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DAL MONDO DELLA SCIENZA E DELLA CULTURA

Ultimo Aggiornamento: 17/12/2021 11:17
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19/06/2011 21:41
 
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La ricerca scientifica, statistica o altre scoperte, confermano sempre più spesso che le convinzioni dei CREDENTI hanno un fondamento.
[Modificato da Coordin. 03/01/2012 22:44]
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19/06/2011 22:04
 
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I metodi naturali per regolare la fertilità sono efficaci al 95-99%

L’associazione messicana Sexo Seguro ha creato un’utilissima pagina web: www.sexoseguro.mx, gestita dalla dottoressa María del Rosario Laris, per offrire dati sulle varie pratiche sessuali e sulle loro conseguenze. L’associazione è composta da medici esperti in sessualità e bioetica, e promuove la divulgazione di informazioni collegate all’inizio della vita sessuale nell’adolescenza e nella gioventù, agli anticoncezionali, all’aborto e ad altri temi legati alla sessualità. La sua visione ha come base il rafforzamento della dignità della persona umana dal concepimento alla morte naturale.

In un’intervista rilasciata di recente, la dottoressa María del Rosario Laris Echeverría, medico chirurgo con un dottorato in Bioetica, ha spiegato l’obiettivo dell’associazione e della pagina web: «L’associazione ‘Sexo seguro’ è nata perché negli ultimi anni sono stati constatati l’aumento delle gravidanze indesiderate e la disinformazione che certe istituzioni di governo hanno creato soprattutto nei giovani. Cerchiamo di proporre una pagina informativa, con un alto grado di valore per la quantità di riferimenti e di pubblicazioni su riviste internazionali, ma allo stesso tempo cerchiamo di renderla sintetica e pratica perché la lettura porti un messaggio obiettivo, e ci interessa molto arrivare ai giovani perché si informino e possano quindi prendere le decisioni migliori», ha sottolineato l’esperta.

La pagina Sexo Seguro funziona da poche settimane e ha una chat interattiva che orienta le donne che, ad esempio, affrontano una gravidanza non attesa e non sanno come agire. Circa i metodi naturali, cioè la modalità di regolazione della fertilità (sponsorizzata anche dalla Chiesa), si dice ad esempio che «sono adattabili a qualsiasi condizione socioculturale, a qualsiasi livello di educazione ed economico e a ogni tappa della vita riproduttiva femminile. Degli studi indicano che il 95% delle donne riconosce i segni di fertilità». Con uso corretto, hanno un’efficacia tra il 95% e il 99,7% per monitorare i momenti di fertilità e infertilità, tuttavia negli Stati Uniti e in Germania, ad esempio, solo il 20-47% delle donne è interessato a usare questi metodi naturali moderni. Tutti i dati sono documentati da studi scientifici. Uno di questi metodi naturali è il metodo Billings, efficace dal 98-100%, oppure c’è LadyComp che ha un’efficacia testata del 99,3%. Un altro è il Metodo sintotermico, con un’efficacia stabilita al 99%, poi c’è quello chiamato PERSONA, con un livello d’efficacia del 94% ecc…

Ne approfittiamo per segnalare due siti web italiani sui metodi naturali: www.confederazionemetodinaturali.itwww.metodinaturali.it.
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28/06/2011 12:25
 
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Sam Harris difende il libero arbitrio e gli atei lo insultano

Il filosofo Sam Harris, uno dei quattro cavalieri dell’ateismo internazionali e autore del libro “La fine della fede” (2004), ha da qualche tempo iniziato gli studi sulle neuroscienze con l’intento dichiarato di sconfiggere scientificamente la religione. Iniziativa bizzarra, d’altra parte anche gli stessi atei lo ritengono letteralmente un fanatico.

In questi giorni, sul suo sito web, è avvenuto qualcosa di insolito: il filosofo ha in qualche modo difeso il concetto di “libero arbitrio” e questo ha sconcertato i suoi devoti lettori, i quali hanno pensato bene di insultarlo e definirlo “malato di mente”, chiedendo la definitiva rimozione dalla mailing list. Un fatto simile era già successo, in proporzioni decisamente maggiori, anche al suo amico Richard Dawkins, il quale si era permesso di moderare i suoi fans, eccessivamente scatenati negli insulti contro i credenti. Tuttavia come risposta si è trovato travolto lui stesso dal polverone delle ingiurie e molti dei suoi lettori hanno dichiarato di aver perso completamente la stima verso di lui (cfr. Ultimissima 26/2/10).

Sintetizzando enormemente, lo scenario attuale sul libero arbitrio (dopo i noti esperimenti di Libet e John-Dylan Haynes) vede due posizioni: il compatibilismo, cioè coloro che sostengono che il libero arbitrio sia compatibile con il determinismo (e quindi le nostre azioni arrivano casualmente dalla nostra volontà, anche se questa è totalmente determinata), e l’incompatibilismo, cioè coloro che sostengono che il libero arbitrio non sia compatibile con il determinismo e quindi: il libero arbitrio è un’illusione mentre il determinismo è vero (detta anche “concezione dell’illusionismo“), oppure: il determinismo è falso e gli esseri umani godono del libero arbitrio (detta anche “concezione del libertarismo“).

Harris sembra proprio tendere verso il compatibilismo rifiutando «la prigione del determinismo» (quindi rifiutando la “concezione dell’illusionismo”).  Certo, non lo fa apertamente, sa benissimo infatti, come scrive nel primo articolo, che «la credenza verso il libero arbitrio sottoscrive la nozione religiosa di “peccato”», e questo lui non può accettarlo. E’ anche cosciente del fatto che negando il libero arbitrio si solleva automaticamente il problema della responsabilità morale e dell’impossibilità a condannare i comportamenti sbagliati, mandando in tilt l’ordine sociale.  L’articolo solleva un polverone ed Harris è costretto a scriverne un secondo, informando appunto di essere stato attaccato ed insultato dai suoi stessi fans. Sfrutta così l’occasione per chiarire ulteriormente il suo pensiero, dicendo che le nostre libere scelte, gli sforzi, le intenzioni, il ragionamento e gli altri processi mentali influenzano senz’altro il nostro comportamento. Ma essi, sostiene il filosofo, sono parte di un flusso di cause precedenti e su cui non abbiamo alcun controllo finale. La formula che usa è questa: io sono libero di scegliere, ma non posso scegliere quello che scelgo. Ma gli animi dei suoi lettori non sembrano tranquillizzarsi e così Harris deve scrivere un terzo articolo in cui, formalizzando le accuse che gli vengono fatte, tenta di rispondervi direttamente. In realtà non sembra saperlo fare molto bene e le sue risposte non sono affatto esaustive e sostanzialmente conferma che la sua accusa al libero arbitrio (o, almeno, al concetto di libero arbitrio condiviso dalla popolazione umana) non richiede il materialismo filosofico.

Sam Harris dunque non crede al comune concetto di libero arbitrio, tuttavia considerando che personaggi come lui arrivano dritti dal materialismo e positivismo illuminista, la sua mezza apertura appare interessante. Lo è ancora di più quando arriva proprio a prendere totalmente le distanze dal determinismo, «per il quale il libero arbitrio è un’illusione». Ora la parte più difficile è riuscire a convincere i propri fans.
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01/07/2011 10:35
 
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Il filosofo ateo Comte-Sponville: «le radici cristiane sono un’evidenza storica»

L’importante filosofo francese, André Comte-Sponville, già docente della Sorbona, editorialista dei principali quotidiani francese ed auto-dichiaratosi materialista, razionalista e umanista, ha rilasciato recentemente un’intervista per il quotidiano spagnolo ABC.

Dopo aver criticato il relativismo e il modello di “atarassia” della filosofia greca, ha dichiarato di stare leggendo il Qoelet, uno dei testi dell’Antico Testamento. Rivela infatti: «Io non sono un ateo dogmatico, perché l’ateismo è piuttosto una convinzione, non un sapere. E sono un vero ateo, perché assumo i valori morali delle tre grandi religioni, in particolare quella giudaico-cristiana».

Parlando delle altre religioni dice: «L’Islam non è un problema se si sa integrare nella società laica e rispetta la separazione tra Chiesa e Stato. Per un ateo come me il buddhismo può essere attraente perché non c’è Dio, ma non ho intenzione di radermi la testa…Preferisco approfondire il solco della civiltà che definisce l’Occidente, quella giudaico-cristiana». Un riferimento che la Francia e il Belgio hanno rifiutato di inserire nella Costituzione e che Comte-Sponville ritiene essere una forma di “chiusura” da parte del secolarismo: «L’origine cristiana dell’Europa è una evidenza storica. Se l’Europa ignora le sue radici cristiane cesserà di essere una civiltà e di essere solo un mercato».

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19/11/2011 09:25
 
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I migliori fisici del mondo riuniti in Vaticano

Spesso la maggioranza dei luoghi comuni ci porta a pensare che tra fede e scienza ci siano così tante divergenze da non poter nemmeno provare a collaborare insieme. Non è affatto così. Una vera e propria dimostrazione deriva da un simposio svoltosi proprio in Vaticano, al quale hanno partecipato oltre 50 illustri fisici di tutto il mondo.

È la prima volta che la fisica subnucleare entra nel cuore della Pontificia Accademia delle Scienze, e il merito deve obbligatoriamente andare al nuovo presidente dell’accademia, il biologo svizzero (e Premio Nobel) Werner Arber, ma anche al cancelliere Monsignor Marcelo Sanchez, profondo sostenitore della scienza galileiana.

Dell’evento ne ha parlato il fisico Antonino Zichichi su Il Giornale, il quale ha introdotto e concluso l’evento. Ha raccontato della presenza di uno dei massimi studiosi della «teoria delle stringhe», John Schwarz. E’ intervenuto anche il numero uno del più grande laboratorio di fisica subnucleare negli Usa – il «Fermi Lab» – Pier Maria Oddone, seguito da Robert Aymar che ha portato il CERN ad avere la più potente macchina di fisica subnucleare oggi in funzione (LHC). Dei “quanti” ha parlato Costantino Tsallis, uno dei massimi esperti di meccanica quantistica non-lineare, mentre tratterà di buchi neri il fisico Raphael Bousso, scopritore di una proprietà formidabile. Qui tutti gli altri nomi e il programma dell’evento.

Bousso, docente presso il Dipartimento di Fisica dell”Università di Berkeleyun e anche lui esperto di “teoria delle stringhe”, ha dichiarato che teoricamente «l’universo dovrebbe essere molto ostile alla vita. Tuttavia numerosi parametri naturali appaiono piuttosto attentamente sintonizzati per noi». Ha però voluto mettere in guardia contro ciò che è stato chiamato “il Dio delle lacune”, ovvero l’uso di Dio per spiegare ciò che la scienza non è ancora in grado di decifrare.

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15/12/2011 23:24
 
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Nel settembre 2011 sul “Journal for the Scientific Study of Religion” sono apparsi i risultati di uno studio sociologico tra scienziati e ricercatori d’elitè, nel quale si apprende che la maggioranza di essi (il 70%) vede il rapporto tra “fede e scienza” come non conflittuale, ma anzi «la religione e la scienza sono due valide strade della conoscenza». Nel giugno 2010 invece, è stato dimostrato da un’altra ricerca pubblicata dalla Oxford University Press, che tra gli scienziati d’elite, «il 50% è religioso e la maggioranza dei restanti sono “imprenditori spirituale”, cioè lavorano per diminuire le tensioni tra scienza e fede». Molto più attinente alla tematica uno terzo studio , secondo cui la maggior parte dei medici (3 su 4) si professa profondamente religioso e crede ad una vita ultraterrena (neurologi, anatomisti, fisiologi, cardiologi, chirurghi, medici legali, pediatri e psichiatri). Inoltre, i medici sono più propensi a partecipare alle funzioni religiose rispetto alla media della popolazione degli Stati Uniti (che non è proprio la Corea del Nord…).
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15/12/2011 23:40
 
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The Medical News:

il 76% dei medici americani crede in Dio

Esattamente cinque anni fa è uscito un importante studio sul Journal of General Internal Medicine, nel quale si dichiarava che la maggior parte medici (3 su 4) si professa profondamente religiosa e crede ad una vita ultraterrena (neurologi, anatomisti, fisiologi, cardiologi, chirurghi, medici legali, pediatri e psichiatri). La situazione non è cambiata affatto e anzi sembra dilagare. Queste conclusioni, ha riportato The Medical News, hanno contraddetto ricerche precedenti che mostravano come le persone tendono a diventare meno religiose se l’istruzione e il reddito si alzano di livello. Farr Curlin, medico e docente presso l’Università di Chicago, ha rivelato che tra i 1125 medici degli Stati Uniti intervistati, il 76% di questi crede in Dio e quasi il 60% in una sorta di aldilà. Alcuni vogliono far credere che la scienza sia opposta alla religione e invece -continua l’esperto- chi si trova ad applicare la ricerca scientifica per aiutare l’uomo è tradizionalmente un uomo religioso (non a caso gli ospedali sono nati in ambito cristiano). Non stanno chiusi in laboratorio, ma sono continuamente a contatto con la vita e la morte, con le persone, il male e il dolore, la guarigione e l’aiuto verso il prossimo. I ricercatori hanno anche scoperto che il 90% dei medici ha dichiarato di partecipare alle funzioni religiose, almeno occasionalmente. FoxNews aggiunge altre informazioni: i medici sono più propensi a partecipare alle funzioni religiose rispetto alla media della popolazione degli Stati Uniti, il 55% dei medici ha dichiarato che la propria fede influenza il modo in cui svolgere il proprio lavoro e che, mentre oltre l’80% della popolazione degli Stati Uniti è protestante o cattolica, il 60% dei medici ha dichiarato di essere diviso in entrambi i gruppi. Edward Hill, presidente della American Medical Association, ritiene che la religione e la ricerca medica siano completamente compatibili, a patto che i medici non forzino le proprie convinzioni sui pazienti. Lo psicologo Hills ha invece detto che «la fede in un essere supremo è di vitale importanza per la capacità dei medici di prendersi cura di pazienti». La secolarizzazione dell’Europa (o meglio, di una parte di essa) è l’unica eccezione al mondo.

