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DAL MONDO DELLA SCIENZA E DELLA CULTURA

Ultimo Aggiornamento: 17/12/2021 11:17
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09/11/2014 21:01
 
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Due grandi scienziati nuovi membri
della Pontificia accademia

Yves Coppens, professore onorario presso il Collegio di Francia, è divenuto noto a livello mondiale dopo aver scoperto nel 1974 lo scheletro dell’ominide Lucy. E’ autore di oltre mille pubblicazioni scientifiche ed è membro di varie istituzioni scientifiche in tutto il mondo. Lo abbiamo spesso citato quando ha parlato di come l’essere umano, da quando è comparso sulla terra, è sempre stato “religioso“: «L’essere umano, fin dallo sbocciare della sua umanità, è sensibile al sacro e possiede una dimensione spirituale»ha affermato«Personalmente, sono convinto che non ci sia distanza fra l’apparizione dell’uomo e l’apparizione del suo pensiero religioso. L’uno e l’altro sono parti di una stessa condizione. Abbiamo ad esempio degli elementi che provano il trattamento dei morti fin da un milione di anni fa, o ancor prima. All’inizio, questi trattamenti furono forse un po’ rudimentali, ma restano comunque dei trattamenti. Mostrano che l’uomo tratta i suoi morti con un altro occhio, altri sentimenti, rispetto agli animali». Possiamo dire, quindi, che il primo uomo apparve già con una coscienza spirituale e religiosa, immediatamente si distanziò dal comportamento animale e senza alcuna gradualità (seppur con un miglioramento delle forme d’espressione).

Ma allora, l’istante della creazione può essere collocata in quell’istante di passaggio tra l’ominide e l’uomo? «Questo devono dirlo i teologi, non è il mio mestiere»ha giustamente risposto. «Io mi limito a osservare i dati sul campo e a constatare il momento di passaggio di una soglia. Certoqualcosa in quel momento è successo: l’uomo non è stato più il pre-uomo che era prima. Non so se questo sia l’attimo della creazione, però una volta ricordo di aver sconcertato il cardinale Jean-Marie Lustiger, il defunto arcivescovo di Parigi, affermando: “Più le cose si spiegano in modo naturale, meglio è per il soprannaturale!“…».

Assieme a Coppens la Pontificia Accademia delle Scienze ha nominato anche Ada Yonath, chimica israeliana vincitrice del premio Nobel nel 2009 per i suoi studi sulla struttura e sulla funzione dei ribosomi. Attualmente dirige lo Helen and Milton A. Kimmelman Center for Biomolecular Structure and Assembly del Weizmann Institute of Science. Yonath è molto legata alla Bibbia e spesso nelle sue interviste scientifiche ama fare parallelismi con l’Antico Testamento: «Gli antibiotici», ha spiegato ad esempio, «sono come delle munizioni di un tipo di microrganismo che combattono contro un altro tipo di microrganismo. Si tratta di una guerra tra colonie di batteri. Vogliono la stessa terra, vogliono lo stesso cibo. E’ come se avessero la sensazione che Dio laveva promessa a loro e non agli altri»riferendosi evidentemente alla storia del popolo ebreo.

Durante un incontro alla Oxford University nel 2010, ad una domanda specifica di uno studente sul rapporto tra scienza e religione, il premio Nobel ha risposto di credere che vi sia «abbondanza di spazio per la fede, in quanto vi è così tanto che non può essere compreso, nonostante i grandi progressi della scienza». Aggiungendo, comunque, che non ha mai riscontrato alcun conflitto tra scienza e fede.

La dott.ssa Yonath è di fede ebraica e questo evidenzia l’accoglienza della Chiesa cattolica verso tutte le religioni. Non è un caso che, nonostante gran parte degli scienziati membri siano di fede cattolica, il presidente della Pontificia Accademia delle Scienze sia un importante biologo svizzeroWerner Arber, vincitore del Premio Nobel per la medicina nel 1978 e di fede protestante.


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14/11/2014 13:37
 
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L’ipotesi di Dio è la più attraente... 

CreatoreIl sociologo e filosofo polacco Zygmunt Bauman è uno dei più influenti pensatori europei, sua è la azzeccata definizione della “società liquida” per intendere la realtà in cui sono immersi i valori e i riferimenti degli uomini occidentali.

Recentemente “Repubblica” ha riportato un brano tratto dal suo libro “Conversazioni su Dio e sull’uomo”, che sarà pubblicato a breve. Per un sociologo del suo calibro speravamo in riflessioni di miglior qualità, tuttavia certamente molto più stimolanti degli pseudo-intellettuali italiani -da Saviano a Recalcati, da Spinelli a Veronesi, da Scalfari a Travaglio- che ci vengono propinati ogni giorno. Bauman parla dell’apertura all’infinito che ogni uomo sperimenta, tanto che egli «non cesserà mai di dibattersi fra il paradosso della nascita di qualcosa dal nulla e l’idea della durata eterna che il nostro intelletto, formato per essere al servizio di una vita finita. Qui si è annidato e sistemato per bene l’elemento intellettuale della non-autosufficienzadel genere umano».

Qui la parte più interessante: «Il Dio-Creatore è l’ipotesi più attraenteper uscire da quel vicolo cieco intellettuale, perché inscriviamo l’inconcepibilità delle sue intenzioni e della sua potenza nello stesso suo concetto — non già risolvendo in questo modo il “paradosso del qualcosa dal niente” e neanche comprendendo con la mente l’incomprensibile infinitezza del tempo o dello spazio, ma procurandoci la soddisfazione e la serenità d’animo che ci derivano dal capire perché queste due cose non riusciamo a farle! L’ipotesi contraria — che qualcosa è sorto da solo dal niente senza l’intervento di una forza soprannaturale, e quindi per definizione inconcepibile — non viene, è vero, a compromessi e non impone all’intelletto umano uno sforzo e un’azione sovrumani, ma gli pone un compito che quell’intelletto non è capace di eseguire».

L’intuizione di Bauman è molto interessante, anche se errata. L’esigenza umana di eternità che ognuno di noi si trova dentro esige una risposta talmente “alta” che, se non compare l’ipotesi di Dio-Creatore, qualunque altra risposta (nascita dal nulla grazie al caso, ad esempio) risulta talmenteinadeguata alla ragione che l’intelletto è incapace di accettarla. L’ipotesi di Dio, invece, sgorga naturale, non è vero che necessita di uno sforzo sovrumano come afferma il sociologo polacco. Tant’è che l’obiezione più comune è proprio che Dio possa essere una risposta inventata dall’uomo per soddisfare questa sua inestirpabile tensione all’infinito. Eppure rimane sempre misteriosa e inesplicabile l’esistenza di questa stessa tensione. Da dove nasce? Perché ogni uomo se la trova al suo interno? Perché niente sembra bastare mai? Perché è impossibile da ignorare, a parte distrarsi fino a quando essa non riemergerà?

Secondo il francescano inglese Guglielmo di Occam «a parità di fattori la spiegazione più semplice è da preferire», ovvero è inutile formulare più ipotesi di quelle che siano strettamente necessarie per spiegare un dato fenomeno quando quelle iniziali siano sufficienti. Si potrebbe usare questa semplice osservazione: perché teorizzare ipotesi tanto sofisticate e irrazionali (cioè non gradite alla ragione umana), come la miracolosa (questa si!) opera del “caso”, quando è pienamente ragionevole e adeguata (“attraente”, dice Bauman) all’esigenza della ragione la possibilità di un Creatore. Non parliamo di un Creatore astratto, ma molto concreto: Gesù Cristo ce lo ha reso conoscibile, un Padre vicino e corrispondente a ciò che ogni uomo attende.

Noi riteniamo che il bisogno di compimento che ogni uomo sperimenta per tutta la vita non sia un sadico inganno di una natura emersa dal caso, ma una griffe infusa dal Creatore. Un’ancora di salvezza. Perché ogni uomo, qualunque strada prenda, non si allontani troppo da Lui (cioè dal suo destino).


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26/11/2014 14:37
 
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 Antidarwinismo scientifico Vs Creazionismo.


Due posizioni inconciliabili sulle quali viene fatta volutamente confusione.


 


Credere in Dio o credere in Darwin? Questo dilemma accettato da quasi tutti, atei e credenti, studiosi e persone di ogn livello di istruzione, è il riuscitissimo tentativo di sviare il dibattito sull’evoluzione e nascondere i limiti della teoria neo-darwiniana. Un astuto modo di far pensare che le uniche critiche alla teoria dell’evoluzione di tipo neodarwiniano siano esclusivamente di natura religiosa, il modo perfetto per alzare steccati e impedire un pericoloso confronto.


Che questa sia la situazione è stato dichiarato implicitamente nella premessa del celebre libro “Gli errori di Darwin” scritto da J. Fodor e M. P. Palmarini, che nel 2010 gettò scompiglio nel versante darwiniano, un libro che nelle sue prime righe affermava quanto segue:



«L’adesione al darwinismo è diventata una cartina di tornasole per stabilire chi possiede una concezione del mondo “realmente scientifica”, e chi no. “Bisogna scegliere tra fede in Dio e fede in Darwin; e se si vuole essere umanisti laici, meglio optare per la seconda”. Così ci dicono. Non siamo affatto convintiche queste due opzioni esauriscano tutte quelle possibili. Ma vogliamo decisamente aderire all’albo degli umanisti laici. In effetti entrami ci proclamiamo atei – completamente, ufficialmente, fino all’osso e irriducibilmente atei. Perciò cerchiamo spiegazioni esclusivamente naturalistiche nei fatti dell’evoluzione».



