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SPIEGAZIONE DEL SIMBOLO (Credo) di Rufino di Aquileia

Ultimo Aggiornamento: 05/05/2011 13:56
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05/05/2011 13:51
 
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2. Come tramandano i nostri predecessori (At 2, 14), dopo l’ascensione del Signore, quando per la venuta dello Spirito Santo sopra ad ognuno degli apostoli si posarono lingue di fuoco perché essi parlassero con diversi e svariati linguaggi sì che nessuna gente straniera, nessuna lingua barbara sembrasse loro inaccessibile e preclusa, fu loro comandato di partire alla volta di ogni singola nazione per predicare la parola di Dio (At 1, 5). Sul punto di partire e di separarsi gli uni dagli altri, stabiliscono in comune la norma della loro futura predicazione, perché non avvenisse che, allontanandosi gli uni dagli altri, comunicassero qualcosa di diverso a coloro che invitavano ad abbracciare la fede di Cristo. Perciò stando tutti insieme e ripieni di Spirito Santo, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva, compongono – come abbiamo detto – questa breve traccia della loro futura predicazione, e stabiliscono di dare tale norma a quanti avrebbero creduto.

La vollero chiamare simbolo per molte e motivate ragioni. Infatti in greco la parola simbolo significa indizio e apporto collettivo, cioè ciò che più persone mettono insieme: infatti proprio questo fecero gli apostoli in quei loro discorsi, mettendo insieme ciò che ognuno sentiva. È detto poi indizio e segno perché in quel tempo, come dice l’apostolo Paolo ed è riferito negli Atti degli apostoli (2Cor 11, 13; At 15, 1; Rom 16, 18). molti dei Giudei circoncisi fingevano di essere apostoli di Cristo e per guadagno e ingordigia partivano a predicare, nominando, sì, Cristo ma annunziandolo non secondo le schiette linee della tradizione. Perciò essi stabilirono questo segno, al fine che si riconoscesse colui che annunziava Cristo veramente secondo le norme apostoliche. Dicono infine che anche nelle guerre civili viene osservata tale usanza: poiché uguale è la foggia delle armi e medesimo il suono della voce e uno solo il modo di vivere e uguali le norme del combattere, ognuno dei generali dà ai suoi soldati simboli che sono tenuti segreti, che in latino sono definiti segni (signa) e indizi (indicia): in tal modo, se per caso ci si imbatte in qualcuno di cui non si è sicuri, questi interrogato sul simbolo, rivela se sia nemico o amico.

Stabilirono infine che tali norme non fossero trascritte su fogli di qualsiasi genere bensì fossero ritenute a memoria, perché fosse certo che nessuno le avrebbe apprese da un testo scritto, che talvolta può anche venire nelle mani di chi non è credente, e che invece tutti le avrebbero apprese dalla tradizione degli apostoli. Perciò, come abbiamo detto, al momento di allontanarsi per andare a predicare, gli apostoli stabilirono questa norma della loro concordia e della loro fede: non come i figli di Noè, al momento di allontanarsi gli uni dagli altri costruirono con mattoni cotti e catrame una torre la cui cima toccasse il cielo (Gen 11, 1-9); ma con pietre vive e perle del Signore edificarono una difesa della fede che potesse stare salda di fronte al nemico: né i venti l’avrebbero spinta giù né i fiumi in piena l’avrebbero travolta né i turbini delle tempeste l’avrebbero scossa (1Pt 2, 5; Mt 13, 45; 7, 27). Perciò bene a ragione i figli di Noè, che sul punto di separarsi fra loro costruirono la torre della superbia, furono condannati a confondere le loro lingue, perché nessuno potesse comprendere le parole del suo vicino; invece agli apostoli, che costruivano la torre della fede, è stata donata la conoscenza di tutte le lingue: così è stato dimostrato che quello era segno di peccato, questo invece segno di fede.

