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CHIARIMENTI SU PAGINE DI STORIA

Ultimo Aggiornamento: 10/04/2022 15:30
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01/07/2011 10:31
 
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Lo storico Molinari parla dei conquistadores

 e di Hernán Cortés

Lo storico e filosofo Paolo Molinari ha affrontato la questione dei “conquistadores” e la colonizzazione del Sudamerica da parte di Spagna e Portogallo, concentrandosi su ciò che solitamente non viene detto nei libri scolastici.

Assieme ai conquistatori, infatti, partirono anche molti missionari, i quali furono poi i primi a denunciare la violenza dei colonizzatori verso gli indigeni. Tanto che chiesero ai re di emanare delle leggi e dei codici in cui si proclamassero i diritti  e la libertà dei nativi, anche se tuttavia furono poco ascoltate. Alcune di vicende poco note, come ad esempio la Battaglia di Mbororè dove i Gesuiti presero le difese dei Nativi e formarono un esercito per combattere i colonialisti europei, le abbiamo già affrontate in questa pagina.

Molinari si focalizza in particolare sul cattolico Hernán Cortés, il controverso conquistatore spagnolo accusato di aver distrutto il popolo azteco. Eppure aveva a disposizione 153 uomini (e 13 archibugi) e si trovò a fronteggiare circa 500 mila indigeni. Riuscì a vincere, anche se non viene detto, solo grazie all‘aiuto di migliaia di Indios Maya che vollero appoggiare gli spagnoli per liberarsi del terribile popolo degli Aztechi. Questi ultimi erano un popolo esclusivamente guerriero e dalla religione perversa, esaltatori del sacrificio agli dei, esseri golosi di sangue umano. E’ approvato che sacrificassero circa 10-20 mila persone all’anno, preferibilmente bambini, e quando combattevano gli eroi erano coloro che catturavano più nemici da sacrificare. Le maschere dei sacerdoti erano fatte dal cranio umano dei nemici catturati. Alla consacrazione del Templo Mayor, ad esempio, vennero sacrificati e decapitati in una settimana 5000 uomini. Ecco dunque perché i Maya videro negli spagnoli dei libeartori.

Cortés era affascinato dalla civiltà azteca e dall’incredibile capacità di costruire edifici sull’acqua, non voleva affatto distruggerli, come infatti scrisse più volte nel suo diario. Il problema stava nel fatto che l’ideale per questo popolo era morire combattendo. Saltarono quindi tutti i tentativi diplomatici e quindi gli spagnoli con i Maya e gli indios furono costretti alla guerra. Arrivato al Templo Mayor, di fronte alla massa di corpi e teste tagliate in sacrificio degli dei e vedendo i guerrieri aztechi indossare la pelle dei suoi uomini precedentemente catturati, Cortés si ribellò e si convinse a sopprimere duramente la città, il Tempio e tutta la popolazione. Insomma, conclude lo storico, occorre guardare veramente la storia prima di giudicare frettolosamente chi siano i buoni o i cattivi. Cortés è stato senz’altro spietato ma occorre considerare il contesto storico. Molinari conclude accennando alle missioni cristiane, chiamate “riduzioni”, che crearono una civiltà senza mai usare violenza, ma educando alla scrittura, alla musica, alle scienze, alla democrazia e al Vangelo, lasciando al potere i capi delle tribù locali.


[Modificato da Credente 21/02/2012 23:15]
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01/07/2011 10:46
 
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Lo storico Paul Thibaud: «il nazismo e Hitler volevano eliminare il cattolicesimo»

Non di rado si sente ancora qualche anticlericale sbraitare sostenendo che “Hitler era battezzato e ha avuto un’infanzia cattolica”. Francamente non si capisce come quest’argomento possa essere decisivo dato che la maggioranza di non credenti sono battezzati e hanno ricevuto un’infanzia cattolica (qualcuno, come Odifreddi, pure ex seminarista).

La confusione nasce dall’opportunismo politico di Hitler e dall’impasse della Santa Sede a condannare il dittatore per la paura di aggravare la situazione di cattolici ed ebrei in Germania. In Ultimissima 23/2/11 informavamo dell’uscita di un libro che riprende i discorsi del Führer in ambito privato, a tavola assieme a ospiti ed invitati. Dalle parole di Hitler, alcune citate nell’articolo, emerge chiaramente tutta la sua avversione per il cristianesimo, il cattolicesimo, i preti e la chiesa cattolica.

In uno studio francese recente, intitolato Il controcattolicesimo di Adolf Hitler, il filosofo Paul Thibaud, ex presidente dell’Amicizia giudeo-cristiana di Francia spiega che Hitler tentò di coniugare fin dall’inizio un discorso dai contenuti fortemente antievangelici e anticristiani con un’oratoria che a tratti imitava grossolanamente lo stile dei predicatori. Sarebbe cominciata così un’autentica «manovra hitleriana nei confronti del cattolicesimo che comporta tre aspetti, o tre tappe: neutralizzazione, asservimento, sostituzione». A livello locale, questo «gioco ostile» sarebbe stato presto affiancato dalla coercizione e dalla deportazione di «molti preti tedeschi nel campo di concentramento Dachau».

La tesi principale di Thibaud è dunque la volontà nazista di «sovvertire il cristianesimo», e infatti fin dall’inizio la rivoluzione nichilista hitleriana agì perfettamente come un polo negativo rispetto ai valori della Chiesa cattolica. È proprio per questo che quanto accadde in Germania assomiglia così tanto, nella sua dinamica, ai «movimenti apocalittici» medievali, pronti anch’essi a snaturare e capovolgere il messaggio cristiano, ricostruendo a livello sociale scenari immaginari di fine dei tempi.

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01/07/2011 10:49
 
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65 ebrei salvati da mons. Bertoglio grazie alle direttive di Pio XII

Lo Stato di Israele ha consegnato la medaglia di Giusti tra le Nazioni a monsignor Francesco Bertoglio, che da solo ha salvato dalla deportazione e dall’Olocausto, almeno 65 ebrei.

Il Consigliere per gli Affari Pubblici e Politici dell’Ambasciata d’Israele, Livia Link, ha consegnato il premio a Milano, anche alla presenza di alcuni degli ebrei salvati. La storia di mons. Bertoglio è stata raccontata da Lionello Tagliaferri nel libro “Il Papa vuole…le direttive di Pio XII” (Berti, 2011), dove viene descritto come l’opera di soccorso che si svolse nel Pontificio Seminario Lombardo seguì direttamente le disposizioni di Pio XII. Monsignor Bertoglio, infatti, conosceva bene le disposizioni del Pontefice anche perchè era molto amico di monsignor Giovanni Battista Montini (allora sostituto della Segreteria di Stato), di cui era stato compagno di studi in quel seminario.

Monsignor Bertoglio aveva cominciato a nascondere gli ebrei nel Seminario già nel settembre del 1943 e tra novembre e dicembre gli ospiti erano diventati 110 ed avevano superato il limite della capienza. Fu così che il Rettore, per sicurezza, cominciò a spostare le persone in altri istituti religiosi.

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06/07/2011 08:54
 
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ANTICRISTIANESIMO: Tante accuse sono infondate e non si basano sui documenti

Forse è vero che l’anticristianesimo, o meglio l’anticattolicesimo, è l’antisemitismo dei colti. Colti mica tanto, però; i pregiudizi e i luoghi comuni sulla storia della Chiesa paiono fondarsi soprattutto sull’ignoranza settoriale dei pretesi intellettuali, sul pigro affidarsi alla propaganda ideologicamente partigiana di certo illuminismo settecentesco e della massoneria ottocentesca. Diversi luoghi comuni privi di riscontro scientifico sono stati ereditati di sciatteria in sciatteria fino a giungere alle bocche dei fanatici che scrivono sul forum dell’Unione Atei Agnostici Razionalisti e all’anticlericalismo da classifica di Piergiorgio Odifreddi. Ogni tanto, però, esce qualche libro che fa un po’ di chiarezza, come A gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù, appena edito da Lindau. La lettura di questo tomo di oltre cinquecento pagine dovrebbe essere imposta ai sacerdoti, i primi che spesso ignorano la storia dell’istituzione di cui fanno parte e non si risparmiano castronerie tenendo la predica domenicale. Ma soprattutto sarebbe un ottimo libro di testo per molti corsi universitari.

Infatti l’autore, Rodney Stark, è docente di Scienze sociali presso la Baylor University del Texas. Un particolare non da poco; Stark non è un apologeta cattolico (nemmeno è di confessione cattolica) né un libellista che intende stupire con tesi controcorrente ed originali. E’ un sociologo, uno scienziato che lavora su fonti storiche, dati, statistiche. Raramente offre a lettori e studenti opinioni proprie, semmai teorie sempre motivate, ed ampie bibliografie per suffragare le sue conclusioni (quella del libro in questione conta circa cinquanta pagine). Così è stato per le sue opere precedenti, fra le quali ricordiamo il fondamentale “Gli eserciti di Dio”, dove dimostrava che le crociate non furono atti di guerra imperialista dell’Europa malvagia contro il pacifico islam ma “una reazione obbligata all’aggressività di un’orda che si spingeva sempre più in là e che doveva essere fermata”. Le leggende metropolitane che Stark demolisce per mezzo di questo nuovo saggio sono in sintesi le seguenti: la civiltà cattolica medioevale e moderna ha ferocemente sterminato gli eretici, messo sul rogo centinaia di migliaia, se non milioni, di streghe, impedito il progresso della scienza, benedetto la politica colonialista e schiavista delle potenze europee. Però la verità, quella che rende liberi, è un'altra. Così si deduce volendo leggere veramente la storia, non fermandosi ai capitoletti dei libri delle scuole medie o alle divulgazioni televisive.

Stark ci ricorda che dal VI secolo fino all’XI inoltrato Roma “non intraprese alcuna azione nei confronti delle eresie” e fu molto tollerante nei confronti del paganesimo ancora diffuso in gran parte dell’Europa. Con quasi tutte le sette passò “secoli in futili tentativi di compromesso ideologico”. Infine diede dimostrazione di gran capacità nell’assorbire le eresie, nell’“incapsulare l’impulso settario all’interno della propria struttura istituzionale”, soprattutto grazie agli ordini religiosi. I nemici dell’ortodossia divennero pungolo inevitabile, stimolo al cambiamento, allo scuotimento del “lassismo nel gruppo di potere religioso” (proprio il “lassismo dei monopoli” descritto da Adam Smith). I grandi massacri, come quelli dei catari o degli ugonotti, ebbero motivi certamente più politici che dottrinali. La tolleranza cattolica si interruppe al cospetto della seria minaccia esterna rappresentata dall’islam; la mobilitazione per le imprese in Terrasanta ridusse gli spazi di libertà ed ispirò le prime stragi di ebrei; compiute da cavalieri improvvisati, però, e condannata, ostacolata per quanto possibile dalle gerarchie ecclesiastiche.

Dunque nessun olocausto di eretici. Ma per quanto riguarda le streghe? “Pochi argomenti hanno generato così tante sciocchezze e assolute invenzioni come la caccia alle streghe”, scrive Stark. “Perfino l’attuale letteratura abbonda di cifre assurde sul numero delle streghe condannate”. Non furono milioni, ma 60.000 circa (facendo una stima abbondante) nel corso di ben tre secoli. Certo non sono poche, ma la differenza degli zeri è significativa: è quella che corre fra il controllo sociale della devianza e la tirannia totalitaria. Ma le sorprese non finiscono qua. Siete affezionati all’immagine dell’inquisitore medioevale che getta nel fuoco carrettate  intere di belle e conturbanti streghette? Dimenticatela. Prima di tutto, almeno un terzo dei condannati erano uomini, stregoni insomma. Poi i tribunali ecclesiastici, in primis la famigerata Inquisizione spagnola, risultano dai documenti di gran lunga più garantisti e cauti di quelli sotto il controllo del potere politico o improvvisati dal popolo (oggi diremmo dalla “società civile”). I cattolici, comunque, assolvevano quasi sempre, mentre i protestanti erano di gran lunga più severi (il record della condanne spetta alla Svizzera, seguita dalla Germania, fanalino di coda una sorprendete Spagna). A proposito di protestanti, furono loro a scovare un nesso accusatorio fra la pratica della magia naturale e il satanismo; ossessione invece rarissima nei paesi mediterranei.

Forse queste streghe e stregoni erano proletari che praticavano una primitiva lotta di classe contro i potenti? Mica tanto. Spesso appartenevano alla classe media urbanizzata. Senza dubbio ci andarono di mezzo molti innocenti, ma non è escluso che certe accuse non fossero completamente infondate e comprendessero altri reati come lo stupro, la circonvenzione, l’infanticidio. La caccia alle streghe terminò comunque con la pace di Vestfalia, nel 1648, con la fine della guerra dei Trent’anni, e della conseguente tensione così simile a quella dell’epoca delle Crociate che avevano messo nei guai gli eretici di qualche secolo prima. Quante condanne vi furono in Italia? Poche, nemmeno un centinaio in tre secoli; il diritto canonico prescriveva la pena di morte solo in casi eccezionali.

Ma nel Medioevo, tutti credevano che la terra fosse piatta? Figuriamoci, basterebbe andare a leggersi Tommaso d’Aquino, rileggersi Dante, scoprire che già nel VII secolo il Venerabile Beda (il padre della datazione “prima e dopo Cristo”) scriveva di trovarsi su di una sfera rotante e non su di un tavoliere galleggiante nello spazio. Stark afferma il contrario di Odifreddi e dei sui fan: “non esiste nessun conflitto intrinseco fra religione e scienza, anzi la teologia cristiana fu essenziale per la nascita della scienza”. Il Medioevo non fu un’epoca buia d’ignoranza e superstizione, tutt’altro: vi fu un “rapido e profondo progresso tecnologico” che ci lasciò le ruote idrauliche, i mulini, gli orologi meccanici, le bussole (inventate anche dai cinesi, che però non sapevano che farsene). Le principali figure scientifiche del XVI e XVII, secolo erano poi tutti devoti cristiani e non certo aspiranti soci dell’UAAR e l’eliocentrismo era un prodotto con sopra il marchio delle università cattoliche, dall’insegnamento di Ockham a quello di Copernico. Sulla vera storia del processo a Galileo si sono sovrapposte un bel po’ di esagerazioni, e le omissioni sulla profonda fede e gli studi teologici di Newton hanno un che di vergognoso. La scienza moderna, dunque è figlia in gran parte del tomismo e lo stesso si può dire del concetto stesso di libertà.

“Per l’opposizione morale alla schiavitù fu essenziale la teologia cristiana”, afferma Stark. Il possedere schiavi fu considerato peccato grave e venne proibito dalla Chiesa durante tutto il Medioevo, dai temi di Clodoveo (VII secolo d. C.) in poi. Quella deprecabile usanza conosciuta in tutto il mondo antico, nessuna civiltà  esclusa, scomparve in Europa solo con l’affermarsi del società feudale. Ma l’ultimo dei marxisti può obbiettare che c’erano comunque i “servi della gleba”, no? Niente a che vedere, come riconoscono tutti gli storici del periodo, Marc Bloch compreso. I contadini che zappavano all’ombra del castello “godevano di libertà assolutamente sconosciute agli antichi schiavi”: avevano un’anima, erano persone e non oggetti di proprietà del padrone, potevano gestirsi i tempi di lavoro, ed avevano diritto a giorni di riposo santificati. Non erano paria, ma individui pienamente inseriti nello schema di “obblighi reciproci” tipico della società feudale. Non appena la vera schiavitù ricomparve nel XV secolo per trovare forza lavoro diretta nel Nuovo Mondo, cominciò la secolare sfilza di bolle pontificie che condannavano il fenomeno. L’evidenza storica del fatto che non fossero inascoltate dal potere politico e da quello economico dimostra solo quanto poco potere detenesse la stessa Chiesa di Roma. Furono comunque i gesuiti a mettere in crisi il modello schiavista nel centro e sud America, mentre altri cattolici fecero la loro parte, in compagnia dei quaccheri, all’interno del movimento abolizionista statunitense.  Certo rimane la macchia indelebile del turpe commercio di uomini praticato da europei battezzati, con la complicità però dei mercanti africani delle coste che catturavano e vedevano gli uomini e le donne del loro stesso continente. E la macchia è condivisa dal mondo islamico, che mai smise di schiavizzare, e perfino da alcune tribù indiane del Nord America. Vi furono europei favorevoli alla schiavitù, ma non cercateli fra i cattolici. Li trovate nei salotti intellettuali degli illuministi. I loro nomi? Hobbes, Voltaire, Montesquieu, Mirabeau.
 

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12/07/2011 22:52
 
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Il movimento abolizionista della schiavitù nacque solo dalla Chiesa cattolica

Abbiamo già avuto modo di presentare il nuovo libro di Rodney Stark, storico e uno dei maggiori sociologi delle religioni viventi, chiamato A Gloria di Dio. Come il cristianesimo ha prodotto le eresie, la scienza, la caccia alle streghe e la fine della schiavitù” (Lindau 2011).  In questi giorni anche lo ha fatto anche lo scrittore Francesco Agnoli su Il Foglio, concentrandosi sul tema della schiavitù. Ha sottolineato come la ricerca storica sull’argomento è stata abbastanza parziale e spesso indaffarata a stanare le eventuali omissioni della chiesa cattolica, accusata di non essere stata“sufficientemente” contraria allo schiavismo stesso. Stark invece propone una visione globale dello schiavismo, sviscerando e comparando una sterminata quantità di studi.

Emerge dunque che lo schiavismo è stata «una caratteristica quasi universale della civiltà»: Roma e la Grecia antica prevedevano un uso estensivo del lavoro degli schiavi, considerati oggetti, beni di proprietà, e come tali, privi di qualsiasi diritto e sottoposti all’arbitrio più totale da parte dei padroni. In epoca pagana non esisteva neppure il sospetto che la schiavitù fosse iniqua: i ribelli come Spartaco miravano alla propria liberazione, non certo alla condanna della schiavitù medesima, che anzi praticarono in prima persona. Lo stesso nell’islam, dove «i musulmani raccoglievano un gran numero di schiavi nelle regioni slave dell’Europa, come pure europei presi prigionieri in battaglia o catturati dai pirati». Per non parlare degli schiavi africani e della preferenza per donne da destinare agli harem e alla servitù domestica, dei bambini che spesso venivano «evirati al momento della cattura o dell’acquisto». Anche l’islam, come pure i popoli politeisti, non ha mai conosciuto alcun movimento abolizionista. Nell’Africa animista, molte delle società pre-coloniali, se non tutte, si reggevano su sistemi schiavistici e, anzi, lo schiavismo europeo si innestò sempre su quello islamico e interafricano.

Per quanto riguarda l’Europa,  le condizioni peggiori furono vissute dagli schiavi dei britannici “anglicani”, mentre quelle migliori erano quelle degli schiavi spagnoli e francesi. Questo a causa della pressione esercitata dalla chiesa cattolica, in prima linea nel difendere la natura umana e di creature di Dio anche degli schiavi, come abbiamo dimostrato in questa pagina. Ricorda dunque le bolle papali, spesso trascurate, dalla “Sicut Dudum” di Eugenio IV a quelle di Pio II, Sisto IV e Paolo III, in cui lo schiavismo appare una grave colpa suggerita agli uomini da Satana stesso. Dice il non cattolico Stark: «Il problema non era che la chiesa non condannava la schiavitù, quanto piuttosto che erano in pochi ad ascoltarla», e anzi, questa condanna -totalmente assente nel resto del mondo- generò spesso ire e persecuzioni verso i cattolici nell’ Inghilterra anglicana o nella Danimarca protestante.

Stark conclude analizzando con cura il movimento abolizionista ottocentesco: mette in luce la sua unicità (non è nato mai nulla di simile in nessun’altra cultura), la sua carica di idealismo e la sua origine prettamente religiosa. Tutti i leader abolizionisti ottocenteschi, americani e inglesi in particolare, erano credenti e fondarono le loro argomentazioni su categorie evangeliche (Dio, Creazione, peccato…), e non su motivazioni filosofiche di altro tipo. D’altra parte abbiamo già avuto modo di sottolineare come i leader della cultura atea e positivista del tempo sponsorizzassero apertamente lo schiavismo (e alcuni lo praticavano in prima persona): Voltaire, Marx, Nietzsche, Galton, Hume, Locke, Arthur de Gobineau ecc..

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10/09/2011 19:24
 
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Catari: sfatiamo una leggenda di Vittorio Messori

I catari, ormai da anni, sono tornati di moda, soprattutto nella loro versione francese, quella degli albigesi. Ogni volta che vado verso la Spagna, non appena l’autostrada entra nell’antica Linguadoca, vedo apparire le scritte turistiche che annunciano che si è nel Pays cathar. Gli autogrill, nelle zone di sosta, sono pieni di oggetti e oggettini proposti come souvenir della regione nel suo tragico passato medievale, presentato ora come “glorioso”: dalla parte, s’intende, degli eretici sconfitti. Naturalmente so che, sotto a questa “leggenda rosa” dei buoni e poveri albigesi massacrati dai cattivi papisti, ci sono anche motivazioni politiche: è la Francia della langue d’oc insofferente della Francia della langue d’oil, è il Mezzogiorno che fu profondamente romanizzato e che fu vinto, conquistato, annesso, proprio ai tempi della Crociata contro i catari, dal Nord prima celtico e poi franco, dunque barbarico. Nel revival attuale dell’antica eresia c’è molto che si avvicina alla lotta dei catalani e dei baschi verso il detestato dominio castigliano. Nella nostalgia del Midi per il suo passato e l’insofferenza verso Parigi c’è il rifiuto che, nella Spagna periferica, si manifesta contro Madrid.

Quel best seller internazionale che è il Codice da Vinci, questo furbo frullato di sciocchezze “esoteriche” e di cose inventate, ha tra i suoi sfondi essenziali proprio il catarismo. Libro radicalmente anticattolico, in grado di incrinare la fede del credente “comune” grazie all’astuzia dell’autore, quel romanzo è tra i primi nella classifica dei più venduti nelle librerie cattoliche: così risulta dalle apposite rubriche di Avvenire e di Jesus. So per esperienza che quando la vendita raggiunge certi livelli è perché c’è la collaborazione indispensabile del libraio: molte copie in vetrina, pile di esemplari sparse nel locale e accanto alla cassa, materiale pubblicitario in evidenza. L’ennesimo caso di masochismo cattolico?

