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PERSECUZIONI CONTRO I CREDENTI IN CRISTO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2023 12:13
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12/12/2010 22:51
 
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Se il cristianesimo è sopravvissuto a sei persecuzioni del primo secolo d.C., significa che i cristiani avevano una fede incrollabile; e la loro fede incrollabile non poteva non essere fondata su fatti storici; cioè sulla certezza che Gesù di Nazaret aveva predetto che sarebbe risorto, era morto crocifisso, poi era apparso a molti parlando con loro e poi era asceso al cielo.

La prima persecuzione fu quella contro i cristiani ellenisti, cioè di lingua greca, di Gerusalemme nel 32-33 d.C., nella quale morì Stefano (At 6,8 – 8,3).

La seconda fu ordinata da Erode Agrippa I nel 41-42 d.C. e nel corso di essa fu ucciso Giacomo, fratello di Giovanni, che era col fratello Giovanni e con Pietro uno dei tre discepoli più vicini a Gesù, e fu arrestato Pietro, che poi venne fatto fuggire (At 12,1-17).

La terza persecuzione fu quella contro i credenti in Cristo convertiti di Tessalonica (At 17,5-10; 1 Ts 2,14-16), che le suddette fonti collocherebbero intorno al 50 d.C., ma che secondo alcuni esegeti (che ritengono 1 Ts 2,13-16 un’aggiunta al testo originale di Paolo) è da collocare a dopo il 70 d.C.; in tale persecuzione i cristiani vengono condotti davanti ai romani e accusati di partecipare a un movimento di ribelli antiromani, perché sostenevano che il vero re era Gesù e non l’imperatore (At 17,7).

La quarta persecuzione fu voluta dal sommo sacerdote Anano II nel 62 d.C. e colpì tra gli altri il capo della comunità di Gerusalemme, Giacomo, il fratello del Signore (Giuseppe Flavio, Ant. XX,200-203; Egesippo, citato in Eusebio, Hist. eccl. II,23,3-18; Clemente Alessandrino, citato in Eusebio, Hist. eccl. II,1,5; 23,3; Eusebio, Hist. eccl. II,23,1-2; Rec. I,66-71; II Apocalisse di Giacomo VII-VIII).

La quinta persecuzione fu quella ordinata da Nerone e durò dal 64 al 68 d.C. (Clemente Romano, 1 Clem 5,1-7; Tacito, Annales XIII-XVI; Svetonio, Nero; Dione Cassio, Hist. LXI-LXIII; Tertulliano, Apol. 5,3; Eusebio, Hist. eccl. II,25,1-3.5).

La sesta persecuzione fu quella sotto Domiziano nel 95-96 d.C. (Svetonio, Dom. 15-17; Dione Cassio, Hist. LXVII,14; Tertulliano, Apol. 5,4; Ireneo, Adv. haer. V,30,3; Lattanzio, De mort. pers. 3; Eusebio, Hist. eccl. III,17; 18,4; cfr. Ap 1,9).

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12/12/2010 22:53
 
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Non è possibile che, mentre erano ancora viventi gli apostoli e i testimoni oculari dei fatti su cui si fondava la nuova fede (nel 95-96 d.C. solo Giovanni), questi accettassero di veder morire tanta gente e di morire essi stessi, se tali fatti non li avessero esperiti veramente, cioè se li avessero inventati. Né si può sostenere che si sono inventati le persecuzioni, perché di tre di esse ci danno notizia anche autori non cristiani, che tra l’altro ne descrivono la crudeltà.

Ci possono essere e ci sono nei documenti scritti errori o discrepanze su singoli episodi o su dettagli, ma gli elementi storici centrali su cui si fonda il cristianesimo (miracoli, profezie, predicazione, morte in croce, apparizioni) non possono essere un’invenzione di una conventicola di giudei che ha ingannato tutti. Se così fosse, semplicemente non si spiegherebbe la storia del primo sec. d.C. a partire dal 30. La quale ci dice che i cristiani di questo periodo erano fermamente e incrollabilmente convinti che Gesù di Nazaret era il Figlio di Dio, era il Messia atteso, era risorto dai morti e sarebbe tornato come Giudice escatologico. E una convinzione del genere, sostenuta fino al martirio, poteva venire loro solo dalla conoscenza della storia di questo Gesù, o come testimoni oculari, o dopo i racconti dei testimoni oculari. Non è pensabile che tante persone e in tanti posti diversi credessero in Gesù e morissero per lui senza avere visto cosa era accaduto, o senza essere stati informati da chi aveva visto sulla storia di questo Gesù. Non è credibile che tanti si siano fatti torturare e ammazzare semplicemente per idee o concezioni su una persona non più tra loro che non si fondavano su fatti accaduti che riguardavano questa persona.

Riguardo in particolare alle apparizioni di Gesù risorto, se esse fossero state un’invenzione, o se fossero state il prodotto di un desiderio di autorità e di legittimazione, ne sarebbero state descritte nel Nuovo Testamento di più, in un lasso di tempo più lungo e con più precisione e dettagli. È esattamente quello che accade negli scritti gnostici, che per legittimare le teorie gnostiche producono una serie molto lunga (documentata nei testi di Nag Hammadi) di apparizioni e discorsi di Gesù risorto con Maria Maddalena, con Maria sua madre, con molti dei Dodici e con Giacomo. I prolissi discorsi che gli scrittori gnostici del secondo secolo mettono in bocca a Gesù risorto non sono storicamente attendibili, perché proprio questo avrebbe fatto chi avesse voluto legittimare interpretazioni della figura di Gesù che contrastavano con altre.

Poiché il fatto che la tomba dove era stato deposto Gesù sia stata trovata vuota non è stato contestato neanche dai più accaniti nemici del cristianesimo, il punto debole di questa ricostruzione e riflessione potrebbe essere, io credo, uno solo: in realtà Gesù non è morto sulla croce: o la sua morte è stata apparente ed egli è uscito dalla tomba, che è apparsa così vuota; o ad essere crocifisso dai romani è stato un altro, il cui corpo Gesù ha portato via dalla tomba e nascosto. Il vero ingannatore di tutti, cioè, è stato lo stesso Gesù di Nazaret. Che la morte di Gesù è stata solo apparenza lo hanno sostenuto i doceti. Che al posto di Gesù è morto un altro, Simone di Cirene, lo hanno sostenuto molti gnostici. Il fatto che nel Nuovo Testamento si ripeta tantissime volte che Gesù è morto sulla croce significa probabilmente che queste obiezioni e posizioni erano circolanti già nei primi decenni della storia cristiana.

Gesù era quello in cui tantissimi hanno creduto e credono, o era un ingannatore? Il fatto è che qui la scelta è radicale e drammatica, perché nella seconda ipotesi Gesù è stato non solo il più diabolico ingannatore della storia, ma anche uno dei più grandi criminali della storia, perché ha causato la morte di migliaia di persone durante le persecuzioni, che non si sono fermate alle sei descritte sopra, ma sono continuate fino a Diocleziano (fine del terzo e inizio del quarto secolo d.C.). Se credessi che Gesù si è fatto credere risorto dopo essersi procurato una morte apparente o dopo che in realtà un altro era morto sulla croce, dovrei affermare conseguentemente che quest’uomo è stato uno dei più grandi criminali della storia.

Qualcuno potrebbe a questo punto osservare che vi è un’altra possibilità: Gesù, quando è apparso ai suoi facendosi credere risorto, non immaginava che a causa sua ci sarebbero stati in seguito tanti morti. Ma se ha predetto più volte che ci sarebbero state persecuzioni contro i suoi discepoli (Mt 5,10-11.44; 10,23; 13,21; 23,34; 24,9-10; Mc 4,17; 10,30; 13,9-13; Lc 6,22.27-28; 8,13; 11,49; 21,12.16-17; Gv 15,18-20; 17,14), sapeva quel che faceva.

E ci sarebbe ancora un’altra possibilità: Gesù ha rivelato agli apostoli di non essere in realtà risorto, ma non ha avuto il tempo di rivelare il suo segreto a tutti, perché è morto veramente; gli apostoli hanno nascosto il suo corpo (quindi non vi è stata l’ascensione al cielo) e non hanno detto a nessuno la verità. In questo caso i criminali sarebbero loro. Ma per quanto detto sopra, questa ipotesi mi sembra da scartare, perché farsi torturare e uccidere, e far torturare e uccidere tante altre persone, per qualcosa che si sa essere falso non è un comportamento umano verosimile.

Rimangono allora due possibilità, che costituiscono alternative radicalmente opposte: o Gesù di Nazaret era un ingannatore e un criminale; o era colui che, dopo aver predicato l’amore anche per i nemici e dopo aver sofferto la terribile morte di croce dei romani, è stato risuscitato da Dio, è apparso risorto a molti ed è salito al cielo. E lì aspetta tutti gli uomini che risusciterà; e poiché li ama, non è pienamente felice, non banchetta, mentre essi sulla terra continuano a soffrire: «Io vi dico: d’ora in poi non berrò di questo frutto della vite, fino al giorno in cui lo berrò con voi nuovo nel regno del Padre mio» (Mt 26,29; cfr. Mc 14,25; Lc 22,18).

Tutta questa riflessione non è, ovviamente, una dimostrazione che la religione cristiana è superiore alle altre. Secondo un’impostazione che risale a Ernst Cassirer e alla sua concezione dell’uomo come “animale simbolico”, la religione, come l’arte e la scienza, è un sistema di segni attraverso cui l’uomo interpreta la realtà, il mondo, la vita. I segni delle religioni si riferiscono a realtà trascendenti. Tali segni sono una combinazione di credenze (affermazioni teologiche, ontologiche, cosmologiche, antropologiche, escatologiche), di riti (azioni che rappresentano le credenze attraverso l’uso di oggetti e luoghi “sacri” sottratti all’uso quotidiano e profano) e di comportamenti dettati da regole etiche (il cui adempimento è spesso ritenuto più importante dell’adempimento dei riti). Questi sistemi di segni costituiti dalle religioni sono prodotti dagli uomini partendo da una o più esperienze.

E allora dire che la religione cristiana è nata da fatti storici ed è legata ad essi significa dire che è nata dall’interpretazione di questi fatti, che ha prodotto un sistema di segni (credenze, riti e comportamenti). E il fatto che il Nuovo Testamento sia pieno di credenze e di riflessioni teologiche non significa che in esso non vi siano anche notizie su fatti accaduti (cioè sul Gesù storico) e poi interpretati. Tra l’altro, la presenza di tante credenze negli scritti che parlano di Gesù è dovuta anche al fatto che lo stesso Gesù storico è vissuto all’interno di credenze, cioè aveva un’insieme di credenze su Dio, sul Regno di Dio, su se stesso, sugli angeli, sui demoni, sulla purità, sul mondo e sulla sua fine. Un esempio tipico è relativo agli esorcismi: il fatto che per opera sua i malati guarivano viene interpretato da Gesù e dalla sua coscienza umana come una vittoria di Dio su Satana e i demoni (Mt 12,27-28; Mc 3,23-26; Lc 11,17-20), dato che al suo tempo era comune la convinzione che le malattie, anche non psichiche, fossero causate dai demoni (1 Sam 16,14-16; 2 Sam 24,11-17; Tb 3,8; 6,8; Gb 2,7; Mt 8,16; 9,32-34; 10,1.8; 12,22; 17,14-18; Mc 3,10-12; 6,12-13; 9,15-27; Lc 9,1-2.37-43; 11,14; 13,11.16; At 5,16; 8,7; 12,23; 19,12; 2 Cor 12,7; Giuseppe Flavio, Bellum VII,185). Se la maggior parte delle malattie non sono causate da demoni (dico “se” perché anche questa è un’interpretazione), allora l’interpretazione di Gesù e degli ebrei del suo tempo è errata, non corrisponde alla realtà. Uno dei punti deboli dello gnosticismo è quello di pensare che all’uomo Gesù tutti i segreti del mondo siano stati rivelati ed egli li abbia a sua volta rivelati ad alcuni discepoli.

Se della religione cristiana si può dire che è nata dall’interpretazione di fatti, la stessa cosa si può dire di tutte le religioni: dell’ebraismo (le esperienze di e con Mosè), dell’islamismo (la scrittura del Corano da parte di Maometto), del buddismo (l’esperienza straordinaria di Siddhartha), dell’induismo (le visioni dei saggi della religione vedica), del taoismo (la scomparsa misteriosa di Lao-tsu dopo avere scritto le parti più antiche del Tao-te Ching), del mazdeismo (le visioni di Zarathustra).

È allora chiaro che nessuna religione, nessuna fede può appellarsi alla storia per una dimostrazione razionale della sua superiorità sulle altre. Né possono appellarsi alla storia (alla sofferenza “ingiusta”, alla cattiveria degli uomini, alla morte, al mancato ritorno dalla morte, al silenzio di Dio) l’agnosticismo e l’ateismo per provare la loro superiorità, essendo anch’essi, come le religioni, interpretazioni del mondo.

Cercare di capire e di sapere cosa è storicamente successo in un ogni dato momento o luogo è importantissimo non perché possa dimostrare che una religione è quella vera e le altre no, ma perché i fatti ricostruiti attraverso un’indagine storico-critica possono rettificare, all’interno di una religione, quelle interpretazioni e quelle ricostruzioni, che possono anche essere le proprie precedenti interpretazioni e ricostruzioni, eventualmente incompatibili con tali fatti.
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12/12/2010 23:01
 
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Le persecuzioni dei cristiani nell’Impero Romano consistettero in fenomeni di aggressiva intolleranza popolare e nell’assimilazione della religione cristiana ad un crimine contro lo stato, con le conseguenti condanne alle pene più crudeli. Certi di guadagnare il paradiso, molti proclamarono la propria fede accettando la prigionia, le torture, le deportazioni ed anche la morte: i martiri furono diverse migliaia [1].

Inizialmente tuttavia le autorità locali non ricercavano attivamente i cristiani; le loro comunità continuarono così a crescere, trovando anzi nel culto dei martiri nuovo vigore. Gli imperatori Decio, Valeriano e Diocleziano, spinti anche da considerazioni politiche, ordinarono pertanto persecuzioni più attive e severe, che tuttavia non arrivarono ad eradicare il cristianesimo.

Nel 311 Galerio emanò l'Editto di tolleranza che ne accordava la liceità, poi confermata da Costantino I. Gli ultimi strascichi delle persecuzioni si sovrapposero, senza soluzione di continuità, alle prime lotte contro gli eretici.

I

Le fonti storiche 

L’analisi di alcuni reperti e documenti contemporanei ed il raffronto tra i resoconti degli storici antichi ha consentito di pervenire ad un certo consenso sulla storia generale delle persecuzioni. L’indagine più dettagliata sulle vicende e sui singoli personaggi coinvolti si presenta più problematica in quanto può basarsi quasi esclusivamente su fonti cristiane.

