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ORIGENE (185-254 d.C.)

Ultimo Aggiornamento: 12/09/2014 20:03
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06/05/2011 23:24
 
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Origene di Alessandria

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Immagine rappresentante Origene di Alessandria.

Origène Adamanzio, greco Ὠριγένης (Ōrigénēs); latino Origenes Adamantius, raramente Horigenes (Alessandria d'Egitto, 185Tiro, 254), è stato un teologo, scrittore e catechista greco antico.

È considerato uno tra i principali scrittori e teologi cristiani nei primi tre secoli. Di famiglia greca, si formò alla scuola catechetica di Alessandria d'Egitto (Didaskaleion).

Indice

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Biografia

Origene fu un grande filosofo cristiano e scrisse molti testi di natura teologica, anche se, per umiltà, non alluse quasi mai a se stesso nelle sue opere. Tuttavia, Eusebio di Cesarea gli dedicò quasi l'intero sesto libro dell'Storia ecclesiastica, inoltre, in collaborazione con Panfilo di Cesarea compose l'"Apologia per Origene"; tale opera, che pure ai suoi tempi poteva essere considerata di parte, dimostra tuttavia che Eusebio era ben informato sui dettagli della vita e del pensiero di Origene. Delle sue opere si trovano tracce anche nelle opere di Gregorio Taumaturgo, nelle controversie tra Sofronio Eusebio Girolamo e Tirannio Rufino, in Epifanio di Salamina (Haereses, LXIV) ed in Fozio I di Costantinopoli (Bibliotheca Cod. 118).

Origene ad Alessandria (185-232)

Nacque probabilmente ad Alessandria d'Egitto nel 185 da genitori cristiani di lingua greca. Origene era appena un diciassettenne quando, nel 202, la persecuzione di Settimio Severo si abbatté sulla Chiesa di Alessandria. Quando suo padre, Leonida, fu gettato in prigione, Origene avrebbe voluto condividere il suo destino, ma non fu in grado di farlo, poiché sua madre gli aveva nascosto gli abiti, pertanto riuscì solamente a scrivere una lettera ardente ed entusiastica a suo padre, con la quale lo esortava a perseverare coraggiosamente nella sua scelta. Quando Leonida patì il martirio e le sue fortune vennero confiscate dalle autorità imperiali, il ragazzo lavorò duramente per sostenere sua madre ed i suoi sei fratelli più giovani. Riuscì ad adempiere a questo gravoso compito diventando insegnante, vendendo i suoi manoscritti, e grazie al generoso aiuto di una ricca signora che ammirava il suo talento. Poco tempo dopo, alla fuga di Clemente in Cappadocia, assunse, di comune accordo con lui, la direzione della scuola catechetica, e l'anno seguente fu confermato nel suo ufficio dal patriarca Demetrio (Eusebio, Historia ecclesiastica, VI, II; Girolamo, De viris illustribus, LIV). La scuola di Origene, che era frequentata anche da pagani, presto divenne un asilo per neofiti, confessori e martiri. Tra questi ultimi: Basilide, Potamiena, Plutarco, Sereno, Eraclide, Erone, un altro Sereno, ed una catecumena, Herais (Eusebio, Hist. eccl., VI, IV). Origene li accompagnò al martirio incoraggiandoli con le sue esortazioni. Nonostante avesse iniziato ad insegnare ad un'età così giovane, riconobbe la necessità di completare la sua istruzione. Frequentando le scuole filosofiche, specialmente quella di Ammonio Sacca, che fu anche maestro di Plotino, si dedicò allo studio dei filosofi, in particolare di Platone e degli Stoici. In questo non faceva altro che seguire le orme dei suoi predecessori Panteno e Clemente, e di Eraclio, che gli sarebbe succeduto. In seguito, quando quest'ultimo mise a disposizione della scuola catechetica le sue opere, imparò l'ebraico, e si mise in contatto con alcuni ebrei che lo aiutarono a risolvere alcuni suoi dubbi. Verso il 210 il suo estremo rigore ascetico, spinto dalla lettura di un passo di Matteo, «e vi sono eunuchi che si sono fatti eunuchi da se stessi, per il regno dei cieli» (19,12), lo portò ad autoevirarsi. Secondo alcuni autori, per questa automutilazione il vescovo Demetrio non lo volle mai ordinare sacerdote[1].

Il corso dei suoi lavori ad Alessandria fu interrotto da cinque viaggi. Intorno al 213, sotto Papa Zefirino e l'imperatore Caracalla, desiderò vedere "l'antichissima Chiesa di Roma", ma non vi rimase a lungo (Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, XIV). Poco dopo fu invitato dal governatore d'Arabia, che era desideroso di incontrarlo (VI, XIX). Fu probabilmente nel 215 o 216, quando la persecuzione di Caracalla imperversava in Egitto, che visitò la Palestina, dove Teoctisto di Cesarea ed Alessandro di Gerusalemme, lo invitarono a predicare nonostante fosse ancora un laico. Verso il 218 l'imperatrice Mammea, madre di Alessandro Severo lo portò ad Antiochia (VI, XXI). Finalmente, molto più tardi, sotto Ponziano di Roma e Zebino di Antiochia (Eusebio, VI, XXIII), si recò in Grecia. Al suo passaggio a Cesarea, Teoctisto[2], vescovo di quella città, assistito da Alessandro, vescovo di Gerusalemme, lo consacrò sacerdote. Demetrio, nonostante avesse fornito Origene di lettere di accredito, fu offeso moltissimo da questa ordinazione che aveva avuto luogo senza che ne fosse a conoscenza e, come pensava, in deroga ai suoi privilegi. Se si deve dar retta ad Eusebio (VI, VIII), quest'ultimo era invidioso della crescente influenza del suo catechista. Al suo ritorno ad Alessandria, Origene percepì presto l'ostilità del suo vescovo, intuì la bufera che si stava addensando e lasciò l'Egitto (231). I dettagli di questa vicenda furono riportati da Eusebio nel secondo libro perduto dell' Apologia per Origene; secondo Fozio che aveva letto l'opera, furono convocati ad Alessandria due concili, il primo di questi esiliò Origene, mentre l'altro lo depose dal sacerdozio (Bibliotheca Cod. 118). Girolamo, comunque, affermava espressamente che non fu condannato per alcun punto della sua dottrina.

Origene si rifugia a Cesarea (232-254)

Espulso da Alessandria, Origene fissò la sua dimora a Cesarea in Palestina (232), dove, insieme al suo protettore ed amico Teoctisto, fondò una nuova scuola, e ricominciò il suo Commentario su San Giovanni dal punto in cui era stato interrotto. Presto fu nuovamente circondato di discepoli. Il più famoso di questi fu, sicuramente, Gregorio Taumaturgo, che, insieme a suo fratello Apollodoro, seguì i corsi di Origene per cinque anni. Durante la persecuzione di Massimino il Trace (235-237), Origene si recò presso il suo amico Firmiliano, vescovo di Cesarea in Cappadocia, che lo trattenne per un lungo periodo. In questa occasione, fu ospitato da una signora cristiana chiamata Giuliana, che aveva ereditato gli scritti di Simmaco l'Ebionita, un traduttore dell'Antico Testamento (Palladio, Hist. Laus., 147). Gli anni successivi furono dedicati quasi ininterrottamente alla composizione dei "Commentari". Eusebio fa menzione solamente di alcune escursioni sui luoghi santi, di un viaggio ad Atene (Eusebio, VI il XXXII), e di due viaggi in Arabia, uno dei quali (244) fu intrapreso per la conversione di Berillo di Bostra, un patripassiano (Eusebio, VI, XXXIII; Girolamo, De viris illustribus, LX), l'altro per confutare certi eretici che negavano la Risurrezione (Eusebio, Storia ecclesiastica, VI, XXXVII). L'età non ne diminuì le attività: quando scrisse il Contra Celsum ed il "Commentario su San Matteo" aveva 60 anni. La persecuzione di Decio (250) gli impedì dal continuare questi lavori. Origene fu imprigionato e barbaramente torturato, ma il suo coraggio non venne meno nella sua prigionia, da dove scrisse lettere che trasmettono lo spirito dei martiri (Eusebio, Historia ecclesiastica, VI, XXXIX). Alla morte di Decio (251), Origene era ancora vivo, ma non gli sopravvisse per molto. Morì, probabilmente, per le sofferenze patite durante la persecuzione nel 253 o nel 254, all'età di 69 anni (Eusebio, Historia ecclesiastica, VII, I). Passò i suoi ultimi giorni a Tiro, sebbene la ragione per cui si ritirò là è ignota. Fu sepolto con tutti gli onori come confessore della Fede. Per molto tempo il suo sepolcro, dietro l'altare maggiore della cattedrale di Tiro fu meta di pellegrinaggio. Oggi, poiché della cattedrale restano solo un cumulo di rovine, l'ubicazione esatta della sua tomba è ignota.

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Opere

Origene Adamantio.

Pochi autori furono fecondi come Origene. Epifanio stimava in 6.000 il numero delle sue opere, sicuramente considerando separatamente i diversi libri di un'unica opera, le omelie, le lettere, ed i suoi più piccoli trattati (Haereses, LXIV, LXIII). Questa cifra, pur riportata da molti scrittori ecclesiastici sembra, tuttavia, grandemente esagerata. Girolamo assicurava che l'elenco delle opere di Origene steso da Panfilo non contenesse più di 2.000 titoli (Contra Rufinum, II, XXII; III, XXIII); ma questo elenco era evidentemente incompleto.

Scritti esegetici

Origene dedicò tre generi di scritti all'interpretazione delle Sacre Scritture: commentari, omelie, e scholia (San Girolamo, Prologus interpret. homiliar. Orig. in Ezechiel).

  • I commentari (tomoi, libri, volumina) sono una approfondita interpretazione del testo sacro. Un'idea della loro estensione si può avere dal fatto che le parole di Giovanni: «All'inizio era il Verbo», fornirono materiale per un intero rotolo. Di questi sopravvivono, in greco, solamente otto libri del Commentario su San Matteo, e nove libri del Commentario su San Giovanni; in latino, una traduzione anonima del Commentario su San Matteo che comincia con il capitolo XVI, tre libri e mezzo del Commentario sul Cantico dei Cantici tradotto da Tirannio Rufino, ed un compendio del Commentario sulla Lettera ai Romani dello stesso traduttore.
  • Le Omelie (homiliai, homiliae, tractatus) sono discorsi pubblici sui testi delle Sacre scritture, spesso estemporanee e registrate così come veniva dagli stenografi. L'elenco è lungo ed indubbiamente doveva essere più lungo se era vero che Origene, come Panfilo dichiarava nella sua Apologia, predicava pressoché ogni giorno. Ne rimangono 21 in greco (venti sul Libro di Geremia, più la celebre omelia sulla Strega di Endor); mentre in latino ne sopravvivono 118 tradotte da Rufino, 78 tradotte da san Girolamo ed alcune altre di dubbia autenticità, conservate in una raccolta di omelie. Il Tractatus Origenis recentemente scoperto non è opera di Origene, sebbene si avvalga dei suoi scritti. Origene fu chiamato padre dell'omelia perché fu colui che maggiormente rese popolare questo tipo di letteratura, nella quale si trovano così tanti istruttivi dettagli sui costumi della Chiesa primitiva, sulle sue istituzioni, sulla disciplina, sulla liturgia, e sui sacramenti.
  • Gli scholia (scholia, excerpta, commaticum interpretandi genus) sono note esegetiche, filologiche, o storiche su parole o brani della Bibbia, come le annotazioni dei grammatici alessandrini in calce agli scrittori profani. A parte pochi brevi frammenti sono tutti perduti.