Non c’è da stupirsi: quando parlai con Umberto Eco del suo Nome della Rosa, lo trovai “deluso” (parole sue) della mancata reazione dei credenti. Anzi, mi disse che era rimasto prima sbalordito e poi divertito, da “apostata dal cristianesimo” – anche questa è definizione sua – quando addirittura la maggiore università cattolica degli Stati Uniti volle consegnarli il suo premio più prestigioso per un libro che lo stesso autore aveva voluto come «il più velenoso possibile» contro la fede. E che era nato, mi disse, da un desiderio che portava dentro sin dai tempi dell’abbandono del cristianesimo: «uccidere un monaco».

Proprio nel Nome della Rosa, ecco arrivare puntuale l’eco dell’accusa contro la Chiesa che bandì la «crociata degli albigesi». L’abate del monastero dove si svolge l’anomalo giallo esprime il suo punto di vista, quello dato per ufficiale, allora, nel cattolicesimo ortodosso: «Quanto agli eretici ho una regola e si riassume nella risposta che diede Arnaldo Amalrico, abate di Citeaux, a chi gli chiedeva cosa fare dei cittadini di Béziers, città sospetta di eresia: “Uccideteli tutti, Dio riconoscerà i suoi”». Ecco la reazione del frate-investigatore che, nel romanzo (con anacronismo un po’ buffo), è controfigura di Eco, quindi pensa e parla come il professore liberal di un’università anglosassone, secondo le categorie della political correctness divenuta di moda verso la fine del XX secolo (e, qui, siamo nel XIV!): «Guglielmo abbassò gli occhi e stette alquanto in silenzio. Poi disse: “La città di Béziers fu presa e i nostri non guardarono né a dignità, né a sesso né a età e quasi ventimila uomini morirono di spada. Fatta così la strage, la città fu saccheggiata e arsa».

Sorprende che un professore tanto preoccupato di rigore e aggiornamento come il nostro Umberto, rimetta in circolazione ciò è riconosciuto come apocrifo da oltre un secolo. In effetti, non fu mai pronunciata la frase, divenuta tristemente famosa (e ancora oggi ripetuta, ma solo da dilettanti polemisti) attribuita al legato pontificio, l’abate di Cistercium, Citeaux in francese. Dom Arnaldo, cioè, non è responsabile di quel «Tuez les tous, Dieu reconnaitra les siens» che è invece l’invenzione fantasiosa di un monaco tedesco, Cesario di Heisterbach, che scriveva sessant’anni dopo ed era ben lontano dall’avere partecipato ai fatti. Abbiamo molte cronache della caduta di Béziers, ma in nessuna di esse vi è traccia delle parole che divennero immeritatamente famose. Il padre Cesario, che viveva nel Nord della Germania da cui non si era mai mosso, non era né un cronista né uno storico, ma un compilatore di raccolte di aneddoti meravigliosi. In effetti, la frase disumana attribuita al legato Arnaldo sta in un suo libro dal titolo significativo, Dialogus miracolorum, ed è, tra l’altro, preceduta da un prudente dixisse fertur: “si riporta che abbia detto”.

Quanto alla sorte di Béziers, è un mito anche che i morti siano stati ventimila e che sia stata distrutta. Il principale massacro avvenne nella chiesa della Maddalena che non poteva contenere più di duemila persone e sappiamo che la città, ben lungi dall’essere svuotata e diroccata, si organizzò subito per nuove resistenze. Comunque, poiché sappiamo esattamente come andarono le cose in quel terribile giorno di luglio, sappiamo anche che non ci fu premeditazione. Un’ambasceria era stata inviata agli abitanti per chiederne la resa. Per tutta risposta, mentre i comandanti dei crociati erano a consulto, da Béziers si fece a sorpresa una sortita che aveva lo scopo non di sbaragliare ma di disturbare gli assedianti. Per loro sfortuna, gli incursori usciti dalla città tentarono di devastare l’accampamento dei ribauds, in italiano “i ribaldi”. Già il nome suggerisce di chi si trattasse: vagabondi, pregiudicati, disertori, assoldati dai baroni per le imprese peggiori, in cambio del diritto di saccheggio. Davanti alla provocazione, questa masnada di gente senza scrupoli né paura non solo respinse gli assalitori ma, inseguendoli, riuscì a penetrare dietro a loro nella città. Quando i baroni furono avvertiti e giunsero con le milizie regolari, la carneficina era già in pieno corso.

Ciò non toglie l’orrore per stragi che, seppure inferiori a quanto vuole il mito anticlericale, restano orribili e contrassegnano senza dubbio la lotta contro i catari. Troppo complesso e lungo entrare, qui, nella trattazione analitica di un evento lungo e talmente complesso da avere provocato una delle bibliografie più estese e in continuo accrescimento, come notavo. Ci basti richiamare alcuni punti: la dottrina degli albigesi (il nome che il catarismo assunse in Linguadoca) era un manicheismo oscuro, crudele, assurdo, comunque contrario a ogni regola non solo della società di allora ma anche di quella di ogni tempo. La negazione del giuramento, del lavoro, del matrimonio, si univa a un cupo desiderio suicida, al culto dell’endura, prova di fede suprema, consistente nel lasciarsi morire per fame per liberare lo spirito dalla sconcezza della materia. Il catarismo costituiva un pericolo sociale prima ancora che religioso. Non voleva riformare la Chiesa bensì distruggerla e, con essa, tutto l’ordine del mondo che essa assicurava. Tra l’altro, se la setta poteva non solo perdurare ma espandersi, lo si doveva al favore dell’aristocrazia del Midi, desiderosa di mettere le mani sui beni strappati alla Chiesa. La solita storia, insomma: quella che si ripeterà nel Cinquecento, quando il trionfo di Lutero sarà determinato dall’appoggio di principi interessati più alle terre dei monasteri che ai dogmi; e che si ripeterà ai tempi della Rivoluzione Francese, dove la borghesia sarà cupida di comprare a prezzi ridicoli le ricchezze del clero dichiarate “beni nazionali”. Gli albigesi, tra l’altro, erano un pericolo per la cristianità anche perché avevano rapporti, che cercavano di trasformare in alleanza, con i musulmani al di là dei Pirenei.

In molti dei testi che infestano da tempo le librerie, appaiono come generosi riformatori, come miti e tolleranti annunciatori del loro Verbo riformatore contro il fanatismo cattolico. E’ vero il contrario: il loro nome è significativo, chiamavano se stessi “catari”, cioè, in greco “puri”, per la loro fanatica certezza di essere i soli portatori della Verità, i soli immacolati in un mondo satanico. Per oltre un secolo, la Chiesa temporeggiò, tentando le vie pacifiche della persuasione, mentre il catarismo si organizzava in un’altra Chiesa, determinata a distruggere quella “vecchia”. Pure l’atteggiamento del papa, Innocenzo III, che giunse alla fine alla decisione di impiegare la forza, fu a lungo determinato dalla convinzione che fosse possibile ragionare, convincere, ricondurre alla fede. Ci si provarono anche grandi santi, come Bernardo e Domenico. Come ammette Daniel Rops, «la pazienza della Chiesa fu ammirevole e, secondo alcuni, addirittura eccessiva». La risposta catara fu intollerante e violenta, molti missionari furono uccisi, il clero cattolico spogliato e brutalizzato. A Béziers, per esempio, la città della strage, i canonici della cattedrale avevano dovuto fortificare la cattedrale per resistere ai continui assalti degli eretici. Le cose precipitarono proprio per un gesto di violenza estrema: nel gennaio del 1208 il conte di Tolosa, protettore degli albigesi, fece assassinare il legato del Papa, inviato per un’ambasceria che portasse a un accordo e alla pace. Fu a questo punto che Innocenzo III proclamò la famosa “crociata” che ebbe sin troppo successo a causa (anche qui!) di motivazioni politiche: i baroni del Nord ne approfittarono per scendere in campo contro il ricco Midi e assicurarsene ricchezze e terre. Avvenne, insomma come, pochi anni prima, per la quarta crociata: partiti con la benedizione papale per dirigersi in Terra Santa, i “pellegrini” saccheggiarono prima Zara e poi presero addirittura Costantinopoli, incuranti delle scomuniche di Roma.

Per tornare in Francia. Il 15 gennaio 1213, Innocenzo III scrisse così all’arcivescovo di Narbonne: «Dei cinghiali devastavano in Linguadoca la vigna del Signore e sono stati resi inoffensivi. Per grazia di Dio e valore dei combattenti, la questione della fede ha preso fine in questo Paese con un successo che giudichiamo sufficiente. Dunque, ti ordiniamo di accordarti con il nostro caro figlio, il re di Aragona, e con i conti, baroni ed altri che abbiano autorità per giungere a convenzioni di tregua e di pace. Applicati con zelo a pacificare tutta la Linguadoca. Cessa di esortare il popolo cristiano alla guerra contro l’eresia e non promettere più le indulgente che questa Sede Apostolica ha promesso per questo fine».

Ecco il commento di Jean Guiraud, il grande medievista cattolico: «Questa lettera è molto importante perché prova che, per Innocenzo III, la crociata era terminata alla fine del 1212, avendo conseguito, stando al Papa, sufficienti successi. Se la guerra durò ancora per ben 16 anni, questo avvenne malgrado la Santa Sede: a partire da quegli inizi del 1213, non fu più che una lotta dei signori del Nord per spossessare i signori del Sud e una lotta dei re di Francia per riunire alla Corona quella magnifica provincia che la Linguadoca».

Ne conclude Guiraud: «Sarebbe gravemente ingiusto, dunque, rendere la Chiesa responsabile di una guerra che non ha più approvato, e meno che mai diretto, e di atti di spoliazione e di conquista dovuti all’ambizione personale e alle mire politiche dei Signori». Fu proprio in quei terribili 16 anni in cui la Chiesa fu scavalcata che si verificarono gli atti peggiori, i massacri più sanguinosi: ma, questo, proprio perché mancò l’opera moderatrice dei religiosi che avevano seguito le truppe allorché l’impresa era riconosciuta come una crociata.

Non dimentichiamo che proprio per combattere il catarismo, nei suoi vari volti, nacque l’Inquisizione, dopo grandi esitazioni da parte del papato e, inizialmente, per opera delle autorità civili. Si trattò della risposta a un problema drammatico, non di un’iniziativa concertata “a freddo“, tanto per assicurare un dominio clericale sulle coscienze. La prima inquisizione non per caso è voluta e poi gestita dai responsabili dell’ordine politico: solo chi sa cosa fosse davvero il feroce dualismo cataro è consapevole della disgregazione sociale e della barbarie che portava con sé. A chi ne ha nostalgia (e pare siano in molti, non solo in Francia) l’augurio di provare su di sé quali fossero le delizie del regno dei “puri“.

Agli altri, lasciamo – come elemento di riflessione – due citazioni significative. La prima è di Henry Charles Lea, quel singolare editore e studioso americano che, per amore del suo protestantesimo, scrisse la più informata, forse, “Storia dell’Inquisizione nel Medio Evo”: «Se la credenza dei catari fosse riuscita a reclutare la maggioranza dei fedeli, essa avrebbe riportato l’Europa ai tempi selvaggi primitivi».

La seconda citazione è di un altro protestante, Paul Sabatier, il celebre biografo di san Francesco: «Il papato non è stato sempre dalla parte della reazione e dell’oscurantismo: quando sbaragliò i catari, la sua vittoria fu quella del buon senso e della ragione. Non dobbiamo permettere che le persecuzioni sopportate da eretici come questi ce li renda affascinanti al punto da modificare il nostro giudizio radicalmente negativo».

© Il Timone
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14/11/2011 11:22
 
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LE CROCIATE: Come e perchè

 


(di Massimo Viglione) «Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura». Queste sono le esatte parole che il Santo Padre Benedetto XVI ha pronunciato – nel suo discorso del 27 ottobre u.s. ad Assisi – riguardo il problema della violenza esercitata da cristiani in nome della fede.
Le riportiamo con precisione perché tutti sappiamo perfettamente quanto giornali e massmedia siano abilissimi nell’adattare alle loro esigenze le parole e i concetti espressi dai pontefici e perché, anche questa volta, ciò è accaduto in maniera palese. Ora, come si può notare, in realtà il papa le crociate neanche le nomina, e, soprattutto, non “chiede scusa”: parla di sentimento di vergogna (non è esattamente la stessa cosa…). Certamente però, condanna con fermezza l’uso della violenza da parte di cristiani.
E siccome la Crociata era un “pellegrinaggio armato” fatto da cristiani che conduceva al combattimento contro gli infedeli, ergo la conseguenza apparirebbe essere quella della formale condanna della Crociata in sé a prescindere.
Ma, è realmente così? E, soprattutto, potrebbe essere cosi o è cosa in sé impossibile? Ora, senza entrare negli aspetti più specificamente teologici del problema, ma rimanendo in quelli più modestamente ma anche più appropriatamente storici, occorre fare alcune doverose precisazioni e riflessioni, che meriterebbero ben altro spazio e approfondimento, ma che per necessità ridurrò schematicamente: 1)Fin dai tempi della scuola, gli insegnanti di storia – almeno, quei pochi degni di questo nome – ci hanno ammaestrato sul fatto che l’errore più grande che può commettere uno storico, o anche un qualsiasi uomo che per qualsiasi ragione riflette sulla storia, è quello di giudicare gli uomini, le idee e gli eventi del passato con i criteri che vanno per la maggiore nel presente (e questo a prescindere dall’accettazione spesso e volentieri acritica degli stessi criteri presenti): come se un uomo del XXV secolo ci giudicasse a noi tutti in base alla vita quotidiana e alle esigenze e ideologie del suo tempo;
2)Le crociate (visto che si vuole parlare per forza di crociate) non furono una parentesi – più o meno lunga o breve, più o meno sentita e partecipata – della storia della Cristianità. Se la Prima Crociata è del 1096-1099, se i cristiani hanno tenuto piede militare nei Luoghi Santi per due secoli, in realtà spedizioni crociate sono state pensate, organizzate, e, a volte, anche effettuate, via terra e via mare, fino agli inizi del XVIII secolo.
Questa plurisecolare guerra fra religioni non avveniva perché i cristiani erano brutti e cattivi e volevano trucidare tutti i musulmani, che erano buoni e indifesi; né perché i cristiani non avessero altro a cui pensare; né perché non avessero altre guerre interne in cui dare sfogo alla propria violenza innata. In realtà, questa plurisecolare guerra inizia di gran lunga prima del 1096. Inizia 450 anni prima circa, e per 450 anni, occorre dirlo senza ombra di dubbio storico possibile, chi ha portato la guerra alla Cristianità è stato l’Islam nascente e trionfante.
Sono stati i musulmani, vivente ancora Maometto, ha iniziare quella tutti noi conosciamo bene, la Jihad. Conquistarono prima l’Arabia, ancora in gran parte pagana, ma poi anche Gerusalemme e i Luoghi Santi, divenendo così i padroni del Santo Sepolcro; e quindi, dividendosi in due grandi tronconi militari, portarono la guerra a tutta la Cristianità come uno Tzunami incontenibile. Se verso oriente furono in parte bloccati – per il momento – dall’Impero Romano d’Oriente (che vivrà tutti i suoi ultimi secoli di vita combattendo e spegnendosi contro i musulmani), verso occidente travolsero per sempre tutta la Cristianità d’Africa, quindi la cristianità ispanica, e tentarono anche di invadere la Francia (battaglia di Poitiers, 732).
Dopodiché assalirono e occuparono la Sicilia e le grandi isole del Mediterraneo, e, nei secoli successivi, invasero varie zone dell’Italia, della Francia (fino a Lione), perfino della Svizzera. Montecassino venne distrutta, Roma assalita e le basiliche costantiniane di San Paolo e san Pietro date al fuoco (per tal ragione fu costruita la Città Leonina intorno a San Pietro da Papa Leone IV).
Un enclave perenne di guerrieri musulmani stava a Castelvolturno, un’altra nella Sabina, e Roma viveva sotto continuo attacco e rischiò di cadere preda dell’Islam (come per altro il Profeta aveva, appunto, “profetizzato”), venendo salvata proprio dalla ripetuta azione militare di vari pontefici. Per secoli l’Europa mediterranea ha subito le scorrerie dei pirati barbareschi (“mammaliturchi”, la celebre battuta del dialetto romano, nasceva da un tragico grido di terrore ripetuto chissà quante volte nel corso dei secoli): uomini uccisi, donne violate e portate negli harem, bambini rapiti e venduti come schiavi (nei secoli moderni, poi, con i turchi invece venivano fatti crescere musulmani, molto di loro divenivano giannizzeri).
Per secoli i pellegrini in Terra Santa vennero massacrati, soprattutto con l’arrivo dei turchi selgiuchidi. E, se con la fine della crociate si era giunti a una forma di “convivenza” armata con il mondo arabo, tutto precipitò di nuovo – e in maniera ancor più radicale – con l’arrivo dei turchi ottomani, che conquistarono ciò che rimaneva dell’Impero Bizantino nel XV secolo e da allora, fino agli inizi del XVIII secolo, puntarono a più riprese sull’Europa, conquistando gran parte dei Balcani, assediando Vienna per ben due volte, conquistando Cipro, Rodi, e portando l’assedio a Malta (dove vennero respinti dall’eroismo dei Cavalieri, guidati da Jean de la Vallette).
Nel corso dei secoli, di mille anni (dal VII al XVIII secolo), quante cristiani vennero assassinati? Quante donne violate e deportate negli harem? Quante città distrutte, vite spezzate, anime costrette all’abiura religiosa? Chi potrà mai farne il conto? Chi potrà mai calcolare l’immenso dolore di questi mille anni?
3)Perché questo excursus storico? Perché occorre ragionare con serenità, ma anche con serietà, specie su argomenti così drammatici, e che hanno avuto luogo per più di dieci secoli. Se un fenomeno storico dura più di mille anni, esso non può essere considerato semplicemente un “errore” di qualcuno. Esso evidentemente è la chiave di volta per comprendere un’intera epoca millenaria. Nella fattispecie, uno scontro militare epocale fra due religioni sì, ma anche fra due concezioni del mondo e civiltà. Ognuna con i suoi pregi e difetti, che ora non ci interessa qui approfondire.
4)Ciò che invece è fondamentale chiarire, è il fatto che per cinque secoli prima delle crociate, e per altri quattro dopo le crociate (quelle “usuali”), la Cristianità è stata aggredita costantemente e brutalmente, prima dall’Islam arabico, poi da quello turcomanno. Come chiunque, onesto e serio, può capire, tutto ciò cambia radicalmente il significato dell’intero discorso: infatti, se una parte aggredisce l’altra per secoli, senza ragione che non sia la conquista e la volontà di conversione armata come peraltro imposto dalla propria religione, allora occorre stare molto attenti nel dare giudizi storici che possono essere tacciati di “faciloneria”.
Forse che i papi dei secoli altomedievali dovevano lasciar conquistare, saccheggiare e incendiare Roma dai musulmani, lasciare che questi violentassero le donne e rapissero i bambini, e, soprattutto, che imponessero l’Islam a tutti trasformando San Pietro in moschea (esattamente come avvenne secoli dopo con Maometto II per Santa Sofia a Costantinopoli)? Che doveva fare san Pio V nel 1571? Lasciare che la flotta turca occupasse Roma e distruggesse tutto o doveva provare a creare una lega militare di difesa contro l’assalto esterno, quella Lega Santa che trionfò a Lepanto 440 anni or sono salvando Roma, l’Italia, la Cristianità? Che doveva fare il beato Innocenzo XI dinanzi a 200.000 turchi in armi (più 300.000 al seguito) che assediavano Vienna, capitale del Sacro Romano Impero, nel 1683, mentre a Versailles il Re Sole ballava il minuetto appoggiando i turchi stessi? Doveva tranquillamente attendere il massacro di Vienna e l’arrivo dei turchi a Roma?
5)Potremmo fare tantissimi altri esempi, nel corso di questi mille anni, ma il concetto di fondo appare ora evidente: si chiama “legittima difesa”. Come si suole dire in maniera un po’ brutale ma molto incisiva… dinanzi a ciò, le chiacchiere stanno a zero. La legittima difesa non è un’opzione di vita (può esserlo solo nei confronti di se stessi: per esempio, un uomo si offre al martirio per non usare violenza verso chi vuole ucciderlo in nome della sua fede personale), è un dovere sociale.
Qualsiasi governo, qualsiasi capo di Stato, chiunque abbia potere di esercitare l’autorità, anche militare, ha il dovere morale e sociale della difesa dei propri cittadini dall’attacco violento perpetrato da forze nemiche. Se poi queste forze nemiche attaccano senza giusta causa non solo per conquista (di soldi, territori, potere, donne, beni, ecc.) ma anche per imporre con la violenza la propria religione e il proprio stile di vita o ideologia, allora il dovere è ancora più grande, dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.
Se i papi, i re, i grandi principi e condottieri della Cristianità non avessero scelto liberamente di difendere in armi (cioè nell’unico modo in quei secoli possibile) i propri popoli, territori, averi, e, soprattutto, la propria fede, sarebbero stati dei traditori dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini. Del resto, tale affermazione è facilissimamente dimostrabile: che cosa direbbero, tutti coloro che sempre criticano la Chiesa per le crociate, se fosse avvenuto il contrario? Cioè se l’Islam fosse stato preesistente alla Cristianità, se questa fosse arrivata dopo e avesse attaccato militarmente senza ragione alcuna le terre e i popoli che già da secoli erano islamici al solo scopo di convertirli al Cristianesimo? Direbbe ro sicuramenteche questa è la riprova che la religione cristiana è foriera di violenza e ha tutte le colpe. Appunto…
6)Rimane il discorso delle crociate, cioè di quei due secoli specifici (1096-1291: due secoli su dieci!) in cui effettivamente sono stati i cristiani ad attaccare e conquistare, per poi progressivamente perdere, i Luoghi Santi. Ebbene, occorre anche in questo caso fare delle precisazioni. Le crociate iniziarono come detto ben 5 secoli dopo il grande e continuo attacco portato dall’Islam alla Cristianità.
Non è superfluo ricordare che i Luoghi Santi (e così tutta l’Africa mediterranea), prima della conquista islamica a metà VII secolo, erano cristiani, parte integrante dell’Impero Romano d’Oriente. Per cinque secoli la Cristianità (sia d’Occidente che d’Oriente) ha subìto gli attacchi, le conquiste e le scorrerie islamiche. Ciò significa che, quando iniziarono le crociate, esse furono anzitutto una risposta militare a cinque secoli di imperialismo islamico. I cristiani contrattaccarono solo dopo cinque secoli per il semplice fatto che prima non ne avevano la forza.
Alla fine dell’XI secolo, per ragioni storiche che non è possibile qui approfondire, essi finalmente poterono reagire e riconquistarono Gerusalemme. Ciò significa che le crociate furono fatte con 3 scopi essenziali tutti legittimi: la riconquista cristiana dei Luoghi Santi (cioè di ciò che era cristiano prima dell’Islam e che appartiene idealmente a tutti i cristiani di tutti i tempi in quanto trattasi dei luoghi della Redenzione dell’umanità); la difesa della vita dei pellegrini; la risposta militare definitiva a cinque secoli di guerra subita (contrattaccare è legittimo quando si è aggrediti).
Poi, come spesso accade, una volta lì, i crociati, anche per difendere ciò che avevano riconquistato, hanno dovuto cedere, a volte in maniera esagerata, all’uso ripetuto della violenza, finché comunque, va detto, i musulmani hanno riconquistato, sempre manu militari, tutti i territori crociati di Oltremare.
7)E qui occorre fare l’ultima importante riflessione. Se le crociate fossero state sbagliate in sé, cioè illegittime di principio, questo vorrebbe dire che decine di Papi hanno operato al servizio del male. Infatti, tutte le crociate, dalla prima all’ultima delle 7 ufficiali, ma anche tutte quelle pensate e in parte realizzate nei secoli successivi, sono state tutte fatte sotto autorizzazione pontificia.
Anzi, ciò che faceva “crociata” una crociata, era la relativa bolla pontificia che comandava a tutti i sovrani e principi cristiani di prendere la Croce, di iniziare il relativo prelievo fiscale per poter pagare la spedizione, e prometteva la vita eterna a tutti coloro che sarebbero morti nella spedizione e la remissione dei peccati ai sopravvissuti. Questo non è stato fatto da 3-4 papi un po’ “esaltati”, ma da decine e decine di pontefici, tra la fine dell’XI secolo fino alla fine del XVIII (l’ultima bolla di crociata è del 1776, il Gabinetto della Crociata è stato chiuso dalla Santa Sede nel 1917).
La stragrande maggioranza dei pontefici ha emesso bolle di Crociata, ha lavorato incessantemente per organizzare spedizioni, molti di loro hanno scomunicato principi e re che non volevano partire, qualcuno è morto di crepacuore per il dispiacere delle conquiste degli infedeli e dei fallimenti dei cristiani.
Tutti pazzi? Tutti eretici (il Papa eretico?)? Tutti traviati da sete di sangue? O tutti preoccupati di difendere la Fede, la Chiesa, la civiltà cristiane e le popolazioni europee? Da notare, per inciso, che dopo la fine delle 7 crociate ufficiali, cioè dal XIV secolo in poi, tutte le spedizioni crociate pensate ed effettuate avevano come scopo concreto la difesa dell’Europa dai turchi, e non più (se non idealmente) la riconquista del Santo Sepolcro. Non solo: non è solo questione di Papi e di magistero pontificio. Tutti i più grandi santi e teologi medievali e moderni hanno legittimato la Crociata.
Il grande predicatore della Terza Crociata, fondatore ideale dell’Ordine dei Templari, è san Bernardo di Chiaravalle, Dottore della Chiesa e santo dell’amore mistico per antonomasia; san Tommaso d’Aquino, Dottore Angelico, e Doctor Humanitatis ancora proclamato da Papa Giovanni Paolo II, maestro assoluto della teologia cattolica, ha insegnato la legittimità delle crociate in quanto legittima difesa da un nemico ingiustamente aggressore.
Santa Caterina da Siena, Patrona d’Italia, Co-Patrona d’Europa, e, soprattutto, Dottore della Chiesa, ha scritto sulla Crociata pagine meravigliose nelle sue lettere, e ha insistito, al di sopra di ogni altra cosa, con Papa Gregorio XI, perché proclamasse la Crociata. Papa san Pio V, il Papa di Lepanto, il beato Innocenzo XI, il Papa di Vienna, non erano creature assetate di sangue, furono difensori supremi della nostra civiltà e della libertà.
Mi permetto di ricordare che ancora agli inizi del secolo scorso, una santa carmelitana giovanissima nei suoi scritti diceva che avrebbe tanto voluto essere un crociato per dare la vita per la difesa della Chiesa dai suoi nemici: si chiamava Teresina del Bambin Gesù, Dottore della Chiesa Cattolica, proclamata tale da Giovanni Paolo II. E questo solo per fare alcuni esempi. Occorre stare attenti quando si condannano le crociate.
Non mi riferisco naturalmente ai nemici della Chiesa e della civiltà cristiana, agli atei, agnostici, relativisti vari. Mi riferisco agli “amici” sempre critici con noi stessi, mi riferisco ai semplici fedeli che possono ormai avere le idee confuse a riguardo. Se le nostre donne, madri, sorelle, figlie, mogli, oggi sono libere e libero è il loro pensiero e il loro volto, se tutti noi oggi abbiamo la libertà di pregare il nostro Dio pubblicamente, se usufruiamo dei pieni diritti civili, se possiamo conoscere la verità in tutti i suoi aspetti, se studiamo liberamente ciò che vogliamo studiare, se abbiamo il benessere (almeno, quello ne rimane oggi) che abbiamo, e così via, è perché nel corso di mille anni qualcuno è morto per loro e per noi.
È perché decine e decine di Papi si sono preoccupati nel corso dei secoli di difendere la nostra fede e civiltà. È perché dei santi hanno predicato tale difesa. È perché dei teologi l’hanno giustificata dinanzi a Dio e agli uomini. È perché centinaia di migliaia di cristiani, nel corso di secoli e secoli, hanno impugnato la spada e sono morti per la nostra libertà. Ma allora, come giudicare le parole del Santo Padre ad Assisi? Qui occorre ribadire ciò che abbiamo detto all’inizio: il Papa non parla di “Crociata” come concetto in sé.
Il Papa evidentemente si riferiva a tutto quell’insieme di violenze inutili, superflue, gratuite, alcune obbrobriose, di cui nel corso di questi venti secoli si possono essere macchiati i cristiani, in tutte le occasioni, non solo nelle crociate. Gli spagnoli che hanno portato Cristo ai popoli amerindi compirono anche violenze. Vogliamo forse rinnegare i benefici (non solo religiosi, che sono fondamentali, ma anche civili, sociali e culturali) che tali popoli hanno ricevuto dalla cristianizzazione? Vorremmo forse che fossero rimasti pagani adoratori di demoni e sacrificatori di fanciulle quali erano prima di Colombo? Non penso che il Santo Padre voglia questo…
Occorre distinguere quindi tra il bene dell’Evangelizzazione e il male della violenza inutile e gratuita ad essa purtroppo a volte connessa. Occorre distinguere tra la legittima difesa da un nemico aggressore che per mille anni ha tentato di conquistarci e farci cambiare religione, dalle violenze inumane e gratuite commesse.
Del resto, la Chiesa terrena, nella sua interezza, dai pontefici all’ultimo dei chierici, la Cristianità nella sua interezza, dai sovrani all’ultimo dei paggi, si può sbagliare per circa sette secoli? E, se ciò fosse possibile, allora chi ci assicurerebbe più che l’attuale pontefice, i suoi predecessori e successori, abbiano ragione? Un papa, due, tre, si possono sbagliare in materia che non sia di fede e morale (ma poi, siamo così sicuri che qui la fede non v’entri per nulla? Non esiste forse un magistero della Crociata?).
Ma decine e decine di pontefici per sette secoli? Siamo così sicuri che il Santo Padre ad Assisi abbia veramente chiesto scusa per le crociate? O si è limitato a dire esattamente ciò che ha detto? Qualcuno forse vorrebbe affermare che il diritto alla legittima difesa non esiste? Forse non ha pensato che secondo questo folle principio la Seconda Guerra Mondiale era illegittima, e occorreva farsi conquistare tranquillamente dal nazismo, non reagire vedendo la mostruosa fine che spettava agli ebrei, accettare la fine della propria libertà e indipendenza, ecc. ecc.
Questo, sono sicuro che nessuno lo affermerebbe mai. Più che giusto, ovviamente: e allora, lo stesso principio deve valere per la Cristianità aggredita. Oppure i cristiani sono i soli che non hanno diritto alla legittima difesa? Concludo ritornando al primo dei punti elencati: è molto facile parlare di pace e pacifismo, condannare le brutalità della guerra, ergersi a giudici dei passato, quando si è tranquilli, si usufruisce di grande libertà e si ha lo stomaco pieno.
Ogni grande evento della storia va contestualizzato evidentemente. Se per mille anni i cristiani hanno combattuto con l’Islam, se per secoli Papi, teologi, santi, Dottori della Chiesa, sovrani, militari, interi popoli, hanno predicato la crociata o preso direttamente le armi, non sarà stato forse perché… ce n’era bisogno? Non dobbiamo proprio a loro la nostra possibilità di criticarli pubblicamente? Siamo sicuri che tutti noi, così come siamo oggi, se per ventura ci fossimo trovati al loro posto, non ci saremmo comportati allo stesso modo? Non hanno loro il diritto di essere giudicati per quella che era la loro reale situazione e mentalità nei loro giorni? Loro non hanno fatto chiacchiere da bar o da salotto: sono morti a centinaia di migliaia per servire la Chiesa, la civiltà cristiana e la nostra libertà.
Forse, prima di parlare, dovremmo ragionare con maggior profondità. Forse, dovremmo leggere bene ciò che il Santo Padre esattamente dice (ri-sottolineo il fatto che parla giustamente di “vergogna” per le violenze, ma non chiede scusa per un qualsivoglia fenomeno storico preciso), non utilizzarlo per i nostri risentimenti ideologizzati.
E se ogni tanto dicessimo una preghiera per chi è morto anche per noi, forse daremmo prova di maggior buon senso e civiltà. E concludo ponendo un’ultima questione: ma siamo proprio così sicuri che un giorno, magari neanche troppo lontano, non potremmo trovarci pure noi nella stessa situazione in cui si trovarono per mille anni i nostri antenati?
Massimo Viglione
[Modificato da Credente 16/02/2013 11:15]
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14/01/2012 23:02
 