Fonti cristiane 

I principali autori cristiani utili per la storiografia sono:

  • Dei martiri Policarpo, Giustino e Cipriano sono rimasti alcuni importanti scritti.
  • Diverse notizie possono essere desunte dalle numerose opere di Tertulliano (circa 155-230), sebbene non fosse uno storico ma un apologeta intransigente.
  • A Lattanzio (circa 250-327) è generalmente attribuito il De mortibus persecutorum, che si propone di istruire i cristiani sulla sorte dei nemici di Dio, a cominciare dai persecutori. Altre notizie utili sono fornite dalla sua opera Divinæ institutiones.
  • Le fonti più importanti sono probabilmente le opere di Eusebio (265-340), vescovo di Cesarea, in particolare la Storia ecclesiastica, il Chronicon e il De martyribus Palestinae. In esse Eusebio riporta sia eventi passati che altri a lui contemporanei, ma sulla sua attendibilità come storico i giudizi sono discordi.
  • Fra gli Atti dei martiri, solo pochissimi hanno valore storico.

Fonti latine [modifica]

Un documento di eccezionale importanza è la corrispondenza tra Plinio il giovane e l’imperatore Traiano sulla condotta da tenere nei confronti dei cristiani.

Tacito rappresenta un fonte storica molto importante, ma solo per la persecuzione avvenuta sotto Nerone. Frammentarie notizie hanno lasciato Svetonio, Dione Cassio, Porfirio, Zosimo e altri.

Le motivazioni 

Il culto pubblico della tradizionale religione romana era strettamente intrecciato allo stato: fare sacrifici agli dèi e rispettare i riti significava stabilire un patto con le divinità, in cambio della loro protezione. Era facile integrare gli dèi, i riti e le credenze di altre popolazioni in questo sistema. Perfino l'Ebraismo, in quanto antica religione di un popolo, era tollerato dalle autorità fin dai tempi di Giulio Cesare: gli ebrei potevano osservare i loro precetti ed erano esentati dai riti ufficiali (ma con Vespasiano furono sottoposti al fiscus iudaicus [2]). Pare che all'inizio i cristiani venissero facilmente confusi con gli ebrei stessi, tanto che Svetonio e Dione Cassio riportano che l'imperatore Claudio (41-54) avrebbe scacciato da Roma i "Giudei" che creavano disordini a nome di "un certo kriste" [3] [4].

Col tempo i romani identificarono nel Cristianesimo quello che consideravano "ateismo". Per loro i cristiani erano ebrei e pagani che avevano tradito i loro dèi e quindi il loro popolo, che si riunivano in segreto per praticare riti apparentemente magici ed incitavano altri a fare lo stesso. Questo tradimento non solo minacciava la pax deorum e l'autorità dell'imperatore quale Pontefice massimo, ma poteva “essere visto come la prova di intenzioni politiche sovversive” [5] [6]. Plinio il Giovane definirà il cristianesimo superstitio, termine che indicava “ogni religione implicante un timore eccessivo degli dèi” [7] e pertanto probabili disordini popolari. Come tali erano represse anche magia e astrologia, e lo erano stati in precedenza i baccanali, il druidismo ed il culto di Iside. [8] [9].

Sebbene i primi vescovi invitassero a riconoscere lo stato [10], astenersi dai riti ufficiali (considerati idolatria) costringeva in pratica i cristiani a uno sprezzante isolamento, e questo accese ulteriormente l'intolleranza popolare. I romani erano inoltre sconcertati dall'abolizione in questi gruppi di ogni distinzione tra uomini e donne, ricchi e poveri, schiavi e liberi, locali e stranieri. Per di più le conversioni provocavano insanabili conflitti familiari [11]. Le loro regole di vita erano disapprovate anche dalle autorità; [12] è possibile che talvolta fossero disordini all’interno delle stesse comunità cristiane a giustificarne l’intervento. [13]

I cristiani diventarono i capri espiatori di ogni calamità. Oltre ai riti malefici, si diceva che praticassero orge incestuose e cannibalismo e che adorassero un dio dalla testa d'asino [14] [15]. L'odio popolare si concretizzava spesso in denunce alle autorità ed attacchi violenti.

Tra i motivi delle ultime persecuzioni vi potrebbero essere anche degli interessi economici: la confisca dei consistenti patrimoni gestiti dalle chiese e dei beni dei cristiani abbienti fu infatti tra i primi provvedimenti ordinati da Valeriano e Diocleziano. L’opposizione poteva nascere anche, con il crescere delle comunità, dal danno economico arrecato a varie categorie coinvolte nei culti ufficiali [16] [17].

Atteggiamento nei confronti del Cristianesimo dei primi imperatori

Il primo imperatore che entrò in contatto con la neonata religione cristiana fu l'imperatore Tiberio: alcune fonti (Giustino e Tertulliano), riferiscono infatti di un messaggio inviato dal prefetto di Giudea nel periodo 26-36, Ponzio Pilato, a Tiberio nel 35, riguardante la crocifissione di un certo Gesù di Nazareth. L'imperatore avrebbe di seguito presentato al Senato la proposta di riconoscimento del Cristianesimo come religio licita ma, avendo ricevuto un rifiuto, avrebbe solo posto il veto ad accuse e persecuzioni nei confronti dei seguaci di Gesù.[18] Il dibattito sull'esistenza, o meno, di questo senatoconsulto è ancora in corso.[19] Sebbene non esistano altre fonti dell'epoca che provino queste ipotesi, l'invio di un messaggio a Tiberio da parte di Pilato e una conseguente discussione in Senato possono sembrare plausibili;[18] tuttavia non si sa nulla di certo sull'atteggiamento dell'imperatore verso i primi cristiani: al riguardo non fu preso alcun provvedimento ufficiale, ma è certo che i seguaci di Gesù non furono mai perseguitati sotto l'impero di Tiberio.[18] Un elemento che confermerebbe l'atteggiamento favorevole di Tiberio verso i cristiani, e che si inquadra con la politica di pacificazione che egli conduceva verso una provincia difficile come la Giudea, sarebbe la destituzione del sommo sacerdote Caifa da parte di Lucio Vitellio, legato di Siria inviato da Tiberio, nel 36 o 37, ossia subito dopo l'esecuzione, ritenuta illegale, del diacono Stefano su iniziativa proprio di Caifa, e solo un anno dopo la presunta relazione di Pilato.[20]

Persecuzione di Nerone 

La prima persecuzione sotto Nerone nel 64 fu dovuta alla ricerca di un capro espiatorio per il grande incendio di Roma, come viene raccontato dallo storico latino Tacito. Secondo lo storico, prima sarebbero stati arrestati quanti confessavano e quindi, su denuncia di questi, ne sarebbero stati condannati moltissimi, ma non tanto a causa del crimine dell'incendio, quanto per il loro "odio del genere umano". Tacito non dice il nome di alcuno di loro tuttavia numerose fonti, cristiane e pagane (Tertulliano, Scorpiace, 15, 2-5; Lattanzio, De mortibus persecutorum, 2, 4-6; Orosio, Historiarum, VII, 7-10; Sulpicio Severo, Chronicorum, 3, 29; Porfirio Neoplatonico), attestano che gli apostoli Pietro e Paolo subirono il martirio in Roma in quella persecuzione. La maggior parte di questi scrittori afferma pure che Pietro fu crocifisso (Origene, citato nella Storia Ecclesiastica di Eusebio di Cesarea al libro III, I, 1-3, specifica che fu crocifisso a testa in giù) e Paolo fu decapitato. Tacito descrive quindi i supplizi a cui furono sottoposti per opera di Nerone i cristiani che,nonostante la loro presunta colpevolezza, causavano pietà in quanto puniti non per il bene pubblico ma per la crudeltà di uno solo:"et pereuntibus addita ludibria, ut ferarum tergis contecti laniatu canum interirent aut crucibus adfixi atque flammati, ubi defecisset dies, in usum nocturni luminis urerentur."(Annales, XV, 44, 4; Traduz.: "E coloro che morivano furono pure scherniti: coperti di pelli di bestie perché morissero dilaniati dai cani oppure affissi alle croci e dati alle fiamme perché, caduto il giorno, bruciassero come fiaccole notturne."). Lo stesso Svetonio conferma anche che Nerone aveva mandato i cristiani al supplizio e li definisce "una nuova e malefica superstizione",senza tuttavia collegare questo provvedimento all'incendio.

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12/12/2010 23:03
 
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Le persecuzioni prima del 250 d.C.

Sotto Domiziano 

Durante il regno di Domiziano (81-96) furono accusati di ateismo e "adozione di usanze ebraiche" alcuni senatori e i consoli Acilio Gabrione e Flavio Clemente con la moglie Flavia Domitilla. Furono tutti giustiziati tranne Flavia Domitilla che fu esiliata e della quale Eusebio dice fosse cristiana. È molto probabile tuttavia che la presunta affiliazione di Clemente al Cristianesimo fosse una notizia creata ad arte per infangare l'immagine pubblica dell'uomo e smorzare la reazione del popolo romano, che stava appoggiando una sua congiura con l'aiuto di alcuni generali per spodestare Domiziano. In effetti alcuni testi contemporanei parlano di una recrudescenza delle persecuzioni sotto il suo regno, ma l’argomento è ancora dibattuto.[21] [22] [23]

Sotto Traiano 

Delle persecuzioni all'epoca di Traiano ci restano alcuni documenti molto importanti.

Il primo è una lettera inviata all'imperatore da Plinio il Giovane quando questi (intorno al 110) era legato nella provincia di Bitinia. Plinio descrive la linea seguita fino ad allora con i cristiani e le accuse loro rivolte, ma chiede ulteriori chiarimenti in quanto in quella provincia sono molto numerosi. Inoltre vi troviamo il giudizio negativo contro la religione cristiana largamente diffuso nella cerchia imperiale ed intellettuale dell'epoca: Plinio il giovane la considera nihil aliud quam superstitionem ("null'altro che superstizione").

Il secondo documento è il rescritto, cioè la risposta ufficiale, in cui l'imperatore detta modalità per trattare la questione cristiana che sarebbero rimaste valide per quasi 140 anni: nessuna ricerca attiva dei cristiani, ma, in caso di denuncia, essi dovevano essere condannati se avessero rifiutato di sacrificare agli dèi; le denunce anonime andavano respinte. [24] [25]

Sempre C. Lepelley [26] considera di indubbia autenticità le sette lettere scritte in quegli anni da Ignazio di Antiochia mentre veniva trasferito a Roma per essere dato in pasto alle belve. Nella Lettera ai Romani esprime gioia in quanto “macinato dai denti delle fiere” diventerà “pane puro di Cristo”. Si tratta di un documento sulla spiritualità del martirio e sul fatto che i cristiani erano puniti come i criminali pericolosi. [27]

Da Adriano a Commodo 

Un'altra lettera inviata da Adriano al proconsole della provincia d'Asia confermerà il rescritto di Traiano (come secondo Eusebio farà in seguito anche Marco Aurelio) ma stabilirà regole ancora più restrittive sulle delazioni, fonti di disordini. [28] [29]

Intorno al 155, sotto Antonino Pio, morì martire il vescovo di Smirne Policarpo, come narrato in atti ritenuti attendibili [30] [31].

Molti disordini si verificarono anche sotto il regno di Marco Aurelio, segnato da epidemie, carestie e invasioni. Più volte le folle diedero la caccia ai cristiani, ritenuti responsabili della collera degli dèi, e i martiri furono numerosi (Eusebio ricorda tra gli altri l’apologeta Giustino). [32]

Nel V libro della sua "Storia Ecclesiastica" Eusebio di Cesarea riporta i brani principali della "Lettera delle chiese di Vienne e di Lione alle chiese dell'Asia e della Frigia": in essa sono documentate le vessazioni nei confronti di una cinquantina di cristiani, per lo più stranieri, e le loro esecuzioni capitali avvenute a Lione nell'anno 177. Di questi cristiani, torturati e gettati in carcere, molti morirono per soffocamento. La folla, già pervasa di xenofobia [33] ed aizzata da false accuse (di cannibalismo e rapporti incestuosi) diffuse sul conto dei cristiani, infierì su di loro senza più alcun riguardo per l'età o per il sesso dei condannati: il vescovo ultranovantenne Potino, linciato dalla folla, spirò in carcere; il quindicenne Pontico e la schiava Blandina, dopo essere stati costretti per giorni ad assistere all'esecuzione degli altri, furono essi stessi torturati e uccisi.

Intorno al 178-180 il filosofo platonico Celso scrisse contro la religione cristiana e in difesa di quella tradizionale il Logos arethes ("Discorso della verità"), che conosciamo solo dalla confutazione apologetica polemica che ne fece il teologo cristiano Origene, con la sua opera del 248, intitolata, appunto, Contra Celsum ("Contro Celso").

Marcia, liberta imperiale e amante dell'imperatore Commodo fu invece di simpatie cristiane (viene citata in merito alla liberazione di papa Callisto I dalla condanna alle miniere (Damnatio ad metalla) in Sardegna.

Risale al 180, sotto il regno di Commodo, l’episodio dei dodici martiri scillitani, ricordato nel più antico degli Atti dei Martiri [34].

W.H.C. Frend sostiene che nei primi due secoli le autorità agissero come “passivi destinatari delle richieste del popolo per la distruzione dei cristiani” [35]. Conformemente al rescritto di Traiano i cristiani non erano infatti ricercati e le loro comunità, pur costantemente minacciate, ebbero modo di continuare a crescere. Come già in precedenza, l’eroismo dei martiri indusse molti all’ammirazione ed alla conversione, tra i quali Tertulliano, che diventerà apologeta e scriverà “il sangue dei martiri fu la semente dei cristiani” [36]. In seguito Tertulliano si avvicinò ai montanisti, un gruppo estremista disapprovato dall’ortodossia che esaltava il martirio spingendo all’autodenuncia ed alla provocazione delle autorità [37].

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12/12/2010 23:04
 
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Da Settimio Severo a Filippo l’Arabo [modifica]

Il III secolo, segnato da una grave crisi dell’Impero, vedrà una profonda trasformazione della religiosità romana. Culti misterici orientali in grande espansione (come il mitraismo, i culti di Cibele e di Iside, culti siriaci ed il culto solare praticato a Emesa [38] [39]) verranno integrati nella religione ufficiale, mentre non sarà così per l’ebraismo ed il cristianesimo.

Proprio ad una famiglia di sacerdoti di Emesa apparteneva la moglie di Settimio Severo [40], imperatore di origine libica vicino ai culti orientali. Sotto il suo regno non sono dimostrate persecuzioni sistematiche ma anzi, ci sono prove che l'imperatore in molte occasioni protesse i cristiani dall'accanimento popolare [senza fonte]. Il suo rescritto del 202 che vietò il proselitismo ad ebrei e cristiani è tuttavia giudicato il primo caso di iniziativa diretta dell’imperatore in questo ambito [41] [42].

D'altro lato, singoli funzionari si sentivano autorizzati dalla legge a procedere con rigore verso i Cristiani. Naturalmente l'imperatore, a stretto rigore di legge, non ostacolava provvedimenti locali, che si verificarono in Egitto, in Tebaide e nei proconsolati di Africa e Oriente. I martiri cristiani furono numerosi ad Alessandria d'Egitto (cfr. Clemente di Alessandria, Stromata, ii. 20; Eusebio, Storia della Chiesa, V., xxvi., VI., i.).