Questa fortissima dichiarazione di ateismo fu il vero punto di forza del lavoro di M. P. Palmarini, ciò che permise di aggirare le difese della teoria e fare seri danni. Ma nella società della comunicazione ad alto “turnover” se un messaggio non viene ripetuto si diluisce fino a sparire, e così più che ribattere nella sostanza alle critiche contenute nel libro è stato sufficiente aspettare che il tempo facesse il suo corso, oggi, a pochissimi anni di distanza, chissà quanti ancora ricordano quel libro o vi fanno riferimento.


Ma l’intuizione di M.P. Palmarini è estremamente valida e non va fatta cadere, dovrà essere un’azione continuativa e sempre più visibile a permettere di rimuovere quell’impedimento ad un vero dibattito sull’evoluzione di tipo darwiniano messo ad arte da chi aveva intenzione a fare della teoria un dogma di fede. Al riguardo nel workshop dell’11 ottobre era stata preannunciata l’iniziativa di organizzare un dibattito di tipo del tutto inedito: creazionisti vs antidarwinisti.


A questo punto è necessario definire i due termini:


Creazionismo: quella corrente di pensiero che rifiuta il concetto stesso di evoluzione e si riconduce ad un’interpretazione più o meno letterale della Genesi.


Antidarwinismo: quella corrente di pensiero che riconosce il concetto di evoluzione come un “fatto” accertato e testimoniato dai fossili, ma che non ritiene soddisfacente la spiegazione che di tale fatto fornisce la teoria neo-darwiniana.


Come si evince da quanto detto sopra l’antidarwinismo non fa nessun riferimento alla religione, si tratta di una critica portata esclusivamente sul terreno della scienza sperimentale e dei suoi meccanismi.





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16/12/2014 13:54
 
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Alda Merini: «il femminismo è contro la donna»




Curioso che in questi giorni sia emersa un’intervista inedita della Merini delgiugno 1995, che aiuta a sgombrare il campo dai vecchi cliché e a restituire la grande poetessa alla sua autenticità. Parla del suo «fortissimo istinto materno», così come rivela un profondo senso del sacro: «Se perdo la religione, perdo l’arte. La fede è la moneta più valida nella vita di un uomo, la chiave di volta. Senza di quella, l’uomo non riuscirebbe né a creare né a demolire se stesso».


Alla faccia di chi ha voluto arruolarla tra le “femministe”, ha invece spiegato di ritenere assurdo tentare di modificare la natura del genere femminile, sottraendole dignità e bellezza: «Non capisco proprio il femminismo. La donna che vuole diventare uomo sovverte tutta la cultura passata. La donna deve essere se stessa».


Nel 2008 la rivista “MicroMega” ha promosso un appello contro“l’offensiva clericale contro le donne”, arruolando la Merini tra le prime firmatarie. Ma la poetessa volle intervenire prendendo le distanze da tale iniziativa: «Mi ha telefonato una voce femminile e mi ha chiesto se sarei stata d’accordo con un appello a favore delle donne e dei loro diritti fondamentali. Ho risposto che ovviamente i diritti vanno salvaguardati, ma non ho firmato alcunché e d’altra parte mai mi sognerei di annoverare l’aborto tra i diritti. Semmai posso arrivare ad accettare che sia una dolorosa necessità in casi davvero estremi, ma figuriamoci se Alda Merini, la cui biografia è tutto uninno alla maternità, chiede la pillola abortiva libera alla portata delle ragazzine». I casi estremi, dice possono essere un figlio gravemente deforme e la disperazione della madre, «non giudico perché posso capire la debolezza umana. Ma il vero diritto di una donna è quello alla maternità: il figlio è il più grande atto d’amore e il suo mistero resta intatto. L’occasione che la madre dà al suo bambino è ogni volta un miracolo, ed è una bestemmia negare tutto questo in nome di un femminismo che è l’opposto dell’essere femmina, nel senso più alto del termine».


Non risparmia certo critiche agli uomini di Chiesa del passato per il giudizio sulle donne (ma «questi sono gli errori degli uomini»), ma «il bambino non si può annientare, nasce da un atto di poesia. Davide Maria Turoldo, quando prese in braccio la mia prima figlia Manuela, mi disse “è la tua poesia più bella”. Queste donne se la prendono con la Chiesa, ma io dico che certi rigori invernali sono caduti o stanno cadendo, ora è primavera, tempo di mandorli in fiore. Della Chiesa si può rifiutare l’autoritarismo, non l’autorevolezza. Queste controversie su vita o morte di un figlio mi lasciano senza parole. Noi un tempo ci donavamo al nostro compagno con tutta la dedizione corpo-spirito e il bambino era una benedizione. Non so niente di pillola abortiva o del giorno dopo: non erano di moda. Le donne giovani che mettono in bocca all’anziano certe parole sbagliano, perché noi eravamo ben lontani da questo “utilizzo” del bambino. Posso soltanto dire che dopo i dolori del parto subito dimenticavo quella crocifissione per gioire della vita nuova. Non sono in grado di dare altri giudizi e sono ben lontana dal fare politica o dall’essere femminista, solo vorrei che tra uomo e donna si stabilisse quell’intesa meravigliosa che si chiama amore, in cui il figlio rappresenta la chiave della verità».



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18/01/2015 15:42
 
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Fabiola Gianotti: «Io credo in Dio, scienza e fede sono compatibili»




Fabiola GianottiDal 1 gennaio 2016 l’italiana Fabiola Gianotti è direttore generale del CERN di Ginevra, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Un ruolo certamente meritato anche per aver enormemente contribuito alla scoperta delbosone di Higgs.


La Gianotti viene definita la “signora della scienza”, ed è senza dubbio tra gli scienziati più noti al mondo. Il 6 gennaio scorso è stata ospite della trasmissione Otto e mezzo”, condotta dalla faziosa Lilli Gruber. In collegamento da Ginevra (il video lo trovate qui sotto), la Gianotti ha risposto a molte domande sulla fisica delle particelle così come alla richiesta sul rapporto tra scienza e fede«la scienza e la religione devono restare su due strade separate», ha risposto la Gianotti, «la scienza si basa sulla dimostrazione sperimentale e la religione si basa su principi completamente opposti, cioè sulla fede, tanto più benemerito chi crede senza aver visto. E la scienza non potrà mai dimostrare l’esistenza o la non esistenza di Dio».


Alla domanda della Gruber se ha fede in Dio, la celebre scienziata ha risposto in modo molto asciutto: «Si, io credo». L’intervistatrice ha quindi domandato: la scienza è compatibile con la fede? «Assolutamente si, non ci sono contraddizioni. L’importante è lasciare i due piani separati: essere credenti o non credenti, non è la fisica che ci darà una risposta».


Anche pochi giorni prima, in un’intervista su “Repubblica”, la scienziata aveva detto: «Scienza e religione sono discipline separate, anche se non antitetiche. Si può essere fisici e avere fede oppure no. È meglio che Dio e la scienza mantengano la giusta distanza». Lo stesso concetto lo aveva ribadito su “Famiglia Cristiana” nel 2010: «Non vedo nessuna contraddizione tra scienza e fede: appartengono a due sfere diverse. Saremmo troppo ambiziosi e troppo arroganti se potessimo pensare di spiegare l’origine del mondo. Quello che possiamo fare noi scienziati è andare avanti passettino dopo passettino, e accumulare conoscenza. Ma, come diceva Newton, quello che conosciamo è una gocciolina e quello che non conosciamo un oceano, quindi siamo ben lontani dal rispondere a domande di quel tipo».


Nulla di strano, ovviamente, l’esperienza di fede della Giannotti non vale di più o di meno di quella di un sacerdote, di un muratore o di un libraio. E, sopratutto, non è che una delle migliaia di celebri scienziati a pensarla così, molti dei quali li abbiamo raccolti nel nostro apposito dossier, con tanto di citazioni. Certamente sarà uno smacco invece per Piergiorgio Odifreddi e i suoi epigoni, sempre impegnati a violentare la scienza per tentare di dimostrare l’inesistenza di Dio o, più semplicemente, per accusare i credenti di ignoranza o cretineria. Oltre al danno la beffa: mentre la Gianotti è a capo del Cern, Odifreddi non lo vogliono nemmeno come presidente della Giuria dei “Letterati” del Campiello 2015. Non c’è più irreligione, nemmeno tra gli scienziati.


 


Il video con le dichiarazioni di Fabiola Gianotti sulla fede in Dio è pubblicato  sul canale UCCR di Youtube)



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10/02/2015 14:08
 
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La scienziata Gianotti è credente?
Ecco la reazione 

Fabiola Gianotti 3Qualche giorno fa abbiamo pubblicato un articolo che ha avuto migliaia di visite in poche ore: si tratta delle dichiarazioni di Fabiola Gianotti, la scienziata più famosa del mondo oggi a capo del CERN di Ginevra, è il più grande laboratorio al mondo di fisica delle particelle. Viene definita la “signora della scienza”.