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La storica Montesano: «l’Inquisizione? Questione protestante e rinascimentale»

La leggenda dell’Inquisizione viene spesso usata, oltre per attaccare il cattolicesimo, anche per tenere viva l’accusa al Medioevo di essere un “periodo buio”. Tanto buio che tutte le più grandi invenzioni, dagli ospedali alle università, emersero proprio in quell’arco storico! Tuttavia sono leggende popolari, per l’appunto, mentre gli storici hanno già più volte dimostrato di pensarla diversamente. E’ il caso recente diMarina Montesano, ricercatore di storia medievale presso l’Università di Genova la quale, in un articolo per “Il Manifesto”, recensisce due libri storici sulla “caccia alle streghe” appena pubblicati.

Il suo giudizio a ristabilire la verità sul Medioevo è netto:«proprio durante il fiorire del Rinascimento si elaborarono idee e strumenti atti a perseguire le streghe, e fu in piena età moderna che si registrarono in Europa le condanne più gravi e numerose». Continua, «per la caccia alle streghe si può schematicamente delineare uno sviluppo in tre fasi differenti: un diffondersi sporadico di processi e condanne capitali che terminò intorno al 1550-1560; un incremento notevole tra quest’epoca e il 1660, fase che costituì l’apice della caccia in Europa; dopo questa data e fino alla metà del XVIII secolo si ebbe una diminuzione generalizzata dei processi, ma anche il loro arrivo in aree precedentemente risparmiate». I numeri non sono poi certo quelli propagandati dai vari Corrado Augias & Co: «la storiografia è in grado di proporre dati probabili: nell’intero periodo tra metà Quattrocento e metà Settecento le condanne alla pena capitale oscillano tra le 40mila e le 60mila, nonostante la pubblicistica in materia dia spesso cifre palesamente assurde, che arrivano addirittura a parlare di milioni di vittime».

E’ importante anche concentrarsi sull’area geografia maggiormente coinvolta in questa pratica, ovvero quellagermanica e protestantizzata«un’area, quella tedesca del Sacro Romano Impero, comprendente territori cattolici quanto protestanti, in cui la caccia alle streghe mieté il numero maggiore di vittime. È una disparità che colpiva anche i contemporanei, se il gesuita Friedrich Spee poteva scrivere, nella serrata critica alle modalità dei processi tedeschi espressa nella Cautio criminalis del 1631, che la Germania sembrava essere «tot sagarum mater»: «madre di così tante streghe». Circa la metà delle condanne capitali europee furono comminate in Germania». E la causa, continua la storica, fu sopratutto la Riforma e l’estrema frammentazione del potere politico: «Lutero e Calvino non sembrano aver dato molto peso alla stregoneria e nessuno dei due riformatori elaborò una forma di demonologia innovativa, ma il Diavolo esercitava a loro avviso un potere reale nel mondo; i riformatori facevano dunque dell’impegno contro Satana quasi un’ossessione. È indubbio che, essendo le streghe emissarie del diavolo e complici nei suoi misfatti, nel mondo riformato si ponevano le premesse per una «caccia» intensa e determinata».

I revisionisti anti-cattolici citano anche ossessivamente l’Inquisizione spagnola (area cattolica) come il capro espiatorio della caccia alle streghe. Ma la Montesano chiarisce: «Il paragone tra la Germania e la Spagna è istruttivo: nella penisola iberica, vittima di una secolare «leggenda nera», si ebbe in realtà un uso giudiziario della tortura assai moderato e un numero di vittime molto basso, se paragonato all’Europa centro-settentrionale; i tribunali erano infatti restii a comminare la pena capitale, preferendo generalmente condanne più blande. Inoltre, le accuse erano più simili a quelle tradizionali di magia, piuttosto che di stregoneria per così dire «moderna», cioè corredata di patti e omaggi demoniaci, volo magico, infanticidi e via dicendo». Quante furono le streghe condannate a morte in Spagna?«più di cento in Catalogna nei soli anni 1610-1625, ma venti-trenta sotto l’Inquisizione negli oltre cento tra 1498 e 1610. In totale le condanne a morte dovrebbero aggirarsi intorno alle 300». Ancora meno se l’autorità centralizzata fosse stata forte e capace di incidere.

Riassumendo dunque si può dire che il Medioevo ebbe davvero poco a che vedere con la “caccia alle streghe”, attività che in grandissima parte avvenne in ambito protestante. Il pensiero è decisamente simile a quello di Jean Dumont, uno dei maggiori specialisti mondiali sull’Inquisizione spagnola, il quale in quest’interessante intervista aggiunge un dato sulla presunta e “terribile macchina da morte” spagnola: «nell’epoca di maggiore voga della tortura, in Spagna, a Valenza, su duemila processi dell’Inquisizione, nell’arco che va dal 1480 al 1530, sono stati ritrovati dodici casi di tortura».

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16/01/2012 00:28
 
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Nel Medioevo la Chiesa cattolica si oppose al razzismo verso gli ebrei

Nel 1300 l’Europa fu invasa dalla peste nera che seminò morti senza precedenti: quasi il 70% della popolazione e nella maggior parte degli uomini comparvero dubbi e paura. Questo consenti di galoppare e restaurare una paura contro gli Ebrei, i quali vennero accusati di avvelenare i pozzi, di essere in qualche modo la causa di questo disastro. Così spiega in un articolo Francesco Agnoli su “La Bussola Quotidiana”di fronte ad un disastro, rintracciare un colpevole, un capro espiatorio, serve a fornire una “spiegazione” all’accaduto. Questo presunto “colpevole” cambiava da nazione a nazione , da epoca a epoca. In Spagna si diffuse la voce che gli avvelenatori erano, per lo più, i musulmani; in Francia gli inglesi; altrove e in altre occasioni, ilebbrosi, oppure gli “stranieri poveri”, considerati potenziali portatori di malattie e così via… Nella Atene del V secolo, anch’essa colpita dalla peste, Tucidide racconta che furono gli spartani ad essere sotto accusa.

Per quanto riguarda gli ebrei, il luogo dove costoro furono identificati maggiormente come colpevoli, o comunque dove subirono le angherie peggiori, furono alcune aree germaniche, in particolare la regione lungo il fiume Reno. SecondoRodney Stark (in “Un unico vero Dio”, Lindau 2009) ciò è connesso alla “prevalente debolezza sia della Chiesa che dello Stato in quella regione”. Infatti, proprio in queste zone sia i vertici laici che quelli religiosi con insistenza tentarono difrenare ed impedire che “le folle uccidessero gli ebrei”, ma se i principi, in quei luoghi, erano deboli, anche la Chiesa lo era, vista la “concentrazione di movimenti eretici cristiani nelle stesse comunità renane”. Nella Francia meridionale, invece, Clemente VI “interpose a loro difesa (degli ebrei, ndr) la sua autorità pontificia, e con bolla del 4 luglio 1348 vietò di ascrivere agli ebrei delitti immaginari o toccarne vita o sostanze prima di sentenza del legittimo giudice”. Il Pontefice dovette nuovamente intervenire il 26 settembre con un’altra bolla, in cui spiegava che gli ebrei morivano di peste esattamente come gli altri, e che la peste si era diffusa anche laddove non vi erano comunità ebraiche. Inoltre“ordinava a tutti i vescovi di pubblicare nelle chiese una sentenza di scomunica contro coloro che li molestassero, in qualunque modo ciò fosse”.  Gli storici William Naphy e Andrew Spicer, nel loro “La peste in Europa” (Il Mulino 2006), aggiungono che “molti eminenti uomini di chiesa condannarono questi attacchi ispirandosi agli insegnamenti di sant’Agostino di Ippona, per il quale gli ebrei dovevano essere tollerati in quanto parte essenziale della storia cosmica del cristianesimo”. Ma se in alcuni posti ebbero ascolto, in altri, soprattutto nelle regioni del Reno, non fu così. Non è un caso che le autorità civili e religiose fallirono laddove pullulavano i movimenti ereticali, portatori di una specifica visione non solo religiosa, ma anche politica e sociale.

Gli eretici medievali si scagliarono pesantemente anche contro cattolici e sacerdoti, come spiega G. Fourquin nel suo“Le sommosse popolari nel Medioevo” (Mursia 1976). Norman Cohn, ne “I fanatici dell’Apocalisse”, ricorda che eresiarchi tedeschi, per lo più millenaristi fanatici, erano “nemici intransigenti della Chiesa, decisi non solo a condannare il clero, ma anche a respingere completamente la sua pretesa di autorità soprannaturale”. Per questo non di rado tiravano giù dal pulpito ecclesiastici e predicatori, per bruciarli sul rogo o per lapidarli: “Gli ebrei non erano comunque i soli a venire uccisi: molti membri del clero perirono per mano delle orde escatologicamente ispirate”, continua Cohn. Lo stesso Martin Lutero, proprio come gli eretici renani, affiancò alla polemica contro la Chiesa cattolica, quella contro gli ebrei. Nel 1543, pubblicò un testo, “Degli ebrei e delle loro menzogne”, in cui, insieme ad un duro attacco alla Chiesa romana e agli italiani, definiva gli ebrei “disperati, cattivi, velenosi e diabolici”“velenose, aspre, vendicative, perfide serpi, assassini e figli del demonio” e invitava, tra le altre gentilezze, a “dar fuoco alle loro sinagoghe o scuole”, a “distruggere e smantellare anche le loro case”, a cacciarli come “cani rabbiosi”.

Nel Novecento, chiude Agnoli, le regioni in cui il nazionalsocialismo antisemita ed anticristiano avrebbe raggiunto l’apice, furono quelle storicamente protestanti (quelle un tempo più eretiche), e non quelle a maggioranza cattolica. Vari storici, parlando delle eresie millenariste medievali, hanno infatti notato la somiglianza con ideologie moderne, anch’esse millenariste, come il nazismo ed il comunismo. E’ infatti vero che i nazisti dichiararono in più occasioni la loro ammirazione per gli eretici medievali, per i flagellanti tedeschi, e che condivisero con costoro la mentalità millenarista, e quindi immanentista. Alcuni di loro, come Julius Streicher, si rifecero esplicitamente a Martin Lutero, mentre non mancarono i pastori protestanti che si compiacquero che la notte dei cristalli era caduta nell’anniversario della nascita del fondatore del protestantesimo. Bisogna anche dire che i teorici nazionalsocialisti erano figli, più ancora che del loro lontano passato, del passato più recente: dell’illuminismo materialista, del darwinismo sociale, delrazzismo “scientifico” creato dagli antropologi, dai seguaci delle pseudoscienze atee ottocentesche (frenologia, antropometria, criminologia lombrosiana…), dai biologi darwiniani; erano figli del superomismo nicciano, dellastatolatria hegeliana, del nazionalismo ateo; della secolarizzazione e della “morte di Dio” che aveva sganciato il concetto di uomo da quello di creatura, eliminando così, come notava Leon Poliakov, l’idea biblica secondo cui l’uomo, ogni uomo è “creato a immagine e somiglianza di Dio”. Molto probabilmente, si può aggiungere, se Inquisizione (laica e religiosa) fosse esistita nel Novecento, Hitler, Lenin e Stalin non sarebbero mai saliti al potere.

Domenico Campo

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21/02/2012 23:17
 
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Messico: la rivolta dei cristeros all’oppressione massonico-laicista

Il Messico della prima metà del XX secolo ha visto susseguirsi tutta una serie di governi di ispirazione massonico-laicistacostantemente preoccupati di ridurre al minimo la libertà religiosa dei cattolici. Ciò è avvenuto con una legislazione fortemente repressiva contro la Chiesa cattolica, che raggiunse il suo vertice con il governo del generale Plutarco Elías Calles(1877-1945). A questo “despota”, infatti, si deve l’avvio di tutta una serie di insopportabili angherie che causarono l’insorgere di una vera e propria “Vandea messicana”, disposta anche all’uso delle armi. Lo si descrive bene in un articolo su “La Bussola Quotidiana”.

