In carriera nella rete di Scientology Francesca racconta dieci anni nel gruppo: "condizionata quando decisi di uscire"
Milano - «Ho conosciuto Scientology negli anni Ottanta, a Milano. Avevo trent'anni, ero separata con un figlio undicenne. Lavoravo, ma ero insoddisfatta e inquieta: insieme al matrimonio, anche la mia vita mi sembrava un fallimento. Un giorno mi ritrovai fra le mani un volantino che invitava a "conoscere se stessi". Sono andata a fare un test con 200 domande.Alla fine m'hanno detto che ero instabile ed infelice perchè non potevo esprimere il mio potenziale».
Francesca in Scientology è rimasta per dieci anni. Ne è uscita da tempo. La voce è serena, senza rancori. Il suo, è il pacato resoconto di un'odissea.
«Il primo impatto con l'ambiente - dice- non mi era piaciuto. Troppo "americani" e efficienti, avevo pensato. Ma poi mi ero detta: che m'importa, se veramente possono aiutarmi. Ho iniziato il corso di "Anatomia della mente umana". Venti lezioni in cui ti spiegano come l'uomo soffre perchè non gli viene insegnato qual'è il suo potenziale. Al corso mi avvicinarono delle persone che mi raccontarono come con Scientology la loro vita era cambiata in meglio, e mi invitarono a fare i corsi successivi. Io, imparai, ero un "tethan", ossia un essere operante e consapevole; ma a causa delle mie "aberrazioni" (cioè dei traumi della mia vita) ero intrappolata in un corpo e avevo perso consapevolezza. La mia esistenza era costituita da una catena interminabile di vite precedenti, in cui avevo continuato a perdere consapevolezza. Ora però, grazie a Scientology, potevo uscire da questa spirale per raggiungere la libertà totale. Questa prospettiva di libertà, di dominio sulla realtà, mi ha affascinato.Inoltre, fare Scientology non era abbracciare ciecamente una fede, ma seguire un metodo scientifico provato da molti con successo.Questo non essere una fede ma una scienza mi rassicurava.
Il miglioramento di me sarebbe avvenuto, mi fu detto, attraverso una serie di gradini, il Ponte ( il ponte verso l'eternità), fatto di studio e di procedimenti applicati. Chi compie questi studi è un "auditor". Io ho subito voluto diventare auditor, e mi sono messa a studiare. C'è una tecnica per tutto, e un costo per ogni tecnica, costo che sale man mano che salgono i gradini del Ponte. Dopo pochi mesi decido che questa è la scommessa più importante della mia vita. Mi licenzio, affido mio figlio a una parente e entro nell'organizzazione come staff a tempo pieno. Lavoro dalle 12 alle 15 ore al giorno per una paga molto bassa, ma tanto ho la liquidazione e poi, penso, è per poco perchè tra non molto sarò così abile e libera da fare quello che voglio.
Dentro, però, mi accorgo che le cose non vanno così bene. Nello staff molti sono scontenti e pieni di problemi. Tuttavia io ce la metto tutta, studio molto. Una tappa importante è lo stato di "clear". Vuole dire essere autodeterminati, essersi liberati da quella parte di mente "reattiva" che influisce negativamente sulle proprie scelte. Raggiunto questo livello ho provato una grande gioia. Però non è durata molto: poco dopo, mi sembrava in realtà di essere esattamente come al punto di partenza. Ma - mi dicevo - ci sono i livelli superiori, quelli sì che risolvono definitivamente i problemi; e si va avanti sempre, perchè il Ponte non finisce mai.
Giunta allo stadio di "clear", mi attendeva un corso a Copenhagen, nell'organizzazione avanzata. Avrei finalmente passato il livello OT3, detto "muro del fuoco", da cui mi aspettavo moltissimo. Lavoro sodo per conseguire il mio "livello" anche se questo famoso OT3 mi appare sempre più fantascienza che scienza. Però sono ormai abituata a pensare poco e a fidarmi totalmente degli scritti di Hubbard.