Bene, la Gianotti intervistata alla trasmissione televisiva “Otto e mezzo” (video pubblicato sul  canale Youtube) ha scandalosamente ammesso: «Si, io credo in Dio. Non ci sono contraddizioni tra scienza e fede, l’importante è lasciare i due piani separati: essere credenti o non credenti, non è la fisica che ci darà una risposta. La scienza si basa sulla dimostrazione sperimentale e la religione si basa su principi completamente opposti, cioè sulla fede, tanto più benemerito chi crede senza aver visto».

Niente di eccezionale, l’esperienza di fede della Giannotti non vale di più o di meno di quella di un sacerdote, di un muratore o di un libraio. Oltretutto, tutti i più grandi uomini di scienza nella storia del mondo hanno fatto professione di fede, molti di loro avevano preso i voti religiosi (Mendel, Copernico, Lemaitre ecc.) e dicevano le stesse cose. Ma negli ultimi anni, condizionati dai secoli bui illuministi, la vulgata vuole che soltanto chi si professa ateo possa essere scienziato (e viceversa), perché i credenti in Dio non sono “razionalmente formati” (cfr. Odifreddi) per poter approdare alla laurea in materie scientifiche e ad intraprendere una carriera scientifica.

La Gianotti ha tolto per un attimo il velo dalla burla anti-teista e le reazioni non sono state molto contenute. Abbiamo fatto qualche screenshot -due o tre, giusto per rendere l’idea- come sintesi di quello che abbiamo letto su Facebook quando veniva condiviso il nostro articolo. In linea generale ci siamo divertiti molto, sopratutto per le reazioni isteriche. Peccato per i diversi insulti -anche sessisti- e le minacce che la dott.ssa Gianotti ha subito per queste parole. Tutto questo ci ha fatto anche capire quanto sia importante e vitale per questa cultura resistere nel sostenere la presunta dicotomia tra scienza e fede, tra scienziati e credenti. Possibile che non si riesca ad andare oltre? Ad intraprendere un confronto più maturo?


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25/02/2015 23:21
 
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Dio e il multiverso:
considerazioni di un matematico

MultiversoCon questo articolo diamo avvio alla collaborazione con il prof. Paolo Di Sia, docente di Matematica e Didattica presso la Libera Università di Bolzano e l’Università di Verona, autore di più di 150 pubblicazioni scientifiche su riviste nazionali e internazionali, reviewer di vari journals internazionali e membro di 5 società scientifiche (tra cui la American Nano Society)

 
di Paolo Di Sia*
*docente di Matematica presso Libera Università di Bolzano e l’Università di Verona

 

La cosmologia moderna ha motivo di ritenere che l’universo in cui viviamo possa essere uno di un numero (forse) infinito di universi, che formano il cosiddetto “multiverso”. La comprensione emergente della scienza del multiverso, costituito da migliaia di miliardi di miliardi di galassie, sembrerebbe spiegabile secondo molti studiosi in termini naturalistici, senza cioè la necessità di considerare forze soprannaturali per spiegare la sua origine e la sua esistenza in atto.

Assieme ad altre ipotesi, come gli universi spontanei, l’auto-creazione, particolari ipotesi quantomeccaniche, il multiverso è stato anche definito “l’ultimo dio dell’ateo” e utilizzato da atei e materialisti come un modo per evitare argomenti che potrebbero essere presi a favore dell’esistenza di Dio, come l’inizio dell’universo, il “cosmological argument”, il “fine tuning argument”. Il multiverso è una delle idee più interessanti e controverse della scienza attuale, con notevoli implicazioni cosmologiche, filosofiche e teologiche.

Gli sviluppi scientifici colgono i problemi fondamentali, le idee attuali sull’origine dell’universo e, direttamente o indirettamente, le nozioni di Dio che emergono da queste analisi. Lavorano in questo settore credenti, agnostici, atei; la scienza illumina le menti curiose e promuove le comprensioni empiriche. Non si conoscono metodi scientifici definitivi con cui l’uomo sia in grado di determinare ciò che in ultima analisi può essere definito “vero”; il meglio che si può fare è rendere sempre migliori le osservazioni e sempre più accurati i modelli che descrivono la realtà.

Tematiche cosmologiche significative, come il Big bang, vengono spesso prese come prova a favore o contraria ad un Dio creatore. Molte persone, come Georges Edouard Lemaître (1894-1966), presbitero, fisico e astronomo belga, hanno scelto di credere in Dio, nonostante il fatto che la presenza di Dio sia considerata da molti tutt’altro che evidente, sebbene secondo altri Dio deve avere le Sue ragioni per “nascondersi da noi” . Anche quando un modello supera un test che avrebbe potuto falsificarlo, ciò non significa che il modello sia stato definitivamente dimostrato e che non possa un giorno essere sostituito da un modello migliore.

Alexander Vilenkin, professore di fisica e direttore dell’istituto di cosmologia alla Tufts University nel Massachusetts, ha lavorato per 25 anni nel campo della cosmologia e ritiene che tutte le prove attualmente disponibili sembrano condurre al fatto che l’universo abbia avuto un inizio. Questo non depone a favore dei naturalisti filosofici e degli atei, poichè, come anche Stephen Hawking ha ammesso, “a molte persone non piace l’idea che il tempo abbia avuto un inizio, probabilmente perché sa di intervento divino” (Stephen W. Hawking, “Dal big bang ai buchi neri. Breve storia del tempo”, Bur 2011). Sul “fine tuning argument” il fisicoAndrei Linde ha detto che “abbiamo molte coincidenze davvero strane, e tutte queste coincidenze sono tali da rendere possibile la vita”, aggiungendo che la teoria del multiverso risulta essere una possibilità molto interessante per rispondere alla domanda circa il fine tuning che permette la vita sulla terra (A. D. Linde, R. Brandenberger, Inflation and Quantum Cosmology, Academic Press Inc, 1990).

Non vi sono attualmente prove scientifiche che prevedano un multiverso, ne’ in generale una realtà che si estende infinitamente nel passato. Tuttavia molti naturalisti filosofici hanno salutato il multiverso come elemento che ci dispensa dalla dipendenza da Dio. Si tratta, dicono altri, di una “strana posizione di sicurezza” per coloro che costantemente criticano i credenti in Dio di “aver fede” in qualcosa che non ha prove tangibili. Arvin Borde, Alan Guth, e Alexander Vilenkin hanno dimostrato che ogni universo, che in media si è espanso per tutta la sua storia, non può essere infinito nel passato, ma deve avere un confine passato spazio-temporale (Borde, A. H. Guth, A. Vilenkin, “Inflationary space-times are incomplete in past directions”, Phys. Rev. Lett. 90, 151301, 2003). Nel 2012 Vilenkin ha dimostrato anche che i modelli che non soddisfano questa condizione non riescono comunque per altri motivi ad evitare un inizio dell’universo. Quindi, anche se il nostro universo fosse una piccolissima parte di un multiverso, quest’ultimo dovrebbe avere un inizio.

John Carson Lennox, professore di matematica presso l’Università di Oxford, matematico irlandese, filosofo della scienza e apologeta cristiano, ha riassunto questa situazione affermando che “è piuttosto ironico che nel XVI secolo ci siano state molte resistenze ai progressi della scienza, perché sembravano minacciare la fede in Dio, e altrettanto dicasi nel XX secolo per le idee scientifiche riguardanti un inizio dell’universo, perché minacciano di aumentare la plausibilità della fede in Dio”.


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10/03/2015 12:38
 
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Lo psicologo Rudolf Allers: «l’unico libero dalla nevrosi
è l’uomo che accetta di essere creatura»

Rudolf AllersL’austriaco Rudolf Allers è stato un celebre psicologo e psichiatra del secolo scorso, da molti definito “l’anti-Freud” (termine affibbiatogli dal filosofo Louis Jugnet) dato che mantenne sempre verso di lui e verso la psicoanalisi una posizione radicalmente critica. Lavorò per anni con Emil Kraepelin, padre della psicopatologia nonché con Alfred Adler, uno dei fondatori della psicodinamica che inizialmente fu collaboratore di Freud dal quale si separò nel 1912 a causa del dogmatismo estremo del creatore della psicoanalisi e del pansessualismo che in quell’epoca sosteneva.

Allers fu docente di psichiatria nella Scuola di Medicina dell’Università di Monaco, docente di psicologia alla Scuola di Medicina dell’Università di Vienna, dove divenne direttore del Centro di psicologia medica e di Psicologia della sensazione dell’Istituto di Fisiologia, insegnò alla Georgetown University e alla Catholic University of America. Infatti lo psicologo austriaco fu sempre un devoto cattolico, sul blog “Psicologia e cattolicesimo” si può trovare un’ottima biografia e sintesi del suo pensiero.

Proprio in questi giorni, come ha annunciato “Avvenire”, è uscito un libro a lui dedicato: Rudolf Allers psichiatra dell’umano(D’Ettoris 2015), la stessa casa editrice ha già pubblicato “Rudolf Allers. Psicologia e cattolicesimo”. Secondo Roberto Marchesini, autore della prefazione di entrambi i libri, lo studioso austriaco è il più grande psicologo cattolico, superiore anche al connazionaleViktor Frankl (1905-1997), e fu un protagonista della vita culturale del Novecento: entrò in contatto con i maggiori esponenti della filosofia e della psicologia del tempo, ebbe una brillante carriera accademica e conseguì una serie di prestigiosi riconoscimenti.