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20/12/2011 23:43
 
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La Particella di Dio, con il "punto di domanda"

di Alessandra Stoppa

14/12/2011 - I ricercatori del Cern di Ginevra hanno «intravisto» il bosone di Higgs, l'elemento mancante per spiegare l'origine della massa. Un risultato che è un punto di non ritorno. Ma che «apre ad altri interrogativi», come spiega il fisico Lucio Rossi

Come in una foto, ma sfuocata. O come la sagoma di una persona vista passare di sfuggita. È così che il bosone di Higgs è stato intravisto dai ricercatori del Cern di Ginevra, che ieri ne hanno dato l’annuncio. Con molta prudenza. Ma senza negare che è un passo decisivo nella conoscenza del mondo fisico, dato che si tratta della cosiddetta Particella di Dio: quella che darebbe massa alla materia, cioè il pilastro (mancante) del Modello Standard, teorizzato negli anni Sessanta e confermato dagli esperimenti tranne che in un elemento, ovvero il bosone di Higgs.
«Quelli trovati sono dei segnali, degli indizi evidenti, ma non abbastanza forti da poter essere una scoperta», spiega a Tracce.it Lucio Rossi, fisico al Cern e responsabile del progetto Alta Luminosità dell’LHC, il super acceleratore più grande al mondo. Grazie al quale la Particella di Dio si è lasciata "fotografare". Anche se questo «non esaurisce la ricerca, la fa avanzare».

Che cosa significa che il bosone di Higgs è stato intravisto?
Vuol dire che è stato misurato con una precisione che non è ancora sufficiente: è stato “fotografato”, ma non in modo abbastanza nitido. Abbiamo visto degli eventi che sono compatibili, molto somiglianti alla Particella così com’è prevista dalla teoria: per esempio, la massa misurata appare attorno a 124 GeV (gigaelettronvolt), proprio il valore che si riteneva tra i più probabili.

Come è stato possibile trovare il “super-ricercato”?
Gli abbiamo ridotto lo spazio vitale, come se cercando una persona in una città la vedi infilarsi in un palazzo e allora la “intrappoli” lì e ti metti a ispezionare solo quel condominio. Le varie linee in questa foto indicano le sue tracce, quelle rosse sono le più importanti.

È la prima volta in assoluto che le individuate?
No, si tratta almeno di una decina di volte. Ma siamo così prudenti perché per rilevarle si realizza un lavoro di ripulitura, di ricostruzione dell’immagine che può comportare degli errori. Per cui occorre che lo stesso fenomeno sia registrato in maniera più ripetuta. Per semplificare: ora siamo a un grado di certezza maggiore del 60-70%, ma nella scienza occorre che sia almeno superiore al 95. E questa è la cosa più interessante, perché è il nocciolo di un metodo che vale per tutto.

In che senso?
Arrivi alla certezza solo se dai credito a una traccia. La ricerca scientifica si basa su questo metodo. Perché tu puoi essere certo di cose che non hai mai visto con evidenza lampante, ma attraverso indizi che chiamano a una dinamica di approfondimento: a far più misure, a far più teorie, a coinvolgersi. Tutto ciò accettando il rischio: noi prendiamo il rischio di vedere questi segnali “evaporare” magari fra un anno. Ma se non li seguiamo ora, non arriviamo alla certezza.

Sui giornali si legge che, quando la Particella di Dio sarà scoperta con maggior precisione, allora il segreto della materia sarà tutto spiegato.
Non è così. Quando si troverà il bosone previsto dal Modello Standard, non si sarà spiegato tutto. Noi sappiamo già che da solo non può reggere, perché non è stabile. Mi spiego: sarà trovata una pietra fondamentale della costruzione, ma che non la tiene in piedi tutta da sola. Se confermata nella sua esistenza, la Particella di Dio ha almeno bisogno di altre particelle supersimmetriche (speculari ma molto più pesanti; ndr). Quindi, a quel punto, bisognerà dare la caccia a quelle. Senza considerare che il bosone di Higgs spiegherebbe, sì, l’origine della massa, ma solo della materia conosciuta: c’è però molta più materia di quella nota, cioè la materia oscura, e non sappiamo se la Particella di Dio potrebbe spiegarla in qualche modo. Ci sono scoperte che sono punti di non ritorno, e indubbiamente questa è una di quelle. Ma non esauriscono mai la conoscenza. Aprono solo ad altre domande, ad altre scoperte.
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03/01/2012 22:38
 
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Il biologo Biava: «l’embrione è una persona, la scienza lo conferma»

Il dr. Pier Mario Biava, ricercatore presso l’Irccs Multimedica di Milano, da anni studia i processi di differenziazione e riprogrammazione cellulari con risultati rilevanti: grazie alle sue ricerche, infatti, sono state messe a punto nuove terapie contro il cancro utilizzando proteine ricavate da embrioni animali.

Docente per numerosi anni alla Scuola di Specializzazione di Medicina del Lavoro di Trieste, è autore di numerose pubblicazioni scientifiche, presidente onorario della Fondazione per la Ricerca delle Terapie Biologiche del Cancro e vice presidente della Società Scientifica International Academy of Tumor Marker Oncology. Recentemente ha voluto commentare per “Avvenire l’incredibile dietrofront di Ian Wilmut, il pionere della clonazione e “papà” della pecora Dolly, riguardo la ricerca con le staminali embrionali. Biava ha detto:«con questa dichiarazione, Wilmut ha ammesso sostanzialmente tre cose: le staminali embrionali sono troppo rischiose perché negli animali hanno dimostrato di generare tumori; la clonazione è un processo altamente insicuro e fallibile; dunque, meglio occuparsi di riprogrammazione, con l’opportuna prudenza legata al fatto che nemmeno l’assoluta sicurezza delle cellule riprogrammate è stata testata. Aggiungo io: ricordiamoci che esistono anche meccanismi di riprogrammazione fisiologici che, senza toccare i geni, agiscono con successo mediante i fattori di regolazione dell’ambiente in cui vive la cellula».

Esprimendosi sulla sentenza della Corte europea sulla non brevettabilità ha poi affermato: «per la biologia non valgono le regole economiche: non è ammissibile il principio di brevettare sostanze che fanno parte del vivente, e questo vale in modo particolare per le cellule staminali. Non è vero che le staminali sono “solo cellule”: nelle mie ricerche ho ampiamente dimostrato come fin dal momento dell’impianto avviene la comunicazione fra organismo materno ed embrione, che capisce che quelle “poche cellule” vanno protette. A livello biologico, non c’è bisogno di un cervello per comunicare: c’è già tutto. Ecco perché l’embrione è una persona, la scienza lo conferma chiaramente. La posizione della Corte è l’unica possibile per proteggere gli interessi della collettività e, al tempo stesso, rispettare la vita».

[Modificato da Credente 27/01/2012 00:08]
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22/01/2012 23:38
 
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La scienza contro i “pro-choice”: l’aborto aggrava la salute psichica della donna

Nelle legislazioni dei paesi in cui si può abortire liberamente, latutela della salute psichica della donna è una delle motivazioni più ricorrenti per giustificare l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza. L’aborto sembra però adempiere allo scopo opposto: praticato per la salvaguardia della salute mentale delle donne, comporta un aumento considerevole del rischio di incorrere in problemi psichici.

Negli ultimi anni, infatti, diversi studi hanno analizzato la ricorrenza delle malattie mentali nel periodo post-aborto. Ultimo in ordine di tempo quello pubblicato dalla rivista medica peer-rewieved “The British Journal of Psychiatry” a cura della professoressa Coleman della Bowling Green State University. La ricercatrice statunitense si è occupata della revisione dei dati di 22 studi su quasi novecentomila donne, di cui 163.831 con una interruzione di gravidanza alle spalle. Numeri che fanno di questo articolo la più ampia relazione per la valutazione dell’impatto dell’aborto sui disturbi mentali. Un lavoro importante dunque, con una conclusione allarmante: per le donne che si sono sottoposte ad un aborto è aumentato del 81% il rischio di problemi di salute mentale. Aumentano sensibilmente anche il rischio di cadere in depressione e quello di incorrere in disturbi d’ansia. Più che raddoppiato, invece, il rischio di suicidi; sul fronte delle dipendenze sale del 110% il rischio di alcoolismo e addirittura del 230% quello del consumo di marijuana.  I risultati sono coerenti con uno studio realizzato sempre dalla Coleman, nel 2005, dal quale si evince una chiara correlazione tra aborto indotto e aumento di problemi psicologici.

La prospettiva del ricorso all’aborto per salvaguardare la salute psichica sembra essere sconfessata anche dagli studi di altri ricercatori, come quello del team guidato dalla ricercatrice canadese Mota, che ha compiuto uno studio su un campione rappresentativo della popolazione statunitense pubblicato nel 2010. Queste le conclusioni: «Il nostro studio conferma una forte associazione tra aborto e disordini mentali». Tra le donne che erano passate da una esperienza di aborto indotto è stato osservato un aumento del 61% della fobia sociale e del 59% del rischio di propositi di suicidio, mentre salivano vertiginosamente del 261% il rischio di alcoolismo e del 313% quello della dipendenza da stupefacenti.  Risultati coerenti con quelli ottenuti nel 2009 pubblicati sulla Revista da Associação Médica Brasileira (RAMB), dove si mostra che le donne che hanno avuto un aborto indotto hanno maggiori tassi di ansia, depressione, sentimenti problematici e bisognose di un sostegno psicologico. Lo stesso è stato riportato maggio 2008su Gynécologie obstétrique et fertilité, il mensile di informazione scientifica dei medici francesi, dove i risultati rivelano il trauma psicologico causato dall’aborto “terapeutico”: significativo disagio vissuto dalla donna, accentuato dall’onnipresente senso di colpa e sintomi persistenti di ansia e depressione.

In un recente articolo significativamente intitolato “La menzogna dell’aborto che cura”  il dottor Renzo Puccetti, specialista in Medicina Interna e membro dell’Unità di Ricerca della European Medical Association, conclude scrivendo:«allo stato delle conoscenze è incontestabile anche per gli stessi abortisti che l’aborto non è per niente terapeutico; a livello di salute pubblica costituisce una procedura per le donne di nessuna utilità al fine della salvaguardia della loro salute mentale, si tratta in sostanza di una procedura futile. A livello fattuale il “serio pericolo per la salute della donna” posto a giustificazione della richiesta di aborto dalla legge italiana non riceve alcuna mitigazione dall’aborto. Vorrà il mondo della politica, dell’informazione, della cultura, della legge prenderne atto e trarne le logiche conseguenze?».

Maurizio Ravasio

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27/01/2012 00:07
 
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Il veto di Hilbert, ovvero perché l’Universo non è sempre esistito

Oggi ricorre il 150° anniversario della nascita di David Hilbert, uno dei maggiori matematici di tutti i tempi. Lo commemoro illustrando una sua tesi, squisitamente “finitista” secondo la sua concezione della matematica ed interdisciplinare com’era la sua visione epistemica. La tesi riguarda un’ampia categoria di strutture (gli insiemi cantoriani) ed ha un corollario con ricadute in fisica ed in filosofia: un intervallo infinito di tempo passato è una contraddizione. Ne consegue che il tempo ha avuto un inizio, ed il mondo con esso: si ritrova così per via logico-matematica il risultato cui erano arrivati Agostino ed i filosofi del Kalam per via metafisica e cui perviene la fisica moderna nella teoria standard del Big Bang e con il teorema di Borde, Guth e Vilenkin (BGV, 2003) nelle speculazioni cosmologiche quanto-gravitazionali.

Prima di enunciare il “veto di Hilbert”, devo analizzare il concetto di “infinito”, perché la parola può essere usata intre significati distinti che conviene esplicitare. In una prima accezione, infinito significa senza restrizioni.L’attribuzione non è data in positivo attraverso l’assegnazione di una qualità, ma negando limiti ad una qualità. Così si dice che un tale ha una pazienza infinita, a significare che ha una pazienza senza limiti; che Dio è bontà infinita, ecc. Questo tipo di accezione non appartiene alla matematica, perché non è operativa. C’è poi un secondo significato d’infinito, quello d’un processo indefinito che non arriva mai alla conclusione. Hilbert sulla scia di Aristotele lo chiamainfinito potenziale. Un esempio è dato dall’operazione di dimezzare un segmento: è chiaro che, dopo averlo dimezzato una volta, posso dimezzare la metà; e poi dimezzare la metà della metà; ecc. Questa procedura di suddivisione può procedere in teoria quanto si vuole. Essa è genuinamente matematica perché è operativa, tanto che un teorema prevede (come risulterà evidente a tutti i lettori) che più si avanza nella procedura, più la lunghezza del risultato si avvicina a zero. Un altro infinito potenziale è la serie numerica 1 – 1/3 + 1/5 – 1/7 +…, dove si procede indefinitamente in operazioni alterne di addizioni e sottrazioni dei reciproci dei numeri dispari. La procedura è matematica perché è operabile, tanto che un teorema di analisi prevede (e ciò risulterà forse sorprendente a qualche lettore) che più si avanza nella procedura più la somma parziale si avvicina a π/4. (Tra parentesi: queste procedure matematiche indefinite non sono eseguibili da un computer, perché un software deve contenere un numero finito di istruzioni! Per quanto sia veloce il suo processore e grande la sua memoria, una macchina non potrà mai eseguire tutte le operazioni d’un infinito potenziale. Così, a differenza della mente umana, nessuna macchina potrà mai predire il risultato π/4 della serie a segni alterni che ho scritto sopra.)

