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CONSIGLI SPIRITUALI E MATERIALI

Ultimo Aggiornamento: 08/12/2022 20:39
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06/06/2016 11:11
 
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CONSIGLI PER DELLE BUONE LETTURE 

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Il calo del tasso di lettura suggerito dalle statistiche ci ha spinto ad aggiustare la ratio dei libri in modo realistico.

Le statistiche indicano che c’è anche un calo dei romanzi cattolici, e la polemica più recente versa sull’ipotesi che questo tipo di romanzo stia arrivando alla fine, ma dovremmo avere le idee chiare. Non si può parlare tecnicamente della cattolicità di un romanzo in quanto oggetto.

La soluzione della polemica è quindi che il romanzo cattolico esisterà fin quando ci saranno cattolici che leggono romanzi, ma soprattutto finché ci saranno cattolici che li scrivono. E questa è la nostra modesta selezione di alcuni di questi romanzi.

1. Il potere e la gloria, di Graham Greene

L’opera è ambientata in Messico durante la persecuzione religiosa del Presidente Díaz Cases, e narra la storia di un sacerdote che resta nel suo Paese e fugge da un luogo all’altro. È però un sacerdote debole, che ha avuto vari figli con donne indigene e si ubriaca spesso. L’unica cosa che ha ben chiara è il fatto di avere la vocazione sacerdotale e di essere consacrato a Dio con questo fine. Il buon officio di Greene, che dosa le emozioni in modo ascendente, fa sì che accompagniamo il sacerdote il tutto il suo percorso fino all’epilogo.

2. Ultime lettere (1532-1535), di Tommaso Moro

Redatte con serenità e nello stile elisabettiano dell’epoca, caratterizzato da frasi lunghe ed eleganti, queste lettere del nobile Cancelliere ci mostrano il suo ultimo dilemma: firmare l’atto di successione di Enrico VIII o difendere le proprie convinzioni morali.

3. Il diario di Anna Frank

L’autrice del diario non è cattolica, ma letta con quegli occhi – cattolico significa cuore grande – la storia della ragazza ebrea ad Amsterdam fa del popolo eletto nell’Antica Alleanza un simbolo universale. Questo spiega le controversie che ha avuto la sua diffusione. Il diario, però, si concentra maggiormente sull’interiorità dell’adolescente. L’introspezione fa sì che affiorino le rotture che si producono in quella tappa della vita. Per questo il padre, tempo dopo, ha deciso di eliminare alcune annotazioni della ragazza in occasione di litigi avuti con la madre. Al di sopra di tutto questo, il diario di Anna Frank è uno dei libri più belli e sconcertanti di tutta la letteratura.

4. Diario di un curato di campagna, di Georges Bernanos

Un parroco arriva nel paese al quale è stato appena destinato. È notte, ma vede da lontano luci e musica. Il ballo in cui osserva i suoi futuri fedeli lo turba fin nel profondo, e pensa di essere arrivato in un luogo di peccato. Il romanzo colloca gli eventi nel contesto della battaglia cosmica tra il bene e il male, che si supera nella Grazia, perché, come dice uno dei personaggi, “Tutto è grazia”.

5. La liberazione del gigante, di Louis de Wohl

Tratta della vita di San Tommaso d’Aquino e del suo rapporto con le personalità dell’epoca medievale, come l’imperatore Federico II. Si mostra la grande intelligenza del santo, ma anche la sua ingenuità infantile, che a volte è motivo di derisione da parte dei suoi confratelli. L’autore, Louis de Wohl, è un fenomeno personalissimo del panorama letterario del XX secolo, perché scriveva biografie storiche con una talento speciale per recuperare personaggi del passato.

6. The Golden Thread 

Dello stesso autore dell’opera precedente, è la biografia di Sant’Ignazio di Loyola. Narra la storia di questo soldato di Guipúzcoa che venne ferito mentre difendeva Pamplona nel 1521. Durante la convalescenza sperimentò una notevole conversione grazie alle sue letture. Il suo pellegrinaggio successivo a Manresa, gli studi alla Sorbona e la fondazione della Compagnia di Gesù insieme ai suoi amici, tra i quali spicca San Francesco Saverio, completano l’itinerario. È una raccomandabile biografia storica.

7. Loss and Gain, del beato John Henry Newman

Ci troviamo davanti a un’autobiografia. L’autore narra il periodo in cui è passato dall’essere pastore anglicano a battezzarsi nella Chiesa cattolica. Questo passo presupponeva una grande discriminazione in Inghilterra, ma il beato Newman per quanto riguarda le cose personali non ha sempre voluto difendersi. Quando ha scritto questo libro, tuttavia, ha deciso di difendere la sua nuova Chiesa, e lo ha fatto in questa proposta narrativa in base alle sue grandi capacità, non lasciando senza risposta neanche una domanda né in piedi un’argomentazione contraria.

8. El tiempo en un hilo, di Maruja Moragas Freixa

È un romanzo testimoniale in cui una donna affronta le avversità di una separazionematrimoniale e tutto ciò che questa comporta, come tornare a lavorare fuori casa o assumere il vuoto di responsabilità lasciato dalla persona assente. Moragas utilizza metafore marine trasmettendo l’idea che una donna separata non deve essere ansiosa al momento di rifarsi una vita, perché quella che ha già è una possibilità di trasformazione cristiana.

9. Il prezzo da pagare, di Joseph Fadelle

Il romanzo racconta l’odissea del suo autore, un iracheno che per la sua nuova fede cristiana dovrà fuggire dal suo Paese, dai suoi fratelli e dai propri genitori. L’evento che scatena la sua paura è il pronunciamento di una fatwa, una sentenza per la quale qualsiasi musulmano che ponga fine alla sua vita godrà di benefici in Cielo. Il titolo del libro mostra che in Paesi come l’Iraq lo sforzo per praticare la fede comporta un prezzo da pagare, mentre in altri Paesi è minimo, ma gli diamo ben poco valore.

10. L’assassino moderato, di Gilbert K. Chesterton

È un romanzo di mistero dal taglio classico, in cui fino all’ultima pagina non si conoscono l’assassino, il movente e il modus operandi. Un artista si innamora di un albero, e intorno ad esso pianta un giardino e costruisce la sua casa. L’artista vive con la figlia, che ogni giorno riceve la visita di un giovane medico, che a ogni visita trova più sinistra la visione dell’albero. Questo romanzo è ideale per una lettura di mero intrattenimento, perché non è ambizioso a livello letterario, nonostante il prestigio del suo autore.


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16/06/2016 17:13
 
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Le bustine di Thè, dopo l'uso vengono solitamente buttate nell'immondizia
ma vi sono alcuni modi per poterle riutilizzarle vantaggiosamente.


1 – Deodorante naturale

Spesso, specialmente dopo fatto una corsa o l’allenamento in palestra, le vostre scarpe emanano un cattivo odore. Per risolvere tale problemuccio in modo naturale, potete inserire una bustina di tè asciutta all’interno delle scarpe. È la miglior soluzione che ho mai provato!

2 – Per rimuovere le verruche

Siete tra quelle persone che basta niente per contrarre quelle bruttissime, noiosissime e fastidiosissime protuberanze specie sulle mani o sui piedi: le verruche. Ma come rimuoverle o prevenirle in modo del tutto naturale?  Anche in questo caso il tè è un ottimo amico. Prendete la solita bustina del tè, umida e premetela sulla verruca per un quarto d’ora circa. Passati questi minuti ripetete il procedimento con una nuova bustina per altri 15/20 minuti. Per qualche giorno replicate il trattamento: alla fine le verruche cadranno come per magia.

3 – Trattamento illuminate e antiforfora per capelli

I vostri capelli sono spenti o avete la cute piena di forfora: vi basta risciacquarli con un preparato a base di tè. Ma come? Preparate il tè facendo bollire le bustine che vi sono avanzate, così che tutte le sostanze residue vengano rilasciate. Al momento che questo preparato è tiepido, utilizzatelo per risciacquare i vostri capelli. La forfora verrà indebolita e i capelli brilleranno di luce propria!

4 – Lenitivo per le scottature

Che sia una scottatura da sole o di altro genere le bustine di tè possono aiutare. Prendete un sacchettino di tè ed immergendolo nell’acqua fredda poggiatelo sulla zona di pelle scottata. Ideale sia per alleviare il bruciare sia per far guarire la pelle ustionata.

5 – Lenitivo per occhi

Avete passato una notte insonne e avete una giornata importante ma appena svegli vi accorgete di avere gli occhi gonfi come due mongolfiere….che fare? Niente paura, prendete due bustine di tè nero, già utilizzate, e ponetele sugli occhi per qualche minuto. I vostri occhi risulteranno più riposati.

6 – Antiodorante naturale per le mani

Quando si cucina e immancabilmente si usa aglio o cipolla, rimuovere il loro cattivo odore è un’impresa da titani. Ma la soluzione risulta essere nuovamente il tè. Prendetene una bustina e lavatevi le mani che essa. Le vostre mani saranno belle e profumate.

7 – Fertilizzante per piante

L’acido tannico, contenuto nel tè, è una sostanza benefica non solo per il nostro organismo ma che per il terreno dove piantiamo i nostri fiori. Contribuisce a contrastare lo sviluppo di microrganismi dannosi per le nostre piante, come i funghi, e ha la capacità di abbassare il PH del terreno.

8 –Detergente per piatti

E chi l’avrebbe mai immaginato? Ebbene sì, le bustine del tè sono un ottimo detergente soprattutto quando le stoviglie sono molto sporche. Vi basta lasciarle a mollo in una bacinella d’acqua insieme ad una bustina per il tè, per una notte intera. La mattina dopo vi risulterà più facile e veloce per lavare via tutto lo sporco.


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12/07/2016 14:49
 
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Manuale di sopravvivenza spirituale




I tempi che viviamo sono quel che sono. Certamente la situazione non è facile, ma nemmeno possiamo ritenerla disperata. Anzi, disperare della salvezza, l’unica cosa a cui dovremmo tenere veramente, è uno dei sei peccati contro lo Spirito Santo. In effetti significa sottovalutare l’amore di Dio nei nostri riguardi. No, in qualsiasi situazione che viviamo, il Signore ci dà sempre la possibilità e gli strumenti per trovare in Lui la salvezza, anche in tempi di crisi, anche quando non riusciamo nemmeno più a trovare un sacerdote cattolico che celebri la Messa o che ci possa impartire i sacramenti, confessione compresa.
Ma come fare? Anzitutto, quasi come premessa, è buona cosa essere sempre pronti e vigilare: noi non sappiamo quando arriverà l’ora del nostro trapasso e godere di buona salute non è ancora una garanzia assoluta. Quindi, come ogni volta che partiamo in viaggio abbiamo con noi la valigetta del primo soccorso, allo stesso modo nel nostro pellegrinaggio terreno noi dovremmo sempre poter disporre di un manuale di sopravvivenza spirituale. Dovremmo cioè sapere alcune cose basilari che ci possono essere di grande aiuto ovunque e in qualsiasi situazione. Vediamone alcune.

1) Conoscere lo scopo per cui Dio ci ha creati ed agire di conseguenza.
Dio ci ha infatti creati per conoscerlo, amarlo e servirlo in questa vita, e per goderlo poi nell’altra, in Paradiso. (Catechismo di San Pio X. Domanda 13). Vivere secondo Dio è dunque fondamentale, per questo dobbiamo credere le verità rivelate da Lui e osservare i suoi comandamenti, con l’aiuto della sua grazia, che si ottiene mediante i sacramenti e l’orazione. (Catechismo di San Pio X. Domanda 27).
Per meglio conoscere e ricordare queste verità e questi insegnamenti possono essere un valido aiuto delle formule o sintesi catechistiche che riportano il decalogo, i comandamenti della carità, i precetti, le virtù, le opere di misericordia, ecc. Può essere utile ripassare e meditare queste formule con una certa frequenza.

2) Il Battesimo è fondamentale per la nostra vita soprannaturale.
Effetto di questo sacramento è la remissione del peccato originale e attuale e l’infusione della Grazia che ci fa partecipi della vita divina e ci fa figli di Dio.
Cosa fare se non c’è il sacerdote? Ognuno, in caso di necessità, può battezzare. Il Battesimo si dà versando per tre volte dell’acqua sul capo del battezzando in forma di croce e dicendo nello stesso tempo le seguenti parole: “Io ti battezzo nel nome del Padre (prima infusione) e del Figlio (seconda infusione) e dello Spirito Santo (terza infusione)” . Se ci sarà tempo o si presenterà l’occasione, un sacerdote completerà le altre cerimonie del rito. (Spiegazione del Catechismo di San Pio X, Padre Dragone. Domanda 294)
Nessuno si può salvare senza Battesimo. Quando però non si possa ricevere il Battesimo di acqua, basta il Battesimo di sangue, cioè il martirio sofferto per Gesù Cristo, oppure il Battesimo di desiderio, che è l’amore di carità, desideroso dei mezzi di salute istituiti da Dio. (Spiegazione del Catechismo di San Pio X, Padre Dragone. Domanda 280)

3) Purtroppo siamo peccatori: riconosciamolo! Il peccato mortale priva la nostra anima della grazia divina che è la sua vita: è importantissimo tornare al più presto in stato di grazia.
II peccato è offesa e distacco da Dio e attaccamento alle creature e ci merita i castighi divini privandoci dei diritti alla vita eterna. Per lasciare il peccato e riavere il diritto alla vita eterna e all’unione con Dio occorre che la nostra volontà si distacchi dal peccato, lo detesti, se ne allontani, si decida a non peccare più e ad aderire a Dio, unendosi a Lui. La virtù che ci inclina a distaccarci dal peccato, a detestarlo con la volontà, a non volerlo più commettere è la penitenza, virtù tanto necessaria che chi ha peccato mortalmente e non si pente nemmeno in punto di morte non può ottenere il perdono e la salvezza eterna. Evidentemente la penitenza, come ogni virtù, va esercitata altrimenti deperisce. Normalmente per ottenere la remissione dei peccati ci si accosta al sacramento della confessione. Tuttavia sempre, ma specialmente dopo aver commesso un peccato mortale, è importante provare al più presto un dolore perfetto per il peccato commesso.
Il dolore perfetto o contrizione è il dispiacere dei peccati commessi, perché sono offesa a Dio nostro Padre, infinitamente buono e amabile, e cagione della Passione e Morte del nostro Redentore Gesù Cristo, Figliuolo di Dio. È detto perfetto perché nasce da un motivo perfetto, cioè l’amore filiale di Dio o carità, e perché ci ottiene subito il perdono dei peccati, sebbene resti l’obbligo di confessarli, evidentemente appena sarà reperibile un confessore. (Spiegazione del Catechismo di San Pio X. Domanda 363 e 364)

In questo senso l’atto di dolore qui sotto riportato è anche molto istruttivo. Infatti

a) esprime il dolore imperfetto: “perché peccando ho meritato i tuoi castighi” (cioè ho paura dei castighi di Dio),

b) esprime anche il dolore perfetto: “e molto più perché ho offeso Te” (cioè ho capito il tuo amore infinito di Padre);

c) di qui nasce il proposito: “propongo di non offenderti mai più” e quindi

d) la volontà decisa di star lontano dal peccato e di “fuggire le occasioni prossime di peccato”.

Mio Dio, mi pento e mi dolgo con tutto il cuore dei miei peccati, perché peccando ho meritato i tuoi castighi, molto più perché ho offeso te, infinitamente buono e degno di essere amato sopra ogni cosa. Propongo col tuo santo aiuto di non offenderti mai più e di fuggire le occasioni prossime di peccato. Signore, misericordia, perdonami.”

4) Chiedete e vi sarà dato” (Mt 7,7-8). Senza la preghiera non si fa nulla. Senza l’aiuto celeste, senza la Grazia divina, la vita spirituale appassisce. Si preghi Dio Padre onnipotente, per mezzo di Gesù Cristo suo Figlio, attraverso lo Spirito Santo! E si chieda l’intercessione e l’aiuto di Maria Santissima - colei che con il suo fiat ha da subito collaborato con l’opera salvifica di Dio - e di tutti i santi (martiri, confessori, vergini o semplici credenti), che ben conoscono le difficoltà della vita per averle vissute. Non dimentichiamo neppure gli Angeli, che da Dio hanno ricevuto il compito di assistere noi, le nostre famiglie, i nostri paesi e nazioni e di difenderci dalle possenti forze del male e del demonio, che già combatterono. È importante chiedere la Grazia di poter accrescere la fede, la speranza e la carità. Ma non meno utile è chiedere sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio. In genere è bene far ricorso alle preghiere che la Chiesa già conosce e propone. Spesso le preghiere spontanee non hanno la stessa ricchezza dottrinale e profondità spirituale delle altre. Infine la Madonna, nelle sue numerose apparizioni riconosciute, ci ha spesso indicato nella recita del Santo Rosario un mezzo efficace per ottenere grazie e protezioni dal cielo. In poche parole, concludendo, è importante chiedere aiuto a chi lo può dare o a coloro che possono intercedere a tal fine!

5) Studio della dottrina cattolica, Sacre Scritture e buone letture.
La fede non è un cieco sentimento religioso che emerge dall'oscurità del subcosciente per impulso del cuore e inclinazione della volontà moralmente educata, ma un vero assenso dell'intelletto a una verità ricevuta dal di fuori con la predicazione, per il quale, fiduciosi nella sua autorità supremamente verace, noi crediamo tutto quello che il Dio personale, creatore e signore nostro, ha detto, attestato e rivelato.
La dottrina della fede è trasmessa a noi dagli apostoli tramite i padri ortodossi, sempre con lo stesso senso e uguale contenuto. È da respingere del tutto la fantasiosa eresia dell'evoluzione dei dogmi da un significato all'altro, diverso da quello che prima la Chiesa professava; è da condannare similmente ogni errore che pretende sostituire il deposito divino, affidato da Cristo alla Chiesa perché lo custodisse fedelmente, con una ipotesi filosofica o una creazione della coscienza che si è andata lentamente formando mediante sforzi umani e continua a perfezionarsi con un progresso indefinito . (Dal giuramento antimodernista. Punti quarto e quinto)
Quindi, per conoscere la dottrina di Cristo, è necessario averla nell'intelletto e nel cuore: va dunque studiata, meditata ed amata. Si presti particolare attenzione al fatto che la Rivelazione si è compiuta ed è terminata con la morte dell’ultimo apostolo. Diffidiamo delle novità dottrinali, fosse anche un angelo del cielo che ce le trasmettesse (Gal: 1,6-10): la dottrina può essere approfondita, ma non può arricchirsi di nuove verità o tralasciarne altre!

Con questi insegnamenti impressi nella mente e nel cuore, con un immenso Amore per Dio e specialmente confidando nella sua grazia e misericordia, ci apprestiamo a combattere la buona battaglia, sperando di riuscire anche noi a conservare la fede così da poter un giorno accedere al Paradiso celeste! Che il Signore ci aiuti e ci protegga sempre e se possibile, a tal fine, ci dia sempre dei buoni e santi sacerdoti!
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02/08/2016 09:59
 
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COME ESSERE FELICI

Questa domenica nel Vangelo abbiamo letto che è stato chiesto a Gesù quale fosse la via giusta per arrivare al cielo:“Cosa devo fare per ereditare la vita eterna?”

È la stessa domanda che, con purezza di intenzione, gli ha posto anche il giovane ricco. Cosa devo fare? Cosa devo cambiare per essere felice per sempre?

Ascoltiamo una risposta alla domanda sulla vita eterna: “Amerai il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il tuo prossimo come te stesso”.