Non meno dure furono le persecuzioni in Africa occidentale, che sembra avessero inizio nel 197 o 198 (cfr. Tertulliano Ad martires), alle cui vittime ci si riferisce nel martirologio cristiano come ai martiri di Madaura. Probabilmente nel 202 o 203 caddero Perpetua e Felicita, come narrato in atti ritenuti attendibili [43]. La persecuzione infuriò ancora, per breve tempo, sotto il proconsole Scapula nel 211, specialmente in Numidia e Mauritania. In generale, si può dire che la posizione dei cristiani sotto Settimio Severo fu la stessa che sotto gli Antonini.

I decenni successivi saranno caratterizzati da una relativa tolleranza, nella quale la Chiesa potrà crescere ulteriormente arrivando fino ai ceti più elevati. Le comunità non dovevano più nascondersi, ma anzi erano molto attive in ambito caritativo, gestendo crescenti ricchezze grazie anche alle eredità raccolte [44].

Secondo alcune fonti cristiane, l'imperatore Filippo l'Arabo sarebbe stato addirittura cristiano egli stesso [45] [46].

La persecuzione di Decio [modifica]

Nel 249 Filippo l’Arabo morì in una battaglia contro il suo generale Decio, già proclamato Augusto dalle sue truppe. L’impero, attaccato su tutti i confini ed in crisi politica ed economica, si trovava in gravi difficoltà e Decio si insediò a Roma determinato a restaurarne la grandezza e i valori, non ultima la religione dei padri.

Per ritornare all’uniformità di culto come fonte di coesione politica [47], dopo pochi mesi emise un editto che ordinava a tutti i cittadini dell'impero di offrire un sacrificio pubblico agli dèi e all'imperatore (formalità equivalente ad una testimonianza di lealtà all'imperatore e all'ordine costituito). Decio autorizzò delle commissioni itineranti a visitare le città e i villaggi per supervisionare l'esecuzione dei sacrifici e per la consegna di certificati scritti a tutti i cittadini che li avevano eseguiti (molti di questi libelli sono stati ritrovati in Egitto [48]). A coloro che si rifiutarono di obbedire all'editto fu mossa accusa di empietà, che veniva punita con l'arresto, l'imprigionamento, la tortura e la morte. Questo editto costituisce la prima persecuzione sistematica contro i cristiani, i più numerosi fra quanti minacciati dal provvedimento.

Alcuni eventi possono essere ricostruiti confrontando le numerose fonti cristiane disponibili (Cipriano, Eusebio, Atti dei Martiri). Cipriano spiega che le autorità non miravano tanto a fare martiri quanto ad ottenere l’apostasia con le prigioni e la tortura; in effetti gran parte dei cristiani cedette alla forza (i cosiddetti lapsi), accettando di sacrificare o acquistando un libello o nascondendosi in rifugi nelle campagne. Le vittime tuttavia furono centinaia [1]: i vescovi di Roma Fabiano, Babila di Antiochia e Alessandro di Gerusalemme furono tra i primi ad essere arrestati ed a subire il martirio.

Fortunatamente per i cristiani, questa persecuzione terminò al riprendere della guerra con i goti che l’anno dopo fece vittima lo stesso Decio. In Nord Africa però la conseguenza fu una grave divisione fra le comunità cristiane dell'area, alcune delle quali voltarono le spalle ai membri che avevano temporaneamente abiurato la loro fede a causa delle durezze subite. Diversi concili tenuti a Cartagine discussero fino a che punto la comunità doveva accettare questi cristiani che avevano ceduto alle richieste dei romani, e la questione è ampiamente trattata nelle opere di Cipriano, vescovo di Cartagine.

Probabilmente i lapsi erano per lo più cristiani di recente conversione, ma tra loro c’erano anche alcuni vescovi; a tal proposito è interessante che Cipriano biasimi alcuni vescovi attaccati più al denaro che alla fede [49]. L’ostilità continuò anche nel breve regno del successore di Decio, Treboniano Gallo. [50] [51]

La persecuzione di Valeriano [modifica]

Come già Decio, Valeriano riprese le persecuzioni in un momento difficile per il suo regno; di tali eventi ci restano testimonianze cristiane, principalmente Cipriano ed Eusebio. Iniziò nel 257 con un primo editto che imponeva a vescovi, preti e diaconi di sacrificare agli dèi, pena l'esilio, e proibiva inoltre ai cristiani le assemblee di culto sequestrando chiese e cimiteri. Un secondo editto del 258 sancì la pena di morte per chi rifiutava il sacrificio e aggiunse la confisca dei beni per i senatori ed i cavalieri ed i cesariani. Queste misure erano destinate soprattutto a rimpinguare le casse statali, ma anche a indebolire le comunità cristiane privandole delle guide spirituali e delle risorse finanziarie. La morte del vescovo di Roma Sisto è riportata in una lettera di Cipriano; lui stesso, inizialmente esiliato, secondo gli Atti fu decapitato poche settimane dopo. [52]

Quando nel 260 Valeriano fu fatto prigioniero dei persiani, suo figlio Gallieno concesse a tutti di rientrare dall'esilio e restituì alle chiese i loro beni. </ref>

Nel 274 Aureliano antepose a tutte le divinità pagane il Sol Invictus, istituendo una sorta di monoteismo ufficiale. [53] I cristiani quindi professavano ancora una religione illecita, ma non erano perseguitati e poterono tornare ad accogliere sempre nuovi fedeli, diffondendosi sempre più anche nell’aristocrazia e nelle campagne [54] [55].

Diocleziano e Galerio: la “grande persecuzione” [modifica]

Salito al trono nel 284 dopo complesse lotte di potere, Diocleziano volle istituire con la tetrarchia un sistema di governo più stabile fondato su due Augusti (detti uno Iovius – lui stesso – e l’altro Herculius) e due Cesari con gli stessi appellativi destinati a diventare Augusti dopo dieci anni. Dividere l’impero tra quattro sovrani comportava un forte rischio di disgregazione, che Diocleziano cercò di bilanciare con un deciso assolutismo accentratore: dopo aver unificato nell’impero la lingua (il latino), la moneta (il follis) ed il sistema dei prezzi, volle uniformare anche la religione nel culto del Sol invictus, associato a Mitra. Anche i riferimenti a Giove ed Ercole sottolineano la volontà di fondare il potere assoluto della tetrarchia sul sistema religioso tradizionale. [56] [57] [13]

La persecuzione arrivò dopo quasi venti anni, anticipata però nel 297 dalla proscrizione del manicheismo (con argomenti validi anche verso i cristiani). Le fonti cristiane – Eusebio, Lattanzio ed altri – hanno limitati riscontri ma sono numerose e circostanziate. [58]

Il 24 febbraio 303 fu affisso nella capitale Nicomedia il primo editto[59], che ordinava: a) il rogo dei libri sacri, la confisca dei beni delle chiese e la loro distruzione; b) il divieto per i cristiani di riunirsi e di tentare azioni giuridiche; c) la perdita di carica e privilegi per i cristiani di alto rango; d) l’arresto di alcuni funzionari statali. Pochi mesi dopo, a seguito di disordini, un secondo editto ordinò l’arresto del clero. Un terzo editto mirò a svuotare le carceri sovraffollate: i prigionieri dovevano essere costretti a sacrificare con ogni mezzo e poi liberati. L’ultimo editto, all’inizio del 304, impose a tutti i cittadini dell’impero di sacrificare agli dèi.

Eusebio definirà una vera guerra gli anni che seguirono: molti furono i lapsi, ma anche i martiri [1]. Il maggior numero di vittime si ebbe nell’area controllata da Diocleziano (Asia minore, Siria, Egitto), dove i cristiani erano molto numerosi; nei meno cristianizzati Balcani il Cesare Galerio, spesso indicato come l’ispiratore della persecuzione, fu egualmente duro. Anche in Africa Occidentale, governata dall’Augusto Massimiano, ci furono molti martiri, anche se il quarto editto fu applicato in modo limitato; invece in Britannia e Gallia il Cesare Costanzo Cloro, padre di Costantino I, applicò solo il primo editto [60]. A proposito dei martiri di questo periodo sono rimaste testimonianze epigrafiche ed agiografie ritenute autentiche [61] [62]

In seguito all’abdicazione di Diocleziano e Massimiano nel 305 ed alla morte di Costanzo Cloro nel 306 si scatenarono in Occidente delle lotte di potere che gradualmente tolsero energia alle persecuzioni fino a interromperle. Viceversa in Oriente con Galerio, diventato Augusto, e suo nipote Massimino Daia continuarono duramente [63]. Più che giustiziati i cristiani erano ora imprigionati, torturati ed inviati ai lavori forzati nelle miniere in Egitto, una pena perpetua che portava presto alla morte [64].


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12/12/2010 23:07
 
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Le ultime fasi : (Tregua nelle persecuzioni )

Il 30 aprile 311 Galerio, in punto di morte, emanò l'Editto di tolleranza che ordinava la cessazione delle persecuzioni [65]. Nel testo trascritto da Eusebio, Galerio spiega le ragioni della persecuzione ma ne deplora il risultato, cioè che i cristiani non si rivolgono più né agli dèi pagani, né al loro dio [66]. In realtà queste si erano già arenate e nelle lotte per il potere i cristiani, per nulla vinti, avrebbero potuto rivestire un ruolo importante [67].

La conversione di Costantino dopo la vittoria su Massenzio [68] al ponte Milvio nel 312 è leggenda, ma la sua conferma all’editto di Galerio consentirà la definitiva libertà di culto ai cristiani in tutta la parte occidentale dell’impero. Purtroppo alla fine delle persecuzioni seguirà immediatamente la lotta interna alla Chiesa: nello stesso anno Costantino dovrà prendere posizione contro i donatisti e nel 317 invierà l’esercito [69].

In oriente invece Massimino Daia porterà avanti la persecuzione fino alla sconfitta subita nel 313 dal legittimo successore di Galerio, Licinio [70]. Secondo Eusebio quest’ultimo, che pure aveva condiviso a Milano la linea tollerante di Costantino, sarebbe poi stato protagonista di una nuova fase di ostilità, nella quale i martiri non sarebbero stati molti [71] [72]. In seguito anche Flavio Claudio Giuliano avrebbe preso alcune misure contro i cristiani (che l’avrebbero chiamato Giuliano l’Apostata) senza avere il tempo di arrivare ad una vera oppressione [73] [74].

Secondo W.H.C. Frend le persecuzioni lasciarono in eredità la lotta alle eresie e la separazione tra chiesa e stato [75].