La terza accezione d’infinito è l’infinito attuale. Con ciò s’intende un “insieme cantoriano”, ossia una collezione contenente un numero di elementi superiore ad ogni numero dato. L’alfabeto inglese è un insieme di 26 lettere, pertanto non è un insieme cantoriano; né lo è l’insieme dei granelli di sabbia del mare (come Archimede dimostrò al tiranno di Siracusa), né l’insieme delle particelle dell’Universo, il cui numero non supera 1080, il numero di Eddington. Invece l’insieme dei numeri naturali (che in matematica si indica con N) è un insieme cantoriano, perché contiene un numero di elementi maggiore di qualsiasi numero prefissato. Si può dire che N ha un numero infinito di elementi, dove in questo caso infinito va inteso nell’accezione d’infinito attualerealizzato. Nella matematica – che è un dominio fuori dallo spazio e dal tempo – esistono molti insiemi cantoriani, anzi il loro numero è un infinito attuale! Oltre ad N, altri insiemi cantoriani sono: Z (l’insieme dei numeri interi), Q (l’insieme dei numeri razionali), R (l’insieme dei numeri reali), C (l’insieme dei numeri complessi), un segmento o la retta o il piano o lo spazio intesi come insiemi di punti, l’insieme di tutte le curve, ecc., ecc.

Il problema che Hilbert si pose fu: nel mondo reale possono esistere insiemi cantoriani? Ovvero: una struttura aggregata fisica può contenere un infinito attuale di elementi? Per gli atomisti greci la risposta era positiva, ed un infinito attuale reale sarebbe il mondo stesso, che immaginavano composto d’infiniti atomi. Nel “De rerum natura” il poeta latino Lucrezio, adepto di Leucippo e Democrito, canta: “Gli atomi delle cose che hanno figure simili tra loro sono infiniti. […] E in verità, dato che l’intero spazio è infinito fuori dalle mura di questo mondo, l’animo cerca di comprendere cosa ci sia più oltre, fin dove la mente voglia protendere il suo sguardo, fin dove il libero slancio dell’animo da sé si avanzi a volo. In primo luogo, per noi da ogni punto verso qualunque parte, da entrambi i lati, sopra e sotto, per il tutto non c’è confine: come ho mostrato, e la cosa stessa di per sé a gran voce lo proclama, la natura dello spazio senza fondo riluce. In nessun modo quindi si deve credere verosimile che, mentre per ogni verso si schiude vuoto lo spazio infinito e gli atomi volteggiano in numero infinito e in somma sterminata, in molti modi, stimolati da moto eterno, soltanto questa terra e questo cielo siano stati creati, e niente facciano là fuori quei tanti corpi di materia”. Dunque, anche i mondi sono infiniti per i filosofi atomisti, precursori del multiverso delle stringhe! Né c’è via logica di scampo per chi, non credendo in un Logos creatore ma nel caso, deve giustificare l’ordine del “nostro” cosmo: “Ammettono vari mondi coloro i quali non stabilirono una sapienza ordinatrice come causa del mondo, ma il caso” (Tommaso, “Summa Theologiae”).

La poesia però è “poìesis” (in greco, fabbricazione), non è matematica (dal greco “màthema”conoscenza). La risposta alla domanda se una struttura aggregata reale possa contenere un infinito attuale di elementi, trovata per via logica da Hilbert fu “no”: non possono esistere insiemi cantoriani fisici. Nelle parole di Hilbert il veto suona: “Abbiamo dimostrato così che nella realtà non si trova l’infinito in nessun luogo, qualsiasi sia l’osservazione o l’esperienza che facciamo. […] Il nostro principale risultato è che l’infinito attuale non può esistere nel mondo reale, è unillusione” (D. Hilbert, On the infinite, in “Philosophy of Mathematics” – 1964. Edited by Paul Benacerraf and Hilary Putnam. Englewood Cliffs, NJ: Prentice-Hall). Hilbert stabilì così l’esistenza d’un limite per il numero delle particelle dell’Universo, che Eddington s’incaricò di calcolare.

Ebbene, contro il veto di Hilbert andrebbe un mondo che esistesse da sempre, perché in tal caso il tempo fisico conterrebbe infinite unità di Planck: se ne deduce che gli anni passati dall’inizio del tempo ad oggi sono un numero finito e che il mondo ha avuto un inizio. Se poi la sua età sia di 13 miliardi e mezzo di anni (secondo la teoria del Big Bang) o maggiore (come prevedono teorie non standard per le quali comunque vale il teorema BGV d’incompletezza del passato), questo è un problema della cosmologia scientifica. È notevole rilevare che già Aristotele, nella sua “Fisica”, era arrivato duemiladuecento anni prima, sempre per via logica, allo stesso risultato generale, senza trarne però l’applicazione alla necessaria origine del mondo. A margine segnalo che il veto di Hilbert non vale per un infinito tempo futuro: in questo caso, infatti, l’infinito sarebbe potenziale, non attuale. Nulla ci può dire la matematica sulla fine del mondo!

Giorgio Masiero

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09/02/2012 11:52
 
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I fisici del Cern accolgono la visita della Cei: «alleanza tra scienza e fede»

Nel dicembre scorso il direttore del Cern di Ginevra, ovvero l’Organizzazione Europea per la Ricerca Nucleare e il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle, ha invitato Benedetto XVI a visitare i laboratori. Rolf Heuer ha quindi dichiarato: «La teologia, la filosofia e la fisica sono tutte facce del sapere umano. Nessuna può escludere le altre. I rapporti fra Cern e Vaticano sono molto buoni, ho avuto un incontro con papa Benedetto XVI nel giugno 2011. All’inizio del prossimo anno abbiamo in agenda la visita di un gruppo di cardinali al Cern».

Così è stato infatti: pochi giorni fa -come riporta “Avvenire”- si è verificata una visita del Comitato per il progetto culturale della Cei, organizzata dal fisico italiano Ugo Amaldi. Vi hanno partecipato il cardinale Camillo Ruini, monsignor Ignazio Sanna, teologo e arcivescovo di Oristano, il cardinale Angelo Scola, il rappresentante della Santa Sede presso l’Onu, monsignor Silvano Tomasi, il paleoantropologo monsignor Fiorenzo Facchini, il demografo Gian Carlo Blangiardo, i filosofi morali Francesco Botturi e Paola Ricci Sindoni, la preside di Psicologia della CattolicaEugenia Scabini, il giurista Francesco D’Agostino, il filosofo Sergio Belardinelli e il direttore di Tvsat 2000 Dino Boffo. Sul quotidiano cattolico sono riportate diverse dichiarazioni dei partecipanti, in particolare quella del cardinale Camillo Ruini: «nulla implica che lo studio della natura precluda una dimensione diversa. Tommaso d’Aquino introdusse il concetto di media via per risolvere la grande questione del rapporto tra il cristianesimo e il pensiero aristotelico. Tommaso è ancora attuale. Aggiungo che le scienze aiutano gli epistemologi e i filosofi a studiare il funzionamento dell’intelligenza umana, come mi insegnava Bernard Lonergan»

Come dicevamo, a guidare la “spedizione” c’era il fisico Ugo Amaldi, anch’egli membro del comitato della Cei e uno dei più noti fisici italiani, già coordinatore di un esperimento del Lep e da un ventennio impegnato con la fondazione per adroterapia oncologica Tera, a trasferire il know how del Cern nella lotta contro i tumori (l’ultimo nato è il centro Idra pediatrico). Ha spiegato: «Uno scienziato può interpretare la realtà esclusivamente attraverso il dato naturale,relegando l’uomo in un ruolo marginale, oppure può credere che esista un Creatore che mantiene nell’essere la natura com’è, creata e libera di evolversi, affinché vi si sviluppino forme di intelligenza sempre più complesse, fino alla condizione umana che è abitata dal libero arbitrio e dall’anima. Questa visione non è in contrasto con il metodo scientifico: purtroppo la nostra società è imbevuta di questo naturalismo che afferma che tutto è solo natura, mentre il naturalismo aperto al trascendente ha un minore appeal». Con loro anche il direttore della ricerca del Cern, il fisicoSergio Bertolucci, il quale ha dichiarato: «Scienza e fede sono mosse dallo stesso desiderio di ricerca». Poi, tra il serio e il faceto: «Al Cern non produciamo atei».

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11/02/2012 19:43
 
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Il naturalista Attenborough: «fede in Dio compatibile con evoluzione biologica»

Ogni tanto occorre occuparsi anche della nota leggenda nerasecondo cui la fede in Dio sia in contrasto con l’adesione all’evoluzione biologica. Uno dei pionieri dei documentari naturalistici a livello internazionale si chiama David Attenborough, noto divulgatore scientifico e naturalista britannico. Oltre alle decine di premi e riconoscimenti, è stato nominato Membro onorario della Royal Society e della Società Zoologica di Londra.

Recentemente ha allarmato gli scientisti britannici in quanto, in un’intervista radiofonica ha detto che l’adesione all’evoluzione biologica e la fede in Dio non sono in contrasto e che, in quanto agnostico, non esclude la possibilità dell’esistenza del Creatore. Proprio l’opposto, quindi, di quanto sostenuto da alcuni suoi colleghi, che amano strumentalizzare la teoria evolutiva per perseguire fini religiosi (o, meglio, irreligiosi). Un esempio classico dalle nostre parti è ovviamente quello di Telmo Pievani (anche se il termine “collega” in questo caso risulta essere quasi blasfemo…). «Non penso che la comprensione e l’accettazione della storia di 4 miliardi di anni di vita sia in alcun modo in contrasto con la credenza in un essere supremo», ha spiegato l’85 enne Attenborough. «E io non sono così sicuro di definirmi ateo, preferisco dire di essere un agnostico».

La notizia non è questa ovviamente, sarebbe una novità se esistesse qualcuno a sostegno di Pievani e delle sue strumentalizzazioni ideologiche. Ciò che rende interessante la questione è l’irrazionale allarmismo del gran sacerdote degli Atei Americani, David Silverman, il quale si è subito precipitato a puntualizzare«Io non credo che lui abbia detto che ci possa essere Dio. Penso che quello che sta dicendo è che le persone che credono in Dio possono anche credere nel fatto scientifico dell’evoluzione. Abbiamo sentito dire la stessa cosa da parte della Chiesa cattolica»Sul Dailymaill’hanno invece presa con ironia: «C’è qualcosa di divino nell’aria. Agnostici e atei stanno cominciando ad annuire rispettosamente in direzione dell’Onnipotente, mentre ancora, naturalmente, sostengono che Lui non c’è». Anche riferendosi alla recente iniziativa dello scrittore Alain de Botton, si legge: «La voce stridula di Dawkins viene gradualmente emarginata dai ‘senza fede’ come lui».

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22/03/2012 15:36
 
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Lo spazio e Dio, 

dialogo tra Roberto Vittori e Antonino Zichichi

«La cosa più bella è l’atterraggio, il tornare a terra e scoprire che uomini siamo e uomini rimaniamo».  Con queste parole l’astronauta Roberto Vittori, partito l’anno scorso per una missione con lo Shuttle STS-134, è intervenuto recentemente all’evento Lo Spazio e Dio”voluto dall’Ufficio diocesano per la Pastorale Universitaria, dagli studenti della capitale in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca.

Ha raccontato la sua esperienza nello spazio anche il professor Antonio Viviani, scienziato di fama mondiale che nel 1994 e nel 1996, ha condotto due esperimenti fondamentali a bordo dello Space Shuttle Columbia  presso il NASA Marshall Space Flight Center. Ha ricordato quei momenti in questo modo: «l’esperimento è durato circa 7 ore, durante i brevi intervalli in cui potevo distogliere il pensiero da comandi, schermi, videoregistratori, cuffie, microfoni e quant’altro, mi rivolgevo mentalmente al Signore pregandolo di sostenermi fino al termine e che tutto andasse per il meglio [...]. Alla fine dell’esperimento andato a buon fine… non potevo fare a meno di pensare anche io alla grandezza del creato e di Dio». 

Questa grandezza è la spiegazione data dallo scienziato Antonio Zichichi sul perché «lo spazio- tempo a 4 dimensioni, non basta più per descrivere la logica di Colui che ha fatto il mondo. Secondo quello che possiamo capire alla base della nostra esistenza materiale c’è uno spazio-tempo con 43 dimensioni». Questa logica nasce«non osservando lo spazio, non osservando le stelle, ma studiando le pietre che sono state fatte dalla stessa Persona che ha fatto le stelleQuindi nulla è frutto del casoma c’è un Autore supremo al di sopra di tutto».  Lo scorso maggio Roberto Vittori è stato tra gli astronauti protagonisti dello storico collegamentotra Benedetto XVI e la Stazione Spaziale Internazionale: «Il Santo Padre – ha raccontato -  è stato assolutamente capace di superare la barriera dello scienziato e della tecnologia per entrare all’interno dei nostri cuori [...]. Per tutti noi quegli istanti, le sue parole di incoraggiamento e di speranza, rimarranno  per sempre nei nostri ricordi, come uno dei momenti fondamentali della missione spaziale».