Tutto si decide nell’amore. L’amore per Dio. L’amore per il prossimo. Siamo fatti per l’amore. So bene che per essere felici sulla terra e poi in cielo c’è solo una via: imparare ad amare. È molto semplice e al contempo molto complicato.

Quanto costa amare bene, amare in modo maturo! Dice papa Francesco nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia: “Ci sono persone che si sentono capaci di un grande amore solo perché hanno una grande necessità di affetto, però non sono in grado di lottare per la felicità degli altri e vivono rinchiusi nei propri desideri”.

Gesù ci ha detto che “vi è più gioia nel dare che nel ricevere”(Atti 20, 35).

L’amore è la chiave. La mia capacità di amare Dio e di toccare il suo amore. Il mio cammino di felicità inizia nel mio cuore. Il comandamento è molto vicino a te: nel tuo cuore e nella tua bocca. Lì si gioca la mia felicità. Amare con tutto il cuore. Amare con tutta l’anima. Amare sempre. Dio, il prossimo.

Gesù lo dice chiaramente: “Hai risposto bene; fa’ questo e vivrai”. Ma “E chi è il mio prossimo?” Nella ricerca ossessiva di ricette, vogliamo avere chiaro come agire. Fin dove devo amare? Amare il prossimo. Chi è il mio prossimo? Si vuole delimitare bene fin dove amare.

Qual è la misura del mio amore, il limite? Non voglio amare in modo eccessivo. Non sono disposto ad amare senza misura. Un amore localizzato, determinato, senza estremi. Un amore concreto che non mi sottragga alle mie comodità.

La parabola del buon samaritano mi parla di un prossimo che non conosco, che non amo perché è straniero, che non desidero perché è bisognoso e mi può privare del tempo, del denaro, della libertà, della pace.

“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e cadde nelle mani dei briganti, che gli portarono via tutto, lo percossero a sangue e se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò oltre. Anche un levìta, giunto in quel luogo, vide e passò oltre”.

Questa parabola mi mette sempre a disagio. I tre hanno visto l’uomo sul ciglio della strada. Io stesso sono il sacerdote, il levita, il samaritano. Tutti e tre hanno visto l’uomo ferito. Anch’io lo vedo. Ma nel sacerdote e nel levita il cuore è rimasto insensibile.

Si sono allontanati perché vedevano solo con gli occhi, non con il cuore. Non erano disposti a un amore senza misura. Quell’uomo non era il loro prossimo. Era fuori dai limiti. Guadavano solo con giudizio e superbia, non con la semplicità di un uomo che guarda un altro uomo che ha bisogno di aiuto.

Sicuramente i due dovevano fare cose importanti, avevano incarichi di spicco. Dovevano svolgere missioni buone e sacre. La loro presenza era necessaria. Luca non dice se hanno sentito qualcosa guardando il ferito, dice solo che sono passati oltre.

Per poter arrivare alla mia destinazione, a volte devo passare oltre, così non mi tocca quello che accade accanto a me, così non mi sento colpevole. Se mi allontano, non guardo quegli occhi che mi supplicano e non lascio che la compassione mi cambi i progetti. Assomiglio tanto al levita e al sacerdote!

Sento che spesso la cosa migliore è allontanarmi,perché se non lo faccio mi complico la vita. Loro hanno proseguito il loro cammino importante e pieno di responsabilità. Non potevano fermarsi, perdere il loro tempo, smettere di fare ciò che dovevano fare.

Se non avessero avuto nulla da fare, forse si sarebbero fermati ad aiutare. Ma non era possibile, li aspettavano, erano necessari.

Quanto è difficile cambiare i nostri progetti quando ci crediamo importanti! Quanto mi costa fermarmi davanti a un imprevisto! Quante volte Dio è nascosto nell’imprevisto e io non lo trovo, non mi fermo,passo oltre e non vedo la sua impronta!

Il levita e il sacerdote non hanno visto Dio in un uomo ferito. Parlavano di Dio, ma non hanno donato l’amore di Dio.Quante volte io parlo di Gesù ma poi non sono Gesù nel mio amore, nella mia dedizione!

La vita del sacerdote e del levita non è cambiata nell’incontro con quell’uomo. Non c’è stato incontro, e il cuore è rimasto uguale. Neanche se lo saranno ricordato. Non ha rotto i loro schemi né li ha fatti pensare a qualcosa di nuovo. Non hanno rinunciato a nulla, non hanno ceduto, non si sono aperti alla sorpresa.

A volte io sono così, e vado per la mia strada. Vedo delle necessità ma passo oltre. Preferisco che le necessità degli altri non interferiscano nella mia vita. E giustifico tutto partendo da me stesso. Penso di non potere, che se potessi lo farei, ma mi aspettano. Cerco scuse.

In fondo sto dicendo che sono più importante di quell’uomo. Credo che chi mi aspetta sia più importante e che forse si sentirà defraudato. Non compio le aspettative. Il mio cuore non si commuove vedendo chi ha bisogno di me.

Cosa sarebbe successo se il sacerdote avesse visto un altro sacerdote ferito? O il levita un altro levita? Non lo so. Forse sarebbe stato il suo prossimo.

Ricordo una volta sul cammino di Santiago. Non ci volevano ospitare in una parrocchia, fin quando il parroco non ha saputo che eravamo sacerdoti. Vedendo che eravamo “colleghi”, così ci ha chiamati, ci ha fatti entrare. Essendo sacerdoti come lui siamo diventati “prossimo”. Prima non lo eravamo.

Forse nella parabola si sarebbero avvicinati se lo avessero riconosciuto. Non lo so. A volte il potere, l’incarico che abbiamo, il denaro che guadagniamo induriscono il cuore. Ci rendono lontani da chi soffre. Non siamo più prossimi. Non ci sono più prossimi vicini.

Forse il samaritano aveva provato nella sua vita il disprezzo e l’emarginazione, e quell’esperienza lo ha reso particolarmente sensibile a qualsiasi ferito, a qualsiasi persona vulnerabile. Anche lui sapeva di essere ferito, e il suo cuore era più aperto.

Chiedo a Dio di non credermi mai importante, di non allontanarmi mai dal mio prossimo, chiunque sia. Di non smettere mai di sentirmi semplicemente uomo, pellegrino, come tutti. E che le mie ferite mi rendano più umano, più comprensivo, più vicino.

Vorrei fare quello che fa il samaritano. Voglio imparare ad amare Gesù, a vivere come Lui, ad essere come Lui. Anche a costo di lasciare la mia anima per la via e di inciampare mille volte per non passare oltre.

“Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente, tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: ‘Abbi cura di lui; ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno’”.

Voglio fare come mi dice Gesù: “Va’ e anche tu fa’ così”.Vedendolo, ebbe compassione e si avvicinò. Credo che la chiave sia questa, ed è quello che imploro sempre. Avere un cuore di carne che mi faccia commuovere. Ma molte volte non lo so fare.

Quest’uomo si avvicinò perché provava pena. Non poteva passare oltre. Sicuramente l’incontro con questo ferito ha cambiato la sua vita. Amare cambia tutto.

Si è avvicinato, e ha fatto più del minimo che poteva fare. Questo mi commuove. Non era necessario fare tanto. Rispetto agli altri che sono passati oltre, era già tanto portarlo in una locanda e metterlo in salvo. Ma ha amato più del minimo, del necessario.

Non ha chiesto aiuto, lo ha fatto lui personalmente. Si è coinvolto. Si è macchiato con il sangue del ferito. Si è esposto. Ha perso il suo tempo per amore. Ha amato con tenerezza. Ha bendato le sue ferite. Le ha lenite con l’olio. Le ha guarite da dentro e da fuori. Ha calmato la sua pena e il suo dolore. La sua rabbia e la sua ferita.

È la stessa cosa che ha fatto Gesù, quando per le strade guariva il corpo e l’anima. Curava e perdonava.

Non sappiamo chi fosse questo samaritano. Non importa il suo incarico, la sua missione. Ci sono solo un uomo ferito e un uomo misericordioso. Due uomini che si incontrano. Uno che soffre e l’altro che si commuove.

Ha messo il ferito sul suo cavallo. È la stessa cosa che Gesù fa con me. Mi fa salire sulle sue spalle quando ho bisogno di aiuto. Lui è così. A volte non lo chiedo. Chiedo solo che da lontano faccia il miracolo.

Ma Dio si commuove davanti al mio dolore. La mia tristezza, la mia solitudine, la mia paura, la mia malattia, il mio vuoto, la mia delusione, la mia perdita toccano il suo cuore. La mia vita tocca il suo cuore. Si commuove davanti a me e si avvicina. Si abbassa, si spoglia per arrivare a me.

Non aspetta sul suo trono che io vada da lui. Viene e benda le mie ferite. Quelle che mi infliggono gli altri, o io stesso, o la vita. Le benda, dicendomi nell’orecchio che mi vuole bene, di non temere, che non mi lascerà solo, che mi perdona, che ha fiducia in me.

Quando ho sentito questa vicinanza di Dio? Mi porta sulle spalle. Sulla sua cavalcatura. Lo fa senza chiedermi niente. Lo fa gratis. Nella parabola c’è solo gratuità. Un amore traboccante che va al di là del minimo e di quello che ci si poteva aspettare.

Oggi ci sono tante ferite dovute all’abbandono, alla solitudine. “Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?” Ci sono tanti prossimi sul ciglio della strada che hanno bisogno della mia vita, del mio tempo, della mia tenerezza, del mio amore…

Ma io guardo l’atteggiamento del samaritano e mi sembra eccessivo. Il samaritano ha praticato la misericordia. Ha smesso di pensare ai suoi progetti, al suo cammino. Anch’io voglio praticare la misericordia. Gesù mi insegna a guardare così. Si ferma davanti a chiunque.

Voglio che questa sia la norma della mia vita. “Va’ e anche tu fa’ così”. Voglio che la mia vita sia questo, fare lo stesso. Ma non so farlo. Come farlo? Dove farlo? A volte non lo so. Non vedo nemmeno dove sono necessario.

Forse sono troppo concentrato su quello di cui ho bisogno, sul mio cammino di felicità, e dimentico le cose importanti. Il mio prossimo è chiunque abbia bisogno di misericordia. Penso a Gesù. Mi pace quel samaritano che che consegna l’uomo ferito all’albergatore e gli dice “Al mio ritorno”. Tornerà.

Dio torna sempre a cercarmi, e nel frattempo mi lascia alle cure di altri che mi amano: i miei genitori, il mio coniuge, i miei figli, i miei amici, i miei fratelli. Mi lascia perché si prendano cura di me. Ed Egli torna sempre.

A chi mi ha affidato Dio perché abbia cura di me?

Allo stesso tempo, io sono l’albergatore. Mi chiede di prendermi cura di tanti feriti. Chi mi ha affidato perché me ne prenda cura?

Penso che l‘unico modo di vivere davvero sia stando vicino agli altri, essendo prossimo. Così ci ha pensati Dio – vicini, che si aiutano, portandosi gli uni agli altri per arrivare a Lui.

Ma a volte vivo lontano, chiuso nel mio gruppo di uguali. E parlo di Dio, ma la sua legge non è altro che nella mia mente – non nel mio cuore, non nella mia vita. Il cammino è stare vicini. Sollevare chi soffre. Sostenere chi ha bisogno di me. E smettere di costruire muri difensivi nell’anima.

Non voglio più passare oltre. Voglio uscire dal mio percorso e da me stesso. È così che voglio vivere.

Forse alla fine della giornata, al tramonto, il sacerdote e il levita non hanno ricordato di aver fatto nulla di male. Hanno compiuto il proprio dovere. Non hanno deluso nessuno. Non hanno smesso di fare quello che avevano promesso.

Forse hanno avuto successo. Forse non hanno peccato molto.Ma la gratuità? Non c’è stato niente di straordinario, niente fuori del normale, i loro piani non sono stati rovinati. Ma forse è mancato loro l’amore. Un amore senza misura, traboccante. Non hanno fatto nulla di folle per amore.

Dal canto suo, forse, il samaritano, in ginocchio davanti a Dio, riconosce di aver provato rabbia per quello che hanno fatto quegli uomini che hanno evitato il ferito. Forse nel suo cuore ha criticato e ha avuto la tentazione di non lasciarsi coinvolgere tanto.

Non lo so. Forse la sua giornata non era perfetta come quella degli altri. Forse è arrivato tardi al lavoro, macchiato di sangue. Può essere che il denaro che ha investito in quello sconosciuto fosse destinato ad altro. Forse ha perso qualcosa.

E forse alcuni lo criticano per essere stato così poco responsabile e aver perso il suo tempo sulla via con uno sconosciuto. Può essere. Ma quello che è vero è che il suo cuore quel giorno è diventato più grande. Era un uomo buono. Forse conoscere il ferito e sperimentare la gratuità gli ha fatto bene.

C’è più gioia nel dare che nel ricevere. Si è svuotato e ha sperimentato quell’allegria profonda di dare al di là della giusta misura.


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11/09/2016 23:17
 
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COME CREARE AMICIZIE DURATURE

vecchi amici consigli amicizia dura tutta vita

 

L’amicizia è una valore universale. Difficilmente possiamo sopravvivere in totale solitudine e isolamento. È chiaro. Ecco perché abbiamo bisogno degli amici. In questo articolo vogliamo condividere con voi alcuni consigli per costruire correttamente un’amicizia che sia duratura.


Abbiamo bisogno di qualcuno di cui avere fiducia, a cui chiamare nei momenti difficili o anche semplicemente con cui vedere un bel film. Ma cos’è l’amicizia? Di cosa è fatta? È possibile avere amicizie che durino tutta la vita?

1. Piacersi

Le amicizie tendono a nascere all’improvviso, molte volte senza neanche cercarle. Le incontriamo lungo il cammino della nostra vita. E tutto comincia perché qualcuno inizia a piacersi.

Idee, sentimenti, gusti, interessi, opinioni, idee politiche, valori e religione sono alcune delle cose in comune che ci possono rendere amici di qualcuno.

Sentirsi a proprio agio con una persona, fare conversazione e condividere sentimenti è l’inizio di ciò che chiamiamo amicizia.

Cheerful group of friends - it

2. Avere qualcosa in comune

Affinché l’amicizia sia vera, deve esistere qualcosa in comune e, soprattutto, deve esserci stabilità.

L’interesse comune potrebbe essere la stessa professione, una carriera condivisa o un passatempo che piace a entrambi… è la vita stessa che ci dona gli amici. Un proverbio spagnolo dice che “gli amici nascono dalle strade percorse insieme”.

Amicizia significa avere affetto, apprezzarsi, donarsi l’un con l’altro. E per fare questo è necessario incontrarsi e conversare.

Con il tempo le amicizie possono quindi svilupparsi. Con l’affetto, la conoscenza reciproca e il modo in cui trattiamo l’altra persona.

Le amicizie non possono diventare profonde senza stabilità. Ecco perché, dopo non aver visto degli amici per alcuni anni, ci possono sembrare delle persone totalmente diverse oppure ci si limita ad una conversazione superficiale che lascia l’amaro in bocca.

L’amicizia è una relazione che richiede stabilità.

 


3. Conoscersi meglio

Conoscere bene un amico significa sapere qual è il suo passato, quali le sue attività attuali e i suoi piani futuri. Sapere cosa dà un senso alla sua vita, quali sono le sue convinzioni, conoscere i suoi gusti ed interessi, sapere quali siano i suoi difetti e le sue virtù.

Significa conoscere la sua vita, il suo modo di essere. E comprendere queste sue sfaccettature. E di conseguenza comprendere la sua persona, mettersi nei suoi panni e farsi carico dei suoi pesi.

4. Mostrare affetto disinteressato

Affinché un’amicizia sia autentica, piacersi non è sufficiente. È necessario fare un passo avanti: aiutarsi in modo disinteressato, senza aspettarsi niente in cambio.

Tra amici ci si vuole bene perché lui è lui, ed io sono io. L’amicizia porta a volgersi verso l’altra persona, e si basa più sul “servire” che sul “sentire”.

Essere colleghi non è sinonimo di essere amici. E non è certo un amico chi cerca di approfittarsi dell’altro. L’amicizia non è uno scambio di benefici. La vera amicizia è, in gran parte, servizio affettuoso e disinteressato.


5. Capire che ne vale la pena

Essere veri amici non è semplice, ma vale la pena fare lo sforzo. È una gioia avere veri amici: stare con loro, chiacchierare, aiutarli o lasciarsi aiutare da loro, stare bene insieme e gioire con loro, poter contare su di loro!

Essere amici è difficile, ma ne vale la pena.

6. Avere fiducia

Non bisogna soltanto credere a ciò che ci dice un amico, bisogna credere nella sua persona. Avere fiducia in un amico significa avere la certezza morale che quella persona risponda positivamente alle aspettative di amicizia che poniamo in essa.

La fiducia reciproca è condizione necessaria affinché ci sia un rapporto autentico.

sorriso

7. Dare e darsi

La generosità è uno degli elementi essenziali di un’amicizia. Un amico vero è generoso e dà all’altra persona. Dà le sue qualità, il suo tempo, i suoi averi, le sue energie, le sue conoscenze. E lo fa per aiutare in modo efficace il suo amico.

Dobbiamo essere generosi, avere rispetto e affetto reciproco. L’egoismo è l’esatto contrario dell’amicizia.

E il perdono è un atto di generosità particolarmente difficile da compiere. Dobbiamo conoscere e comprendere i motivi di un’azione che ci ha fatto del male. Saper perdonare è una caratteristica di chi è saggio e generoso.

8. Essere leali

Non c’è ricchezza più grande di un buon amico. Essere leali vuol dire essere persone di parola, che rispondano con fedeltà agli impegni che l’amicizia porta con sé.

Leali sono quegli amici che non hanno doppi fini, che non criticano, non fanno pettegolezzi, che non rivelano un segreto confidato, che sono veraci. Sono dei veri amici coloro che difendono gli interessi e il buon nome di quel rapporto.

Essere leali significa anche parlare in modo chiaro, essere franchi. E significa anche saper correggere un amico che sta sbagliando.

 


9. Essere grati

Dice un proverbio che “la gratitudine è il più effimero dei sentimenti dell’uomo”, e spesso è proprio così. La gratitudine è tipica dei veri amici.

Quante volte ci siamo offesi con un amico perché non ha mostrato gratitudine del tempo che gli abbiamo dedicato?

Dobbiamo essere grati del tempo che ci viene dato, dei bei momenti che trascorriamo insieme, dell’aiuto donato quando non stiamo bene. Se vogliamo che un amico ci dica “grazie”, dobbiamo essere noi a fare il primo passo.

10. “Io”, il nemico mortale

L’Io è il nemico mortale dell’amicizia. L’orgoglio e l’egoismo non possono avere spazio in una vera amicizia. L’orgoglioso non guarda più in là della sua propria persona, delle sue qualità, dei suoi interessi. Non è in grado di dare alcun aiuto.

11. Mantenere le amicizie

Le amicizie vanno coltivate e fatte maturare. È facile fare nuove amicizie, la cosa difficile è restare uniti.

La vita può mettere a dura prova la generosità, la lealtà e la gratitudine. E non sempre se ne esce bene.

Della lista di amici dell’università ne resteranno, un po’ alla volta, sempre di meno. Del gruppo di 30 o 40 persone soltanto 3 o 4 finiranno per diventare amici per tutta la vita.