Allers era fermamente convinto che la psicologia e la psichiatria per essere davvero efficaci dovevano avere una solida base metafisica, fu mentore del teologo Hans Urs von Balthasar e amico di santa Edith Stein. Negli ultimi anni, malato, visse nella casa di cura dell’arcidiocesi di Washington dove le suore trasformarono il solarium in un’aula nella quale gli studenti si accalcavano per seguire ancora le sue lezioni. Morì a Georgetown il 14 dicembre del 1963 all’età di 80 anni con il desiderio irrealizzato di promuovere in America un istituto cattolico di psicologia medica. Un’opera da affidare a «scienziati cattolici laici» che, come confidò all’amico padre Agostino Gemelli, favorissero l’ascesa di un pensiero capace di «opporsi a tutte le tendenze anticattoliche, fra le quali quelle nel campo della psicologia sono particolarmente importanti».

La critica a Freud verteva sulla nevrosi, riteneva infatti che non si trattasse dello scontro tra diversi istinti o tra la pulsione e l’impossibilità di realizzarla come invece sosteneva Freud. Bensì ciò che causava la nevrosi per Allers è l’atteggiamento dell’uomo dinanzi a questo conflitto. La nevrosi, diceva, è la «forma di malattia e aberrazione derivante dalla conseguenza della rivolta della creatura contro la sua naturale mortalità e impotenza». Compito quindi della psicoterapia è quello di farci prendere coscienza della nostra finitezza, rinunciando a un’ingiustificata superbia in nome dell’umile accettazione della realtà, anche quando essa si mostra diversa da come la vorremmo.  «Non mi sono sino ad ora mai imbattuto in un caso di nevrosi, che non rivelasse in fondo, un problema metafisico non risolto, come conflitto e problema finale», disse.

E difatti secondo Allers «l’unica persona che possa essere interamente libera dalla nevrosi è quella che passa la vita in una sincera dedizione ai doveri naturali e soprannaturali e che ha costantemente affermato la sua posizione come creatura e il suo posto nell’ordine del creato; in altre parole, al di là del nevrotico c’è solo il santo». Eppure, ripeteva, la strada per battere la nevrosi è meno lontana di quanto si pensi: «Per guarire una nevrosi non è necessaria un’analisi che discenda fino alle profondità dell’inconscio, per tirare fuori chi sa quali reminiscenze, né un’interpretazione che veda le modificazioni o maschere dell’istinto nei nostri pensieri, sogni e atti. Per guarire una nevrosi è necessaria una vera metanoia, una rivoluzione interiore che sostituisca l’umiltà all’orgoglio, l’abbandono all’egocentrismo. Se diventiamo semplici, possiamo vincere l’istinto con l’amore, che costituisce – se gli è veramente dato di svilupparsi – una forza meravigliosa e invincibile».


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31/07/2015 22:42
 
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Il cognitivista Piattelli-Palmarini:
«l’evoluzione non è più darwinismo»

L’EVOLUZIONE NON E’ PIU’ IL DARWINISMO«Jerry ed io non ci aspettavamo, e ancor meno ci aspettiamo oggi, che mai, proprio mai, i neo-Darwiniani ammettano, seppur tra anni ed anni, non dico di essersi sbagliati, ma neppure di aver esagerato nella loro difesa a oltranza del credo selezionista», comincia a scrivere Piattelli-Palmarini. «Mano a mano che verranno alla luce nuovi processi evolutivi estranei alla selezione naturale si dirà tranquillamente che il Darwinismo viene “allargato” e si procederà senza sussulti». Invece, secondo lo scienziato, questi meccanismi sono l’inizio della nuova teoria dell’evoluzione. Lo stratagemma retorico, continua, «è di considerare evoluzione e Darwinismo come sinonimi, quindi tutto ciò che è compatibile con, o conferma positivamente, la realtà dell’evoluzione, ipso facto, conferma (a detta loro) la validità della teoria della selezione naturale». Invece, continua lo scienziato, «progressivamente il meccanismo della selezione naturale verrà relegato in posizione sempre più marginale, fino a diventare, sempre di fatto, seppur non di diritto, poco pertinente». Nel libro vengono citati un buon numero di biologi che, pur presentando meccanismi decisamente non darwiniani, si inchinano formalmente di fronte alla selezione naturale, in ossequio a un dogma che è rischiosissimo contraddire. «Ben lo sappiamo, a nostre spese», ironizza. La sua posizione si allinea quindi a quella di tanti altri scienziati e premi Nobel, che in minima parte abbiamo raccolto in quest’archivio.

LA SELEZIONE NATURALE E’ UNA LEGGE VUOTA. La critica si concentra dunque sulla selezione naturale, cardine della teoria darwinista, definita però «una legge vuota perché ammette innumerevoli eccezioni e perché si applica solo episodicamente a tratti specifici, in specie specifiche, integrandola con innumerevoli conoscenze di svariate contingenze (biochimiche, genetiche, di sviluppo, ecologiche e così via). Per ammissione anche di alcuni neo-Darwiniani non spiega la speciazione, nè i grandi cambiamenti morfologici. Spiega, quando ci riesce, solo l’affinamento progressivo di alcuni tratti o comportamenti innati, e fenomeni di sotto-speciazione». Ovviamente, tiene a ribadire, ciò non significa che non ha mai alcun impatto sulle spiegazioni evoluzionistiche, ma si mantiene ad un vaghissimo livello, «poi integrandosi intimamente con svariatissime altre conoscenze contingenti». L’articolo continua addentrandosi in un dicorso molto tecnico, utile a dimostrare l’assunto iniziale. L’accusa generale è che la selezione naturale non può stabilire la differenza tra un tratto biologico che causa maggiore fitness biologica e un tratto che, invece, per caso, lo accompagna, ma non causa alcuna differenza di fitness. Eppure, la differenza c’è ed è massiccia. Per questo -sottolinea Palmarini, la teoria è difettosa. È un errore concettuale, epistemologico e scientifico attribuire a un processo naturale qualcosa che è costituito dalla nostra mente.

Ciò che è veramente interessante non è tanto entrare nel merito della correttezza o meno di una nobile teoria scientifica, ma la dimostrazione che il principale e abusato argomento della cultura atea per giustificare la propria scelta esistenziale -cioè il neodarwinismo, il fondamentalismo riduzionista basato sulla selezione naturale-, vacilla sempre più pericolosamente proprio grazie all’avanzamento della biologia evolutiva (e non certo creazionista…).


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24/11/2015 19:36
 
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Se il cristianesimo diventa la salvezza
per marxisti e borghesi secolarizzati

Negli ultimi anni il filosofo marxista ha teorizzato la necessità di una teologia politica come forma di congiunzione fra gli insegnamenti del cattolicesimo romano e la teoria politica classica. Ha respinto il progressismo e la società borghese che lo vive, ma non sappiamo se a questo cambiamento è seguita una reale conversione: «Cari amici, care amiche, compagne e compagni»ha scritto a Natale 2013 ai membri della Fondazione Crs (Centro per la Riforma dello Stato) di cui è presidente,«come avrete notato anche negli anni precedenti, vi dico solo buon Natale, non anche buone feste, tanto meno felice anno nuovo. Considero queste due ultime espressioni, auguri borghesi. Il Natale, invece, il mistero del Dio incarnato, che rovesciò il mondo degli uomini, dal sotto al sopra e una volta per sempre, ci appartiene. Non è necessario credere, per appartenere all’Avvento». Il suo nome è stato citato durante il pontificato di Benedetto XVI tra i marxisti-ratzingeriani (Giuseppe Vacca e Pietro Barcellona gli altri due), autori di una denuncia dell’“emergenza antropologica” che rischia di affondare la nostra civiltà, individuando nelmagistero della Chiesa il punto di resistenza più forte e profondo all’attuale “dittatura del relativismo” e della tecnocrazia, riconoscendo da un punto di vista laico che la Chiesa è depositaria di un sapere sull’uomo che salva la sua libertà, la sua dignità e la sua integralità dalla pretesa della tecnologia e della scienza su ciò che è umano.

Il suo ultimo libro, citato all’inizio, è stato recensito da Ernesto Galli della Loggia, storico italiano ed editorialista del Corriere della Sera,dalle posizioni politiche diametralmente differenti da quella di Tronti. Ed infatti ha mostrato di non concordare affatto con parecchie ricostruzione e tesi contenute nel libro, tuttavia ha scritto: «a parte le perduranti ingenuità della mitografia leninista, a parte tutte le ormai francamente insopportabili supponenze “rivoluzionarie” che le costellano, le pagine di Tronti esprimono al fondo qualcosa di profondamente vero: un disagio, un malessere, che ormai appaiono i tratti di un’intera fase storica. Quella che stiamo vivendo. Sopra le nostre società, infatti, la democrazia sembra avere steso una cappa di grigio buon senso, sembra ormai identificarsi con l’assenza di speranze, di ideali e di progetti forti, con una sorta di narcosi della mente e dello spirito che troppo spesso ci impedisce di vedere il male e l’ingiustizia che sono tra noi, e di chiamarli con il loro nome. Ma una fase storica che, proprio per questo, forse prepara un’inaspettata ripresa del pensiero antagonista, della divisione e dell’opposizione politiche oggi spente. E insieme prepara, forse, un ruolo nuovamente attivo del Cristianesimo sul piano sociale, una sua rinnovata capacità di richiamo. La storia non è finita, ogni partita può essere sempre riaperta».