Possiamo costruire astronavi ed andare nello spazio, possiamo allargare gli orizzonti della conoscenza oltre ogni nostra immaginazione ma, come ci ha ricordato Vittori, rimaniamo Donne e Uomini che si devono misurare con dei limiti, peso e grandezza di questa nostra umanità.

Marta Cutrera

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19/04/2012 17:01
 
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200 ricercatori firmano un manifesto contro l’uso delle embrionali

È stato appena presentato un manifesto in cui circa 200 spagnoli, tra uomini di scienza e di legge, richiedono la cessazione dell’utilizzo e della distruzione di embrioni umani: al governo di Spagna viene chiesta la riforma della legislazione in materia di riproduzione umana assistita e di ricerca biomedica, poiché attualmente consente pratiche che si oppongono alla normativa europea e soprattutto alla dignità umana.

Tale manifesto si basa su una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea che esclude la possibilità di registrare brevetti comportanti la manipolazione, la distruzione o l’uso commerciale e industriale di embrioni umani.

In particolare, si noti che la attuale legislazione spagnola consente la selezione genetica degli embrioni, la distruzione di embrioni avanzati da cicli di fertilizzazione in vitro o la possibilità di usarli per la ricerca e anche la clonazione. Infine, il manifesto chiede al governo di dedicare sufficienti risorse finanziarie per progetti di ricerca che utilizzano cellule staminali adulte.

Dopo l’ubriacatura di libertarismo, il buon senso torna dunque a farsi strada nella penisola iberica? Speriamo….

Linda Gridelli

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23/05/2012 22:52
 
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Il genetista Colombo: «dalla scienza nasce la ricerca dell’Assoluto»

Recentemente Benedetto XVI ha visitato il Policlinico Gemelli in occasione del 50° anniversario della Facoltà di Medicina e Chirurgia, dove ha sottolineato in modo sempre molto acuto il fecondo incontro tra scienza e fede, nella ricerca e nella medicina, anche se «spesso condizionato da riduzionismo e relativismo» che portano a oscurare il valore della vita e il significato della malattia. Questo tentativo di purificare la scienza da invadenze ideologiche ha fatto imbestialire chi solitamente plaude a questo tipo di strumentalizzazione della ricerca. Al contrario, il genetista Roberto Colombo, ordinario di Biologia Molecolare presso l’Università Cattolica, direttore del laboratorio di Biologia molecolare e Genetica umana e membro del Comitato nazionale per la Bioetica (nonché sacerdote), ha commentato in modo molto positivo queste parole del Pontefice.

Ha invitato i suoi colleghi biologi (giudicati la categoria di scienziati meno credenti in Dio) ad “uscire dal laboratorio”, ad aprire l’uso della ragione: «molti colleghi si fermano» alla«ricerca diagnostica: la ragione scientifica sembra avere esaurito il suo compito. Ciò che mi lascia insoddisfatto, inquieto, quando arrivo alla diagnosi, è una domanda: che senso ha per la vita di quel bambino, o di quella donna, il difetto genetico che ho scoperto? Perché è presente in loro, e non in me? Come può essere che dalla meravigliosa architettura della vita scaturisca una creatura che soffre per un difetto nel suo corpo? Ovvero, dove sta la radice profonda, la consistenza della nostra vita, nella quale posso cercare, domandare il significato di quello che scopro nel malato e in me stesso? È questo il punto, specifico di un biologo e medico, in cui si accende il quaerere Deum di cui parla il Papa: è l’inizio della ricerca dell’Assoluto, di ciò che è e non può non essere, a partire dal contingente, da quello esiste e non esiste nella realtà del corpo e della mente umana».papa

Lo studio della malattia, dunque, può divenire l’opportunità per il ricercatore di affrontare il senso della vita e della morte, «nella biomedicina e nella pratica clinica il limite, la finitezza della vita umana rimanda inesorabilmente ad altro da sé come fondamento di sé. Così, Benedetto XVI può affermare che “la nostalgia di Dio che abita il cuore umano” è il più potente “impulso alla ricerca scientifica”». Non a caso il metodo scientifico è nato nell’ambito del cristianesimo, come ha abilmente spiegato il docente di Storia e Filosofia della Scienza presso l’Università di Cambridge, James Hannam. Si cominciò a studiare la natura, la creazione (lasciando da parte l’empirismo a-teorico tipico della cultura antica) per conoscere meglio il Creatore.

Il genetista ha anche ricordato le parole del Papa, secondo cui «censurare la ragione quando si appella alla trascendenza è anti-scientifico, perché cancella la categoria suprema della ragione stessa, quella della possibilità», cioè la «”strana penombra” – così la chiama il Papa – che grava sull’orizzonte della realtà non può essere ultimamente chiarita dalla sola ragione, ma questa, se è libera di spalancarsi su tutto il reale, lascia aperta la possibilità che l’autore della vita, Dio stesso, si faccia incontro a noi e ci sveli il volto profondo della realtà della vita umana che lo scienziato e il medico indagano. Una possibilità che storicamente si è realizzata in Gesù di Nazareth». Questa apertura della ragione è proprio quel che differenzia la razionalità dal razionalismo.

«La via della scienza e quella della fede si incontrano attraverso la ragione sul sentiero tracciato da Dio stesso nella storia. Per un uomo di scienza e di medicina non sarebbe ragionevole sbarrare la strada a questo percorso alla ricerca del senso ultimo della vita, della salute e della malattia». Occorre fare attenzione, non si invita lo scienziato a divenire filosofo e teologo (ogni sapere ha un percorso autonomo), ma «è la domanda sul senso ultimo delle cose che si studiano –qualunque esse siano – che deve essere vivace inciascun ricercatore, medico e docente».

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04/06/2012 13:42
 
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Pontifex.RomaIL MONDO E' PIU' GIOVANE DI QUANTO PREVEDEVA LA TEORIA DELLA EVOLUZIONE?

La teoria evolutiva afferma che le comete hanno la stessa età del sistema solare, in quanto formatesi dalla stessa nebulosa primordiale, circa 5 miliardi di anni fa. E' dimostrato scientificamente, però, che ogni qualvolta una cometa passi nei pressi del Sole abbia una perdita così consistente di materiale che, dati alla mano, non può superare un limite massimo di sopravvivenza di 100.000 anni: la vita media di una cometa è stimata intorno ai 10.000 anni. Il Sistema solare e la Terra, sono allora misurabili in questi ordini di età? Le comete sono quell' orologio capace di fornire la giusta datazione del Mondo? Sembrerebbe di si. Gli evoluzionisti, che come si diceva hanno bisogno di tempi lunghissimi, innanzi alla preoccupante discrepanza delle datazioni fornite dalle comete, sono ricorsi necessariamente ai ripari con le più disparate congetture:  -in primis la nuvola di Oort, panacea di tutti i mali, un ipotetico luogo spaziale al di là di Plutone,  mai osservato, dal quale proverrebbero le comete di lungo termine.

- in secondo luogo con l'ipotesi di mai dimostrate interazioni gravitazionali con altre stelle e pianeti, che spingerebbero o rallenterebbero comete all'interno del Sistema solare, tanto da renderne possibile l’osservazione.

-in ultimo con la "cintura Kuiper" come ipotetica sorgente di comete, la quale però non risolve il problema degli evoluzionisti, poichè, secondo la loro teoria, la cintura Kuiper si consumerebbe velocemente, se non ci fosse la nube di Oort a rifornirla.

L'astronomo russo S.K Vsechsviatskij, direttore dell'osservatorio di Kiev, ha compiuto un approfondito studio sulle comete periodiche. I risultati sono che: le comete periodiche perdono materia talmente velocemente da disintegrarsi del tutto entro 50 o al massimo 60 rivoluzioni intorno al Sistema solare.

Ne abbiamo fulgido esempio dalle comete di breve periodo, come ad esempio la cometa di Arund-Rolenson, la Kohoutek, e la famosa cometa di Halley.

Proprio quest'ultima, durante l'ultimo passaggio vicino alla Terra, venne vista spezzarsi durante la fase di allontanamento.

Sono parecchie le comete di breve periodo, osservate negli ultimi 100 anni, che non sono più tornate e, che a rigor di logica, si sono distrutte consumandosi completamente.

Infine, per un ulteriore riprova di una Terra recente, c'è da prendere in considerazione l' effetto Poyntig - Robertson, che secondo Richard Milton "prevede che le particelle di polvere interplanetaria vengano spinte fuori del sistema solare e nello spazio, dalla pressione della radiazione proveniente dal Sole, mentre le particelle più grandi verrebbero rallentate nelle loro orbite e attirate all'interno del Sole".

Nel 1951 fu teoricamente prevista l'esistenza di un vento solare in grado di agire in tal senso, ma solo dal 1962 venne la conferma sperimentale tramite una sonda spaziale americana in rotta verso Venere.

La sonda misurò un flusso costante di protoni ed elettroni intorno al pianeta Terra, con una densità compresa fra una e dieci particelle per centimetro cubo.

E' importante mettere in rilievo il fatto che entrambi gli effetti di dispersione della polvere, siano previsti nell'arco di meno di 100.000 anni dalla formazione planetaria.

E allora come parlare di miliardi di anni?

L'universo è un mondo giovane, e Dio, ha creato tutto dal nulla in maniera diretta.

Deo gratias!

Giorgio Mastropasqua

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15/06/2012 21:19
 
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La neuroteologia: un verdetto sulla fede?

 

di Maria Beatrice Toro
*psicologa e psicoterapeuta

 

Nell’ultimo decennio si sono moltiplicate le ricerche in merito alla “neuroteologia”, ovvero lo studio della correlazione tra la percezione soggettiva di spiritualità e la chimica del cervello umano. Si tratta di un  campo di studi in espansione, che si presta bene a riflessioni di stampo sia psicologico che religioso. La questione centrale della neuroteologia è rappresentata da una domanda: in che modo il funzionamento del cervello influisce sulla capacità di fare esperienze di tipo spirituale/ religioso? La domanda in sé mostra un deciso spostamento di focus rispetto alla precedente posizione psicologica (che possiamo definire “scientista”), che affermava con decisione la totale irrazionalità della fede. In tempi postmoderni, in cui vecchie contrapposizioni sembrano meno significative, anche la contrapposizione fede/ragione sembra poter esser superata o, almeno, letta sotto una nuova luce.

La capacità di connettersi con il trascendente, qualcosa che vada oltre il proprio sé, rappresenta l’aspetto centrale della spiritualità, riscontrabile in diverse culture e religioni. Tale abilità trova delle corrispondenze nell’attitudine – riscontrabile a livello cerebrale – che alcune persone presentano in modo spiccato, di minimizzare il funzionamento del lobo parietale destro ed enfatizzare l’uso di altre zone. Attraverso la preghiera e la meditazione (che funzionano come un training che sviluppa le sopracitate abilità) si ottiene un progressivo affinamento della capacità di entrare in contatto con la dimensione spirituale.

I nuovi studi – pubblicati su International Journal of the Psychology of Religion – mostrano che la situazione neurologica corrispondente all’esperienza spirituale è più complessa di quanto avessero ipotizzato i primi studi di Newberg e D’Aquili: più che un’area distinta, secondo gli scienziati della University of Missouri, si tratterebbe dimolteplici aree che si attivano secondo uno schema peculiare. Il dato della inattivazione del lobo parietale destro rimane confermato (basti pensare che chi subisce una lesione in quest’area tende a disinteressarsi di sé, aprendosi maggiormente agli altri e al trascendente),  mentre le altre aree coinvolte risultano essere il lobo frontale, ma anche zone sottocorticali. La spiritualità, in base a questi studi, ci appare come un qualcosa di dinamico che utilizza diverse parti del cervello per poter essere sperimentata.

Ma perché è così importante la capacità di inattivare il lobo parietale destro? Esso comprende aree destinate alla capacità di orientarsi nello spazio e nel tempo, che vanno perdute nell’esperienza spirituale. Diverse tecniche meditative sono orientate ad astrarsi dalla dimensione spaziotemporale concentrandosi su un punto o su una sequenza di parole: ciò apre la mente verso un’esperienza qualitativamente diversa, di attenzione a “qualcosa di più grande”. Brick Johnstone, professore di psicologia della salute, ha studiato venti individui con un trauma cerebrale che coinvolgeva il lobo parietale destro, trovando che si sentivano meno concentrati su se stessi e maggiormente disposti verso la spiritualità. In più, le persone religiose riescono ad attivare il lobo frontale, contemporaneamente alla disattivazione del lobo parietale destro.

Possono tali dati darci un verdetto sulla fede? La neuroteologia ci offre una serie di interessanti informazioni, come abbiamo visto, su alcuni nessi tra spiritualità e cervello: i “sensi” spirituali di cui parla la teologia trovano un loro corrispondente neurologico; e, aggiungerei, nulla di meno, nulla di più. La scienza, lo sappiamo, è una questione di metodo: un modo di conoscere la realtà attraverso prove, verifiche, falsificazioni, che non si muove, di per sé, nè in direzione religiosa, nè antireligiosa. Volerne fare un giudice di cosa sia vero e cosa non lo sia è, a mio parere, contrario allo spirito scientifico medesimo, che non pretende di trovare una verità ultima, ma, al contrario, cerca incessantemente di trovare ipotesi soddisfacenti per spiegare i fenomeni naturali; si tratta di ipotesi che vengono, nel tempo, soppiantate da idee nuove, in un movimento progressivo. Non credo, allora, che la neuroteologia “smascheri” la spiritualità rivelando la sua natura di effetto (o malfunzionamento) elettrico del cervello, ma, nemmeno, chemostri il “perché” dell’esperienza spirituale. La scienza mostra come i fenomeni avvengano, il “perché” è qualcosa di non scientifico.

