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LA CHIESA E L'ALDILA' (Nota pastorale)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2011 11:18
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28/10/2011 11:16
 
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LE VERITÀ DIMENTICATE DELLA SPERANZA CRISTIANA

Gesù Cristo nostra speranza

    6. Perché il cristiano spera? Qual è il segreto della nostra speranza? Su che cosa si fonda questa speranza? Scrive l'apostolo Pietro ai cristiani del suo tempo, messi alla prova nella loro fede dal clima di incomprensione se non di ostilità nei loro confronti:

«Sia benedetto Dio e Padre del Signore nostro Gesù Cristo; nella sua grande misericordia egli ci ha rigenerati, mediante la risurrezione di Gesù Cristo dai morti, per una speranza viva, per una eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, per la vostra salvezza, prossima a rivelarsi negli ultimi tempi» (lPt 1,3-5).

Qui, immediatamente, la speranza non si identifica subito con la virtù della speranza, quale virtù riguardante l'atteggiamento del cristiano o virtù teologale, ma con un evento che le sta a fondamento. L'evento «speranza viva» è l'affermazione della «risurrezione. di Gesù Cristo dai morti». La nostra speranza ha dunque un nome: Gesù Cristo Risorto.
Alla risurrezione di Gesù è strettamente legata la nostra risurrezione. Gesù non risorge solo per se stesso, risorge come «primizia dei risorti» (cf. ICor 15,20-23), come il capo dell'umanità che deve essere rinnovata. L'apostolo Paolo, che ha intuito con estrema lucidità ed espresso con forza appassionata l'interdipendenza dei due misteri di fronte ai cristiani di Corinto che incominciavano a nutrire qualche dubbio e perplessità, scriveva: 

«Se i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; ma se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. Ora invece Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti» (ICor 15,16-20).

    7. La risurrezione non è una verità facile da accogliere. Non per nulla, nella Bibbia, la Rivelazione ha impiegato molti secoli a prepararne la comunicazione e a vincere la tradizionale diffidenza ebraica concernente una risurrezione dopo la morte. L'insegnamento sulla risurrezione diventa esplicito all'epoca del profeta Daniele (cf. Dn 12,2) e dei fratelli Maccabei, quando la fede nella risurrezione dei morti è indicata come il fondamento della pietà verso i morti: «Se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti» (2Mac 12,44).
Fuori del mondo ebraico, la difficoltà ad accogliere la risurrezione era legata alla cultura greca, che trovava la sua espressione più intensa nella dottrina platonica dell'immortalità dell'anima, accompagnata da una forte disistima per la materia e per tutto ciò che è corporeo. Diventava arduo pensare che l'anima liberata dalla carne ritornasse alla sua prigionia, e ancora più arduo era vedere in questo ritorno un traguardo di gloria e di gioia. Paolo stesso sperimenterà l'ostilità greca verso questa verità della risurrezione dei corpi, andando incontro a un clamoroso insuccesso: 

«Quando sentirono parlare di risurrezione di morti, alcuni lo deridevano, altri dissero: "Ti sentiremo su questo un'altra volta"» (At 17,32).

Perciò la fede cristiana è, su questo punto, provocatoria. E non può essere accettata facilmente da tutti, senza un rinnovato annuncio. E noto che la formula del Credo, «Credo la risurrezione della carne», è entrata nel Simbolo apostolico, e dopo di esso in molti altri, per evitare un'interpretazione spiritualista della risurrezione dei morti. Se anche ogni domenica i cristiani che frequentano la messa ripetono: «Aspetto la risurrezione dei morti», non è detto che a tutti risuoni consapevolmente fino in fondo l'autenticità di questa verità e il suo sconvolgente contenuto.

L'uomo chiamato alla risurrezione

    8. Alla risurrezione sono chiamati tutti. L'attesa della beata risurrezione, avviata dall'evento del Cristo Risorto, «primogenito dei risorti», era così viva nei primi cristiani che aveva portato alcuni a ritenerla imminente con la parusia del Signore, cioè con il suo ritorno nella gloria, come ricorda l'apostolo Paolo (2Ts 2,1-3). E così a coloro che erano preoccupati della sorte di quelli che nel frattempo venivano colti dalla morte prima della parusia del Signore, l'apostolo Paolo non manca di richiamare che la chiamata alla risurrezione riguarda tutti, vivi e defunti: 

«Non vogliamo lasciarvi nell'ignoranza, fratelli, circa quelli che sono morti, perché non continuiate ad affliggervi come gli altri che non hanno speranza. Noi crediamo infatti che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con lui» (lTs 4,13-14). 

Anzi, di fronte all'eventualità della sua stessa morte prima della parusia del Signore, l'apostolo Paolo non nasconde ai cristiani della comunità di Filippi il suo desiderio di morire per essere con il Signore:

 «Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno. Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere. Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio; d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne» (Fil 1,21-24).

