. 237, nov. 1980, pp. 741-2).
42 La seconda: se fosse vera 1'ipotesi evoluzionista, se tutte le specie che noi oggi vediamo fossero il risultato di una evoluzione, di una progressione, se fosse vero che tutti gli esseri viventi fossero comunque protagonisti - anche oggi - di un grande, lento processo evolutivo, dovrebbe accadere un fatto, che invece non osserviamo.
43. Il fatto è questo: dovremmo trovare intorno a noi un grandissimo numero di specie abbozzate, incomplete, che si stanno formando, cioè evolvendo, in ritardo rispetto alla specie finale, alla specie finale perfetta, verso la quale si stanno dirigendo, evolvendosi.
44. Invece, tutte le specie viventi che noi conosciamo - tutte, ma proprio tutte - sono, nel loro grado ovviamente, perfette, complete, adattate all'ambiente. Non esistono, non vediamo, non ci sono, non conosciamo esseri viventi - ma anche specie - che siano incompleti, quindi che si stiano evolvendo.
45. Piuttosto che negare le sue dogmatiche convinzioni, qualche evoluzionista obbietterà: potrebbe essere che tutte le specie che si stavano evolvendo siano giunte alla fine della loro corsa, siano scomparse e oggi noi vediamo soltanto 1'ultima tappa, quella definitiva, del loro processo evolutivo.
46. Non ci faremo ingannare da una risposta di questo genere. Se fosse vero (si tratta di una affermazione gratuita), queste specie incomplete, rudimentali, che si stavano evolvendo, avrebbero almeno dovuto lasciare tracce, enormi quantità di tracce tra i resti fossili.
47. Parliamo di enormi quantità di tracce perché per accettare che un mutamento genetico si affermi si deve ammettere che molti, molti di più, non si sono affermati. E di questi, dovremmo avere tracce.
48. Bene, nemmeno nei fossili troviamo traccia dell'evoluzione.
49. E qui è giunto il momento di smascherare una enorme bugia che ci viene raccontata fin dalle scuole elementari. Ho personalmente esaminato una dozzina di libri, che molte case editrici preparano per gli alunni della terza classe elementare.
50. In tutti, nessuno escluso, era disegnata 1'immagine di quegli esseri che, secondo la teoria evoluzionista, avrebbero preceduto 1'uomo, i nostri progenitori: grandi animali, metà scimmia e metà uomini, in posizione eretta ma talvolta curva, con lungo pelo, braccia penzoloni, muso allungato.
51. Questi esseri - imparano i nostri ignari bambini - pian piano si sono raddrizzati, hanno perso il pelo, accorciato le braccia, fino a diventare simili a noi.
52. Ora, va detto che questa è una colossale menzogna. Non ci sono prove che l'uomo derivi dalla scimmia, dallo scimpanzé, dal gorilla. Non ci sono prove che le ossa di esseri viventi, presunti nostri antenati, quelle poche che sono state trovate, siano appartenute ad esseri pelosi, ingobbiti, più simili alle scimmie che a noi.
53. Allo stato attuale si sa che esistono, e sono esistiti, uomini completamente fatti e finiti ed esistono, e sono esistite, scimmie fatte e finite.
54. Tuttavia, gli evoluzionisti hanno tentato di tutto pur di accreditare 1'idea che fosse esistita in passato una specie "intermedia", a meta strada tra la scimmia e l'uomo.
55. Infatti, per accreditare 1'evoluzionismo, è assolutamente necessario dimostrare che siano esistiti esseri intermedi. Senza di questi, 1'evoluzionismo è soltanto una ipotesi, non una tesi scientifica. E per arrivare a questo non e mancato chi ha tentato perfino di barare.
56. E famosissimo il caso dell'uomo di Piltdown. Intorno agli anni 1909-1915 vennero scoperti in Inghilterra i resti di un essere vivente, vissuto circa 300.000 anni fa, che fu chiamato "uomo dell'alba". Era stato trovato finalmente - si disse - 1'essere a metà strada tra la scimmia e l'uomo, il famoso anello mancante.