Ben presto l’insurrezione messicana prese un nome: si chiamò “Cristiada”, praticamente una crociata, e i suoi sostenitori furono i “cristeros”. Venivano infatti così chiamati dai loro nemici, storpiando la dizione “Cristos Reyes”. L’insurrezione dei cristeros, esasperati da una legislazione oppressiva e dalla coercizione governativa a senso unico, iniziò nel 1926 e per tre anni, fino al 1929, si ritrovarono a fronteggiare un nemico ben armato di mezzi di distruzione sia fisici che morali. Il 21 giugno 1929 furono firmati gli Arreglos (accordi), che dichiararono l’immediato cessate il fuoco, il disarmo degli insorti e la garanzia per loro dell’immunità, anche se l’odio verso i cristiani non si fermò affatto.  Proprio recentemente sono usciti in merito due volumi: Dio, Patria e libertà! L’epopea dei Cristeros(Edizioni Art, Milano 2010), firmato dallo storico Alberto Leoni e Cristiada. Messico martire. Storia della persecuzione (Amicizia Cristiana 2012), di Luigi Ziliani, il quale nasce come conseguenza di un viaggio-pellegrinaggio effettuato dall’autore, un sacerdote cattolico italiano, in Messico nel 1928 e che fu testimone diretto dei tragici e sanguinosi eventi. Nel 2011 è anche uscito il film “Cristiada”, il quale dimostra che certi eventi nella storia umana non possono passare sotto silenzio, specialmente quando un popolo intero decide di dire basta a dei governanti che si arrogano il diritto di dare loro una presunta verità che rende liberi a patto di recidere la Verità che da secoli nutre e vivifica il popolo messicano: Cristo e la sua Chiesa.

Questa insurrezione – caso più unico che raro – venne citata dal magistero papale di Pio XI, il quale dedicò alla persecuzione anticattolica messicana quattro documenti magisteriali, di cui tre encicliche. Con esse condannò ilnazionalsocialismo pagano, nonché il socialcomunismo materialistico e ateo, e ogni forma di repressione della libertà dell’uomo compiuta da apparati statali apertamente lontani da ogni giustizia degna di tale nome.  Avendo ben presente tutto questo, si capisce l’importanza della recente decisione della Camera dei deputati messicana, la quale ha approvato una riforma dell’articolo 24 della costituzione stabilendo così che ogni cittadino messicano avrà ora il «diritto di partecipare individualmente o in modo collettivo, sia in pubblico sia in privato, alle cerimonie, agli atti di devozione e agli atti di ciascun culto, purché non rappresentino un delitto o siano castigati dalla legge».

Salvatore Di Majo

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24/04/2012 15:48
 
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Il grande ruolo della donna nel medioevo

e all’interno delle religioni

Il 9 aprile 2012 Benedetto XVI ha parlato della grande testimonianza delle donne nel cammino della Chiesa. Anche la docente di storia Bettany Hughes, Research Fellow presso il King College di Londra e membro onorario della Cardiff University, ne ha parlato più ampiamente su “The Guardian”, ricordando che fu lo scrittore Rudyard Kipling (“Il libro della Giungla”) a notare come la gran parte (97%) delle antiche divinità della saggezza fossero femminili, ad esempio Atena Minerva. Di fatto, anticamente, le donne sono state spesso accettate come primi educatori nelle loro comunità. La religione è un facile bersaglio per le accuse di repressione e misoginia, ma in realtà per le donne è stato spesso possibile realizzarsi nella sfera sacrae quindi socio-politica.Vediamo qualche esempio:

Nei Vangeli e nel cattolicesimo,  la donna riveste un ruolo fondamentale. Non solo per il ruolo di Maria di Nazareth, la madre di Dio, ma anche dalle altre donne incontrate da Gesù. Sarà proprio ad un gruppo di loro che apparirà il terzo giorno, affidando a loro il compito di annunciare al mondo la Sua resurrezione, nonostante la scarsissima considerazione che avevano nella società di allora. L’incredibile aumento del numero dei cristiani dall’anno 40, in cui erano 1000, al 350 quando arrivarono a 32 milioni, è dovuto anche per l’attenzione, la stima, il rispetto e la protezione che i cristiani praticavano nei confronti delle donne (e ai bambini).

Teodora, prima di sposare Giustiniano imperatore di Bisanzio, era ciò che oggi chiameremmo una “spogliarellista”, ma, con l’ età matura e le responsabilità del matrimonio, arrivò a co-governare l’impero con saggezza. Ricordandosi i problemi legati al suo primo stile di vita, istituì le case sicure per le prostitute e aumentò le pene per il reato di stupro. In campo religioso, ella sostenne la fazione dei monofisiti (che riconoscevano a Gesù la sola natura divina) che significava sostenere il ceto borghese e questo concorse all’unità dell’impero.

Anche l’Islam degli esordi ha riconosciuto alle donne il dovere di “cercare la conoscenza” per attuare le istruzioni di Allah e il profeta Maometto ha consigliato lo studio sia alle donne che agli uomini. Di fatto, una delle prime università registrate in tutto il mondo – l’Università Qarawiyyin in Fez – è stata costruita nel IX secolo da una donna tunisina musulmana, Fatima al-Fihri. Nei primissimi anni dell’Islam è possibile risalire a circa 8.500 studiose; e di nuovo nel 12° secolo le donne hanno predicato nelle grandi moschee di Damasco, Medina, al Cairo e a Gerusalemme.

- Passando all’estremo oriente, parliamo della matriarca cinese Wu Zetian, che nel VII secolo ha usato il potere delle parole per vincere. Dopo una lunga gavetta a corte, tra intrighi, concubinaggi e pare anche omicidi, ella divenne imperatrice nel 654, cominciando a governare con grande saggezza. In un documento ella preconizza un abbassamento delle tasse, incentivi a favore dell’agricoltura, l’incoraggiamento del pluralismo di opinioni. Determinata a diffondere il buddismo nel suo enorme impero, diede un grande impulso anche all’arte della stampa, promuovendo la produzione di 84000 testi.

- Parlando del monachesimo dell’Europa occidentale, nel VII secolo, il monaco Aldhelm ha elogiato le suore della badessa di Barking che “raccolgono le conoscenze di legge, storia e scrittura, come le api raccolgono il miele”.

Esempi simili, di onore alla saggezza e agli studi femminili, abbondano fino al 12° secolo; dopo di che la cultura, spostata la propria sede dai monasteri alle università, finì strettamente nelle mani dei soli maschi, fino ad oggi. Ad esempio a Cambridge le studiose hanno riguadagnato (formalmente ma non di fatto) la parità coi colleghi uomini solo nel 1948.

Linda Gridelli

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06/05/2012 18:00
 
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Negli USA i sopravvissuti degli ateismi di stato
ospiti in televisione

Durante la sua trasmissione, Glenn Beck, un presentatore televisivo americano, ha ospitato un gruppo disopravvissuti ai regimi comunisti di tutto il mondo, tra cui Cuba, Cambogia, Germania Est e diversi paesi dell’ex Unione Sovietica. Essi hanno descritto le terribili persecuzioni subite, come la privazione da cibo, la persecuzione religiosa, la confisca dei soldi, la prigionia, l’attacco alla libertà personale e  familiare.

Essendo la gran parte dei regimi comunisti guidato ufficialmente dall’ateismo di Stato (ancora oggi è presente in Cina e in Corea del Nord), coloro che hanno sofferto maggiormente sono stati i credenti. Molto infatti si è parlato dei tentativi dei vari gerarchi atei di eliminare Dio dalla sfera pubblica e privata, proponendo però come alternativa “l’onnipotenza” dello Stato. Uno dei sopravvissuti, viene divulgato su“The Blaze (dove è possibile visionare il video della trasmissione) ha raccontato che le autorità “insegnavano” ai bambini a riferire loro se sotto il letto dei genitori trovavano una bibbia. Nessuno si poteva più fidare di nessuno, la popolazione viveva completamente in uno stato di paranoia.

Una cosa simile è stata raccontata dalla poetessa russa Ol’ga Aleksandrovna Sedakova, la quale ha raccontato che nelle università dell’Unione Sovietica era obbligatorio frequentare il corso di ateismo scientifico, sottolineando che c’era proprio la volontà di diffondere tale ideologia esistenziale. E ancora: «in epoca sovietica andavo al cimitero, dove si aveva paura di far mettere le croci sulle tombe»,tuttavia «nessuno dei progetti utopici del regime come l’ateismo di stato o l’arte e le scienze manipolate dall’ideologia riuscì a realizzarsi allo stato puro. Ma pur nella loro parziale attuazione hanno generato fiumi di sangue, degradazione e ignoranza in tutti i campi». Un’altra “martire” è la lituana Nijole Sadunaitecondannata nel 1975 a tre anni di lager a regime duro per aver difeso con decisione la libertà di religione.

Dopo la ghigliottina del secolo dei Lumi e i crimini del XX secolo, nessuno potrà più osare progettare una società senza Dio.

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26/05/2012 21:24
 
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La mattanza dei cattolici sotto il comunismo ateo

La sconfitta del nazismo nell’Europa occidentale segnò lafine di una dittatura e il ritorno alla libertà e alla democrazia, ma nei paesi conquistati dall’Armata Rossa significò solamente il passaggio da un occupazione a un’altra. Nei loro precedenti colloqui Churchill, Roosvelt e Stalin avevano concordato sul fatto che, nel dopoguerra, le nazioni liberate avrebbero dovuto decidere sulla loro forma di governo, ma il georgiano era in realtà intenzionato ad espandere la sua influenza: “Chi occupa un territorio, vi impone il proprio sistema sociale” ebbe a dichiarare a Milovan Gilas. Per questo motivo cominciò subito a liquidaretutti i possibili oppositori alla dominazione sovietica (eliminazioni avvenute in certe parti prima ancora della fine del conflitto) in modo da avere governi dominati da comunisti che avrebbero introdotto nei propri stati misure simili a quelle del governo comunista, come la persecuzione religiosa.

Già Lenin, infatti, andato al potere nel 1917 provvide a mettere fuori legge le religioniperché riteneva, come Marx, che fossero solo un’illusione creata dall’uomo per evadere dalla realtà (“l’oppio dei popoli”). A farne le spese più pesanti fu la Chiesa Ortodossaperché maggioritaria del paese, ma tutte le confessioni presenti in Russia ne ebbero a soffrire: negli anni ’20 sotto la Repubblica sovietica vivevano circa un milione e seicentomila cattolici che furono sottoposti a dure misure repressive fino alla fine dell’URSS. Eppure la Chiesa aveva cercato inutilmente di stipulare un Concordato e aveva offerto, durante la carestia del 1922, due milioni di dollari per alleviare le sofferenze della popolazione, ma come ha sottolineato lo storico Andrzej Kaminski «in Unione Sovietica la fede e la pratica di una religione furono a lungo motivi sufficientiper essere deportati in un campo di concentramento».

Le misure antireligiose furono esportate nei territori direttamente occupati, come negli stati Baltici. Ad esempio,  in Lituania era severamente proibito ai sacerdoti «tenere lezioni ai bambini, impartire la cresima, assistere malati e moribondi e sovrintendere ai funerali” ed era vietato “pubblicare, stampare e diffondere libri, opuscoli o giornali a carattere religioso». Il filosofo polacco Leszek Kolakowski denunciava il fatto che molte persone erano rinchiuse nei campi di concentramento sovietici per «propaganda religiosa»e che era un «dovere giuridico dei genitori dare ai figli un’educazione comunista e quindi atea; in caso contrario il potere minaccia di togliere i figli stessi». In altri stati, invece si assistette alla nascita di democrazie popolari, formalmente indipendenti, ma nella pratica asservite all’URSS e il cui obiettivo principale era diffondere l’ateismo divenuto in pratica religione di stato, e separare i contatti delle chiese con Roma. Nei paesi ortodossi come la Romania e la Bulgaria l’influenza sovietica s’intrecciò a più strette relazioni locali con la chiesa autocefala ortodossa e il Patriarcato di Mosca. In Romania, infatti, il potere sovietico cercò di spingere i greco-cattolici a far parte della Chiesa Ortodossa (ma ciònon impedì agli stessi ortodossi d’essere perseguitati), e impose la fusioneimprigionando o uccidendo coloro si opposero ossia tutti i vescovi e gran parte dei sacerdoti. Si tentò, invece di manipolare la Chiesa Cattolica di rito latino sostituendo l’autorità di Bucarest a quella del Vaticano. Nonostante le persecuzioni, però, il regime non riuscì mai ad imporre la propria autorità e si ebbero diversi martiri come padre Alajos Boga, morto in carcere per non aver accettato un piano governativo di una Chiesa nazionale senza legami con Roma. Stessa sorte toccò in Bulgaria al vescovo di Nicopoli, il beato Eugenio Vincenzo Bossilkov, processato nel 1952 per essersi rifiutato di mettersi a capo di una chiesa nazionale e condannato a morte. «Non ho rinnegato né la Chiesa, né il Santo Padre, né don Gallioni (n.d.a. Reggente della delegazione apostolica)» disse prima di morire.

Anche nei paesi a maggioranza cattolica, la persecuzione si fece sentire aspramente. La Chiesa in Polonia ebbe un ruolo importante nella formazione di Solidarnoc e parecchi preti e vescovi subirono la prigione o la morte per la loro resistenza al potere comunista come il primate Stefan Wyszynski che subì una lunga prigionia. In Ungheria, invece, il primateJosef Mindszenty fu incarcerato nel 1948  secondo l’incredibile accusa di voler scatenare una terza guerra Mondiale (lo stesso aveva già subito una detenzione dal governo comunista nel 1919 e un’altra sotto il nazismo nel 1944)! Venne liberato durante la rivolta d’Ungheria, e riuscì a mettersi in salvo dalla repressione russa rifugiandosi nell’Ambasciata Americana. In Cecoslovacchia, il cardinale Beran (che era stato prigioniero nel campo di Dachau) venne posto agli arresti domiciliari e fu espulso nel 1965. La repressione peggiore si ebbe comunque in Albania dove verso il 1976 l’ateismo di stato entrò di fatto nella costituzione (Stalin, invece, aveva fatto redigere una costituzione liberale che ovviamente rimase sulla carta) e i giornali annunciavano trionfalmente che tutte le chiese e le moschee erano state chiuse o demolite. Nella Germania dell’Est la lotta religiosa assunse aspetti meno cruenti: si cercò di scimmiottare rituali cristiani sotto altri nomi come il battesimo o il matrimonio socialista. Si obbligava le persone a giurare fedeltà allo stato o al socialismo, in una cerimonia fatta in contrapposizione alla comunione cattolica e alla confermazione protestante e s’insegnava ai bambini: «Lenin ha spiegato che quest’epoca in cui non esisteranno più lacrime ha un nome. Non si chiama né Natale, né primavera (…) si chiama socialismo». Anche qui, però, non mancarono violenze contro gli atti di resistenza cristiani come quelli contro la distruzione della chiesa nell’Università di Lipsia.

Queste azioni non avvenivano solo nel mondo sovietico, ma anche negli altri stati comunisti. Nella Jugoslavia, Tito aveva già fatto uccidere centinaia di sacerdoti e dopo che l’arcivescovo Alojzije Stepinac si rifiutò di sovrintendere a una chiesa nazionale croata, fu arrestato e processato con l’accusa di essere stato complice dei massacri ustascia. Sebbene alcuni studiosi abbiano preso seriamente queste accuse, in realtà, fu unprocesso farsa e uno degli estensori dell’accusa, Josip Hrnevic ammise: «se avessimo ascoltato i testimoni della difesa, il processo sarebbe caduto». Del resto, il marescialloperseguitò la Chiesa Cattolica anche in Slovenia nonostante il clero si fosse schierato dalla parte del movimento di liberazione ottenendo promesse di rispetto che non furono mai mantenute. La situazione non muta, anzi peggiora se dal comunismo europeo si passa a quello asiatico perché oltre alla propagazione dell’ateismo e al tentativo disradicare il legame con Roma, vi era anche un atteggiamento xenofobico: il cristianesimo era considerato una religione straniera e come tale doveva essere respinto. Sotto il Vietnam del Nord si provvide a chiudere i seminari, a espellere i missionari stranieri, a nazionalizzare le scuole e a paralizzare la vita cristiana. La persecuzione provocò l’esodo di circa 600.000 cattolici (su 1 milione e mezzo) verso il Vietnam del sud. Anche nel Laos la piccola comunità cristiana soffrì persecuzioni e anche qualche martirio, mentre la guerra di Corea permise a Kim il Sung di tentare d’estirpare ogni presenza cristiana e molti missionari operanti nel sud vennero deportati a nord. «La nostra rivoluzione è molto più utile ed efficacie del tuo Dio» disse una guardia ad un prete incarcerato. La dittatura più sanguinaria fu comunque quella che sorse in Cina, sotto Mao Tse Tung. Questi durante la guerra civile aveva promesso di rispettare la libertà religiosa di tutti i cinesi, ma appena giunto al potere instaurò l’ateismo di statovietando la propaganda religiosa. Scelse di tollerare il culto privato perché pensava che col tempo il popolo avrebbe abbandonato la fede, ma simile disposizione non valeva per il cattolicesimo perché religione non autoctona. Il dittatore cinese perciò diede vita al“Movimento delle Tre Autonomie”, i cui obiettivi erano l’autogoverno, l’autofinanziamento e  l’autopropaganda. I vescovi cinesi ribadirono, però, che chi usciva dall’obbedienza della Santa Sede si allontanava dalla Chiesa e si assistette così alla nascita di due chiese: una costretta in clandestinità con vescovi nominati da Roma e un’altra “ufficiale” con vescovi nominati dal governo.

Vedendo questa situazione e il fatto che nonostante la persecuzione nei paesi liberati come in Francia e in Italia, sempre più persone continuavano ad aderire al partito comunista, Pio XII decretò la scomunica per chi avesse sostenuto o fatto parte del partito, ma l’adesione di un’ampia parte della società alle idee socialiste rese difficile applicare una simile disposizione e la scomunica cadde presto nel dimenticatoio. La fine del comunismo europeo segnò la fine delle persecuzioni religiose, ma in Asia resiste ancora e molti credenti sono tutt’oggi incarcerati e uccisi per la loro fedeltà alla Chiesa o per il loro rifiuto all’ateismo di stato.

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Bibliografia
ANDREA RICCARDI, Il secolo del martirio, Milano 2000
AA. VV. Il libro nero del comunismo Milano, 1998
AA. VV. Il libro nero del comunismo europeo, Milano 2006
ANDRZEJ KAMINSKI, I campi di concentramento dal 1896 a oggiTorino 1998

 Mattia Ferrari

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05/06/2012 23:33
 
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Le religioni sono la causa delle guerre?
No, è propaganda laicista

Nel prontuario del laicista provetto è stata inserita la considerazione che «la religione è stata la causa della maggior parte delle guerre».  Quando si domanda loro di specificare meglio cosa intendano, essi hanno imparato a rispondere: «le Crociate, l’Inquisizione, il  Medio Oriente, l’11 settembre, devo continuare?». Secoli di complesse vicende storiche vengono così concentrati in una frase.

Volendo prendere sul serio questa ennesima leggenda nera, occorre sottolineare -come ha fatto il rabbino Alan Lurie sull’Huffington Post- che in Encyclopedia of Wars”, gli autori Charles Phillips e Alan Axelrod hanno documentato che nella loro lista di 1763 guerre, meno del 7% hanno avuto una causa religiosa e meno del 2% di tutte le persone uccise in guerra. La storia, spiega Lurie,«semplicemente non supporta l’ipotesi che la religione sia la causa principale dei conflitti bellici. Le guerre del mondo antico erano raramente, anzi mai, basate sulla religione, ma di conquista territoriale, di controllo delle frontiere, per rendere sicure le rotte commerciali o rispondere a all’autorità politica. Tant’è che i conquistatori antichi, sia egiziani, babilonesi, persiani, greci o romani, accoglievano apertamente le credenze religiose dei loro conquistatori e spesso aggiungevano i nuovi dèi al proprio pantheon».

Rispetto alle crociate, come ha dimostrato Rodney Stark nel libro Gli eserciti di Dio. Le vere ragioni delle crociate (Lindau 2010), esse  vanno contestualizzate in un periodo in cui non c’erano i livelli diplomatici di oggi, e comunque non erano il tentativo di sottomettere un’altra religione, nè di convertire con la forza altri popoli, ma nacquero dopo cinque secoli di aggressioni del mondo islamico verso quello cristiano, a difesa degli ortodossi di Bisanzio e per la difesa dei cristiani che si recavano in Terra Santa, vittime continue di centinaia di massacri. Lo storico medievalista Paul Crawford, docente alla California University of Pennsylvania, ha affrontato approfonditamente la questione.

Inoltre, ha continuato il rabbino, «la maggior parte delle moderne guerre, compresa la campagna napoleonica, la Rivoluzione Americana, la Rivoluzione francese, la Guerra Civile Americana, Guerra Mondiale, la Rivoluzione Russa, la Seconda Guerra Mondiale, e i conflitti in Corea e in Vietnam, non erano di natura religiosa». Anzi, i gruppi religiosi sono stati specificamente presi di mira, sopratutto dai Paesi guidati dall’ateismo di stato. «Allo stesso modo», ha continuato, «il gran numero di genocidi non si basanosulla religione. Si stima che oltre 160 milioni di civili sono stati uccisi in genocidi nel 20° secolo, con quasi 100 milioni di morti da parte degli stati comunisti dell’URSS e della Cina».

Il rabbino ha anche affrontato le varie guerre descritte nell’Antico Testamento, ma«dobbiamo riconoscere che le evidenze archeologiche hanno dimostrato che queste conquiste non sono mai avvenute, o almeno non in modo drammatico come descritto nella Bibbia», essa non intende essere un resoconto storico della storia ebraica. «I rabbini», ha spiegato, «hanno capito che queste storie non sono vittorie celebri, maavvertimenti sui pericoli della guerra». Chiaramente sono stati commessi atti orrendi a base dello zelo religioso, come d’altra parte se ne sono compiuti anche in nome dell’assenza di Dio, come ad esempio gli eventi della prigione di PitestiOgni generalizzazione è dunque indebita.