Già prima dell'apostolo Paolo era maturata la convinzione che la morte dei giusti non era la fine di tutto, ma costituiva come una sorta di morte aperta alla vita, come ricorda la lettura della Sapienza prevista per la liturgia funebre. Dopo aver ricordato che la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo, l'autore afferma: 

«Le anime dei giusti sono nelle mani di Dio, nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura, la loro dipartita da noi una rovina, ma essi sono nella pace» (Sap 3,1-3).

Certo, la morte resta un fatto drammatico. Neppure per Gesù la morte è un avvenimento sereno. Di fronte a essa, Gesù prova «paura, tristezza, angoscia» (cf. Mt 26,37 e Mc 14,33). Gesù scoppiò in pianto per l'amico Lazzaro che era morto (Gv 11,35). È perciò naturale che il cristiano soffra per la morte delle persone che ama. Illuminata però dalla speranza della comunione con il Signore Gesù, anche la morte non è più solo un fatto che incute paura, ma una porta aperta, l'essere accolti nella casa del Padre, come si esprime il vocabolario cristiano, fino a chiamare «Beati quelli che muoiono nel Signore» (Ap 14,13). Nella tradizione spirituale è addirittura frequente il pensiero alla bontà della morte in quanto condizione e via verso la futura risurrezione.

La nostra comunione con i defunti

    9. La costituzione conciliare sulla Chiesa afferma: «Alcuni tra i suoi discepoli sono ancora in cammino sulla terra, altri hanno lasciato questa vita e sono sottoposti a purificazione, altri infine godono la gloria del cielo contemplando chiaramente Dio stesso uno e trino così come egli è; tutti però, in gradi e modi diversi, comunichiamo nella stessa carità verso Dio e verso il prossimo e cantiamo al nostro Dio lo stesso inno di gloria. Infatti coloro che sono in Cristo e ne possiedono lo Spirito, formano insieme una sola Chiesa e in lui sono congiunti gli uni gli altri. L'unione di quelli che sono ancora in cammino con i fratelli che sono morti nella pace di Cristo non viene interrotta dalla morte, ma, come da sempre crede la Chiesa, viene invece consolidata dalla comunione nei beni spirituali» (LG 49: EV 1/419).
C'è quindi una reale comunione tra i vivi e i defunti: comunione che si concretizza in uno scambio di beni spirituali. I vivi possono aiutare i defunti nelle diverse forme con cui la tradizione ha configurato la solidarietà cristiana verso i morti: preghiera, opere di carità, in particolare la celebrazione della santa messa, memoriale della Pasqua di Gesù. Così pregava S.Agostino nelle Confessioni all'indomani della morte della madre, Monica: «Ispira, o Signore mio... quanti mi leggeranno di ricordarsi di Monica, la serva tua, e di Patrizio, un tempo suo sposo, per la cui carne mi introducesti in questa vita» (Confessioni, 9,11,13).
All'aiuto offerto dai vivi ai defunti corrisponde poi, in forza della stessa solidarietà, l'aiuto dei defunti ai vivi, particolarmente quando la solidarietà è potenziata da motivi di parentela, di amicizia, di affinità spirituale: aiuto che però rientra sempre in quella «comunione nei beni spirituali» di cui parla la costituzione sulla Chiesa del Vaticano II, ed è analoga all'intercessione dei santi presso Dio.

    10. Chiedere aiuto alla preghiera dei defunti, così come invocare l'intercessione dei santi è tutt'altra cosa dall'evocare gli spiriti. Già nell'Antico Testamento, Dio aveva proibito l'evocazione degli spiriti dei defunti (Dt 18,10-14; cf. anche Es 22,17; Lv 19,31; 20,6.27). È molto noto il racconto con cui il re Saul contro la sua stessa disposizione aveva voluto consultare una donna negromante (cf. lSam 28,3-25). Anche gli apostoli mantengono questa proibizione nel Nuovo Testamento in quanto rifiutano tutte le arti magiche (At 3,6-12; 16,16-18; 19,11-21). Il Concilio Vaticano II, che raccomanda d'invocare le anime dei beati, ricorda anche ripetutamente che il magistero della Chiesa si è dichiarato contro ogni forma di evocazione degli spiriti (cf. LG 49, n. 148: EV 1/419). Nel concilio Vaticano II, la commissione dottrinale spiegò quello che si deve intendere con la parola «evocazione»; essa sarebbe qualsiasi metodo «con cui si cerca di provocare con tecniche umane una comunicazione sensibile con gli spiriti o le anime dei defunti per ottenere notizie e diversi aiuti» (cf COMMISSIONE TEOLOGICA INTERNAZIONALE, Problemi attuali di escatologia, 16 novembre 1991, in EV 13/531).
Anche il recente Catechismo della Chiesa cattolica respinge l'evocazione degli spiriti dei morti tra le varie forme e figure designate normalmente sotto il nome di spiritismo, e in particolare contesta il ricorso ai medium come «volontà di dominio sul tempo, sulla storia e infine sugli uomini» (CCC 2116), mentre la Nota pastorale della Conferenza episcopale toscana parla dell'evocazione delle anime dei defunti come di «una forma di alienazione dal presente e una mistificazione della fede nell'aldilà» (Firenze, 15 aprile 1994).

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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