3. Ma ormai è tempo che noi diciamo qualcosa anche proprio riguardo a questo tesoro, in cui in primo luogo è presentata la fonte e origine di tutte le cose, con le parole: Credo in Dio Padre onnipotente. Ma prima di cominciare a trattare proprio del significato delle parole, ritengo che non sia fuor di luogo rammentare che in diverse Chiese troviamo che qualcosa è stato aggiunto a queste parole. Invece non consta che ciò sia avvenuto nella Chiesa di Roma, ritengo perché di lì non ha tratto origine alcuna eresia e vi si conserva l’antica usanza che coloro i quali stanno per ricevere la grazia del battesimo ripetano il Simbolo pubblicamente, cioè mentre ascolta il popolo dei fedeli; e per certo quelli che li hanno preceduti nella fede e stanno ad ascoltare non tollererebbero l’aggiunta di una sola parola. Invece in altri luoghi, per quanto è possibile comprendere, a causa di alcuni eretici è stata aggiunta qualche parola, per mezzo della quale si pensava di respingere il significato della nuova dottrina. Noi poi seguiamo la norma che abbiamo ricevuto nella Chiesa di Aquileia con la grazia del battesimo.

Innanzitutto è posta la parola Credo, come dice anche l’apostolo Paolo scrivendo agli Ebrei: "È necessario infatti che prima di tutto colui che si accosta a Dio creda che quello esiste e ricompensa quanti credono in lui" (Eb 11, 6). E il profeta afferma: "Se non avrete creduto, neppure comprenderete" (Is 7, 9). Al fine perciò che ti si apra l’accesso alla comprensione, giustamente tu prima di tutto affermi di credere, perché nessuno sale sulla nave e affida la propria vita al mare profondo se prima non crede di potersi salvare; né il contadino seppellisce i semi nei solchi e sparge in terra la biada, se non avrà creduto che verranno le piogge e ci sarà anche il calore del sole, sì che la terra nutrita e riscaldata produrrà abbondante messe e la farà crescere con lo spirare dei venti. Non c’è insomma alcuna azione che si possa compiere in vita se non avrà preceduto il credere. E allora che c’è da meravigliarsi se accostandoci a Dio innanzitutto noi affermiamo di credere, là dove senza di questo non si può vivere neppure la vita di tutti i giorni? Abbiamo premesso all’inizio queste considerazioni, perché i pagani son soliti obiettarci che la nostra religione, in quanto priva di fondamento razionale, si fonda soltanto sulla forza di persuasione che deriva dal credere. Perciò abbiamo dimostrato che nulla può esser fatto o può sussistere se non avrà preceduto la forza del credere. Infatti anche i matrimoni vengono fatti perché si crede che nasceranno i figli; e i giovani sono mandati a scuola ad apprendere le varie discipline perché si crede che la scienza del maestro si trasfonderà nei discepoli; e uno prende le insegne del potere perché crede che gli ubbidiranno città e popoli e anche l’esercito in armi. Che, se nessuno intraprende tutte queste azioni se prima non avrà creduto che esse potranno realizzarsi, perché mai ben più a ragione non si dovrebbe giungere alla conoscenza di Dio per mezzo del credere? Ma vediamo ormai che cosa ci proponga il Simbolo col suo testo abbreviato.

4. Credo in Dio Padre onnipotente. Quasi tutte le Chiese d’Oriente tramandano così: Credo in un solo Dio Padre onnipotente. E ancora, nella frase che segue, dove noi diciamo: e in Gesù Cristo, unico Figlio suo, nostro Signore, gli orientali tramandano: e in un solo Signore nostro Gesù Cristo, unico Figlio suo, cioè professano un solo Dio e un solo Signore, secondo l’autorità dell’apostolo Paolo (1Cor 8, 6). Ma questo punto lo riprenderemo appresso; ora invece esaminiamo l’espressione in Dio Padre onnipotente. Dio, secondo quanto può pensare la mente dell’uomo, è definizione di quella natura o sostanza che è al di sopra di tutto. Padre è parola che racchiude un mistero profondo e indicibile. Quando senti nominare Dio, intendi una sostanza senza inizio e senza fine, semplice e senza alcuna mescolanza, invisibile incorporea indicibile incomprensibile, nella quale nulla c’è di aggiunto, nulla di creato. Non ha infatti creatore colui che è il creatore di tutte le cose. Quando senti nominare il Padre, intendi il Padre del Figlio, il quale Figlio è immagine della suddetta sostanza (Eb 1, 3; Col 1, 15). Come infatti nessuno è detto signore se non ha un possedimento o un servo su cui esercita il dominio, e come nessuno è detto maestro se non ha un discepolo, così anche un padre in nessun modo può essere definito tale se non ha un figlio. Perciò con lo stesso nome con cui Dio è definito Padre si dimostra che anche il Figlio deve parimenti sussistere col Padre.