Resta il fatto che, chiunque commetta azioni violente sarà sempre contro il Vangelo, si allontanerà volontariamente dall’insegnamento di Gesù: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati [...] Avete inteso che fu detto: “Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico”. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli»

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03/07/2012 23:23
 
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IL SOLE, SIMBOLO DELLA DIVINITA' E NON SOLO ASTRO LUMINOSO

Per la scienza accademica, il sole rappresenta una normale stella della serie principale del diagramma Hertzsprung e Russel, il tipo più frequente delle stelle visibili, e via dicendo. Niente di più. Ogni riferimento ad un aspetto spirituale del sole è ovviamente ritenuto del tutto fuori luogo, nonché assurdo, in tale ambito. D’altronde, in modo altrettanto ostinato, fino all’avvento della stessa scienza induttiva, si negava il contrario. Cioè, era ritenuto inammissibile, se non proprio blasfemo, che il sole potesse avere un aspetto quantificabile, simile a quello dei corpi terrestri. E questo perché la significativa e fondamentale attività dell’astro era ritenuta come una manifestazione della presenza divina nel cosmo. L’atteggiamento critico nei confronti della metafisica solare e della cultura magica ad essa collegata assunto dalla scienza moderna, gigante con i piedi d’argilla, non serve tuttavia ad illuminare le ombre relative alle proprie origini. Le quali in gran parte presero avvio proprio da quel ceppo metafisico irrazionale e magico che oggi con tanto rigore la scienza disconosce e nega. Ma che continua comunque ad essere vivo ed operante nelle stesse fasce della società, “alte” e “riservate”, che hanno propiziato nel corso di lunghi secoli l’avvento dell’attuale società tecnocratica e massonica.

L’aspetto spirituale del sole ed il suo rapporto con la dimensione magica è invece così fondamentale, per i suoi risvolti negativi, da trovare riferimenti persino in ambito biblico, nel senso di un rapporto contrario rispetto alla storia della salvezza. Secondo tale prospettiva infatti ci è parso possibile interpretare un passo alquanto noto dell’Apocalisse di San Giovanni, nel quale viene profetizzata la segregazione del diavolo per “mille anni”.

Testualmente: <> (Ap 20, 1-3).

I “mille anni” profetizzati dall’Apostolo hanno dato luogo nel corso del tempo alle note interpretazioni di tipo millenaristico ed a varie eresie ad esse collegate. Non solo Gioacchino da Fiore (1130-1202) pronosticò il prossimo avvento di una terza epoca storica detta dello Spirito Santo. Ma anche Kant dissertò intorno ad un millenarismo filosofico di stampo massonico <> (Religion, 1, 3).

Al di là di ogni attesa e di ogni aspettativa riguardo agli anni fatidici profetizzati dal Prigioniero dell’isola di Patmos, non ci sembra affatto azzardato porre in relazione tale profezia, più che con un incerto e più o meno prossimo futuro, con un millennio invece già concluso e per molti tratti da rivalutare. Ci riferiamo naturalmente al periodo d’oro della Cristianità, il Medioevo. È in questo millennio che il demonio, riuscito a farsi adorare fino allora come divinità solare nei classici culti imperiali, venne effettivamente relegato nell’Abisso, dall’imporsi della fede cristiana.

L’accostamento fra Medioevo e “millennio” sembra possibile non solo per la pur significativa coincidenza cronologica. Ma anche e soprattutto perché in questo lasso di tempo la religiosità pagana, di tipo solare, nel senso di Elios e di Eros, venne ridotta a strato carsico dal Magistero ecclesiastico e dalla Patristica. Tale soggezione si determinò cronologicamente a partire dalla vittoria di Costantino (regno 306-337) sulle truppe di Licinio e Massenzio (312), che combattevano sotto i labari del sol invictus, fino al risveglio della metafisica e del rispettivo demone solare avvenuto al tramonto della Scolastica. Mille anni denominati dagli apostoli dell’illuminismo “età di mezzo” fra un paganesimo decadente e quello che sarebbe rinato dopo un millennio, sotto nuovi auspici “magici” e nuovi paradigmi “solari”, nel periodo umanistico rinascimentale.

In questi mille anni il Magistero ecclesiastico, attraverso il contributo degli Apologisti e dei Padri della Chiesa (Sant’Agostino terminò gli ultimi capitoli de La Città di Dio, intorno al 418), del monachesimo e dell’azione esemplare di innumerevoli sconosciuti fedeli che contribuirono silenziosamente a dilatare il regno di Dio con l’adesione integrale alla Dottrina ed alla sacra Liturgia, riuscì gradualmente ad affermare la teologia cristiana in tutti gli ambiti sociali e politici della nascente Europa. Affermando così il primato universale di Cristo e della Societas Perfecta.

Tutto questo, nonostante le difficoltà ed i travagli che nel frattempo tormentavano l’alto Clero, alle prese con le molteplici contraddizioni interne (simonia, nepotismo …) e tensioni esterne (eresie, rapporti conflittuali con l’impero, lotta per le investiture, indulgenze …). Ma come ben sanno i Cristiani, contrariamente ad ogni logica ed aspettativa umana, è nella debolezza che si manifesta il mistero della potenza di Cristo. Pertanto, proprio in un momento di grande sofferenza, la Chiesa Romana si rafforzava, crescendo <> (Lc 2, 52), nonostante la gravità di alcuni suoi scandali puramente umani.

D’altra parte, occorre tenere presente il fatto che <> (A. Piolanti, La comunione dei santi e la vita eterna, L.E.V., Città del Vaticano 1992, p. 624). E quindi sbaglierebbe chi si attendesse un trionfo evidente ed assoluto della Chiesa nel tempo storico, prima cioè della chiusura della storia. Che avverrà secondo san Tommaso dopo la conflagrazione finale, durante la quale il fuoco purificherà tutti i corpi e gli elementi che si trovano entro l’atmosfera che circonda la terra, prima del ritorno definitivo del Cristo glorioso (Summa Th., Suppl., q. 74).

Nel frattempo, leggende di ogni tipo sono nate intorno al Medioevo, per screditarlo. Famoso il luogo comune che riguarda la paura del fatidico anno Mille, creato a tavolino per ridicolizzare ed <>. (M. Introvigne,Millenarismo e nuove religioni alle soglie del duemila – Mille e non più mille, Gribaudi, Milano 1995, p. 11). Anche se in quel periodo non esistevano calendari, né tantomeno giornali quotidiani con oroscopi e pubblicità di maghi e cartomanti da consultare ad ogni ora. Il computo del tempo era riservato agli ambienti ecclesiastici ed ai calendari liturgici. Che non contemplavano il “capodanno” in senso moderno, con tutto il corredo di innumerevoli e consolidate nostre superstizioni (mutande rosse, oroscopi, lenticchie, uva ed altre sciocchezze) inconcepibili per la mentalità medievale.

La linea dei dileggi e distorsioni intorno all’epoca medievale venne inaugurata da una schiera ben preparata di intellettuali anticattolici ed anticlericali in genere, che a partire dal XVII secolo si impegnò a creare ad arte la falsa idea di una lunga stagnazione culturale, sociale e religiosa attuatasi nell’Europa medievale. Questi pregiudizi risuonano ancora oggi, specialmente nelle larghe fasce della cultura popolare e nei settori laicisti “a prescindere”, che rifiutano di principio di considerare senza pregiudizi un’epoca verso la quale siamo debitori ed alla quale siamo ancora collegati.

Tuttavia, nonostante la medievistica universitaria si sia incaricata di smentire la faziosità delle leggende nere antimedievali, tale epoca ancora oggi continua ad essere un periodo bistrattato e frainteso nell’ambito della concezione comune. Peraltro, già Etienne Gilson stigmatizzò l’abitudine di tirare in ballo personaggi come Lutero, Calvino o Cartesio come simbolo del libero pensiero da contrapporre a S. Alberto Magno, considerato invece come il primo degli oscurantisti medievali. Lo studioso francese si spinse a dire che: <> (E. Gilson, La philosophie au Moyen Age, Payot, 1947, p. 504).

A fatica pertanto si sta facendo strada un’immagine più consona ed obiettiva riguardo al periodo compreso fra la vittoria di Costantino e l’avvento dell’Umanesimo, da molti specialisti ritenuto tutto il contrario di un tempo oscuro e retrivo. Anche <> (R. Stark, La vittoria della Ragione, Landau, Torino 2006, p. 70).

Paolo Rossi afferma a riguardo la necessità di superare <>, (sito <>, Le Stagioni della Follia).

Le leggende nere relative al Medioevo cristiano stanno dando dunque segni di cedimento. E finalmente emergono anche se in modo soffuso i tratti relativi a prospettive finora sottaciute che investono i periodi successivi, l’Umanesimo ed il Rinascimento. Queste due epoche, contrariamente a quanto si dice <> (B. Mondin, Epistemologia cosmologia, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1999, p. 15).

Alexandre Koiré riconosce senza esitazioni che <> (in P. Zambelli, L’ambigua natura della magia, Marsilio, Venezia 1996, p. 128, corsivi nostri).

Gli studiosi della storia del pensiero sono dunque concordi nell’affermare, pur senza approfondirne in modo adeguato le ragioni, che la ripresa della cultura magica cominciò a delinearsi in modo concreto con il tramonto della scolastica e della cultura medievale. Ma quanto gli accademici per forza di cose esprimono in modo allusivo e sfuggente, è dichiarato invece senza possibilità di equivoco in ambiti forse meno autorevoli, ma altrettanto degni di attenzione. Ad esempio, l’enciclopedia, L’uomo e l’ignoto (vol. 4, Armenia, Milano 1978), sotto la voce satana, riporta affermazioni dense di significati oscuri.

Si asserisce cioè che nell’epoca umanistica i primi scienziati, in genere medici, sotto l’influsso di una insolita brama del sapere diedero inizio a pratiche demoniache <>, cercando di assumere il ruolo di Dio nel governo del mondo e degli uomini.

Se il Rinascimento fosse davvero <> durante la quale il Menzognero s’incaricò di istruire i suoi seguaci nel corso di cerimonie celebrate nella segretezza delle corti aristocratiche, come quella fiorentina dei Medici, bisognerebbe davvero ripensare a quest’epoca, ed ai suoi frutti, in termini diversi, se non proprio allarmanti. Per il momento, si può soltanto considerare la diffusione che in questo periodo registrò la bibbia della tradizione magica, il Corpus Hermeticum, tradotto dal Ficino nel 1463, per ordine di Cosimo de’ Medici. In pochi anni, vennero diffuse sedici edizioni di tale opera che proponeva i temi propri della magia egizia, sulla base di una visione della realtà nella quale gli opposti non si escludono a vicenda, ma si compenetrano in un rapporto di reciproca “attrazione” e “simpatia”.

La natura in questo quadro irrazionale è concepita come un “Tutto” avente in sé un’anima, ritenuta <> (P. Rossi, Il fascino della magia e l’immagine della scienza, in Storia della scienza moderna e contemporanea, volume primo, UTET, Torino 1989, pag. 32 e sgg.). Persino i metalli vengono trattati dagli maghi rinascimentali come involucri di elementi spirituali. Senza parlare della cosiddetta “materia prima” alchemica, o Mysterium Magnum, di natura acquea, che oltre ad essere ritenuta la mater, matrice di tutte le cose, è anche concepita come “luogo” primario ove ritrovare tutti gli spiriti.

Nel Rinascimento dunque, ed in particolare nella corte fiorentina dei Medici, prese piede e si diffuse in tutta Europa la tradizione egizia, interpretazioni cabalistiche incluse, fondata su una logica ambigua, conciliante sia verso gli sviluppi del pensiero magici, sia verso quelli razionalistici. Matematica e cabala unite nella logica ambigua del “si e no”, che fa capo alla dialettica eraclitea, all’interno della quale risuonano armonicamente le regole delle omologie, degli influssi e delle corrispondenze. Ma disarmonicamente rispetto al classico rapporto fra causa ed effetto. La logica costituisce infatti come un muro di cinta, per la mente dell’uomo.

Diversi studiosi sono propensi ad individuare concrete linee di continuità fra Medioevo e Rinascimento, basate quasi su un rapporto di tipo causa effetto. I risultati positivi raccolti nel periodo rinascimentale, costituirebbero così gli sviluppi naturali del lavoro silenzioso dei pensatori medievali. In questa prospettiva, il filosofo francese Nemo afferma che il tracciato rigoroso ed oggettivo relativo al <> (P. Nemo, Che cos’è l’Occidente?, Universale Rubettino, Sovera Mannelli, 2009, p. 12 e sgg.).

Ovviamente, non esiste solo continuità fra Medioevo e Rinascimento. Il contrasto fra queste due epoche per certi tratti è insanabile. Basti pensare alle rispettive articolazioni che hanno dato luogo a due inconciliabili immagini del mondo, geocentrica ed eliocentrica. Una ordinata a Dio ed al dogmatismo religioso. L’altra centrata sulla ragione umana, intesa come spiritus rector. È proprio quest’ultima che dopo le ottimistiche utopie scientiste, al giorno d’oggi sta svelando le sue contraddizioni, e la sua fase discendente.

Si stanno scontando attualmente le conseguenze del baratto rinascimentale del reale con il razionale, del mondo percepito con il mondo immaginato, se pur attraverso i rigorosi (sulla carta) canoni della metodologia scientifica. L’inversione del processo di acquisizione della conoscenza avvenuta con l’adozione del modello eliocentrico ha infatti aperto le porte alla fantasia razionale (scienza) ed irrazionale (magia). Basti pensare che insieme a Galilei, fu Giordano Bruno a sostenere da altre angolature l’ipotesi copernicana. Due modi formalmente opposti, ma non disgiunti, di applicare la ragione alla filosofia della natura. Sia Galileo che Bruno infatti ragionavano non sul mondo percepito dai sensi (la terra ferma) che lascia poco spazio a supposizioni astratte. Ma sul mondo immaginato pitagoricamente sulla base di ipotesi indimostrate e forse indimostrabili (il presunto moto della terra).

Questi due personaggi, epigoni di Pitagora e di Ermete, rappresentano non solo le due colonne della cultura iniziatica, ma anche i due poli che hanno indirizzato la cultura propria della società moderna, da una parte estremamente razionale e tecnologica, scientifica, emancipata. Dall’altra, irrazionale, superstiziosa, collegata in modo carsico alla tradizione egizia ed alle simbologie iniziatiche trasmesse dalle “obbedienze” segrete che svolgono come un ruolo di collegamento fra le sfere “note” ed “ignote” della realtà.

Tramontate dunque definitivamente le sfere planetarie medievali, ordinate ad una dinamica spirituale regolata dalle intelligenze celesti disposte in cori concentrici sfocianti nell’empireo divino, ne sono state create altre, meno innocue, presiedute da arconti planetari e dalle intelligenze infere, ruotanti intorno al demiurgo, regolatore di un mondo eterno, che esisterebbe di per sé. Non solo Pitagora, ma anche Ermete ne prospetta l’immagine, poi ripresa da Copernico e “soci”: <> (Poimandres XVII, 17).

Questo è il senso spirituale, esoterico, bruniano, del modello eliocentrico, così come chiaramente espresso da Ermete Trismegisto nell’Asclepius, non a caso citato da Copernico nel famoso capitolo X della sua opera, De revolutionibus: <>.

Come dicevamo, queste considerazioni metafisiche che si snodano intorno ai significati allegorici del sole sono estranee all’ambito della cultura accademica, sempre poco propensa ad accogliere spigolature “borderline”. Peraltro, è anche vero che i numeri costituiscono effettivamente indici di corrispondenze strumentali e che i loro risvolti esoterici e cabalistici non rappresentano una disciplina razionalmente certa. Di conseguenza, molto difficilmente la scienza ammetterebbe l’esistenza al suo interno di una sorta di vibrazione comune con la dimensione e la cultura magica.

D’altra parte, ogni epoca costruisce l’immagine del mondo in base ad una fede. O se vogliamo a un dogma. Infatti, non esiste posizione filosofica o scientifica senza dogmi: <>(M. Malatesta, Fondazione della logica pragmatica transculturale, Volume I, Logica dei deittici – I pronominali personali, Nova Millennium Romae, Roma 2006, p. 10). Nessuna posizione esistenziale può dunque determinarsi senza solidi appoggi dai quali prendere avvio. Scienza compresa.

Uno degli irrinunciabili dogmi della fisica moderna è senz’altro costituito dal modello eliocentrico, nonostante i suoi rimandi carsici alla metafisica solare che lo sottende. Nonostante il suo difficile rapporto con la realtà dei sensi (i quali non registrano moti terrestri) e con la realtà dei fatti (che non producono prove evidenti del moto terrestre, al contrario di quello del sole forse fin troppo evidente). Peraltro, l’immagine eliocentrica si è rafforzata in questi secoli alimentandosi del “cibo sottile” della ragione umana, strutturata secondo gli indirizzi culturali moderni, diventando così sempre più “concreta”, rispetto ad una realtà sempre più “idealizzata”.

Il sole tuttavia non ha perso quei riferimenti “mistici” ai quali abbiamo alluso. La nostra stella, oltre ad essere rappresentata formalmente come una normale “nana gialla” in equilibrio stabile ecc., in certi ambiti continua ad essere intesa in base al proprio risvolto magico. Ossia, come: <> (M. D. Bailey, Magia e superstizione in Europa dall’Antichità ai nostri giorni, Lindau, Torino 2008).

Grande errore dunque ritenere che il misticismo solare sia un retaggio appartenente ad un passato ormai finito. È vero che gli imperi classici e le figure imperiali sono in disuso e difficilmente riproponibili nello stato attuale delle cose. Ma è anche vero che il demone solare non è scomparso dalla circolazione, il suo tempo non è ancora concluso, anche se è prossimo alla fine.

Giancarlo Infante
[Modificato da Credente 03/07/2012 23:25]
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14/07/2012 20:53
 
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Incredibile gaffe: «Galilei dimostrò che la Terra era rotonda»

Ma il Paone  ama anche presentarsi, durante il resto dell’anno, come fine intellettuale, come scienziato, come studioso. Ma anche qui con scarsi risultati. Il grande intellettuale, dopo la classica citazione su Giordano Bruno (lasciando stranamente fuori le Crociate, l’Inquisizione e il Pio XII nazista), ha toccato un altro cavallo di battaglia laicista, ovvero il “caso Galilei”. Ed è arrivato incredibilmente a sostenere che lo scienziato pisano sarebbe stato il primo a dimostrare che la Terra ha una forma sferica. Non solo, come lo avrebbe dimostrato? «Attraverso l’osservazione», ha risposto Cecchi Paone. 

Concentrandosi sulla incredibile “odifreddura”, anche un bambino saprebbe facilmente spiegare che Galileo non c’entra nulla con la sfericità della Terra, ma si occupò dell’eliocentrismo sostenendo (in modo corretto, seppur senza prove) che fosse la Terra a girare attorno al Sole, contrariamente a quanto sosteneva il sistema aristotelico-tolemaico. Cecchi Paone si scaglia anche contro il card. Roberto Bellarmino, come nella più classica delle leggende nere. Purtroppo ignora che non essendoci ancora prove dirette a supporto dell’eliocentrismo, il card. Bellarmino si dimostrò più scienziato dello stesso Galilei chiedendo semplicemente che la sua teoria venisse esposta come ipotesi, e non certo che egli rinunciasse alle sue convinzioni.  Così Bellarmino scrive in una lettera del 12 aprile 1615 al padre carmelitano Paolo Antonio Foscarini, che appoggiava Galilei :«Dico che il Venerabile Padre e il signor Galileo facciano prudentemente a contentarsi di parlare ‘ex suppositione’ e non ‘assolutamente’, come io ho sempre creduto che abbia parlato il Copernico. (…) Dico che quando ci fusse ‘vera dimostrazione’ che il Sole stia nel centro del mondo e la Terra nel terzo cielo, e che il Sole non circonda la Terra , ma la Terra circonda il Sole, all’hora bisogneria andar con molta consideratione in esplicare le Scritture che paiono contrarie, ed è meglio dire che non le intendiamo, piuttosto che dire che sia falso quello che si dimostra». Nel 1571, cinquant’anni prima, San Bellarmino scriveva nelle sue “Praelectiones Lovanienses”: «Non spetta ai teologi investigare diligentemente queste cose (…) . Possiamo scegliere la spiegazione che ci sembra più conforme alle SS. Scritture (…) . Se però in futuro sarà provato con evidenza che le stelle si muovono con moto del cielo e non per loro conto, allora dovrà vedersi come debbano intendersi le Scritture affinchè non contrastino con una verità acquisita. E’ certo, infatti, che il vero senso della Scrittura non può contrastare con nessun’altra verità sia filosofica come astronomica ».

Bellarmino assunse dunque una posizione ragionevole, mentre Cecchi Paone sostiene che la sfericità della Terra sarebbe stata dimostrata nel 1500-1600 («con l’osservazione»), quando in realtà la questione venne risolta prima di Cristo, dai Greci come Parmenide. Sia Platone che Aristotele davano la cosa per scontata, lo stesse fece Eratostene nel III secolo a.C. (misurando anche con buoni risulatti la circonferenza terrestre), lo stesso fecero i grandi pensatori cristiani come Sant’Agostino (354-430 d.C.), che nel suo “Genesi ad litteram”, scrive: «dato infatti che l’acqua ricopriva ancora tutta la terra, nulla impediva che su una faccia di questa massa sferica d’acqua producesse il giorno la presenza della luce e che nell’altra faccia l’assenza della luce producesse la notte che, a cominciar dalla sera, succedesse sulla faccia dalla quale la luce s’allontanava verso l’altra faccia» (Libro I, 12.25). Anche la “Divina Commedia” di Dante  (composta tra il 1304 e il 1321), la grande opera che il grande saggio Cecchi Paone evidentemente non ha mai letto, descrive chiaramente la Terra come una sfera.

Chiunque nel Medioevo dava per scontato che la Terra fosse sferica, come spiega l’ottima pagina realizzata su Wikipedia e su Sapere.it, dove si sottolinea anche che «la moderna idea (sbagliata) che nel Medioevo si credesse che la Terra fosse piatta è entrata nell’immaginario collettivo nel XIX secolo, frutto delle idee positiviste». Ecco da dove attinge chi si è occupato più di dare compulsivamente la caccia ai presunti omofobi, piuttosto che usare il tempo per documentarsi.