Sia Tronti (marxista) che Galli della Loggia (anti-marxista) condividono la percezione di una «insofferenza che sta crescendo nelle società secolarizzate dell’Occidente per un modello di vita che, enfatizzando all’estremo tutti gli aspetti materiali dell’esistenza, facendo dell’economia e delle sue compatibilità un metro pressoché assoluto, relegando nell’insignificanza le grandi domande di senso, infligge quotidianamente ferite profonde a quella sostanza umana che ancora è la nostra. Ferite tanto più profonde in quanto non sembrano aver diritto ad alcuna adeguata rappresentazione pubblica. Certamente ha il forte valore di un sintomo la direzione verso cui Tronti spinge la sua ricerca di una possibile alternativa: […] verso una politica che si dimostri capace di accettare come sua parte essenziale la spiritualità. La spiritualità oggi, infatti, si presenterebbe come l’unico argine possibile alla “crescente volgarizzazione della vita”; di più: essa costituirebbe la sostanza per eccellenza di un vero e proprio “linguaggio della crisi”. Dove alla fine spiritualità significa null’altro che la religione, e per essere più chiari il Cristianesimo».

Secondo Tronti, infine, la contrapposizione tra cristianesimo e comunismo «”è stata una sciagura per la modernità: una differenza è stata trasformata in una incompatibilità”; e la colpa è stata del comunismo stesso, il quale invece di scegliere Feuerbach — come esso ha fatto seguendo Marx (il cui vero e massimo errore fu secondo Tronti quello di prevedere per l’appunto la fine della religione) — avrebbe piuttosto dovuto scegliereKierkegaard. Sta di fatto che la libertà dal potere promessa dai liberali, leggiamo, non porterà mai alla libertà dello spirito, e dunque non sarà mai “vera libertà umana”. Solo la libertà del cristiano è, sì, “libertà dei moderni rispetto a quella degli antichi, ma, nel Moderno, è libertà radicale, dirompente degli equilibri dati, sovversiva dell’ordine costituito, libertà liberante l’umanità fin qui oppressa”».


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26/02/2016 23:00
 
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Umberto Eco: «Gesù Cristo è un miracolo
anche per i laici inquieti come me»

Umberto EcoE’ morto ieri a 84 anni Umberto Eco, famoso semiologo e scrittore. Come sempre, quando muore un personaggio famoso il web viene inondato di articoli, citazioni, hashtag. Poi, dal giorno dopo, si tornerà ad ignorarlo.

Lui stesso, in un suo celebre intervento, ricordò che internet ha «diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un Premio Nobel».

Oggi  vorremmo ricordare quello che abbiamo apprezzato di lui, onorare la sua memoria cercando di trarre ciò che di positivo riteniamo ci abbia lasciato. Innanzitutto la sua realistica visione sul Medioevo, niente secoli bui ma un’«epoca gloriosa», ha scritto recentemente, il cui risultato è«quella che chiamiamo oggi Europa, con le sue nazioni, le lingue che ancora parliamo, e le istituzioni che, sia pure attraverso cambiamenti e rivoluzioni, sono ancora le nostre»Perché «che il Medioevo non è quello che il lettore comune pensa, che molti affrettati manuali scolastici gli hanno fatto credere, che cinema e televisione gli hanno presentato»

Il suo funerale si svolgerà, secondo le sue volontà, in forma laica al Castello Sforzesco di Milano, una scelta coerente perché Eco si convertì dal cattolicesimo all’illuminismo e al postmodernismo, optando per un approccio debole alla verità. Una apostasia meditata, che lo portò ad una “fede nel dubbio”. Scrisse: «La psicologia dell’ateo mi sfugge perché kantianamente non vedo come si possa non credere in Dio, e ritenere che non se ne possa provare l’esistenza, e poi credere fermamente all’inesistenza di Dio, ritenendo di poterla provare» (U. Eco, “In cosa crede chi non crede”, Liberal 1996, p.23). Raccontando la sua parabola esistenziale, disse: «La prospettiva laica non è stata per me una eredità assorbita passivamente ma il frutto, molto sofferto, di una lunga e lenta mutazione, e sono sempre incerto se certe mie convinzioni morali non dipendano ancora da una impronta religiosa che mi ha segnato alle origini. Tuttavia credo di poter dire su quali fondamenti si basa oggi la mia “religiosità” laica; perché fermamente ritengo che ci siano forme di religiosità, e dunque senso del sacro, del limite, dell’interrogazione e dell’attesa, della comunione conqualcosa che ci supera, anche in assenza della fede in una divinità personale e provvidente» (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 22).

Un laico turbato, non certo un ateo, proclamava il diritto della Chiesa ad intervenire pubblicamente nella società: «Quando una qualsiasi autorità religiosa di qualsiasi confessione si pronuncia su problemi che concernono i princìpi dell’etica naturale, i laici debbono riconoscerle questo diritto: possono consentire o non consentire sulla sua posizione, ma non hanno nessuna ragione per contestarle il diritto di esprimerla, anche se si esprime come critica al modo di vivere del non credente. Non ritengo esista il diritto inverso. I laici non hanno diritto di criticare il modo di vivere di un credente. Non vedo perché debbano scandalizzarsi perché la Chiesa cattolica condanna il divorzio: se vuoi essere cattolico non divorzi, se vuoi divorziare fatti protestante. Io confesso che sono persino irritato di fronte agli omosessuali che vogliono essere riconosciuti dalla Chiesa, o ai preti che vogliono sposarsi.  Ci sono ricevimenti (laicissimi) in cui è richiesto lo smoking, e sta a me decidere se voglio piegarmi a un costume che mi irrita, perché ho una ragione impellente per partecipare a quell’evento, o se voglio affermare la mia libertà standomene a casa» (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 13).

Nelle lettere che scrisse al card. Carlo Maria Martini, il celebre semiologo toccò una profondità che mai abbiamo più ritrovato nei suoi libri.Bellissime le sue parole, da non credente, verso la figura di Gesù Cristo: «se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso(miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe diturbare e ingentilire il cuore di chi non crede». Così, «io ritengo che un’etica naturale – rispettata nella profonda religiosità che la anima – possa incontrarsi coi princìpi di un’erica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i princìpi naturali siano stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza» (In cosa crede chi non crede,  Liberal Libri 1996, p. 25).

Oggi che Umberto è tornato alla casa del Padre possiamo solamente augurargli che quel “programma di salvezza” che riconobbe dentro di sé si sia realmente attuato, per lui. Un laico inquieto, dal cuore turbato e gentile.


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16/01/2017 19:35
 
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L’epilogo di Richard Dawkins:
per i suoi colleghi «ha danneggiato la scienza»

Poi qualcosa ha iniziato a scricchiolare. Nel 2008 in un’intervista al Corriere della Sera ha dichiarato: «ho fallito, ho perso la battaglia per l’ateismo». Il motivo? «Una maggiore influenza della religione». Nel 2011 si è classificato tra i peggiori misogini dell’anno per aver intimato il silenzio una donna abusata durante una conferenza atea, nel 2012 ha cambiato idea (dinanzi ad una platea sbigottita) sulle sue visioni esistenziali, affermando di essere agnostico e non ateo. Nel 2013 è arrivato addirittura a dichiarasi “culturalmente cristiano” e nel 2015 ha perfino criticato una catena di cinema che si era rifiutata di proiettare un’annuncio contenete una preghiera cristiana: «Sono fortemente contrario a sopprimere gli annunci sulla base del fatto che possano “offendere” persone»ha dichiarato«Se qualcuno si sente “offeso” da una preghiera, allora merita di essere offeso».

Da anni Dawkins è preso di mira sui media per disparate motivazioni, dalle accuse di “codardia” arrivate dal mondo laico per l’essersi rifiutato di discutere pubblicamente con eminenti intellettuali cristiani alle persistenti gaffe sui social network, dalle affermazioni sconcertanti (come l’incitamento ad abortire i bambini affetti da sindrome di Down perché sarebbe «immorale» partorirli) alle discutibili iniziative di propaganda atea (come quando mise dei bambini felici su un cartellone pubblicitario inneggiante alla “positività dell’ateismo” senza accorgersi che erano figli di devote famiglie cristiane). L’ateismo militante ne ha preso le distanze«Sempre più spesso Dawkins provoca indignazione pubblica per le sue dichiarazioni a favore del sessismo, del razzismo e della pedofilia. Per il movimento ateo è arrivato il momento di rinnegarlo e di portargli via il microfono». I suoi compagni di battaglia, come Daniel Dennettritengono che si stia auto-sabotando e «potrebbe seriamente danneggiare la sua reputazione».