Opere dottrinali

Tra di esse possono essere annoverate:

  • De principiis in una traduzione latina di Rufino e nelle citazioni della Philocalia, che potrebbe contenere circa un sesto dell'opera. Il De principiis fu composto ad Alessandria, e sembra, arrivò nelle mani del pubblico prima del suo completamento; l'opera tratta, in successione, nei suoi quattro libri, lasciando spazio a numerose digressioni, di: (a) Dio e la Trinità, (b) il mondo e la sua relazione con Dio, (c) l'uomo ed il libero arbitrio, (d) le Sacre scritture, la loro ispirazione ed interpretazione. Il trattato contiene la teologia "platonica" di Origene, che causò, per la sua arditezza, varie polemiche in ambito greco e latino.
  • Sulla preghiera, un opuscolum giuntoci per intero nella sua forma originale, che fu inviato da Origene al suo amico Ambrogio, che in seguito sarebbe stato imprigionato a causa della Fede.

Opere apologetiche

Tra esse ricordiamo:

  • Contra Celsum. Negli otto libri dell'opera, Origene segue il suo avversario, il filosofo neoplatonico Celso, punto su punto, confutando dettagliatamente in ognuna delle sue affermazioni. È un modello di ragionamento, erudizione ed onesta polemica. L'opera ci permette di ricostruire nel dettaglio il pensiero di quel filosofo pagano. Origene scelse, dunque, un tipo di apologia seriamente costruita, che investiva i vari aspetti del rapporto tra paganesimo e cristianesimo, non escluso quello politico: l'autore affermava quell'autonomia della religione dal potere che sarà poi sviluppata con decisione da Ambrogio da Milano in ambito latino.
  • Esortazione al martirio, un opuscolum giuntoci per intero nella sua forma originale, che fu inviato da Origene al suo amico Ambrogio, che in seguito sarebbe stato imprigionato a causa della Fede.

Opere filologiche

Il merito più importante di Origene fu quello di iniziare lo studio filologico del testo biblico nella scuola di Cesarea. Tale tecnica avrebbe, in seguito, influenzato anche Girolamo.

Il prodotto di tale attività furono gli Exapla, una vera e propria edizione critica della Bibbia redatta per offrire alle varie comunità un testo unitario ed attendibile, con un metodo non dissimile da quello filologico ellenistico (cui si richiamava anche per i segni con cui si indicavano parti notevoli o difficili del testo). Il titolo dell'opera indica le "sei versioni" del testo disposte su sei colonne:

  1. testo ebraico originale;
  2. Testo ebraico traslitterato in greco (per facilitarne la comprensione, visto che l'ebraico non ha vocali almeno fino al VII secolo ed è perciò poco comprensibile);
  3. Traduzione greca di Aquila (età di Publio Elio Traiano Adriano, estremamente fedele all'originale);
  4. Traduzione greca di Simmaco l'Ebionita;
  5. Traduzione dei Settanta;
  6. Traduzione greca di Teodozione.

Nel caso dei Salmi, l'edizione diventava un Oktapla, cioè presentava altre due colonne con altrettante traduzioni supplementari. Vista la mole dell'opera, essa era disponibile in un solo esemplare ed era un lavoro di scuola a cui Origene fece da sovrintendente. Purtroppo di questo lavoro esistono pochissimi frammenti, ma, grazie a scrittori successivi, se ne conosce il piano.

Epistole

Siamo in possesso di sole due lettere di Origene: una indirizzata a Gregorio Taumaturgo sulle Sacre scritture, l'altra a Giulio Africano sulle aggiunte greche al Libro di Daniele. Delle altre lettere origeniane si conservano estratti e citazioni in autori come Eusebio, Girolamo e Rufino, che restituiscono, sia pure parzialmente, le difficili condizioni in cui l'autore si trovava ad operare.

Influenza di Origene

Durante la sua vita, Origene con i suoi scritti, i suoi insegnamenti, ed i rapporti interpersonali esercitò un'enorme influenza. Firmiliano di Cesarea, che si considerava suo discepolo lo fece rimanere con lui per un lungo periodo per trarre profitto dalla sua cultura (Eusebio, Historia ecclesiastica, VI, XXVI; Palladio, Hist. Laus., 147). Alessandro di Gerusalemme, suo allievo alla scuola catechetica era suo fedele ed intimo amico (Eusebio, VI XIV), così come Teotisto di Caesarea in Palestina che lo ordinò (Fozio, Cod. 118). Berillo di Bostra che aveva redento dall'eresia, gli fu profondamente legato (Eusebio, VI, XXXIII; Girolamo, De viris illustribus, LX). Anatolio di Laodicea tessette le sue lodi nel Carmen Paschale (P. G., X 210). Il dotto Giulio Africano lo consultò e se ne conosce la replica di Origene (P. G., XI 41-85). Ippolito di Roma apprezzò grandemente il suo valore (Girolamo, De viris illustribus, LXI). Dionisio di Alessandria, suo alunno e successore alla scuola catechetica, quando divenne patriarca di Alessandria gli dedicò il trattato "Sulla Persecuzione" (Eusebio, VI il XLVI) e, alla notizia della sua morte, scrisse una lettera infarcita dei suoi encomi (Fozio, Cod. 232). Gregorio Taumaturgo, che fu suo allievo per cinque anni a Cesarea, prima di andarsene, gli dedicò un entusiasta panegirico. Non c'è prova che Eracle, suo discepolo, collega, e successore alla scuola catechetica, prima di essere elevato al Patriarcato di Alessandria, vacillasse nella sua amicizia. Il nome di Origene era così stimato che quando si doveva por fine ad uno scisma o sbaragliare un'eresia, veniva fatto appello a lui.

Dopo la morte, la sua reputazione continuò a crescere. Panfilo, martirizzato nel 307, compose, insieme ad Eusebio, una "Apologia di Origene" in sei libri, dei quali, solo il primo è stato conservato in una traduzione latina da Rufino (P. G., XVII 541-616). Origene, a quei tempi, aveva molti altri apologisti i cui nomi ci sono ignoti (Fozio, Cod. 117 e 118). Anche i successivi direttori della scuola catechetica continuarono a seguire le sue orme. Teognosto, nel suo Hypotyposes, secondo Fozio (Cod. 106), lo seguì addirittura troppo da vicino, sebbene la sua opera fosse approvata da Atanasio di Alessandria. Girolamo, addirittura, indicava Pierio col soprannome di Origenes junior (De viris illustribus, LXXVI). Didimo il Cieco compose un'opera per spiegare e giustificare gli insegnamenti contenuti nel De principiis (Girolamo, Adv. Rufin., I, VI). Atanasio non esitava a citarlo con grandi encomi (Epist. IV ad Serapion., 9 e 10) e spiegava che lui doveva essere interpretato non letteralmente (De decretis Nic., 27).

L'ammirazione per il grande alessandrino non fu inferiore fuori dall'Egitto. Gregorio Nazianzeno fece da grancassa per il suo pensiero (Suidas, Lexicon, ed. Bernhardy, II, 1274: Origenes he panton hemon achone): in collaborazione con Basilio Magno, pubblicò, con il titolo di Philocalia, un volume contenente brani selezionati del maestro. Nel suo "Panegirico di San Gregorio Taumaturgo", Gregorio di Nissa chiamava Origene principe della cultura cristiana del III secolo (P. G., XLVI 905). A Cesarea in Palestina l'ammirazione dei dotti per Origene divenne una passione. Panfilo scrisse la sua "Apologia"; Euzoio trascrisse le sue opere su pergamena (Girolamo, De viris illustribus, XCIII); Eusebio le catalogò attentamente e ne fece grande uso. I latini, comunque, non furono meno entusiasti dei greci. Secondo Girolamo, i principali imitatori latini di Origene furono Eusebio di Vercelli, Ilario di Poitiers, Ambrogio da Milano e Vittorino di Pettau (Girolamo, Adv. Rufin., I, II; Ad Augustin. Epist., CXII, 20). Eccetto Rufino che praticamente è solo un traduttore, Girolamo, probabilmente, è lo scrittore latino che deve di più ad Origene. Di fronte alle controversie origeniste lo ammise volentieri e non lo ripudiò mai completamente. Basta leggere i prologhi alle sue traduzioni di Origene (Omelie su San Luca, Libro di Geremia, Libro di Ezechiele ed il Cantico dei Cantici), e le prefazioni ai suoi Commentari (Libro di Michea, Lettera ai Galati e Lettera agli Efesini, ecc.).

Tra queste espressioni di ammirazione e lode, si levarono anche delle voci discordi. Metodio di Olimpo, vescovo e martire (311), compose molte opere contro Origene, fra cui un trattato Sulla Risurrezione, del quale Epifanio riporta un lungo estratto (Haereses, LXVI, XII-LXII). Eustazio di Antiochia, che morì in esilio intorno al 337, criticò il suo allegorismo (P. G., XVIII 613-673). Anche Alessandro di Alessandria, martirizzato nel 311, lo attaccò, se si deve dar credito a Leonzio di Bisanzio ed all'imperatore Giustiniano I. Ma i suoi avversari più accaniti furono gli eretici: Sabelliani, Ariani, Pelagiani, Nestoriani, Apollinaristi.

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Dottrina

Le speculazioni filosofiche del grande direttore del Didaskaleion lo esposero a feroci critiche e condanne, soprattutto dal IV secolo in poi. Tuttavia, egli, nella prefazione al De principiis, scrisse una regola, così formulata nella traduzione di Rufino: «Illa sola credenda est veritas quae in nullo ab ecclesiastica et apostolica discordat traditione». Pressoché la stessa norma viene espressa in termini equivalenti in molti altri passaggi dell'opera: «non debemus credere nisi quemadmodum per successionem Ecclesiae Dei tradiderunt nobis» (In Matt., ser. 46, Migne, XIII 1667). In base a questi principi, Origene si appellava continuamente alla preghiera ecclesiastica, all'insegnamento ecclesiastico, e alla regola ecclesiastica della fede (kanon). Egli accettava solamente i quattro Vangeli Canonici perché la tradizione non ne ammetteva altri; sosteneva la necessità del battesimo perché era concorde con la pratica della Chiesa fondata sulla tradizione Apostolica; avvertiva coloro che interpretavano le Sacre scritture, di non fare affidamento sul proprio giudizio ma "sulla regola della Chiesa istituita da Cristo". Per questo, aggiungeva, noi abbiamo solamente due luci che ci possano guidare, Cristo e la Chiesa; la Chiesa riflette fedelmente la luce ricevuta da Cristo, come la luna riflette i raggi del sole. Il segno distintivo del cattolico è l'appartenenza alla Chiesa, al di fuori della quale non c'è salvezza; al contrario, colui che abbandona la Chiesa cammina nell'oscurità, è un eretico. È attraverso il principio dell'autorità che Origene era solito smascherare e combattere gli errori dottrinali ed era lo stesso principio che invocava quando enumerava i dogmi della fede. Un uomo animato da tali sentimenti può commettere errori, perché è umano, ma la sua disposizione d'animo è essenzialmente cattolica e non merita di essere enumerato fra i promotori dell'eresia.