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07/08/2012 19:16
 
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Giordano Bruno & C.

di Rino Cammilleri

"La Chiesa chiede scusa ai pisani" (il resto ve lo risparmio). Così titolava a tutta pagina la locandina di uno degli ultimi numeri del Vernacoliere, pubblicazione scurrile livornese che non perde occasione per irridere i tradizionali nemici di campanile (e poi si parla di unità europea...). 
C'era da aspettarselo: il tormentone dei mea culpa ecclesiastici comincia a rivelarsi una specie di boomerang e a prestare il fianco all'irrisione. Si sperava che tali mea culpa fossero solo un passe partout penitenziale per entrare nel Terzo Millennio, e che l'ingresso nel Duemila li avrebbe fatti cessare. Invece pare proprio di no. Certo, non è simpatico cercar di fare dell'apologetica e sentirsi rispondere (come ormai da tempo invariabilmente mi capita): ma lei vuole smentire il papa? Deus avertat! Figurarsi se voglio insegnare il mestiere al pontefice. Ho solo studiato la storia della Chiesa ed ho visto che i famosi "scheletri nell'armadio" (Inquisizione, crociate, processo di Galileo, etc) non sono tali. Ho visto che le cose, inquadrate nel loro contesto storico e ben sviscerate, sono diverse da come certa polemica storica le ha presentate. Per esempio, quel che i più sanno dell'Inquisizione l'hanno mutuato da romanzi come Il nome della rosa di Umberto Eco e Il pozzo e il pendolodi Edgar Allan Poe. Pochissimi leggono opere serie, di storici, sull'argomento. I mea culpa hanno avuto il merito di aprire il dibattito, e gli storici hanno dovuto squadernare la verità: l'Inquisizione fu molto meno truce di quanto si pensi e sicuramente più mite degli altri tribunali; le crociate non furono affatto una guerra santa ma un pellegrinaggio per necessità armato; Galileo, dal punto di vista teologico (non scientifico) aveva torto.
Ebbene, il papa non ha fatto altro che dire, doverosamente, qualcosa del genere: signori, se i cattolici che io rappresento nel corso della storia vi hanno fatto qualche torto, a nome loro vi chiedo scusa; qua la mano e, anziché estenuarci in sterili polemiche sul passato, guardiamo al futuro. Naturalmente, la mano tesa è rimasta a mezz'aria, perché non risulta sia stata stretta da qualcuno. Non risulta, cioè, che dall'altra parte sia avvenuto un processo analogo: nessuna revisione, nessuna resipiscenza, nessun accoglimento della cordiale proposta papale. La cosiddetta cultura laica non ha mai fatto, ne fa, mea culpa dei preti ghigliottinati dai giacobini, dei cattolici impiccati dagli anglicani, delle vittime del comunismo, dei massacri degli ultimi due secoli. Il ventesimo secolo ha fatto due guerre mondiali, due totalitarismi e il genocidio ebraico. Ha prodotto più morti ammazzati di quanti ne abbia avuti l'intera storia umana precedente. In un solo secolo, la cosiddetta cultura laica. Pentimenti? Macché. Anzi, c'è chi certi sterminii, se potesse, volentieri li addosserebbe, anche questi, alla Chiesa. Noi non ci sentiamo di tacere. E non per spirito di parte, ma per amor di giustizia. E scriviamo libri, articoli, parliamo in pubbliche conferenze ovunque ci invitino. Ma siamo ben consapevoli che la lodevole intenzione del papa è travisata dai media, i quali rubricano tutto sotto la voce "Mea culpa della Chiesa" e se ne lavano le mani. Certo, si potrebbe chiedere agli esperti di comunicazione che consigliano il papa (se ci sono) di tenere maggior conto di quel che verrà filtrato dai giornali. Una cosa, infatti sono le parole effettive del papa, altra quel che di esse arriva sui media e, dunque, alla gente comune. Ma, ripeto, non vogliamo insegnare il mestiere agli altri; solo, rispettosamente, metterli sull'avviso.
Ora ci toccherà prendere in braccio il dossier di Giordano Bruno e, nel nostro piccolo, fornire una chiave di lettura diversa da quanto colerà sui giornali. Cominciamo subito col dire che l'affaire "Giordano Bruno" fu un fatto tutto interno alla Chiesa, e che la cultura laica o del "libero pensiero" non c'entrava affatto. Giordano Bruno era un prete domenicano e la Chiesa aveva tutto il diritto di chiedergli conto di quel che andava predicando a destra e a manca. Le idee, infatti non sono armi spuntate e innocue: un solo libro può fare molti danni (pensiamo a Marx, per esempio). Certo, alla mentalità odierna può sembrare eccessivo perseguire qualcuno per quel che predica, ma alla fine del Cinquecento non si pensava così. Quell'epoca aveva visto sanguinosissime guerre di religione, tutte scatenate dalle prediche di monaci come Lutero e preti come Calvino. Il dissenso religioso era, insomma, pura dinamite a quell'epoca, e la Chiesa era costretta a serrare i suoi ranghi e mantenere stretta vigilanza sui suoi uomini. In più, il Bruno aveva un'accusa di tentato omicidio sul capo, e c'è chi giura che abbia venduto molti cattolici inglesi ai tribunali di Elisabetta I. La religione che predicava non era nemmeno cristiana, ma magico-egizia, un guazzabuglio di teorie simil-New Age infarcito di orribili bestemmie su Cristo, gli Apostoli, la Madonna. Neanche Venezia, tradizionale rifugio di eretici, lo volle: arrestato e consegnato a Roma, per otto lunghi anni lo si scongiurò di rientrare nell'ovile. Il suo processo, reso interminabile dalle sue abiure e controabiure, fu quanto di più giuridicamente corretto si potesse trovare a quel tempo. La fama del Bruno cominciò solo nell'800, all'epoca dell'anticlericalismo liberal-massonico più acre. Prima, quasi nessuno sapeva chi fosse.

da "Il Timone" - 

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09/08/2012 22:18
 
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La guerra civile spagnola,
Francisco Franco e la Chiesa cattolica

Davanti alle persecuzioni si nota spesso che i laicisti più militanti usano due pesi e due misure: sono i primi a denunciare le repressioni effettuate dai cristiani contro gli appartenenti alle altre religioni come ai tempi dell’inquisizione, delle crociate o della persecuzione dei pagani; ma sono pure i primi a minimizzare o, in certi casi negare, i crimini quando le vittime delle persecuzioni da parte di altri, sono cristiane.

Uno di questi casi riguarda ad esempio, la guerra civile spagnola. Per parecchio tempo infatti la guerra di Spagna è stata avvolta dal mito di un generale che tentava di sovvertire la repubblica legittimamente eletta e di una Chiesa che si mostrò fin da subito accondiscendente nei suoi confronti. La persecuzione che subì nei territori dominati dai repubblicani, fu quindi dovuta al suo essersi schierata a fianco dei ribelli. La verità storica, però, è alquanto diversa.

Già prima dello scoppio del conflitto, la Chiesa fu sottoposta a una vera e propria persecuzione. Infatti, dalla vittoria del Fronte Popolare del 16 febbraio del ’36 allo scoppio della rivolta avvenuta a luglio, centinaia di chiese ed edifici appartenenti alla Chiesa vennerodistrutti o confiscati, in alcune provincie venne vietata o limitata la celebrazione del culto, ad esempio, proibendo il suono delle campane o le processioni, furono frequenti gli episodi di profanazione dell’Eucarestia, diciassette sacerdoti vennero assassinati e molti altri aggrediti. Quando avvenne la sollevazione, la Chiesa non prese parte ”all’alziamento”. Contrariamente al mito, Francisco Franco non intervenne per difendere i cattolici. Nei programmi iniziali dei ribelli non vi era alcuna motivazione religiosa. Il comandante della Giunta di Difesa Nazionale, Miguel Cabanellas, era massone e lo stesso Francisco Franco non aveva dato segni di fervore religioso tanto che uno dei suoi slogan in Marocco era “niente donne, niente messe”. Il generale cercava, inoltre, il sostegno della Germania nazista, la cui ideologia verrà condannata dal papa Pio XI nell’enciclica Mit brennender sorge e la cui lettura in Spagna verrà proibita dal caudillo (Bartolomé Bennasar, La guerra di Spagna, Torino 2006 pp. 309-315).

Al contrario, la Chiesa manifestò diffidenza verso la rivolta: l’incaricato degli affari della Santa Sede a Madrid, monsignor Silvio Sericano, espresse il 21 luglio «il veemente desiderio che la normalità (fosse) ristabilita al più presto» e durante la guerra il Vaticano continuò a riconoscere la repubblica sebbene nessuna delle due parti in lotta avesse una rappresentanza e negò l’accredito all’inviato dei nazionalisti (cosa che fece infastidire molto Franco che tergiversò non poco prima di annullare la legislazione anticlericale repubblicana). Tuttavia, fin da subito, si susseguirono violenze anticlericali persino peggiori di quelle commesse dai giacobini durante la rivoluzione francese: nel mese di luglio furono uccisi 861 sacerdoti, in agosto 2077,  le morti continuarono in autunno seppur in numero inferiore e nel 1937 calarono sensibilmente senza mai però interrompersi del tutto. Inoltre, venne bandita ogni forma di culto e le chiese furono distrutte o trasformate in stalle, magazzini o rifugi. Questa persecuzione non fu “legale”, ma venne effettuata da “comités revolucionarios” sostenuti dalle forze politiche ossia dagli anarchici, dai comunisti e dai socialisti rivoluzionari (cfr. A. Riccardi, “Il secolo del martirio”, Milano 2000 pp.335-347).

Bisogna aggiungere che il governo repubblicano fece ben poco per fermare le violenze e anzi, si rifiutò di condannare pubblicamente le atrocità anticlericali nonostante i ripetuti appelli vaticani. Tardivamente, il governo nominerà il ministro cattolico basco Manuel de Irujo che propose il ripristino della libertà di culto, ma la sua proposta incontrò laresistenza dei suoi colleghi e la diffidenza di alcuni settori ecclesiastici che vi scorsero una manovra propagandistica (Alfonso Botti, Una indagine mancata sulle ragioni dell’odio, “il Manifesto” 28 ottobre 2007).

Anche di fronte a queste atrocità, il Vaticano  mostrò cautela nell’avvicinarsi al regime dei nazionalisti e rifiutò la richiesta di Franco di condannare apertamente i baschi per l’appoggio alla repubblica, al contrario protestò per l’uccisione di preti baschi da parte delle sue truppe e si disse afflitto per le possibili derive franchiste (intendendo con ciò probabilmente il suo avvicinamento a Hitler, cfr. H. Thomas, Storia della guerra civile spagnola, Torino 1963 pp. 380-381). Pur essendo cattolici, i baschi si erano infatti schierati con la repubblica, che aveva concesso loro uno statuto di autonomia e ciò permise di evitare nei loro territori le violenze antireligiose che si ebbero nelle altre zone dominate dai repubblicani. Il Vaticano cercherà quindi di mediare una pace separata con il governo basco, che pur di mantenere l’autonomia ed evitare i massacri derivanti dalla sconfitta, era pronto a consegnare la corona del loro stato ai Savoia. I servizi segreti repubblicani, però, intercettarono una lettera del segretario di stato Pacelli ai membri del governo basco in cui si accennava alla nascita di un loro stato autonomo e indipendente. La vicenda raggiunse così la stampa internazionale e ne venne a conoscenza lo stesso Franco e il progetto naufragò (A. Petacco, Viva la muerte!, Milano 2006 pp. 154-155).

In risposta alle violenze contro il clero, sempre più preti e vescovi cominciarono aschierarsi dalla parte dei ribelli, spesso assumendo toni da crociata. Il documento più importante a tal proposito fu la lettera collettiva pubblicata dalla quasi totalità dei vescovi il 1 luglio del 1937. In essa si descrivevano i soprusi e le discriminazioni subite dalla Chiesa fin dal 1931, si denunciava il pericolo di un complotto volto a portare al potere il comunismo (che si scoprì, in realtà, basato su documenti falsi anche se il pericolo di una rivoluzione comunista era tutt’altro che irrealistico),  confutava l’idea che la Chiesa avesse attirato su di sé la persecuzione e assicurava il proprio appoggio ai nazionalisti. Anche il Vaticano, seppur lontano dal concedere un sostegno incondizionato a Franco cominciò a correggere la propria linea di condotta quando le sorti della guerra cominciarono a volgersi in favore dei nazionalisti fino a riconoscere il loro governo nel maggio del ’38, dopo che  ebbe revocato la legislazione anticlericale e dopo che già molte nazioni avevano ormai riconosciuto il nuovo stato. La Santa Sede non diede comunque un’approvazione assoluta perché tra i membri più estremisti della Falange vi erano non pochi anticlericali e non cessò la sua opera a favore dei perseguitati per alleviare le sofferenze della guerra (domande di grazia per i prigionieri, richiesta di sospendere i bombardamenti nelle città, inviti alla tregua, ecc.). Interventi che molte volte rimassero inascoltati. Lo stesso discorso di Pio XII dell’aprile del ’39 in cui si congratulava per la vittoria, venne epurato perché contente passi in cui si auspicava clemenza per i vinti. (M. Burleigh, In nome di Dio, Bergamo 2007 pp. 362-363).

Non è inesatto, in definitiva, affermare che fu la politica repubblicana ad alienarsi la Chiesa tollerando (o persino incoraggiando) una feroce persecuzione anticristiana. Politica, che oltre ad essere criminale, fu anche controproducente perché permise al caudillo di dare una giustificazione morale alla rivolta e inimicò la massa dei cattolici che cominciò a vedere nella vittoria dei ribelli la sola possibilità di salvezza. Come ebbe infatti ad osservare all’epoca il prete catalano Carles Cardò«Uno dei partiti bellici, ci ammazza; l’altro ci difende (…) Chi può stupirsi che quei perseguitati, che sfuggirono per poco alla morte, scegliessero l’altro campo?» 

Mattia Ferrari

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23/09/2012 23:41
 
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Costantino e l’Editto di Milano:
l’inizio della libertà religiosa

 

di Marco Fasol*
*professore di storia e filosofia

 

Ci stiamo avvicinando all’anniversario dell’Editto di Milanopromulgato dall’Imperatore Costantino nel 313 d. C. , e la stampa nazionale inizia ad occuparsi di questo evento veramente decisivo per la storia occidentale. Ho letto con interesse, al riguardo, l’articolo Perché Costantino scelse il dio dei cristiani?  Pubblicato su Il sussidiario net  del 26 agosto, a firma di Alfredo Valvo. Ricordo i contenuti assai diversi di tanta stampa laicista e di romanzi fuorvianti come il Codice da Vinci di Dan Brown. In quest’ultimo thriller, di successo mondiale, Costantino era presentato addirittura come il “responsabile” della divinizzazione di Gesù Cristo! Un’evidente deformazione ideologica che ci lascia intuire di quanta scarsa simpatia goda l’Imperatore Costantino agli occhi della cultura laicista. Cerchiamo invece di esporre con uno sguardo più oggettivo il grande contributo dell’Editto costantiniano, una vera pietra miliare per l’Occidente.

Semplifico la questione per rendere in modo più efficace la novità dell’Editto. Qual era il rapporto tra religione e politica nell’epoca precedente? Si può dire che in tutte le civiltà antiche vi era un legame molto stretto tra questi due ambiti della vita umana. Nell’antica Roma l’Imperatore era Pontifex Maximus e rappresentava dunque la massima autorità religiosa, oltre che ovviamente la massima autorità politica. Se noi guardiamo retrospettivamente la storia romana ritroviamo lo stesso schema. E’ impensabile nella civiltà romana una religione autonoma e indipendente dall’autorità politica. Lo storicoTito Livio ha fotografato bene la strutturale dipendenza della religione dal potere politico, definendola instrumentum regni. In altre parole l’Imperatore promuoveva ovunque il culto della sua persona nella consapevolezza che la sua divinizzazione costituiva un supporto importantissimo per imporre l’obbedienza ai suoi sudditi. Caio Giulio Cesare è stato il primo imperatore ad essere proclamato divino, dopo la morte. Poi, a partire daOttaviano Augusto è diventato un titolo immancabile la divinità imperiale. Il divus Augustus, il divino Augusto era il titolo ricorrente in tutte le festività, in tutte le celebrazioni dei giochi imperiali, in tutte le città dell’Impero.

Il mito fondante la civiltà romana, da Augusto in poi, era quello della coppia divina di Marte – Venere, le cui statue venivano esibite in continuazione in tutte le occasioni di festività. E’ interessante notare, da un punto di vista storico, come tutte le grandi città d’Europa, del nord Africa e dell’Asia Minore avessero grandiosi anfiteatri che celebravano questo culto dell’Imperatore con grandiosi e terribili spettacoli gladiatori. Il Colosseo conteneva cinquantamila spettatori, l’Arena di Verona più di ventimila, così l’Arena di Arles e via via in tutto l’Impero. Lo spettacolo per eccellenza in tutti questi anfiteatri era quello che celebrava la divinizzazione dell’imperatore.  La coppia divina era sempre esibita accanto alla statua dell’Imperatore. E perché i cittadini dell’impero non si dimenticassero facilmente di questa fusione tra religione e politica, persino nelle monete era incisa l’immagine dell’imperatore con il titolo divino: Divus Augustus. Era questa l’iscrizione che è stata mostrata a Cristo nella celebre scena del tributo. Così, ogni volta in cui un cittadino dell’impero maneggiava una moneta, si ricordava del suo divino Augusto.

Se questa era la situazione, è facile immaginare anche il motivo forse principale delle persecuzioni ai cristiani. Naturalmente non pretendo di fare un’analisi storica puntuale e dettagliata, che del resto è stata fatta da eminenti storici; quello che mi interessa sottolineare è l’evidente incompatibilità tra il culto dell’Imperatore e il culto del Signore Risorto. Ovviamente la nuova religione non poteva accettare la sudditanza alla politica romana che era diventata una religione. E la politica romana non poteva accettare comereligio licita una fede che rifiutava la divinità del capo politico.

Dopo quasi tre secoli di persecuzioni, finalmente con l’Editto di Milano, è cambiata per sempre la storia e la civiltà occidentale. La politica ha rinunciato ad essere pervasiva e totalizzante come lo era sempre stata, non solo nella civiltà romana, ma anche in quasi tutte le civiltà antiche, soprattutto in quelle orientali.  Riconoscendo la libertà di culto per i cristiani, l’Imperatore Costantino rinunciava alla pretesa di essere Pontifex Maximusrinunciava al monopolio della religione, oltre che della politica.  E’ a partire da questa data che possiamo far iniziare dunque il diritto umano della libertà religiosa, riconosciuto solennemente nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (1948) ed ancor più solennemente affermato nella Dichiarazione Dignitatis humanae (1965) del Concilio Vaticano II.

Come si vede siamo tutti debitori di questo importante Editto di Milano che ha liberato la storia occidentale dalla soffocante tirannia della politica ideologica che presumeva di occupare tutti gli spazi della vita umana.  Tutte le volte in cui il significato etico e religioso di questo Editto è stato disatteso, abbiamo visto ripiombare la storia nelle tragedie dei totalitarismi, vere religioni della politica. Tutte le volte in cui è risuonata la voce della libertà religiosa si è rinnovata l’attualità di un Editto che ha cambiato la nostra storia. E’ interessante ricordare che questa svolta ha avuto come protagonista un Imperatore che ha concluso la sua esistenza facendosi battezzare. E’ forse per questo che Costantino non gode di grande simpatia da parte laicista? Forse c’è anche un altro motivo di questa scarsa simpatia: Costantino ha introdotto per primo l’obbligo della celebrazione pubblica della domenica. Così è entrata nell’Impero e si è diffusa in tutto il mondo, la scansione dei sette giorni settimanali e la celebrazione pubblica della dies dominica, in ricordo della prima domenica della storia: la Pasqua di risurrezione.

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11/10/2012 17:28
 
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Jozef Tiso, la deportazione degli ebrei
e le proteste della Chiesa cattolica

Molto spesso chi attacca la Chiesa usa una singolare tattica: ammette che alcuni uomini del clero hanno avuto un atteggiamento eticamente corretto, ma afferma che in realtà queste persone furono delle mosche bianche che hanno agito contro la loro stessa gerarchia. Al contrario, porta spesso l’esempio di preti e vescovi che hanno compiuto misfatti per dimostrare la criminalità della Chiesa presa nel suo insieme. Ad esempio, taluni portano il caso del presidente slovacco, il presbitero Jozef Tiso, che durante la seconda guerra mondiale fu a capo di un regime responsabile della deportazione di migliaia di ebrei, per dimostrare la complicità della Chiesa nell’Olocausto. I fatti però smentiscono questa teoria.

Quando Hitler invase la Cecolosvacchia impose ai slovacchi un protettorato e alla guida del movimento nazionale s’impose appunto Jozef Tiso. Il suo ruolo politico fu malvisto dalla Santa Sede perché riteneva inopportuno un simile coinvolgimento del clero in uno stato affiliato alla Germania nazista e il Vaticano rifiutò quindi di sottoscrivere il concordatoche Tiso, per rafforzare il regime, propose alla Santa Sede. Al Papa infatti non sfuggiva il fatto che la Slovacchia si trovasse in un evidente condizione di subalternità politica verso la Germania e che questa sarebbe potuta ben presto diventare anche ideologica.

Non mancava però, la convinzione che Tiso agisse in buona fede e l’ambasciatore della Santa Sede in Slovacchia, Giuseppe Burzio annottò che “egli [Tiso] è convinto o almeno spera che, rimanendo al potere, riesca a salvare il salvabile e che l’applicazione dei metodi nazionalsocialisti non sarà portata alle estreme conseguenze”. (G. Miccoli, I dilemmi e i silenzi di Pio XII, Milano 2007 p. 387). Questa visione però cominciò a cambiare quando il regime slovacco cominciò ad introdurre la legislazione razziale ad imitazione dei nazisti: il 9 settembre 1941 venne emanato, sotto forma di un’ordinanza governativa, il “codice ebraico” basato sul modello delle leggi di Norimberga. Questo passodispiacque molto alla Santa Sede che decise di declassare Tiso togliendoli il titolo di “monsignore”. (M. Phayer, Il papa e il diavolo , Roma 2008 p. 29).

La situazione però era destinata a peggiorare perché nel 1942 la Slovacchia cominciò a deportare gli ebrei. Il regime infatti concluse un accordo con i tedeschi nella quale s’impegnava al versamento di cinquecento marchi per coprire il costo di ogni singolo deportato a patto che i nazisti non reclamassero le loro proprietà. La notizia delle deportazioni allarmò il Vaticano che intervenne subito per cercare di fermarle: il 14 marzo, il segretario di stato Luigi Maglione convocò il rappresentate slovacco presso la Santa Sede, Karol Sidor, per comunicargli che “non poteva credere che un paese che sosteneva d’ispirarsi ai principi cristiani avesse preso misure così gravi che avrebbero avuto effetti terribili su molte famiglie”. Lo stesso Pio XII intimò al governo di prendere immediatamente provvedimenti per fermare le deportazioni. Maglione incaricò Burzio di incontrare il ministro degli interni, Vojetch Tuka per cercare di persuaderlo a porvi fine e commentò che nel governo slovacco vi erano due pazzi“l’uno Tuka che è l’esecutore e l’altro Tiso che permette che accadono”.

