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LA CHIESA E L'ALDILA' (Nota pastorale)

Ultimo Aggiornamento: 28/10/2011 11:18
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28/10/2011 11:15
 
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Diverse risposte

    3. Tacere dunque o parlare della morte, della vita dopo la morte, del nostro rapporto con i defunti? Alla domanda su che cosa avvenga nell'altra riva della morte, vengono date diverse risposte dalla cultura contemporanea. La prima è molto breve: «Niente». Dopo la morte c'è il nulla. Con ciò si dice che la morte è il traguardo definitivo e nulla rimane della persona umana, non ne sappiamo nulla e non possiamo dunque dirne nulla. La miscredenza totale o il prudente agnosticismo hanno in comune una cosa: rispondono con un vuoto. Alla censura della domanda sulla vita dopo la morte corrisponde la tendenza ad affermare un'escatologia intramondana. Si tratta di una tendenza ben nota nella storia del pensiero occidentale con il sorgere e il diffondersi di movimenti critici verso il cristianesimo e la religione in genere, perché «elevando la speranza dell'uomo verso una vita ft£tura e fallace, lo distoglierebbe dall'edificazione della città terrena» (GS 20: EV 1/1377). In tal modo l'uomo si pone nella prospettiva di un «orizzontalismo messianico», che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del Regno di Dio.

    4. Bisogna riconoscere che, ai nostri giorni, la fede dei cristiani viene scossa non solo da influssi che devono essere considerati esterni alla Chiesa, ma anche da una sorta di debolezza della speranza cristiana. Non mancano, infatti, alcune nuove interpretazioni delle verità tradizionali riguardanti l'aldilà, che i fedeli percepiscono come se in esse fossero messe in dubbio la stessa singolarità di Gesù Cristo e la realtà della sua risurrezione. È come se le luminose verità cristiane su Gesù Risorto, la risurrezione dei morti, la comunione dei santi cadessero agli occhi di tanti nostri contemporanei in una sorta di «penombra teologica». Tutto ciò disorienta il popolo cristiano, che non riconosce più il proprio vocabolario e le nozioni più familiari alla propria esperienza. In questa situazione, i cristiani devono sentirsi investiti di una grande responsabilità. Sono chiamati a essere uomini della speranza vera. Lo ricorda l'apostolo Pietro: «Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi» (1Pt 3,15), imparando a camminare «lieti nella speranza», come esorta l'apostolo Paolo (Rrn 12,12). La nostra fede perciò deve prendere il volto della speranza. Il nostro essere cristiani si misura non solo sulla domanda: «Che cosa credi?», ma anche su quella: «Che cosa speri?». In un mondo che ha smarrito il senso della speranza, i cristiani possono essere significativi e comunicativi soltanto se si fanno «testimoni di speranza». In fondo il mondo appartiene a chi gli offre la speranza migliore.

Il nostro intento

    5. L'intento di questa Nota pastorale è quello di offrire un quadro di riferimento per operare insieme, in piena comunione, seguendo una prassi comune tra le varie diocesi della regione. Comportamenti divergenti favorirebbero movimenti che pretendono di comunicare con l'aldilà, mentre provocherebbero disagio e smarrimento negli stessi fedeli lasciati nella loro incertezza e dubbio. Viene chiamata in causa la missione dei vescovi, il cui compito viene così indicato dal concilio Vaticano II: «Nell'esercizio del ministero di insegnare, annunzino agli uomini il Vangelo di Cristo, che è uno dei principali doveri dei Vescovi; e ciò facciano, nella fortezza dello Spirito, invitando gli uomini o confermandoli nella vivezza della fede. Propongano loro l'intero mistero di Cristo, ossia quelle verità, che non si possono ignorare senza ignorare Cristo stesso» (cf. CD 12: EV 1/596)

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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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