12. Fare nuovi amicizie

Se non si hanno molti amici non vuol dire che non se ne possano avere. Coltivare degli interessi o seguire dei corsi che ci piacciono sono alcuni dei modi migliori per fare nuovi amici.

La cosa meravigliosa è che anche le persone più timide possono avere amici… forse con persone timide proprio come loro!

Fare nuovi amici significa allargare il proprio orizzonte. Se un amico si è comportato male con noi, non vuol dire che è la normalità. La cosa peggiore che possa capitare è chiudersi in se stessi.

connecting people - unity

13. Le amicizie cambiano

Un punto fondamentale da capire, per quanto riguarda l’amicizia, è che le persone non sono perfette e cambiano lentamente. Non sempre abbiamo un unico “migliore amico”.

Con alcune persone potremmo condividere i nostri hobby, con altre i nostri problemi e con altre ancora i nostri sogni.

Il desiderio di avere una persona che risponda a tutte le nostre esigenze relazionali potrebbe diventare un’utopia. E poi chi ha detto che non si possono avere più amici?


LEGGI ANCHE: 15 insegnamenti dei santi sull’amicizia


14. Amicizia o complicità?

Così come un’amicizia sana è un valore essenziale per la nostra vita, essere amici della persona sbagliata può portare a diverse situazioni sgradevoli.

Problemi di droga, delinquenza, scarso rendimento professionale e problemi familiari sono alcuni degli effetti delle cattive compagnie.

L’amicizia è condivisione, non complicità.

È necessario ricordare inoltre che siamo persone, individui, essere dotati di coscienza propria. Il fatto che questo o quell’amico “lo fa” non significa che anche noi dobbiamo fare una determinata cosa.

Né possiamo nascondere la nostra coscienza personale dietro una coscienza “condivisa”. È il caso tipico di chi si mette in guai seri perché è uscito con degli amici e poi la situazione è sfuggita di mano.

“Meglio soli che male accompagnati”, dice il proverbio. Se tutti lo tenessimo in considerazione a tempo dovuto, ci risparmieremmo molti problemi sgradevoli.

Conclusione

Per lo sviluppo umano, per la sua stabilità e per il miglioramento della società, l’amicizia è importante tanto quanto un vero tesoro. Dobbiamo prendercene cura e custodirla.


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25/09/2016 10:07
 
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4 modi per permettere allo sguardo di Gesù
di trasformare il nostro cuore



pray eyes to sky

di Benedict Hince

C’è qualcosa che colpisce molto in una persona che guarda direttamente negli occhi un’altra. Quando qualcuno ti guarda senza dire una parola, può sembrare che stia guardando nel più profondo del tuo cuore.

Riesci a richiamare alla mente un momento come questo, in cui non sono state pronunciate parole e qualcuno ti ha semplicemente guardato, e tu hai ricambiato lo sguardo? Puoi ricordare la “connessione” che hai provato. Questa connessione può aver messo a disagio – il silenzio combinato con lo sguardo – o essere sembrata arricchente e potente. Ma perché?

Questo è il video di un esperimento sociale di Prudential, in cui è stato chiesto alle persone di guardarsi negli occhi per 4 minuti (è un bel po’!) Quello che vediamo è che le persone iniziano a vedersi a vicenda semplicemente per come sono; si notano i cambiamenti che hanno subito nel corso del tempo, ed emergono anche i sorrisi.

Sorge un’altra domanda: come rispondiamo allo sguardo di Cristo?

Gesù dice molto nei Vangeli, ma ci sono due momenti molto intensi che vengono in mente in cui Gesù si limita a guardare un’altra persona. Quando pensiamo a questi due momenti, vi troviamo qualcosa di molto interessante e possiamo iniziare a comprendere come lo sguardo di Cristo verso ciascuno di noi possa parlare oggi al nostro cuore.

Il giovane ricco e Pietro – chi ha risposto meglio allo sguardo di Cristo?

Sia il giovane ricco che Pietro sono stati “guardati” da Cristo.

“Egli allora gli disse: ‘Maestro, tutte queste cose le ho osservate fin dalla mia giovinezza’. Allora Gesù, fissatolo, lo amò e gli disse: ‘Una cosa sola ti manca: và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi’”. (Marco 10, 20-21)

“Allora il Signore, voltatosi, guardò Pietro, e Pietro si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’. E, uscito, pianse amaramente”. (Luca 22, 61-62)

Quello che vediamo considerando il giovane ricco e Pietro è che le loro risposte sono state molto diverse. In poche parole, uno ha permesso allo sguardo di Cristo di trasformare il proprio cuore e l’altro no (penso che capirete qual è stato l’uno e quale l’altro).

Ecco 4 cose che troviamo nello sguardo di Cristo:

1. Amore

Lo sguardo di Cristo è sempre uno sguardo d’amore. Un detto popolare dice che “L’amore è cieco”, ma io sono fortemente in disaccordo con questa definizione. E sono disaccordo perché l’amore con cui Cristo ha guardato il giovane ricco e Pietro non era cieco.

Nello sguardo di Cristo quello che vediamo è che l’Amore non è cieco, ma è piuttosto vista perfetta.

Cristo ci vede per come siamo e ancora ci ama. L’amore di Gesù non è sicuramente un amore cieco. Ci conosce. Non è cieco nei confronti della nostra natura spezzata e dei nostri attaccamenti – come vediamo nel Suo sguardo verso Pietro e il giovane ricco, li ama ancora. E ancora li chiama – dice loro cosa devono fare (il che ci porta ai prossimi tre punti).

2. Risposta

Lo sguardo di Cristo ci chiama a dare una risposta. Ci chiede qualcosa – nella fattispecie, Lo ricambieremo?

È in questo che Pietro e il giovane ricco differiscono. Pietro se ne è andato e “pianse amaramente” dopo che Cristo lo aveva guardato negli occhi, il giovane ricco se n’è andato “afflitto”. La risposta di Pietro è stata di passione fervente, e il suo cuore è stato nuovamente convertito a Cristo, mentre la risposta del giovane ricco è stata di… beh, tutto tranne che passione!

Nella risposta di Pietro il suo cuore era chiaramente ferito, nel giovane ricco sembra esserci solo il suo ego.

“Dobbiamo mostrare quella pura risposta in cui il nostro centro di gravità viene trasferito da noi a Dio” – è questa la differenza tra i due (citazione di Dietrich von Hildebrand).

3. Riconoscimento

Lo sguardo di Cristo ci chiede di riconoscere il nostro peccato – non nella condanna, ma nell’amore. Ci esorta ad essere umili. Von Hildebrand afferma che l’umiltà è permettere “al nostro cuore di essere ferito dalla gloria di Dio”.

Quando Cristo ci guarda negli occhi, quando ci guarda con quell’amore, vediamo la Sua gloria e riconosciamo la nostra natura peccaminosa. Pietro ha riconosciuto il suo peccato – aver negato di conoscere Cristo. È stato ferito dalla gloria di Dio ed è diventato umile. Il giovane ricco non lo ha fatto.

Nello sguardo di Cristo siamo capaci di riconoscere la nostra natura peccaminosa, ma non dev’essere un riconoscimento senza speranza, perché nello stesso sguardo siamo anche capaci di riconoscere la Sua misericordia e la compassione che ci vengono offerte.

“Signore, non sono degno… ma dì soltanto una parola ed io sarà salvato”.

4. Missione

Lo sguardo di Cristo ci chiama ad agire. Il giovane ricco è stato chiamato a seguire Cristo ma non lo ha fatto. Visto che la sua risposta e il suo riconoscimento mancavano, non è riuscito a realizzare questo quarto punto – la sua missione. Pietro invece l’ha fatto.

Nei Vangeli ci viene detto che Pietro “si ricordò delle parole che il Signore gli aveva detto: ‘Prima che il gallo canti, oggi mi rinnegherai tre volte’”, ma Pietro dev’essersi anche ricordato delle altre parole che Cristo gli aveva detto appena prima di queste: “Una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli”. Ecco la missione data a Pietro nello sguardo di Cristo!

Cristo chiama ciascuno di noi alla missione attraverso il Suo sguardo d’amore. Se abbiamo risposto allo sguardo di Cristo riconoscendo il Suo amore, ricambiandolo, e pentendoci dei nostri peccati, allora Cristo ci dà la missione di diventare santi e di accendere il mondo col Suo amore.

E tutto questo in uno sguardo!

Ecco quattro domande che ci possiamo porre:

  • Nello sguardo di Cristo vediamo l’amore incondizionato di Dio o qualcos’altro?
  • Ricambieremo il Suo amore o ce ne andremo “afflitti”?
  • Riconosceremo la nostra natura spezzata e ci rifugeremo nella Sua misericordia?
  • Assumeremo la missione che Egli ha dato a ciascuno di noi – la missione di diventare santi?

Lui ci guarda sempre con amore. Ci chiede qualcosa, ci perdona qualcosa e ci dà una missione” (Papa Francesco)


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07/10/2016 10:39
 
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Alcune cose da fare prima di addormentarsi
di Garrett Johnson

Secondo il Centro per il Controllo delle Malattie, più di un terzo degli americani adulti non dorme abbastanza. Dall’avere difficoltà a svolgere i compiti quotidiani ad assopirsi involontariamente in classe o, peggio, mentre si guida, la mancanza di sonno va presa sul serio.

Se il numero di ore in cui si dorme ogni notte è un fattore importante, il nostro atteggiamento nei confronti del sonno riflette molto del nostro atteggiamento verso la vita in generale. Tutti noi, in un modo o nell’altro, siamo influenzati da quella che è stata definita “la grande accelerazione” della vita quotidiana. Lavoriamo di più, giochiamo di più e dormiamo di meno, ma non solo: lottiamo per cogliere qualsiasi significato più profondo dietro il riposo in generale. Stiamo solo perdendo tempo?

Da un punto di vista cattolico, oltre a tutte le considerazioni sulla salute, il riposo può essere un atto divino. Ricordate che “Dio benedisse il settimo giorno e lo consacrò, perché in esso aveva cessato da ogni lavoro che egli creando aveva fatto” (Gn 2, 3). Qui il Signore si limita volontariamente e lascia spazio alla creazione perché fiorisca. Riposare non riguarda solo il ricaricare le batterie per poter tornare sulla linea di partenza. È quel momento di umiltà e libertà in cui confidiamo nel nostro amorevole Padre. Grati per il bene, pentiti per il male, dobbiamo togliere le mani dal volante e confidare nel fatto che “tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8, 28).

Importante per la battaglia spirituale?

Se può non essere la prima cosa che viene in mente, le buone abitudini di sonno possono essere fondamentali per la battaglia spirituale. Perfino San Tommaso raccomandava sonno e bagni come rimedio per il dolore. La mancanza di sonno abbassa le nostre difese e ci rende più vulnerabili ad ogni tipo di tensione, irritazione e tentazione.

La lotta per cercare di addormentarsi può portare la gente a dipendere da pillole, alcool o masturbazione. Non sorprende che sia stato dimostrato che la privazione dal sonno influisce sulla salute mentale e può portare a depressione o dipendenze.


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09/10/2016 13:20
 
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wife comforting suffering man in mental pain 7 PASSI PER FAR GUARIRE LA PROPRIA ANIMA


Chiunque abbia visto Will Hunting – Genio ribelleconoscerà la famosa scena “Non è colpa tua” (ma se non doveste aver visto il film non preoccupatevi, questo intenso dialogo è comprensibile lo stesso). All’inizio mette a disagio, ma quando ci si lascia andare al turbine di emozioni che attanagliano Will (Matt Damon) lo si comprende appieno. È crudo e reale. E fa male, perché parla di una situazione che abbiamo vissuto tutti: quel momento in cui la sofferenza è così forte da non permettere a nient’altro di occupare la nostra mente, il momento in cui il nostro cuore è così saturo che rilascia il dolore in qualsiasi modo, persino urlando.

La verità è che nella vita non ci viene insegnato come soffrire. Non ci viene insegnato come soffrire in modo adeguato. E non ci viene neanche insegnato come guarire le nostre ferite. Non siamo creati per la sofferenza, è una tragedia che ci portiamo dalla Caduta dell’uomo. Non è nella nostra natura. E proprio come il personaggio di Will, anche noi spesso soffriamo per cose di cui non abbiamo alcuna colpa. Guarire sembra impossibile, vogliamo soltanto evitare il processo e arrivare direttamente alla parte in cui non sentiamo più alcun dolore.

Ma la sofferenza è un viaggio, non la destinazione finale. E saper soffrire è l’inizio del viaggio verso la guarigione. Fa male doversi rapportare con la sofferenza, ma nella mia esperienza posso dire che fa ancora più male provare ad ignorarla. Questo articolo non ha alcuna pretesa di esaustività, vuole soltanto mostrare la punta dell’iceberg della guarigione interiore. Quest’ultima ha sempre a che fare con Dio, che sia in modo diretto o attraverso altre persone. Confidare che Dio è lì, quando ogni parte di noi pensa l’esatto contrario, è parte del processo. Speriamo che questi sette consigli possano aiutarti. Se in questo momento stai soffrendo, sappi che stiamo pregando per te.

1) Inizia chiedendo

“Vuoi guarire?” (Giovanni 5:6)

“Che vuoi che io ti faccia?” (Marco 10:51)

“Va’, la tua fede ti ha salvato”. In molte circostanze riportate nei Vangeli (Marco 5:34, Marco 10: 52) Gesù usa queste parole verso coloro che Lui ha guarito. Non è stata la loro bontà a guarirli, né tantomeno il loro successo o i loro talenti. Ma è la fede – che li ha spinti a chiedere a Cristo e a credere che Lui li avrebbe guariti – ad averli condotti verso la guarigione. Possiamo avere molti motivi, assolutamente legittimi, per cui ci troviamo nel dolore o nella rabbia; ma la guarigione richiede necessariamente che noi ci spogliamo del nostro orgoglio, del nostro desiderio di risolvere tutto da noi e di ogni potenziale pensiero di vendetta verso chi è causa del nostro male. Bisogna lasciar correre, e non è affatto semplice. Ma almeno, in un certo senso, non dobbiamo fare neanche lo sforzo di essere noi a pensare alla nostra guarigione. Invece di dimenarci come chi sta per affondare in un mare in tempesta, lasciamoci andare e facciamoci cullare dalle onde, permettendo a Dio di operare nel nostro dolore e di arrivare fino a noi. “Il Signore combatterà per voi, e voi starete tranquilli” (Esodo 14:14).

2) Ci vuole tempo (ma non nel senso che pensi)

C’è un vecchio cliché che continua ad essere propinato: “Il tempo guarisce tutte le ferite”. Sembra offensivamente semplicistica l’idea che basti aggrapparsi al tempo e, spuntando anno dopo anno, le ferite si guariranno da sole, come per magia. Consiglio di guardare lo stesso principio da un’altra prospettiva: la guarigione richiede del tempo. La differenza è sottile, ma determinante. Vuol dire che potresti non guarire immediatamente. Ma questo non deve lasciar intendere che Dio non stia gradualmente operando in te, nella tua situazione, nella tua personalità e nelle persone attorno a te. Vuol dire che, anche se non te ne accorgi, Dio ti sta aiutando a guarire, strato dopo strato. Potresti comprenderlo col senno di poi, ma abbi fiducia che, non importa dove tu ti trovi, Qualcuno sta facendo qualcosaper aiutarti.

The painful quest of fertility junkies - it

3) Non nascondere il tuo dolore

Qualsiasi cammino tu voglia percorrere, non farlo da solo. Permetti ai tuoi sentimenti di trovare una valvola di sfogo. Il silenzio fa marcire ogni dolore. Pronunciare ad alta voce la propria sofferenza ha un potere immenso. Potremmo essere trattenuti dalla vergogna, ma le parole la neutralizzano. L’orgoglio può spingerci a coprire il nostro dolore, ma condividendo la nostra situazione ci farà scoprire che anche altre persone hanno vissuto la stessa cosa. Permettendoci persino di godere della saggezza altrui. Condividi ciò che provi con un amico sincero, trova un terapista affidabile o parlane con un sacerdote.

4) Dormi, mangia, bevi acqua, e ripeti da capo

Il dolore ci fa tornare all’essenziale. O perlomeno dovrebbe incoraggiarci a farlo. Se stai attraversando un momento particolarmente difficile, se pensi di aver toccato il fondo, non dimenticarti dell’incredibile connessione tra la mente e il corpo. Quando si tratta dei (forse noiosi) bisogni prioritari della vita dell’essere umano, non risparmiarti affatto. Dopo aver incassato un colpo devastante, riposati. Elimina tutto ciò che non è essenziale. Prova a dormire più di quanto tu non faccia normalmente. Mangia bene e spesso. Bevi più acqua, resta idratato. Fatti un bagno rilassante. Concedi al tuo corpo l’energia di cui ha bisogno per aiutare lo spirito a guarire.


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26/10/2016 18:31
 
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CONSIGLI PER GENITORI CHE HANNO DEI FIGLI NON CREDENTI

Non è raro (magari lo fosse) che oggigiorno molti giovani, soprattutto quando iniziano l’università, abbandonino la fede. Le cause possono essere ricercate nell’influenza degli amici, nelle mode, nel razionalismo estremo, in un’informazione parziale o addirittura nella delusione verso la stessa Chiesa. Qualsiasi sia la ragione, ai genitori cattolici fa molto male vedere il proprio figlio, cresciuto nella fede, prendere questa decisione. Un dolore che inevitabilmente fa spazio al senso di colpa: cosa ho fatto di sbagliato che ha portato mio figlio a non credere più in Dio?

Più che cercare di capire cosa abbiamo fatto di giusto o di sbagliato come genitori – perché l’unico padre perfetto è quello Celeste – la cosa che dobbiamo comprendere è che i nostri figli rappresentano un incarico prezioso. Ma, per farla breve, non ci appartengono. È nostra responsabilità principale, e nostro dovere, prenderci cura della loro formazione. Ma raggiunta l’età adulta le loro decisioni sono, appunto, loro. Saremo sempre i loro genitori, però saranno loro a prendere decisioni nel corso della propria vita. Così come noi prendiamo le nostre.

Un caro amico mi ha detto che bisogna ricordarci che l’amore per i nostri figli costituisce anche un cammino di santità, di prova e di amore incondizionato. Detto ciò vogliamo condividere con voi una serie di riflessioni che potranno aiutarvi ad affrontare la difficile situazione di chi si trova con un figlio che non crede più in Dio.


 


1. Ciò che gli avete trasmesso nell’infanzia è ancora in lui

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Ogni sforzo fatto nel vostro cammino di genitori, tutto il meglio che avete riservato loro (e non parlo solo di cose materiali) si trova ancora lì, in vostro figlio. Ciò che gli avete insegnato ha plasmato in modo consistente la persona che è oggi. Quando sarà adulto vedrete i frutti dei tanti sforzi fatti per crescerlo nella fede, nelle virtù, nelle buone maniere, nel rispetto e nella libertà. Quello che seminiamo quando i nostri figli sono piccoli darà frutto nell’età adulta. E non disperate se in questo momento pensate che tutti i vostri sforzi siano stati inutili. Abbiate pazienza e speranza. La vostra fatica non è stata invano.


2. Ascoltatelo, trattatelo con rispetto e mostrate interesse per la sua decisione

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Invece di lasciarvi andare alla disperazione e al sentimentalismo, fate un respiro profondo. Ascoltate, prima di parlare. Mostrate interesse in ciò che vi dice. Non lasciatevi andare all’indignazione e non uscitevene con qualche sermone, altrimenti rischiate soltanto di far allontanare ulteriormente vostro figlio. Ascoltate le sue ragioni, fate domande e continuate ad ascoltare. Provate a conoscere ciò che pensa, i suoi punti di vista, i suoi desideri e i suoi sogni. Solo così saprete quale cammino stia intraprendendo.