57. La prova era data da una calotta cranica con capacità cerebrale superiore a quella di una scimmia, ma inferiore a quella di un uomo moderno. Fu datata vecchia di 500.000 anni. Accanto alla calotta cranica, fu trovata una mandibola: apparteneva certamente ad una scimmia e tutti furono del parere che fosse stata una volta attaccata alla calotta. Poi furono trovati denti di ippopotamo, ossa di animali estinti e pietre rozzamente lavorate.
58. Questi resti furono subito accolti solennemente nel prestigioso Museo Britannico e in tutti i Libri anteriori al 1953 si scrisse che era stata trovata finalmente la prova che l'uomo viene dalla scimmia.
59. Quale sorpresa quando, proprio in quell'anno, si scopri che si trattava di una truffa. La mandibola della scimmia non apparteneva a quel cranio. Questo cranio non aveva i 500.000 anni che gli erano stati attribuiti. Non solo: quei reperti "rozzamente lavorati" erano stati appositamente limati e verniciati. Insomma, una vera truffa.
6O. Dobbiamo ribadire che, allo stato attuale delle ricerche scientifiche, la teoria evoluzionista non deve essere considerata una tesi, una verità incontrovertibile, ma soltanto una ipotesi.
61. Una ipotesi che ha bisogno, per essere accreditata come vera, di altre prove, di altre ricerche, di altri dati.
62. Ovviamente, chi crede in Dio non è contrario per principio alla ipotesi evoluzionista. Nulla vieta di ipotizzare che, nella sua infinita e insondabile sapienza, Dio abbia disposto le cose in modo tale da evolversi.
63. Quello che è certo, in una prospettiva di fede, è che per dare vita all'uomo (e per dare vita all'uomo è necessario fare un salto, rispetto all'animale: ammettere 1'anima), bene per dare vita all'uomo Dio è intervenuto direttamente. E` intervenuto regalando all'uomo 1'anima, anima che Dio ha creato direttamente, che non deriva da nessun essere che ha preceduto 1'uomo.
64. Non solo. Un credente non esclude a priori che Dio abbia stabilito 1'evoluzione (quindi, non potrà mai accettare 1'evoluzione spontanea) proprio come legge della natura e che l'evoluzione sia accaduta secondo la volontà di Dio.
65. Il Fatto è che non abbiamo ancora prove scientificamente incontrovertibili della evoluzione biologica. Il parere degli scienziati su questo punto non è unanime. Antonino Zichichi, nel suo ultimo bel libro "Perché io credo in Colui che ha fatto il mondo" nega addirittura all'evoluzione anche lo statuto di ipotesi scientifica.
66. E` diversa la posizione, invece, di un evoluzionista che non crede in Dio. Questi deve negare, a tutti i costi, che Dio esiste e quindi deve dire che 1'evoluzione è stata spontanea e casuale, cioè accaduta a caso. Il che, come si e visto, è impossibile.
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Benedetto XVI: “L’evoluzione? Non esclude il Dio creatore
13 Novembre 2007Articoli

Pubblichiamo una riflessione inedita di Benedetto XVI riportata da Avvenire il 13 novembre 2007 riguardante gli atti del Convegno di Castel Gandolfo dell’estate 2006 su fede e darwinismo.

Nelle quattro relazioni che abbiamo ascoltato, davanti a noi si apre un ampio spettro su cui potremmo discutere molto a lungo, ma per cui purtroppo abbiamo poco tempo a disposizione. Dopo la pausa possiamo ancora discutere alcune questioni. Penso che soprattutto gli stessi relatori vogliano dirsi qualcosa l’uno con l’altro, l’uno per l’altro, e l’uno contro l’altro, ma sempre in una contrapposizione produttiva che mira a far sì che conosciamo la verità e ce ne assumiamo la responsabilità.