Anche i vescovi fecero circolare una lettera pastorale nella quale, pur giustificando alcune misure di discriminazione antisemita, specificavano che “gli ebrei sono gente come noi e dunque devono essere trattati umanamente”. I rappresentati slovacchi, pur dichiarando la loro professione di cattolicesimo, disobbedirono agli ordini vaticani e continuarono a trasferire gli ebrei. Tuttavia, le insistenti proteste del Vaticano unite al malumore della popolazione contraria alle deportazioni, indussero il governo a porvi fine. Si trattava solo di una proroga dato che le guardie Hlinka (i fascisti slovacchi) erano intenzionate a riprenderle: “Verrà marzo e poi verrà anche aprile e i trasporti partiranno ancora” dichiarò il ministro degli Esteri Sano Mach. Ciò però non avvenne perché i vescovi e i rappresentati vaticani intervennero efficacemente affinché questo non accadesse. Tra i molti interventi, Maglione inviò una nota al governo spiegando che “la Santa Sede rischierebbe di sottrarsi al suo compito divino se non deplorasse le disposizioni e le misure cheoffendono gravemente i diritti naturali per la semplice ragione che queste persone appartengono ad una determinata razza.” (M. Burleigh, In nome di Dio, Bergamo 2007 pp. 301-302).

Ciò permise che per un breve periodo di tempo la Slovacchia divenne paradossalmente un rifugio sicuro per gli ebrei polacchi in fuga dallo sterminio. Questa situazione durerà fino all’autunno del 1944 ossia quando dopo un’insurrezione, i tedeschi assunsero il diretto controllo del territorio iniziando a deportare tutti gli ebrei che fino ad ora erano riusciti a scampare all’Olocausto. Anche stavolta la Chiesa intervenne sebbene vi fosse ben poco che si potesse fare: Pio XII diede istruzioni al suo diplomatico di recarsi da Tiso e riferirgli il dovere di aiutare quelle persone colpite “a motivo della loro nazionalità o stirpe”facendo leva anche sui suoi doveri di sacerdote e sul fatto che le ingiustizie commesse sotto il suo governo avrebbero arrecato danno all’immagine del suo paese e alla stessa Chiesa. Tiso fu però irremovibile e giustificò le deportazioni tedesche come misura di sicurezza dello stato (sic!). La Santa Sede deciderà dunque di spostare le sue richiesteverso la Legazione slovacca che si era mostrata profondamente contrariata di fronte ai soprusi effettuati contro gli ebrei. (Alessandro Duce, La Santa Sede e la questione ebraica, Roma 2006 pp. 337-339).

La Chiesa non diede quindi la sua benedizione al governo di Tiso e anzi, fu per essa una fonte di grave imbarazzo tanto che monsignor Domenico Tardini si rammaricherà per il fatto che il presidente della Slovacchia fosse un prelato perché mentre tutti potevano capire che la Santa Sede non aveva il potere di fermare Hitler, difficilmente si poteva intuire che la Santa Sede non fosse in grado neppure di richiamare un prete. Che il papa disapprovasse Tiso lo si poté comunque comprendere all’epoca del suo processo: quando il prelato, fuggito in Germania, fu ricondotto in patria per essere processato e impiccato, la Santa Sede ne prese le distanze e Radio Vaticana commentò negativamente il suo operato osservando che “ci sono leggi a cui bisogna obbedire, non importa quanto si ami il proprio paese”. (M. Phayer, Il papa e il diavolo , Roma 2008 p. 63).

Mattia Ferrari

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05/11/2012 19:52
 
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Finalmente la verità comincia a farsi strada sul caso Galileo
[Modificato da Credente 05/11/2012 19:52]
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25/04/2013 22:30
 
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La verità sulle Case Magdalene, altro che Peter Mullan!

Magdalene SistersNel 2002 è uscito nelle sale cinematografiche il filmMagdalene, scritto e diretto dal leader marxista Peter Mullan, vincitore del Leone d’oro.

La pellicola intende denunciare i presunti soprusi subiti da ragazze delinquenti o prostitute accolte nelle Case Magdalene nel’800-900, gestite da religiose cattoliche, per essere rieducate secondo i metodi d’uso allora attraverso il lavoro manuale come lavandaie (da qui il nome di Magdalene Laundries). E’ stata l’occasione per l’ennesimo attacco alla Chiesa cattolica, ovviamente organizzato in modo ideologico attraverso lo snaturamento dei fatti, la generalizzazione e le falsità.

D’obbligo, per il regista marxista Mullan, la sua premura a definirsi “cattolico” per evitare qualsiasi ombra di sospetto, ma a cui nessuno ha ovviamente creduto. La suainattendibilità è emersa chiaramente quando ha affermato«sentivo il bisogno di pormi domande sulla natura dell’oppressione di una Chiesa che non differisce troppo dai talebani, che istiga alla crudeltà anziché alla compassione, trascinando la società in una spirale di follia collettiva. Mi aspetto polemiche in Irlanda perché la ferita è ancora troppo aperta e in Italia perché c’è il Papa. Ma la Chiesa, se vuol sopravvivere, deve riconoscere le sue colpe».

Mullan parla di fantomatiche “colpe della Chiesa”, ma -come ha spiegato il laico Brendan O’Neill su The Telegraph- il McAleese Report avviato per analizzare i fatti, non ha individuato neanche un caso di abuso sessuale da parte delle suore, ma soltanto alcuni casi circoscritti di punizioni corporali, sulla linea della prassi nelle scuole anglosassoni degli anni ’60-’80.

Ad affrontare tutta la questione ci ha pensato Francesco Agnoli nel libro “Chiesa e pedofilia. Colpe vere e presunte” (Cantagalli 2011). Abbiamo riportato la sua chiarificatrice analisi storica in un dossier UCCR specifico, vi si può accedere cliccando qui sotto:

 

La verità sulle Case Magdalene in Irlanda

 

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15/05/2013 15:54
 
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Il tollerante illuminismo e il genocidio vandeano

VandeaCiascuna nazione pare avere un argomento storico riguardante il proprio passato del quale è più o meno tacitamente scomodo parlare. Se in Italia hanno causato un acceso dibattito i libri che trattavano dei crimini compiuti nel dopoguerra da alcuni partigiani, in Francia invece l’argomento tabù sembra essere la Vandea.

Fino a pochi anni fa, la Vandea era vista in maniera profondamente negativa come sinonimo di cattolico reazionario, di servo dei nobili e nemico della rivoluzione, ma la cosiddetta “scuola revisionista” ha permesso di squarciare quel velo di silenzio che la storiografia ufficiale ha lungo tramandato sui sacrifici subiti da quel popolo.

La loro storia è ormai nota: nel marzo 1793 la regione dell’ovest si sollevò quasi simultaneamente e i ribelli riuscirono ad occupare gran parte del territorio grazie anche alla pessima organizzazione delle truppe rivoluzionarie. I contadini che si ribellarono al governo di Parigi non erano certamente fautori dell’ancien regime e la loro ostilità verso la repubblica nacque a causa del malcontento provocato dall’aggravarsi della pressione fiscale, dall’ostilità verso la borghesia cittadina (unica beneficiaria delle terre nazionalizzate), dalla persecuzione del clero refrattario considerata particolarmente odiosa da una popolazione profondamente religiosa e dalla coscrizione obbligatoria di 300.000 uomini. Una particolarità di questa insurrezione è che essa non venne programmata dai nobili, che anzi ne furono presi alla sprovvista e la giudicarono persino prematura, ma fu marcatamente popolare. In un secondo momento alcuni nobili si metteranno a capo delle bande degli insorti, ma altri capi rimasero d’estrazione “plebea” come il guardiacaccia Stofflet o il venditore ambulante Chatelineu.

In una prima fase la guerra andò a vantaggio dei vandeani che costituirono un’enorme minaccia per i repubblicani anche perché erano riforniti dagli emigrati e dagli inglesi, tuttavia a svantaggio degli insorti andarono le divisioni interne (alcuni volevano marciare sulla Bretagna, mentre altri su Parigi) e la difficoltà di costruire un esercito permanente ( i contadini si riunivano per combattere gli “azzurri”, ma si disperdevano dopo la fine della battaglia), così la guerra nei mesi seguenti si stabilizzò fino alla vittoria dei rivoluzionarinel novembre 1793. Vi erano ancora delle bande che scorrazzavano nella regione, ma come dissero già all’epoca alcuni deputati, la guerra di Vandea era “politicamente finita”. I rivoluzionari però non erano intenzionati ad attuare una politica di pacificazione, ma al contrario volevano trasformare la Vandea, secondo le parole di Robespierre, in un “cimitero nazionale”.

Secondo lo storico Reynald Secher, il piano di sterminio si articolò in tre fasi: nella legge del 1 agosto quando la Convenzione decretò di fare terra bruciata del territorio vandeano ; il 1 ottobre quando si decise l’eliminazione fisica degli abitanti del territorio insorti, in particolare di donne in quanto “solchi riproduttori” e di bambini perché “futuri briganti” e infine la legge del 7 novembre che toglieva il nome alla Vandea con quello di “Dipartimento Vendicato”. A causa di questi provvedimenti nei mesi successivi perirono all’incirca 117.000 persone su una popolazione di circa 800.000 abitanti e furono distrutti circa diecimila casolari su cinquantamila (Dal genocidio vandeano al memoricidio).

Le uccisioni avvennero in maniera brutale con tutti i modi: ad Anger si ricorsero alle fucilazioni sommarie, a Nantes invece agli annegamenti notturni, mentre in altre zone si fecero dei falò nella quale si buttarono le persone ancora vive. Questi massacri avvenneroin maniera indiscriminata praticamente in tutte le regioni che avevano osato insorgere: il famoso scrittore Aleksandr Solzenicyn ha ricordato il massacro avvenuto a Luc-sur-Boulogne una piccola località dove il generale Cordelier fece uccidere in soli 4 giorni 564 abitanti tra cui 110 bambini al di sotto dei sette anni. Nonostante ciò la Vandea non venne domata e anzi i massacri indiscriminati operati dalle “colonne infernali” del maresciallo Turreau avevano ingrossato le fila dei ribelli (più di venticinquemila contadini si erano uniti alle bande degli insorti in seguito alle devastazioni operate), così il Comitato di Salute Pubblica in seguito all’avvento dei termidoriani decise di ricorrere alla politica di pacificazione nella quale promettevano ai ribelli di rispettare i loro beni e la loro fede.

Questo provvedimento consentirà anche la riapertura delle chiese in tutta la Francia e la libertà di culto per i preti refrattari e costituzionali seppur soggette a molte discriminazioni (le chiese rimanevano proprietà dei comuni che potevano utilizzare per le cerimonie decanenarie o per le adunanze elettorali, vi era il divieto di esporre simboli religiosi per strada come quello di fare processioni, indossare l’abito talare, chiamare i fedeli con il suo suono delle campane, ecc.). Come affermò anche uno storico filorivoluzionario comeAlbert Mathiez«[I cattolici] non ottenevano una vera libertà; la tolleranza veniva gettata loro come un’elemosina». La pace però durerà pochi mesi e la Vandea continuò ad essere per la Rivoluzione una vera e propria spina nel fianco (delle armate terranno impegnato Napoleone durante la battaglia di Waterloo).

La Vandea è stata oggetto di molte dispute in parecchi campi, ivi compreso quello della Chiesa: mentre Padre Giuseppe della Rosa afferma che non bisogna fare della Vandea “il simbolo dell’intero cristianesimo”, l’arcivescovo di Bologna, Giacomo Biffi vede invece nelle stragi operate in quel secolo “la premessa e le stragi che hanno insanguinato il XX secolo”. Lo stesso Giovanni Paolo II beatificò 164 martiri vandeani, ma trascurò il senso politico dell’insurrezione e condannò i massacri di cui i vandeani furono responsabili.

Per gli storici invece la disputa riguarda il termine di genocidio: mentre alcuni comeReynald Secher o Pierre Channu non esitano ad attribuire questo termine ai massacri che sono stati operati in Vandea; altri invece come Alain Gerard o Jean-Clément Martinlo rifiutano sottolineando il fatto che i vandeani non furono uccisi in quanto tali, ma perché i rivoluzionari non potevano tollerare che qualcuno si potesse ribellare al loro governo. (Giulio Meotti, Il massacro dei lumi). Nessuno però nega che quello subito in Vandea fu un massacro di proporzioni immani che sta a dimostrare come anche nel nome della libertà si possono commettere i crimini più atroci.

Mattia Ferrari

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03/09/2013 11:50
 
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Terra piatta? Ius primae noctis?
Falsità contro il medioevo

MedioevoLentamente tutte le bufale sui cosiddetti “secoli bui”, ovvero ilMedioevo, stanno crollando grazie all’onestà intellettuale di molti storici. Per quanto riguarda l‘”Inquisizione medioevale“, ad esempio, è stato dimostrato che in realtà il fenomeno si diffuse nel Rinascimento e maggiormente in ambito protestante anzi, lo storico Christopher Blackha osservato che quella romana era decisamente “meno oscura di quanto si pensi”, anzi fu più umana e con poche condanne.

In questi giorni ha voluto smontare ancora una volta la leggenda dei “secoli bui” lo storico Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale. Scrivendo su “La Stampa” ha osservato accennando a George Orwell: «Al popolo si insegna che nel brutto, lontano passato esistevano creature malvage chiamate i capitalisti, che opprimevano il popolo con le pretese più infami. Il procedimento immaginato da Orwell, creare un’immagine tenebrosa del passato allo scopo di esaltare il presente, è stato praticato davvero in Europa, dal Rinascimento fino all’Ottocento: vittima designata, il Medioevo. Umanisti e artisti rinascimentali orgogliosi della loro nuova cultura, riformatori del XVIII secolo in lotta contro il feudalesimo, positivisti dell’Ottocento intenti a celebrare il progresso e combattere la superstizione, si sono trovati tutti d’accordo a dipingere con le tinte più nere il millennio medievale. Sono nate così alcune istantanee, chiamiamole così, che tutti visualizziamo facilmente, tanto sono inseparabili dall’immagine popolare del Medioevo».

Sono molte queste leggende e il prof. Barbero le affronta smontandole: «Le folle atterrite che riempiono le chiese negli ultimi giorni prima dell’anno Mille, nella certezza che il mondo sta per finire; i dotti, in realtà ignorantissimi, che credono che la Terra sia piatta, o comunque non osano insegnare il contrario per paura di essere puniti dalla Chiesa; e naturalmente lo ius primae noctis evocato da Orwell, la legge infame per cui il signore del villaggio ha diritto alla verginità di tutte le ragazze, e biecamente riscuote quel che gli è dovuto la sera di ogni festa di nozze». Niente di tutto questo è vero e gli storici lo sanno. Anzi, lo storico, ha spiegato Babero,«si sente un po’ un guastafeste quando, dopo lunghe e accurate verifiche, gli tocca sentenziare che tutte queste immagini così pittoresche sono false, e che nulla di tutto ciò è mai accaduto davvero. Eppure è proprio così: se si va a controllare si scopre, con non poco stupore, che di queste cose nel Medioevo non si parlava affatto, e che sono tutte state inventate dopo».

Per quanto riguarda il presunto terrore della fine del mondo nell’anno Mille, secondo alcuni teorizzato dalla Chiesa, occorre sottolineare che «il 31 dicembre 999 il papa Silvestro II confermava i privilegi di un monastero per molti anni a venire a patto che in futuro ogni abate, quando veniva eletto dai monaci, si facesse consacrare dal Papa». Lo si evince dal foglio dell’Apocalisse di San Severo, manoscritto francese dell’XI secolo…è evidente che il Pontefice non aveva affatto in mente che il mondo stesse per finire.

Vogliamo parlare della terra piattaSecondo il poco scientifico Alessandro Cecchi Paone fu Galileo Galilei a dimostrare che aveva una forma sferica, attirandosi così le ire della Chiesa. Eppure chiunque nel Medioevo dava per scontato che la Terra fosse sferica, proprio come oggi, tant’è che «ogni imperatore medievale si faceva raffigurare con in mano il simbolo del suo potere sul mondo: un globo sormontato dalla croce» ha commentato lo storico.

Ed infine, ultimo esempio, si parla della menzogna dello “ius primae noctis” (diritto della prima notte), la legge per cui ogni feudatario aveva il diritto di trascorre, in occasione del matrimonio di un proprio servo della gleba, la prima notte di nozze con la sposa. Eppure non vi sono testimonianze di una sua diffusione nell’Europa medievale e le fonti storiche non rintracciano direttive né da parte delle autorità laiche (re, imperatori), né da parte di quelle ecclesiastiche. Anche per questo, ha spiegato lo storico Barbero, «non lo incontriamo mai, se lo cerchiamo dove ci aspetteremmo di trovarlo. Il Medioevo ci ha lasciato un’infinità di novelle come quelle del Boccaccio, in cui si parla di sesso con grande franchezza», eppure «non c’è nemmeno un autore medievale che abbia pensato di trarre profitto da uno spunto così succulento come lo ius primae noctis, di cui oggi sceneggiatori del cinema e autori di romanzi storici si servono continuamente». Si è cominciato a parlarne dopo il ’500, in pieno Rinascimento, «secondo uno schema preciso e che è sempre il medesimo: come qualcosa che capitava ai brutti vecchi tempi [...] nella fantasia di eruditi creduloni che descrivono un passato leggendario, che comincia a circolare questa storia incredibile: quel passato era così barbaro che i signori pretendevano addirittura di godersi le spose dei loro servi nella notte delle nozze».

Da queste leggende è difficile sbarazzarsi, «non importa se da cent’anni nessuno storico serio le ripete più, e se grandi studiosi come Jacques Le Goff hanno insistito tutta la vita a parlare della luce del Medioevo», ha concluso laconico lo storico Barbero. «Nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora».

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14/09/2013 18:24
 
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La Chiesa e la pace nel Medioevo

Francesco Solimena 
 
di Francesco Agnoli*
*scrittore e saggista

 
 

I secoli in cui il cristianesimo si afferma nell’area del decadente impero romano sono segnati dalle continue e devastanti invasioni degli Unni, dei musulmani, degli ungari e dei popoli germanici in particolare (Goti, Visigoti, Longobardi, Sassoni, Vichinghi…). Sono, questi ultimi, popoli che vivono di guerra, le cui divinità sono guerresche, i cui valori sono valori guerreschi. Popoli che non è eccessivo definire selvaggi, violenti, brutali. “La civiltà sorta dalle grandi migrazioni”, ha scritto G. Duby, “era una civiltà di guerra e di aggressione”.

In questa situazione sempre in fermento, in cui le guerre si alternano alle carestie, ai saccheggi, alla paura e alla violenza, lungo tutto l’Alto Medioevo (476-1000), uomini di Chiesa si trovano spesso a scongiurare conflitti inutili e terribili, cercando di promuovere una visione pacifica del rapporto tra i popoli.

“Uno degli effetti più vistosi delle migrazioni germaniche e della conseguente disintegrazione delle strutture dell’Impero nelle province occidentali”, scrive il Moisset, “è la crescita dell’importanza del vescovo, che diventa figura di primo piano sulla scena politica. Spesso discendente da nobile famiglia, egli possiede uno status sociale che gli permette di dirigere la resistenza o di intavolare negoziati con gli invasori; il vescovo è il defensor civitatis, l’ultimo baluardo a difesa delle popolazioni e del diritto. Nel 451 Aniano difende Orléans (Aurelianum) contro gli unni; vent’anni dopo, Paziente di Lione distribuisce a sue spese viveri alla popolazione affamata dopo le distruzioni apportate dai Visigoti” (J.P. Moisset, Storia del cattolicesimo, Lindau 2008, p. 107). 

Analogamente papa Leone I (440-461), appartenente ad una famiglia aristocratica di origini etrusche, viene mandato nel 452 dall’imperatore Valentiniano incontro ad Attila, il re degli Unni che ha già devastato le regioni a Nord Est della penisola: “L’incontro avvenne a Mantova e, per motivi non del tutto chiari, Attila rinunciò a proseguire la sua marcia verso Roma”. Tre anni dopo, “nel 455, avvenne il secondo saccheggio di Roma per opera dei Vandali giunti per mare dall’Africa”, dove avevano devastato il paese e perseguitato i cattolici. “Nessun funzionario civile o militare affrontò i Vandali: solo il papa Leone andò loro incontro alle porte di Roma, ottenendo almeno che fosse salva la vita dei romani” (A. Torresani, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme al giubileo 2000, Ares 1999, p. 151).

Una simile funzione di supplenza rispetto alla mancanza o alla debolezza del potere laico, inevitabilmente rafforzò la devozione dei romani verso il papato. Anche all’epoca dell’invasione longobarda, che ebbe conseguenze piuttosto pesanti per il paese, fu papa Benedetto I(575-579) a far “giungere a Roma alcune navi cariche di grano, unico soccorso contro la carestia. Il successore, Pelagio II (579-590), fu oppresso dagli stessi problemi, tanto da dover supplicare un vescovo della Gallia di inviargli grano” (A. Torresani, Storia della Chiesa. Dalla comunità di Gerusalemme al giubileo 2000, Ares 1999, p. , op. cit., p.158). Nonostante alcuni periodi bui, dovuti anche alle ingerenze politiche, la Chiesa prosegue sempre, con alterne fortune e impegno, senza mai concepire l’utopia di un mondo senza peccato e conflitti, la battaglia per una società più pacifica: sia attraverso la promozione del diritto romano, molto più civile e meno crudele di quello germanico, che contemplava la faida, cioè la girandola infinita delle vendette tra clan familiari, sia attraverso la cristianizzazione dello stesso diritto romano.