Ironia della sorte, c’è perfino chi si è convertito alla fede cristiana grazie ai suoi libri mentre, purtroppo, un altro suo lettore –dopo aver finito di leggere il suo libro più famoso, The God delusion– si è suicidato, «avendo perso fiducia in tutto»Per il filosofo laico Alain de Botton«a causa di Richard Dawkins e Christopher Hitchens l’ateismo è diventato noto solo come una forza distruttiva», mentre il filosofo John Gray ha definito il suo ateismo una forma di religione fondamentalista. Il filosofo darwiniana Michael Ruse lo ritiene «profondamente disinformato», mentre per il i quotidiani inglesi il suo personaggio pubblico ha completamente perso di interesse.

Dal punto di vista prettamente scientifico, infine, il suo contributo più importante è la teoria del “gene egoista”definita tuttavia una “sciocchezza ideologica e  arrogante” su Science 2.0, venendo respinta dal biologo premio Nobel Gerald Edelman e dal biologo David Sloan Wilsonper il qualeDawkins «non riesce a qualificarsi come evoluzionista proprio sui due argomenti per i quali è universalmente ben noto: la religione e la teoria del “gene egoista”». L’impostazione scientifica strettamente ottocentesca e materialista che Dawkins esprime nei suoi lavori è stata screditata da decine di suoi colleghi, come il prof. Colin Tudge, biologo dell’Università di Oxford o il genetista agnostico H. Allen Orr. Nel 2014 il biologo di Harvard, E.O. Wilsonha dichiarato che Dawkins non è uno scienziato ma un «giornalista che riporta quel che i veri scienziati hanno scoperto»Per il biologo Michael Zimmerman, vincitore del premio Amico di Darwin assegnato dal National Center for Science Education«la retorica di persone come Coyne, Dawkins e Myers ha portato la gente ad allontanarsi dalla scienza e dall’evoluzionismo».

Non può dunque stupire se un recente studio sociologico, realizzato dalla Rice University e guidato dal prof. David R. Johnson del Center for Democracy and Technology, ha mostrato come la maggior parte degli scienziati britannici utilizzati come campione (ben l’80%) ritengano che Richard Dawkins ha «travisato la scienza». Lo zoologo non era l’oggetto principale della ricerca, tuttavia è emerso ugualmente che i suoi colleghi non solo rifiutano il suo approccio, ma ritengono anche che Dawkins abbia fatto, e faccia, un cattivo servizio al mondo scientifico, offrendo «un’impressione sbagliata sui confini della ricerca scientifica». Il prof. Johnson ha spiegato che la ricerca mostra che «la migliore divulgazione scientifica non implica insulti e arroganza, ma incoraggia la curiosità, l’apertura mentale e l’apprezzamento per la scienza». Gli scienziati britannici, ha osservato, hanno criticato il modo la divulgazione scientifica di Dawkins in quanto palesemente finalizzata a screditare le asserzioni della teologia, «essi possono anche ritenere irrazionale la fede in una divinità -come alcuni intervistati hanno fatto-, ma ritengono che le questioni relative all’esistenza di Dio o al “sacro” non rientrano nell’ambito applicativo della scienza». E’ dunque sbagliato strumentalizzarla.

Tornano alla mente le parole a lui dedicate dell’eminente professore di Matematica all’Università di Oxford, John C. Lennox, spesse volte suo “avversario” nel dibattito pubblico: «Richard Dawkins ha passato la vita ad insistere nella concezione di Dio come alternativa esplicativa alla scienza, un’idea che non si ritrova da nessuna parte nella riflessione teologica di qualche spessore. Dawkins pertanto combatte contro un mulino a vento, respingendo un concetto di Dio in cui comunque non crede nessun pensatore serio. Una tale attività non è necessariamente da considerare un segno di sofisticazione intellettuale» (J.C. Lennox, Fede e scienza, Armenia 2009, p. 57).


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01/02/2017 15:36
 
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Questa suora di clausura diventa dottore
in Ingegneria aerospaziale

Una suora di clausura in India è uscita dal suo convento per un insolito motivo: partecipare alla cerimonia per il suo dottorato in Ingegneria Aerospaziale, massimo grado di istruzione universitaria.

«Avevo aderito all’ordine religioso dopo il mio ultimo esame orale, lo scorso anno, e questa è stata la prima volta che sono uscita da allora»ha spiegato suor Benedicta, 32 anni, benedettina delle Riparatrici del Santo Volto di Nostro Signore Gesù Cristo. La congregazione conta attualmente 140 suore in 20 case nel mondo, si dedicano alle opere di carità a favore di minori, anziani, disabili e altre categorie bisognose.

La religiosa indiana, nata in Kuwait nel 1983, si è diplomata al St. Xavier’s College di Mumbai e ha conseguito un master in Scienze spaziali presso la Pune University prima di ottenere il dottorato presso il Defense Institute of Advanced Technology di Pune (Maharashtra, India), studiando come ridurre le tempistiche di viaggio degli aerei.

Di fronte ad una promettente e redditizia carriera come ingegnere, tuttavia, suor Benedicta ha sentito la chiamata alla vocazione. Non è stata affatto una rinuncia: «Ho incontrato Dio attraverso i miei studi del dottorato», ha dichiarato, decidendo di dare a Lui «la priorità nella mia vita» rispetto alla carriera lavorativa. E’ entrata in monastero il il 2 febbraio 2015 e, prima di comunicare la notizia ai genitori, ha voluto terminato gli studi intrapresi.

Papa Francesco ha spiegato che «il fantasma da combattere è l’immagine della vita religiosa intesa come rifugio e consolazione davanti a un mondo “esterno” difficile e complesso». Suor Benedicta è un grande aiuto a capire che non è affatto così, anzi è stata una scelta di libertà. «Nel Monastero abbiamo consapevolezza che ogni cosa ci viene affidata da Dio e non ne siamo padroni»ha detto suor M. Raffaella Strovegli del Monastero di clausura delle benedettine di Fermo (Marche). «Che libertà! Ecco perché la dimensione della gioia è una nostra caratteristica: quando non si è schiavi delle cose, si ha la gioia della libertà».

La redazione


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02/02/2017 14:01
 
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La cosmologa Wickman: 
«vi spiego perché la scienza moderna è God-friendly»

God e big bangSe qualcuno è interessato ad un bel libro in lingua inglese consigliamo l’ultimo lavoro della prof.ssa Leslie Wickman, astrofisico della NASA e direttore del Center for Research in Science presso la Azusa Pacific University. Il libro si intitola God of the Big Bang: How Modern Science Affirms the Creator (Worthy Publishing, 2015).

Dopo un decennio di scatenate pubblicazioni antiteiste, il mondo scientifico è tornato a riflettere seriamente delle implicazioni filosofiche e teologiche delle scoperte scientifiche. Il libro di Wickman è proprio un approfondimento sul fascino verso il creato offerto dalla scienza negli occhi di uno scienziato credente, che parte da questa affermazione: «Dal momento che Dio si rivela sia nei testi sacri che nella natura, essi non possono logicamente essere in contraddizione tra loro. Quindi la chiave per una più piena comprensione di chi è Dio sta nell’osservare come il messaggio della Scrittura e l’evidenza della natura si incastrano e si integrano».

In un’intervista recente l’analisi della realtà del dibattito pubblico che offre è lucida: «L’illusione di un conflitto tra scienza e religione può emergere solo a causa di una conoscenza incompleta ed errata delle Scritture o dei fatti della natura, o solo una generale mancanza di comprensione di come le due aree si integrano. L’illusione di un conflitto tra scienza e religione sembra essere perpetuata soprattutto dai fondamentalisti agli estremi poli di questa finestra di dialogo. Queste due posizioni estreme danno luogo ad un conflitto apparente tra scienza e religione, ma il vero conflitto è fra “scientismo” (una combinazione di scienza naturale e una visione del mondo secolare), e “creazionismo” (una combinazione di visione cristiana del mondo e un severo letteralismo biblico). Ma la scienza può essere praticata con successo senza una visione del mondo secolare, così come il cristianesimo può essere fedelmente praticato senza un’interpretazione della creazione in 6 giorni».

Dal punto di vista cosmologico ci sono alcuni argomenti che ben si integrano alla fede cristiana, «il modello del Big Bang dell’universo è molto più God-friendly rispetto al modello popolare prima di esso (il modello dello stato stazionario). Il Big Bang afferma che c’è stato un inizio per l’universo e, per effetto della logica, un inizio richiede una causa o un principio. Inoltre, contrariamente all’opinione popolare, il Big Bang non fu un’esplosione caotica ma piuttosto un evento finemente sintonizzato molto altamente ordinato».

Un secondo argomento interessante, anch’esso emerso grazie alla scienza moderna, è che «l’universo mostra un lungo e crescente elenco di caratteristiche che devono essere esattamente come sono per sostenere la complessità della vita, suggerendo fortemente che vi è una certa intelligenza creativa dietro tutto questo». E’ ciò che viene chiamato “fine tuning” o “regolazione fine” o principio antropico, l’evidenza cosmologica che ha portato alla conversione al deismo, ad esempio, il celebre fisico e divulgatore scientifico inglese Paul Davies.