Esiste, in base alla neuroteologia, una funzione del cervello che produce un senso di connessione con il trascendente: se si tratti di un “effetto collaterale” dell’evoluzione di altre abilità fondamentali per la sopravvivenza, quali la solidarietà e una disposizione speranzosa verso la vita, o della prova che l’uomo è capace di Dio, non sta alla ricerca neurologica spiegarlo; resta una questione di fede. Tentare di ridurre la spiritualità a movimenti neuro elettrici o, d’altro lato, voler usare i neuroni come prova dell’esistenza di Dio, possono esser visti come vestigia di antichi dibattiti, che opponevano scienza e fede. Eppure tante volte si è affermato che la scienza non può  provare, né confutare la veridicità di proposizioni metafisiche: si tratta di un upgrade di tale metodo oltre i suoi confini. La fede è un modo di fare esperienza diverso, che fa entrare il credente in una dimensione conoscitiva peculiare; oggi sappiamo che si entra in questa dimensione attraverso un funzionamento “tipico” del cervello. Il corpo umano funziona in modi diversi a seconda dei compiti che svolge: quando percepiamo qualcosa con la vista, si attiva il lobo occipitale, ed è bene saperlo, ma, per evitare commistioni improbabili, non è lì che dobbiamo cercare se la cosa vista ci sia davvero o se sia solo un’illusione dei sensi.

 

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25/07/2012 00:53
 
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Sette scienziati contro il riduzionismo:
«l’uomo è ben oltre i suoi geni»

Sono passasti diversi anni da quando il premio NobelJames Watson diceva: «Noi eravamo abituati a pensare che il destino dell’uomo fosse scritto nelle stelle. Ora sappiamo che, in larga misura, è scritto nei nostri geni». Oggi più nessuna persona seria sosterrebbe una sciocchezza del genere, tranne ovviamente il manipolo di seguaci di Richard Dawkins, il quale nel 2007 ha dimostrato di credere ancora del determinismo genetico, scrivendo ad esempio metafore come questa: «Se in battaglia l’egoista se ne sta nelle ultime file per salvare la pelle, ha probabilità solo di poco inferiori a quelle dei compagni di finire tra i vincitori. Il martirio dei commilitoni gli gioverà più di quanto non giovi in media a ciascuno di loro, in quanto essi saranno mòrti. L’egoista ha più probabilità di riprodursi di loro, e i suoi geni, avendo rifiutato il martirio, hanno più probabilità di replicarsi nella generazione successiva. Quindi la tendenza al martirio diminuirà nelle future generazioni». (“L’illusione di Dio“, Mondadori 2007, pag. 119,120). Sarebbero dunque i geni a rifiutare il martirio, perché i geni determinano chi siamo e il nostro destino.

Interessante leggere quanto ha scritto in questi giorni, allora, il prof. Carlo Soave, ordinario di fisiologia vegetale all’Università degli Studi di Milano. Si parla dell’anniversario del sequenziamento del genoma umano e della deriva riduzionista che ne è sorta attraverso concetti come “il Dna è il codice della vita”. «Nel dire ciò», ha ricordato il prof. Soave, «c’era dentro implicitamente il concetto che la nostra vita è definita e come tale quella di tutti gli organismi viventi da quello che c’è nel dna. L’idea che sostanzialmente siamo determinati dai nostri geni [...]. Non è vero. Il codice della vita non è un codice, ma sono degli strumenti in mano al nostro organismo vivente il quale usa di questi strumenti più altri centomila per condurre la propria vita. Chi ha l’informazione è l’organismo intero e non il dna [...]. La gente si immagina che nel dna c’è scritto il nostro destino, la salute e la malattia». Scientisti e astrologi sono molto simili nella loro superstizione, perché ritengono che tutto sia già stato scritto, che non vi sia libertà nell’uomo: «nella concezione di essere profondamente condizionati dal nostro dna», ha concluso il fisiologo, «su questa base il nostro destino è uscito per caso alla roulette. Se invece non è vera questa ipotesi cambia lo scenario. Attorno a questi problemi si gioca cosa è l’uomo che  è poi quello che ci interessa. Attorno a queste cose ruota laconcezione ontologica chi siamo e cosa siamo».

Qualche mese fa un concetto simile è stato espresso da Aleksandr Kogan, ricercatore presso l’Università di Toronto: «Ogni volta che un nuovo studio esce, i media segnalano che un nuovo gene è stato trovato: c’è il gene della depressione, il gene criminale , o il gene della tenerezza [...] . Ma non è corretto. In una certa misura, è vero che i genigettano le basi di quello che siamo. Dopo tutto, gli esseri umani sono creature biologiche (non sono rocce) e i geni sono gli elementi costitutivi del nostro hardware biologico. Le nostre menti sono fondamentalmente basate sull’esistenza di questo hardware biologico, così i nostri geni sono le fondamenta per quello che siamo. Ma questo è ben lungi dal dichiarare che un particolare gene è responsabile di un particolare tratto di personalità [...].Ci sono molti, molti fattori non genetici che influenziano chi siamo [...].  Quando si considera una persona in particolare, è estremamente difficile fare una domanda su quello che potrebbe essere basandosi sulla conoscenza dei suoi geni».

Il professore di biologia e neurobiologia alla Open University e alla University of London, Steven Rose, (nonché noto critico di Richard Dawkins), ha dichiarato: «L’uomoha capacità precluse a qualsiasi altra specie animale sulla Terra. E’ unico. Anche con le scimmie c’è una differenza talmente grande, sopratutto qualitativa. Gli organismi sono multidimensionali (tre dimensioni spaziali più una temporale) mentre il DNA è una fila monodimensionale: non si può passare da 1 a 4. Non si può conoscere l’uomo (se sarà violento, religioso, radicale, conservatore, omosessuale o eterosessuale) decifrando il DNA» (in “La scienza e i miracoli”, TEA 2006, pag. 96-97).

Anche il neodarwinista Francesco Cavalli Sforza ha riconosciuto che «L’esistenza di una mutazione del Dna ci fa pensare a qualcosa di scritto dentro di noi, di ineluttabile. Ma non è affatto così [...]. Nessun uomo è figlio solo dei suoi geni». Lo stesso è stato riconosciuto -seppur con qualche limite- da Edoardo Boncinelli, responsabile del Laboratorio di Biologia dell’Istituto San Raffaele di Milano durante un convegno al Meeting di Comunione e Liberazione«il determinismo genetico si deve intendere nel senso che qualche volta c’è un diritto di veto da parte di alcuni geni in alcune persone, ma per quanto riguarda tutto il resto ci sono ampie opportunità a ciascuno di noi di seguire la propria strada [...].  I geni non potrebbero, nemmeno volendo, controllare tutti i nostri  pensieri e i nostri atteggiamenti».

Il prof. Luca Sangiorgi, genetista e dirigente Responsabile della struttura di Genetica Medica dell’Istituto Ortopedico Rizzoli di Bologna, si è a sua volta soffermato sul determinismo genetico, ovvero nell’«associare alcuni geni con una maggiore tendenza a fumare, a tendenze suicide, a bere più alcool, alla timidezza; per non parlare dei presunti geni dell’omosessualità e della schizofrenia. La mia personale simpatia in questo campo va al così detto gene dell’appetito che sembra essere particolarmente espresso nei suini. L’eccessiva enfasi attribuita alla costituzione genica dell’uomo fa dimenticare che la vita umana è qualcosa di più della mera espressione di un programma genetico scritto nella chimica del DNA».

Infine, il prof. Marco Pierotti, direttore del Dipartimento di Oncologia Sperimentale dell’Istituto Nazionale per lo Studio e la Cura dei Tumori (INT), si è proprio domandato: “Il nostro destino è nei geni?”. Per rispondere, ha spiegato, «non si può prescindere dal passare a considerare che cosa sia in fondo l’uomo. Credo che sia il punto centrale della questione a cui non si possa sfuggire dietro ragionamenti o teorie, ma in cui bisogna giocare la propria esperienza, la propria vita, i propri incontri. La complessità biologica che risiede nella possibilità di milioni di miliardi di combinazioni nel modo in cui possono essere espressi i geni di una mia cellula chiude in sé elementi di una libertà biologica che contrasta il rigido determinismo della composizione genica stessa: alla realtà biologica o misurabile si accoppia una realtà non misurabile costituita dalle mie idee, dai miei giudizi, dai miei desideri , dalla mia libertà di aderire a una proposta con un sì o con un no».

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04/09/2012 21:40
 
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Lafforgue, medaglia Fields (2002):
«la matematica è antirelativista, contempla Dio»

Agnoli ha anche ricordato che tre anni fa partecipò al “Meeting”di Comunione e Liberazione anche il celebre matematico franceseLaurent Lafforgue, professore all’Institut des hautes études scientifiques, membro dell’Académie des sciences, vincitore della massima onorificenza nel campo matematico, la Medaglia Fields (2002) . Ha contributo in modo determinante nel campo della teoria dei numeri e della geometria algebrica, dimostrando parte delle cosiddette congetture di Langlands. Da qui si può scaricare il testo della sua relazione in quell’occasione.

In un’intervista per Ilsussidiario.net, sempre nel 2009. parlando dell’inizio della matematica con i greci e della sua espansione nel mondo moderno, Lafforgue ha spiegato«Perché ciò accadesse bisognava considerare importante la materia. E ciò sembra profondamente legato al cristianesimo. Questa mia è un’ipotesi; ma penso che il disprezzo della materia non sia cristiano. Una cosa che noto con i miei colleghi matematici e fisici è cheio sono più materialista di loro. C’è una doppia tentazione: da una parte rifiutare la materia, cioè la tentazione idealista; all’opposto, c’è la tentazione di buttare la scienza moderna fondata sull’interpretazione matematica dell’universo. Da un certo punto di vista sarebbe tutto più semplice se il mondo fosse solo una struttura matematica, o se la matematica non avesse nulla a che vedere con il mondo fisico. La realtà è che la materia è sottomessa a leggi matematiche ma non si riduce a queste leggi. E questo è un mistero. In sé la relazione della matematica col mondo fisico resta un mistero. La matematica è una tradizione, come la Chiesa; implica una trasmissione vivente e quindi si pratica in seno a una comunità».

Solo 5 giorni prima di questa intervista, a Parigi, presso la Biblioteca nazionale di Francia, il 23 ottobre 2009, ha partecipato ad un incontro sul tema “Simone Weil e la matematica”, citando la frase della filosofa francese, “La matematica è la prova che tutto obbedisce a Dio”ha aggiunto: «la matematica e la scienza sono studio e contemplazionedell’obbedienza a Dio da parte delle entità matematiche e della materia». Lo scienziato,ha detto in un’altra occasionenon può essere relativista, ma «la vocazione del soggetto che conosce non solo è cercare la verità, servirla e conoscerla esteriormente. La vocazione è ricevere la verità e parteciparne, così come la vocazione umana è ricevere la vita divina. Per la sua oscurità e la sua profondità misteriose, a causa della sua mescolanza di fatti crudi e di bellezza, la verità conoscibile ha in effetti qualche cosa che evoca davvero la profondità insondabile caratteristica dell’essere divino. Per la sua oscurità e la sua profondità misteriose, a causa della sua mistura di saperi che riguardano i fatti e di tensione verso la bellezza dell’intelligibile, la conoscenza ha essa stessa qualche cosa che evoca la profondità insondabile di Dio. Grazie alla sua sottomissione ai fatti, la verità conoscibile possiede un legame con Colui che discende nelle profondità dell’Essere terrestre, con il Verbo fatto carne. Grazie alla sua sottomissione ai saperi specifici, la conoscenza possiede un legame con il Verbo incarnato».

Agnoli ha acutamente sottolineato che in un’epoca di relativismo come la nostra, benché si abbia quasi ripugnanza per “la verità”, come se essa fosse limite ed imposizione, non se ne può fare a meno per fare vera ricerca. La fede nell’esistenza della verità -definita “il fondamento di ciò che è”-, è dunque essenziale alla vita intellettiva di ogni uomo che vuole conoscere, e la Verità diventa accessibile a chi si dona e si inchina ad essa. La Verità si dona a chi è disposto a donarsi a lei, il cristianesimo -d’altra parte- è iniziato proprio così: un Uomo eccezionale ha preso iniziativa verso altri uomini, ma soltanto coloro che Lo stavano attendendo davvero Lo hanno riconosciuto.

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11/10/2012 23:55
 
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Quando  su alcuni giornali
si disprezzavano le cellule staminali adulte

Era il 2005 ma sembra passato un secolo da quando i principali quotidiani del Paese – quelli letti da gente colta e perbene, mica da talebani cattolici – spiegavano che coloro che avrebbero disertato il referendum sulla Legge 40/2004 e, più in generale, gli studiosi (Angelo Vescovi, Bruno Dallapiccola e tanti altri) che ritenevano superflua e infruttuosa – oltre che eticamente discutibilissima – la ricerca sulle cellule staminali embrionali in favore di quella sulle staminali adulte, erano nel torto. Torto marcio.