Note 

  1. ^ a b c La stima del numero totale di vittime è estremamente difficile: C. Lepelley (I cristiani e l’Impero romano in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 1 a cura di L. Pietri Il nuovo popolo: dalle origini al 250, 2003, Borla / Città Nuova, Roma, p. 248) sostiene che fino a prima della persecuzione di Decio i martiri sarebbero stati “diverse migliaia”. Le cifre non dovettero variare molto in seguito: secondo W.H.C. Frend (Martyrdom and Persecution in the Early Church, 1965, Basil Blackwell, Oxford, p. 413) furono probabilmente centinaia sotto Decio; per la "grande persecuzione", A. Marcone (La politica religiosa in AA.VV. Storia di Roma - vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, 1993 Einaudi, Torino, p. 239) ritiene abbastanza attendibile la cifra di 91 vittime fornita da Eusebio per la sola provincia di Siria Palestina.
  2. ^ W.H.C. Frend Persecutions: genesis and legacy in AA.VV., The Cambridge History of Christianity - Vol. 1: Origins to Constantine, 2006 Cambridge University Press, p. 506
  3. ^ Lepelley cit. p. 227.
  4. ^ W.A. Meeks Il cristianesimo in AA.VV. Storia di Roma - vol. 2 L’impero mediterraneo, tomo III La cultura e l’impero, 1992 Einaudi, p. 284
  5. ^ Meeks cit. p. 301
  6. ^ Frend, 2006 cit. p. 504
  7. ^ W. Liebeschütz La religione romana in AA.VV. Storia di Roma - vol. 2 L’impero mediterraneo, tomo III La cultura e l’impero, 1992 Einaudi,p. 265; a p. 267 esprime scetticismo sul timore di cospirazioni dei cristiani
  8. ^ Lepelley cit. p. 232-233.
  9. ^ Liebeschütz cit. p. 260 ss.
  10. ^ Lepelley cit. a p. 230 riporta l’invito di Clemente di Roma a pregare, secondo la tradizione paolina, per i depositari dell’autorità.
  11. ^ Meeks cit. p. 299. A p. 300 l’autore aggiunge: “In ogni caso la conversione della gran maggioranza dei cristiani fu senza dubbio meno radicale di quanto i loro capi avrebbero desiderato”, spiegando che la maggior parte dei cristiani era inserita nella società in quasi ogni ceto. Anche Tertulliano ne dà conferma, v. Frend, 2006 cit. p. 512.
  12. ^ Galerio, in un passo dell’Editto di tolleranza tradotto in Marcone cit. p.230-1 avrebbe in seguito scritto: “tale era l’insensatezza che si era impadronita dei cristiani, che essi non osservavano quegli istituti degli antichi, che forse erano stati creati dai loro padri, ma a proprio arbitrio, così come loro aggradava, si davano da sé medesimi le leggi da osservare e riunivano vari popoli nei luoghi più disparati”.
  13. ^ a b A. Marcone cit. a p. 223 riporta la tesi di W. Portmann, Zu den motiven der diokletianischen Christenverfolgung in Historia, XXIX (1990), pp. 212-248 “per il quale la persecuzione dioclezianea (e, in certa misura, quelle precedenti del III secolo) sarebbe stata motivata dalla minaccia contro la disciplina pubblica rappresentata dalle contese «tra» i cristiani”.
  14. ^ Lepelley cit. p. 242
  15. ^ Frend, 2006 cit. p. 507-9
  16. ^ Meeks cit. p. 299 riporta che già con Plinio il Giovane in Bitinia, densamente cristianizzata, i macellai che vendevano le carni degli animali sacrificati erano danneggiati dalla diserzione dei culti
  17. ^ Marcone cit. p. 239 pone tra i motivi della persecuzione di Massimino Daia la difesa della religione ufficiale e dei redditi prodotti da pellegrinaggi e feste religiose
  18. ^ a b c Antonio Spinosa, Tiberio, p. 209.
  19. ^ M. Sordi-I. Ramelli, Il senatoconsulto del 35 in un frammento porfiriano, p. 59.
  20. ^ M. Sordi, I Cristiani e l'Impero Romano, p. 24-29.
  21. ^ Lepelley cit. p. 229.
  22. ^ Frend, 2006 cit. p. 505-506
  23. ^ Meeks cit. p. 297
  24. ^ Lepelley cit. p. 235-6.
  25. ^ Frend, 2006 cit. p. 506-8
  26. ^ Lepelley cit. p. 244
  27. ^ Alcuni cristiani avrebbero all'inizio accolto con entusiasmo la possibilità di ottenere il martirio: gli scrittori della chiesa cristiana degli inizi si occuparono molto delle condizioni in base alla quali l'accettazione del martirio poteva essere considerato un destino accettabile, o, viceversa, essere considerato quasi come un suicidio. I martiri erano considerati esempi da seguire della fede cristiana e pochi dei primi santi non furono anche martiri. Nel contempo il suicidio era considerato dai cristiani un grave peccato e veniva associato ad un tradimento della propria fede, l'esatto opposto della "testimonianza" di essa nel martirio: alla maniera di Giuda il traditore, non di Gesù il salvatore. Il Martirio di Policarpo, del II secolo, registra la storia di Quintus, un cristiano che si consegnò alle autorità romane, ma con atto di codardia finì per sacrificare agli dèi romani quando vide le fiere nel Colosseo: "Per questo motivo quindi, fratelli, non lodiamo quelli che si consegnano, perché il vangelo non insegna ciò." Giovanni l'Evangelista non accusò mai Gesù di suicidio o di auto-distruzione, ma dice piuttosto che Gesù scelse di non opporre resistenza all'arresto e alla crocifissione.
  28. ^ Lepelley cit. p. 237
  29. ^ Frend, 2006 cit. p. 508
  30. ^ Lepelley cit. p. 245
  31. ^ in AA.VV., a cura di G. Filoramo e D. Menozzi Storia del Cristianesimo – L’antichità, 1997, Gius. Laterza & Figli, Bari p.
  32. ^ Frend, 2006 cit. p. 509
  33. ^ Meeks cit. p. 301
  34. ^ Lepelley cit. p. 246-248
  35. ^ Frend, 2006 cit. p. 511
  36. ^ Come riportato in Lepelley cit. p. 225
  37. ^ C. Lepelley cit. p. 250 sostiene che le idee montaniste sul martirio furono probabilmente tra le cause delle repressioni avvenute sotto Marco Aurelio
  38. ^ L. Pietri e J. Flamant La crisi dell’Impero romano e l’affermazione di una nuova religiosità in AA.VV., a cura di C. e L. Pietri Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 - 430) p. 36-38
  39. ^ Liebeschütz cit. p. 250
  40. ^ Pietri e Flamant cit. p. 43
  41. ^ Lepelley cit. p. 251
  42. ^ Frend, 2006 cit. p. 511
  43. ^ Lepelley cit. p. 251
  44. ^ Frend, 2006 cit. p. 512
  45. ^ Lepelley cit. p. 253-4
  46. ^ M. Silvestrini (Il potere imperiale da Severo Alessandro ad Aureliano in AA.VV. Storia di Roma - vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, 1993 Einaudi, Torino, p. 169
  47. ^ M. Silvestrini p. 179 ritiene ragionevole che Decio, come poi Valeriano, intendesse anche “orientare verso motivi pretestuosi l’ostilità popolare” in quel contesto difficile.
  48. ^ Frend, 2006 cit. p. 514
  49. ^ Filoramo e Menozzi cit. p.
  50. ^ L. Pietri Le resistenze: dalla polemica pagana alla persecuzione di Diocleziano in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 – 430), p. 157-161.
  51. ^ Frend, 2006 cit. pp. 513-514
  52. ^ in Filoramo e Menozzi cit. p.
  53. ^ Per Liebeschütz cit. p. 249 questa iniziativa fu consona alla tradizione e non va sopravvalutata
  54. ^ Frend, 2006 cit. p. 513-6
  55. ^ L. Pietri cit. p. 168-171
  56. ^ A. Chastagnol L’accentrarsi del sistema: la tetrarchia e Costantino in AA.VV. Storia di Roma - vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, 1993 Einaudi, Torino, p. 199-200
  57. ^ Secondo lo storico latino Sesto Aurelio Vittore riportato in Chastagnol cit. p. 200 “primo fra tutti, Diocleziano tollerò che lo si adorasse e che ci si rivolgesse a lui come a un dio” (I Cesari, 39.4); Marcone cit. a p. 229 ritiene invece che in questo non si sia discostato di molto dai suoi predecessori
  58. ^ Marcone cit. p. 230
  59. ^ Secondo il testimone Lattanzio, riportato in L. Pietri cit. p. 174, già il giorno prima, festa dei Terminalia, fu attaccata la chiesa di Nicomedia posta davanti al palazzo di Diocleziano. Le porte furono aperte , le scritture bruciate, il santuario distrutto.
  60. ^ Marcone cit. p. 235; a p. 236 riporta come al termine della persecuzione i lapsi delle zone governate da Costanzo Cloro furono rimproverati solo di aver ceduto i libri sacri, segno di una condotta più mite.
  61. ^ L. Pietri cit. p. 172 ss.
  62. ^ Frend, 2006 cit. p. 519-520
  63. ^ Marcone cit. a p. 239 menziona un’iscrizione rinvenuta a Colbasa in Panfilia che attesta agevolazioni fiscali per le regioni che collaboravano contro i cristiani
  64. ^ B. Santalucia La giustizia penale in AA.VV. Storia di Roma - vol. 2 L’impero mediterraneo, tomo III La cultura e l’impero, 1992 Einaudi, p. 230
  65. ^ L. Pietri cit. p. 180.
  66. ^ Marcone cit. p. 240
  67. ^
  68. ^ Marcone cit. a p. 237 sostiene che Massenzio adottò con i cristiani una politica tollerante.
  69. ^ C. Pietri Il fallimento dell’unità “imperiale” in Africa – La resistenza donatista in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 – 430) p. 224-5
  70. ^ L. Pietri cit. p. 181.
  71. ^ C. Pietri La conversione: propaganda e realtà della legge e dell’evergetismo in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 – 430) p. 198-200.
  72. ^ Chastagnol cit. p. 217
  73. ^ J. Flamant e C. Pietri La dissoluzione del sistema costantiniano: Giuliano l’Apostata in AA.VV., Storia del Cristianesimo – Vol. 2 La nascita di una cristianità (250 – 430) p. 334-9
  74. ^ G.W. Bowersock I percorsi della politica in AA.VV. Storia di Roma - vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, 1993 Einaudi, Torino, p. p.534-5
  75. ^ Frend, 2006 cit. p. 521-3

Bibliografia [modifica]

  • AA.VV. a cura di L. Pietri, Storia del Cristianesimo - Vol. 1: Il nuovo popolo: dalle origini al 250 , Roma, Borla / Città nuova, 2003 . ISBN 88-263-1446-2, ISBN 88-311-9273-6.
  • AA.VV. a cura di C. e L. Pietri, Storia del Cristianesimo - Vol. 2: La nascita di una cristianità (250 – 430) , Roma, Borla / Città nuova, 2003 . ISBN 978-88-263-1333-7
  • AA.VV. a cura di E. Gabba e A. Schiavone, Storia di Roma - vol. 2 L’impero mediterraneo, tomo III La cultura e l’impero, Torino, G. Einaudi, 1992 . ISBN 88-06-12842-6
  • AA.VV. a cura di A. Carandini, L.C. Ruggini e A. Giardina, Storia di Roma, vol. 3 L’età tardoantica, tomo I Crisi e trasformazioni, Torino, G. Einaudi, 1993 . ISBN 88-0611744-0.
  • W.H.C. Frend, Martyrdom and Persecution in the Early Church , Oxford, Basil Blackwell, 1965 . .
  • The Cambridge History of Christianity - Vol. 1: Origins to Constantine , Cambridge University Press, 2006 . ISBN 0-521-81239-9
  • AA.VV., a cura di G. Filoramo e D. Menozzi, Storia del Cristianesimo – L’antichità , Bari, Gius. Laterza & Figli, 1997 . ISBN 88-420-5230-2
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Persecuzioni moderne

In epoca moderna, i cristiani sono stati perseguitati in diverse nazioni. Spesso, soprattutto al di fuori dell'Europa, essi venivano repressi anche perché considerati portatori di un'"influenza straniera" che si vedeva come una minaccia al potere costituito o alla struttura tradizionale della società. Questo è il caso, ad esempio, del Giappone nel XVII secolo, dove si usava un singolare metodo per scoprire i cristiani: tutti venivano obbligati a calpestare delle immagini sacre, chi si rifiutava era subito arrestato.

Negli ultimi duecento anni circa si è poi affermato un nuovo tipo di persecuzione, nel quale i responsabili sono stati i propugnatori dell'ateismo, delle filosofie materialiste e della massoneria. Secondo questi gruppi, occorreva "liberare" (con la forza) il popolo dalla religione, che essi consideravano una superstizione che frenava il progresso della società.

Secondo alcune stime[senza fonte], il numero dei cristiani uccisi per la loro fede nel XX secolo supera di gran lunga il numero complessivo che si ha per tutti i secoli precedenti.

Rivoluzione francese

Il primo caso fu quello della Rivoluzione francese: qui la persecuzione del cristianesimo si inquadrò in un più generale tentativo di sradicare completamente tutte le tradizioni dell'Ancien regime, con aspetti singolari come il culto della "dea Ragione" o la sostituzione dei nomi dei mesi del calendario (vedi Calendario rivoluzionario francese).

La repressione del cristianesimo si attuò con la Costituzione civile del clero, una legge che imponeva ai sacerdoti di giurare fedeltà alla repubblica e rinnegare la Chiesa di Roma, per costituire una Chiesa nazionale alle dipendenze del potere politico. I "preti refrattari", cioè coloro che rifiutarono il giuramento (la grande maggioranza), vennero ghigliottinati. I conventi vennero chiusi e i religiosi dispersi.

La difesa del cristianesimo costituì una delle motivazioni dell'insurrezione armata della Vandea (1793), che dopo alcuni mesi di scontri fu repressa con estrema violenza dall'esercito rivoluzionario.

Il caso messicano

Per approfondire, vedi la voce: Cristeros.

In Messico a partire dalla metà del XIX secolo si affermò una classe politica anticlericale e massonica, che aveva tra i suoi obiettivi quello di distruggere la forte tradizione cattolica del paese. Dopo numerosi episodi di violenza e il varo di leggi che limitavano severamente la libertà religiosa, nel 1926 nella popolazione cattolica prese avvio una rivolta armata, la cosiddetta Cristiada: gli insorti riuscirono ad organizzare un vero e proprio esercito che giunse a contare anche 50000 uomini. La Cristiada durò fino al 1929; seguì un periodo di dura repressione, nel quale i sacerdoti fedeli a Roma venivano ricercati e fucilati.

Come conseguenza della sua politica anti-cattolica il numero di preti in Messico passò da circa 4.500 prima del 1926, a soli 334 nel 1934.

Il Nazismo

Il Nazismo ha perseguitato il Cristianesimo, anche se non così duramente come l'Ebraismo (per il quale la persecuzione era fondata su una base razziale più che religiosa). Lo scontro tra Chiesa e Nazismo, appena dissimulato dal concordato tra Santa Sede e Terzo Reich del 20 luglio 1933, diventò sempre più aperto e frontale. Pio XI nell'enciclica "Mit brennender Sorge" ("Con bruciante preoccupazione") del 1937 aveva dichiarato l'inconciliabilità della fede cristiana con la divinizzazione della razza germanica, del popolo tedesco e del Führer. E così, se la "soluzione finale" nei confronti degli Ebrei ebbe per i Nazisti una priorità rispetto al trattamento da riservare alla Chiesa, l'eliminazione di questa era "l'ultimo grande compito" che Hitler si riservava per il dopoguerra (come sappiamo dalle registrazioni di Bormann).

Già nel giugno 1934 in Germania era cominciata l'eliminazione fisica di membri della Chiesa distintisi per la loro opposizione al nazismo come Erich Klausener, Adalbert Probst, Fritz Beck e Fritz Gerlich. Le persecuzioni, gli arresti, le condanne a morte, le deportazioni in campo di concentramento dei cristiani continuarono con inusitata violenza distruttrice fino alla fine del regime nel maggio 1945. Giovanni Paolo II, citando Jakob Gapp, concordava con lui nel vedere in questa contrapposizione tra Cristianesimo e Nazismo un'espressione visibile della lotta apocalittica tra Dio e Satana. Padre Jakob Gapp, religioso austriaco, fu ghigliottinato dai nazisti il 13 Agosto 1943.

Col dilagare della II guerra mondiale e le occupazioni naziste morì per mano dei tedeschi anche un grande numero di preti, suore e religiosi. Diversi sacerdoti sono stati deportati e uccisi nei campi di concentramento: il più famoso di questi è san Massimiliano Kolbe.A Buchenwald il sacerdote austriaco Otto Neururer, per aver battezzato un prigioniero, venne sospeso a testa in giù a una trave finché, dopo due giorni di agonia, morì (30 maggio 1940). A Mauthausen padre Edmund Kalas, polacco, aveva allontanato una guardia tedesca da un prigioniero che stava uccidendo a calci; la reazione fu feroce: il sacerdote venne fatto lapidare dagli stessi prigionieri (7 giugno 1943). Durante l'occupazione nazista di Roma (1943-1944), lo stesso papa Pio XII fu a rischio di essere deportato: è stato reso noto in seguito che egli aveva firmato una lettera di dimissioni, da rendere operative qualora fosse stato arrestato.

I regimi comunisti

La persecuzione dei cristiani è stata una costante anche dei regimi comunisti, iniziando dalla Russia nel 1917 per proseguire, dopo la Seconda guerra mondiale, in tutti i paesi dietro la cortina di ferro. Ai cristiani di quei paesi, costretti alla clandestinità, si usava riferirsi con l'espressione Chiesa del silenzio.

Nikolaj Bucharin (1888 - 1938) nella sua opera "L'ABC del Comunismo" (1919) dichiarò che "la religione e il Comunismo sono incompatibili sia in teoria che in pratica". Pio XI nell'enciclica "Divini Redemptoris" del 1937 definì il Comunismo "flagello satanico" che "mira a capovolgere l'ordinamento sociale e a scalzare gli stessi fondamenti della civiltà cristiana" facendo precipitare le nazioni in una barbarie "peggiore di quella in cui ancora giaceva la maggior parte del mondo all'apparire del Redentore".

La persecuzione della Chiesa cattolica continua tuttora in Cina: il governo di quel paese ha istituito una "Chiesa patriottica nazionale", separata da Roma. I cattolici fedeli al papa sono considerati "agenti di una potenza straniera". Anche se in tempi recenti il governo cinese ha aperto una trattativa con il Vaticano, tuttora continuano le incarcerazioni di sacerdoti e vescovi. Anche altre religioni "non autorizzate" vengono duramente represse.

I paesi musulmani

Nei paesi musulmani, generalmente ai cristiani è riconosciuta la libertà di professare la loro religione, ma con limitazioni in alcuni paesi. In Arabia Saudita è formalmente vietata ogni religione che non sia quella musulmana; la presenza di stranieri cristiani è tacitamente tollerata, ma essi non possono in alcun modo manifestare la propria fede. Persino il possesso della Bibbia è considerato un crimine.

In generale nei paesi arabi i cristiani sono oggetto, da parte della popolazione musulmana, di forme di discriminazione più o meno gravi, che negli ultimi decenni hanno portato molti di loro a emigrare o a convertirsi all'Islam. La popolazione cristiana è in calo più o meno pronunciato in tutti i paesi del Medio Oriente. La conversione di musulmani al cristianesimo è poi vista come un crimine (apostasia) e, anche nei paesi in cui la legge la consente, i convertiti sono spesso oggetto di minacce e vendette da parte della popolazione.