Molti scettici obiettano all’argomento del “fine tuning” la tesi del Multiverso, ovvero l’esistenza di un innumerevole numero di universi rendendo molto meno speciale il nostro e il pianeta su cui viviamo. Ma, come ha spiegato il prof. Elio Sindoni, ordinario di Fisica Generale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca: «il principio antropico non è stato enunciato con intenti religiosi ma puramente scientifici. Contro di esso si pone la teoria del multiverso, un’ipotesi affascinante benché impossibile da confermare sperimentalmente, quindi inaccettabile come confutazione di questo principio, basato, comunque lo si voglia interpretare, su dati fisici» (E. Sindoni, Siamo soli nell’universo?, Editrice San Raffaele 2011, p. 141).

Sarebbe bello comunque un confronto serio su questo ma l’ideologia del creazionismo americano (e l’ideologia del naturalismo filosofico) infuoca il dialogo e svia l’attenzione. Come ha spiegato la prof.ssa Wickman «la Bibbia non è mai stata concepita per essere un libro di scienza, il suo messaggio è teologico. Gli scrittori hanno usato la scienza antica accettata dai loro contemporanei per descrivere la natura, altrimenti il loro messaggio sarebbe stato incomprensibile per coloro a cui si rivolgevano».


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04/03/2017 16:33
 
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Il fisico Zichichi: «l’esistenza della scienza prova
che siamo figli di una logica, non del caos»

zichichi esistenza dioMolto interessante la recente riflessione del celebre fisico italiano Antonino Zichichi. A lungo diversi esponenti del mondo anticlericale hanno messo in dubbio la sua autorità scientifica avendo più volte affermato di credere in Dio grazie alla scienza.

Tuttavia, ancora oggi, Zichichi risulta avere un H-index (indice di impatto sul mondo scientifico) pari a 62, come Stephen Hawking (62) e ben superiore, ad esempio, a Carlo Rovelli (52) e al premio Nobel Sheldon Lee Glashow (52).

«Le scoperte scientifiche sono la prova che non siamo figli del caos, ma di una logica rigorosa. Se c’è una Logica ci deve essere un Autore»ha scritto Zichichi, professore emerito di Fisica all’Università di Bologna, vincitore del Premio Fermi ed ex presidente dell’European Physical Society (EPS) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

Il fisico ha smentito che la scienza possa mai spiegare o riprodurre i miracoli, il che sarebbe equivalente a «illudersi di potere scoprire l’esistenza scientifica di Dio». E ciò è impossibile, poiché «se fosse la Scienza a scoprirlo, Dio non potrebbe essere fatto che di Scienza e basta. Se fosse la Matematica ad arrivare al “Teorema di Dio”, il Creatore del Mondo non potrebbe che essere fatto di Matematica e basta. Sarebbe poca cosa. Noi credenti vogliamo che Dio sia tutto: non soltanto una parte del tutto». Ovvero, se Dio si potesse indagare tramite la scienza (la famosa “prova scientifica” chiesta dagli antiteisti) non sarebbe più il Creatore, ma una semplice creatura.

Zichichi da sempre descrive due realtà dell’esistenza, quella trascendentale e quella immanentistica. La seconda, dice, è studiata dalle scoperte scientifiche, mentre la prima è di competenza della teologia. «È un errore pretendere che la sfera trascendentale debba essere come quella che noi studiamo nei nostri laboratori. Se le due logiche fossero identiche non potrebbero esistere i miracoli, ma solo, e soltanto, le scoperte scientifiche. Se così fosse le due sfere dell’Immanente e del Trascendente sarebbero la stessa cosa. È quello che pretendono coloro che negano l’esistenza del Trascendente, come fa la cultura atea. Non è un dettaglio da poco. I miracoli sono la prova che la nostra esistenza non si esaurisce nell’Immanente. Ma c’è di più».

Ma lo stesso Autore di ciò che la scienza scopre, ha proseguito l’eminente scienziato italiano, «è un’intelligenza di gran lunga superiore alla nostra. Ecco perché le grandi scoperte sono tutte venute, non migliorando i calcoli e le misure ma dal “totalmente inatteso“. Il più grande dei miracoli, amava dire Eugene Wigner (gigante della Scienza), è che esiste la Scienza».

Le parole di Zichichi si rifanno chiaramente alle riflessioni di Albert Einstein, il quale a sua volta scriveva«Trovi sorprendente che io pensi alla comprensibilità del mondo come a un miracolo o a un eterno mistero? A priori, tutto sommato, ci si potrebbe aspettare un mondo caotico del tutto inafferrabile da parte del pensiero. Al contrario, il tipo d’ordine che, per esempio, è stato creato dalla teoria della gravitazione di Newton è di carattere completamente diverso: anche se gli assiomi della teoria sono posti dall’uomo, il successo di una tale impresa presuppone un alto grado d’ordine nel mondo oggettivo, che non era affatto giustificato prevedere a priori. È qui che compare il sentimento del “miracoloso”, che cresce sempre più con lo sviluppo della nostra conoscenza. E qui sta il punto debole dei positivisti e degli atei di professione, che si sentono paghi per la coscienza di avere con successo non solo liberato il mondo da Dio, ma persino di averlo privato dei miracoli» (A. Einstein, “Lettera a Maurice Solovine”, GauthierVillars, Parigi 1956 p.102).

Anche l’unico premio Nobel vivente italiano, il fisico Carlo Rubbia, si è lasciato interrogare dal “perché” la scienza possa essere così efficace: «Se contiamo le galassie del mondo o dimostriamo l’esistenza delle particelle elementari, in modo analogo probabilmente non possiamo avere prove di Dio. Ma, come ricercatore, sono profondamente colpito dall’ordine e dalla bellezza che trovo nel cosmo, così come all’interno delle cose materiali. E come un osservatore della natura, non posso fare a meno di pensare che esiste un ordine superiore. L’idea che tutto questo è il risultato del caso o della pura diversità statistica, per me è completamente inaccettabile. C’è un’Intelligenza ad un livello superiore, oltre all’esistenza dell’universo stesso» (C. Rubbia, Neue Zürcher Zeitung, märz 1993).


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11/03/2017 09:06
 
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Il fisico Steven Weinberg
e la sorprendente nostalgia di Dio

fisica ateiCertamente uno dei principali fisici teorici viventi è Steven Weinberg, premio Nobel (1979) e titolatissimo accademico americano. Tra i suoi meriti principali quello di aver enormemente contribuito all’elaborazione della teoria elettrodebole.

Weinberg è anche spesso citato dai critici del teismo e del cristianesimo in quanto dichiaratamente ateo, autore di questa famosissima frase: «Quanto più l’universo ci appare comprensibile, tanto più ci appare senza scopo» (S. Weinberg, “The First Three Minutes: A Modern View of the Origin of the Universe”, Basic Books 1977). Ovvero, con il procedere della scoperte scientifiche, diminuirebbe sempre più la percezione di uno scopo della vita e dell’universo.

Rispettiamo questo punto di vista, ricordando soltanto però che si tratta semplicemente di una opzione filosofica da lui semplicemente scelta: nessun dato naturale e/o scientifico ci costringe o porta necessariamente ad abbracciare questo estremo nichilismo.

Ci ha colpito molto leggere poco tempo fa un chiarimento dello stesso Weinberg circa la sua celebre citazione. «Nel mio libro del 1977, “I primi tre minuti”», ha scritto, «fui tanto imprudente da osservare che “più l’universo appare comprensibile, più appare senza scopo”. Non volevo dire che la scienza c’insegna che l’universo è senza scopo, ma che l’universo stesso non ci suggerisce nessuno scopo, e subito dopo aggiungevo che noi stessi possiamo inventare uno scopo della vita, magari quello di cercare di capire l’universo. Ma ormai il guaio era fatto, e da allora quella frase mi ha sempre perseguitato. […]. La risposta che mi è piaciuta di più è stata quella dell’astronomo Gerard de Vaucouleurs, mio collega all’Università del Texas, il quale disse di trovare “nostalgica” la mia osservazione. Lo era davvero; era piena di nostalgia per un mondo nel quale i cieli narrano la gloria di Dio» (S. Weinberg, Il sogno dell’unità dell’universo, Mondadori 1993, pp. 263-264).

Perché mai, vorremmo chiedergli, il suo animo percepisce tale nostalgia verso la gloria di Dio? Come si spiega il contrasto tra la sensazione di inutilità suggeritagli dall’universo e il desiderio interno a lui, inestirpabile, di un Significato? E’ forse un fatale inganno della nostra natura, averci creato con questa inesauribile sete di un Dio? Ancora una volta la risposta è affidata ad ognuno: o la nostra natura è crudelmente menzognera oppure non lo è.

Se Weinberg ha arbitrariamente deciso che l’universo non suggerisce (a lui) alcuno scopo, occorre precisare che molti suoi colleghi, invece, la pensano diversamente: «Secondo la mia opinione e quella di un crescente numero di scienziati», ha ad esempio affermato il noto fisico Paul Davies«la scoperta che la vita e l’intelletto siano emersi come parte dell’esecuzione naturale delle leggi dell’universo è una forte prova della presenza di uno scopo più profondo nell’esistenza fisica. Invocare un miracolo per spiegare la vita è esattamente quello di cui non c’è bisogno per avere la prova di uno scopo divino nell’universo» (P. Davies, Conferenza pronunciata a Filadelfia su invito della John Templeton Foundation e diffusa da Meta List on “Science and Religion”).