L’equilibratissimo Corriere della Sera, per dire, all’indomani dell’indizione del referendum si schierò subito – neanche il tempo di ragionarci su, di riflettere, di berci sopra un caffè – a favore del “Sì”. In prima pagina, of course: «Il nostro è un sì soprattutto in difesa dellalibertà di ricerca scientifica (che altrimenti subirebbe gravi limitazioni con l’impossibilità di mettere a punto cure per malattie come Alzheimer, Parkinson, sclerosi, diabete)» (Corriere della Sera, 14/1/2005). E le staminali adulte? Quella non era una frontiera di ricerca? No, zero. Neanche un accenno. Roba da cattolici preconciliari, avranno pensato in via Solferino.

Memorabili, poi, le sconfortate dichiarazioni riprese da Repubblica all’indomani del referendum che confermò l’impossibilità di ricercare sulle cellule staminali embrionali. Il padre della fecondazione in vitro italiana, il prof. Carlo Flamigni, si avventurò in cupi pronostici: «l’Italia sarà costretta ad acquistare i brevetti di ciò che altri hanno scoperto, perché messi in grado di ricercare e lavorare in questa direzione» (La Repubblica, 14/6/2005, p. 12). Umberto Veronesi, dal canto suo, non fu da meno: «Il limite principale sarà posto alla ricerca sulle cellule staminali embrionali, che rappresentano davvero una grande promessa della biomedicina» (La Repubblica, 15/6/2005, p. 8).

Oggi cosa succede? Succede che Shinya Yamanaka e John Gurdon, i principali studiosi sulle staminali adulte – o, meglio, coloro che hanno dimostrato che è possibile (come molti ipotizzavano, inascoltati, già nel 2005) “riprogrammare” le cellule staminali adulte fino a renderle paragonabili a quelle embrionali – ricevono il premio Nobel per la Medicina.

Nel frattempo lo studioso Hwang Woo-Suk, che Repubblica definì l’«eroe coreano» (la Repubblica, 14/6/2005, p. 12) e considerato la promessa mondiale per le cellule staminali embrionali, si è rivelato un totale imbroglione; nel frattempo non le parrocchie ma i più avanzati centri di ricerca – pensiamo, per dirne un paio, ai casi della californiana Geron biopharmecuetical e della Susan G. Komen for the Cure Foundation, la più importante fondazione contro il cancro al seno degli Stati Uniti – hanno abbandonato la ricerca sulle cellule staminali embrionali, ritenute poco utili sul fronte terapeutico.

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11/01/2013 13:35
 
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I limiti del naturalismo e la rinascita della filosofia cristiana

Il naturalismo è fortemente sostenuto dal movimento dei “New Atheist”, che Lane Craig definisce «un fenomeno pop culturale privo intellettualmente di muscoli e beatamente ignorante della rivoluzione che ha avuto luogo nella filosofia accademica. Nei miei dibattiti con filosofi e scienziati naturalistici sono stato francamente sbalordito dalla loro incapacità di confutare i vari argomenti su Dio e fornire argomenti convincenti per il naturalismo»

Inoltre, ha continuato, il naturalismo deve affrontare gravi problemi di esistenza. Il filosofo Alvin Plantinga ha infatti sostenuto in modo convincente che il naturalismo non può nemmeno essere razionalmente affermato perché se è vero il naturalismo, allora la probabilità che le nostre facoltà conoscitive siano affidabili è piuttosto bassa (la questioneè stata affrontata anche sul nostro sito web)In brevi parole: se il naturalismo fosse vero, non potremmo avere alcuna fiducia sulla verità delle nostre facoltà conoscitive, dunque anche la credenza del naturalismo in sé. Così, il naturalismo sembra avere una falla che lo rende incapace di essere razionalmente affermato.

Ma l‘umanista, prosegue il filosofo, ha problemi ancora maggiori. Secondo lui i valori morali oggettivi sono fondati sugli esseri umani e questo è in contraddizione sia con il teismo -il quale sostiene che i valori morali oggettivi sono fondati in Dio-, sia con il nichilismo, -il quale sostiene che i valori morali sono infondati e quindi in ultima analisi soggettivi e illusori-. «L’umanista», ha quindi concluso, «è impegnato in una lotta su due fronti: da una parte contro i teisti e dall’altra parte contro i nichilisti. In particolare, egli deve dimostrare che, anche in assenza di Dio, il nichilismo non sarebbe vero». 

William Lane Craig ha anche citato uno studio di Quentin Smith, docente presso il Dipartimento di Filosofia della Western Michigan University, intitolato La metafilosofia del Naturalismo, nel quale si spiega come la comunità filosofica oggi -al contrario del secolo scorso- sia in maggioranza formata da teisti cristiani«con più di cinque riviste dedicate al teismo filosofico o alla filosofia della religione». La maggioranza dei filosofi naturalisti «ha reagito ignorando l’aumento di desecolarizzazione della filosofia, procedendo a lavorare nella propria area di specializzazione». Ha dunque riconosciuto Smith: «Dio non è “morto” in ambito universitario, è tornato in vita alla fine del 1960 ed ora è vivo e vegeto nella sua roccaforte accademica: il dipartimento di filosofia».

Lo stesso Lane Craig ha a sua volta confermato: «La rinascita della filosofia cristiana è stata accompagnata da una rinascita di interesse per gli argomenti dell’esistenza di Dio, basati sulla ragione e sulle sole prove, senza la risorsa della rivelazione divina. Tutti gli argomenti tradizionali per l’esistenza di Dio, come quelli cosmologici, gli argomenti teleologici, morali e ontologici, e nuovi argomenti, trovano intelligenti difensori nell’articolato panorama filosofico contemporaneo».

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15/01/2013 17:50
 
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“Intervista ai maestri”, si cresce solo seguendo

Intervista ai maestriVerso la fine dell’Etica a Nicomaco, dopo aver ricordato che l’uomo, per l’anima razionale che lo informa, è reso simile agli dèi,Aristotele, maestro di coloro che sanno, scriveva: «Ma non bisogna dar retta a coloro che consigliano all’uomo, poiché è uomo e mortale, di limitarsi a pensare a cose umane e mortali; anzi, al contrario, per quanto è possibile, bisogna comportarsi da immortali e far di tutto per vivere secondo la parte più nobile che è in noi.» L’intelletto, parte divina dell’uomo, ci fa conoscere la verità, e l’uomo sapiente sarà anche il più virtuoso perché in ogni azione della sua vita sarà in grado di riconoscere ciò che è giusto.

Aristotele ha grandi meriti, ma la sua lezione sarebbe rimasta incompleta se San Paolo, Apostolo di Cristo, non ci avesse lasciato un toccante monito: «se avessi il dono della profezia e conoscessi tutti i misteri e tutta la scienza e avessi tutta la fede in modo da spostare le montagne, ma non avessi la carità, non sarei nulla.» Carità nella Verità e Verità nella Carità, solo in questa sintesi sta il vero bene per l’uomo, il principio primo ed il fine ultimo della sua vita.

Noi siamo chiamati a vivere nel mondo, nella società, nella famiglia, scoprendo che a fondamento di tutto, ed al di là dei conflitti che continuamente ci si presentano, c’è in realtà una Volontà buona la quale a tutto conferisce senso, e che da Essa e per Essa tutti noi siamo nati al fine di essere amati in eterno. Come scriveva Joseph Ratzingercommentando la Genesi: «Quando appresero che il mondo è dalla parola, non solo fu tolta agli uomini la paura degli dèi e dei demoni, ma il mondo fu reso libero per la ragione, che si eleva verso Dio, e all’uomo fu concesso di incontrare senza paura quel Dio.» Esser felici non implica allora ritirarsi dal mondo, in una vita contemplativa e distaccata, nell’atarassia e nel disincanto; non il distacco, ma la relazione con l’altrorende felici, donarsi, amare l’altro incondizionatamente perché in ognuno c’è del buono e, come scriveva ancora San Paolo, compiacersi della verità; così si completa la lezione di Aristotele, perché senza la carità non potremmo mai renderci simili al Dio che ci ha creato.

È possibile oggi, in una società in cui dominano relativismo e scetticismo, proporre una tale concezione? Quanti potrebbero comprenderla? Chiunque senta un forte desiderio di autenticità, ed intraprenda, animato dalla carità, il cammino verso la verità, ha bisogno di una guida con l’esperienza necessaria ad indirizzarlo nell’inesauribile varietà e complessità del mondo. C’è bisogno di maestri. Per tutti coloro che siano alla ricerca, sarà sicuramente di grande aiuto il libro di Irene Bertoglio Intervista ai maestri.

L’autrice spiega chiaramente le ragioni che l’hanno portata a scrivere: in anni ormai passati aveva accettato, come Leopardi, una visione malinconica della vita, una concezione del mondo secondo cui, come per Sartre, nulla sembrava aver senso; l’incontro con alcune persone particolari (la Provvidenza sa ben fare il proprio mestiere) l‘ha cambiata; si tratta di persone che hanno riconosciuto la verità e la legge di Dio incisa nei propri cuori e che cercano costantemente di testimoniarla nelle loro vite. Non sono essi stessi a definirsi maestri, sono solo persone che provano, nei limiti propri di ognuno, a vivere nella carità; essi appaiono però come maestri agli occhi dell’autrice, perché tali sono stati per lei, e ciò l’ha spinta a pubblicare queste interviste, al fine di condividere con molti altri quanto lei ha potuto imparare da queste persone e delle ragioni su cui esse fondano le proprie vite.

I personaggi intervistati sono tutti cattolici, e benché siano attivi in settori diversi, in un modo o nell’altro hanno tutti fatto della trasmissione di idee e valori il proprio mestiere: sono infatti insegnanti, giornalisti, scrittori e docenti universitari; l’unico non laico è il Cardinal Josè Saraiva Martins. Ma attenzione a non scambiarli per superuomini con le soluzioni pronte per tutte le difficoltà della vita! Non lo sono ovviamente, sono persone semplici, che però hanno convinzioni profonde ed autentiche, e con la loro esperienza e testimonianza possono insegnare a tutti come combattere la buona battaglia. Francesco Agnoli ad esempio, che oltre ad essere giornalista è anche insegnante, spiega quanto sia difficile orientare i ragazzi al vero e al bene, in una società che sistematicamente propone l’individualismo, il relativismo morale, insegna a dubitare di qualsiasi cosa e ad evitare impegni e responsabilità stabili. Affrontare queste difficoltà è dura, richiede di lottare anche contro se stessi, le proprie debolezze e turbamenti; soltanto grazie ad un cuore saldamente ancorato nella Carità e nella Verità è possibile resistere, sia che si abbia successo sia che si fallisca, ed è questo che rende queste persone dei veri maestri.

Il vero maestro è inoltre colui che ha fiducia nel suo allievo, fiducia nell’umanità che riconosce essere essenzialmente buona, e per questo si spende per essa. Come lo scrittore Carlo Climati, che studia i giovani ed il loro mondo e, pur vedendone tutti i lati oscuri, invita a non trascurarli, a prendersi cura di loro, perché ne vede le potenzialità e sa che con il giusto impegno è possibile tirar fuori ciò che in essi c’è di buono. ComeCostanza Miriano, che di fronte all’attuale crisi della famiglia, con il conseguente disastro educativo, invita a riscoprire l’importanza del matrimonio fondato sull’amore nel suo significato più autentico, ossia dono di sé e responsabilità, rifiutando la deplorevole mentalità per cui si considera l’altro solo in funzione della propria soddisfazione e realizzazione, e che conduce ad unioni precarie che presto finiscono lasciando solo amarezza e sofferenza.

Ci sono poi coloro che hanno fatto dell’apologetica popolare una loro personale missione, come Rino Cammilleri e Giampaolo Barra, impegnati nella demolizione delle tante leggende nere anticristiane relative ad esempio ai cosiddetti Secoli Bui, l’Inquisizione, le Crociate o il tanto discusso conflitto tra fede e ragione. Chi scrive queste righe, per introdurre una nota personale, viene da una formazione scientifica, fino a qualche anno fa era agnostico ed infarcito dei ben noti luoghi comuni secondo cui il Cristianesimo avrebbe ostacolato il progresso scientifico; ebbene, proprio iniziando a studiare seriamente la storia della scienza, i pregiudizi si sono pian piano dissolti ed è iniziato un cammino di riavvicinamento alla Chiesa Cattolica (la Provvidenza lavora bene, come già detto). Anche gli autori qui nominati sono stati assai d’aiuto in questo percorso, ed è stato molto interessante pertanto leggere nelle interviste le loro esperienze.

Infine, tra gli altri, è opportuno ricordare l’attività di Massimo Introvigne, sociologo di fama internazionale e reggente vicario nazionale di Alleanza Cattolica, un’associazione il cui scopo principale è la promozione della dottrina sociale della Chiesa. Gli altri personaggi intervistati sono: Rodolfo Casadei, Riccardo Cascioli, Marco Cimmino, Marina Corradi, Renato Farina, Alessandro Gnocchi, Paolo Gulisano, Camillo Langone, Roberto Marchesini, Luca Marcolivio, Giacomo Samek Lodovici e Cristina Siccardi.

Ogni capitolo inizia con una nota introduttiva sull’intervistato, in cui la Bertoglio dà anche prova di notevole cultura con l’inserimento nel testo di molte citazioni, sempre azzeccate e ben integrate, di tanti autori diversi. Da segnalare in conclusione che parte del ricavato dalla vendita verrà devoluto all’associazione La Quercia Millenaria ONLUS, che si occupa dell’assistenza alla gravidanza nei casi di malformazione fetale. Il libro è acquistabile on line tramite il sito www.leolibri.it

Francesco Santoni

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01/02/2013 15:45
 
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Il biologo Rupert Sheldrake:
«chi nega la coscienza si contraddice»

L'illusione della scienzaA difendere l’irriducibilità dell’uomo e la teleologia dell’evoluzione biologicadalle pretese dell’idelogia scientista e materialista, in voga dall’Illuminismo in avanti, si sono aggiunti negli anni numerosi ricercatori mossi, non tanto da ideali metafisici, ma semplicemente dalla stanchezza di dover sopportare i dogmatismi che tengono in scacco la ricerca.