Sulla base di tali presupposti si può iniziare ad esaminare la dottrina di Origene, basata su tre punti fondamentali:

[modifica] Allegoria nell'interpretazione delle Sacre Scritture

I brani principali sull'ispirazione, il significato e l'interpretazione delle Sacre Scritture sono riportati in greco nei primi 15 capitoli del Philocalia. Secondo Origene, le Sacre Scritture sono ispirate, perché sono la parola e l'opera di Dio. Ma, lontano dall'essere uno strumento inerte, l'autore ispirato ha il pieno possesso delle sue facoltà, è consapevole di ciò che sta scrivendo; è libero di riferire il suo messaggio o no; non è perso in un delirio passeggero come gli oracoli pagani, poiché disagi fisici, disturbi dei sensi o perdita momentanea della ragione altro non sono che prove dell'azione degli spiriti maligni. Dato che le Sacre scritture derivano da Dio, dovrebbero avere le caratteristiche distintive dell'opera Divina: la verità, l'unità, e la pienezza. La parola di Dio non può essere falsa; pertanto non possono essere ammessi errori o contraddizioni nelle Sacre scritture (In Joan., X, III). Essendo l'autore delle Sacre Scritture unico, la Bibbia può essere considerata più un libro unico che una raccolta di libri (Philocalia, V, IV-VII), uno strumento perfettamente armonioso (Philocalia, VI, I-II). Ma la caratteristica più Divina delle Sacre Scritture è la loro pienezza: «Non c'è nelle Sacre scritture il più piccolo brano (cheraia) che non rifletta la saggezza di Dio» (Philocalia, I, XXVIII, cf. X, I). Ci sono imperfezioni nella Bibbia: antilogie, ripetizioni e discontinuità; ma queste imperfezioni divengono perfezioni poiché ci conducono all'allegoria ed al significato spirituale (Philocalia, X, I-II).

In un primo momemto, partendo dalla tricotomia platonica, Origene distingueva il corpo, l'anima, e lo spirito delle Sacre Scritture; in un secondo, seguendo una terminologia più razionale, distingueva solamente tra la lettera (corpo) e lo spirito. In realtà, l'anima, o il significato psichico, o significato morale (cioè le parti morali delle Sacre Scritture, e le applicazioni morali delle altre) gioca solamente un ruolo secondario. L'interpretazione di Origene della lettera (o corpo) è diversa da quella odierna. Oggi si indaga sul senso letterale, mentre Origene indagava in senso grammaticale, il letterale in opposizione al significato figurato. Per questo i significati che Origene legava alle parole erano diversi da quelli che attualmente vengono loro legati.

Sebbene ci avvisi che questi brani sono le eccezioni, si deve notare che Origene ammetteva troppi casi in cui le Sacre Scritture non dovevano essere interpretate letteralmente. Le due grandi regole di interpretazione stilate dal catechista di Alessandria, prese per loro stesse ed indipendentemente da interpretazioni erronee sono a prova di critica. Esse possono essere così formulate:

  • Le Sacre Scritture devono essere interpretate in una maniera degna di Dio, loro autore.
  • Il senso corporale o letterale delle Sacre Scritture non deve essere seguito quando questo comporti qualsiasi cosa impossibile, assurda o indegna di Dio.

I problemi sorgono dall'applicazione di queste regole. Origene ricorse troppo facilmente all'allegoria semplicemente per spiegare apparenti antilogie o antinomie. Considerava che alcuni resoconti o precetti della Bibbia fossero indegni di Dio se fossero stati presi alla lettera. Giustificava l'allegoria con il fatto che altrimenti alcune parti o precetti abrogati sarebbero inutili per il lettore: un fatto che gli fosse apparso contrario alla provvidenza dell'ispiratore divino e alla dignità del documento era quindi letto in questa maniera. Sebbene le critiche dirette contro il suo metodo allegorico da Epifanio e da Metodio non fossero infondate, tuttavia molti rimproveri sorgevano da malintesi.

Subordinazione delle Persone Divine

Le tre Persone della Trinità si distinguono da tutte le altre creature per tre caratteristiche: l'assoluta immaterialità, l'onniscienza, e la sostanziale santità. Come è ben noto, molti antichi scrittori ecclesiastici attribuivano agli spiriti creati una sorta di ambiente aereo o etereo senza il quale non potevano interagire. Sebbene non prenda una decisa posizione, Origene era di questa opinione, tuttavia, non appena si poneva una domanda sulle Persone Divine, era perfettamente sicuro che non avessero un corpo e non fossero contenute in un corpo; e questa caratteristica apparteneva solamente alla Trinità (De principiis, IV, 27; I, VI, II, II, 2; II, IV 3 ecc.). La conoscenza di ogni creatura, essendo essenzialmente limitata, è imperfetta e capace di essere sempre aumentata. Ma sarebbe impensabile che le Persone Divine possano passare dallo stato d'ignoranza alla conoscenza. Come poteva il Figlio, che è la Saggezza del Padre, essere ignorante di qualsiasi cosa? ("In Joan"., 1,27; Contra Celsum, VI, XVII). Allo stesso modo non si può ammettere l'ignoranza dello Spirito che il "indaga le cose profonde di Dio" (De principiis, I, V, 4; I, VI, 2; I, VII, 3; "In Num. him"., XI, 8 ecc.). Come la sostanziale santità è privilegio esclusivo della Trinità, così è anche l'unica fonte di tutta la santità creata. Il peccato viene perdonato solo grazie all'azione simultanea di Padre, Figlio, e Spirito Santo. In una parola le tre Persone della Trinità sono indivisibili nel loro essere, nella loro presenza, e nel loro operare.

Insieme a questi testi perfettamente ortodossi ci sono alcuni che devono essere interpretati con estrema attenzione, ricordando che la lingua della teologia ancora non era perfettamente sviluppata e che Origene fu il primo ad affrontare questi spesso difficili problemi. Apparirà allora, che la subordinazione delle Persone Divine, così grandemente utilizzata contro Origene consisteva, generalmente, in differenze di attribuzioni (il Padre creatore, il Figlio redentore, lo Spirito santificatore) che sembravano assegnare alle Persone un diverso campo d'azione, o nella pratica liturgica di pregare il Padre attraverso il Figlio nello Spirito Santo, o nella teoria così diffusa all'interno della Chiesa greca dei primi cinque secoli, che il Padre aveva una preminenza (taxis) sulle altre due Persone, per il solo fatto che ordinariamente il Padre era preminente per dignità (axioma), poiché rappresentava l'intera Divinità, della quale era il principio (arché), l'origine (aitios), e la fonte (pege). Ecco perché Atanasio difendeva l'ortodossia di Origene sulla Trinità e perché Basilio e Gregorio di Nazianzo risposero agli eretici che rivendicavano l'appoggio della sua autorità che lo avevano frainteso.

Con le sue teorie, Origene propose una estensione del monismo emanazionistico di Plotino che postulava tre ipostasi a fondamento dell'universo, riconoscendo nell'Uno la persona del Padre, nel pensiero-essere la persona dello Spirito Santo(relazione di amore fra il Padre e il Figlio, fra l'Uno e la materia), e nella materia (intesa unita alla forma) il Figlio, non più come tre ipostasi degradanti ma come tre entità pari, distinte ed identiche nello stesso tempo. Tale visione rappresenta il primo tentativo di aggancio della filosofia antica al Cristianesimo.

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Origine e destino degli esseri razionali

Con questo argomento ci si imbatte in una sfortunata amalgama di filosofia e teologia.[senza fonte] Il sistema che ne risulta non è coerente, tanto che Origene, francamente riconoscendo le contraddizioni degli elementi incompatibili che stava tentando di unire, si tirava indietro dalle conseguenze, rifiutava le conclusioni logiche, e spesso correggeva con professioni di fede ortodosse l'eterodossia delle sue speculazioni. Deve essere detto che pressoché tutti i testi dei quali si tratterà, sono contenuti nel De principiis, opera in cui l'autore si avventura su un terreno più pericoloso. Il loro sistema può essere ridotto a poche ipotesi, l'errore e il pericolo dei quali non fu riconosciuto da Origene.

Eternità della creazione

Qualunque cosa esiste fuori da Dio fu creata da Lui: il catechista di Alessandria difese sempre più energicamente questa tesi contro i filosofi pagani che ammettevano una materia non creata (De principis, II, I, 5; In Genes., I, 12, in Migne, XII, 48-9). Ma egli credeva che Dio creò dall'eternità, pertanto "è assurdo", affermava, "immaginare la natura di Dio inattiva, o la Sua bontà inefficace, o il Suo dominio senza soggetti" (De principiis, III, V, 3). Di conseguenza era costretto ad ammettere una duplice serie infinita di mondi prima e dopo il mondo attuale.

Uguaglianza originale degli Spiriti Creati

"In principio tutte le nature intellettuali furono create uguali e simili, poiché Dio non aveva motivo per crearle altrimenti" (De principiis, II, IX, 6). Le loro attuali differenze sono derivate solamente dal loro differente uso del dono del libero arbitrio. Gli spiriti creati buoni e felici si stancarono della loro felicità (op. cit., I, III, 8) e precipitarono, alcuni più, altri meno (I, VI, 2). Da quel momento si creò la gerarchia degli angeli; da quel momento nacquero anche le quattro categorie di intelletti creati: angeli, stelle (supponendo, come è probabile, che esse fossero animate, De principiis, I, VII, 3), uomini, e demoni. Ma i loro ruoli potranno essere, un giorno, cambiati; poiché ciò che il libero arbitrio ha fatto, il libero arbitrio può disfare, e solo la Trinità è essenzialmente immutabile nella bontà.

Essenza e ragion d'essere della materia

La materia esiste solamente in funzione dello spirito; se lo spirito non ne avesse bisogno, la materia non esisterebbe, poiché il suo fine non è in se stessa. Ma sembrava ad Origene - sebbene non si avventurasse in dichiarazioni di tal fatta - che gli spiriti creati, anche quelli più perfetti non potevano fare a meno di una materia, estremamente diluita e sottile, che gli serviva come veicolo e mezzo d'azione (De principiis, II, II, 1; I, VI, 4 ecc.). La materia, perciò, fu creata insieme allo spirito, anche se lo spirito è, logicamente, precedente; e la materia non cesserà mai di esistere perché lo spirito, comunque perfetto, ne avrà sempre bisogno. Ma la materia, che è suscettibile di trasformazioni infinite si adatta alle diverse condizioni degli spiriti. "Quando è funzionale agli spiriti più imperfetti, si solidifica, si addensa, e forma i corpi del mondo visibile. Se è funzionale ad intelligenze superiori, splende con la luminosità dei corpi celesti e serve da abbigliamento per gli angeli di Dio, ed i bambini della Risurrezione" (op. cit., II, II, 2).

Universalità della Redenzione e la Salvezza Finale

Certi testi delle Scritture (es.: I Cor. xv, 25-28) sembrano estendere a tutti gli esseri razionali il beneficio della Redenzione, ed Origene si concede di essere condotto anche dal principio filosofico che enunciò molte volte, senza mai provarlo, che la fine è sempre come l'inizio: "Noi pensiamo che la bontà di Dio, attraverso la mediazione di Cristo, porterà tutte le creature ad una stessa fine" (De principiis, I, VI, 1-3). La salvezza universale (apokatastasis), necessariamente, discende da questi principi.

Gli origenisti

L'influenza di Origene sul pensiero di altri autori cristiani, fino al VII secolo, fu enorme. Tra questi possiamo ricordare:

Costoro diedero vita al movimento origenista che, poiché non sempre si basava sul pensiero di Origene nella sua interpretazione originaria, si scontrò due volte con il Cristianesimo ortodosso nelle cosiddette crisi origeniste.

Le controversie su Origene ed sui suoi insegnamenti sono di carattere molto singolare e molto complesso. Esse irruppero all'improvviso, dopo lunghi intervalli, e assunsero un'importanza tale da essere stata imprevedibile pensando al loro leggero inizio. Furono rese complesse da dispute personali e questioni estranee al soggetto fondamentale di cui si dibatteva, tanto che una breve e rapida esposizione delle polemiche è difficile e pressoché impossibile. Improvvisamente calarono di tono in maniera così repentina che si è costretti a concludere che le controversie erano superficiali e che l'ortodossia di Origene non era il solo punto in discussione.