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16/11/2016 14:20
 
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GLI EFFETTI POSITIVI DEL DIGIUNO, secondo i ricercatori.

Digiunare fa bene non solo all’anima, ma anche alla mente e al corpo

Si dice da molto che il digiuno porta a benefici spirituali, ma gli studi mostrano che il digiuno a intermittenza è positivo anche per il cervello e per il corpo. In questo intervento al TEDx, Mark Mattson, responsabile del Laboratorio di Neuroscienze presso l’Istituto Nazionale per l’Invecchiamento e docente di Neuroscienze presso la Johns Hopkins University, parla di quello che sappiamo attualmente sui benefici del digiuno per la salute.

Come uno dei principali ricercatori nel campo dei meccanismi cellulari e molecolari sottostanti a disordini neurodegenerativi come l’Alzheimer, il morbo di Parkinson e la sclerosi laterale amiotrofica, Mattson e il suo team hanno pubblicato vari documenti su come digiunare solo due volte a settimana possa diminuire significativamente il rischio di sviluppare una di queste malattie.

HealthyCures, elaborando l’intervento di Mattson, riferisce che il cervello beneficia dal digiuno per via dei cambiamenti neurochimici che lo interessano quando ci priviamo del cibo per certi periodi di tempo. Il digiuno “migliora la funzione cognitiva, aumenta i fattori neurotrofici, aumenta la resistenza allo stress e riduce le infiammazioni”.

Digiunare è una sfida per il cervello, che vi risponde adattando vie per rispondere allo stress che aiutano il cervello stesso a rapportarsi allo stress e al rischio di malattie. Gli stessi cambiamenti che si verificano nel cervello durante il digiuno richiamano quelli che si verificano a seguito dell’esercizio regolare. Entrambi aumentano la produzione di proteine nel cervello (fattori neurotrofici), che a sua volta promuove la crescita dei neuroni, il collegamento tra questi e la forza delle sinapsi.

Secondo l’articolo e il lavoro di Mattson, il digiuno intermittente migliora anche la capacità delle cellule nervose di riparare il DNA, e molteplici studi sul digiuno pubblicati sul The American Journal of Clinical Nutrition (2007) hanno stabilito che digiunare può ridurre il rischio di tumore e di malattie cardiovascolari, e mostrano un potenziale significativo per la cura del diabete.

È un bene sapere che mentre digiuniamo per il bene della nostra anima (e del mondo) la nostra azione può avere anche conseguenze fisiche positive.


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01/12/2016 14:43
 
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Come riconoscere e gestire i rapporti con persone manipolatrici

Come riconoscere una persona manipolatrice?

di padre Ide

Sacerdote, medico, dottore in Filosofia e in Teologia, padre Pascal Ide si scatena contro i manipolatori nel suo ultimo libro, Manipulateurs. Les personnalités narcissiques: Détecter, comprendre, agir [Manipolatori. Le personalità narcisistiche: individuare, comprendere, agire], in cui spiega come riconoscerli e difendersi da loro. Aleteia lo ha intervistato.

C’è stato un elemento scatenante che l’ha portata a scrivere questo libro?

Sono interessato da molto tempo alla questione delle personalità narcisistiche (PN). Ho letto un libro di Isabel Nazare-Aga, Los manipuladores, quando è stato pubblicato quasi vent’anni fa e mi ha affascinato. Come quasi tutte le persone arrivate a una certa età, inoltre, mi sono imbattuto in personalità narcisistiche (rappresentano tra l’1% e il 3% della popolazione). E visto che era una questione che mi interessava personalmente, mi ha aiutato molto il fatto di conoscere i sintomi e il loro modo di agire, visto che sono decisamente tossici.

Ci sono molte opere in questo ambito. Perché una nuova?

Sì, in francese ci sono più di cento opere di divulgazione, ma non ce n’è ancora nessuna che apporti su questo fenomeno un approccio propriamente cristiano, oltre a quello umano. Dall’altro lato, il pubblico cattolico è disinformato e arriva anche a negare la cosa. In effetti, è difficile immaginare che esista una persona così diabolicamente (perché non dire così) concentrata sul suo io, e cosa peggiore incapace di evolvere (almeno in modo visibile).

Come si individua una PN?

La personalità narcisistica corrisponde a un quadro psichiatrico concreto. Si definisce come un modo di essere (e di pensare) caratterizzato da “comportamenti di grandiosità, necessità di essere ammirati e mancanza di empatia”. La persona deve presentare almeno cinque sintomi su nove. Per menzionarne alcuni, “il soggetto ha un senso grandioso della propria importanza; ad esempio, esagera i suoi successi e le sue capacità, si aspetta di essere riconosciuto come superiore senza aver raggiunto nulla; pensa di essere l’origine di tutto, si aspetta senza motivo di beneficiare di un trattamento particolarmente favorevole e che i suoi desideri siano automaticamente soddisfatti; sfrutta l’altro nelle relazioni interpersonali; usa il prossimo per raggiungere i propri fini, manca di empatia: non è disposto a riconoscere o a condividere i sentimenti e le necessità del prossimo”.



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15/12/2016 14:32
 
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L’antidoto alla solitudine: 11 abitudini per sentirsi meno soliConsigli per vincere la solitudine


Capire improvvisamente di sentirsi soli è stato descritto dal dottor Mehmet Oz come parte di un’epidemia di solitudine che affligge la nostra cultura. Forse vi siete trasferiti di recente
e avete avuto più problemi di quanti ve ne aspettavate per conoscere nuove persone, o forse avete notato che conoscete a malapena la maggior parte dei vostri “amici” dei social media. Potete essere appena diventati genitori e realizzate che il vostro gruppo di sostegno è più esiguo di quello di cui avreste bisogno. Vi sentite tristi, soli e perduti? La buona notizia è che siete in buona compagnia.

Non è comunque di grande conforto sapere che ci sono molte altre persone che leggono questo articolo e sono sole come voi, e allora ecco 11 modi per sconfiggere l’epidemia di solitudine.

1. Trascorrete meno tempo sui social media

Iniziamo con la cosa più ovvia. Impoverisce, consuma il tempo e troppo spesso è un sostituto per un contatto umano autentico e arricchente. I social media sono sicuramente utili per tenersi in contatto, ma gli studi mostrano che un loro uso eccessivo può portare a sentimenti di insicurezza, competizione e invidia, indicando anche che se pensiamo che non possa succedere proprio a noi ci stiamo illudendo.

Cosa più importante, i social media ci possono far sentire emotivamente traditi nonostante le nostre dozzine o centinaia di “amici”.

Dov’è finito lo scherzo condiviso nella pausa caffè, o l’occhiolino tempestivo che porta a qualche risatina? Gli abbracci virtuali e gli emoticons sono solo un sostituto delle cose reali. Siamo spossati dall’illusione, dalla pretesa, dall’infinito self-marketing di selfies e aggiornamenti di status.

2. Cercate la qualità degli amici più che la loro quantità

S.E. Hinton ha affermato: “Se hai due amici in tutta la tua vita sei fortunato. Se hai un buon amico sei più che fortunato”. Possiamo aprire il nostro cuore a un’ampia cerchia di familiari, amici e conoscenti, ma la nostra gratitudine aumenta se possiamo trovare dei veri confidenti. Un migliore amico potrebbe essere un parente, un fratello o un coniuge. Si può quindi non avere un’ampia cerchia di amici con cui incontrarsi per il brunch o per scambiare scherzi e storie, o si potrebbe non avere un “miglior amico” convenzionale che si conosce fin dalle scuole elementari, ma la verità è che se c’è un altro essere umano con cui ci si può sfogare o che confida in noi siamo fortunati. Se non avete questo tipo di amico tranquilli, c’è qualcuno là fuori che è fantastico ma ha bisogno della compagnia della persona unica che siete voi, e al momento giusto troverete quell’amico.

3. Leggete libri classici di qualità (cercate anche buoni programmi e buona musica)

C.S. Lewis diceva: “Leggo per sapere che non sono solo”. È questo il potere di un grande libro. È difficile sentirsi soli o non rimanere pieni di stupore quando si prende un classico come Orgoglio e Pregiudizio Le Cronache di Narnia e ci si siede davanti al fuoco con una tazza di cioccolata calda. All’improvviso il tempo in cui si è da soli diventa qualcosa da assaporare: ogni volta che si gira pagina si è contenti come un Hobbit nella Contea. Se si è soli, inoltre, perché non leggere di grandi personaggi solitari? Jane Eyre, Robinson Crusoe e Pip di Grandi Speranze stanno aspettando di diventare vostri amici. Questo consiglio si applica anche a quello che scegliete di guardare e ascoltare. Programmi oscuri o reality vuoti non nutrono l’anima, ed è molto probabile che quando finiranno non vi sentirete realizzati. Provate qualcosa che vi faccia sentire ottimisti nei confronti della vita, o qualcosa che vi faccia semplicemente fare una bella risata. Ascoltate musica che eleva i vostri sensi.

4. Coltivate i vostri interessi

Come direbbe mia nonna, “Devi essere capace di stare in tua compagnia”. E allora capite cosa vi piace e trovate qualcosa che vi piace fare con voi stessi! Avrete dei punti bonus se riuscirete a coltivare un hobby o un interesse che si pratica da soli, perché avrete delle strategie per portare la gioia dove potrebbe essersi insediata la solitudine. Forse potete suonare uno strumento o iniziare a cucire o a modellare qualche materiale.

5. Siate gentili con gli estranei

Tenere aperta la porta dicendo “Prego” e “Grazie” può davvero umanizzare la giornata. Vi ricorda che siete collegati a una comunità che va oltre voi stessi. I nostri antenati andavano al mercato e chiacchieravano, collegandosi ai vicini. Noi abbiamo lo stesso bisogno, e dire “Buona giornata” mentre uscite dalla banca o salutare un bambino può trasmettere calore agli altri.

6. Fate domande e ascoltate più che parlare

Quando andate a pranzo con un amico o lo sentite al telefono, ascoltate e fate domande, non limitatevi a parlare. Questo otterrà due cose: vi farà uscire da voi stessi (e questo demolisce sicuramente la solitudine) e aiuterà il vostro amico a volervi rivedere/richiamare!

7. Siate socievoli

Potreste trovare degli amici dove coltivate i vostri interessi. Personalmente, ho conosciuto la mia damigella d’onore alle lezioni di flamenco. Anche se non incontrate nessuno con cui forgiare un’amicizia che duri per tutta la vita, imparerete qualcosa e vi annoierete di meno, sentendovi meno tristi.

8. Donate a un’organizzazione caritativa

Che sia il vostro denaro o il vostro tempo o il vostro talento, può fare la differenza per qualcun altro. È impossibile sentirsi soli quando si dona. Offrite il vostro tempo come volontari in una mensa, svuotate il vostro armadio dei vestiti che non usate più e donate tutto a una causa meritevole, come l’associazione che sostiene i cattolici in Medio Oriente.

9. Frequentate la chiesa

Compagnia istantanea, e della migliore qualità! Frequentando la chiesa regolarmente si otterrà una famiglia ecclesiale, persone che pregheranno per voi quando passerete un brutto momento e viceversa, persone che vedranno crescere la vostra famiglia e con cui adorare Dio nel corso degli anni.

10. Praticate le opere di misericordia

Esistono le opere di misericordia spirituale e le opere di misericordia corporale. Praticatele e sarete così impegnati ad essere autenticamente realizzati che non avrete il tempo di sentirvi soli. Notate che il “visitare gli ammalati” include gli anziani e le persone che pur non essendo malate possono essere troppo deboli per uscire molto. Lottano continuamente con la solitudine, e si chiedono se sono ancora importanti e se hanno un posto degno in questo mondo. Fate sapere loro che è così! Anziché cercare semplicemente il vostro albero genealogico online, visitate gli anziani della vostra famiglia e chiedete loro di raccontarvi delle storie. Questo illuminerà la loro giornata e voi avrete una nuova tradizione orale che promuoverà il vostro senso di appartenenza, facendovi capire meglio chi siete e da dove venite.


11. Entrate nel Getsemani

Quando vi sentite soli, pregate – ovunque siate. Ricordate che Cristo ha trovato tutti i suoi amici addormentati nel momento in cui era più terrorizzato. Fategli compagni in quel giardino solitario attraverso le vostre preghiere.

Annabelle Moseley è autrice di nove libri, oratrice e docente di Letteratura e Religione. Il suo libro più recente è un doppio volume di poesia intitolato A Ship to Hold the World and The Marionette’s Ascent (Wiseblood Books, 2014). Nel 2014 è stata nominata Poetessa dell’Anno di Long Island. Scrive su maternità e significato per Mother.ly e ha un blog su fede e arti su DesertBread.org.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]


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03/01/2017 17:30
 
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Come decorare casa con i fiori secchi



Sapere come decorare casa con i fiori secchi è utile se si vuole arredare una stanza classica o rustica, ma anche se si desidera in questo modo conservare per lungo tempo dei fiori che amiamo.



 


Decorando casa con i fiori secchi si possono, infatti, al tempo stesso abbellire stanzeparetimobili ma anche mettere in mostra ricordi di una gita in campagna o di un mazzo di fiori regalato per un’occasione speciale.


 



Sono colorati, bellissimi e spesso il ricordo di un momento speciale: per questi e altri motivi in molti vogliono sapere come seccare i fiori. I fiori secchi, infatti, hanno un loro fascino tutto particolare, romantico e dal sapore leggermente decadente, inoltre grazie alle tecniche di essiccazione è possibile conservare a lungo fiori che altrimenti appassirebbero in pochi giorni e che sarebbero in breve da gettare via.


Che si tratti di fiori particolari trovati durante una gita in montagna (in questo caso bisogna sempre stare attenti a non raccogliere una specie protetta, informandosi preventivamente sulle varietà del luogo), che si tratti delle rose rosse regalo della nostra fiamma, del frutto del nostro hobby di giardinaggio o dei fiori del bouquet di nozze, se si vogliono conservare petali e boccioli intatti nella loro bellezza è importante conoscere le tecniche giuste.


Vediamo, allora, come seccare i fiori, quali sono queste tecniche da prediligere e quali i consigli da seguire per ottenere un ottimo risultato con il fai da te.


 Come seccare i fiori con il forno a microonde. Si tratta del metodo più rapido per essiccare i fiori: scelti i fiori, posizionateli in una ciotola per microonde, ricopriteli con la sabbia per la lettiera dei gatti, posizionate la ciotola nel forno a microonde e accendete a 900 watt per due o tre minuti a seconda della quantità di fiori. Quando la sabbia si sarà freddata estraete il fiore e spazzolate delicatamente. Se volete essiccare i fiori piatti create una pressa schiacciando i fiori in carta da forno avvolta da un piccolo asciugamano e schiacciata da due coperchi di plastica chiusi dagli elastici. Due minuti a 900 watt basteranno per essiccare i fiori. Esistono in commercio anche delle pratiche presse per seccare i fiori e le foglie nel microonde.

 

  • Come seccare i fiori pressandoli. Sempre se desiderate dei fiori piatti, da utilizzare per esempio per decorazioni per la casa o come segnalibri, utilizzate questa tecnica tradizionale: prendere un’enciclopedia o un altro libro pesante, posizionate tra due pagine della carta da forno e disponetevi i fiori a faccia in giù. Chiudete il libro e non riapritelo se non dopo 7-10 giorni.

  Come seccare i fiori con il gel di silice. Il gel di silice, da acquistare nei negozi fai da te, consente di mantenere intatta la bellezza del fiore, forma e colori compresi. In un contenitore versate un po’ di gel (una sostanza sabbiosa), poi depositate sopra i fiori con l’apertura verso l’altro e ricopriteli di un dito di materiale. Estraeteli dopo una settimana. Il gel di silice può essere utilizzato più volte.

  Come seccare i fiori all’aria. Si tratta della tecnica più tradizionale per l’essiccazione di fiori: raccogliere i fiori in un mazzo, fissate gli steli con un elastico e appendete a testa in giù in una zona ben ventilata e lontana dalla luce solare diretta. Nel giro di un paio di settimane i petali si restringeranno e cambieranno colore dando vita a un mazzo perfetto per un ambiente shabby chic.

 Come seccare i fiori in vaso. Seccare i fiori nel loro vaso non prevede sforzi, basta metterli in pochi centimetri d’acqua e poi, semplicemente, dimenticarsi di loro. Per questo metodo meglio scegliere però fiori dal gambo abbastanza robusto, altrimenti potrebbe cedere. Sono adatte, per esempio, le ortensie o la gypsophila, conosciuta come nebbiolina, fiore della nebbia o velo da sposa.

 


[Modificato da Benedetta.. 03/01/2017 17:33]
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13/01/2017 21:54
 
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COME COMBATTERE LO STRESS

Può costare crederlo, ma evitare lo stress, l’ansia e il nervosismo senza assumere medicinali a questo scopo è più facile di quanto possa sembrare. In questo breve testo vorrei raccontarvi la mia esperienza con lo stress, che è stato il protagonista della mia vita per troppo tempo, fino a quando ho deciso di porvi fine attraverso alcune strategie e tecniche assai efficaci.

Lo stress è un fenomeno molto particolare associato alla produzione di determinati ormoni, come il cortisolo. L’eccesso di stress provoca irritabilità, insonnia, riduce la produttività e la concentrazione ed è collegato alla diminuzione della speranza di vita, con la perdita dei capelli e problemi di ogni tipo a livello intestinale e del sistema circolatorio.

La prima cosa a cui pensare è che non siamo stressati perché siamo sottoposti a pressioni sul lavoro o nella vita. Intorno a noi ci saranno persone che vivono situazioni simili ma non sono consumate dall’ansia. Il cortisolo e l’adrenalina, inoltre, esistono per aiutare a superare certi momenti difficili in cui bisogna rendere al 100%.

Quello di cui abbiamo bisogno è dominare e gestire lo stress per utilizzarlo a nostro beneficio ed eliminarne tutti gli effetti pregiudizievoli. Come possiamo riuscirci?

1. Mettete ordine nella vostra vita

camera, coffee, cup
unsplash.com

Lo stress non è provocato dal cortisolo, ma dal disordine nel modo di affrontare i compiti, che è quello che ci provoca il nervosismo e attiva la produzione di questo ormone. Pensate ai momenti in cui siete stressati: in genere sono situazioni nelle quali non riusciamo a concentrarci su ciò che facciamo perché stiamo pensando ad altre cose che dobbiamo fare in seguito, o alle cose di cui non ci occupiamo perché siamo presi da altro. Questa dispersione genera mancanza di concentrazione, nervosismo e di conseguenza cortisolo, che a partire da certe quantità rende difficile la concentrazione. È il circolo vizioso dello stress.

Come uscirne? In primo luogo prendetevi un momento per decidere cosa avete il dovere di fare ogni giorno e a cosa volete dedicare il vostro tempo libero. Stabilite le vostre priorità e ripartite il tempo nel corso della settimana. Facendolo vi renderete conto che c’è tempo per tutto, perché il problema non è la quantità di occupazioni, ma il disordine.

Determinate i momenti della giornata in cui controllare la posta elettronica, Whatsapp o Messenger, e non fatelo in altri momenti. Scaricate sul cellulare un gestore di attività (ce ne sono vari, io consiglio “Call”, che è gratuito). Utilizzate il sistema di allarme e smettete di preoccuparvi di quello che dovrete fare in futuro; il vostro telefono vi avviserà. Se arriva un nuovo compito, inseritelo per quando dovete svolgerlo e poi dimenticatevene.