Recentemente ci ha pensato Thomas Nagel, docente di filosofia presso la New York University, con il suo libro Mente  e cosmo: Perché la concezione materialistica Neo-Darwiniana della natura è quasi certamente falsa” (Oxford University Press 2012) con il quale ha condannato il riduzionismo fisico-chimico in biologia e l’evidente inadeguatezza del «racconto materialista di come noi e gli altri organismi esistiamo, inclusa la versione standard di come funzionino i processi evolutivi».

In questi giorni è uscito (in Italia) un secondo volume, questa volta scritto dal biologo britannico, Rupert Sheldrake, celebre per gli studi sull’invecchiamento cellulare e la teoria dei «campi morfici», intitolato “Le illusioni della scienza. 10 dogmi della scienza moderna posti sotto esame” (Urra 2013).  Il quotidiano La Stampa lo ha intervistato per l’occasione, presentandolo come uno degli evoluzionisti più brillanti della sua generazione, autore di 80 «papers» e vincitore del prestigioso «University Botany Prize» .

Sheldrake sostiene che la scienza del XXI secolo è diventata una cattedrale del dogmatismo, sempre meno adatta a indagare l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo, il dogma materialista (e dunque filosoficamente ateista) è una prigione per gli scienziati: «Penso che di talloni d’Achille il materialismo ne abbia proprio 10! Non uno solo. Ma il più ovvio è il fallimento nel capire la coscienza. L’assunto-base è che la materia sia l’unica realtà. Perciò la coscienza dev’essere un suo prodotto o un suo aspetto. Significa che la mente non è altro che l’attività del cervello. I filosofi della mente del XX secolo hanno fatto sforzi enormi per provare che la coscienza non esiste e che è un’illusione o un epifenomeno. Ma sono approcci poco convincenti», ha spiegato.

Con un fine ragionamento ha mostrato la contraddizione di chi sostiene che la coscienza sia un epifenomeno del cervello, proprio come aveva già fatto il prof. Giorgio Masiero su questo sito web qualche tempo fa. Risponde Sheldrake: «Definire la coscienza come un’illusione non la spiega, ma la presuppone, dato che l’illusione è una forma della coscienza stessa. E sostenere che sia nient’altro che il risultato di cause fisiche e chimiche, insieme con eventi casuali, fa del sistema di pensiero dei materialisti il prodotto della loro stessa attività cerebrale, su cui non hanno controllo cosciente. In altre parole devono credere nel materialismo, visto che il cervello li obbliga a farlo. Ecco perché un simile sistema di pensiero è auto-contradditorio: chiunque ci creda deve anche credere che la sua convinzione sia l’inevitabile conseguenza dell’attività del cervello e non una questione di scelta».

Il prestigioso biologo ha poi citato proprio il libro di Thomas Nagel di cui abbiamo parlato sopra, spiegando che esso «dimostra che la concezione materialistica è incompatibile con l’esistenza di una mente consapevole e che conduce a una comprensione distorta dell’evoluzione. Invoca quindi il ritorno alla teleologia nel pensiero scientifico, in particolare l’accettazione del ruolo del fine e dello scopo, tutti elementi che sono stati banditi dalla ricerca già a partire dal XVII secolo. Considero questo saggio complementare al mio libro, che discute non solo concetti filosofici, ma anche i passi concreti e gli esperimenti che potrebbero condurre le scienze verso nuove direzioni».

Questa posizione di apertura è molto difficile da mantenere nel contesto scientifico attuale perché molti suoi colleghi, conclude, «sono prigionieri delle pressioni sociali e dell’inerzia istituzionale. In pubblico, per loro, è difficile esprimere idee non convenzionali. In privato, però, sono spesso più aperti. Ecco perché ho rapporti di amicizia con molti scienziati, i quali dimostrano un interesse crescente per le mie idee. Ma considerano più sicuro parlarne in privato piuttosto che in pubblico».

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05/02/2013 12:31
 
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PERCHE' LO SCIENZIATO ATEO ANTONY FLEW E' DIVENTATO CREDENTE
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20/03/2013 13:53
 
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La follia dello scientismo e il ruolo della filosofia

L’autore si chiede, dunque: “Lo scientismo è difendibile? È vero che le scienze naturali forniscono una spiegazione soddisfacente e ragionevole (…) di ogni fenomeno dell’universo? Ed è vero che la scienza è più in grado, o persino l’unica ad esserlo, di rispondere alle domande che un tempo si ponevano i filosofi?”.

Innanzitutto, fa intendere Hughes, la filosofia ha un ruolo fondamentale nel definire le “regole” della scienza, che è necessariamente soggetta, ad esempio, alla logica elementare che, se non padroneggiata e conosciuta a sufficienza, può rappresentare un grave ostacolo per lo scienziato. Ancora di più, la filosofia è necessaria a definire e comprendere la scienza stessa: è ciò che succede nelle teorie essenzialiste, che sostengono una chiara distinzione tra scienze e filosofia e un ruolo necessario per ognuna, tra le quali c’è il criterio di falsificabilità di Karl Popper, per il quale una teoria è scientifica solo se risulta possibile pensare un’evidenza empirica che la dimostri errata: tutto il resto, ovviamente, cade al di fuori del campo della scienza.

Esistono tuttavia teorie che identificano la scienza con le “istituzioni sociali” che la rappresentano e con coloro che la praticano: i sostenitori di queste teorie “istituzionali” arrivano talvolta ad utilizzare i “fattori istituzionali” come criteri di qualità della scienza, che non necessita più, in questo modo, dell’epistemologia. La debolezza di questa definizione di scienza risiede nella sua natura essenzialmente circolare: “Scienza è semplicemente quello che gli scienziati fanno”L’inaffidabilità delle istituzioni scientifiche, inoltre, è palese (nel peer-reviewed si possono testimoniare condizionamenti dettati da pregiudizi, vendette personali, eccetera) e gli scienziati non sono certo esenti dalle corruzioni presenti in tutti gli ambienti abitati da esseri umani.

 

Hughes, comunque, individua tre campi tradizionalmente filosofici che si pretende spesso di studiare con gli strumenti della scienza, arrivando a conclusioni migliori di quelle dei filosofi: metafisica, epistemologia, etica.

Metafisica. “La filosofia è morta”, sostengono Hawking e Mlodinov in “The Grand Design”, e tocca alla scienza rispondere a domande quali: “qual è la natura del reale?” “Da dove viene l’universo?” “L’universo ha bisogno di un creatore?” Tuttavia, in contrasto con simili posizioni, si pongono chiaramente le corrispondenze tra la moderna cosmologia scientifica ed alcune concezioni tradizionali riguardanti la creazione dell’universo (la teoria del Big Bang di Lemaitre è un esempio, o le varie forme del principio antropico). “È forse, in parte, in risposta a queste apparenti coincidenze”, scrive Hughens, “che nasce una grande letteratura professionale e popolare dedicata, negli ultimi decenni, alle teorie sul multiverso.”. Ma se queste teorie possono, in qualche modo, allontanare la conclusione che l’universo sia “fine-tuned”, fatto apposta per l’umanità, non possono evitare le domande fondamentali della metafisica suscitate dal fatto che esiste qualcosa piuttosto che niente. Questi argomenti falliscono, infatti, nel distinguere tra essere necessario e contingente: che l’universo possa essere contingente non è affatto un’idea nuova, e di fatto la terza prova di San Tommaso d’Aquino (che definisce Dio come l’essere necessario in sé stesso) prevede che esistano esseri contingenti e mantiene la stessa validità teorica, multiverso o meno. E se, per le leggi della probabilità (su cui si basano Hawking e compagnia), è “certo” che in una moltitudine di universi ci sia quello giusto per permettere la nascita dell’uomo, tale certezza non ha nulla a che fare con la necessità: il fatto che, lanciando migliaia di volte una moneta, diventi praticamente certo che esca, almeno una volta, testa piuttosto che croce non ha nulla a che fare con l’evento necessario perché questo sia possibile: l’esistenza della moneta! Allo stesso modo, le teorie del multiversocontinuano a non spiegare come mai il multiverso stesso (o la matrice del multiverso) esista.

 

Epistemologia. “Come mai siamo in grado di riconoscere le leggi della fisica? Come possiamo essere sicuri che tale conoscenza sarà sempre migliore, sino a diventare totale?” La risposta comune nell’ambiente scientista è: evoluzione, applicata anche all’epistemologia a partire da W.V.O. Quine. Egli sostiene, infatti, che la selezione naturale avrebbe favorito lo sviluppo del discernimento tra vero e falso poiché credere il falso sarebbe dannoso; più recentemente, anche le teorie scientifiche sono state considerate oggetto della selezione naturale. Ora, sebbene la predisposizione ad accumulare informazioni garantisca un certo vantaggio evolutivo, non è affatto ovvio che ci siano sempre dei vantaggi evolutivi nel conoscere meglio la realtà: la teoria dei quanti o l’analisi del DNA non sembrano avere conseguenze sulla sopravvivenza della specie in senso darwiniano. Anche in biologia, oggi, si tende sempre meno ad aspettarsi che ogni tratto di ogni organismo sia spiegabile con la selezione positiva: molte caratteristiche di organismi sorsero da mutazioni che non furono selettivamente favorite né sfavorite. Parlare di un processo darwiniano di selezione tra idee culturalmente trasmesse è al massimo una blanda analogia, con implicazioni fortemente fuorvianti: permettespeculazioni che sembrerebbero poter spiegare ogni singola caratteristica umana. Inoltre, in ogni caso, questi argomenti possono al massimo aiutare un minimo a spiegare perché l’uomo sia in grado di comprendere il mondo, ma non perché il mondo sia in sé comprensibile.

 

Etica. L’etica è probabilmente la branca della filosofia più tenacemente attaccata dallo scientismo, che tende solitamente a sostenere il relativismo morale: mentre la scienza riguarda l’oggettivo ed il fattuale, l’etica rappresenta soltanto il sentire soggettivo delle persone: non c’è posto per il giusto e lo sbagliato universali. Storicamente, in tutto questo, è stata coinvolta la biologia evolutiva: il darwinismo sociale, che dalle suggestioni di questa nacque, servì a giustificare il capitalismo senza regole, si tentò poi di “correggerlo” con l’eugenetica perché, ironicamente, l’evoluzione biologica dimostrò di andare in verso opposto rispetto a quella economica (dopotutto ha come elemento centrale la riproduzione, non il capitale), quindi occorreva “fermare gli inadatti che si riproducono come conigli”, nonostante ciò non avesse senso da un punto di vista darwiniano (che avrebbe giudicato inadatte proprio le classi agiate e poco (ri)produttive). Passando alla sociobiologia e alla psicologia evolutiva, si lascia il piano politico per concentrasi sul personale o, meglio, sull’intimo: ecco che spuntano fuori “storie proprio così” che spiegano la natura “adattativa” di ogni sorta di comportamento sessuale. Dato che comportamenti come l’infedeltà e lo stupro esistono, la selezione naturale dovrebbe aver favorito tali comportamenti, quindi certamente lo ha fatto: ecco come raccontare storie le fa diventare dei fatti (mentre non sono altro che speculazioni, per lo meno nella stragrande maggioranza dei casi). La mossa successiva, scrive Hughens, è solitamente deplorare tali comportamenti: fanno parte della nostra eredità, ma oggigiorno non li approviamo. Ma se “noi ora sappiamo” che i comportamenti egoistici dei nostri avi sono immorali, come siamo arrivati a saperlo? Su quali basi diciamo che qualcosa è sbagliato se il nostro comportamento non è altro che una conseguenza della selezione? E se desideriamo di essere moralmente migliori dei nostri antenati, siamo liberi di esserlo? O siamo programmati per comportarci in un modo che ora, per qualche motivo, deploriamo?