Prima crisi origenista

Eruppe nei deserti egiziani, raggiunse il suo massimo in Palestina e terminò a Costantinopoli con la condanna di Giovanni Crisostomo. Nella seconda metà del IV secolo, i monaci di Nitria professavano un esagerato entusiasmo per Origene, mentre il fratelli del vicino monastero di Sceta, per paura dell'allegorismo caddero nell'antropomorfismo. Queste dispute dottrinali gradualmente contagiarono i conventi di Palestina che dipendevano da Epifanio di Salamina, convinto antiorigenista, che aveva combattuto con le sue opere l'origenismo, era determinato a prevenirne l'espansione e ad estirparlo completamente. Quest'ultimo, nel 394, si recò a Gerusalemme. Qui, alla presenza del vescovo di quella città, Giovanni che era ritenuto un origenista, predicò scagliandosi con forza contro gli errori di Origene. Giovanni, a sua volta, si scagliò contro l'antropomorfismo, riferendosi così chiaramente ad Epifanio, che nessuno poté fraintenderlo. Presto, però, la disputa fu resa più accesa da un altro incidente: Epifanio consacrò sacerdote Paoliniano, fratello di Girolamo, in un luogo soggetto alla sede di Gerusalemme. Giovanni si lamentò profondamente di questa violazione delle sue prerogative e la replica di Epifanio non fu di natura tale da placarlo.

Due nuovi personaggi, a questo punto, irruppero nella mischia. Fin dai tempi in cui Girolamo e Rufino si stabilirono uno a Betlemme e l'altro sul Monte Oliveto, erano vissuti in amicizia fraterna. Entrambi ammirarono, imitarono, e tradussero Origene, ed erano in buoni rapporti col loro vescovo, finché, nel 392, Aterbio, un monaco di Sceta, venne a Gerusalemme e li accusò entrambi di origenismo. Girolamo, molto sensibile alla questione dell'ortodossia, si risentì molto dell'insinuazione di Aterbio e, due anni più tardi, passò dalla parte di Epifanio, di cui tradusse in latino la replica a Giovanni di Gerusalemme. Rufino, non si sa come, venne a conoscenza di questa traduzione che non doveva essere pubblica e Girolamo lo sospettò di averla ottenuta con dei sotterfugi. Poco tempo dopo si riconciliarono, ma non durò a lungo. Nel 397 Rufino, che si era trasferito a Roma, tradusse in latino il De principiis di Origene e, nella sua prefazione, seguì l'esempio di Girolamo di cui ricordava l'elogio in ditirambi che questi aveva indirizzato al catechista alessandrino. L'eremita di Betlemme, fortemente indispettito da questa azione, scrisse ai suoi amici per confutare il suo coinvolgimento tramite Rufino, denunciare gli errori di Origene a Papa Anastasio I, tentare di portare il Patriarca di Alessandria alla causa antiorigenista e iniziare una disputa con Rufino, caratterizzata da grande acredine da ambo le parti.

Fino al 400 Teofilo di Alessandria fu un noto origenista. Era in confidenza con Isidoro, un ex monaco di Nitria, ed i suoi amici, "gli Alti Fratelli", leader accreditati del partito origenista. Questi aveva sostenuto Giovanni di Gerusalemme contro Epifanio, il cui antropomorfismo aveva denunciato a papa Siricio. Improvvisamente cambiò idea, non se ne seppe mai la ragione. Si disse che i monaci di Sceta, dispiaciuti per la sua lettera pasquale del 399, occuparono la sua residenza episcopale e lo minacciarono di morte se non avesse salmodiato la palinodia. Tuttavia, la cosa certa è che litigò per questioni economiche con Isidoro e "gli Alti Fratelli" che lo criticavano per la sua avidità e la sua mondanità. Quando Isidoro e "gli Alti Fratelli" ripararono a Costantinopoli, dove Crisostomo gli offrì ospitalità ed intercedette per loro senza, tuttavia, ammerli alla comunione finché non fossero state ritirate le censure pronunciate contro di loro, l'irascibile Patriarca di Alessandria giurò di sopprimere dappertutto l'origenismo e, con questo pretesto, di distruggere Crisostomo che odiava ed invidiava. Per i successivi quattro anni fu spietatamente attivo: condannò i libri di Origene al Concilio di Alessandria (400), con l'ausilio di un gruppo di armati scacciò i monaci da Nitria, scrisse ai vescovi di Cipro e di Palestina per farli aderire alla sua crociata antiorigenista, compose le lettere pasquali del 401, 402, e 404 contro la dottrina di Origene e spedì una lettera a Papa Anastasio con la quale chiedeva la condanna dell'origenismo. Il successo che ebbe superò persino le sue speranze; i vescovi di Cipro accettarono il suo invito. Quelli di Palestina, riuniti a Gerusalemme, condannarono gli errori loro indicati, aggiungendo che non venivano insegnati nelle loro diocesi: Anastasio, pur dichiarando che Origene gli era del tutto ignoto, condannò i brani estratti dai suoi libri; Girolamo iniziò a tradurre in latino le varie elucubrazioni del patriarca e la sua violenta diatriba con Crisostomo; Epifanio, precedendo Teofilo a Costantinopoli, trattò Crisostomo come temerario e quasi eretico, finché intravide la verità e sospettò che, probabilmente, era stato ingannato. Pertanto, lasciò improvvisamente Costantinopoli e morì in mare prima di arrivare a Salamina.

È ben noto come Teofilo, convocato dall'imperatore per giustificare la sua condotta nei confronti di Isidoro e degli "Alti Fratelli", grazie alle sue macchinazioni riuscì abilmente a cambiare ruolo. Invece di essere l'accusato, divenne l'accusatore. Fece convocare Crisostomo di fronte al conciliabolo della Quercia (ad Quercum) e ne provocò la condanna. Non appena la sete di vendetta di Teofilo si fu saziata, non si sentì più nulla dell'origenismo. Il Patriarca di Alessandria cominciò a leggere Origene, pretendendo di poter dividere le rose dalle spine, e si riconciliò con gli "Alti Fratelli" senza chiedergli di ritrattare. Appena le dispute personali si sopirono, lo spettro dell'origenismo svanì.

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06/05/2011 23:33
 
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Seconda crisi origenista

Nel 514 alcune dottrine eterodosse di carattere molto singolare si erano diffuse fra i monaci di Gerusalemme e della sua periferia. Probabilmente i semi della disputa furono sparsi da Stefano Bar-Sudaili, un problematico monaco espulso da Edessa, che giunse ad un origenismo tutto particolare, infarcito di panteismo. Disegni ed intrighi continuarono per i successivi 30 anni. I monaci sospettati di origenismo venivano espulsi dai loro conventi e poi riammessi, solamente per essere nuovamente scacciati. I loro leader e protettori erano Nonno che, fino alla sua morte avvenuta nel 547, li tenne uniti, Teodoro Askidas e Domiziano che si erano guadagnati il favore dell'imperatore ed erano stati ordinati vescovi, uno della sede di Ancyra in Galazia, l'altro di quella di Cesarea in Cappadocia, sebbene continuassero a risiedere a corte (537). In queste circostanze, fu inviato a Giustiniano uno scritto contro l'origenismo, da chi e in quale occasione è ignoto, poiché i due racconti che ci sono giunti differiscono tra loro (Cirillo di Scitopoli, Vita Sabae; e Liberato, Breviarium, XXIII). Dopo la morte di Nonno, il nuovo movimento origenista si divise in due correnti:

  • isocristi, che sostenevano che alla fine del mondo tutti gli spiriti sarebbero divenute uguali a quello di Cristo, l'unico spirito non macchiato dal peccato originale;
  • protoctisti, che sostenevano che Cristo era superiore e migliore di tutti gli altri spiriti. Essi rifiutarono la preesistenza delle anime e si schierarono con gli ortodossi contro gli isocristi. Costoro li soprannominarono tetraditi, poiché li accusavano di trasformare la Trinità in una tetrade con l'introduzione della natura umana di Cristo.

In ogni caso, l'imperatore in seguito scrisse il suo Liber adversus Origenem, contenente, oltre ad un'esposizione delle ragioni della sua condanna, ventiquattro testi censurabili tratti dal De principiis, e dieci precetti da anatemizzare. Giustiniano ordinò che il patriarca Menna riunisse tutti i vescovi presenti a Costantinopoli e gli facesse sottoscrivere questi anatemi. Ciò avvenne nel sinodo locale (synodos endemousa) del 543. Una copia dell'editto imperiale fu inviata agli altri patriarchi, compreso Papa Vigilio. Tutti confermarono la loro piena adesione. Per Vigilio esistono la testimonianza di Liberato (Breviarium, XXIII) e di Cassiodoro (Institutiones, 1).

Ci si sarebbe aspettato che Domiziano e Teodoro Askidas, attraverso il loro rifiuto di condannare l'origenismo, sarebbero caduti in disgrazia all'interno della corte; ma essi sottoscrissero tutto quello che gli venne chiesto di firmare e divennero più potenti che mai. Askidas si prese anche una vendetta persuadendo l'imperatore a condannare Teodoro di Mopsuestia, ritenuto nemico giurato di Origene (Liberato, Breviarium, XXIV; Facondo di Ermiano, Defensio trium capitul, I, II; Evagrio, Historia, IV, XXXVIII). Il nuovo editto di Giustiniano, di cui non resta alcuna copia diede il via ai lavori del quinto concilio ecumenico in cui furono condannati Teodoro di Mopsuestia, Iba di Edessa, e Teodoreto di Cirro (553).

Ierace e gli ieraciti

Una trattazione particolare merita un discepolo di Origene, Ierace, che all'inizio del IV secolo fondò a Leontopolis, sul delta del Nilo, una setta mistica. Questa setta, quasi monastica, formata da uomini e donne che non avevano mai contratto matrimonio fu detta degli ieraciti. Ierace sosteneva che lo Spirito Santo gli fosse giunto in sogno sotto la forma di Melchisedech (sacerdote citato in Genesi 14,18) e gli aveva rivelato che la resurrezione della carne non esisteva poiché la lotta tra il Bene ed ill Male era tutta spirituale. Inoltre, solo gli adulti potevano ottenere, grazie a questa lotta, i meriti per conseguire il diritto di accesso al Regno dei Cieli.

Conclusioni sulla vicenda origenista

Ma Origene e l'origenismo furono condannati dal concilio del 553?