LEGGI ANCHE: 5 semplici preghiere per i momenti di stress

2. Controllate la vostra dispersione

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Se state facendo una cosa, non pensate a un’altra. L’occupazione seguente avrà il suo tempo riservato, per cui potete dimenticarvene. Concentratevi su quello che state facendo. Non controllate la posta se non è il momento in cui avevate stabilito di farlo. Con un po’ di sforzo riuscirete a evitare la tentazione di “depistaggio”, il che vi permetterà di essere più efficaci e produttivi e, cosa ancor più importante, di ottenere la pace e la tranquillità di cui avete bisogno nella vita.

3. Eliminate il cortisolo di troppo

Papà, lascia che mi diverta

Le preccupazioni, i nervi, le discussioni… generano cortisolo nel nostro sangue, il che presuppone che siamo stressati quando non abbiamo più bisogno di essere “iperattivati”. Grazie a Dio esiste un mezzo molto efficace per eliminarlo: fare esercizio. Fare un po’ di esercizio ogni giorno vi aiuterà moltissimo ad affrontare lo stress. Non praticate sport vicino al momento in cui dovete andare a letto. Prima di cena o almeno due ore prima di dormire è molto meglio. Fare sport la mattina non influirà sul vostro stress, perché è la parte della giornata in cui c’è meno bisogno di bruciare cortisolo.

4. Rilassatevi

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Prendete la vostra nuova applicazione-agenda e cercate tre momenti della giornata in cui rilassarvi. Bastano cinque minuti la mattina, cinque a metà giornata e cinque prima di dormire. Esistono molte tecniche di rilassamento, ma io vi consiglio di usare l’applicazione “Pacifica”, che è gratuita ed efficace. Rilassarvi vi permetterà di collegarvi a voi stessi e di ricordare le vostre priorità. Un altro metodo molto efficace è pregare, soprattutto se si tratta di una preghiera conosciuta e siamo capaci di concentrarci sulle parole che stiamo pronunciando, lasciando da parte tutto il resto.

 


Come potete vedere, si tratta di mezzi semplici per porre fine allo stress, ma sono efficaci e cambieranno il vostro modo di vivere e di relazionarvi agli altri. Ve lo dico per esperienza personale.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

 
 

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16/01/2017 10:59
 
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I consigli di San Paolo per la lotta spirituale (Ef 6, 10-20)

La Guerra…fa rumore





Sparatorie. Bombe. I segni della battaglia sono chiari. L’attacco è palese.

Ma questa è una guerra diversa. Il nemico è silenzioso. Furtivo. Spesso sconosciuto. Gli attacchi sopraggiungono nei momenti di debolezza, disattenzione, tentazione. La moralità e la virtù sono messe sotto pressione ed alla prova. Questa guerra riguarda il modo in cui difendete voi stessi. Non servono bombe né pistole, ma una vera armatura.

«Armor of God – L’armatura» di Dio è un piccolo video realizzato dai Life Teen, un gruppo di ragazzi americani, per evangelizzare.

Tradotto e sottotitolato in italiano a cura di È il Cielo che Regge la Terra

«Per il resto, attingete forza nel Signore e nel vigore della sua potenza. Rivestitevi dell’armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo. La nostra battaglia infatti non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti. Prendete perciò l’armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove. State dunque ben fermi, cinti i fianchi con la verità, rivestiti con la corazza della giustizia, e avendo come calzatura ai piedi lo zelo per propagare il vangelo della pace. Tenete sempre in mano lo scudo della fede, con il quale potrete spegnere tutti i dardi infuocati del maligno; prendete anche l’elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. Pregate inoltre incessantemente con ogni sorta di preghiere e di suppliche nello Spirito, vigilando a questo scopo con ogni perseveranza e pregando per tutti i santi, e anche per me, perché quando apro la bocca mi sia data una parola franca, per far conoscere il mistero del vangelo, del quale sono ambasciatore in catene, e io possa annunziarlo con franchezza come è mio dovere».

 

 




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30/01/2017 16:58
 
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5 modi in cui utilizzare il limone come cosmetico naturale





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Come usare il limone come cosmetico naturale

 

Avete mai provato a usare il limone come un vero e proprio cosmetico naturale? Ecco 5 ricette che vi stupiranno.


Il limone è un alimento preziosissimo, ricco di proprietà e utile per la nostra salute. Pensiamo ad esempio ai benefici che da ogni mattino bere acqua calda con una spruzzata di limoneEppure, il limone non viene utilizzato solo nel settore alimentare. Infatti, può essere adoperato per tante altre cose e anche come un vero e proprio cosmetico naturale.



Questo agrume, infatti, ha tutta una serie di proprietà che lo rendono un ingrediente importante in molte ricette di prodotti di bellezza bio. Inoltre, ha un altro vantaggio: un profumo forte e gradevole. Vediamo allora alcune ricette che utilizzano il limone come base per cosmetici naturali fai da te.

1. Scrub per il viso

È stato dimostrato che il succo di limone ha proprietà antibatteriche. Questo significa che è un ingrediente che può essere utilizzato per combattere l’acne. Ecco la ricetta di uno scrub per il viso molto semplice da realizzare, efficace per la pelle grassa e senza tutti quegli ingredienti chimici corrosivi che sono invece contenuti nella maggior parte dei prodotti contro l’acne. Per realizzarlo vi serviranno:

  • 60 ml di succo di limone spremuto fresco
  • 60 ml di acqua
  • 1/2 tazza di fiocchi d’avena (che serve come esfoliante)
  • 1/2 cucchiaio di miele (per ammorbidire la pelle)

Versate tutti gli ingredienti in una piccola ciotola, avendo cura di ridurre in polvere i fiocchi d’avena. Quando il composto avrà raggiunto la consistenza desiderata, massaggiatelo sul viso per 30 secondi. Risciacquate con acqua tiepida.

benefici limone

2. Tonico per il viso

Un altro modo in cui i limoni possono aiutarci a combattere l’acne e avere una pelle più luminosa è quello di creare un tonico per il viso.

In un barattolo, unite 2 cucchiai di succo di limone, una mezza tazza di fette di cetriolo, e 3 tazze di acqua fredda. Potete aggiungere anche alcune fette di limone, se volete. Applicate il liquido con un batuffolo di cotone. Questo composto può rimanere in frigo per un massimo di una settimana.

3. Scrub per il corpo

Dal momento che il limone è buon ingrediente per il vostro viso, probabilmente non è una sorpresa il fatto che può essere utilizzato anche sul resto del corpo. L’olio essenziale di limone, ad esempio, è utilizzato in aromaterapia per combattere la depressione e ravvivare gli scrub al sale fatti in casa. Ecco la ricetta per un ottimo scrub. Attenzione: va usato solo un paio di volte a settimana. Vi serviranno:

  • la scorza di 1 limone
  • 1 tazza di sale grezzo
  • 1/2 tazza di olio di mandorle

Mescolate gli ingredienti e utilizzateli sotto la doccia, sulla pelle appena bagnata. In alternativa, potete utilizzare del sale, del rosmarino tritato finemente e il succo di un limone. In entrambi i casi, massaggiate con movimenti circolai per qualche minuto e poi risciacquate.


4. Per risciacquare i capelli

Sembra che il succo di limone riduca gli effetti creati dall’acqua troppo dura, aiutando i capelli ad apparire più sani e lucidi. Unite 2 cucchiai di succo di limone con una tazza di acqua tiepida e versate la soluzione lentamente sopra i capelli. Lasciate in posa per almeno un minuto prima di risciacquare.

5. Per una ceretta naturale

In un nostro precedente articolo, abbiamo parlato della ceretta araba, una ceretta tutta naturale, semplice da fare ed economica per la depilazione. 

 

Soprattutto in estate, avere delle gambe lisce e depilate è prerogativa di molte donne. Per farlo, ci si affida a diversi espedienti, più o meno aggressivi e più o meno naturali.

 

Se non siete amanti di rasoi ed epilatori elettrici e volete che la vostra depilazione duri un po’ più a lungo, potete affidarvi ad alcuni espedienti naturali che le donne hanno imparato a usare sin dall’antichità.

Un esempio è la ceretta araba, un composto realizzato con il caramello, molto delicato ed efficace.

Il vantaggio di utilizzare questo metodo di depilazione naturale è che è molto economico, realizzato con ingredienti che tutti abbiamo in casa e il composto è meno aggressivo rispetto alle cerette che troviamo in commercio, esponendo molto di meno la pelle a fenomeni allergici. Inoltre, i residui vanno via con una semplice doccia.

Il nome tecnico della ceretta araba è Sokkar. È una soluzione naturalmente molto diffusa nel mondo mediorientale ed è molto semplice da preparare. L’efficacia dello strappo dipenderà essenzialmente dall’accuratezza della preparazione e dall’elasticità del preparato. La pasta finale, infatti, dovrà possedere un colore specifico e una precisa consistenza.

Per realizzarla vi serviranno:

  • 1 bicchiere di zucchero
  • ½ bicchiere di succo di limone
  • 1 cucchiaino di miele.

C’è chi suggerisce di aggiungere anche un pizzico di sale al composto.

ceretta araba

Il procedimento da seguire è questo: versate in un pentolino il succo di limone con lo zucchero e mescolate mantenendo a fuoco lento. Aggiungete il miele e continuate a mescolare; poi, portate a ebollizione e fate cuocere per 10 minuti, continuando sempre a girare il composto con un mestolo di legno.

Spegnete e lasciate intiepidire. Il preparato a questo punto avrà una colorazione giallo-ambrata. Trasferitelo in un contenitore di vetro. Appena potrete toccare la cera, iniziate a lavorarla. Bagnatevi le mani e manipolatela, realizzando delle piccole palline elastiche. Dovrà essere appiccicosa, ma senza rimanervi attaccata alle mani. A questo punto il colore del composto risulterà di un giallo più dorato. Quando vedete che la consistenza è quella giusta, prendete la palla di cera e stendetela sulla pelle, seguendo la direzione di crescita del pelo. Strappate infine con un gesto secco e deciso. Non servono strisce.

I residui si eliminano con acqua e potete conservare ciò  che resta in frigorifero, in un barattolo di vetro, rinvenendo il composto, quando vi serve, a bagnomaria.

C’è anche chi preferisce non usare il miele, modificando leggermente le dosi degli ingredienti che saranno composti semplicemente da 1 bicchiere di succo di limone e 4 di zucchero.

Alternative alla ceretta per zone delicate e con poca peluria

Oltre alla classica ceretta araba, è possibile creare un altro tipo di composto, realizzato con la farina di ceci e la curcuma.

Vi serviranno:

  • 3 cucchiai di farina di ceci
  • un cucchiaio di curcuma in polvere
  • acqua.

Mescolate gli ingredienti realizzando una sorta di pastella, molto delicata, da stendere sulla pelle. Lasciate che si secchi. Massaggiate il composto con movimenti circolari, eliminando così la peluria. Al termine dell’operazione risciacquate con acqua fresca.


Questa soluzione viene utilizzata in genere per la peluria del viso o, comunque, per le zone del corpo dove i peli sono radi e sottili.

La ceretta araba è meno dolorosa di quella artificiale, non costa nulla ed è molto delicata. Per questo, è indicata per ogni tipo di pelle e qualsiasi parte del corpo. È però più difficile da maneggiare di quella tradizionale, proprio perché appiccicosa; richiede dunque una maggiore dimestichezza. Da non usare se i peli sono molto corti.

 


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08/02/2017 12:15
 
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STRATEGIA PER COMBATTERE I VIZI CAPITALI

La strategia per vincere i 7 vizi che ci imprigionano
PRATICA = ABITUDINI

La pratica costante crea delle abitudini.
La pratica costante di buone azioni crea le abitudini virtuose.
La pratica costante di cattive azioni crea le abitudini peccaminose.
Per questo, insieme alla preghiera per chiedere la grazia di Dio e alla confessione per chiedere la sua misericordia, è indispensabile insistere nella pratica costante delle buone azioni, per formare l’abitudine alla virtù e perseverare nell’astensione costante dalle cattive azioni, per combattere l’abitudine del peccato.

Forse è la ricetta più ovvia del mondo, ma il problema è che tendiamo a dimenticare di metterla in pratica!

PESSIME ABITUDINI vs OTTIME ABITUDINI

È comune non smettere di peccare perché non cambiamo alcune pessime abitudini e non esercitiamo alcune ottime abitudini. Ad esempio, siamo soliti lodare il bene con molta meno intensità di quanto lamentiamo il male; in genere ringraziamo per le realtà buone e belle con frequenza molto minore rispetto a quanto deploriamo le realtà brutte e negative, e soprattutto in genere speriamo (ed esigiamo) che Dio faccia tutto o quasi tutto da solo anziché compiere atti di carità volontari, consapevoli, gratuiti, nascosti e quotidiani a favore del prossimo.

ATTACCATE LA RADICE, NON I RAMI

La conquista delle abitudini virtuose e la lotta a quelle peccaminose si trasformano in una strategia molto più chiara, obiettiva ed efficace quando comprendiamo che esistono certi vizi peccaminosi che provocano la maggior parte degli altri vizi e peccati: sono i vizi o peccati capitali, che quindi devono essere quelli da combattere in modo prioritario.

Circa i peccati e vizi capitali, il Catechismo di San Pio X insegna che “il vizio è una cattiva disposizione dell’animo a fuggire il bene e a fare il male, causata dal frequente ripetersi degli atti cattivi. Tra peccato e vizio v’è questa differenza, che il peccato è un atto che passa, mentre il vizio è la cattiva abitudine contratta di cadere in qualche peccato”.

I 7 VIZI CAPITALI

I vizi o peccati capitali sono allo stesso tempo vizi e peccati, o peccati che costituiscono cattive abitudini. Sono sette:

1º SUPERBIA: assenza di umiltà, manifestata in orgoglio e arroganza.
2º AVARIZIA: attaccamento ai beni materiali e al loro accumulo come se fossero fini in sé anziché mezzi per fini nobili.
3º LUSSURIA: attaccamento ai piaceri carnali, sensuali.
4º IRA: consenso alla rabbia smisurata, spesso con desiderio di vendetta.
5º GOLA: concessione al piacere di mangiare in quantità superiore a quella necessaria al benessere del corpo.
6º INVIDIA: tristezza per il bene altrui, che viene percepito come male proprio, come qualcosa che sminuisce se stessi.
7º ACCIDIA: arrendersi alla mancanza della volontà di compiere i propri doveri e di superare le proprie limitazioni pregiudizievoli.

LE VIRTÙ OPPOSTE

I vizi o peccati capitali si vincono con la pratica delle virtù opposte:
la SUPERBIA con l’UMILTÀ;
l’AVARIZIA con la CARITÀ;
la LUSSURIA con la CASTITÀ;
l’IRA con la PAZIENZA;
la GOLA con la TEMPERANZA;
l’INVIDIA con la GENEROSITÀ;
l’ACCIDIA con la DILIGENZA.

L’immagine è l’opera I Sette Peccati Capitali e le Quattro Cose Ultime, del pittore olandese Hieronymus Bosch (ca. 1450 – 1516). Le “quattro cose ultime” in questione sono la morte, il giudizio, l’inferno e il paradiso, chiamati anche “novissimi” (dal latino “novissimus”, che significa “ultimo”), e il loro rapporto con i sette vizi capitali è piuttosto suggestivo. Per visualizzare l’immagine con maggior dettaglio, accedete a questa pagina di WikiMedia.


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11/02/2017 19:24
 
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7 CONSIGLI PER COME EDUCARE UN BAMBINO ( Secondo s.Giovanni Bosco)

7 consigli di Don Bosco su come disciplinare un bambino

Una delle sfide più grandi quando si educa un bambino è sapere come e quando esercitare la disciplina. Cosa deve fare un genitore (o un insegnante) quando un bambino conosce i bottoni da spingere per sfidarlo al massimo e niente sembra funzionare?

Facciamoci aiutare da San Giovanni Bosco. Se volete potete chiamarlo “Don”, con affettuoso rispetto.

Don Bosco sa precisamente cosa state attraversando, perché ha dedicato tutta la sua vita a formare ragazzi ribelli. Ha preso centinaia di giovani svantaggiati, educandoli e impiegando tutte le proprie energie per trasformarli in uomini che potessero servire la società.

Man mano che i suoi sforzi aumentavano, Don Bosco ha avuto bisogno dell’aiuto di altri, e questo significava anche formare nuovi insegnanti.

Nelle sue lettere agli insegnanti, Giovanni Bosco delineava un dettagliato “Sistema Preventivo” di educazione che mirava a disporre “i ragazzi a obbedire non per paura o obbligo, ma in virtù della persuasione. In questo sistema ogni forma di forza dev’essere esclusa, e al suo posto la principale molla d’azione dev’essere la carità”.


 


Ecco sette suggerimenti che San Giovanni Bosco dava ai suoi insegnanti e che sono rilevanti ancora oggi, potendo aiutare i genitori stanchi o gli insegnanti frustrati a guidare i bambini sulla via della virtù:

1) La punizione dovrebbe essere l’ultima ratio

Nella mia lunga carriera di educatore, quanto spesso l’ho dovuto constatare! Non c’è dubbio che sia dieci volte più semplice perdere la pazienza che controllarla, minacciare un ragazzo che persuaderlo. È altrettanto indubbio che sia molto più gratificante per il nostro orgoglio punire chi ci oppone resistenza piuttosto che affrontarlo con ferma gentilezza. San Paolo lamentava spesso come alcuni convertiti alla fede tornassero troppo facilmente alle loro abitudini inveterate, e tuttavia sopportava tutto questo con pazienza ammirevole. È questo il tipo di pazienza di cui abbiamo bisogno quando ci rapportiamo ai giovani.

2) L’educatore tra gli allievi cerchi di farsi amare, se vuole farsi temere

In questo caso la sottrazione di benevolenza è un castigo, ma un castigo che eccita l’emulazione, dà coraggio e non avvilisce mai. Ogni educatore deve farsi amare se vuole essere temuto. Raggiungerà questo grande scopo se farà capire chiaramente con le parole, e ancor più con le azioni, che tutta la sua cura e la sua sollecitudine sono volte al benessere temporale e spirituale dei suoi allievi.

3) Eccettuati rarissimi casi, le correzioni, i castighi non si diano mai in pubblico, ma privatamente, lungi dai compagni

Bisogna quindi correggere con la pazienza di un padre, e mai, per quanto possibile, correggere in pubblico, ma in privato – o come si dice in camera caritatis –, lontano dagli altri. Solo nel caso in cui si debba evitare o rimediare a uno scandalo serio permetterei correzioni o punizioni pubbliche.

4) Il percuotere in qualunque modo, il mettere in ginocchio con posizione dolorosa, il tirar le orecchie ed altri castighi simili debbonsi assolutamente evitare

Sono proibiti dalle leggi civili. Irritano grandemente i giovani ed avviliscono l’educatore.


