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CRITICHE ALLE TESI DI SCIENZIATI NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2021 16:32
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14/12/2015 11:34
 
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Jerry Coyne ci riprova,
ma non reggono i suoi argomenti contro Dio

Jerry CoyneVe li ricordate i cosiddetti “cavalieri dell’ateismo“? Quel gruppetto di simpaticoni (Dawkins, Harris, Dennett e Hitchens) che ha tenuto banco fino al 2010, inondando le librerie con volumi nei quali descrivevano le prove scientifiche dell’inesistenza di Dio e dibattevano su quanto andrebbero odiati e rinchiusi nei manicomi tutti coloro che hanno fede in Lui?

Tanto fumo, poi spariti nel nulla. Dopo la morte del compianto Christopher Hitchens, gli altri hanno avuto un piccolo sbandamento: Richard Dawkins, da “ateo più famoso del mondo” è passato a definirsi “agnostico” e, infine, “cristiano culturale” (tanto che recentemente ha criticato i cinema inglesi che si sono rifiutati di proiettare un annuncio della Chiesa d’Inghilterra sulla preghiera del “Padre nostro”). Il filosofo Sam Harris, invece, ha fatto “coming out” e ha deciso di diventare una “persona spirituale”, rifiutando l’ateismo. Daniel Dennett si è ritirato in pensione godendosi finalmente le sue 73 primavere.

Per questo siamo stati catapultati improvvisamente nel passato quando ci è capitato recentemente di leggere un’intervista a Jerry Coyne (nella foto qui a fianco), biologo in pensione, che ha sempre ruotato attorno ai già citati “4 cavalieri” senza però riuscire mai a trovare abbastanza spazio, covando parecchia invidia. Nel 2011 infatti si lamentò che ai “raduni atei” si respira troppa aria «di autocompiacimento, scarso livello, debolezza dei colloqui e fanatismo verso alcuni atei famosi (come Richard Dawkins)». Per questo, disse, «ho rifiutato diversi inviti». Nel 2014 abbiamo ripreso un’altra sua dichiarazione, quando ha sostenuto«Dato che i genitori possono (purtroppo) legalmente fare proselitismo verso i loro figli a casa, non vi è alcuna giustificazione per sostenere pubblicamente l’educazione religiosa fuori casa». No comment.

 Nella recente intervista ha rispolverato “le prove scientifiche dell’ateismo” usate per anni dai suoi colleghi più famosi: «ci sono una serie di cose nell’evoluzione e nella scienza che minano la religione. Prima di tutto, il fatto che la storia Genesi è sbagliata. Non ci sono prove che ci sia una funzione qualitativamente diversa tra gli esseri umani e le altre specie, tranne forse il linguaggio. Noi non siamo prodotti speciali della creazione di Dio». E’ l’argomento del riduzionismo: per negare Dio si cerca di negare l’uomo e la sua unicità rispetto al resto della natura. Oltre al fatto che la Genesi non sbaglia perché non pretende essere un libro scientifico sulla creazione dell’Universo e non è stato scritta con questo scopo, non ha senso sostenere che il linguaggio sia l’unica cosa che ci differenzia dal mondo animale. Anche prima di saper comunicare verbalmente (anche se si respinge la teoria del protolinguaggio di Bickerton bisogna comunque ammettere che l’uomo, ad un certo punto, ha voluto iniziare a codificare un linguaggio),  infatti, l’uomo sperimentava già le sue incredibili capacità cognitive: l’autocoscienza di sé, il senso religioso, la moralità, il pensiero astratto, il simbolismo, il desiderio di vivere e non soltanto sopravvivere ecc. Tanto che il biologo evoluzionista Marc Hauser, docente presso l’Harvard University e uno dei maggiori esperti nel campo della cognizione animale e umana, ha proposto che sia più interessante studiare le differenze tra animali e uomo piuttosto che rimarcare le analogie, tanto da coniare il termine, “humaniqueness”, per sottolineare il divario insormontabile tra uomini e animali. «Non siamo animali»ha scritto nel 2008 il celebre evoluzionista americano. «Dimenticate tutte le notizie sul nostro patrimonio genetico comune con gli scimpanzé. Questi dati sul patrimonio genetico comune non ci danno alcuna informazione sul problema della nostra unicità, la nostra humaniqueness». E’ proprio l’evoluzione oggi a mettere al centro dell’Universo l’essere umano, dandogli un posto privilegiato.

Diversi filosofi, inoltre, come Alvin Plantinga, hanno rilevato l’autoconfutazione dell'”argomento riduzionista”, usato anche da Coyne, facendo notare che se si vuole relegare le nostre esperienze cognitive a epifenomeni del cervello, per tentare di negare l’unicità umana, allora si distrugge anche la razionalità dato che il pensiero è sostituito da semplici eventi neurali elettrochimici. Così, le asserzioni stesse del riduzionista (Jerry Coyne, in questo caso) non sono altro che tracce nella rete neurale del suo cervello: non c’è dunque nessun motivo di fidarci del suo intelletto e non ci sono motivi per prendere sul serio le tesi del riduzionista.