Molti scrittori lo credono, ma un egual numero lo nega; la maggior parte degli autori moderni o è indecisa o risponde con delle riserve. Basandosi su recenti studi sulla questione si può dire che:

  • È certo che il quinto concilio generale fu convocato esclusivamente per trattare l'affare dei Tre Capitoli, e che né Origene né l'origenismo, ne siano stati la causa.
  • È sicuro che, nonostante le proteste di Papa Vigilio che, sebbene si trovasse a Costantinopoli, rifiutò di partecipare ai lavori, il concilio si aprì il 5 maggio 553 e che nelle otto sessioni conciliari (dal 5 maggio al 2 giugno), negli Atti dei quali siamo in possesso viene trattata solamente la questione dei Tre Capitoli.
  • Infine, è sicuro che solamente gli Atti riguardanti l'affare dei Tre Capitoli furono sottoposti al papa per la sua approvazione, che fu concessa l'8 dicembre 553 ed il 23 febbraio 554.
  • È un fatto che i papi Vigilio, Pelagio I (556-561), Pelagio II (579-590), Gregorio I (590-604), nel trattare del quinto concilio si occuparono solamente dei Tre Capitoli, non facendo alcun riferimento all'origenismo, e parlando come se non fossero a conoscenza della sua condanna.
  • Si deve ammettere che prima dell'apertura del concilio, che era stato differito per l'opposizione del papa, i vescovi già riuniti a Costantinopoli dovettero giudicare, per ordine dell'imperatore, una forma di origenismo che non aveva praticamente nulla in comune con Origene, ma che era seguita, come sappiamo, da uno dei partiti origenisti della Palestina. Gli argomenti a supporto di questa ipotesi possono essere trovati in Dickamp.
  • I vescovi certamente sottoscrissero i dieci anatemi proposti dall'imperatore ed un noto origenista, Teodoro di Scitopoli, fu costretto a ritrattare; ma non esiste alcuna prova che fu chiesta l'approvazione del papa che, oltretutto, a quel tempo stava protestando contro la convocazione del concilio.
  • È facile capire come questa proposizione extraconciliare fosse presa, in seguito, per una delibera del concilio ecumenico.
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12/09/2014 19:14
 
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Origene


Origene, che ben si può dire il più grande erudito dell'antichità cristiana, nacque intorno all'anno 185, probabilmente in Alessandria. Insieme con la sua famiglia cadde in grande indigenza negli anni 201/202 in seguito alla morte del martire Leonida, suo padre. Egli cercò di provvedere in qualche modo alle prime necessità della sua famiglia dando lezioni. Nel 204 il vescovo Demetrio lo pose, malgrado la giovane età, a capo della prima scuola catechistica di carattere ufficiale.


Si prese subito come aiuto per l'insegnamento della grammatica l'amico Eracla, mentre riservava a sé, per gli alunni più progrediti, quello della filosofia, della teologia speculativa e della S.Scrittura. Nei primi tempi seguì anche le lezioni del famoso neoplatonico Ammonio Sacca, il cui metodo e la cui filosofia dovevano assumere grande importanza per la sua teologia. Origene si procurò pure qualche conoscenza della lingua ebraica. Conduceva una vita ascetica e nel 210/211, interpretando falsamente il passo di Mt. 19,12, si evirò.


Interrompeva 1'insegnamento con frequenti viaggi. Forse in seguito ai massacri ordinati nel 215 in Alessandria dall’imperatore Caracalla, Origene lasciò la città e si recò a Cesarea di Palestina, dove tenne delle conferenze alla comunità dietro richiesta del vescovo Teoctisto ed anche di Alessandro vescovo di Gerusalemme. Quindici anni più tardi, quando in viaggio per la Grecia (230) giunse a Cesarea, i suoi due amici vescovi lo ordinarono sacerdote, nonostante la sua mutilazione volontaria. Irritato per questo fatto, il suo vescovo Demetrio lo fece dichiarare deposto dalla cattedra e dall'ufficio sacerdotale da due Sinodi tenuti in Alessandria (230/231), per l'irregolarità della sua ordinazione e verosimilmente anche per qualche opinione non ammessa dalla Chiesa. Si recò allora a Cesarea ove rimase fino all'impero di Decio, e dove fondò una scuola sul tipo di quella alessandrina. Vi fu suo discepolo Gregorio il Taumaturgo.


La sua produzione scientifica lo aveva reso noto anche fra i pagani. Giulia Mammea, madre dell'imperatore Alessandro Severo, lo invitò, tra il 218 e 222, ad Antiochia per udirne le conferenze. Sotto Decio fu probabilmente rinchiuso in carcere nella stessa Cesarea, e barbaramente torturato; morì in conseguenza di questo trattamento, all’età di 70 anni, verosimilmente nel 253, a Tiro.


Fin dai suoi tempi Origene fu considerato come il più importante fra i teologi della Chiesa greca. Il suo nome fu discusso nell'antichità cristiana e pronunziato con entusiasmo o disprezzo. Se molti eretici si richiamarono alla sua autorità, anche la vera dottrina ebbe assai da imparare da lui. Origene volle essere un cristiano "ortodosso", il che si rileva anzitutto dal valore grandissimo ch'egli attribuisce all'insegnamento ufficiale della Chiesa, tanto che ogni errore di dottrina ritiene peggiore di una deviazione morale. Tuttavia, le sue preferenze per l'interpretazione allegorica della Scrittura e l'influenza della filosofia platonica, lo fecero cadere in gravi errori dogmatici. Le discussioni intorno alla sua ortodossia ebbero termine solo nel VI secolo quando l'imperatore Giustiniano I, nell'editto del 543, condannò nove proposizioni di Origene. A questo editto aderirono presto tutti i vescovi dell'impero, e tra i primi il patriarca Costantinopoli e papa Vigilio.


Origene superò in fecondità letteraria tutti i Padri dell'antichità cristiana. Molte delle sue opere sono però produzioni occasionali, come prediche e conferenze, che venivano riprese dagli stenografi; così soltanto si può intendere l'enorme numero degli scritti, e il loro non grande valore letterario.


Delle sue numerosissime opere - per lo più di carattere biblico - soltanto una piccola parte ci è pervenuta, e non nell'originale greco


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12/09/2014 19:34
 
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ORIGENISMO

E' necessario accennare brevemente al fenomeno dell’origenismo.

È infatti in questo quadro che si sviluppa la seconda controversia origenista. È inoltre importante distinguere la persona di Origene e la sua teologia dal fenomeno dell’origenismo che si distanzierà dall’Alessandrino fino a tre secoli; già questo ci fa capire quante influenze – storiche e teologiche – il pensiero di Origene può aver subito.
Bisogna infatti dire che il concetto di origenismo “non indica tutto il sistema dottrinale di Origene, che nelle sue enunciazioni essenziali è divenuto patrimonio comune della chiesa grazie alla mediazione dei teologi del sec. IV, ma si riferisce ad una corrente spirituale che trae la sua origine da alcune posizioni speculative della sua opera Perì archòn, posizioni che, separate dal contesto e private del loro carattere ipotetico, antitetico, furono sistematizzate nel corso dei secc. IV – VI”1.

Questo giudizio mette già in luce – pur nella definizione di un apologeta di Origene qual è Crouzel – la grossa differenza fra Origene e origenismo.
Lo stesso Crouzel distingue ben sei momenti nello sviluppo storico dell’origenismo. Soffermiamoci un attimo su quelli che per il nostro studio rivestono un interesse particolare.
Il primo momento è ovviamente fondamentale: è quello che parte da Origene stesso, “vale a dire l’insieme di speculazioni che, con le incomprensioni dei suoi successori, costituiranno la base dell’origenismo posteriore”2.
Origene dunque – almeno inizialmente – all’origine dell’origenismo.
Passiamo al terzo momento: è quello esposto principalmente da Evagrio Pontico nelle sue opere Kephalaia gnostica3 e Lettera a Melania.
Come vedremo l’origenismo di Evagrio rivestirà molta importanza, soprattutto nella seconda controversia.

Il quarto momento è, secondo Crouzel, il più importante ed è quello della prima controversia, quella dei secoli IV – V che coinvolgerà le più grande personalità teologiche del tempo. Ma su questa ci soffermeremo tra poco.
Il sesto momento è quello che ci interessa di più, è il tema del nostro studio: la seconda controversia, sec. VI.
Per informazione ecco i temi essenziali che sono stati al centro delle controversie origeniste 4:

1) Il subordinazionismo trinitario
2) La preesistenza delle anime
3) La preesistenza dell’anima umana del Cristo
4) L’apocatastasi
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12/09/2014 19:35
 
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PRIMA CONTROVERSIA ORIGENISTA
A questo punto mi sembra importante accennare alla prima controversia origenista, sia perché – a giudizio degli esperti – è considerata la più importante (sono coinvolti i più grandi teologi del tempo) e sia perché ci permette di capire meglio la seconda controversia.
Questa controversia – “breve ma assai accesa” – secondo lo Jedin1 si colloca tra la fine del IV secolo e gli inizi del V.
Comincia essenzialmente qui quel processo che alla fine della seconda controversia porterà Origene ad essere annoverato fra gli eretici.
La disputa comincia con Epifanio di Salamina, famoso per il suo zelo nel combattere le eresie. Epifanio considerava Origene come il padre dell’eresia ariana e l’origenismo come la fonte di tutte le eresie2.
Egli quindi chiede al vescovo Giovanni di Gerusalemme la condanna di Origene, ma egli – da sostenitore dell’Alessandrino – ovviamente rifiuta. Viene così a formarsi uno schieramento: contro Origene ci sono Epifanio e Girolamo (che in precedenza invece lo sosteneva tenacemente); a favore, il vescovo Giovanni e Rufino di Aquileia.
Nella controversia – ormai allargatasi – prese parte, su invito di Giovanni, Teofilo di Alessandria che inizialmente favorevole ad Origene lo fece poi condannare in un sinodo locale del 400.
La controversia proseguì con alterne vicende, soprattutto legate ai due amici-nemici Girolamo e Rufino, ma coinvolse anche Roma con Papa Anastasio e Costantinopoli con Giovanni Crisostomo, che per aver accolto dei monaci origenisti, fu fatto esiliare dallo stesso Teofilo.
“La controversia si concluse con la vittoria degli antiorigeniani. Girolamo nella sua “Apologia” contro Rufino aveva scritto d’aver intrapreso una traduzione assolutamente letterale del “Perì archòn” di Origene ‘per consegnare alla chiesa l’autore eretico, che la chiesa stessa avrebbe giudicato’. La sua meta era raggiunta. Roma ed Alessandria avevano condannato le dottrine e la persona di Origene, a Costantinopoli il vescovo contrario a tale sentenza aveva dovuto cedere, e infine un decreto imperiale vietava la lettura degli scritti dell’alessandrino”3.
Cosa dire di questa vicenda?
Già qui, a giudizio dei critici, l’accusa ad Origene, così come è stata concepita e formulata, sembra ingiusta.
Afferma il Crouzel:
“Le loro proposizioni debbono passare al vaglio della critica, poiché mancano soprattutto di senso storico, il che è abbastanza normale per la loro epoca: non avevano alcuna nozione sullo sviluppo del dogma, di cui si è raggiunta la consapevolezza abbastanza di recente, e non giudicavano Origene partendo dalla situazione del suo tempo. Di più, non eccellevano né per la comprensione filosofica né per quella teologica.
Non hanno affatto colto il cambiamento di mentalità che separava la chiesa in minoranza, perseguitata, del tempo di Origene, e la chiesa trionfante della loro epoca, specie per quanto riguarda l’importanza di una cristianizzazione della filosofia per la pastorale del mondo intellettuale, e la necessità di una teologia ‘in esercizio’ (gymnasìa)4, cioè in ricerca. Essi accusano Origene partendo dalle eresie del loro tempo, specie dall’arianesimo, senza domandarsi quali erano quelle che Origene dovette affrontare e che determinarono la sua peculiare problematica. Non hanno assolutamente consapevolezza del progresso dottrinale provocato, nella chiesa, dalla reazione all’arianesimo in confronto alla succinta regola di fede del III sec., quella che Origene espone nella prefazione del “De Principiis”; né dell’evoluzione del vocabolario, e così essi intendono i termini usati dall’Alessandrino nel significato che tali termini avevano assunto nel IV sec. e che, in alcuni casi teologicamente importanti, era molto più preciso di quello del III sec. Hanno letto Origene proiettando su di lui l’origenismo del loro tempo, il terzo momento, appunto, perché era quello che in effetti avevano di mira. Non hanno mai fatto studi sistematici dell’opera di Origene e fondano le loro accuse partendo da testi isolati senza tener conto delle spiegazioni che si trovano spesso in altri passi dello stesso libro e, a volte, a poche righe di distanza. Tutto quanto Origene scrive in forma di esercizio (gymnastikòs), essi lo intendono come detto in forma di dottrina (dogmatikòs), con una concezione dell’ortodossia e della regola di fede che via via si è sempre più modellata su quella della legge civile ed espressa in ‘definizioni’ nella lotta contro l’eresia”5.
Questo brano sembra mettere chiaramente in evidenza come già qui ciò che gli antiorigeniani combattono non è il vero pensiero di Origene preso nel suo insieme, ma un origenismo già inficiato dalla sistematizzazione parziale di Evagrio Pontico. Quest’ultimo infatti riunisce la dottrina dell’Alessandrino “in un sistema grandioso, nel quale lascia cadere tutto ciò che mantiene in equilibrio quegli insegnamenti. Quest’origenismo certamente eretico, che era stato inoltre compromesso dalla crisi ariana, provoca gli attacchi di Epifanio contro Giovanni di Gerusalemme, di Gerolamo contro Rufino, di Teofilo di Alessandria contro Isidoro: Origene fu ora interpretato e condannato secondo l’unilaterale sistematizzazione di Evagrio”6.
Insomma, già in questa fase si nota la superficialità e parzialità con cui si attaccava un Origene già travisato da un origenismo non fedele alla sua fonte.
Concludendo questa sommaria esposizione della prima controversia origenista possiamo affermare – mi sembra con obiettività – che “limitandosi a considerare le concezioni teologiche effettivamente contestabili del teologo alessandrino non si guardò più all’immensa ricchezza teologica e religiosa che restava nella sua opera e, soprattutto nella chiesa orientale, gli venne negata una fruttuosa efficacia sulla vira religiosa e sull’attività teologica”7.
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12/09/2014 19:37
 