 


5) L’educatore faccia ben conoscere le regole, i premi ed i castighi stabiliti dalle leggi di disciplina, affinché l’allievo non si possa scusare dicendo che non sapeva che ciò fosse comandato o proibito

[In altre parole, i bambini hanno bisogno di confini e vi rispondono bene. Nessuno si sente sicuro se viene lasciato a briglia sciolta]

6) Quando è una questione di dovere, siate fermi nel perseguire ciò che è buono e coraggiosi nell’evitare il male, ma sempre gentili e prudenti. Vi assicuro che il vero successo può derivare solo dalla pazienza

L’impazienza non piace agli allievi e diffonde malcontento tra i migliori di loro. La lunga esperienza mi ha insegnato che la pazienza è l’unico rimedio anche per i peggiori casi di disobbedienza e irresponsabilità tra i ragazzi. A volte, dopo aver compiuto molti sforzi pazienti senza successo, ho ritenuto necessario ricorrere a misure severe, ma queste non hanno mai ottenuto niente, e alla fine ho sempre verificato che la carità ha trionfato dove la severità aveva fallito. La carità è la cura di tutto, anche se può essere lenta nel raggiungere i suoi obiettivi.

7) Per essere veri padri nel rapportarci ai giovani, non dobbiamo permettere che l’ombra della rabbia offuschi il nostro volto

Se a volte veniamo colti di sorpresa, lasciamo che la serenità della nostra mente disperda immediatamente le nuvole dell’impazienza. L’autocontrollo deve regnare su tutto il nostro essere – mente, cuore e labbra. Quando qualcuno sbaglia, nutrite per lui simpatia nel vostro cuore e speranza nella vostra mente, e allora potrete correggerlo con profitto.

In certi momenti difficili, un’umile preghiera a Dio è molto più utile di un violento accesso di rabbia. I vostri ragazzi non trarranno sicuramente alcun profitto dalla vostra impazienza, e non sarete un esempio edificante per nessuno che vi stia osservando.


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13/02/2017 13:28
 
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I 6 principi per educare i vostri figli secondo il metodo Montessori
I 6 principi per educare i vostri figli secondo il metodo Montessori

La dottoressa che ha rivoluzionato l'insegnamento
in un'epoca in cui educazione era sinonimo di repressione

 
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Il 6 gennaio si sono celebrati i 100 anni dall’apertura della prima scuola Montessori a Roma. Questo anniversario è un’opportunità per ricordare questo metodo di educazione originale sviluppato nel XX secolo e oggi famoso e riconosciuto in tutto il mondo.

All’origine di questo metodo c’è il medico Maria Montessori, che all’inizio si interessò dei metodi educativi e segnalò l’ambiente particolarmente repressivo che circondava i bambini della sua epoca. Nel suo diario, descriveva i bambini come “incompresi e inibiti in un ambiente pieno di ostacoli”.

Anche se all’epoca un atteggiamento di questo tipo era giudicato normale, la Montessori lo riteneva al contrario “una manifestazione di difesa ed espressione della debolezza spirituale” che porta a instabilità, ira, egoismo e a un attaccamento eccessivo ai beni materiali per desiderio di potere.

Un’educazione per servire la pace

Convinta che il rispetto della personalità del bambino fosse fondamentale, Maria Montessori ha sviluppato il proprio metodo educativo, oggi conosciuto a livello mondiale e presente nelle scuole note come Case dei Bambini.

L’obiettivo del suo metodo è servire la pace. Come donna illuminata, comprese fin dall’inizio che l’educazione è determinante nella costruzione del futuro del bambino e del suo rapporto con il mondo. Nell’educazione, scriveva nel suo diario, “è del bambino che si deve tener conto in primo luogo; la questione è liberarlo dagli ostacoli che rendono difficile il suo sviluppo e aiutarlo a vivere. Una volta che si comprende questo principio, si constata un cambiamento radicale nel comportamento dell’adulto in relazione al bambino”.

Quello che bisogna modificare nel rapporto con il bambino si riassume in due punti: il modo in cui l’adulto si occupa di lui e il contesto che gli offre. Da qui deriva una serie di concetti chiave, sviluppati nel suo manuale e che sono la base della pedagogia applicata nelle scuole Montessori.

I 6 concetti chiave del metodo Montessori:

1. Far nascere l’impulso naturale del bambino

Si tratta più di un ritorno alla tradizione che di un’innovazione. Ritorno alla tradizione perché il termine “educazione” significa proprio estrarre, far sorgere, promuovere lo sviluppo di qualcosa che è dentro l’anima del bambino. San Tommaso d’Aquino diceva che il compito del maestro è quello di alimentare l’impulso che spinge il bambino a sviluppare le proprie energie interiori.

In movimento costante, il bambino impara costantemente. A noi adulti sembra che i bambini scorrazzino in modo disordinato, ma questo atteggiamento è più che altro la scoperta dell’ambiente che li circonda.

2. Un ambiente favorevole all’apprendimento grazie a metodi ludici

Niente cattedre, banchi o classi collettive. Non è il maestro o la maestra a scegliere per il bambino gli oggetti da utilizzare, ma il bambino stesso che sceglie quale oggetto vuole scoprire. Ma attenzione, perché non si tratta assolutamente di privare l’insegnante del suo posto in classe. Il rapporto tra docente e discente è fondamentale nel metodo Montessori, ma viene vissuto in modo diverso, e i bambini smettono di essere ricettacoli passivi del sapere per essere attori della propria costruzione.

3. L’importanza fondamentale della pratica e del tatto

Per Maria Montessori, non ci può essere sviluppo intellettuale senza esercizi, né esercizi senza oggetti esterni. Il bambino ha bisogno di manipolare gli oggetti per organizzare e coordinare i suoi movimenti.

Un errore classico degli adulti è voler aiutare il bambino a raggiungere il suo obiettivo. Nella scoperta del mondo, ciò che conta non è l’obiettivo ma l’apprendimento, e il bambino ha la necessità fondamentale di imparare da sé.

Ordini del tipo “Resta lì” o “Non toccarlo” sono proibiti nelle scuole Montessori, in cui si incoraggia il desiderio del bambino di toccare tutto ma senza essere disordinato.

4. Organizzazione, ordine e mantenimento

“Ogni oggetto ha il suo posto specifico, e ogni oggetto deve tornare al posto che occupa”.

Rimettere ogni cosa a posto dopo averla usata e tenere le cose per farle durare. Anche se queste due nozioni sembrano evidenti a ogni adulto, lo sono molto meno quando parliamo dell’educazione che si dà ai bambini. Come aspettarsi che un adulto curi e mantenga l’ambiente che lo circonda se non ha imparato a farlo da piccolo?

Il mantenimento dei materiali della classe si accompagna a un apprendimento dei compiti domestici elementari, come spazzare o togliere la polvere a un tappeto dopo averlo utilizzato. È fondamentale insegnare ai bambini a pulire e non, come succede in molte scuole tradizionali, a confidare nel fatto che ci penserà il servizio di pulizia. Anche così si impara il rispetto.

5. Bellezza e semplicità

Insegnare la bellezza delle cose al bambino per sviluppare in lui il senso estetico, con semplicità, e aiutarlo così a scoprire la bellezza degli oggetti che usa abitualmente nella vita quotidiana.

I compiti domestici non hanno nulla di degradante se vengono svolti con armonia e bellezza. La scopa deve avere un buon manico, i panni devono essere di colori diversi. In questo modo, il bambino impara a scoprire la bellezza nelle cose più semplici.

6. Non “infantilizzare” il bambino

Al contrario, bisogna dargli accesso a un contesto adulto del suo livello. Niente giochi di plastica o di colori sgargianti, presumibilmente adattati all’intelligenza limitata del bambino. Maria Montessori puntava sui mobili e su oggetti simili a quelli utilizzati dagli adulti. Imitandoli, il bambino imparerà a usarli da sé, a manipolarli, a smontarli e a mantenerli. Anziché separare in modo categorico gli oggetti dei bambini da quelli degli adulti, conviene permettere ai bambini di scoprire questi oggetti e di maneggiarli con cura.

 

*Tratto da Le Manuel Pratique de la Méthode Montessori, Maria Montessori, edizione storica di Desclée de Brouwer, 164 pagine, ottobre 2016,


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20/02/2017 22:25
 
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4 suggerimenti quotidiani per curare il proprio benessere mentale



Non importa a che punto ci troviamo nella vita; che siamo ancora delle studentesse o che stiamo accompagnando i figli a scuola, siamo tutte d’accordo nel dire che è incredibilmente importante impiegare del tempo per prendersi cura di sé. Lo sappiamo, ma la maggior parte delle donne non lo fa in maniera regolare. Tendiamo piuttosto a prenderci prima cura di tutti gli altri bisogni, dimenticandoci di noi stesse. E sebbene a volte possa sembrare eroico, è anche dannoso; non è sano dimenticare le esigenze del proprio corpo.

Così, quando di recente ho letto i pensieri di  Natascha Chtena sulla cura di sé, mi ha aperto gli occhi. Ho subito riconosciuto che il suo consiglio era qualcosa di cui molte donne (me compresa) hanno dolorosamente bisogno: dobbiamo calmare i nostri sensi di colpa ed essere migliori con noi stesse. Natascha è candidata al dottorato in Scienze dell’informazione, ma a me ha già insegnato alcune lezioni importanti.

Scrive: “In una cultura così veloce, come possiamo prenderci più cura di noi stesse, fisicamente, mentalmente e spiritualmente? Spesso sentiamo cose come ‘mangiare cibo autentico’, ‘fare esercizio fisico regolare’ e ‘dormire a sufficienza,’ ma penso che ci sia qualcosa di più”. Continua dando consigli su come avere compassione verso noi stesse, soprattutto quando ci sentiamo inadeguate ed esaurite. Anche se i pensieri sulla cura di sé espressi da Natascha sono rivolti ai suoi compagni universitari, credo davvero che le sue dritte potrebbero applicarsi a qualsiasi donna e in qualsiasi fase della vita.

Ecco quattro consigli, adattati dalla lista di Natascha, che si concentrano maggiormente sugli aspetti spirituali del trattare con più gentilezza te stessa, sia a livello psichico che spirituale.

Sii misericordiosa con te stessa

A volte sembra che sia più facile avere compassione per gli altri che per se stesse. Potresti dare agli altri una seconda, terza, o addirittura infinite occasioni, ma dai un piccolo margine di errore alle tue azioni e ai tuoi pensieri. Quando commetti degli errori, ci rimugini su per trovare ogni volta nuovi punti deboli? È un sentimento comune, ma non è sano.

Il primo passo per la cura di sé è rendersi conto che tutti facciamo degli errori, e va bene non essere perfette. Tieni a mente che Dio è più grande dei nostri errori e problemi. Iil primo passo per accettare il Suo perdono è avere misericordia per te stessa. Riconosci che hai bisogno di prenderti cura di te stessa. Permetti a te stessa di essere umana.

Finisci ogni giorno contando le tue benedizioni

A volte la vita è così impegnativa che l’unico momento tranquillo in cui tu potresti pensare a te stessa è a letto, alla fine della giornata. Può essere facile scivolare in un’abitudine fatta di negatività, in cui passiamo in rassegna tutto ciò che abbiamo sbagliato durante la giornata e tutto ciò che avremmo potuto fare meglio. Invece, prova a pensare ai momenti in cui – nell’arco della giornata – sei stata benedetta. Quali sono stati i tuoi momenti con Dio? Non mi riferisco necessariamente a momenti grandiosi in cui sei stata inondata di Grazia. Potrebbero essere cose semplici, come l’aver trovato tutti verdi al semaforo andando a lavoro, o aver visto tuo marito rifare il letto.

Quando riesci a trovare gioia anche nei momenti più semplici, stai imparando a scoprire bontà e gratitudine nella tua giornata. E dopo aver imparato a vedere quanto c’è di buono nella Creazione, potrebbe essere più facile guardare a te stessa con gratitudine. E quando ti senti meglio con te stessa, sei molto più disposta a fare ciò che è buono per il tuo corpo, come fare esercizio fisico e mangiare in modo corretto.

Sii consapevole di ciò che sei agli occhi di Dio

Lui pensa che tu sia intelligente. Sa che sei unica, e che non c’è nessuna come te. Ha pensato a te fin dall’inizio dei tempi. Per Lui non sei mai troppo impegnativa, e sei sempre abbastanza. Lui ti ha creato. Vali più delle tue giornate ‘no’ in cui ti senti depressa e passi ore a piangere in bagno. Ci siamo passate tutte, ma Lui ci ama. Nei giorni in cui ti concentri sulla cura di te, non dimenticare di concentrarti su Colui che si preoccupa di più di te, che ti ama e che ti conosce più di quanto tu ami e conosci te stessa.


 


Non sentirti in colpa per prenderti delle pause durante il giorno

Nel suo libro Time for God, Padre Jacques Philippe ha dichiarato: “Questo è un punto da sottolineare. La preghiera mentale non deve essere trattata come qualcosa di eccezionale, fatta frettolosamente prima di passare ad altre attività. Deve diventare un’abitudine, parte del normale ritmo della nostra vita, in modo che il suo posto non sia mai messo in discussione, neanche per un solo giorno”. Non dobbiamo vergognarci né sentirci in colpa del tempo che passiamo lontane dalla frenesia della vita quotidiana. Anzi, questi momenti con Dio sono essenziali per la cura di noi stesse e per raggiungere il benessere. Continua padre Jacques Phillipe: “La preghiera mentale deve diventare un evento quotidiano, da considerare vitale come il ritmo di base dell’esistenza. Dovrebbe diventare il respiro della nostra anima”. Non sentirti in colpa per voler prendere del tempo per far semplicemente respirare la tua anima.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]


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04/03/2017 14:46
 
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Ciao a tutti,
a inizio Quaresima, vorrei condividere con voi i 15 Semplici Atti Di Carità che Papa Francesco ha citato come Manifestazioni Concrete D’Amore .
Credo valgano la lettura e la riflessione.

1. Sorridere, un cristiano è sempre allegro!
2. Ringraziare (anche se non “devi” farlo).
3. Ricordare agli altri quanto li ami.
4. Salutare con gioia quelle persone che vedi ogni giorno.
5. Ascoltare la storia dell’altro, senza pregiudizi, con amore.
6. Fermarti per aiutare. Stare attento a chi ha bisogno di te.
7. Alzare gli animi a qualcuno.
8. Celebrare le qualità o successi di qualcun altro.
9. selezionare quello che non usi e donarlo a chi ne ha bisogno.
10. Aiutare quando serve perché l’altro si riposi.
11. Correggere con amore, non tacere per paura.
12. Avere buoni rapporti con quelli che sono vicino a te.
13. Pulire quello che uso in casa.
14. aiutare gli altri a superare gli ostacoli.
15. Telefonare ai tuoi genitori.

Il miglior digiuno
Ti proponi di digiunare in questa quaresima?
•Digiuna di parole offensive e trasmetti parole squisite
• Digiuna di scontenti e riempiti di gratitudine
• Digiuna di rabbia e riempiti di mitezza e di pazienza
• Digiuna di pessimismo e riempiti di speranza e di ottimismo
• Digiuna di preoccupazioni e riempiti di fiducia in Dio
• Digiuna di lamenti Riempiti di cose semplici della vita
• Digiuna di pressioni e riempiti di preghiera
• Digiuna di tristezza e amarezza, e riempiti il cuore di gioia
• Digiuna di egoismo e riempiti di compassione per gli altri
• Digiuna di mancanza di perdono e riempiti di atteggiamenti di riconciliazione
• Digiuna di parole e riempiti di silenzio e di ascolto degli altri Se tutti praticheremo questo digiuno il quotidiano si riempirà di: Pace, fiducia, gioia e vita.
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06/03/2017 21:53
 
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Sfida per la Quaresima: liberarsi di 40 cose in 40 giorni


COME LIBERARSI DI 40 COSE IN 40 GIORNI




In Quaresima vogliamo smettere di concentrarci su noi stessi e sottolineare la nostra dipendenza da Dio. L’elemosina (la condivisione materiale con i bisognosi) è uno dei tre “pilastri” della Quaresima insieme alla preghiera e al digiuno. Possiamo donare in molti modi oltre che con il denaro. Rinunciando alle cose che abbiamo in casa e di cui non abbiamo bisogno, possiamo liberarci degli oggetti in eccesso aiutando allo stesso tempo gli altri.


Ecco la sfida: nei 40 giorni della Quaresima, trovate ogni giorno una cosa di cui non avete più bisogno. Per la maggior parte di noi dovrebbe essere davvero semplice. Potrebbe trattarsi di un accessorio per la cucina, di una giacca, una bicicletta, un regalo non ancora aperto che circola per casa. Analizzate armadi, cassetti, cantine, garage…


Trovate poi una persona o un posto a cui donare queste cose. Io lascio una borsa accanto alla porta in cui metto le cose che voglio regalare, tranne ovviamente quelle più grandi. Come promemoria per i miei figli, ho definito questa iniziativa “40 cose in 40 giorni” (la Quaresima non è ancora iniziata e già ci sono 10-12 cose… alcuni di noi ne hanno fin troppe!).


 




Ci sono moltissimi luoghi in cui queste cose possono essere usate bene. La maggior parte dei miei oggetti andrà a un negozio di seconda mano che mi piace molto ed è gestito da una parrocchia vicino casa mia. Vi lavorano dei volontari che analizzano le cose, le dividono in categorie e assegnano il prezzo. Altri arrivano e comprano quello di cui hanno bisogno a un prezzo ben inferiore a quello che pagherebbero per lo stesso oggetto nuovo. Il denaro va a sostegno della parrocchia. Magari vicino casa vostra c’è qualcosa di simile.


Pensate a luoghi che accettano donazioni di cose in buona condizione: i centri per le gravidanze in crisi prendono oggetti per mamme e bambini, come seggiolini, passeggini, culle, ecc.; i centri parrocchiali in genere prendono un po’ di tutto, incluse stoviglie, lenzuola e asciugamani in buone condizioni, vestiti, giocattoli, libri o attrezzi sportivi.


Ripulendo i nostri armadi ripuliamo anche la nostra mente. Liberandoci delle cose che non ci servono, possiamo pensare a chi è meno fortunato ed essere grati per le benedizioni che abbiamo ricevuto.


Dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 2462: “L’elemosina fatta ai poveri è una testimonianza di carità fraterna: è anche un’opera di giustizia che piace a Dio”.




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06/03/2017 22:00
 
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Consigli per vivere la Quaresima da veri cattolici


 


 





Mercoledì delle Ceneri, comincia la Quaresima, quel tempo liturgico speciale di preparazione alla Santa Pasqua che festeggeremo domenica 16 aprile. Abbiamo pensato di raccogliere per voi le indicazioni necessarie per vivere pienamente il periodo della Quaresima, che ricorda i quaranta giorni che Gesù Cristo passò nel deserto, dove fu tentato dal diavolo, prima di cominciare la sua vita pubblica.


IL MERCOLEDÌ DELLE CENERI


Il mercoledì delle Ceneri è giorno di digiuno e astinenza dalle carni, i fedeli partecipano alla celebrazione nella quale il sacerdote compie il rito dell’imposizione delle ceneri, ovvero sparge un pizzico di cenere benedetta sul capo o sulla fronte, segno che ci rammenta la nostra fragilità di creature e ci invita alla conversione e alla penitenza.


 




DIGIUNO ELEMOSINA PREGHIERA

Nel tempo della Quaresima il cristiano è chiamato alla preghiera, al digiuno e all’elemosina, tre pratiche che invitano alla conversione, al silenzio e alla penitenza. Ciascuna è collegata all’altra: ci muovono a vivere con impegno il nostro cammino spirituale.