Dobbiamo pensare a quello che vogliamo fare con il tesoro delle quattro relazioni. Anch’esse forse hanno un telos. Ho l’impressione che sia stata la provvidenza che ha indotto il cardinale Schonborn a scrivere una glossa sul New York Times, a rendere di nuovo pubblico questo tema e a indicare dove stiano le questioni: che non si tratta di decidersi né per un creazionismo, che si chiude sostanzialmente alla scienza, né per una teoria dell’evoluzione che dissimula i propri vuoti o lacune e non vuole vedere le questioni che travalicano le possibilità del metodo delle scienze naturali. Si tratta piuttosto di questa interazione fra diverse dimensioni della ragione, in cui si schiude anche la via alla fede.
Quando egli fra ratio e fides mette l’accento sulla scientia o philosophia, allora in fondo si tratta di recuperare nuovamente una dimensione della ragione che avevamo perduta. Senza di essa la fede verrebbe esiliata in un ghetto e così si perderebbe il suo significato per la totalità della realtà e dell’essere umano.
Quello che ora dico, in effetti, è già in certo qual modo superato dalle nuove relazioni, perché è derivato direttamente dall’ascolto della relazione del professor Schuster, ma lo vorrei dire comunque. Il professor Schuster ha da un lato indicato in modo sorprendente la logica della teoria dell’evoluzione che si è andata sviluppando, arrivando a poco a poco a una grande coesione, e anche le correzioni interne che nel contempo si sono trovate (soprattutto a Darwin); dall’altro, ha anche molto chiaramente messo in risalto le questioni che restano aperte. Non è che adesso io voglia stipare il buon Dio in questi vuoti: egli è troppo grande per trovare posto in quei vuoti. Ma a me pare importante sottolineare che la teoria dell’evoluzione implica delle domande che devono essere assegnate alla filosofia e che di per sé esulano dall’ambito proprio delle scienze naturali.
A me pare importante, in particolare, come prima cosa, che la teoria dell’evoluzione in gran parte non sia dimostrabile sperimentalmente in modo tanto facile perché non possiamo introdurre in laboratorio 10.000 generazioni. Ciò significa che ci sono dei vuoti o lacune rilevanti di verificabilità-falsificabilità sperimentale a causa dell’enorme spazio temporale cui la teoria si riferisce.
Come seconda cosa a me è parsa importante un’altra sua affermazione: la probabilità non equivale a zero ma neppure a uno. Per cui si pone la domanda: a quale altezza si situa la probabilità? Ciò è importante se vogliamo interpretare correttamente la frase di Papa Giovanni Paolo II: «La teoria dell’evoluzione è più di un’ipotesi». Quando il Papa disse questo, aveva i suoi buoni motivi. Ma nello stesso tempo è anche vero che la teoria dell’evoluzione non è ancora una teoria completa, scientificamente verificabile.
Come terza cosa vorrei accennare ai salti di cui ha già parlato anche il cardinale Schonborn. Non basta la somma di piccoli passi. Ci sono dei «salti». La domanda sul loro significato va ulteriormente approfondita. Come quarta cosa è interessante che i mutanti positivi siano solo pochi e che il corridoio, in cui si poteva svolgere lo sviluppo, è stretto. Questo corridoio è stato aperto e attraversato. Le scienze naturali stesse e la teoria dell’evoluzione possono rispondere in modo sorprendente a molte cose, ma nei quattro punti menzionati rimangono ancora aperte questioni rilevanti.
Prima che giunga alla mia conclusione, vorrei dire qualcosa, cui ha già accennato anche il cardinale Schonborn: non solo alcuni testi scientifico-popolari, ma anche scientifici sull’evoluzione affermano di frequente che la «natura» o l’«evoluzione» avrebbe fatto questo o quello. Qui ci si domanda: chi è propriamente la «natura» o l’«evoluzione» come soggetto? Infatti non esiste! Quando si dice che la natura fa questo o quello, ciò può essere solo un tentativo di raggruppare una serie di eventi in un soggetto che però non esiste come tale. A me pare evidente che questo espediente verbale – forse inevitabile racchiuda in sé domande di un certo peso.