[Modificato da Credente 12/12/2010 23:19]
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12/12/2010 23:15
 
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L’India è lo specchio del mondo. Quello che accade qui vale anche altrove. Accade in Pakistan, Iran, Arabia Saudita, Algeria. Sudan, ultimamente anche in Egitto. È un attacco pesante, che ha radici forti e non risparmia nessuno. Le comunità cristiane locali danno fastidio perché con la loro stessa esistenza diffondono una religione, una cultura e un sistema di vita fondati sul valore assoluto della persona umana, quindi sulla libertà, l’eguaglianza di tutti di fronte allo Stato, la donna con gli stessi diritti dell'uomo, la democrazia, la giustizia sociale.

Ecco perché le persecuzioni anti-cristiane dovrebbero interessare molto di più giornali, televisione, programmi culturali e università. Questa violenza non riguarda solo una religione, quella cristiana, ma un intero sistema di valori, visto che il cristianesimo è alla radice del nostro modo di vita occidentale. Non illudiamoci, oggi la persecuzione anti-cristiana è contro l'Occidente democratico e dei diritti dell'uomo e della donna. Se nei Paesi altri risultassero vincenti l’ideologia indutva e il fondamentalismo islamico, o anche il comunismo del boom economico di Cina e Vietnam, sarebbe in pericolo non il cristianesimo (noi crediamo per fede che non corre questo rischio), ma l’Occidente stesso. È questo il problema. Questo è il dramma.


L’indutva, cioè l’ideologia religioso-culturale-politica del nazionalismo indiano, ha molte radici tra cui anche quella religiosa e non è facile per il Paese liberarsene. E la cronaca lo conferma. Il fatto grave degli assalti ai cristiani nello stato di Orissa è la continuità di queste manifestazioni d’intolleranza indù, strumentalizzata dal Bharatiya Party, verso le minoranze religiose: i musulmani (circa il 13% degli indiani), ma questi rispondono colpo su colpo, mentre i cristiani (2,5%) si difendono, ma senza odio e senza sentimenti di vendetta e di rivalsa. L’opinione pubblica occidentale è abituata a pensare che i cristiani sono perseguitati soprattutto nei Paesi islamici o a regime comunista. Ma sta venendo alla ribalta il fondamentalismo indù, che le autorità di un Paese democratico come l’India tollerano o non riescono a dominare. Quel che preoccupa la Chiesa indiana, e dovrebbe ottenere maggior attenzione nei mass media occidentali, non sono i singoli casi di persecuzione, ma l’atmosfera generale d'intolleranza che sta crescendo nei confronti dei cristiani. È bene anche conoscere i motivi di questa persecuzione. Un volantino, distribuito a Bangalore nel Natale 2007 elenca i «crimini» dei cristiani: trattare tutti allo stesso modo, educazione delle donne, rifiuto del sistema delle caste. Nel testo, firmato da gruppi nazionalisti indù, si legge che i cristiani dello Stato meridionale del Karnataka «devono abbandonare immediatamente il territorio indiano, oppure tornare alla religione madre dell'induismo». Altrimenti «dovranno essere uccisi da tutti i bravi indiani». In questo elenco dei «crimini» cristiani manca il principale. Le chiese, le loro scuole e opere di promozione umana, lavorano soprattutto fra i più poveri, che sono i «paria» (fuori casta), circa 130 milioni su un miliardo e 60 milioni, ancor oggi discriminati. Grazie alle scuole missionarie si è creata nei «paria» una coscienza nuova dei loro diritti e questo dà fastidio sia ai rigidi custodi della tradizione religiosa (che considera i paria «intoccabili» per motivazioni religiose), sia a tutti quelli (specie proprietari terrieri) che li hanno sempre considerati come servi della gleba. È questo che fa paura: la libertà cristiana e occidentale.

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01/01/2011 21:58
 
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È iniziato nel terrore e nel sangue il 2011 per i cristiani di Alessandria d’Egitto, dove poco dopo la mezzanotte, 21 persone sono state uccise - ma le vittime identificate sono per ora 17 - e un’ottantina di altre ferite in un devastante attentato davanti a una chiesa copto-ortodossa: l’esplosione ha investito in pieno i fedeli che stavano uscendo dopo aver partecipato a una Messa per celebrare l’arrivo del nuovo anno.
La dinamica dell’attacco ancora non è chiara. In un primo momento si è parlato di un’autobomba, poi il ministero degli interni ha affermato che la bomba era invece «probabilmente» nascosta tra le vesti di un kamikaze.

Si avvera quanto detto da Gesù:

Giov 16,2  verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio.
E' proprio ciò che i terroristi credono di fare uccidendo altri credenti che però non condividono le loro stesse convinzioni.
La libertà religiosa è alla base di qualsiasi altra libertà e la sua negazione è un pericolo per ogni convivenza civile.
Per questo tutti sono interessati a far cessare questa pericolosa situazione.

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03/01/2011 17:30
 
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CRISTIANI: AGNELLI TRA I LUPI

Come iniziare meglio l’anno nuovo, se non con un nuovo macello di cristiani? Gli agnelli sacrificali sono sempre gli stessi, sono a portata di mano dei carnefici e nessuno li difende.

I ventuno morti per un’autobomba piazzata all’ingresso di una chiesa ad Alessandria d’Egitto, vanno a sommarsi alla cinquantina di vittime fatte in un’altra chiesa, a Bagdad, il 31 ottobre, a cui è seguito poco dopo il supplizio di altri sei cristiani (con 33 feriti).

Tragedie che vanno a sommarsi alla terribile condizione dei cristiani in Pakistan, alle ragazzine cristiane che lì sono ritenute schiave a disposizione di ricchi signori islamici, per non dire del caso di Arshed Masih che è stato bruciato vivo per la sua fede cristiana, mentre la moglie – andata a denunciare l’orrore dalla polizia – è stata violentata davanti agli occhi dei figli (sono cronache dell’anno appena trascorso).

Ma non importa niente a nessuno dei cristiani. Come ha scritto Bernard Henri Lévy un mese fa sul Corriere della sera: “oggi i cristiani formano, su scala planetaria, la comunità più costantemente, violentemente e impunemente perseguitata”.

Quando mi capitò, qualche anno fa, di scrivere questa stessa cosa, documentandola con un lungo elenco di massacri e vessazioni mi attirai addosso delle reazioni irate o sarcastiche.

Anche Lévy ha subito la stessa sorte, infatti aggiunge: “Questa frase ha sorpreso. Ha provocato anche una certa agitazione qui e là. Eppure… Guardate…”.

Ha proseguito elencando alcuni dei massacri in corso e l’indifferenza del mondo.

Ovviamente ci sono tante violenze e discriminazioni anche contro non cristiani e Lévy ne è sempre un accorato testimone che fa sentire la sua voce, ma – come dice l’intellettuale ebreo francese – mentre queste diverse forme di discriminazione e razzismo sono riconosciute oggi come tali e denunciate, mentre “l’antisemitismo ha finito col diventare, nelle nostre regioni, grazie al cielo, un crimine designato come tale, debitamente registrato, punito”, mentre “il pregiudizio anti-arabi, o anti-Rom, per fortuna è condannato da organizzazioni tipo Sos razzismo che sono fiero di aver contribuito a fondare”, mentre la discriminazione di ogni minoranza (per motivi etnici, sessuali o religiosi) è messa al bando, “affermo però che di fronte a queste persecuzioni di massa dei cristiani improvvisamente non c’è più nessuno ad alzare la voce”.

Per questo oggi un intellettuale come Lévy, che certo non è un intellettuale cattolico, grida che si deve riconoscere e denunciare “l’odio planetario, l’ondata omicida di cui i cristiani sono vittime”.

In quell’articolo arriva a chiedere provocatoriamente a media e opinione pubblica occidentali: “Esiste un permesso di uccidere, opprimere, umiliare, martirizzare i cristiani? Ebbene no. Oggi bisogna difendere i cristiani”.

Tuttavia – a conferma di quanto Lévy denuncia – quello stesso suo articolo, memorabile per onestà intellettuale e coraggio, come pure per drammaticità, il 17 novembre scorso è stato impaginato dal Corriere in una remotissima pagina interna.

Bernard Henri Lévy che merita la prima pagina su tutti i quotidiani italiani quando denuncia la condanna a morte in Iran per Sakineh (per presunto omicidio e adulterio), il Lévy seguito da un corteo di premi Nobel che sottoscrivono il suo appello e migliaia e migliaia di firme di intellettuali – in testa il solito Saviano – e semplici cittadini, quello stesso Lévy diventa di colpo una voce nel deserto, inascoltata e snobbata, quando – nell’articolo appena citato – denuncia il caso della giovane madre cristiana Asia Bibi, condannata a morte in Pakistan per il semplice fatto che è cristiana.

No, Asia Bibi proprio non ce la fa ad arrivare alla prima pagina del Corriere della sera o della Repubblica o della Stampa.

Nemmeno la notizia che la povera donna, madre di cinque bimbi, tuttora detenuta perché condannata a morte, sarebbe stata addirittura stuprata è riuscita a far muovere un solo intellettuale, un solo giornale, un solo programma televisivo.

I cristiani macellati, vittime di genocidio (come in Sudan), perseguitati e umiliati in Cina e in tutti gli altri regimi comunisti (Corea del Nord, Cuba, Vietnam) non soltanto sono vittime di serie B, ma quasi non meritano lo statuto di vittime, giacché la Chiesa deve sempre stare sul banco degli imputati.

Massacrata e perseguitata in decine di regimi, viene poi umiliata e sputazzata qua in Occidente come ludibrio delle genti. Neanche la voce del Papa, che ormai da settimane e settimane continua ad appellarsi a tutte le autorità per fermare i massacri di cristiani in corso viene ascoltata.

Lui stesso ha recentemente ripetuto che i cristiani sono il gruppo umano più perseguitato del pianeta. Ma l’Unione europea lo snobba (in Europa semmai si cerca di sradicare ogni traccia di tradizione cristiana).

E il presidente americano Obama è addirittura andato, di recente, a osannare il regime indonesiano come un esempio di tolleranza e pluralismo, omettendo il piccolo particolare dei massacri di cristiani lì perpetrati in questi decenni, a cominciare dal genocidio di Timor est.

Infine la Cina, di cui il Papa, nei giorni scorsi, ha denunciato le persecuzioni, è omaggiata e adulata dappertutto per la sua potenza economica, che tiene in pugno perfino gli Stati Uniti, figuriamoci dunque se l’Onu – dove già la fanno da padroni i regimi islamici – può occuparsi dei cristiani.

....

Chi ha tagliato la gola a monsignor Padovese ha gridato: “ho ammazzato il grande satana! Allah Akhbar!”. La strage di Alessandria d’Egitto viene dopo una serie interminabile di attacchi musulmani alla minoranza cristiana dell’Egitto.

Quella di Alessandria è una delle chiese più antiche del mondo. Basti pensare che fu la Chiesa del grande s. Atanasio e che è – con Gerusalemme, Antiochia, Costantinopoli – una delle sedi patriarcali, perché chiesa di origine apostolica.

Quella città è diventata cristiana seicento anni prima che nascesse Maometto (e tuttora ha una grande comunità cristiana), ma i fondamentalisti musulmani sono impegnati a “ripulire” il Medio oriente dai cristiani ritenendoli degli abusivi (sebbene siano i cristiani gli egiziani autentici, mentre i musulmani hanno invaso molto tempo dopo quella terra).

Il governo italiano ha il merito di aver fatto sua, nelle sedi internazionali, la causa dei cristiani perseguitati. Ma è anzitutto dentro la Chiesa che il loro grido deve essere ascoltato. Ci vuole almeno il coraggio di dichiarare martire monsignor Padovese e tutte queste vittime.

 ...

Antonio Socci

[Modificato da Coordin. 03/01/2011 17:32]
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03/05/2011 13:13
 
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La storica Irina Ivanovna Osipova è l’autrice de Se il mondo vi odia… Martiri per la fede nel regime sovietico pubblicato  in Italia dalle Edizioni La Casa di Matriona in cui tratta delle persecuzioni poste in essere in Unione Sovietica ai danni dei cattolici di rito bizantino e latino dal 1917 al 1955.

 

 Estraneità cattolica

Il libro si compone di sei capitoli, nel primo dei quali l’Autrice traccia un excursus storico della presenza cattolica in Russia a partire dal regno di Pietro il Grande: "La presenza dei cattolici in un Paese come la Russia, storicamente "ortodosso", si legò inizialmente all’esistenza di colonie straniere e finì per identificarsi con queste minoranze".

Quando poi sul finire del Settecento, con le tre spartizioni della Polonia, la Russia venne ad avere all’interno dei propri confini più di sei milioni di sudditi di religione cattolica ciò "portò alla nascita del binomio: cattolico=polacco, che per molti versi sopravvive ancor oggi nella coscienza russa" (p. 18).

La prima diocesi cattolico – romana venne creata in Russia per iniziativa unilaterale della zarina Caterina II a Mogilëv nel 1772 e dieci anni più tardi la trasformò in arcidiocesi. Nel 1783 il seminario e la residenza arcivescovile vennero trasferiti a San Pietroburgo e così la capitale imperiale divenne anche la città più importante della cattolicità in terra di Russia. Fin dai tempi di Caterina i rapporti fra il Vaticano ed il Governo russo furono assai conflittuali a causa dei continui tentativi zaristi di dettar legge alla Chiesa cattolica in Russia.

Per tutto l’Ottocento la presenza cattolica in Russia fu rappresentata quasi soltanto da stranieri e la conversione al cattolicesimo "più che un fenomeno quantitativo fu un fenomeno qualitativo, poiché coinvolse molti grandi nomi della cultura e dell’aristocrazia… Tutte queste personalità, abbracciando il cattolicesimo si videro però costrette in qualche modo ad abbracciare una cultura diversa dalla propria e a celebrare il culto in una lingua straniera" (p. 20).

 

I cattolici di rito bizantino-slavo

Le discriminazioni per la Chiesa cattolica russa parvero terminare con l’inizio del nuovo secolo allorquando, con l’editto di tolleranza del 17 aprile 1905, i cattolici ottennero la tanto attesa libertà di confessione anche se le difficoltà per l’apostolato dei sacerdoti cattolici rimasero enormi. Con grande difficoltà proprio dal 1905 iniziò l’attività missionaria di alcuni padri assunzionisti francesi che non si sarebbe rivolta soltanto alle comunità francesi ma avrebbe riguardato anche i cattolici russi di rito orientale o bizantino-slavo, gruppo sorto in Russia sul finire del XIX secolo sulla scorta delle riflessioni del filosofo Vladimir S. Solov’ëv e delle conversioni dei due sacerdoti ortodossi Nikolaj A. Tolstoj e Aleksej E. Zercaninov.

I cattolici russi di rito orientale, che "promuovevano l’uso del rito liturgico orientale e della lingua russa nella preghiera, ma professavano i dogmi del cattolicesimo e riconoscevano nel papa di Roma il capo della Chiesa universale" (p. 21), vennero incoraggiati e sostenuti dai papi Leone XIII e Pio X ma non certo dal potere zarista che non li riconobbe se non dopo lunghe trattative e ben quattro anni dopo l’emanazione dell’editto di tolleranza.