Parte di questo approccio evoluzionistico mira, naturalmente, a smontare la morale: se essa deriva dalla selezione naturale, dicono, non può riferirsi ad alcuna verità etica oggettiva. Una possibile replica potrebbe consistere nel sostenere che, semplicemente, quella che s’è evoluta è la capacità di comprendere la natura umana, e che le proposizioni etiche derivino dalla comprensione di tale natura: ma questo è ciò che sostenevaAristotele nell’Etica Nicomachea! Eppure non tutti gli scientisti riducono l’etica all’evoluzione. Alcuni, come Sam Harris, si basano sull’utilitarismo: il criterio per giudicare la moralità di un comportamento consiste nel contributo che tale comportamento offre al “benessere delle creature coscienti”, così si cerca di aggirare la distinzione fatti-valoriconcentrandosi solo sui fatti, ma si finisce poi per affermare certi valori su altri, e senza discuterli. Harris, ad esempio, “dimentica” di definire quel “coscienti”: non è forse vero che la coscienza è strettamente legata alla dimensione temporale? Il benessere di esseri che saranno coscienti (gli embrioni), o che potrebbero esserlo di nuovo (i pazienti in stato vegetativo) non conta nulla? E perché? E se ad Harris interessano solo le creature coscienti nel momento presente, perché mai non consumiamo all’istante tutte le risorse del pianeta per trarne il più possibile, fregandocene delle generazioni future? Ma ancora, con quali fattori si calcola il benessere? Harris si appella alle neuroscienze, bene, ma il fatto che sappiamo quali sono le differenze tra l’organismo di una persona ben nutrita e quello di una che sta morendo di fame non contribuisce certo gran che alla soluzione del problema della fame nel mondo: il fattore che fa la differenza non è interno, ma esterno, ed è il cibo! E sapere che il sistema nervoso reagisce in un certo modo in uno stato di malnutrizione non aggiunge un bel nulla alla discussione riguardante il problema, che consiste nel comprendere come evitare che proprio quelle condizioni attivino certi comportamenti del sistema nervoso, se vogliamo vederla da quel punto di vista. Il fulcro del problema, poi, si fa palese quando ci si mette a parlare dei comportamenti propriamente etici: Harris ricava, dai suoi dati, che le azioni dei criminali vengano determinate da qualche combinazione di “geni sbagliati, famiglia sbagliata, idee sbagliate e sfortuna”. Ora, tralasciando la storia dei geni che ci riporta all’eugenetica, la domanda etica non è “quali sono le condizioni che formano una buona persona?”, ma “Come possiamo fare in modo che tutti vivano in circostanze che non li costringano a diventare criminali?” Semplice: con complesse discussioni di filosofia, diritto, politica che portino a capire quale sia la vita buona e come si possa garantirla. Ciò che fa lo scientismo è, semplicemente, presentare come soluzioni originali quelli che non sono altro che i termini da cui prendono parte discussioni iniziate millenni fa.

 

La conclusione di Hughens è questa: l’ultima a ridere sarà la filosofia, perché lo scientismo rivela continue confusioni concettuali che risultano ovvie alla riflessione filosofica; piuttosto che renderla obsoleta, si sta preparando il terreno per un revival sempre più necessario. Arriva poi a dire che, se chiamiamo superstizione l’insistere testardamente nell’affermare che qualcosa abbia poteri che non sono supportati da alcuna evidenza, ecco che questa è la natura dello scientismo. Una natura pericolosa, perché potrebbe minare gravemente la credibilità della scienza stessa, spingendo la gente a dubitarne anche quando discute dei suoi veri campi di competenza. L’augurio dell’autore è che giunga un nuovo illuminismo, capace di rimettere al loro posto certe superstizioni spacciate per scienze empiriche.

Considerato com’è andata la storia, compresa la constatazione che è proprio in un clima post-illuminista che presero vita le suggestioni scientiste, noi ci limitiamo a sperare che le prossime generazioni di scienziati dispongano di una formazione filosofica tale da comprendere che il campo di esperienze delle scienze empiriche ha dei confini, che non possono essere valicati senza iniziare a parlare di filosofia, anche quando non ce se ne rende conto.

Michele Silvi

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17/03/2014 17:15
 
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Scienziati: credenti tanto quanto la popolazione




ScienziatiDiversi studi in questi ultimi anni hanno dimostrato che la maggioranza degli scienziati vive una fede religiosa, alcuni preferiscono una forma di deismo similmente a Albert Einstein, altri esprimono convinzioni più profonde, altri ancora sono pienamente coinvolti nella comunità cristiana e cattolica.


Nulla di strano e nulla di così interessante, ma è un tema che sta particolarmente a cuore a chi ha interesse a sostenere la sua superiorità razionale affermando che chi crede in Dio è un povero sciocco, mentalmente instabile. Così, si afferma, è impossibile che uno scienziato -classico esempio popolare di persona razionalmente strutturata- possa credere in Dio.


Eppure, come dicevamo, le statistiche dicono il contrario. Un paio di esempi: nel 2010 uno studio della Rice University ha rilevato che su 1.700 scienziati d’élite, il 70% credevano in Dio (di cui il 20% deisti) mentre gli atei o gli agnostici dichiarati arrivano al 30%. Nel 2009 un sondaggio tra i membri dell’American Association for the Advancement of Science ha invece rilevato che il 51% di questi scienziati credeva in Dio o in qualcosa al di là del naturale.


L’obiezione più comune, una volta preso atto di questi dati recenti, è che comunque la percentuale degli scienziati credenti è inferiore a quella della popolazione generale, quindi -si sostiene- essere scienziati allontana in qualche modo la possibilità di credere in Dio.


La sociologa Elaine Howard Ecklund della Rice University, dov’è anche direttrice del Rice’s Religion and Public Life Program, ha permesso di respingere questa obiezione attraverso uno studio su 10.000 scienziati americani, presentato in questi giorni a Chicago durante l’annuale conferenza della American Association for the Advancement of Science (AAAS). La ricercatrice ha scoperto che il 18% degli scienziati frequenta servizi religiosi settimanalmente, rispetto al20% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 15% si considera molto religioso, contro il19% della popolazione generale degli Stati Uniti; il 13,5% legge settimanalmente testi religiosi, contro il 17% della popolazione degli Stati Uniti e il 19% degli scienziati prega più volte al giorno, contro il 26% della popolazione degli Stati Uniti.


Come si evince, le percentuali di credenti e del loro impegno religioso sono piuttosto simili tra gli scienziati americani e la popolazione generale. Altri risultati ottenuti: il 38% degli scienziati intervistati ritiene che “gli scienziati dovrebbero essere aperti a considerare i miracoli nelle loro teorie o spiegazioni” e quasi il 36% degli scienziati non ha alcun dubbio sull’esistenza di Dio.



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12/04/2014 12:42
 
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I due pregiudizi più grandi:
storicismo e scetticismo

Enrico BertiIlluminante la breve intervista apparsa su“Ilsussidiario.net” ad Enrico Berti, professore emerito di storia della filosofia presso l’Università di Padova, presidente dell’Istituto Internazionale di Filosofia, nonché esperto di fama mondiale nel campo della filosofia antica.

Due passaggi particolarmente significativi. Il prof. Berti ha spiegato come insegnare filosofia nei licei, raccomandandosi di stare attenti a due errori fondamentali«Gli errori da evitare sono due: anzitutto lo storicismo, cioè il pregiudizio secondo cui la storia della filosofia è necessariamente un progresso, per cui le filosofie più recenti sono sempre più valide di quelle precedenti; poi loscetticismo, conseguente allo storicismo, cioè il credere che ogni epoca abbia la sua verità particolare e transeunte e quindi non esista nessuna verità universale ed eterna».

Con poche parole il prof. Berti non ha soltanto evidenziato due enormi errori, ma ha sintetizzato il grande problema nell’approccio di ogni tematica che riguardi la morale.L’ossessione del progresso domina le società secolarizzate di oggi e si basa su un pregiudizio, come è stato spiegato. Pregiudizio è sostenere che il “nuovo” (i “nuovi diritti”, le “nuove famiglie”, i “nuovi costumi”) è sempre meglio del “vecchio” o del “tradizionale”, è un “progressismo adolescenziale”, come lo ha chiamato Papa Francesco.

Anche lo scetticismo è nebbia nella mente di molti, sopratutto giovanissimi. Il“vietato vietare” dei sessantottini si è trasformato nel “vietato giudicare” di oggi, detto dai figli dei sessantottini. Questo implica l’inesistenza di qualcosa di giusto e sbagliato, di una verità “universale ed eterna”, come spiega Berti. Un pregiudizio nichilista.

Un altro passaggio significativo dell’intervista è quando il filosofo spiega il senso della filosofia, in particolare della metafisica: «”Osare” nell’uso della ragione oggi significa non limitarsi a esercitare la razionalità scientifica o tecnologica, ma tentare di andare, con la ragione, oltre la scienza, cioè cercare le spiegazioni ultime, ovvero quelle che gli antichi chiamavano “cause prime”. Questo lo può fare solo la filosofia, anzi una certa filosofia, cioè la “metafisica” intesa nel senso migliore del termine»


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12/05/2014 10:14
 
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Le teorie del Multiverso?
Ne parlava già un vescovo nel Medioevo

Robert Grosseteste avrebbe ipotizzato questo modello cosmologico nel suo trattato De Luce

 
© Eurritimia / di Paolo Centofanti

La teoria del Multiverso non è così recente come si potrebbe credere, anzi, l'avrebbe predetta, già nel tredicesimo secolo, uno studioso inglese, Robert Grosseteste. Scienziato, filosofo e allo stesso tempo teologo, come allora era comune, vescovo di Lincoln, già nel 1225 avrebbe anticipato le attuali idee di multiverso.

Ne ha parlato qualche tempo fa la giornalista Lisa Grossman sulla rivista scientifica New Scientist, in un articolo dal titolo Medieval multiverse heralded modern cosmic conundrums. Considerato dallo storico e filosofo della scienza Alistair Cameron Crombie il padre del pensiero scientifico nella Oxford del Medioevo e il precursore della moderna cultura scientifica britannica, Grosseteste scrisse un trattato sulla luce, intitolato in lingua latina De Luce, sul quale hanno lavorato alcuni scienziati della università inglese Durham, guidati dal fisico Tom McLeish.

I ricercatori hanno tradotto l'originale testo latino in equazioni moderne, scoprendo l'involontaria previsione del Grosseteste. Un fatto che, scrive l'autrice, "mostra come parte dei paradossi filosofici posti dalla cosmologia" relativamente ad esempio alle teorie del multiverso, "siano sorprendentemente pervasivi".

Lo stesso McLeish ha spiegato la procedura seguita: "abbiamo cercato di tradurre in matematica" ciò che Grosseteste "aveva scritto in parole latine. Abbiamo così ottenuto un set di equazioni, che abbiamo potuto parametrizzare in un computer e risolvere. Stiamo esplorando matematicamente un nuovo tipo di universo, il che coincide con ciò che i teorici delle stringhe fanno per tutto il tempo. Noi, siamo semplicemente dei teorici delle stringhe medioevali".

Studioso di Aristotele, di cui riprendeva le teorie sul movimento delle stelle attorno alla terra, e sulle sfere celesti, nel suo trattato De Luce, Grosseteste teorizza anche l'inizio dell'universo, con una sorta di big bang ante litteram: un lampo di luce che da un piccolo punto iniziale si è trasformato in una grande sfera.



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Paolo Centofanti è Direttore SRM - Science and Religion in Media


Questo il link all'articolo originale su New Scientist, accettato,http://arxiv.org/abs/1403.0769, dai Proceedings of the Royal Society. 

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26/05/2014 19:42
 
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L’uomo è irriducibile,
«basta con il determinismo biologico»

UomoSuperati gli anni bui del riduzionismo biologico, oggi anche il sapere scientifico riprende a sottolineare la centralità e l’unicità dell’essere umano. E’ di oggi, ad esempio, l’intervista a Enrico Alleva, prestigioso etologo italiano, dal 2008 al 2012 presidente della Società Italiana di Etologia e direttore del Reparto di Neuroscienze comportamentali all’Istituto Superiore di Sanità di Roma.

«Da etologo», ha spiegato, «rifiuto la parola istinto in generale, e in particolare se riferita all’uomo». Già dal terzo mese, infatti, il feto umano ha una sua cultura individuale: conosce la madre, le sue sensazioni, riconosce le persone intorno a lei e«si prepara a riconoscere il padre». Inoltre, «è programmato per cambiare il suo cervello in funzione di quello che gli accade»«E’ proprio dal confronto tra comportamenti automatici e comportamenti appresi l’unicità della specie “homo sapiens”», ha proseguito il prof. Alleva.

Un’unicità evidente combattuta da attivisti mossi da scopi ideologici, secondo i qualil’uomo non è una Creatura, ma semplicemente un “nient’altro che”, un frutto casuale dell’evoluzione, la sua morale non esiste, la sua coscienza è un banale epifenomeno del cervello. L’uomo, ci viene ricordato dai riduzionisti, è il suo DNA, il quale è condiviso per il 98% con i primati (e per il 50% con la banana). Eppure, ha commentato il prof. Alleva, «nel comportamento delle scimmie qualche primatologo, forse esagerando, ha cercato le basi per la moralità umana. Ma l’interazione più interessante per la specie umana resta quella con il cane, una specie selezionata dall’uomo a propria compagnia esclusiva».

Qualche giorno fa si è espresso negli stessi termini anche il prof. Vittorio Gallese, noto a livello internazionale per il suo contributo alla scoperta dei “neuroni specchio”, docente di Neurofisiologia all’Università di Parma. «Le neuroscienze cognitive non possono ridursi ad una traduzione neurodeterministica della natura umana, ma devono mettere al centro della propria ricerca la pienezza dell’esistenza umana e l’esperienza che ognuno di noi ne trae»ha affermato«Dovremmo lasciarci alle spalle sia il meccanico determinismo genetico sia l’apparente netta distinzione tra natura e cultura».

Non sarà sfuggita l’importanza di queste dichiarazioni anche in campo bioetico. Mentre il prof. Alleva valorizzava la personalità del feto umano e la sua “ricerca del padre”, il prof. Gallese aggiunge«Lo sviluppo dell’intersoggettività comincia già prima della nascita, all’interno del grembo materno. Dalle prime ore di vita il neonatosvolge un ruolo attivo nel sollecitare e intrattenere un rapporto con la madre». I temi dell’aborto, delle adozioni gay e dell’utero in affitto andrebbero ripensato alla luce di queste conoscenze. Ma emerge anche il tema del gender, ovvero la trascuratezza del “dato biologico” per favorire il “dato psicologico” (si può diventare uomini anche se nati in un corpo di donna, ad esempio…). Attenzione, perché«cervello e corpo formano un sistema inscindibile: non si capisce il cervello se lo si separa dal corpo».


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