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PONTIFICIA UNIVERSITÀ LATERANENSE

SECONDA CONTROVERSIA ORIGENISTA


Dopo questi brevi riferimenti all’origenismo in generale ed alla prima controversia, possiamo addentrarci specificatamente nel nostro argomento.


La seconda controversia comprende due momenti, entrambi caratterizzati dai documenti di condanna dell’imperatore Giustiniano: un primo momento nel 543 e un secondo nel 553 alla vigilia e dopo il V Concilio ecumenico, il Costantinopolitano II.


Bisogna innanzitutto rilevare l’importanza storica di questa controversia che va ad inserirsi nel vivo della politica religiosa di Giustiniano e nelle controversie cristologiche del tempo.


Bisogna evidenziare infatti, come: “lungi dall’essere un’appendice marginale, la vicenda origenista del VI secolo vada ad inserirsi nel pieno della polemica cristologica contemporanea, quasi fondendosi con quella che indiscutibilmente continua a rimanere la nota dominante del discorso teologico. Anzi, ci sembra che sia proprio questo saldo legame, che viene ad instaurarsi tra di loro, la ragione per cui nell’età di Giustiniano il dibattito su Origene, pur rimasto sempre vivo negli ambienti monastici sin dai tempi della ‘prima controversia’, valica nuovamente i confini del mondo ascetico, per attirare l’attenzione prima di tutta la Chiesa di Palestina e poi dell’intera cristianità1.


L’origenismo, anche dopo la condanna nella prima controversia, non era morto. Esso trovò un nuovo impulso nei monaci palestinesi della prima metà del VI secolo. Esso però, più che origenismo in senso proprio, era un evagrianismo, ossia un Origene letto e interpretato attraverso l’opera di sistematizzazione di Evagrio Pontico.


Questo evagrianismo fu diffuso principalmente dal monaco Stefano Bar Sudaili, che nell’opera Libro di san Hieroteo giunge a una teoria panteista.


I monaci origenisti-evagrianisti si trovavano in centri di grande importanza, come la Nuova Laura e, dopo la morte di Saba nel 532, perfino nella Grande Laura. Avevano inoltre degli appoggi a Costantinopoli in due monaci: Domiziano che divenne vescovo di Ancira e Teodoro Askida che divenne vescovo di Cesarea di Cappadocia, entrambi nel concilio costantinopolitano del 536.


Giustiniano, che già da tempo cercava di ricondurre i monofisiti all’ortodossia e così arrivare ad una unità religiosa e quindi politica (egli promulgò una dura legislazione per quanti non si assoggettavano all’ortodossia di Stato)2, vide nell’origenismo una possibilità di mediazione: egli infatti pensava di trovare nella cristologia origenista un punto d’incontro fra calcedonianesimo e monofisismo.


L’imperatore, insomma, non si servì di una produzione teologica già consolidata, che ben si adattava ai suoi disegni politici, ma furono viceversa le sue esigenze politiche ad indurlo a premere la creazione di un determinato sistema cristologico presso quei teologi, che, essendo al tempo stesso devoti di Origene e del IV Concilio Ecumenico, presentavano le migliori credenziali per soddisfarlo”3.


L’intuizione era buona ma non si riuscì ad accordare pienamente origenismo e calcedonianismo: “tuttavia la proposta in sé aveva tutte le carte in regola per far sperare il rientro dei monofisiti nella cattolicità, contando sul fatto che nell’affermazione di Origene, il padre della tradizione teologica alessandrina, quelli avrebbero potuto scorgere un riscatto indiretto della loro cristologia, che dal cuore di quella tradizione nasceva e si sviluppava4.


Nel frattempo alla Grande Laura s’insediò Gelasio – successore di Saba – che espulse quaranta monaci origenisti; la lotta s’intensificava. Gli antiorigenisti trovarono appoggio in Pelagio, che, futuro Papa, era in quel momento apocrisario della sede apostolica. Le controversie fra queste due fazioni continuarono e coinvolsero successivamente: a favore degli origenisti Eusebio (econo­mo di S. Sofia) e a favore degli antiorigenisti Efrem di Antiochia. Coinvolto anche il Patriarca Pietro di Gerusalemme, egli si rivolse a Giustiniano e così “quella che era stata finora una diatriba periferica e provinciale assorbiva adesso tutta l’attenzione dell’Impero5.


Giustiniano intanto si rese conto come il partito origenista non poteva più giocare un ruolo importante nel riportare l’unità religiosa; inoltre la situazione politica internazionale invitava ad un atteggiamento favorevole alla Chiesa di Roma e quindi ad appoggiare Pelagio e le sue posizioni.


Giustiniano pubblicò così – all’inizio del 543 – un editto, la Lettera a Mena o Liber adversus Origenem , in cui condannava Origene e i suoi insegnamenti.


L’origenismo veniva assimilato al paganesimo, al manicheismo e all’arianesimo. Il trattato terminava anche con dieci anatematismi e fu approvato dal Sinodo permanente, dai patriarchi a da Papa Vigilio. Ora nessuno poteva più essere eletto vescovo o archimandrita senza aver sottoscritto gli anatematismi6.


Il testo, infatti, dopo l’‘adscriptio’ iniziale del destinatario, esordiva con un breve ‘proemio’, in cui l’imperatore inveiva violentemente contro gli origenisti, assimilandoli ai pagani, ai manichei e agli ariani. Quindi, seguiva un’elaborata ‘expositio’ delle principali bestemmie di Origene, le quali, dopo una rapida ‘narratio’ delle condanne già inflitte in passato all’Alessandrino, venivano confutate sulla base di testi scritturistici e patristici ivi allegati. Sulla ‘confutatio’ s’innestava poi la ‘dispositio’, cioè una serie di provvedimenti destinati a distruggere l’origenismo: tra essi si stabiliva che in futuro nessuno avrebbe potuto più ricevere la consacrazione episcopale o la benedizione abbaziale senza aver anatemizzato Origene, cui venivano affiancati quali nemici dell’ortodossia Sabellio, Ario, Apollinare, Nestorio, Dioscoro, Eutiche, Timoteo Eluro, Pietro Mongo, Pietro Fullone, Antimo di Trebisonda poi patriarca di Costantinopoli, Teodosio di Alessandria, Pietro di Apamea e Severo di Antiochia. Terminata la serie delle disposizioni, a testimonianza della fondatezza delle accuse rivolte ad Origene scorreva subito la ‘confirmatio’ comprendente ventiquattro passi tratti dal ‘Perì archòn’.


Infine, chiudevano la lettera dieci anatematismi contro le dottrine e la persona stessa di Origene”7.


Con questo editto imperiale dunque si conclude la fase iniziale della “seconda controversia origenista”.


Si apre così una nuova fase, in cui ancora una volta, convivono teologia e politica, e che ha come personaggio centrale – oltre ovviamente a Giustiniano – il consigliere stesso dell’imperatore, Teodoro Askida.


Teodoro Askida, arcivescovo di Cesarea, ma rimasto a Costantinopoli, cercò di stabilire un legame tra la questione origenista e quella dei Tre Capitoli. Obbligato, per conservare il suo credito presso Giustiniano, a sottoscrivere suo malgrado l’editto contro Origene, volle sfogare il suo rancore contro Pelagio e contro Gelasio, abate di Mar Saba, che aveva scacciato i monaci origenisti, sollevando la questione dei Tre Capitoli. (...) Essendo stato richiamato a Roma Pelagio nel 543, Askida rimase il consigliere più ascoltato di Giustiniano. Incoraggiato da Teodora, profittò dei colloqui che ogni sera aveva con l’imperatore nella biblioteca del palazzo per indurlo a condannare le opere nestoriane, i cui autori erano stati assolti dal concilio di Calcedonia: solo ostacolo, secondo lui, all’unione dei monofisiti”8.


È ancora una volta la situazione politica internazionale a far muovere Giustiniano.


Nel momento in cui il pericolo persiano si riaffacciava con tutto il peso della sua drammaticità, occorreva, dunque, abbandonare l’integra­lismo calcedoniano sostenuto fino ad allora e ripercorrere la strada dell’intesa con i monofisiti, per garantire la tranquillità interna dell’Impero in procinto di vacillare”9.


Giustiniano sa quello che vuole ed è un “valente opportunista pronto a seguire la politica religiosa più conveniente per le necessità del momento10.


Il Carcione sottolinea – a differenza di altri studiosi – l’iniziativa personale di Giustiniano in queste manovre: “era agli stesso, che a seconda delle circostanze, si sceglieva i vari collaboratori, le cui tendenze confessionali potevano meglio favorire l’attuazione dei suoi programmi: il altri termini, non fu Giustiniano ad essere manipolato dai suoi teologi, bensì furono costoro ad essere strumentalizzati dall’imperatore11.


Sorvoliamo sulla questione dei Tre Capitoli (ne parleremo solo in riferimento all’origenismo) e concentriamoci sullo sviluppo della controversia origenista.


Diciamo subito che gli origenisti non furono colpiti granché dalll’editto del 543 tanto che nacque – nel decennio che portava alla condanna del 553 – una diatriba all’interno dello stesso movimento origenista. Da una parte c’erano gli isocristi (i più estremisti) i quali affermavano che dopo la risurrezione finale tutti gli uomini sarebbero diventati uguali al Cristo e dall’altra la frangia più moderata dei protoctisti che affermavano la superiorità dell’intelletto del Cristo rispetto a tutte le creature e che nell’apocatastasi sarebbe stato l’unico a conservare la piena unità col Logos.


Questa distinzione – come vedremo – ci sarà utile nelle conclusioni.


Gli origenisti dunque si schierano con Giustiniano nella condanna dei Tre Capitoli: continua la perenne diatriba tra alessandrini ed antiocheni.


Assistiamo così, tra gli anni 543 – 546, a delle dispute che mostrano come origenismo, questione dei Tre Capitoli e politica religiosa di Giustiniano, formano una inscindibile e intricata unità.