Torno a casa, e non di menticherò quel viaggio perchè cominciai ad avere dei disturbi molto forti di cui non avevo mai sofferto in precedenza: senso di soffocamento, panico, incapacità di mantenere il controllo della mia coscienza. Altri, ho saputo, avevano provato disturbi simili al termine dell'OT3. Rientrata in Italia, mi sentivo ormai sempre di più fuori dalla realtà. Credevo che sarei stata "libera", invece mi ritrovavo incapace di risolvere le cose più banali della mia vita quotidiana. Intanto, dopo cinque anni, i soldi della liquidazione erano finiti. Non avevo di che vivere, e riprendere con me mio figlio mi era impossibile.
Decisi di uscire, ma non fu facile: accuse di tutti i generi, tentativo di farmi confessare cose che non avevo fatto, minaccia ( per me gravissima) di non potere fare più Scientology per l'eternità ( quindi mi veniva negata la vita eterna). Mi fu anche detto che quello che avevo detto di me nelle sedute di "auditing" sarebbe stato reso pubblico. Intanto mi telefonavano, gentili, gli amici più influenti, mi dicevano che io ero così in gamba, che proprio io non potevo mollare.
Me ne sono andata per qualche tempo in un luogo nascosto, perchè mi sentivo braccata.
Scientology afferma che l'uomo è un dio decaduto allo stato di materia e che grazie agli insegnamenti di Hubbard può tornare a creare secondo la sua volontà.
Dopo essermene andata, mi sono trovata con altri fuoriusciti: faticosamente, sono arrivata ad ammettere che non esiste niente che possa farmi uscire dal mio limite. All'inizio, mi sembrava di avere scoperto qualcosa di veramente importante. Poi ho visto persone che si conformavano totalmente al pensiero di Hubbard, smettevano di pensare per fare riferimento allo scritto più adatto, esprimendosi solo per citazioni. Nella fretta di arrivare a fare parte degli eletti che stanno a un buon punto del Ponte, qualsiasi rapporto umano preesistente ti sembra inutile e di peso.
Si entra in Scientology per autorealizzarsi e si diventa totalmente dipendenti da questa "scienza". Per entrare nell'organizzazione avanzata, io avevo firmato un contratto di due miliardi di anni: ero ormai fuori dalla realtà. La notte in cui ho compiuto 40 anni, mi sono accorta del nulla con cui avevo riempito la mia vita. E mio figlio, e il mio lavoro?
Con un terrore misto a gioia, ho capito che dovevo ricominciare tutto da capo, ma dove e come?
Mi venne offerta la prospettiva in una chiesa evangelica, provai, ma dovetti scappare dopo un anno, a causa del fondamentalismo che mi insegnava ad odiare la Chiesa Cattolica. Mi resi conto che stavo per cadere dalla padella alla brace. Rinchiusa nella peggiore delle solitudini, scoprii invece che questa solitudine diventava la mia slavezza. Quando si dice il Caso! Incontrai un frate cappuccino che chiedeva elemosine, francamente mi sorprese e quasi gli risi in faccia. Lui mi chiese perchè ridessi, ed io gli raccontai che ero ridotta quasi a chiedere anch'io l'elemosina. Lui prese di tasca quello che aveva raccolto, e me lo diede, poi aprì un portamerenda e mi invitò a sedermi sulla panchina e divise il suo panino con me, senza dire una sola parola. Non so come, capii che Dio non mi aveva lasciata! Gli chiesi se poteva raccomandarmi anche per fare la donna delle pulizie, mi diede appuntamento il giorno dopo.
Andai, mi aveva trovato un lavoro dignitoso, tuttavia aggiunse: "questo è per guadagnarti da vivere decorosamente, ma questo è guadagnarti la vita eterna e la serenità interiore" e mi diede un foglio accompagnato da un sorriso sincero. Era un eremo, indicazione della località e tutto, era vicino al posto di lavoro. Ci andai, ed incontrai per la seconda volta Cristo.
Oggi sono felice, ma soprattutto serena. Ho scoperto che senza la Chiesa non solo avrei perso l'anima, ma anche la vita stessa e mio figlio. Di questa Chiesa amo la sua capacità di perdonare con molta facilità, e specialmente di non chiederti nulla ».