 


LE TRE TENTAZIONI DI GESÙ NEL DESERTO

Per spiegare le tentazioni che Gesù vive nel deserto – tentazioni che noi possiamo superare pregando, digiunando e facendo le elemosine – ci serviremo delle illuminanti parole che Benedetto XVI pronunciò durante l’udienza generale del 13 febbraio 2013Le sue riflessioni possono aiutarci a comprendere più profondamente il senso della Quaresima.

«Anzitutto il deserto, dove Gesù si ritira, è il luogo del silenzio, della povertà, dove l’uomo è privato degli appoggi materiali e si trova di fronte alle domande fondamentali dell’esistenza, è spinto ad andare all’essenziale e proprio per questo gli è più facile incontrare Dio. Ma il deserto è anche il luogo della morte, perché dove non c’è acqua non c’è neppure vita, ed è il luogo della solitudine, in cui l’uomo sente più intensa la tentazione. Gesù va nel deserto, e là subisce la tentazione di lasciare la via indicata dal Padre per seguire altre strade più facili e mondane. Così Egli si carica delle nostre tentazioni, porta con Sé la nostra miseria, per vincere il maligno e aprirci il cammino verso Dio, il cammino della conversione».

LA PRIMA TENTAZIONE

«Riflettere sulle tentazioni a cui è sottoposto Gesù nel deserto è un invito per ciascuno di noi a rispondere ad una domanda fondamentale: che cosa conta davvero nella mia vita? Nella prima tentazione il diavolo propone a Gesù di cambiare una pietra in pane per spegnere la fame. Gesù ribatte che l’uomo vive anche di pane, ma non di solo pane: senza una risposta alla fame di verità, alla fame di Dio, l’uomo non si può salvare».


LEGGI ANCHE: 9 motivi per digiunare


LA SECONDA TENTAZIONE

«Nella seconda tentazione, il diavolo propone a Gesù la via del potere: lo conduce in alto e gli offre il dominio del mondo; ma non è questa la strada di Dio: Gesù ha ben chiaro che non è il potere mondano che salva il mondo, ma il potere della croce, dell’umiltà, dell’amore».


LEGGI ANCHE: 25 semplici cose da offrire in questa Quaresima


LA TERZA TENTAZIONE

«Nella terza tentazione, il diavolo propone a Gesù di gettarsi dal pinnacolo del Tempio di Gerusalemme e farsi salvare da Dio mediante i suoi angeli, di compiere cioè qualcosa di sensazionale per mettere alla prova Dio stesso; ma la risposta è che Dio non è un oggetto a cui imporre le nostre condizioni: è il Signore di tutto».


LEGGI ANCHE: Non c’è Pasqua senza Quaresima


È DIO IL SIGNORE DELLA MIA VITA O SONO IO?

«Qual è il nocciolo delle tre tentazioni che subisce Gesù? E’ la proposta di strumentalizzare Dio, di usarlo per i propri interessi, per la propria gloria e per il proprio successo. E dunque, in sostanza, di mettere se stessi al posto di Dio, rimuovendolo dalla propria esistenza e facendolo sembrare superfluo. Ognuno dovrebbe chiedersi allora: che posto ha Dio nella mia vita? E’ Lui il Signore o sono io? Superare la tentazione di sottomettere Dio a sé e ai propri interessi o di metterlo in un angolo e convertirsi al giusto ordine di priorità, dare a Dio il primo posto, è un cammino che ogni cristiano deve percorrere sempre di nuovo. “Convertirsi”, un invito che ascolteremo molte volte in Quaresima, significa seguire Gesù in modo che il suo Vangelo sia guida concreta della vita; significa lasciare che Dio ci trasformi, smettere di pensare che siamo noi gli unici costruttori della nostra esistenza; significa riconoscere che siamo creature, che dipendiamo da Dio, dal suo amore, e soltanto «perdendo» la nostra vita in Lui possiamo guadagnarla. Questo esige di operare le nostre scelte alla luce della Parola di Dio».

 


IL DIGIUNO IN QUARESIMA E LA CONFESSIONE

La Chiesa invita al digiuno e all’astinenza dalle carni ogni venerdì di Quaresima (in memoria solenne della morte di Cristo) e alla partecipazione alla Via Crucis. Durante il periodo quaresimale ci richiama al pentimento e al sacramento della confessione per prepararci a vivere il culmine dell’Anno liturgico: la celebrazione della Pasqua del Signore.

 


DOMENICA DELLE PALME E TRIDUO PASQUALE

Il 9 aprile, domenica delle palme, comincerà la settimana santa nella quale verranno celebrati gli ultimi giorni della vita terrena di Gesù Cristo. La domenica delle palme fa memoria dell’ingresso del Salvatore a Gerusalemme con la folla che lo accoglie con i rami di palma nelle mani.
Il triduo pasquale è un momento importantissimo in cui si celebra la passione e morte di Cristo e la sua Resurrezione. Comincerà il giovedì santo, 13 aprile, e si concluderà nella domenica di Pasqua.

 


GIOVEDÌ SANTO

Il giovedì santo inizia con la Messa crismale, il vescovo consacra il Crisma, cioè l’olio benedetto da utilizzare durante l’anno per i Sacramenti del Battesimo, della Cresima e dell’Ordine Sacro. Nel corso della celebrazione, i sacerdoti rinnovano le promesse fatte il giorno della loro ordinazione, e consacrano anche l’olio dei catecumeni da usare per il Battesimo degli adulti e l’olio per l’unzione degli infermi. Prosegue con il rito in «Coena Domini» nel quale si ricordano l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, inoltre si compie il gesto significativo della lavanda dei piedi a imitazione di Gesù.

 


VENERDÌ SANTO

Il 14 aprile, venerdì santo, è giorno di digiuno e intensa preghiera, si contempla la passione e morte di Gesù, facendo memoria delle sofferenze e delle offese recate al Signore. Momento molto importante è la partecipazione alla Via Crucis, il Pontefice presiede quella al Colosseo.

 


SABATO SANTO

Il sabato santo, che sarà il 15 aprile, è giorno di silenzio nell’attesa della Resurrezione proclamata nella veglia notturna, «madre di tutte le veglie».

Il digiuno, il silenzio e la preghiera sono i segni del triduo pasquale, il tempo liturgico più forte e solenne dell’Anno. E poi… sarà Pasqua di Resurrezione.


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22/03/2017 17:57
 
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8 CONSIGLI PER COMBATTERE IL MAL DI GOLA CON RIMEDI NATURALI






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01/04/2017 21:11
 
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Perdi la pazienza troppo spesso? Sei aggressivo?
Guarda come puoi cambiare!

 
 

Non è facile ammettere questi comportamenti,
perché se amiamo qualcuno come possiamo volere che soffra?

Più di una volta, in modo consapevole o meno, abbiamo tutti fatto soffrire una persona cara. Sicuramente in più di un’occasione abbiamo perso la calma e abbiamo gridato contro nostro figlio o abbiamo detto parole sgradevoli al partner. Questo sarebbe ancora perdonabile, ma ci sono altri momenti in cui vorremmo che le nostre parole o le nostre azioni ferissero un’altra persona, che si sentisse male per un momento (ovviamente una volta che le emozioni si calmano e giunge il momento della riflessione iniziamo a pentirci).

Non è facile ammettere queste intenzioni, perché se amiamo qualcuno come possiamo volere che soffra? Sembra inaccettabile, ma è del tutto naturale e universale. Di tanto in tanto ciascuno di noi si lascia trasportare dalle emozioni, e allora, anziché perdere tempo ed energie a incolparsi, è meglio approfittarne per dare inizio a qualche cambiamento.

Si dedica grande attenzione al tema della violenza dal punto di vista della vittima. Se la sperimentiamo, possiamo trovare una gran quantità di contenuti su come farvi fronte e quali passi compiere (a livello sia psicologico che formale). Ovviamente è un problema importante ed è necessario aumentare la consapevolezza su questo tema, ma si omettono completamente i consigli per le persone che tendono ad essere aggressive o usano qualche tipo di violenza e vogliono smettere di farlo.

Se credete che questo abbia in qualche modo a che vedere con voi, leggete questi consigli.

Passo numero uno: accettatelo

Troppo spesso l’accettazione viene identificata con il fatto di tollerare le condotte abusive (indipendentemente dal fatto che si tratti degli altri o di se stessi). Per questo, molto spesso preferiamo oscillare tra lo sminuire i fatti e scusarci – “Sono stato provocato, e quindi avevo il diritto di reagire” – e tormentarci per il senso di colpa (con le conseguenti autodescrizioni negative), anziché accettare semplicemente i fatti.

L’accettazione è ammettere di fronte a se stessi, senza darle importanza né valore, che una situazione si sta verificando. Questo non solo non significa mancanza di risposta, ma permette anche la reazione. I tentativi di omissione, di scusarsi o dall’altro lato di valutare il comportamento comportano in generale effetti secondari diversi da quelli desiderati, che aumentano il conflitto interiore e quindi sminuiscono il controllo dei nostri impulsi aggressivi. Solo quando accettiamo che in un dato momento succede quello che succede siamo capaci di prendere delle misure per cambiare.

 


Passo numero due: osservate le cause e siate comprensivi con voi stessi

A volte succede che facciamo cose negative, ma ciò non vuol dire che siamo cattive persone (soprattutto se qualche volta ci sono venuti in mente pensieri simili). Per questo, anziché condannarci e concentrare le nostre energie su questo, sarebbe bene pensare alle cause di questi comportamenti. Le possiamo trovare in due dimensioni: nel presente e nel passato.

La dimensione del presente permette di percepire i cosiddetti attivatori, che scatenano reazioni indesiderate. Ovviamente non si tratta di liberarsi dei pesi e di dare a un’altra persona la responsabilità dei nostri comportamenti, ma di rendersi conto che si riesce a comprendere meglio il meccanismo e quindi a fermarlo prima che arrivi al punto in cui tornare indietro sarà molto più difficile.

La seconda dimensione si riferisce al modo in cui si sono formate le nostre esperienze passate (ad esempio, mi dà molto fastidio quando qualcuno mi dice cosa devo fare perché in casa mia mia madre comandava tutti e non teneva conto delle nostre necessità – una situazione simile scatena emozioni simili, ma che ora non sono più adeguate, perché nessuno minaccia più la mia autonomia).

Le esperienze del passato determinano le nostre reazioni. Se in casa il modo di risolvere problemi e malintesi era gridare e insulti e umiliazioni erano la forma di comunicazione, si attiveranno inevitabilmente in noi comportamenti simili quando saremo sottoposti a forte tensione (spesso contro le nostre intenzioni).

Quando capiremo che le nostre azioni non sono il risultato della cattiva volontà, ma del fatto di non aver avuto l’opportunità di imparare gli standard adeguati (o almeno di consolidarli), gran parte della tensione svanirà. E allora bisogna solo trovare e mettere in pratica nuove soluzioni.


LEGGI ANCHE: Come dominare la rabbia anziché farsene dominare


Passo numero tre: trovate le strategie che vi aiutino ad affrontare il problema in modo sistematico

Anche in questa tappa bisogna lavorare su due aspetti. Il primo è quello relazionale. È importante imparare ad esprimere emozioni, necessità e aspettative in modo costruttivo (in forma chiara e diretta, per non danneggiare l’altra persona). In questo caso può essere utile la formazione nella comunicazione.

A volte è di grande aiuto definire i meccanismi di contingenza, come uscire dalla stanza o di casa quando le emozioni sono ormai troppo forti per fermare la reazione aggressiva o sembra impossibile o molto difficile farlo.

Continuare la conversazione in questo stato in genere non porta a nulla di buono, per cui è meglio darsi del tempo per sbollire e prendere le distanze dalla situazione per tornare ai temi conflittuali con più tranquillità (se è ancora necessario).

Il secondo aspetto consiste nella cura del benessere emotivo quotidiano. È bene sapere che l’ira non si eleva mai da zero a un valore massimo nell’arco di pochi minuti. Prima devono apparire l’irritabilità e l’ira sempre più forte, che col tempo può diventare rabbia, e solo questa porta a reazioni aggressive (il controllo in questa tappa in generale non è più possibile). Se quindi ci succede di accenderci come polvere da sparo, la cosa più probabile è che le emozioni negative si accumulino in noi e non escano in modo sistematico.

Lavorando sulle nostre reazioni aggressive è dunque molto importante sviluppare la capacità di autoregolamentazione delle emozioni. In questo caso è utile trovare attività piacevoli, che ci appassionino.

Allo stesso tempo, vale la pena di lavorare sul monologo interiore, che ci rilasserà nei momenti difficili. Come fare? Preferibilmente in una situazione neutra (quando ci sentiamo rilassati e abbiamo un momento per la riflessione), possiamo fermarci a pensare – e meglio ancora ad annotare – quali messaggi sarebbero utili per aiutarci (ad esempio “Respira profondamente” o “Tranquillo, non succede niente di male”). Se pratichiamo questo tipo di frasi “a freddo”, esiste un’alta probabilità che siamo capaci di usarle quando la situazione diventa più tesa.

Una buona idea è anche l’esercizio regolare (in qualsiasi modo ci piaccia), che aiuta a scaricare la tensione e a ridurre il livello di tensione percepita in forma permanente.

 


Se si riesce a implementare almeno qualcuno di questi consigli, è molto probabile che il numero di condotte aggressive in relazione a coloro che ci sono vicini si riduca in modo significativo. E qui è importante saper osservare e apprezzare anche un piccolo cambiamento.

Non bisogna aspettarsi da se stessi una metamorfosi istantanea. Ricordate che le cattive abitudini hanno persistito per molti anni, e anche per trasformarle in qualcosa di nuovo serve un po’ di tempo. Esercitare la pressione non aiuterà a mantenere la pace, e non farà altro che intensificare lo stress e le emozioni negative. Iniziate quindi ad essere gentili con voi stessi, e anche i vostri cari non potranno che beneficiarne.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]


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22/04/2017 12:13
 
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Forse San Giovanni della Croce non riuscirà a mettere a tacere la tua voce interiore, ma può aiutarti ad abbassare il volume


Come un uomo che scala una montagna imponente alla ricerca del grande segreto della vita, dedico buona parte del mio tempo a cercare il silenzio, ma in molti giorni il silenzio è un lusso inafferrabile. Quando ottengo un po’ di preziosa solitudine, è sempre grazie a Gesù.


Bisogna tuttavia riconoscere un gran merito anche a San Giovanni della Croce. Questo frate carmelitano spagnolo del XVI secolo mi ha infatti permesso di avere un nome con cui designare il mio anelito: quiete dell’anima.


Trovare la calma può essere una sfida enorme nel nostro mondo. La televisione con centinaia di canali, la radio classica e quella via satellite, iPod e iPad, computer portatili e non, CD e il ritorno del vinile… ci sono moltissimi marchingegni con cui intrattenersi, informarsi e incantarsi… E anche se li spegnessimo tutti dovremmo avere ancora la forza di volontà sufficiente per spegnere il telefono, con il suo accesso costante alle reti sociali, le chiamate e i messaggi.


Mettiamo che si riescano a soffocare tutte queste invenzioni rumorose, il suono dei familiari che cercano la nostra attenzione e quelli della strada e di qualsiasi cosa esterna. Bisognerebbe ancora mettere a tacere una fonte di rumore fondamentale: la nostra voce.


So che la mia voce sembra sempre parlottarmi dentro la testa. Mi siedo sul piccolo divano con la porta della mia camera chiusa per la preghiera mattutina. Mi rilasso sul banco della chiesa prima della Messa. Mi diletto nella pace de mio ritiro di silenzio di cinque giorni, tutti gli anni nell’abbazia del Getsemani nel Kentucky [Stati Uniti, n.d.t.]. È possibile che il silenzio sia tale che si possa ascoltare un uccello che canta a cento metri di distanza ma che la quiete continui ad essere spezzata costantemente dalla mia voce interiore, che mi parla di tutto e di niente.


Ho scoperto una forma per far sì che questa voce diventi almeno un sussurro che in pratico riesco a evitare, e tutto grazie a San Giovanni della Croce. Colui che ha parlato della notte oscura dell’anima è stato per me una sorta di direttore spirituale per anni, un maestro difensore del silenzio, come dimostrano queste citazioni:


• “È meglio imparare a mettere le potenze in silenzio e a tacere, perché parli Dio”.
• “La più grande necessità di cui dobbiamo approfittare è quella di tacere davanti a Dio con l’appetito e con la lingua, perché il linguaggio che Egli ascolta di più è l’amore”.

Più utile di molti dei suoi consigli è stata poi quella che è diventata nota come la “Preghiera per la pace” di San Giovanni della Croce. La uso soprattutto qualche momento prima di iniziare il mio momento di meditazione e contemplazione silenziose. Ecco il testo:

O Gesù benedetto, fa’ che la mia anima si calmi in te. Fa’ che la tua calma potente regni in me. Governami, re della calma, re della pace. Dammi controllo, controllo sulle mie parole, sui miei pensieri e sulle mie azioni. Liberami, amato Signore, da ogni irritabilità, da ogni mancanza di mansuetudine e di dolcezza. Per la tua profonda pazienza, concedimi la pazienza, la quiete dell’anima in te. Fa’ che in questo e in tutto sia simile a Te. Amen.


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29/04/2017 20:41
 
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Acqua borica: una soluzione disinfettante dai molteplici usi

L’acqua borica è un prodotto dalle proprietà antibatteriche e disinfettanti adatte a molti scopi, dei quali parleremo in maniera approfondita in questa sede, oltre che delle sue controindicazioni e delle sue principali modalità di utilizzo.


L’acqua borica è un prodotto dalle proprietà antibatteriche e disinfettanti adatte a molti scopi, dei quali parleremo in maniera approfondita in questa sede, oltre che delle sue controindicazioni e delle sue principali modalità di utilizzo. Ma prima cerchiamo di capire nel concreto che cos’è l’acqua borica e da cosa è composta.

CHE COS’È L’ACQUA BORICA?

L’acqua borica fondamentalmente si caratterizza per una miscela in soluzione liquida di acido borico e acqua, con concentrazioni che, nelle sue forme più commercializzate, oscillano tra il 3 e il 4%.


A CHE COSA SERVE L’ACQUA BORICA? SCOPRIAMONE GLI USI PRINCIPALI

L’acqua borica deve le sue proprietà antibatteriche e disinfettanti alla presenza dell’acido borico, il quale viene utilizzato da solo anche come insetticida, oltre che per scopi industriali. Ma come detto in apertura, quel che ci interessa è sapere gli usi a livello disinfettante che si possono impiegare sul nostro corpo.



USO TOPICO DELL’ACQUA BORICA PER LA CURA DELL’ACNE E DELLA PELLE

Uno di questi utilizzi è sicuramente quello dermatologico: infatti l’acqua borica è in grado di contrastare l’azione dell’acne, andando a pulire sebo e impurità della pelle, e al tempo stesso contrastando l’azione dei batteri presenti all’interno dei foruncoli.

La medesima applicazione di acqua borica la si può impiegare anche nel caso di follicoliti e di infiammazioni della pelle come le dermatiti da sebo, in quanto l’acido borico presente nella soluzione contribuisce a lenire il bruciore e a riportare l’epidermide ad uno stato di salute normale.


L’ACQUA BORICA CONTRO LE INFEZIONI MICOTICHE

Le virtù antisettiche dell’acqua borica hanno anche un’applicazione a livello di infezioni dovute alla presenza di funghi, i quali portano spesso conseguenze molto fastidiose per la salute, come ad esempio la candidosi genitale, o le verruche, che spesso si trasmettono in piscina quando non si indossano opportunamente le ciabatte.