La prima chiesa cattolica di rito bizantino-slavo, quella dello Spirito Santo, venne aperta a San Pietroburgo nel 1909 e nel gennaio del 1913 uscì il primo numero del giornale dei cattolici russi chiamato Parola di Verità in cui venne richiesta l’unione delle Chiese cattolica ed ortodossa provocando un grande scandalo che portò alla chiusura della chiesa dello Spirito Santo.

A Mosca il nucleo dei cattolici di rito bizantino-slavo ruotava intorno ai coniugi Abrikosov. Questa coppia di ricchi e colti moscoviti si convertì al cattolicesimo tra il 1908 e il 1909, entrando nel terz’ordine domenicano, vivendo, seppur sposati, la vocazione monacale; Anna Abrikosova trasformò addirittura il proprio appartamento in un convento assumendo il nome di suor Caterina da Siena.

 

I tempi di Diocleziano

Nel 1917 per i cattolici russi, con lo scoppio della rivoluzione di febbraio, le cose parvero migliorare; la chiesa dello Spirito Santo a Pietrogrado venne riaperta a partire dal giorno di Pasqua, l’esarcato russo cattolico di rito bizantino venne riconosciuto dal Governo Provvisorio ed alla fine di maggio a Pietrogrado poté tenersi il primo Sinodo cattolico russo.

La comunità cattolica di Mosca, come quella di Pietrogrado s’ingrandì nei primi anni rivoluzionari e la polizia politica sovietica iniziò a controllarla a partire dall’estate del 1920 quando il patriarca ortodosso Tichon si mostrò ben disposto verso una possibile conciliazione tra Chiesa ortodossa e Chiesa cattolica e sollecitò lo svolgimento di incontri ecumenici.

Da parte sovietica iniziò l’infiltrazione di alcuni "collaboratori volontari" presso le comunità cattoliche; ecco alcuni passi tratti dai rapporti stilati da uno di questi "collaboratori" infiltrato presso la comunità degli Abrikosov: ""Il gruppo di professori presso gli Abrikosov pensa innanzitutto a come salvaguardare la Chiesa e consolidare il suo potere… il 7 febbraio nell’appartamento degli Abrikosov si è svolta una riunione dedicata al defunto papa di Roma, e i presenti erano molto contenti che il nuovo papa [Pio XI] sia un acerrimo nemico dei bolscevichi… Giovedì 4 maggio si è deciso di propagandare l’idea di un fronte spirituale unitario antisocialista"" (p. 36). Nell’aprile del 1922 vennero arrestati alcuni sacerdoti ortodossi che erano soliti frequentare la comunità degli Abrikosov; ecco un passo di una deposizione di uno di questi – estorta quasi sicuramente con la forza dai cekisti:

"I teologi cattolici che conversavano con noi non celavano il loro desiderio di sottometterci ai gesuiti (cioè al papa di Roma), e già questo, secondo me, significava che volevano coinvolgere anche noi in politica… Una volta si espresse l’idea di creare un fronte unitario antisocialista per la lotta contro l’ateismo e i bolscevichi sotto la guida o l’autorità del papa di Roma, parlando della creazione di cellule di credenti che avrebbero costituito l’organizzazione di base per la lotta contro le idee socialiste" (p. 36).

Poi in settembre anche padre Vladimir Abrikosov venne arrestato, processato, condannato alla "pena capitale" che non venne mai eseguita perché commutata nell’"esilio all’estero a tempo indeterminato". Sua moglie volle rimanere in Russia, alla guida della comunità. Così si espresse poco tempo dopo la partenza per l’esilio del marito in una lettera speditagli a Roma:

 

"Sono sola nel pieno senso della parola, con i bambini quasi senza vestiti, le suore che si fanno in quattro… con i parrocchiani sconcertati e smarriti. E per di più mi aspetto di essere arrestata, visto che durante la perquisizione hanno sequestrato tutti i nostri statuti e regole… Ci sentiamo delle pagliuzze nelle mani di Dio, e dove ci porterà non lo sappiamo: non possiamo fare piani, previsioni, nulla. Bisogna vivere di puri atti di fede, speranza, carità. Ma intanto la causa cresce, gente nuova si unisce, la comunità delle suore si ingrandisce …" (p. 37).

Nel marzo del 1923 l’Esarca dei cattolici russi, padre Leonid I. Fedorov venne arrestato insieme al vescovo cattolico latino Jan Cieplak ed altri tredici sacerdoti di Pietrogrado. A metà novembre anche a Mosca vennero operati una serie di arresti di cattolici fra cui padre Nikolaj Aleksandrov, Donat Novickij, Anna Abrikosova e nove monache della sua comunità. Per molti di loro e per tanti altri cattolici si aprirono le porte del famigerato lager delle Isole Solovki, nel Mar Bianco. Si stava così realizzando quanto aveva sostenuto l’Esarca Fedorov sul finire del 1918:

"Per la Chiesa cominciano i tempi di Diocleziano. Non è un’iperbole, ma un dato di fatto… Siano rese grazie a Dio per tutto! È la giusta punizione al clero per la sua neghittosità, l’egoismo e lo scarso amore per il gregge affidatogli. Le nostre pecorelle guardano con indifferenza alle chiese di Dio abbandonate alle devastazioni. Vivo confidando in Dio e nelle sue preghiere… Non avrei mai pensato che ci sarebbe toccato portare una simile croce…" (p. 33).

continua........

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Dalla Conferenza di Genova alla fondazione del Russicum

La Santa Sede di fronte alle pressioni ed alle violenze del regime sovietico ai danni della cattolicità in Russia tentò di giungere con questo ad un accordo.

Essendo Mosca isolata in campo internazionale dopo la rivoluzione bolscevica e la guerra civile – durante la quale diversi Stati dell’Europa Occidentale oltre a Polonia, Stati Uniti e Giappone erano intervenuti contro il Governo bolscevico – questa parve ben disposta ad ottenere proprio dal Vaticano il suo primo riconoscimento diplomatico. Le trattative si svolsero a Genova durante la Conferenza internazionale per la ricostruzione economica dell’Europa tra l’aprile ed il maggio del ’22; i sovietici non ottennero alcun riconoscimento, né de jurede facto, dal Vaticano ma poterono siglare solo una convenzione riguardante l’invio di aiuti alle vittime della carestia che stava facendo tantissimi morti in URSS.

Con l’espulsione di monsignor Cieplak all’inizio del 1924, il richiamo a Roma della missione umanitaria pontificia su richiesta sovietica, la Santa Sede si ritrovò impossibilitata a difendere il clero ed il fedeli cattolici ancora presenti in URSS. Intanto quest’ultima iniziava ad uscire dall’isolamento internazionale grazie al Trattato di Rapallo siglato con la Germania il 16 aprile 1922, cui fece seguito tra il 1924 e il 1925 il ristabilimento delle relazioni diplomatiche, nell’ordine, con Gran Bretagna, Italia, Norvegia, Austria, Grecia, Svezia, Danimarca, Messico, Ungheria, Francia, Giappone.

Ancora nel 1925 le trattative tra il nunzio apostolico Pacelli e l’ambasciatore sovietico Nikolaj N. Krestinskij non sbloccarono l’impasse in cui erano finite le relazioni tra Roma e Mosca; Pio XI decise allora di aggirare i canali ufficiali per salvaguardare i cattolici russi e "ricorse alla scelta estrema della clandestinità per ricreare una gerarchia cattolica in URSS" (p. 29).

Monsignor Pacelli consacrò vescovo il gesuita francese Michel d’Herbigny il quale venne inviato nel paese dei Sovëty con il compito di ricostituirvi la gerarchia cattolica.

Il 21 aprile 1926 d’Herbigny consacrò vescovo, nella chiesa di San Luigi dei Francesi a Mosca, padre Pie Eugène Neveu oltre ad altri tre amministratori apostolici per Leningrado, Minsk e Odessa ed altri dieci per le città più importanti della Russia. Per meglio formare i futuri missionari da inviare in URSS, a Roma nel 1928 venne fondato il Pontificio Istituto Orientale e l’anno dopo il Collegio Russicum.

 

 "La croce delle croci…"

A padre Neveu non era certo estranea la realtà russa ove aveva svolto la propria missione fin dal 1906. Tra il 1918 e il 1922 fu l’unico informatore di cui disponeva il Vaticano in Russia. Dal momento della sua consacrazione episcopale e per dieci anni fu il più grande pastore ed il sostegno materiale dei cattolici dell’URSS.

La campagna contro il clero ed i fedeli cattolici in quel periodo si andava estendendo in tutta l’Unione: l’accusa comunemente diretta contro i sacerdoti era quella di "spionaggio" a favore di paesi stranieri. Alcuni di loro cedettero alle pressioni ed alle violenze dei cekisti e firmarono le più inverosimili confessioni di colpevolezza; è questo il caso, ad esempio, dei padri Nikolaj Tolstoj e Sergij Solov’ëv.

All’inizio degli anni Trenta dopo una lunga serie di arresti, processi e deportazioni non rimaneva più niente di tutte le strutture ecclesiastiche cattoliche, sia di rito latino che di quello bizantino-slavo. Neveu era l’unico amministratore apostolico ancora in libertà; il vescovo assunzionista ebbe a scrivere con amarezza: ""ci sono dei momenti in cui mi sento lo spegnitore del cattolicesimo in Russia. È la croce delle croci… "" (p. 30).

 

 "Come acciughe nel barile"

Nell’estate del 1928 venne internato alle Solovki anche l’ultimo sacerdote cattolico di rito bizantino ancora in libertà, padre Potapij Emel’janov, già sacerdote ortodosso, convertitosi al cattolicesimo dieci anni prima, che aveva svolto la propria missione nella regione di Doneck. Nel 1924 padre Emel’janov conobbe padre Neveu, allora ancora semplice parroco di Makeevka, nella regione di Doneck, e divennero grandi amici ma, come di consueto nella Russia sovietica, i loro incontri e la loro corrispondenza vennero tenuti d’occhio da vari "collaboratori volontari". Ecco un passo di una deposizione di uno di questi relativa al 1926 ed allegata all’istruttoria di padre Potapij:

 

"Emel’janov era strettamente legato… al vescovo Neveu, che si occupava e si occupa di spionaggio economico e aveva legami strettissimi con il consolato francese a Mosca. Su incarico di Neveu, Emel’janov cercava con vari mezzi di diffondere l’‘unione’ e di far diventare cattolici gli ortodossi. In nome di ciò Emel’janov si occupava di propaganda antisovietica e corrompeva i contadini" (p. 106).

Sempre nel 1928 venne internato alle Solovki un gruppo di sacerdoti polacchi fra i quali vi era anche padre Feliks Lubczynski. Intanto il Vaticano inasprì le proprie proteste contro le continue e pesanti persecuzioni ai danni dei cattolici in tutta l’URSS e nel 1930 papa Pio XI inviò un appello a tutti gli Stati che intrattenevano rapporti con questa affinché gli interrompessero fino a quando Mosca non avesse concesso vera e sostanziale libertà religiosa ai propri cittadini. Da parte sovietica, in risposta alle mosse vaticane, si procedette ad un inasprimento ulteriore della politica verso la religione e, soprattutto, delle condizioni di vita degli internati cattolici nei lager.

Alle Solovki, ad esempio, i ventitré sacerdoti cattolici vennero tutti radunati in un’unica baracca ""di 3-4 metri di lunghezza e circa 2 metri di larghezza. Una parte dormiva sul pavimento, un’altra sui pancacci, a circa un metro di altezza rispetto al pavimento, proprio come ‘acciughe nel barile’"" (p. 109-110).

Dalle memorie di padre Donat Novockij – ancora inedite e custodite presso l’Archivio del Centro di Studi Russi a Meudon, in Francia, citate dalla Osipova – si apprende che ""a padre Feliks la reclusione pesava enormemente... Improvvisamente, senza che ce lo aspettassimo, padre Feliks nell’agosto 1931 si ammalò, cadde in uno stato di quieta malinconia, di oblio… Per la maggior parte del tempo rimaneva coricato, oppure vagava solitario per la brughiera"" (pp. 111-112). Gli altri sacerdoti, per parte loro, cercarono di aiutare padre Feliks svolgendo anche la sua parte di lavoro riuscendo a farlo esonerare almeno dai lavori più pesanti. Verso la fine di ottobre le sue condizioni peggiorarono e venne ricoverato in infermeria ove venne accudito soprattutto da padre Potapij. Al sacerdote polacco venne diagnosticata un’"infiammazione della parte anteriore del cervello". ""Per alleviare il più possibile la sorte del povero fratello malato, - cito ancora dalle memorie di padre Donat – padre Potapij riuscì ad ottenere di essere trasferito nella camerata di padre Feliks che lo accudiva come una madre… vedendo che si avvicinava la fine della vita terrena, padre Potapij gli accennò alla possibilità di confessarsi. Il malato fu profondamente felice di questa commovente attenzione di padre Potapij e dopo la confessione gli baciò le mani, trattenendole fra le sue"". Il 17 novembre padre Feliks morì e gli altri sacerdoti si attivarono immediatamente per dargli una degna sepoltura. Padre Donat e padre Potapij si occuparono del rito funebre; così ricorda padre Donat: ""Non dimenticherò mai l’espressione di padre Feliks nella bara. Sul suo volto aleggiava un lieve sorriso. Non era un’illusione. Sembrava che ci ringraziasse per le attenzioni avute nei suoi confronti, e in primo luogo per la confessione, il rito funebre e la stola sacerdotale"" (p. 112 e p. 113)

Questo il commento della Osipova: "Fu un vero e proprio atto di eroismo, perché alle Solovki non era facile dare una sepoltura, non solo cristiana, ma anche semplicemente umana". (p. 113).

continua.........

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Processi e fucilazioni negli anni Trenta

Fra il dicembre del 1931 e l’estate del 1932 padre Potapij ed altri riuscirono fortunosamente a far giungere a padre Neveu a Mosca alcune lettere in cui gli illustravano le condizioni di vita del clero russo e polacco alle Solovki. Da una lettera di padre Adol’f G. Filipp recapitata in Polonia e pubblicata da vari quotidiani si apprendono notizie terribili:

"Noi preti, quasi tutti anziani e invalidi, siamo costretti non di rado a svolgere lavori pesantissimi, come ad esempio scavare fondamenta di edifici, spostare enormi pietre, scavare d’inverno la terra gelata… talvolta bisogna montare la guardia all’esterno per sedici ore di fila, senza interruzione d’inverno… Dopo un lavoro pesante avremmo bisogno di riposo, mentre nel locale a noi destinato a volte c’è meno di un sedicesimo della cubatura d’aria necessaria a permettere di respirare" (p. 114).

Forse anche a causa della pubblicazione di questa lettera i ventitré sacerdoti cattolici presenti sull’Isola di Anzer (Arcipelago delle Solovki) vennero processati per "organizzazione antisovietica controrivoluzionaria del clero cattolico e uniate nell’Isola di Anzer". Non si verificò alcun caso di tradimento o cedimento da parte degli imputati, otto dei quali vennero inviati alla GPU di Leningrado, mentre gli altri vennero destinati, come padre Potapij, a squadre di lavoro più pesanti o trasferiti al Belbaltlag, un complesso di lager in cui i reclusi erano impegnati nella costruzione di un canale di collegamento tra Mar Bianco e Mar Baltico la cui costruzione non venne mai ultimata nonostante i lavori siano stati sospesi solo pochissimi anni fa.