Riassumendo potrei dire: le scienze naturali hanno schiuso grandi dimensioni della ragione che finora non erano state aperte, e ci hanno trasmesso così delle nuove conoscenze. Ma nella gioia per la grandezza della loro scoperta esse tendono a toglierci dimensioni della ragione di cui continuiamo ad avere bisogno. I loro risultati sollevano delle domande che vanno oltre la competenza del loro canone metodologico e alle quali in esso non è possibile dare una risposta. Tuttavia, sono domande che la ragione deve porre e che non possono essere lasciate solo al sentimento religioso. Bisogna considerarle come domande ragionevoli e trovare anche dei modi ragionevoli di trattarle.
Sono le grandi domande fondamentali della filosofia che ci si presentano in forma nuova: la domanda sull’origine e sul futuro dell’uomo e del mondo. Inoltre, di recente, mi sono reso conto di due cose, che hanno illustrato anche le tre relazioni che si sono succedute: c’è da un lato una razionalità della stessa materia. Si può leggerla.
Essa ha una matematica in sé, è essa stessa ragionevole, anche se nel lungo cammino dell’evoluzione c’è l’irrazionale, il caotico e il distruttivo; ma la materia come tale è leggibile.
D’altro lato, a me pare che anche il processo come un tutto abbia una razionalità. Nonostante il suo errare e percorrere strade sbagliate lungo lo stretto corridoio, nella scelta delle poche mutazioni positive e nello sfruttamento della poca probabilità, il processo stesso è qualcosa di razionale. Questa doppia razionalità che si rende di nuovo accessibile corrispondendo alla nostra ragione porta inevitabilmente a una domanda che esorbita dalla scienza, ma che comunque è una domanda della ragione: da dove viene questa razionalità? C’è una razionalità originaria che si rispecchia in queste due zone e dimensioni della razionalità? Le scienze naturali non possono e non devono rispondere direttamente, ma noi dobbiamo riconoscere la domanda come ragionevole e osare credere alla ragione creatrice e affidarci a essa.
Da una parte c’è la razionalità della materia, che apre una finestra sul Creator Spiritus. A questo non dobbiamo rinunciare. E la fede biblica nella creazione che ci ha indicato la via a una civiltà della ragione, nelle cui possibilità c’è anche naturalmente quella di annientarsi nuovamente. Questa è una dimensione che deve rimanere e che io definisco anche una dimensione di contatto fra il greco e il biblico, che dovettero ambedue fondersi in una interna ragione e in una interna necessità.
D’altro lato, tuttavia, noi dobbiamo anche vedere i limiti.
Naturalmente, nella natura c’è la razionalità, ma essa non ci permette di avere una visione totale del piano di Dio. Quindi nella natura permangono la contingenza e l’enigma dell’orribile, un po’ come lo descrive Reinhold Schneider dopo una visita al Museo di scienze naturali di Vienna. (Anch’io una volta ho visitato con mio fratello questo museo, ed eravamo sgomenti di fronte a tante cose orribili in natura.) Nonostante la razionalità, che c’è, noi possiamo constatare una componente di orrore, che non è più risolvibile filosoficamente. Qui la filosofia reclama qualcosa di ulteriore e la fede ci mostra il Logos, che è la ragione creatrice e che in modo incredibile poté farsi carne, morire e risuscitare. In questo modo ci si rivela un volto del Logos del tutto diverso da quello che noi possiamo presagire e cercare a tentoni partendo da una ricostruzione dei fondamenti della natura. Anche le due parti dell’anima greca vi alludono: da una parte la grande filosofia e dall’altra la tragedia, che in ultima analisi rimane senza risposta.
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