Prima di aggredire l’infezione micotica, qualunque essa sia, con un antibiotico, si può quindi provare a fare alcuni impacchi con acqua borica per eliminare in maniera meno aggressiva e più naturale la presenza dei suddetti funghi dall’organismo.

In particolare per le donne, fare lavaggi vaginali con acqua borica aiuta a ridurre l’infiammazione da candida, riportando la flora batterica su valori accettabili.

Tale discorso non vale invece per l’herpes genitale, in quanto esso è un tipo di virus che non può essere contrastato in alcun modo se non utilizzando, facendoselo prima prescrivere in maniera opportuna dal proprio medico curante, un farmaco antivirale.


USO OCULISTICO DELL’ACQUA BORICA

Per quanto riguarda invece l’impiego oftalmico dell’acqua borica, esso aiuta nel trattamento e nella cura delle congiuntiviti di origine batterica, ma è anche prescritto dai medici come trattamento post-operatorio a seguito di un glaucoma, al fine di prevenire eventuali infezioni agli occhi.

L’ACQUA BORICA PER L’IGIENE DELL’ORECCHIO

Una buona pratica adatta sia all’uomo che al cane, specie quando entrambi soffrono di otiti o accumulano eccessivi residui all’interno del padiglione auricolare, è quella di utilizzare l’acqua borica come disinfettante, facendo lavaggi interni all’orecchio semplicemente versando un po’ di liquido, stando bene attenti che questo sia a temperatura ambiente. Infatti lo shock termico dovuto ad un liquido freddo potrebbe causare dolore all’orecchio interno.

Questa pratica è utile quindi per prevenire infezioni in soggetti che soffrono di patologie auricolari, anche se risulta buona norma anche per tutti coloro che intendono prendersi cura del proprio igiene auricolare in modo semplice e naturale.


CONTROINDICAZIONI RELATIVE ALL’UTILIZZO DELL’ACQUA BORICA

Abbiamo sostanzialmente visto i principali usi dell’acqua borica come disinfettante e antisettico per il benessere e la salute del corpo; tuttavia, nonostante questa soluzione presenti numerose virtù curative, vi sono alcune controindicazioni da sottolineare. L’ingestione di acqua borica, specie nei bambini, ha infatti una elevata pericolosità tossica; per tale ragione tenerla lontano dalla loro portata costituisce buona norma, nonché un’ottima precauzione.

DOVE SI PUÒ TROVARE L’ACQUA BORICA?

L’acqua borica solitamente è confezionata in flaconi, ed è facilmente acquistabile al prezzo di pochi euro nelle farmacie e nei presidi sanitari autorizzati. Per l’utilizzo dell’ acqua borica non vi è l’obbligo della prescrizione medica, in quanto le concentrazioni in cui essa è commercializzata sono pensate per l’automedicazione. Tuttavia è sempre bene leggere il foglietto illustrativo interno e seguire bene le sue istruzioni, al fine di evitare rischi per la salute. E qualora vi sorgessero dubbi, è sempre bene consultare il vostro medico di fiducia.
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05/05/2017 13:27
 
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Come sciogliere i BLOCCHI  interiori ?




 



Occorre dar loro un nome e, cosa più importante, lasciare che Gesù arrivi a scioglierli


Nel corso della nostra vita accumuliamo diverse esperienze positive e negative che lasciano un segno nella nostra anima. Quando si tratta di esperienze molto forti e molto negative, finiscono per determinare la nostra visione della realtà e le opzioni relative al futuro.


Senza rendercene conto, iniziamo a vedere attraverso il prisma prodotto da questi impatti negativi che abbiamo ricevuto, o semplicemente ce ne lasciamo imprigionare al punto da avere un blocco o una paralisi.


Se abbiamo avuto un rapporto negativo con una persona e siamo arrivati a sperimentare la sua offesa o il suo rifiuto, senza che ce ne rendiamo conto può rimanerci impressa nell’anima questa esperienza che in futuro si potrà tradurre in una paura del rifiuto o in un’insicurezza di fronte ad alcuni rapporti personali.



Ad esempio, se al lavoro ho avuto un capo tiranno che non mi lasciava fare nulla e mi imponeva continuamente compiti difficili costringendomi a uscire tardissimo o a lavorare il fine settimana, senza rendermene conto avrò accumulato nel mio cuore una rabbia, una tensione e un’ira a me finora sconosciute. Questo potrà manifestarsi in angoscia, stress o delusione. Se la mia vita è solo lavoro, che senso ha?


Se ignoriamo questo tipo di esperienze negative, a poco a poco si annideranno nell’anima e si annoderanno ad essa, ovvero si insedieranno e si creerà un nodo molto grande che inizierà a paralizzarci.


Anche il peccato è un’esperienza negativa che ci lascia un segno negativo nell’anima. Quando ho commesso un errore grave che non mi piace vengo invaso da un sentimento di dolore, di rabbia: ho deluso Dio. Ho deluso Colui che mi ama in modo incondizionato e ha dato tutto per me. Ho deluso me stesso perché non dato ciò che c’è di buono in me. Ho deluso un altro, sono stato ingiusto.


L’esperienza di peccato e il senso di colpa comportano anche altri nodi che si annidano nell’anima togliendo forza alla mia capacità di amare e di donarmi. Per questo è tanto importante confessarsi. Non solo per il fatto di ricevere il perdono di Dio e tornare a sentire il suo abbraccio nel sacramento, ma anche per il fatto di confessare la cosa. Questo implica riconoscere la colpa, individuare l’esperienza negativa, darle un nome e liberarsene.


Cosa fare con quei nodi che iniziano a condizionarci e a legarci interiormente? Per l’anima umana è lo stesso effetto dell’essere legati mani e piedi. È come se ci legassero mani e piedi e rimanessimo paralizzati, senza poterci muovere.


Come poter allora sciogliere questi nodi dell’anima, liberarcene e superare le nostre paralisi, per amare di più, per essere più felici? Da soli non ci riusciamo. È fondamentale riconoscere questi nodi, capire da dove vengono, dar loro un nome e lasciare che Gesù arrivi a scioglierli.


Nel Vangelo di San Giovanni, Gesù ci dice che se una persona cammina di giorno non inciampa perché vede la luce di questo mondo, ma se cammina di notte inciampa, perché la luce non l’accompagna.


In senso metaforico, Gesù ci dice che Egli stesso è la luce del mondo che viene a illuminare tutte le situazioni, perfino quelle più difficili e intricate. Camminare di giorno significa accogliere questa luce del mondo che è Gesù, e quindi è impossibile inciampare. Camminare di notte significa prescindere da Gesù, dal suo aiuto, dalla sua vicinanza e dalla sua amicizia.


Quello che ci propone Gesù è lasciarlo entrare in tutta questa serie di nodi che si accumulano nell’anima. Egli è la luce del mondo e vuole camminare al nostro fianco, ci offre la sua amicizia per aiutarci a vivere una vita più piena, priva di nodi e di cariche negative.


A Gesù non importa quanto io possa essere “ingarbugliato”. Vuole entrare in tutta la nostra realtà, anche quella che non ci piace, quella che vogliamo nascondere, quella che ci pesa, che ha un cattivo odore.


L’amicizia con Gesù ci risveglia dai nostri blocchi e dalla nostra pigrizia. Ci fa uscire da noi stessi, ci decentra e ci tira fuori. Ci scioglie dai nodi che ci paralizzano e ci impediscono di camminare liberamente nella vita. Lo fa Egli stesso, o attraverso i suoi strumenti.


Gesù mi mostra un cammino per liberarmi dai miei nodi. Questo cammino passa per l’amicizia con Lui. Passa per la certezza che mi ritiene uno dei suoi amici cari, mi ha offerto la sua amicizia ed è anche capace di piangere per me quando mi vede imprigionato nei miei nodi.


Questa amicizia mi permette di confidare nel fatto che Gesù arriverà sempre quando sarò chiuso in me stesso, senza luce, e mi tirerà fuori per sciogliermi con l’aiuto di altri.


Solo la fede in Gesù e la sua amicizia con Lui possono sciogliere i miei nodi. Devo lasciarlo entrare nel mio groviglio di nodi e confidare nel potere della sua amicizia.



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05/05/2017 13:36
 
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Come spegnere un capriccio di vostro figlio con una domanda







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Un consiglio prezioso per l'educazione dei più piccoli


Non ho letto tutti i libri di psicologia infantile né ho seguito alcun corso su come evitare/interrompere/spegnere il capriccio di un figlio, ma grazie a un’esperienza personale collegata a mia figlia di 5 anni vorrei condividere con voi una “formula” che ho imparato di recente per cambiare la direzione delle cose quando i vostri figli insistono a fare un dramma per qualsiasi cosa.


Prima di tutto devo raccontarvi una storia. Mia figlia è andata all’asilo ed era un po’ ansiosa. Alla fine a casa ha perso il controllo, facendo un dramma per qualsiasi cosa, anche le più semplici.


Su indicazione della scuola, abbiamo cercato una psicologa infantile per qualche seduta, perché Alice potesse parlare di quello che provava e le acque potessero calmarsi.


Tra i vari consigli che ci ha datto la psicologa Sally Neuberger, uno mi è sembrato fantastico, pur essendo semplice, e per questo vorrei condividerlo in questa sede.


La psicologa ha spiegato che dobbiamo far sì che il bambino si senta rispettato, nel senso di dare valore a quello che sta provando. E allora al momento di una crisi, qualunque sia il motivo, un bambino a partire dai 5 anni deve pensare e trovare la risposta relativa a ciò che sta accadendo.


La valutazione che compiamo su ciò che gli sta accadendo e allo stesso tempo il fatto di includerlo nella soluzione della questione smontano la situazione di crisi.



In modo più oggettivo, quando inizia un capriccio – perché il braccio della bambola è uscito dalla sede giusta, perché è il momento di andare a dormire, perché le cose non sono venute come si voleva, perché non si vuole fare una certa cosa… – possiamo porre al bambino questa domanda, guardandolo negli occhi e mantenendo la calma: “È un problema grande, un problema medio o un problema piccolo?”


Pensare a quello che succede intorno a sé, almeno qui a casa, è diventato un momento magico, e tutte le volte che pongo questa domanda Alice risponde e si trova il modo di risolvere il problema partendo dalla sua percezione relativa a dove trovare la soluzione.


Un problema piccolo è sempre rapido e tranquillo da risolvere. Un problema che il bambino ritiene medio verrà molto probabilmente risolto, ma non nello stesso istante, e il bambino comprenderà che ci sono cose che richiedono un po’ di sforzo per verificarsi. Se un problema per un bambino è grave richiederà più conversazione e attenzione, perché si capisca che ci sono cose che non vanno esattamente come si vuole.


Potrei citare vari esempi relativi a quando ho usato questa domanda di recente. Uno riguarda il momento di scegliere i vestiti da indossare per andare a scuola. Qui non si porta la divisa, e spesso mia figlia fa una scenata per scegliere gli abiti, soprattutto quando bisogna mettere vestiti pesanti per via del freddo.


Riassumendo: lei voleva un certo paio di pantaloni, i suoi preferiti erano a lavare, ha iniziato a piangere e io ho detto con fermezza: “Alice, questo è un problema grande, medio o piccolo?” Lei mi ha guardato e ha detto piano: “Piccolo”. E io le ho spiegato ancora una volta che sapevamo già che i problemi piccoli sono facili da risolvere.


Le ho chiesto il suo suggerimento su come potevamo risolverlo (ho imparato che è importante darle il tempo di pensare e rispondere), e lei ha detto: “Scegliendo un altro paio di pantaloni”. Ho aggiunto: “E hai più di un paio di pantaloni tra cui scegliere?” Ha sorriso ed è andata a cercarne un altro paio.



Mi sono congratulata con lei per aver risolto il problema, perché ovviamente valorizzare la soluzione è imprescindibile per chiudere la questione.


Penso che nell’educazione dei figli non esistano miracoli. Giorni fa stavo pensando che mettere al mondo delle persone è una vera storia di missione: attraversare tutte le fasi, percorrere vie che a volte ci fanno cadere in imboscate, avere l’umiltà di tornare indietro e prendere un’altra strada. Questo testo deriva dalla forte volontà di condividere una luce che è apparsa sul mio cammino di madre e che spero di cuore possa servire anche a voi.



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10/05/2017 10:59
 
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10 consigli per sentire la presenza di Dio nella preghiera



Non riesci a sentire Dio mentre preghi? Le potenti testimonianze di chi ci è passato ti daranno la forza per superare questo problema



Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un post chiedendo di incoraggiare e dare consigli a una persona che stava attraversando questa esperienza spirituale. Come avrete notato, la risposta è stata travolgente! Ci sono stati più di 200 commenti! È una gioia aver visto tanta partecipazione, grazie! Abbiamo ricevuto tantissimi messaggi e abbiamo dovuto fare un grande lavoro di selezione. Erano tutti molto profondi ed edificante, confessiamo che la decisione è stata difficile!


Questo è il testo che abbiamo ricevuto:



Da un paio di mesi vado davanti a Dio e il mio cuore tace. Non mi vengono le parole e il mio cuore non può raccogliere le forze per dire una preghiera. Posso recitare il Padre Nostro, o un Ave Maria, ma non riesco a pregare, mi capisci? So che probabilmente non si capisce, perché è la prima volta che mi succede. Io stesso non avrei capito questa situazione qualche anno fa, quando la preghiera mi sembrava fosse l’esperienza umana per eccellenza e ogni parola saliva al cospetto di Dio come il fumo prodotto dalle offerte di Abele. Non avevo mai sperimentato prima, con questa forza, il fatto che la preghiera è veramente un dono che riceviamo e non una conquista personale. Cosa ho fatto per perderlo improvvisamente? Rivedendo il mio modo di vivere negli ultimi anni non sono in grado di identificare un momento o un atto grave che abbiano avuto questo effetto negativo. Ma è davvero negativo questo periodo della mia vita spirituale? Senza dubbio questo periodo mi fa soffrire profondamente. Ma non potrebbe non essere una crisi che Dio permette per trasformare il mio rapporto con lui? È un atto di amore divino strappare la grazia della preghiera per insegnarci una lezione? O è semplicemente, come ripete il mondo, che sto crescendo e che la fantasia spirituale lascia il posto al realismo tragico della ragione? Qualcuno mi aiuti, per favore.



Queste sono le 10 risposte che abbiamo selezionato. Grazie mille a chiunque abbia partecipato, che Dio vi benedica!




1. Se Lui ha sofferto la solitudine per te, ora tu puoi soffrirla per Lui


Che cosa temi? Non avere paura. Dio si è fatto piccolo ed è lì, con te, mentre preghi. Non dimenticarlo mai. Forse non lo “senti” in questo momento, ma Dio è lì. Non dimenticare mai che Dio è infinitamente buono e amorevole e che è il diretto interessato nel tuo rapporto con Lui. Non penso sia “normale” il provare aridità nella preghiera, ma è possibile che Dio lo permetta anche alla persone più santa. La stessa Madre Teresa ha attraversato questa sofferenza per molti anni.


Un po’ comprendo ciò che si prova nel pregare continuamente e non avere quel “non so”, quell’esperienza di “sublime”, in cui sembra di unirsi a Dio in un abbraccio. Tuttavia dobbiamo imparare a dare alla nostra sofferenza un significato spirituale. Potrebbe essere che Dio stia permettendo questa dolorosa sensazione di abbandono, in modo da provare un po’ di quella solitudine che Lui ha sofferto sulla croce?


È curioso, ma a volte ci dimentichiamo che Cristo, essendo Dio, ha sperimentato l’abbandono dei suoi amici nel momento in cui aveva maggiormente bisogno della loro vicinanza. Se Lui ha sofferto la solitudine per te, guardalo come un atto di amore, il fatto che ora è possibile soffrire per Lui. Certo, è poco piacevole, però Dio potrebbe dire lo stesso di noi! Ancora di più, potrebbe dire che siamo noi ad essere assenti. “Dove è Esteban? Continuo a cercarlo, ma viene a visitarmi solo per un breve periodo di tempo, per poi addirittura distrarsi mentre è con me”.


A volte abbiamo bisogno che Dio si manifesti, e non è un male. Già lo ha detto il Signore stesso: “Ebbene, io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto” (Luca 11: 9-10). Chiedi con insistenza, ma non imbrogliare te stesso se continui a sperimentare questa aridità nella preghiera. Vivilo come un tempo in cui Dio vuole mettere alla prova la tua pazienza. Ti assicuro, quando meno te lo aspetti potrai fonderti nuovamente nell’abbraccio di Dio attraverso la preghiera, e addirittura la tua fede crescerà oltre l’immaginabile.


Esteban Trujillo




2. Anche se sei triste, sei in grado di riconoscere che esiste un Dio e che tu desideri ardentemente di avere una relazione con Lui


Molte volte facciamo fatica a comprendere una cosa estremamente semplice: la nostra vita è piena di cambiamenti. Forse prima era più facile avere un profondo dialogo con Dio attraverso un’intensa attività quotidiana di preghiera. Forse ora potremmo aver bisogno di un diverso tipo di preghiera, perché qualcosa in noi è cambiato. Quando accettiamo il cambiamento capiamo meglio sia noi stessi che il nostro ambiente. E in cosa consiste questo cambiamento?


Può significare molte cose: che abbiamo perso la speranza per un determinato progetto, che per qualche ragione siamo caduti nella routine (non necessariamente significa che tutta la nostra vita lo sia, può esserlo anche solo uno dei molti aspetti della nostra vita quotidiana), che la gente intorno a noi sia finita con l’infettare anche noi con i loro pensieri, che esperienze e atteggiamenti – per vari motivi – sono mutati in qualcos’altro (alcuni ora hanno un altro modo di vedere il mondo, altri non ci sono più vicini come una volta), che siamo semplicemente più maturi, etc. Le possibilità sono infinite! Dio continua a essere lì, pronto ad ascoltarci.


Non penso che sia un periodo “negativo”, ma piuttosto uno positivo, perché anche quando sei triste sei in grado di riconoscere che c’è un Dio e che desideri ardentemente avere un relazione con Lui. A volte è necessario lasciare che “sentiamo” un po’ più Dio, se per molto tempo siamo stati abituati a “capirlo”. Non so se mi spiego. Ci sono cose che abbiamo ben chiare in mente: che la grazia di Dio non si esaurisce, o che la preghiera è un dialogo tra Dio e l’uomo, e così via. Potrebbe essere un tempo per capire di meno ed essere più toccati nel cuore. E se riesci a scoprire cosa sia cambiato, penso che sarà l’inizio di un nuovo periodo nel tuo rapporto con Dio.


Sofía Salazar




3. L’ubbidienza è la chiave di tutto


Sai? Non succede solo a te. Anche a me è successo. In un primo momento ho pensato che il mondo mi stesse consumando, che mi stesse rendendo spazzatura. Per giorni ho supplicato Dio, mi sono inginocchiato, gli ho chiesto di farmi vedere la luce perché le tenebre erano fitte e gli ho chiesto di non abbandonarmi a causa della mia sordità spirituale. E sai cosa? La sua risposta è stata semplice: “L’obbedienza è la chiave tutto“. Dio vuole la nostra obbedienza e questo è ciò che spesso manca. Noi crediamo che i nostri sacrifici possano compensare gli errori che facciamo, ma questo è sbagliato. Lui è lì al nostro fianco anche se non lo sentiamo. Lui ci parla ma, siccome siamo sordi e immersi nel rumore del mondo, non ascoltiamo il suo grido, che ci dice: “Eccomi qui, ti amo e ti benedico”.


Yackeline Gálvez Ramos



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