Nel 1934-35 e nel 1937-38 si ebbero altri arresti e processi di sacerdoti e fedeli cattolici anche all’interno dei lager e l’accusa era di nutrire simpatie fasciste e trockijste. I processi del 1937-38 si conclusero tutti con condanne alla fucilazione. Soltanto tra l’ottobre ed il novembre ’37 i sacerdoti fucilati furono trentadue.

"La crociata del potere dei Soviet contro il clero cattolico nei territori dell’URSS venne coronata dal successo. All’inizio del 1939 nel paese restavano solo due chiese cattoliche aperte al culto, a Mosca e a Leningrado, e due sacerdoti stranieri" (pag. 116).

 

 L’"esilio perpetuo" di padre Neveu

Nel frattempo a Mosca anche il vescovo Neveu non c’era più, poiché nel giugno del 1936 dovendo recarsi in Francia per un’operazione si vide poi negare il visto d’ingresso per ritornare in URSS.

Nuovo parroco della cattedrale di San Luigi dei Francesi divenne uno statunitense, il padre assunzionista Leopold Braun che ricoprì quell’incarico sino alla fine del 1945 quando venne espulso dall’URSS "per attività spionistica contro l’Unione Sovietica e per aver raccolto informazioni calunniose sulla realtà sovietica".

Così si espresse padre Leopold Braun in una relazione sulla situazione religiosa in URSS fatta pervenire a Roma nel 1940:

"Dall’inizio della rivoluzione russa sono stati arrestati circa un migliaio di preti cattolici… La maggior parte di essi è morta in prigione, nei campi di concentramento o ai lavori forzati. Di quelli che sono ancora vivi… nessuno è stato poi rilasciato, in modo che potesse riprendere il suo ministero… Vige il più assoluto divieto di dare un’educazione religiosa ai bambini, è proibito pubblicare libri, periodici o semplici fogli stampati di contenuto religioso" (p. 167).

 

"Dio non è capo di un partito politico"

La ricerca della Osipova, di cui sono state presentate alcune delle tematiche affrontate, non è e non vuole certo essere esaustiva: altri documenti dovranno venire analizzati e quelli a cui si è rifatta la ricercatrice russa abbisognano di ulteriori analisi. Ma intanto l’Autrice ci ha presentato con oggettività una "cronaca" dei martiri in terra di Russia che riteniamo utile e proficua e che non si deve certo considerare indirizzata solo ad un pubblico di lettori devotamente cattolici, anzi…

Le debolezze, le paure, i limiti dei tanti credenti, sacerdoti e non, finiti nella rete del sistema poliziesco e giudiziario sovietico appaiono ben chiari dai documenti ufficiali come anche da tanta memorialistica di parte cattolica.

Le ultime cento pagine di questo libro sono interamente occupate dalle schede biografiche di 313 confessori della fede (monache, sacerdoti, missionari, ecc.) che hanno operato in URSS e che, perlopiù, sono stati perseguitati e/o uccisi. Vi sono poi altre 7 (!) schede di sacerdoti – tutti stranieri – che non subirono procedimenti penali. La lettura di questa ampia raccolta di schede risulterà certamente anch’essa utile ed efficace.

In conclusione riteniamo opportuno riportare una dichiarazione rilasciata da una monaca domenicana al termine di un processo intentato a Voronez nel 1935 contro di lei, altre due consorelle e due sacerdoti cattolici, al termine del quale le tre monache – ma non i due sacerdoti – vennero assolte: ""Sono cattolica e me ne vanto, sono domenicana e ne vado fiera. Voi non avete nessun diritto di condannarmi per questo, perché Dio non è capo di un partito politico e perché la dottrina di Gesù Cristo non è un programma politico ma solo un programma di amore e di misericordia"" (p. 77).

 

 Obiettività e strumentalizzazioni

Dallo scoppio della rivoluzione bolscevica, nel 1917, all’ammaina bandiera del vessillo con la falce ed il martello dal Kremlino nel 1991, sono trascorsi ottantuno anni, quasi tutte e quattro le generazioni di russi in questo secolo hanno vissuto da sovietici, dunque. Senza contare tutti gli altri popoli che sono stati sottoposti a regimi di matrice ideologica marxista-leninista o simile, come anche l’influsso in campo socio-culturale, in Occidente, di questa ideologia e della concezione materialistica della Storia… Conseguentemente riteniamo che – ma errare è umano – per il momento grandi Summae siano ancora premature: del resto anche da noi in Italia l’esperienza fascista e della guerra civile, che hanno occupato un lasso di tempo molto meno lungo e che si sono concluse da cinquantatré anni, non si riescono ancora ad affrontare in modo pienamente sereno ed obiettivo.

Un’indagine quale quella della Osipova, con i suoi limiti di carattere non solo temporale e come opera in fieri, la preferiamo, oggi come oggi, a delle sintesi che, perdipiù, da noi vengono strumentalmente utilizzate – e con ciò stesso svilite – sul proscenio del teatrino della nostra, spesso assai prosaica, politica nazionale.

 

 Irina I. Osipova, Se il mondo vi odia… martiri per la fede nel regime sovietico, Milano, Edizioni La Casa di Matriona, 1997, L. 18.000, p. 18.

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03/05/2011 13:17
 
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Omaggio al Cardinale Josyf Slipyj (1892-1984)
Per gentile concessione di Padre Ewhen Nebesniak.



Sacerdote e Professore


Queste pagine sono un omaggio alla vita, al coraggio e all'esempio di una delle grandi figure del ventesimo secolo, Josyf Cardinale Slipyj, padre e capo della Chiesa Cattolica Ucraina, morto in esilio a Roma il 7 settembre 1984. Era un appassionato studioso. Un sacerdote e un vescovo che luminosamente guidava un gregge tormentato e disperso. E' stato certamente il piu' grande ucraino del suo tempo. Confessore di Cristo, imprigionato, torturato, affamato, esposto al freddo polare, deriso, svilito, ingiuriato: tutto sopporto' per l'unita' del Corpo Mistico. Era un vero principe della Chiesa e dette con la sua presenza piu' lustro al Sacro Collegio di quanto tale nomina potesse conferirne alla sua persona. Tuttavia, non e' solo per il suo ingegno, per le sofferenze e per la gloria che noi semplici cristiani volgiamo gli occhi verso di lui, noi che alla luce della sua vita vorremmo perfezionarci. No, il suo esempio ci insegna qualcosa di piu' grande e, al tempo stesso, piu' semplice: imitare Gesu' e diventare, cosi', simili a Lui.

Il tuo nome e' Roman Kobernyckyj-Dyckowskyj, meglio conosciuto come Slipyj. Sei un ragazzo di Zazdrist, nell'Ucraina Occidentale. L'anno e' il 1897. Stai insegnando a leggere a tuo fratello Josyf. Passera' quasi un secolo e il tuo nome verra' conosciuto dal mondo intero quando Josyf ricordera' il tuo amore fraterno nel suo testamento spirituale. Egli diverra' infatti il piu' grande uomo del tuo paese. Sara' la luce che durante il ventesimo secolo risplendera' nelle tenebre del comunismo negatore di Dio. Sei stato tu, Roman, ad accendere in lui l'amore per lo studio che assicura oggi la continuita' del rito e della cultura ucraina nella piccola Universita' di San Clemente a Roma, dopo che la tua Chiesa e la tua nazione parvero ormai sradicate dalla memoria degli uomini. Josyf Slipyj era nato il 17 febbraio 1892 da una famiglia profondamente cristiana. La sua educazione fu tale che sin dall'infanzia egli diede prova di un notevole amore per lo studio e per le cose di Dio. Era forte di costituzione, nobile e bello di aspetto. All'eta' di 19 anni ottenne il diploma di scuola secondaria a Ternopoli e, vivendo nel seminario diocesano, inizio' gli studi di filosofia presso l'universita' di Lviv (Leopoli). Temeva che il desiderio di diventare professore di universita' potesse pregiudicare la sua vocazione sacerdotale. Ma il pio metropolita di Lviv, Andrei Szeptyckyj, seppe liberarlo dalle sue apprensioni mandandolo a continuare gli studi a Innsbruck. Nel settembre del 1914 le truppe zariste occuparono l'Ucraina Occidentale e arrestarono il metropolita Szeptyckyj perche' aveva rammentato al suo gregge di rimanere fedele al Papa; rimase in prigione sino al marzo del 1917, quando il governo dello Zar fu rovesciato. Da sempre il regime zarista e la Chiesa Ortodossa Russa avevano calpestato i diritti dell'Ucraina e della sua Chiesa unita a Roma. Non avevano mai riconosciuta l'unione di Brest- Litovsk con la quale nel 1596 la Chiesa Cattolica Ucraina ristabili' la comunione con la Sede di Pietro. Il 30 settembre 1917 Josyf Slipyj fu ordinato sacerdote. Tornato ad Innsbruck nel 1918, si laureo' e ottenne la qualifica di professore; poi si reco' a Roma per ulteriori studi. Torno' in patria nel 1922 come professore di teologia dogmatica presso il Seminario di Lviv, e fondo' la rivista teologica Bohoslovia. L'anno 1925 lo vide Rettore di quel Seminario e quattro anni dopo venne nominato Rettore dell'Accademia Teologica di Lviv, dove rimase fino al 1944. Fu un periodo che lo appago' come sacerdote e come studioso. Non duro' a lungo.

Vescovo e Martire

Al di la' della quiete dell'Accademia Teologica di Lviv, la nazione ucraina attraversava un periodo turbolento. Nella scia delle rivoluzioni del 1917, l'Ucraina aveva per breve tempo riacquistato la sua indipendenza (1918-1922). Tale situazione permise la rinascita della Chiesa Ucraina Ortodossa Autocefala che si separo' dalla Chiesa Patriarcale Russa. Ma, all'inizio degli anni venti, i bolscevichi assunsero il controllo dell'est e del centro dell'Ucraina, mentre alla Polonia toccava l'occidente. Le potenze vincitrici abbandonarono la riemergente nazione al suo destino: divenne la Repubblica Sovietica Socialista Ucraina. Mentre la' dove comandavano i bolscevichi la Chiesa Ortodossa Autocefala venne praticamente annientata, la Chiesa Cattolica Ucraina sopravvisse in Galizia sotto la giurisdizione del metropolita Szeptyckyj. Nel novembre del 1939 questi chiese a Papa Pio XII di nominare Josyf Slipyj suo coadiutore con diritto di successione. Il Papa aderi' di buon grado alla promozione del “vostro amato discepolo che tante volte mi avete menzionato lodandolo”. Fu cosi' che il 22 dicembre 1939, festa dell'Immacolata Concezione secondo il calendario Giuliano, Josyf Slipyj venne consacrato vescovo dall'anziano metropolita. Il nuovo arcivescovo-coadiutore scelse come suo motto le parole «Per aspera ad astra» (ai cieli attraverso le prove) che presto divenne un'amara realta'. Da poche settimane lo stato polacco non esisteva piu' e l'Ucraina occidentale era stata annessa all'URSS. Ebbe inizio cosi' la persecuzione. Per fronteggiare il grave pericolo, il metropolita, nel settembre del 1939, convoco' un sinodo creando tre nuovi esarcati e proponendo quattro nuovi esarchi. Uno di questi era Josyf Slipyj che fu nominato esarca dell'Ucraina Orientale.

500 mila deportati

La persecuzione sovietica contro la Chiesa Cattolica venne interrotta dall'invasione tedesca nel giugno del 1941. A quella data i comunisti avevano gia' deportato 250.000 persone dalla sola archieparchia di Lviv e, dall'intera Ucraina, almeno il doppio. Erano stati uccisi, imprigionati e deportati molti sacerdoti. I sovietici ritornarono nel luglio del 1944. Il metropolita Szeptyckyj mori' il 1° novembre; ora il suo successore era alle soglie del martirio. Nel dicembre del 1944 il nuovo metropolita invio' una delegazione a Mosca per far accettare dal governo la posizione della Chiesa Cattolica Ucraina. I sovietici la riconobbero e chiesero a Slipyj di persuadere gli Ucraini insorti ad abbandonare la lotta per l'indipendenza. Egli non si ritenne in grado di farlo. Comincio' una terribile persecuzione.

Miracolosamente salvato

Gia' all'epoca della ritirata dei sovietici dinnanzi all'avanzata dei tedeschi, l'arcivescovo era stato miracolosamente salvato dalla fucilazione. Ora avrebbe avuto solo pochi mesi per esercitare il suo ministero. L'undici aprile del 1945 fu arrestato dalle autorita' sovietiche insieme agli altri vescovi. La cattedrale di Lviv fu perquisita. Anche molti sacerdoti furono arrestati e costretti a sottomettersi all’ortodossia russa, pena la condanna quali agenti del “fascismo universale”. Dopo l'imprigionamento di tutta la gerarchia ucraina, il patriarca di Mosca Alessio indirizzo' una lettera 'pastorale' ai cattolici dicendo che i loro pastori li avevano abbandonati. Trecento coraggiosi sacerdoti protestarono presso il ministro Molotov chiedendo la liberazione dei loro vescovi. Richiesta vana! I comunisti tradussero il metropolita Slipyj da Lviv a Kiev, isolandolo e sottoponendolo a lunghi interrogatori, per lo piu' a tarda notte, chiedendogli di separarsi da Roma e offrendogli la sede metropolitana di Kiev nella Chiesa Russa. Come Gesu' nel deserto, egli resistette e cosi' fecero tutti gli altri vescovi. I sovietici condannarono Slipyj a otto anni di lavori forzati. Divennero stazioni della sua Via Crucis: Makfakovo, Viatka, Novosibirsk, Boimy, Petschora, Inta, Krasnojarsk, Kamtschatka, Jenisseisk, Potma, Vorkuta e Mordovia. A questo esilio infernale si aggiunse il dolore di sapere distrutta la sua Chiesa. Gli ortodossi si impadronirono con la forza di tutte le parrocchie; essere cattolico era considerato un crimine; tutte le diocesi, istituti religiosi e scuole furono soppressi; meta' del clero venne imprigionato e un quinto esiliato.
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La denuncia degli orrori della guerra civile e della persecuzione religiosa

VICENTE CÁRCEL ORTÍ


Nella Lettera Apostolica Tertio Millennio Adveniente il Santo Padre ha detto che «Pio XI dovette misurarsi con le minacce di sistemi totalitari o non rispettosi della libertà umana in Germania, in Russia, in Italia, in Spagna...» n. 22). Il giusto riferimento alla Spagna riguarda gli<o:p> </o:p>anni trenta, quanto la Seconda Repubblica, proclamata nel 1931, instaurò un sistema «non rispettoso della libertà umana» perché calpestò la libertà religiosa, che è il primo e più fondamentale dei diritti dell’uomo. A distanza di sessant’anni, emerge la valenza storica del più importante documento dell’Episcopato spagnolo, reso pubblico il 1° luglio 1937, che in questi anni è stato come soffocato da una storiografia poco attenta a questa tematica oppure polemica nei suoi confronti. È giusto, in nome del rigore della ricerca storica, analizzare il contenuto di detto documento, che conduce inevitabilmente a ricordare gli orrori della guerra civile spagnola e, soprattutto, le vittime della persecuzione religiosa? O l’iniziativa rischia di riaprire ferite di un passato che tutti vorrebbero dimenticare?<o:p></o:p>

