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CRITICHE ALLE TESI DI SCIENZIATI NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 12/10/2021 16:32
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27/11/2014 22:08
 
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L’essere umano  è “violento per natura” ?




A questo proposito è utile segnalare l’uscita di un saggio molto interessante, intitolato “La bestia che è dentro di noi. Smascherare l’aggressività” (Il Mulino 2014), scritto dal prof. Adriano Zamperini, docente di Psicologia della violenza, di Psicologia del disagio sociale e di Relazioni interpersonali all’Università di Padova. Lo psicologo mostra, attraverso diversi esempi storici e studi scientifici, che l’aggressività per l’uomo non è affatto qualcosa di “naturale” e fare del male a qualcuno è un atto di nostra pertinenza, non appannaggio di tirannici processi biochimici. L’aggressività e la violenza sono scelte personali che non dipendono dal nostro Dna e non rispondono a dinamiche codificabili.


«L’aggressività non è un fenomeno naturale»scrive il prof. Zamperini, e l’uomo non si può considerare alla stregua di un animale perché «fra lo stimolo che riceve e la risposta offerta vi è tutto un lavorio di autocoscienza, interpretazione, riflessione e presa d’iniziativa». Non esiste una «presunta molla aggressiva» alla quale ascrivere le azioni violente verso gli altri e non esistono supporti empirici che possano dimostrarla. Si tratta di uno stereotipo fasullo poiché «il comportamento aggressivo è uno degli aspetti più variabili della vita sociale degli esseri viventi». Esistono, semmai, «una dimensione dialettica tra l’individuo e la società», un’interazione tra «cultura e natura» in cui «il tutto è sicuramente più della somma delle sue parti e le parti assumono qualità diverse in quanto parti di un tutto».


Anche il teologo Vito Mancuso, in uno dei suoi pochi discorsi interessanti e condivisibili, ha riflettuto su questo scrivendo«dalla catena di violenza di cui è intrisa la vita, alcuni esseri umani desiderano emanciparsi e questo è un nobile ideale che a mio avviso va sostenuto. Nessun altro essere vivente può concepire tale emancipazione, solamente l’uomo lo può, mostrando in questo di essere ben al di là della vita animale. Sto dicendo che gli animalisti, con il loro sostenere un comportamento del tutto privo di violenza verso gli animali e con il loro volere per gli animali gli stessi diritti dell’uomo, mettono in atto un comportamento che li distanzia al massimo dal mondo animale. Nessun animale carnivoro infatti cesserà mai di mangiare carne, nessun animale erbivoro deciderà mai di astenersi dai bulbi e dai tuberi, nessuna specie animale estenderà mai alle altre specie i diritti di supremazia che la natura lungo la sequenza della selezione naturale le ha concesso. A parte quella umana, nessuna specie cesserà mai di seguire l’istinto sotto cui è nata».


L’uomo al contrario, ha proseguito Mancuso, «ha imparato a poco a poco a estendere gli ideali di giustizia a tutti gli esseri umani, compresi quelli dalla pelle diversa, e oggi alcune avanguardie stanno lottando per allargare tali ideali ad altri esseri viventi. Tutto ciò, esattamente al contrario del naturalismo professato da alcuni animalisti, mostra in modo lampante lo iato esistente tra Homo sapiens e gli altri viventi. Se gli esseri umani lottano per estendere agli animali gli stessi diritti dell’uomo non è quindi perché non c’è differenza tra vita umana e vita animale, ma esattamente al contrario perché tra le due vi è una differenza qualitativamente infinita».


Mancuso giustamente sottolinea la capacità dell’uomo, al contrario dell’animale, di liberarsi dal suo substrato evolutivo, dal suo istinto di supremazia. Telmo Pievani, docente di Filosofia delle scienze presso l’Università degli studi di Padova ha convenuto smontando le pretese della“psicologia evoluzionista” nel voler spiegare il nostro comportamento estendendo la teoria di Darwin sull’evoluzione delle specie alla società e alla cultura umana. «Per i guru di questa materia», ha spiegato Pievani, «la nostra mente sarebbe una collezione di moduli evolutisi per risolvereproblemi specifici: una specie di “coltellino svizzero». Eppure «per giustificare l’utilità di meccanismi adattativi così rigidi e immutabili da essere al tempo stesso preistorici e attivi ancor oggi, l’ambiente avrebbe dovuto essere uniforme e duraturo», ed invece «abbiamo vissuto in ambienti instabili e imprevedibili, dove, più che moduli di comportamento innati e rigidi, servivano al contrario flessibilità e innovazione comportamentale». Ha così definito «imbarazzanti spiegazioni evolutive» e«narrazioni affascinanti» i tentativi di “spiegare l’uomo” applicando la teoria di Darwin.


Chi dunque parla dell’uomo come un essere violento e aggressivo “per natura” parla per stereotipi ma, in molti casi, non persegue esplicitamente l’approccio naturalista. Più probabilmente rileva dentro di sé e dentro gli uomini, una tendenza, una facilità al commettere il male piuttosto che il bene. Questa è una intuizione corretta, ma non significa affatto che l’aggressività sia “naturale”. Semmai conferma ciò che la Chiesa e il cristianesimo dicono dell’uomo: un essere dotato di libertà, libero di compiere il bene o di commettere il male. Una libertà, tuttavia, ostacolata dal peccato originale che ha corrotto la sua capacità morale. San Paoloscrive: «In me c’è il desiderio del bene, ma non c’è la capacità di compierlo. Infatti io non compio il bene che voglio, ma faccio il male che non voglio. Eccomi dunque, con la mente, pronto a servire la legge di Dio, mentre, di fatto, servo la legge del peccato. Me infelice! La mia condizione di uomo peccatore mi trascina verso la morte: chi mi libererà?Rendo grazie a Dio che mi libera per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore» (Rm 7, 14-25).



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