 Dopo l'”argomento riduzionista”, Coyne ha puntato su quello cosmologico: l’universo sarebbe inutile (citazione di S. Weinberg) e si sarebbe originato autonomamente “dal nulla”: «Una delle teorie su come l’universo è venuto in essere è la teoria del Big Bang, uno scoppio accaduto naturalmente nel vuoto quantistico. La gente dice: “Non si può ottenere un universo dal nulla. Ci deve essere Dio”. Invece si può se si concepisce il nulla come ilvuoto quantistico dello spazio esterno». Il biologo americano ha riciclato la tesi del fisico Lawrence Krauss, autore del libro “Un universo dal nulla: perché c’è qualcosa piuttosto che niente”, tuttavia non ha considerato la valanga di critiche che ha ricevuto tale teoria. Ha ben sintetizzato il problema il prof. Marco Bersanelli, docente di Astrofisica presso l’Università di Milano: «Che cos’è questo “nulla” dal quale tutto avrebbe preso le mosse? Il “vuoto” quantistico primordiale nel quale una fluttuazione può dare origine a una particella, e in linea di principio a realtà fisiche più complesse? Ma questo significa che il “vuoto” dei fisici è radicalmente diverso dal “nulla” del filosofo e del teologo. Anzi, se le cose fossero davvero andate così, quel “vuoto” iniziale finirebbe per essere l’opposto del “nulla”: sarebbe la realtà fisica più “piena” che si possa immaginare, il seme creato dal quale sboccia il fiore dell’universo. Rinasce perciò inevitabile la domanda: questo “vuoto” primordiale, da dove viene? E le leggi della fisica, che in esso agiscono, chi se l’è inventate? Se anche ci fossero moltitudini di universi con leggi diverse, da dove verrebbe la meta-legge così ben congegnata da generare tutto ciò?».

Effettivamente il problema è che il “nulla” di cui parla Coyne, copiando Krauss, è un pieno di leggi fisiche di cui giustificare l’esistenza. Altro che nulla! Non a caso Krauss, ben più competente di Coyne, ha preso le distanze -in modo stizzito- dalla sua tesi dopo le critiche ricevute: «non mi interessa niente di cosa il “nulla” significa per i filosofi, mi interessa il “nulla” della realtà. E se il “nulla” della realtà è pieno di roba, beh allora me ne andrò via con questo. Ma, in tutta serietà, non ho mai detto che l’Universo è nato dal nulla…se avessi intitolato il libro soltanto come “Un universo meraviglioso”, poche persone sarebbero state attratte da esso». Uno banale spot di marketing, altro che ateismo scientifico!

 

Il terzo e ultimo argomento usato da Jerry Coyne nella sua intervista è quello del libero arbitrio«La scienza sta cominciando a minarlo mostrando che non c’è nessuna scelta che possiamo fare, ma essa è un output del nostro cervello materialista. Siamo creature fisiche, fatta di molecole. Pertanto, i nostri pensieri e comportamenti sono i risultati dei moti molecolari». Se le cose stanno così ritorna allora l’autoconfutazione spiegata dal prof. Plantinga: la tesi di Coyne è prodotta dai suoi moti molecolari, senza che lui lo abbia deciso (non esiste il libero arbitrio)? Allora perché dargli peso? Non è certo una tesi scientifica. C’è anche un’altra contraddizione: se Coyne si sforza di sostenere la sua tesi è perché vuole convincere la nostra libertà ad aderire al suo ragionamento. Se però fosse davvero convinto del materialismo, allora dovrebbe sapere che i suoi uditori sono già pre-determinati: alcuni saranno determinati a “pensare” che lui ha ragione lui e altri che si sta sbagliando, tutto a seconda della particolare attività fisiochimica del nostro cervello. Si eviterebbe la fatica di convincere le libertà altrui. Questa contraddizione è stata definita “self-referential arguments”.

E’ comunque falso che la scienza stia minando il libero arbitrio. Il prof. Michael Gazzaniga, da molti identificato come il neuroscienziato più famoso al mondo, ha affermato«Siamo persone, non cervelli. Ho un grandissimo rispetto per quello che i filosofi hanno detto sul libero arbitrio. Sarebbe assurdo rigettare d’un colpo tutta la riflessione svolta fino a oggi. La classica domanda “siamo liberi?” sembra sempre più mal posta, se non insensata. Tutti devono essere considerati responsabili delle proprie azioni. È a livello sociale che risiede la responsabilità, con buona pace delle neuroscienze. Allo strato mentale va aggiunto quello della cultura in cui siamo immersi. Le neuroscienze devono quindi capire i propri limiti e il livello a cui si muovono con la propria spiegazione». Oltre ai limiti delle neuroscienze, citate da Gazzaniga, non c’è nessun argomento sostenibile contro al libero arbitrio e le tesi materialiste sono state da tempo confutate. Come ha concluso il prof. Filippo Tempia, ordinario di Fisiologia presso l’Università di Torino, «allo stato attuale delle conoscenze non si può scientificamente negare il libero arbitrio nell’uomo» (“Siamo davvero liberi?”, Codice edizioni 2010, p. 108). Non vogliamo qui addentrarci in una questione molto lunga, che abbiamo già trattato altre volte: a chi volesse approfondire consigliamo gli articoli (anche questo) del prof. Eddy Nahmias, filosofo e neuroscienziato della Georgia State University, nonché il recente libro “Free: Why Science Hasn’t Disproved Free Will” (Oxford University Press 2015) del prof. Alfred R. Mele, docente di filosofia presso la Florida State University (recensito anche sul nostro sito web).

 

Da quanto abbiamo visto, i “cavalieri dell’ateismo” non avevano tutti i torti quando hanno deciso di ritirarsi dalla scena pubblica, c’è poco da fare se questi erano gli argomenti a sostegno della loro posizione. Peccato che Jerry Coyne non intenda ancora seguire le loro orme, eppure dovrebbe farlo se è vero -come ha scritto il prof. Edward Fraser, noto filosofo del Pasadena City College-, che «Coyne non è né lontanamente ben informato, né equanime, né è in grado di fare distinzioni di base o in alcun modo di ragionare con precisione. Lui commette strafalcioni ogni volta che apre bocca, e purtroppo la apre molto spesso, molto pubblicamente, e molto forte».


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