Afferma Carcione:


Sicché, dal 543 al 546 in Palestina assistiamo ad una recrudescenza delle tensioni tra origenisti ed avversari polarizzata intorno alla controversia sui Tre Capitoli, che i primi combattono in accordo e con la protezione di Giustiniano, mentre gli altri vi si schierano a difesa, scorgendo nell’imposizione del loro rigetto la rivincita non solo del monofisismo ma dell’origenismo stesso”12.


La disputa continua e intervengono Pietro di Gerusalemme e Gelasio, igumeno della Grande Laura, i quali chiedono a Giustiniano – attraverso la mediazione di monaci antiorigenisti – di non condannare i Tre Capitoli.


Ma l’iniziativa fallisce, “poiché in questo momento Giustiniano non poteva certamente lasciarsi persuadere ad applicare le norme dell’editto del 543, essendo diventati gli origenisti nello scacchiere politico dell’imperatore le pedine fondamentali della mediazione tra calcedonianesimo e monofisismo, che egli intendeva concludere sulle testa dei Tre Capitoli13.


Lo sviluppo origenista fu però troncato dalla morte di Nonno che per trent’anni era stato la guida e il maestro del movimento.


S’intensifica intanto la battaglia tra isocristi e protoctisti tanto che gli isocristi cominciarono a perseguitare i protoctisti alla stregua degli ortodossi; i protoctisti allora – dopo aver rinunciato alla tesi della preesistenza delle anime (era questo il prezzo da pagare) – si unirono agli stessi ortodossi, in una integrazione dottrinale14.


I rappresentanti di questa fazione (Conone per gli ortodossi e Isidoro per i protoctisti) andarono a Costantinopoli per chiedere a Giustiniano la condanna degli isocristi, che nel frattempo, guidati da Teodoro Askida avevano fatto eleggere al patriarcato di Gerusalemme – era appena morto Pietro (552) – Macario.


A questo punto la politica religiosa di Giustiniano subisce una nuova svolta. Egli, deposto Macario, si schierò nuovamente a favore degli antiorigenisti, poiché “alla vigilia di sferrare il colpo mortale agli ambienti legati al ‘calcedonianismo integralista’, l’imperatore s’illuse di trovare, rinnovando l’antiorigenismo di Stato, l’espediente ideale per lenire l’esasperazione, che la politica religiosa da lui condotta dal 544 in poi andava alimentando in quanti rigettavano qualsiasi tentativo di leggere il IV Concilio Ecumenico con le lenti ‘alessandrine’ ed erano stati a questo scopo i fautori dell’editto del 54315.


Alla vigilia del Costantinopolitano III, iniziato il 5 maggio 553, egli formulò 15 anatematismi contro gli origenisti (isocristi) che furono accettati dai vescovi che parteciparono al Concilio.


Negli Atti del Concilio, che conferma la condanna dei Tre Capitoli, all’anatematismo 11 viene citato Origene come eretico.


Così si può dire conclusa la seconda controversia origenista, anche se l’origenismo palestinese continuerà a sopravvivere, al punto che, lo stesso Giustiniano, riconobbe – nel 565 – la legittimità di Macario, che dopo tredici anni, tornò sulla cattedra di Gerusalemme.


 



1 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase iniziale della “seconda controversia origenista” (536-543). Un nuovo fallimentare tentativo d’integrazione tra monofisismo e calcedonianesimo alla vigilia della controversia sui Tre Capitoli, in “Studi e ricerche sull’oriente cristiano”, 8 (1985) p. 3-4.




2 Cf F.CARCIONE, Le Eresie. Trinità e incarnazione nella Chiesa antica, Paoline, Milano 1992, p. 188, n. 18.




3 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase iniziale..., p. 7-8.




4 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase iniziale..., p. 8.




5 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase iniziale..., p. 15.




6 Cf P. DE LABRIOLLE, G. BARDY, L. BRÉHIER, G. DE PLINVAL, Dalla morte di Teodosio all’avvento di S. Gregorio Magno (395-590), in “Storia della chiesa. Dalle origini ai giorni nostri”, cominciata sotto la direzione di A. FLICHE e V. MARTIN, vol. IV, Editrice S.A.I.E., Torino 1972, p. 581.




7 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase iniziale..., p. 16-17




8 P. DE LABRIOLLE, G. BARDY, L. BRÉHIER, G. DE PLINVAL, Dalla morte di Teodosio all’avvento... p. 582-583.




9 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva della “seconda controversia origenista” (543-553). Gli intrecci con la controversia sui tre Capitoli, in “Studi e ricerche sull’oriente cristiano”, 9 (1986), p. 132.




10 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 132.




11 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 133.




12 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 138.




13 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 140.




14 Cf F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 143.




15 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 144.



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IN DIFESA DI ORIGENE


Dopo aver dato uno sguardo – seppur veloce – allo svolgersi storico di questa seconda controversia, possiamo adesso tirare delle conclusioni in cui cercherò di mostrare come Origene e il suo pensiero siano state vittime di giochi politici-religiosi e incomprensioni teologiche.


Non intendo certo dimostrare l’assoluta purezza e ortodossia di Origene – cosa che, per quanto affascinante – non si può forse asserire e che non rientra nelle mie possibilità, ma almeno riproporre la tematica e evidenziare come, l’accusa di eretico, sia davvero troppo. Già durante la trattazione ho lanciato qua e la degli spunti, servendomi spesso di studiosi esperti, ma ora voglio essere più preciso e analitico.


Un primo punto molto semplice mi sembra sia dato dalla persona stessa di Origene e dalla sua vita esemplare. Fu lui ad affermare all’inizio della sua opera Perì archòn di voler restare nell’ortodossia: “son molti che credono di comprendere la verità di Cristo e alcuni di loro sono in contrasto con gli altri, ma è in vigore l’insegnamento della chiesa tramandato dagli apostoli per ordine di succesione e tuttora nelle chiese conservato: pertanto quella sola bisogna tenere per verità, che in nessun punto si discosti dalla tradizione ecclesiastica ed apostolica1.


Non vedo perché non si possa accettare come sincera una simile affermazione, tanto più se è confermata da una vita virtuosa, spesa tutta per il Cristo e la Sacra Scrittura e suggellata dal martirio.


Dice Eusebio nella sua Storia ecclesiastica:


Quali e quanto grandi furono i supplizi che quest’uomo sopportò per la parola di Cristo, catene e torture, supplizi sul corpo, supplizi col ferro, supplizi nel buio delle carceri; come, per un grandissimo numero di giorni, ebbe i piedi nei ceppi fino al quarto foro e fu minacciato col fuoco; con qual coraggio sopportò tutte le altre prove inflittegli dai nemici; quale fu per lui il risultato di tutto ciò, quando il giudice si studiava zelantemente con ogni suo potere di non togliergli la vita; quante parole piene di utilità lasciò, dopo ciò, per coloro che avevano bisogno di conforto; le numerosissime sue lettere lo dicono in maniera insieme veridica ed esatta”2.


Origene dunque – almeno soggettivamente – ama la Verità e vuole essergli fedele con tutte le forze.


Sembrano inoltre evidenti dei fraintendimenti, delle incomprensioni teologiche a cui la sua opera è andata incontro. Già durante la sua vita le sue opere venivano travisate ed egli se ne lamentava e combatteva.


Egli afferma:


Perché un certo eresiarca, col quale abbiamo discusso in presenza di numerose persone, in un dibattito che è stato posto per iscritto, prendendo il manoscritto dalle mani dei segretari ha aggiunto quel che ha voluto, ne ha tolto quel che ha voluto, ha cambiato quel che gli è parso bene: egli lo esibisce dovunque sotto il nostro nome, insultandoci e mostrando quel che lui stesso ha scritto”3.


Finché era in vita egli si difese e difese con forza l’ortodossia del suo pensiero.


Ma uno degli errori più grossi dei suoi successivi accusatori è senz’altro metodologico. A partire da Metodio d’Olimpo essi non hanno considerato l’opera dell’Alessandrino nel suo insieme, ma prendendo testi isolati qua e la se ne sono serviti per le loro idee e interpretazioni. Per di più l’opera stessa di Origene si prestava a questi sbilanciamenti:


Nelle teorizzazioni contenute nel De Principiis, gli accade sovente di esaminare due o anche tre soluzioni differenti, che egli cerca di svolgere in tutta la loro evidenza, lasciando spesso la conclusione al lettore. Per questo motivo, deve essere studiato tenendo presente l’insieme della sua opera, almeno per quella parte che ci rimane: si vedrà allora che i differenti passi si equilibrano componendo una teologia piena di tensioni e di sfumature, che generalmente si rivela ortodossa. Non bisogna mai giudicarlo su un testo isolato, perché questo non esprime che un aspetto parziale che, preso singolarmente, è unilaterale e quindi eterodosso. Invece i suoi detrattori, a partire dal IV sec., non hanno avuto né il tempo né la pazienza e neppure la volontà di studiarlo in questo modo”4.


Ancora riporta Crouzel:


Dobbiamo soprattutto dire che lo studio di Origene e lo studio dell’origenismo posteriore non debbono essere mescolati. La dottrina di Origene è da ricercare nelle sue proprie opere, studiate con senso storico e nel loro insieme, non a partire da testi isolati. Quest’ultimi possono esprimere soltanto aspetti particolari, che trovano spesso altrove aspetti complementari. Lo studio dell’origenismo posteriore è una altra cosa. Non intendo dire perciò che speculazioni di Origene non siano in gran parte la fonte dell’origenismo posteriore. Ma sia negli origenisti, sia negli antiorigenisti, si sono prodotte rotture di equilibrio e riduzioni a sistema che hanno sfigurato il pensiero di Origene, pieno di sfumature e di tensioni. Inoltre i fraintendimenti dei detrattori non sono rari. Il rapporto fra Origene e gli Origenisti non è molto differente di quello di Agostino con eretici di stirpe agostiniana come i Giansenisti”5.


All’origenismo e antiorigenismo manca anche – come abbiamo già visto – un vero senso storico nell’interpretare la dottrina di Origene. Questo è vero soprattutto nella “prima controversia”:


La dottrina di Origene è vista attraverso gli origenisti già menzionati: ciò è ben comprensibile, perché più che lo stesso Origene, ormai morto da oltre un secolo, essi prendevano di mira origenisti loro contemporanei. Oltre a questa operazione di identificare Origene e gli origenisti, gli accusatori erano privi di senso storico e non avevano alcuna idea dello sviluppo del dogma. (...) Avevano poco idea delle eresie contro le quali Origene polemizzava in tutta la sua opera e lo interrogavano alla luce delle eresie del loro tempo. Ora interrogare un teologo alla luce di eresie posteriori e farlo partendo da testi isolati senza considerare tutti i passi della sua opera sull’argomento è per così dire una mancanza grave contro la storia. Infatti questo teologo, anteriore all’eresia, può impiegare una volta o l’altra candidamente espressioni che saranno più tardi utilizzate da eretici...”6.


Un altro punto molto importante – e forse decisivo – nella condanna di Origene, è stata senza dubbio la politica religiosa di Giustiniano. Come ho già fatto notare più volte, egli si servì della teologia per i suoi fini politici:


Egli non è un pensatore, bensì un politico che si serve della teologia. Come teologo egli resterebbe personalmente un dilettante, mentre i suoi scritti non sono affatto dilettantistici. Senza essere eccezionali e facendo ricorso agli argomenti abituali e alle consuete citazioni testuali – arricchite peraltro da un più frequente richiamo alla patristica latina – essi raggiungono un notevole livello. Ma Giustiniano non si è soltanto ispirato a teologi, ma si è direttamente giovato del loro aiuto.