Ricorda Giacomo Balmes“Le inimicizie particolari avevano in quei tempi un carattere violento: il diritto era costituito dai fatti, e il mondo rischiava di diventare il patrimonio del più forte. Il potere pubblico non esisteva, o era come stordito nel turbinio delle violenze e dei disastri che non riusciva ad impedire o a reprimere a causa della sua debolezza. Esso era impotente a incanalare i costumi su una direzione pacifica e far sì che gli uomini si sottomettessero alla ragione e alla giustizia. Così vediamo che la Chiesa…adottava in quell’epoca certe misure concrete per opporsi al torrente devastatore della violenza che tutto tormentava e distruggeva. Il Concilio di Arles, celebrato circa nella metà del secolo quinto e precisamente tra il 443 e il 452, dispone nel canone 50 che non si debba permettere l’accesso alla chiesa a coloro che mantengono pubbliche inimicizie, fin tanto che non si siano riconciliati con i loro nemici. Il Concilio d’Angers celebrato nell’anno 453, proibisce nel canone 3 le violenze e le mutilazioni. Il Concilio di Agde in Linguadoca tenuto nel 506, ordina nel canone 31 che i nemici che non vogliono riconciliarsi, siano immediatamente ammoniti dai sacerdoti, e se non vogliono seguirne le ammonizioni, siano scomunicati. In quell’epoca i Galli avevano per costume di andare sempre armati, e con le armi entravano in chiesa. Si capì come un tale costume era destinato a produrre gravi inconvenienti e trasformare la casa di preghiera in un’arena di vendetta e di sangue. E allora verso la metà del settimo secolo vediamo che il Concilio di Chalons-sur-Saòne nel canone 17 stabilisce la scomunica per tutti coloro che procurano tumulti o sfoderano la spada per ferire qualcuno nelle chiese o nei loro recinti. Questo ci mostra la prudenza e l’intuizione con cui era stato dettato il canone 29 del terzo Concilio d’Orleans celebrato nel 538, dove si dispone che nessuno assista armato alla Messa e ai Vespri. È curioso osservare l’uniformità dei mezzi e l’identità di vedute con cui procedeva la Chiesa. In paesi molto distanti, tra i quali la possibilità di comunicare non poteva esser tanto frequente, troviamo disposizioni analoghe a quelle che abbiamo indicato. IlConcilio di Lerida del 546 dispone nel canone 7 che chi giura di non riconciliarsi col suo nemico sia privato della Comunione del Corpo e Sangue di Gesù Cristo finché non abbia fatto penitenza del giuramento, e si sia riconciliato. Passavano i secoli, continuavano le violenze, e il precetto di carità fraterna, che ci obbliga ad amare i nostri stessi nemici, incontrava ancora un’aperta resistenza dovuta al carattere violento e alle passioni feroci dei discendenti dei barbari; ma la Chiesa non si stancava d’insistere nella predicazione del comando divino, ribadendolo in ogni circostanza e provvedendo a renderlo efficace per mezzo di castighi spirituali. Erano trascorsi più di quattrocento anni dalla celebrazione del Concilio di Arles nel quale fu proibito di entrare in chiesa a coloro che avevano pubbliche inimicizie, e troviamo che il Concilio di Worms celebrato nell’anno 868 prescrive ancora, nel canone 4, che siano scomunicati coloro che non vogliono riconciliarsi con i nemici” (G. Balmes, Il protestantismo comparato al cattolicismo nelle sue relazioni colla civiltà europea, cap. XXXIII).

Ma è soprattutto nel basso medioevo, che le cose cambiano più velocemente ed efficacemente. Intorno al Mille, infatti, nel sud della Francia, nasce un movimento per la pace“inaugurato da varie autorità ecclesiastiche allo scopo di porre un freno alle croniche violenze che caratterizzavano la società feudale e che il potere reale o comitale non riesce a tenere sotto controllo. La Chiesa è a maggior ragione preoccupata dal momento che tra le vittime di queste violenze si annoverano non pochi religiosi. Per designare la duplice reazione pacificatrice si parla di ‘pace di Dio’ e di ‘tregua di Dio’. La prima sottrae alcune persone e alcuni luoghi alla violenza guerresca; la seconda proibisce di combattere in determinati periodi (secondo il Concilio di Arles, 1037-1041, la proibizione di combattere va dalla sera del mercoledì alla mattina del lunedì). Il movimento della pace di Dio ha inizio nel 987 su iniziativa del vescovo di Le Puy, che raduna i suoi cavalieri e impone loro un giuramento di pace. Due anni dopo, nel 989, esso è già notevolmente cresciuto: in occasione del Concilio di Chartroux non un vescovo isolato, ma tutti i vescovi della provincia ecclesiastica di Bordeaux e il vescovo di Limoges pronunciano l’anatema contro chiunque abbia rubato i beni a un contadino o usato violenza a un religioso disarmato. Negli anni seguenti altre assemblee si riuniscono in Aquitania e in Borgogna per ottenere dagli aristocratici e dai cavalieri la promessa di rispettare la pace voluta da Dio. Nel 1016, i vescovi riuniti in concilio a Verdun-sur-le-Doubs fanno giurare ai cavalieri borgognoni, sulle reliquie dei santi, di rispettare le popolazioni disarmate, i luoghi di culto e i terreni contigui come luoghi d’asilo…” (R. Pernoud, Luce nel Medioevo, Roma, 1978, pp.102-103).

Accanto alla pace di Dio (pactum pacisrestauratio pacis…), viene istituita la tregua di Dio(tregua Dei), che “obbliga a sospendere l’uso delle armi in occasione di numerose ricorrenze del calendario liturgico, nonché durante certi giorni della settimana…In memoria del ciclo della Passione e della Risurrezione del Cristo non è permesso battersi dal giovedì alla domenica, ovvero dalla sera del mercoledì al mattino del lunedì. Inoltre, è proibito il ricorso alle armi durante i periodi dell’Avvento e della Quaresima, di Pasqua, dell’Ascensione, della Pentecoste e nei giorni consacrati alla Vergine e a certi santi” (J.P. Moisset, Storia del cattolicesimo, Lindau 2008, p.182). Ovviamente tutte queste regole non vengono sempre rispettate, ma certamente servono ad educare ad un’idea di pace e di rispetto, a limitare il più possibile la violenza dell’età feudale e soprattutto a trasformare la figura del cavaliere, sino ad ora un brigante senza scrupoli, nel cavaliere onorato e difensore dei deboli, almeno nella teoria, ma sovente anche nella pratica, seguente all’anno Mille . Soprattutto, la pace di Dio contribuisce “in modo eccezionale ad affermare l’idea di una immunità naturale di cui godono i non combattenti e i loro beni. Conseguenza diretta della Pace di Dio è l’enumerazione di coloro che, in tempo di guerra, godono di un ‘salvacondotto generale’: gli ecclesiastici, dai prelati sino ai pellegrini, passando per i cappellani, i conversi e gli eremiti, ‘i bifolchi e tutti i lavoratori dei campi’, i mercanti, i vecchi, i bambini e le donne” (P. Contamine, La guerra nel medioevo, Il Mulino 1986, p.360).

L’effetto generale fu che il Medioevo non conobbe né le guerre servili, né “le guerre egemoniche, aventi come fine la dominazione di un popolo o di una dinastia su un immenso territorio”; non ebbe il sistema di coscrizione di massa proprio dell’età imperiale romana e poi degli stati contemporanei, ma “una minoranza di professionisti della guerra”; inoltre la “massa della popolazione”, definita inermis, fu molto raramente coinvolta nella partecipazione alle ostilità. Ciò significa che in non poche regioni “i secoli centrali del Medioevo beneficiarono così, se non proprio di una totale scomparsa, almeno di una durevole marginalizzazione della guerra; e quand’anche essa aveva luogo, i suoi effetti erano più ‘canalizzati’ (P. Contamine, La guerra nel medioevo, Il Mulino 1986, p. 411-416 e 13). Anche così si spiega come mai dopo l’anno Mille, soprattutto in Italia, patria del cattolicesimo, e poi in Europa, abbiano potuto nascere, le stupende opere del Medioevo cristiano: le cattedrali, le università, le confraternite, gli ospedali…ciò che di buono e di bello quell’epoca difficile, ma ricca di luci, ha lasciato sino a noi

Da: F. Agnoli, Indagine sul cristianesimoPiemme 2010

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21/09/2013 22:52
 
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Quando la Chiesa liberava
dal filo spinato della Grande guerra

GuerraDal 1914 al 1918 l’Europa fu sconvolta da un conflitto destinato a cambiare la mentalità bellica fino ad allora conosciuta: la prima guerra mondiale. La causa scatenante della “Grande Guerra” è stato l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando a Sarajevo nel 28 giugno 1914, ma l’attentato fu solamente la goccia che fece traboccare il vaso in un’Europa costellata da rivalità e inimicizie .

Il conflitto che i partecipanti giudicarono inizialmente breve e veloce, si rivelò invece lungo e logorante e costò la vita a milioni di persone. Il papa dell’epoca Giacomo della Chiesa, salito al soglio con il nome di Benedetto XV, assumerà durante la guerra un atteggiamento improntato alla neutralità e cercherà con ogni mezzo di porre termine al conflitto lanciando dal 1914 all’agosto del 1917 ventiquattro appelli alla pace. Più volte emanò una netta condanna della guerra definendola nei suoi discorsi “orrenda carneficina”,“suicidio dell’Europa civile” o “inutile strage” e cercò anche di avanzare delle proposte di paceper far terminare la carneficina chiedendo: il condono reciproco delle spese di guerra, la libertà dei mari, la diminuzione degli armamenti, la restituzione dei territori conquistati, l’istituzione di un arbitrato obbligatorio e il regolamento dei territori secondo le aspirazioni dei popoli.

Questi appelli furono però male accolti da tutti i contendenti che accusarono il papa di disfattismo o di voler favorire il proprio avversario. Benedetto XV cercherà inoltre di alleviare la sofferenza delle persone coinvolte nella guerra e stanzierà ingenti somme di denaro per aiutare le popolazioni vittime del conflitto (la Santa Sede rischiò persino la bancarotta per la politica generosa del pontefice). Uno di questi importanti contributi per alleviare le sofferenze della guerra fu l’Opera dei Prigionieri, un ‘organizzazione istituita dalla Santa Sede a partire dal 1915 che smisterà per tutta la durata del conflitto circa 600.000 plichi di corrispondenza comprese 170.000 ricerche di persone scomparse, 40.000 richieste di aiuto per il rimpatrio di prigionieri di guerra malati e 50.000 lettere di corrispondenza tra i prigionieri e le loro famiglie.+

Lo storico Alberto Monticone nel suo La Croce e il filo spinato. Tra i prigionieri e internati civili nella Grande Guerra (1914-1918). La missione umanitaria dei delegati religiosi(Rubettino 2013) racconta come il Vaticano costruì un apposito ufficio, chiamato Ufficio provvisorio in quanto non facente parte delle formali strutture della Curia, che durante tutto il conflitto funse da centrale di informazione e di distribuzioni di aiuti di ogni genere in tutto il continente europeo e nell’area mediterranea. Benedetto XV sostenne che la carità non si sarebbe dovuta limitare ai soli cattolici, ma estendersi “a tutti coloro che, senza eccezione di religione o di nazionalità, sono detenuti”. La Sacra Congregazione per gli affari ecclesiastici Straordinari invitò tramite le rispettive nunziature, tutti i vescovi dei Paese, ad assumere nella loro cura pastorale, sotto il profilo religioso e anche materiale, i prigionieri concentrati nei campi presenti nelle loro diocesi.

Sotto spinta di questo invito gli episcopati di Germania e Francia si interessarono ai prigionieri presenti nelle loro diocesi e si attivarono per avere e notizie e prendere contatto con i loro connazionali catturati, rivolgendosi come tramite al Consiglio federale elvetico (per via della sua neutralità) alla scopo di provvedere, previo opportune visite, al servizio religioso dei campi. L’episcopato tedesco cercò anche di provvedere ad un’analoga missione in Russia, ma i contatti fallirono a causa delle lunghe trattative con lo zar e allo scoppio della rivoluzione russa. Il vescovo svizzero, André-Maurice Bovet, fondò grazie a questi contatti la Mission Catholique Suisse en faveur des prisoniers de guerre che diventerà il punto di riferimento fondamentale per l’azione umanitaria della Santa Sede svolgendo incarichi umanitari distribuendo denaro non solo per scopi religiosi ai prigionieri e trasmettendo notizie ai famigliari.

La ricerca dei dispersi e militari fu infatti uno delle più grandi tragedie della prima guerra mondiale e grazie all’impegno della Santa Sede e della Mission si riuscì a far rimpatriare molti prigionieri di guerra: all’inizio del 1919 nella sola Germania 700.000 prigionieri francesi, inglesi, americani e belgi furono rimpatriati, ma rimase purtroppo invece irrisolta la situazione di 1.200.000 prigionieri russi che solo gradualmente lasciarono il suolo tedesco e mentre una parte di essi non lasciò la Germania, gli altri invece finiranno nei gulag instaurati dal dittatore Vladimir Lenin.

Mattia Ferrari

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25/01/2014 18:16
 
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Lo storico Le Goff:
«Il Medioevo è sinonimo di progresso»

E’ anche vero che «dalle scuole elementari all’università — quasi senza eccezioni — si testimonia sempre lo stesso disprezzo per l’insieme del millennio che va dal V al XV secolo. È lo stesso disprezzo che manifestano i media in tutta tranquillità. Giornali, televisione e, appunto, il cinema, presentano invariabilmente gli stessi schemi: ignoranza, tirannia, oscurantismo». Che il Medioevo sia sinonimo di oscurantismo lo hanno voluto far credere gli illuministi, gli intellettuali antireligiosi del XVII per affermare la supremazia della loro epoca. Ma nessuno storico sostiene più i “secoli bui”«tutto ciò che ci resta dell’epoca, tutto è bello», ha spiegato la Pernoud. Ciò fa parte del tabù di una società che pretende rifiutare tutti i tabù. «Non se ne discute nemmeno più, si accettano allegramente enormi assurdità considerate come fatti acquisiti. È così, e non c’è bisogno di dimostrazione. Tutto questo i medievalisti lo sanno, ma si guardano bene dal ripeterlo: non sarebbe serio!».

Fortunatamente qualche storico che ha il coraggio di andare contro il pensiero dominante e mediatico c’è, uno di essi si chiama Jacques Le Goff, tra i più autorevoli studiosi viventi della storia e della sociologia del Medioevo (e profondamente agnostico). In questi giorni ha rilasciato un’intervista in occasione dell’uscita del suo ultimo libro, in cui ha spiegato che «come dice il nome, il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio, di transito tra l’Antichità e la Modernità, ma passaggio significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, l’aratro di ferro, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il 14esimo e il 17esimo secolo. Ci sono cambiamenti che non modificano in modo sostanziale la natura della vita dell’umanità. L’economia resta rurale, ciclicamente caratterizzata da carestie. Nonostante la rottura – importante – tra cristianesimo tradizionale e riformato, è sempre il cristianesimo a determinare una visione omogenea e religiosa di un’eternità definita da Dio».

Sostanzialmente non c’è stato alcun Rinascimento, la proposta di Le Goff è un lungo Medioevo dal VI al XVII secolo. Nessun “uomo nuovo”, il progresso è il Medioevo stesso. Sarà certamente d’accordo Alessandro Barbero, ordinario di Storia Medievale presso l’Università degli Studi del Piemonte Orientale, il quale proprio recentemente ha criticato a sua volta che«nel nostro immaginario è troppo forte il piacere di credere che in passato c’è stata un’epoca tenebrosa, ma che noi ne siamo usciti, e siamo migliori di quelli che vivevano allora». Ma ovviamente non è così, gli storici lo sanno mentre i liberi pensatori non riescono a separarsi dai loro dogmi.


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15/03/2014 14:49
 
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il genocidio vandeano




VandeaIl prof. Sergio Romano è un importante storico italiano, sempre diviso tra il suo anticlericalismo pregiudiziale e l’oggettività del ricercatore. A volte però il pregiudizio prevale sull’oggettività, a volte il contrario.


Pochi giorni fa Romano si è incredibilmente “dimenticato” di citare il genocidio vandeano realizzato dagli illuminati rivoluzionari francesi. Per molti tale crimine, assieme all’uso frenetico della ghigliottina, è il vero volto della laicissimaRivoluzione francese e forse proprio per questo motivo il prof. Romano ha preferito non parlarne.


Una lettrice gli ha infatti domandato cosa fosse la “Costituzione civile del clero”, ovvero le norme approvate dall’Assemblea costituente francese nel giugno del 1790 per organizzare la Chiesa di Francia con criteri di utilità pubblica. Romano ha parlato degli abusi subiti dalla Chiesa cattolica francese con una delicatezza estrema, quasi giustificando i rivoluzionari francesi. Non ha accennato al fatto che i sacerdoti che si rifiutavano di staccarsi dal Pontefice per diventare zimbelli in mano allo Stato furono costretti a vivere clandestinamente, ma ha scritto semplicemente che i sacerdoti refrattari, in particolare in regioni come l’Alsazia e la Vandea,«constatarono di avere la simpatia e il sostegno di una larga parte della società francese». Tutto qui.


Ma può uno storico, seppur profondamente anticlericale, evitare di ricordare anche che il governo francese in risposta al sostegno dei vandeani a questi coraggiosi sacerdoti fecemigliaia di vittime in soli tre anni? E’ come spiegare che a Hitler non stavano simpatici gli ebrei senza nemmeno citare l’Olocausto. Il numero esatto dei martiri vandeani è molto discusso, in tanti parlano di genocidio. Papa Pio XI nel 1926 beatificò 191 delle vittime, quasi tutti sacerdoti, dei massacri avvenuti tra il 2 ed il 6 settembre del 1792, Giovanni Paolo II ne ha beatificati altri 60 nel 1995.


Il mito della Rivoluzione francese non si può toccare, lo storico Reynald Sécher venne duramente perseguitato quando osò pubblicare i risultati dei suoi studi su quello che ritenne essere il primo genocidio di Stato della storia occidentale. Molti altri storici, come si spiega in questo articolo, paragonano la Vandea alla persecuzione ebrea da parte del nazismo. Il premio Nobel Aleksandr Isaevič Solženicyn ha scritto: «Già due terzi di secolo fa, da ragazzo, leggevo con ammirazione i libri che evocavano la sollevazione della Vandea, così coraggiosa e così disperata, ma non avrei mai potuto immaginare, neppure in sogno, che nei miei tardi giorni avrei avuto l’onore di partecipare all’inaugurazione di un monumento agli eroi e alle vittime di questa sollevazione. […] Per molto tempo ci si è rifiutati di capire di accettare quel che gridavano coloro che morivano, che venivano bruciati vivi: i contadini di una contea laboriosa, per i quali la rivoluzione sembrava essere fatta apposta, ma che la stessa rivoluzione oppresse e umiliò fino alle estreme conseguenze: e proprio contro essa si rivoltarono. […]. È stato il ventesimo secolo ad appannare, agli occhi dell’umanità,quell’aureola romantica che circondava la rivoluzione del XVIII secolo» («Famiglia Cristiana», n. 41/1993, pp.80-81). 



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03/04/2014 10:19
 
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Jacques Le Goff:
i secoli bui non sono mai esistiti

Jacques Le GoffE’ morto a novant’anni Jacques Le Goff, ritenuto giustamente uno dei massimi storici della storiografia del Novecento europeo e tra i più importanti studiosi del Medioevo, un periodo storico guidato dai valori cristiani e -proprio per questo- vittima di leggende nere nate in particolare nell’800.

Di estrazione laica, dichiaratamente agnostico ma ammiratore dei Santi cattolici di cui scrisse importanti biografie (come quella su San Luigi), Le Goff fu sopratutto un accanito demolitore dei pregiudizi contro il Medioevo, definito dagli ignoranti come “secoli bui”. Proprio pochi mesi fa ha sostenuto che il Rinascimento non è mai esistito ma si è trattato di un lungo Medioevo, dal VI al XVII secolo. Nessun “uomo nuovo”, il progresso è il Medioevo stesso.

«Il Medio Evo è stato sempre considerato come un periodo di passaggio tra l’Antichità e la Modernità»ha spiegato«ma passaggio significa soprattutto sviluppo e progresso. Nel Medio Evo progressi straordinari ci sono stati in tutti i campi, con i mulini a vento e ad acqua, l’aratro di ferro, la rotazione delle culture da biennale a triennale. Ma non c’è nessuna rottura fondamentale tra Medioevo e Rinascimento, tra il 14esimo e il 17esimo secolo. Ci sono cambiamenti che non modificano in modo sostanziale la natura della vita dell’umanità. L’economia resta rurale, ciclicamente caratterizzata da carestie. Nonostante la rottura – importante – tra cristianesimo tradizionale e riformato, è sempre il cristianesimo a determinare una visione omogenea e religiosa di un’eternità definita da Dio».

Non solo progressi materiali ed intellettuali, ma anche sociali. Nel Medioevo, infatti, per la prima volta la donna acquisì l’uguaglianza sociale: «Io ritengo», scrisse Le Goff nel 2006, «che l’idea che la donna sia uguale all’uomo abbia determinato la concezione cristiana della donna e abbia influenzato la visione e l’atteggiamento della Chiesa medievale nei suoi confronti» (J. Le Goffe, “Un lungo Medioevo”, Dedalo 2006, p. 92). Anzi, ribadì in un’intervista per “Avvenire”«credo che tale rispetto della donna sia una delle grandi innovazioni del cristianesimo; pensiamo alla riflessione che la chiesa ha condotto sulla coppia e sul matrimonio, fino a giungere alla creazione di tale istituzione, ora tipicamente cristiana, formalizzata dal quarto concilio Lateranense nel 1215, che ne fa un atto pubblico (da cui la pubblicazione dei bandi) e, cosa fondamentale, un atto che non può realizzarsi se non con il pieno accordo dei due adulti coinvolti».

Paolo Nanni, ricercatore di Storia medioevale presso l’Università di Firenze, ha valorizzato il lascito di Le Goff: «un Medioevo sottratto alla riduttiva definizione di età frapposta fra altre epoche: l’età di mezzo, quella dei “secoli bui”».

I secoli bui non sono mai esistiti, semmai ci sono state innovazioni nel Medioevo che hanno irradiato il Rinascimento e l’Illuminismo e ci sono stati momenti crudeli, non certo peggiori della ghigliottina e dei massacri degli ottocenteschi rivoluzionari francesi. Bisogna ricordarlo, anche per onorare davvero l’opera intellettuale di Jacques Le Goff.


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