Il premio Nobel per la fisica, C.H. Townes, ha voluto rispondere direttamente al suo amico Weinberg con queste parole: «Noi dobbiamo prendere le decisioni in base ad un giudizio, certo, ma abbiamo anche qualche prova per rispondere. Credo, ad esempio, che una di queste si avvale del riconoscimento che questo universo è appositamente progettato, è un universo molto particolare e dev’esserci stato un fine, uno scopo […]. Steve Weinberg ha un giudizio facile, ha detto che tutto è accidentale e senza scopo. Io ho un diverso tipo di giudizio» (C.H. Townes, discorso durante l’assegnazione del Premio Templeton 2005).

Tornando alla nostalgia professata da Weinberg, ci è anche sembrata molto opportuna l’osservazione dell’astrofisico italiano Marco Bersanelli, docente presso l’Università di Milano: «L’interrogativo è inevitabile: non ammettere la possibilità che il mondo fisico rimandi ad altro oltre a sé equivale a negare la possibilità di un senso. E talvolta anche chi afferma che tali domande sarebbero nostre invenzioni in fondo spesso nasconde la nostalgia di un significato pieno e totale» (M. Bersanelli e M. Gargantini, Solo lo stupore conosce, Rizzoli 2003, p.270).

La redazione


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29/04/2017 16:18
 
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«Le stelle? Rimandano al destino dell’uomo»,
parola dell’astrofisico Bersanelli

destino uomo bersanelli«Da sempre le stelle rimandano al destino dell’uomo. Anche per Van Gogh rimasero fino alla fine il segno di un’ultima speranza possibile. Confidò che “la speranza è nelle stelle”, le sue tante raffigurazioni notturne nascono da “un bisogno tremendo di – userò la parola – religiosità, per questo alla sera vado fuori e dipingo le stelle”». L’eminente astrofisico italiano, Marco Bersanelli, si conferma capace di unire magistralmente scienza, arte e filosofia, rendendolo -almeno ai nostri occhi- uno dei più interessanti scienziati italiani.

Ordinario di Astrofisica all’Università di Milano, dov’è anche direttore della Scuola di Dottorato in Fisica, Astrofisica e Fisica Applicata, il prof. Bersanelli è membro del Planck Science Team ed è tra i responsabili scientifici della missione spaziale Planck dell’ESA, nonché autore di circa 300 pubblicazioni scientifiche. Da poco ha pubblicato Il grande spettacolo del cielo (Sperling & Kupfer 2016), volume nel quale ha raccolto riflessioni personali, citazioni di suoi colleghi e di poeti ed artisti che si sono lasciati sedurre dalla bellezza del cosmo.

«È paradossale», ha spiegato in un’intervista recente, «oggi la tecnologia ci permette di scrutare le profondità dell’universo a un livello inconcepibile anche solo pochi decenni fa, eppure questa è la prima generazione che ha perso l’abitudine di esporsi alla meraviglia del cielo stellato. Non ci stupiamo più di quel che ci circonda». Senza dubbio la cultura scettico-materialista di cui siamo purtroppo figli ha contribuito enormemente alla disillusione con cui affrontiamo la vita e al disinteresse per le questioni ultime, per il gusto del bello e del vero. Il cielo stellato, ad esempio, che pochissimi vedono abitando nelle luminose e benestanti città occidentali, suscita raramente qualche domanda sul senso dell’esistenza.

Eppure sono incancellabili le pagine di Leopardi che «a soli quindici anni scrisse un trattato di storia dell’astronomia, la “più sublime, la più nobile tra le scienze fisiche”», ha spiegato Bersanelli. «Nel cosmo secondo lui si rispecchiava la domanda ultima dell’uomo, sul significato della sua vita e del mondo, come nel Canto notturno di un pastore errante dell’Asia. E d’altra parte Leopardi aveva colto come nell’essere umano c’è qualcosa di più grande dell’intero universo, che non può essere ridotto a nessuna misura. La ragione riconosce che ci sono eventi che i numeri non possono spiegare: come la nascita di un bambino, davanti a cui anche un miliardo di anni luce rimarrà sempre e soltanto un numero». Infatti, ha proseguito l’astrofisico, «il motore che sta sotto la passione con cui gli scienziati si muovono in questo campo è poter svelare qualcosa di un ordine dato, che non abbiamo fatto ed esiste prima di noi. Non è un caso che la Chiesa abbia attivamente sostenuto l’astronomia, tanto che la Specola Vaticana è uno dei più antichi osservatori al mondo. Nella tradizione cristiana la bellezza della natura e del cielo in particolare è il segno per eccellenza della grandezza del Creatore».

L’astrofisico ha anche approfittato per ridimensionare l’eccitazione di qualche tempo fa della scoperta di sette piccoli pianeti “simili” alla Terra, notizia che puntualmente esce ogni anno sui quotidiani. «C’è stato un eccessivo clamore mediatico. Alcuni pianeti erano già noti e non è vero che sono paragonabili alla Terra, hanno solo alcune grossolane caratteristiche simili. La presenza di acqua non è sufficiente per dire che sono “abitabili”. E di pianeti extrasolari di questo tipo ne sono stati censiti già a migliaia. Se non altro però questa notizia ha spinto molti ad interrogarsi sul grande mistero dell’universo, è fondamentale anche dal punto di vista educativo imparare a lasciarsi interrogare e stupire dalla realtà, anche solo da una falce di Luna».

Il grande chimico e fisico Robert Boyle, arrivò a scrivere«Quando con i telescopi io esamino le vecchie stelle e i pianeti di recente scoperta, quando con microscopi eccellenti discerno la sottigliezza inimitabile di singolare fattura della natura, e quando, in una parola, con l’aiuto di coltelli anatomici e la luce di forni chimici, io studio il libro della natura, mi ritrovo spesso ad esclamare con il Salmista: “Quanto son numerose le tue opere, o Signore! Tu le hai fatte tutte con sapienza”».


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07/06/2018 18:42
 
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L’Unione scienziati cattolici:
già iscritti illustri nomi della scienza mondiale

Oggi sono circa 700. Parliamo degli scienziati professionisti cattolici che in due anni hanno aderito alla Society of Catholic Scientists (Unione di scienziati cattolici), fondata nel 2016 negli Stati Uniti.

Lo scopo è promuovere la fratellanza spirituale e intellettuale tra persone di fede che lavorano nelle scienze naturali e mostrare l’armonia tra fede e scienza in un’epoca in cui molti ne dubitano.

L’associazione è stata ufficialmente riconosciuta dalla Conferenza episcopale statunitense e  l’attuale presidente, nonché uno dei fondatori, è il dott. Stephen M. Barr, esperto di fisica delle particelle ed eminente professore di Fisica e Astronomia presso l’Università di Delaware.

Un secondo fondatore è l’attuale vicepresidente, il fisico Jonathan I. Lunine, docente alla Cornell University dove è anche direttore del Center for Radiophysics and Space Research. Lunine è un’autorità internazionale sui pianeti abitabili extraterrestri ed è membro delle principali società scientifiche, convertitosi al cattolicesimo nel 2007 grazie, come ha dichiarato, «alla profondità del pensiero cattolico sulle più profonde questioni che noi umani ci possiamo porre, ma sopratutto l’aver conosciuto i fratelli ed i padri gesuiti dell’Osservatorio Vaticano, il cui impegno di vita tra fede e scienza mi commuove ogni volta che ci penso. La scienza crea un’altra via attraverso cui provare gratitudine verso il Creatore».

Altri nomi importanti nel consiglio di amministrazione sono quelli di Karin I. Öberg, docente di Astrochimica presso l’Università di Harvard; Robert Scherrer, presidente del Dipartimento di Fisica e Astronomia presso la Vanderbilt University; Stephen Meredith, professore di Patologia presso l’Università di Chicago; Martin A. Nowak, professore di Biologia e Matematica presso l’Università di Harvard, dov’è direttore del programma di Evolutionary Dynamics. Ogni giorno arrivano nuove iscrizioni e possono associarsi anche scienziati cattolici al di fuori degli USA.

Alla Conferenza annuale del 2018, che si terrà dall’8 al 10 giugno presso la Catholic Unversity of America, interverrà, tra gli altri, un altro celebre fisico, l’argentino Juan Martín Maldacena, docente presso l’Institute of Advanced Studies dell’Università di Princeton. Maldacena è tra i maggiori esperti della cosiddetta teoria delle stringhe ed è autore della scoperta nota, appunto, come “congettura di Maldacena”. Si dichiara cattolico praticante ed è membro della Pontificia Accademia delle Scienze.

Molti di questi nomi sono già presenti nel nostro dossier sui principali scienziati credenti. Il futuro della SCS ci appare roseo per due ragioni. La prima è la grande attenzione mostrata verso i giovani studenti cattolici, invitati e coinvolti attivamente sia nella preparazione dell’annuale conferenza che nel board di amministrazione. Inoltre, le stesse conferenze trattano tematiche concrete (non i fumosi e teorici rapporti tra scienza e fede): le Origini dell’Universo, nel 2017, ed il Fisicalismo e la mente umana, nel 2018. Coinvolgendo, inoltre, oratori non cattolici.


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17/12/2021 11:17
 
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