Se Giustiniano è uomo di fede, egli non è teologo neanche nel senso che dalla passione delle questioni religiose si lasci travolgere nelle questioni di stato. Il recupero dei monofisiti e il ristabilimento di una generale ortodossia sono esigenze realistiche, nel quadro dell’unità dell’impero, e l’affare dei Tre Capitoli significa solo una cattiva scelta dei mezzi. In verità la teologia è strettamente legata alla politica giustinianea e a tal fine adoperata attraverso lo strumento giuridico. Le leggi sanciscono e impongono anche principi di dottrina. Per Giustiniano la teologia si fa diritto, e l’una e l’altro sono la servizio del potere imperiale”7.


Ora, dal punto di vista strettamente teologico-dottrinale, come si può considerare seria e ben fondata una condanna sviluppatasi tra intricate questioni politiche e religiose?


Dobbiamo dire che la condanna di Origene del 543, attraverso la Lettera a Mena è una condanna che riguarda più l’origenismo-evagrianista di alcuni monaci che le dottrine vere e proprie di Origene.


Quanto al rapporto d’una tale dottrina con quella di Origene, si riconosce bene alla base delle idee o delle ipotesi origeniane, ma la costruzione d’insieme non ha gran che da vedere col suo pensiero. (...) Questi documenti [quelli di condanna, n.d.a.] considerano Origene stesso, ma è questo origenismo palestinese del tempo che preoccupa i monaci anti-origenisti che sono gli autori del florilegio di estratti e del libello che è all’origine della epistola. Gli anatematismi condannano attraverso Origene dei punti posti in rilievo dagli origenisti contemporanei e congelano in affermazioni dogmatiche delle ipotesi già cristallizzate dai discepoli. Non si vede tuttavia il fondamento in Origene a certe affermazioni: il corpo di Cristo sarebbe stato formato prima che gli fossero uniti il Verbo e l’anima (anatematismo 3); i corpi gloriosi sarebbero sferici (!, anatematismo 5). Quanto all’anate­matismo 7 dichiarando che il Cristo sarà nuovamente crocifisso per i demoni sembra ben provenire da una incomprensione, se non degli origenisti, almeno di Girolamo e di Giustiniano. L’Ep. a Menas stessa pretende che Origene situi nel corpo la partecipazione dell’uomo alla immagine di Dio: gli attribuisce così un’opinione che ha sempre combattuto presso i suoi avversari antropomorfiti”8.


Origène y est visé, mais lu à travers les origénistes du temps. La lettre ne manifeste pas une connaissance directe de son œuvre; plusieurs affirmations et certains anathématismes reposent sur des méprises9.


La condanna del 553 invece è diretta alla frangia estremista dell’orige­nismo, agli isocristi. E alcuni anatematismi riportano letteralmente testi di Evagrio; anche qui sono condannati alcuni monaci evagrianisti più che un genuino origenismo.


Le document de 553 vise plus précisément les opinions de ‘certains moines de Jérusalem’, comme le dit Justinien lui-même dans sa lettre aux Pères du Concile; dans les anathématismes eux-mêmes, les opinions incriminées ne sont jamais rapportées à Origène, mais à des gens désignés anonymement et qui sont, sans aucun doute, à identifier avec les moines de Jérusalem mentionnés dans la lettre. Ce que nous savons de l’origine de ces anathématismes et des événements qui ont provoqué cette nouvelle intervention de Justinien contre l’origénisme invite naturellement à penser, à la suite de Diekamp, que l’origénisme condamné en 553 est tout spécialement la doctrine des moines ‘isochristes’, devenus les seuls adversaires de l’higoumène Conon après le ralliement des ‘protoctistes’10.


È importante dire che i 15 anatematismi del 553 non rientrano nei documenti ufficiali del Concilio e che quindi, canonicamente, non sono frutto di un Concilio Ecumenico.


Negli Atti ufficiali del Concilio invece, all’anatematismo 11, compare in una lista di eretici il nome di Origene.


Quale il valore?


Da un punto di vista giuridico, la presenza del nome di Origene nella lista in questione non è particolarmente significativa: non vuol dire che sia stato formalmente un eretico – i Padri del concilio ne erano verosimilmente persuasi a causa di certe dicerie diffuse da Epifanio circa una pretesa apostasia – ma probabilmente vuol dire che nei suoi scritti ci sono alcuni errori tenuto conto della maniera in cui venivano letti in quel tempo; ma è più esatto dire, forse, che sotto il suo nome sono in realtà condannati gli isochristi”11.


Sembra che sia stato inserito il nome di Origene in quanto preteso ispiratore degli isocristi, che come abbiamo visto, con Origene avevano poco a che fare. Inoltre il suo nome è stato aggiunto dopo (non è in ordine cronologico come invece lo sono gli altri eretici nominati) in seguito alla discussione sugli isocristi e non compare nella Homologia di Giustiniano, abbozzo di questi anatematismi.



1 ORIGENE, I Principi, M. SIMONETTI ed., UTET, Torino 1968, p. 120, (Classici delle religioni, sezione quarta, P. ROSSANO ed.).




2 J. QUASTEN, Patrologia. I primi due secoli (II-III), vol. I, Marietti, Casale Monferrato 1980, p. 316-317.




3 H. CROUZEL, Origene, Borla, Roma 1986, p. 43.




4 H. CROUZEL, Origenismo, in “Dizionario patristico e di antichità cristiane”... col. 2522.




5 H. CROUZEL, Origene e l’origenismo: le condanne di Origene, XIV Incontro di studiosi dell’antichità cristiana sul tema: “L’origenismo: apologie e polemiche intorno ad Origene”, in “Augustinianum”, vol. XXVI (1986), p. 302-303.




6 H. CROUZEL, Origene e l’origenismo: le condanne di Origene... p. 297.




7 F. CARCIONE, La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva... p. 133, n. 12.




8 H. CROUZEL, Origene, Borla, Roma 1986, p. 243-244.




9 H. CROUZEL, Origénisme, in “Dictionnaire de spiritualité”, fasc. LXXIV-LXXV, Beauchesne, Paris 1982, col. 957.




10 A. GUILLAUMONT, Les “Kephalaia gnostica” d’Evagre le Pontique et l’histoire de l’origénisme chez les grecs et les Syriens, Paris 1962, p. 148-149.




11 H. CROUZEL, Origenismo, in “Dizionario patristico e di antichità cristiane”... col. 2536-2537.



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CONCLUSIONE


La fortuna singolare di Origene è a tutti nota. Ancora vivente, egli aveva già suscitato sospetti e talora anche vive opposizioni; tuttavia un gruppo di discepoli appassionati si stringeva intorno a lui: ‘Nessuno – dice uno di questi – avrebbe ascoltato Dio con maggior ardore. Meglio ancora: scegliendolo per amico, il Signore di tutte le cose ne aveva fatto il suo portavoce... Gli aveva concesso il dono di indagare e di scoprire (i sensi reconditi delle divine Scritture) e ciò, io credo, mediante una comunicazione dello Spirito divino. La stessa potenza che già aveva ispirato i profeti illuminava il loro interprete. Egli aveva ricevuto il più bello dei doni, splendido retaggio, quello di essere tra gli uomini colui che spiegava le verità divine’. Il suo intellettualismo, che, senza sdegnare la fede comune, anzi pretendendo di serbarla come base delle più ardite costruzioni, scagliava tanto alto verso il cielo il dardo delle sue speculazioni, rapiva una élite di spiriti, ai quali comunicava il suo desiderio insaziato di conoscere. Naturalmente, questi uditori appassionati spingevano il sistema del maestro alle estreme conseguenze e trasformavano in certezze, in verità dimostrate, le ipotesi metafisiche cui egli si compiaceva di abbandonarsi davanti a loro”1.


Questo testo mi sembra riassuma bene tutto ciò che ho cercato di esprimere in questo lavoro.


Origene è e rimane una grande figura nella storia della Chiesa. Certamente alcune sue posizioni possono essere discutibili o anche sbagliate; ma rimane ferma la sua sincerità teologica, la sua coerenza, la testimonianza della sua vita.


D’altro lato mi pare acquisito che la successiva interpretazione del suo pensiero spesse volte è stata parziale, ha frainteso parecchie cose ed è stata pilotata da situazioni politiche e religiose.


Certo – come abbiamo visto – anche i suoi accusatori hanno delle scusanti, ma questo non deve impedirci l’obiettività e la ricerca del vero Origene.


Solo così renderemo piena giustizia alla verità e riabiliteremo in pienezza Origene, che per la Verità ha dato la vita.


BIBLIOGRAFIA


Fonti:


BAUS K. – EWIG E., L’epoca dei concili, in JEDIN H. ed., “Storia della chiesa”, vol.II, ed. Jaca Book, Milano 1977.


CARCIONE F., La politica religiosa di Giustiniano nella fase iniziale della “seconda controversia origenista” (536-543). Un nuovo fallimentare tentativo d’integrazione tra monofisismo e calcedonianesimo alla vigilia della controversia sui Tre Capitoli, in “Studi e ricerche sull’oriente cristiano”, 8 (1985), p. 3-18.


CARCIONE F., La politica religiosa di Giustiniano nella fase conclusiva della “seconda controversia origenista” (543-553). Gli intrecci con la controversia sui tre Capitoli, in “Studi e ricerche sull’oriente cristiano”, 9 (1986), p. 131-147.


CARCIONE F., Le Eresie. Trinità e incarnazione nella Chiesa antica, Paoline, Milano 1992.


CROUZEL H., Origenismo, inDizionario patristico e di antichità cristiane”, Angelo di Berardino ed., vol. II, Marietti, Casale Monferrato 1984, col. 2533-2538.


CROUZEL H., Origenismo, in “Sacramentum Mundi”, RAHNER K. ed., Morcelliana, Brescia 1976, col. 823-826, (Enciclopedia Teologica 5).


CROUZEL H., Origene e l’origenismo: le condanne di Origene, XIV Incontro di studiosi dell’antichità cristiana sul tema: “L’origenismo: apologie e polemiche intorno ad Origene”, in “Augustinianum”, vol. XXVI (1986), p. 295-303.


CROUZEL H., Origene, Borla, Roma 1986.


DE LABRIOLLE P., BARDY G., BRÉHIER L., DE PLINVAL G., Dalla morte di Teodosio all’avvento di S. Gregorio Magno (395-590), in “Storia della chiesa. Dalle origini ai giorni nostri.”, cominciata sotto la direzione di FLICHE A. e MARTIN V., vol. IV, Editrice S.A.I.E., Torino 1972.


GUILLAUMONT A., Les “Kephalaia gnostica” d’Evagre le Pontique et l’histoire de l’origénisme chez les grecs et les Syriens, Paris 1962, p. 133-151.


QUASTEN J., Patrologia. I primi due secoli (II-III), vol. I, Marietti, Casale Monferrato 1980.


Letteratura:


GRILLMEIER A., Gesù il Cristo nella fede della Chiesa. Dall’età apostolica al concilio di Calcedonia (451), vol. I, tomo I e II, Paideia, Brescia 1982, (Biblioteca teologica 18, 19).


KELLY JOHN N.D., Il pensiero cristiano delle origini, EDB, Bologna 1984.



1 P. DE LABRIOLLE, G. BARDY, L. BRÉHIER, G. DE PLINVAL, Dalla morte di Teodosio all’avvento... p. 41-42.



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POTRESTE AVERE DIECIMILA MAESTRI IN CRISTO, MA NON CERTO MOLTI PADRI, PERCHE' SONO IO CHE VI HO GENERATO IN CRISTO GESU', MEDIANTE IL VANGELO. (1Cor. 4,15 .
 
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