In che modo poi Dio Padre abbia generato il Figlio, non voglio che tu lo esamini né che con troppa curiosità ti introduca nel mistero di questa profondità: c’è infatti pericolo che, mentre scruti con troppa insistenza lo splendore della luce inaccessibile, tu venga a perdere anche quella modesta capacità visiva che per dono divino è stata data ai mortali (Prov 25, 27). Che se poi tu credi che su questo argomento bisogna sforzarsi in ogni modo di comprendere, proponiti prima alla mente le realtà che sono alla nostra portata: se riuscirai a spiegarle coerentemente, allora spingiti dalle realtà terrestri a quelle celesti, dalle visibili alle invisibili (Rom 1, 20). Dapprima spiega, se ne sei capace, ed esponi in che modo la mente, ch’è dentro di te, generi la parola e quale sia in essa lo spirare della memoria. Come mai queste facoltà, pur diverse di fatto e per operazione, tuttavia sono una cosa sola per sostanza e natura? e come mai, pur procedendo dalla mente, non si distaccano mai da questa? Se poi queste facoltà, benché si trovino in noi e nella sostanza della nostra anima, tuttavia ci sembrano tanto più nascoste quanto più sono invisibili all’occhio corporeo, esaminiamo realtà più accessibili. In che modo la fonte genera da sé il fiume? da quale forza è trasportata la rapida corrente? perché mai, pur costituendo il fiume e la fonte una sola e inseparabile realtà, tuttavia né la fonte può essere intesa o chiamata come il fiume né il fiume come la fonte? E tuttavia chi avrà visto il fiume vede anche la fonte. Esercitati prima nella spiegazione di queste cose ed esamina, se sei capace, ciò che hai tra le mani: e allora passeremo a realtà più sublimi. E non credere che io ti voglia convincere a salire subito dalla terra al di sopra dei cieli; ma prima, se sei d’accordo, ti condurrò a questo firmamento che si vede con gli occhi, e qui, se sei capace, spiega la natura di questa luce visibile: in che modo questo fuoco celeste generi da sé lo splendore della luce; in che modo produce anche il vapore; e pur essendo tre di fatto, tuttavia nella sostanza sono una cosa sola.

Se sarai riuscito a indagare tutte queste realtà, sappi che il mistero della generazione divina è tanto più eccelso e trascendente quanto il creatore è più potente delle creature, quanto l’artefice è superiore alla sua opera, quanto colui che sempre è, è più nobile di colui che ha cominciato ad essere dal nulla. Perciò bisogna credere che Dio è Padre del suo unico Figlio e nostro Signore, non bisogna sottoporlo ad esame. Infatti non è permesso allo schiavo discutere circa la nascita del padrone. Lo ha affermato il Padre dal cielo dicendo: "Questo è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo" (Mt 17, 5): il Padre afferma che quello è suo Figlio e comanda di ascoltarlo. Il Figlio dice: "Chi ha visto me ha visto anche il Padre", e: "Io e il Padre siamo una cosa sola", e: "Io sono uscito da Dio e sono venuto in questo mondo" Gv 14, 9; 10, 30; 16, 28). Ma allora chi oserà mettersi in mezzo, per discutere, fra queste parole del Padre e del Figlio, e dividere la divinità, distinguere la loro volontà, spezzare la sostanza, tagliare a mezzo lo Spirito, dire che non è vero ciò che afferma la verità?. Perciò Dio è vero Padre, in quanto Padre della verità, e non crea dall’esterno ma da ciò ch’egli stesso è genera il Figlio: in quanto sapiente genera la sapienza, in quanto giusto la giustizia, in quanto eterno l’eternità, in quanto immortale l’immortalità, in quanto invisibile l’invisibile, in quanto luce lo splendore, in quanto mente la parola.

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