Ancora una volta, il ricordo di un importante avvenimento storico, nel nostro caso la persecuzione religiosa spagnola, fa riemergere nel modo più doloroso le ambiguità, i dilemmi irrisolti, le inevitabili doppiezze del rapporto della Russia sovietica (e del resto d’Europa favorevole alla screditata Repubblica spagnola) nei confronti di un governo che violò sistematicamente i diritti fondamentali della persona umana. Nel 1934 ebbe luogo nelle Asturie la tristemente celebre «rivoluzione rossa di ottobre», definita dal professore Gregorio Marañón come «il tentativo in regola di eseguire il piano comunista di conquistare la Spagna». Ed il repubblicano Salvador de Madariaga, scrisse: «Con la rivoluzione del 1934, la sinistra spagnola perse perfino l’ombra di autorità morale per condannare la ribellione del 1936».<o:p></o:p>

Il documento dei Vescovi spagnoli si inserisce nel contesto crudele della guerra civile spagnola,<o:p> </o:p>ma si inserisce anche nel contesto di altre iniziative pontificie, come le encicliche Mit brennender sorge (14 marzo 1937), con la quale Pio XI denunciò il regime nazionalsocialista perché non rispettò né la lettera, né lo spirito del Concordato del 1933, e Divini redemptoris (17 marzo 1937) contro il «comunismo ateo», nella quale mise in evidenza il pericolo che potevano rappresentare da due dimensioni sociali — panteismo nazionalsocialista e ateismo marxista — che si richiamano viceversa al nichilismo, che oltre ad essere distruttivo per l’umanità, è anche autodistruttivo. La Chiesa in Spagna era consapevole in quegli anni di dover agire in modo deciso per favorire e difendere i beni fondamentali della giustizia e della pace, di fronte all’affermarsi nella società spagnola di tendenze opposte. In tale Lettera Collettiva i Vescovi denunciarono quanto la Chiesa aveva patito e continuava a patire nella Spagna repubblicana, vittima dell’ideologia comunista, che come il nazismo in Germania, scatenò una crudele persecuzione e, superando perfino la ferocia nazista, soppresse il culto cattolico in tutte le sue forme ed espressioni sia pubbliche o private. Il 18 luglio 1936 scoppiò in Spagna la guerra civile, che fu la conseguenza logica della violenta e caotica situazione nazionale creatasi dopo le elezioni del mese di febbraio dello stesso anno, in seguito alle quali il «Frente Popular» (coalizione di socialisti, comunisti, anarchici ed altri elementi estremisti e violenti) prese il potere. Il governo repubblicano dimostrò la sua incompetenza nell’affrontare la complessa realtà spagnola, e dopo alcuni mesi di grande instabilità politica, un settore dell’Esercito, con l’appoggio di una grande parte del popolo, si sollevò in armi per porre fine ad una situazione ormai insostenibile da ogni punto di vista. Da quel momento la Spagna rimase divisa in due zone: da una parte i partigiani della Repubblica, chiamati i «rossi»; dall’altra i favorevoli ai militari sollevati, chiamati «nazionali», che formarono il Governo presieduto dal Generale Francisco Franco. La Santa Sede mantenne il suo rappresentante a Madrid fino agli inizi del mese di novembre del 1936. Il Nunzio Tedeschini, creato Cardinale, era partito un mese prima dall’inizio della guerra, e Mons. Filippo Cortesi, non giunse mai nella Spagna repubblicana presso la quale era stato nominato Nunzio. Il 16 maggio 1938 Mons. Gaetano Cicognani fu nominato «Nunzio apostolico nella Spagna presso il Governo nazionale di Salamanca». Con questa nomina la Santa Sede riconosceva ufficialmente il Governo presieduto dal generale Franco, quando ormai erano trascorsi quasi due anni di guerra civile. Il quadro della situazione religiosa nella Spagna repubblicana dall’imperversare della persecuzione non poteva essere più triste, dopo due anni di ininterrotto conflitto armato. Dove era passata la furia devastatrice della rivoluzione comunista, con il contributo anche di socialisti ed anarchici, tutto ciò che aveva attinenza con la Chiesa era stato distrutto, incendiato, saccheggiato: chiese, seminari, canoniche, palazzi vescovili, conventi, sedi di associazioni cattoliche. Distrutti e rubati arredi sacri, tesori artistici. Le diocesi totalmente devastate in tutta la Spagna erano 27, 8 quelle devastate in parte e 22 quelle rimaste quasi incolumi. A parecchie migliaia ammontava il numero degli ecclesiastici massacrati nei modi più barbari ed a molte decine di migliaia quello dei laici cattolici, per lo più i migliori. Nei territori ancora sotto controllo del governo repubblicano continuava la persecuzione religiosa, che si acuiva quando si avvicinavano i nazionali. Il culto pubblico era stato dovunque soppresso e quello privato era difficile e pericoloso. Alla tristissima situazione religiosa della Spagna governativa faceva netto contrasto quella della Spagna nazionale, dove la vita religiosa si svolgeva normalmente, notandosi anzi un consolante risveglio spirituale e una maggiore frequenza ai sacramenti. Il generale Franco manifestava apertamente i suoi sentimenti cattolici. Nel suo complesso il Governo nazionale era favorevole alla Chiesa. Il generale Franco voleva fare della Spagna una nazione cattolica, fedele alla sua tradizione religiosa. Non mancarono tuttavia eccessi da parte delle autorità civili, per la tendenza spagnola di legiferare in materia di stretta competenza dell’autorità ecclesiastiche.

La Guerra Civile, non ostante la sua crudeltà, non provocò «un milione di morti», come è stato acriticamente detto per molti anni. Recenti e rigorosi studi statistici hanno dimostrato che furono circa 270.000 le vittime del conflitto fratricida, sia nei campi di battaglia sia nelle repressioni delle due retroguardie, comprese anche le vittime della persecuzione religiosa nella zona repubblicana. Trattasi, pur tuttavia, di una cifra ingente, che rivela la crudeltà della tragedia, ancor più tragica e grave se si tiene conto che i fratelli uccidevano i fratelli in una Spagna ritenuta tradizionalmente cattolica. Per capire storicamente la tragedia spagnola del 1936 e,<o:p> </o:p>soprattutto il protagonismo della Chiesa — che in quegli anni tremendi subì la maggiore persecuzione della sua storia —, è necessario ripercorrere seppure brevemente le tappe fondamentali della vita repubblicana iniziatasi cinque anni prima e l’evoluzione della società spagnola.


La II Repubblica fu anticattolica

Con la proclamazione della Seconda Repubblica, avvenuta il 14 aprile 1931, la Chiesa in<o:p> </o:p>Spagna, invisa al nuovo regime per la sua dottrina e la sua azione, fu subito posta in stato di latente persecuzione sul piano legislativo. A questo stato di cose, già di per sé gravissimo, fece seguito, ad opera dell’estremismo anarchico socialista, uno stato di violenza fisica sulle persone e sulle cose. Le prime vittime risalgono al 5 ottobre del 1934, durante la cosiddetta «rivoluzione delle Asturie», quando furono assassinati 37 fra sacerdoti, seminaristi e religiosi e furono incendiate 58 chiese. 8 di essi, e precisamente sette Fratelli delle Scuole Cristiani ed un Passionista sono stati beatificati nel 1990. Iniziò cosi il lungo Martirologio della Chiesa di Spagna quando mancavano ancora due anni allo scoppio della Guerra civile e la Chiesa non si era pronunciata in favore del militari definiti «ribelli». Anzi, sin dal primo momento i Vescovi avevano riconosciuto il legittimo Governo repubblicano. La Repubblica, tuttavia, manifestò la sua aperta ostilità nei confronti dei cattolici. E nell’estate del 1936, socialisti, comunisti ed anarchici scatenarono la maggiore persecuzione religiosa della storia di Spagna.<o:p></o:p>

L’assassinio di ecclesiastici e di semplici laici, nel tentativo di annientamento fisico della Chiesa<o:p> </o:p>cattolica nelle persone e nelle cose, divenne normale durante i primi sei mesi del conflitto armato, iniziato con il «Movimento Nazionale» del 18 luglio del 1936 e durato fino al 1° aprile 1939. La gravità di questa azione persecutoria fu tale che già nei primi sei mesi si giunse ad un numero elevatissimo di vittime ecclesiastiche — oltre 6.500 — con l’annientamento totale di ogni presenza religiosa nella cosiddetta «zona rossa». Gli orrori commessi in obbedienza all’ideale dell’ateismo militante sembrano oggi lontani, eppure è un quadro di infamie che, nelle zone «rosse» della Spagna, furono il frutto logico di correnti di pensiero e di azione di natura profondamente antiumana e attivamente anticristiana. La persecuzione religiosa fa comprendere quale errore storico commetterebbe chi giudicasse la Guerra di Spagna in base al solo aspetto sociale e politico. In essa fu essenziale l’elemento religioso. L’atteggiamento della Santa Sede e della Chiesa in Spagna nei confronti di tale guerra è ancora oggi una questione complessa, che deve necessariamente essere esaminata alla luce dell’ambiente dichiaratamente anticattolico e persecutorio nel quale vissero i cattolici nel periodo repubblicano. L’argomento è stato studiato dalla storiografia ecclesiastica e civile. Pur nelle loro diverse valutazioni, gli autori più rigorosi ed imparziali ammettono non solo l’ostilità dichiarata contro la Chiesa in genere, ma contro la fede cattolica in specie, da parte di molti politici repubblicani e di numerosi atti e leggi anticattoliche a tale ostilità ispirate.<o:p></o:p>

Questa mentalità decisamente anticattolica, che giunse fino alle ultime conseguenze nell’estate<o:p> </o:p>del 1936, si impostò già dagli inizi, nel mese di maggio del 1931 con gli incendi di chiese e conventi, e dopo nelle «Cortes Constituyentes» della Repubblica. I più influenti dei suoi deputati provenivano della «Institución Libre de Enseñanza» (anche se non tutti costoro erano antireligiosi). La massoneria ebbe una parte notevole in questo processo. Secondo il gesuita Ferrer Benimeli, uno dei maggiori esperti di questi temi, che ha potuto verificare i nomi dei massoni che componevano le istituzioni politiche spagnole, i massoni alle «Cortes Constituyentes» erano almeno 183. Secondo lo stesso autore, la massoneria ebbe quindi un notevole influsso nella legislazione anticattolica della Repubblica e nelle sue campagne<o:p> </o:p>diffamatorie contro la Chiesa. Secondo uno dei padri della II Repubblica spagnola, Manuel Azaña, lo Stato doveva diventare laicista nel senso più radicale. Tutti i mezzi per conseguire questo scopo erano leciti. Voleva una Chiesa sottomessa, dominata e controllata dallo Stato. E se questo non fosse stato possibile si sarebbe dovuto eliminarla. Inoltre secondo questo politico pensatore, i dogmi cattolici e i principi sui quali si voleva fondare il nuovo Stato Spagnolo erano assolutamente incompatibili. Per cui Azaña non era solo contro il cattolicesimo spagnolo nella sua forma storica concreta, né contro altro tipo di cristianesimo specifico, ma contro il<o:p> </o:p>cristianesimo in quanto tale nella sua sostanza e trascendenza che ha valore in qualsiasi parte del<o:p> </o:p>mondo. Azaña, e con lui il pensiero dominante della Repubblica che più tardi tenterà di eliminare la Chiesa, vanno al di là dell’anticlericalismo: sono formalmente e specificamente contro la Chiesa Cattolica Romana. Il loro è anticristianesimo e antiecclesialità radicale. Azaña fu presidente della Repubblica fino alla sua morte avvenuta poco dopo la fine della guerra. Azaña — e con lui molti dei proceri della II Repubblica spagnola — vedevano nella Chiesa Cattolica una minaccia per lo stabilimento del Nuovo Stato. Perciò il nuovo Potere stabilitosi nel 1931, con una legislazione sistematica, si propose di eliminare subito ogni espressione pubblica della Chiesa cominciando con la soppressione della Compagnia di Gesù, considerata la sua manifestazione più significativa; e, finalmente, propiziando o almeno tollerando l’eliminazione fisica dei suoi sacerdoti e dei laici più impegnati, che iniziò due anni prima della rivolta nazionalista del generale Franco, con i massacri delle Asturie del 1934 — come abbiamo detto — e altri fatti molto simili nel primo semestre del 1936. I laicisti repubblicani, i marxisti e gli anarchici, ognuno dal proprio schema politico e solo sulla base del sospetto di pericoli per il Nuovo Stato, calpestavano i diritti fondamentali della persona contro quanto affermavano gli stessi principi democratici da loro professati. Di conseguenza questi uomini della Repubblica<o:p> </o:p>Spagnola invocavano come suprema ragione politica ed etica la salvezza del loro progetto di Stato. In questo non si differenziavano dagli altri totalitarismi statali contemporanei, come già allora alcuni gli avevano rinfacciato.

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03/05/2011 13:25
 
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Prime reazioni dei Vescovi e della Santa Sede

La dissoluzione della Compagnia fu il preambolo della dura persecuzione che sarebbe seguita contro tutto il clero e i religiosi. Fu vista dai Vescovi come una ingiuria diretta al Sommo Pontefice. La maggior parte dei Vescovi protestarono per il fatto. Da notare che il decreto della Dissoluzione della Compagnia è paradigmatico della discriminazione giuridica dei cittadini e della fobia contro la Chiesa in quanto andava contro la stessa Costituzione della Repubblica che riconosceva i diritti fondamentali dei cittadini anche in riferimento dei beni la cui confisca era proibita dall’art. 44 della stessa Costituzione. La Gerarchia cattolica spagnola ebbe fin dagli inizi la percezione di una tale posizione come è dimostrato dal rapporto del Cardinale Vidal y Barraquer, Arcivescovo di Tarragona, al Segretario di Stato, Cardinale Pacelli del 16 ottobre 1931. Anche la Santa Sede iniziò a parlare di fronte ad alcuni gesti violenti ed arbitrari contro la Chiesa e le sue istituzioni. Ma la Chiesa spagnola voleva la pace ad ogni costo. Non soltanto il Cardinale di Tarragona e il Nunzio Tedeschini la volevano, ma anche tutti i metropoliti e i religiosi, specialmente i più colpiti che erano i gesuiti. È storicamente fondato affermare che dal 1931 al 1936 ci troviamo di fronte a una catena crescente di misure eccezionali adottate contro la Chiesa e la pratica della fede cattolica. Tali misure erano chiaramente settarie, antiecclesiali e anticattoliche nel loro spirito e scopo preciso, e non solo anticlericali. Queste leggi persecutorie misero in pratica una concezione radicale e ostile della separazione fra Chiesa e Stato. Gli esempi sarebbero numerosi come la legge sulle «Confesiones y Congregaciones religiosas» del 2 giugno 1932 in virtù dell’articolo 26 della Costituzione, quelle contro il patrimonio ecclesiastico, e quelle contro l'insegnamento religioso nelle scuole e la proibizione dell’insegnamento ai religiosi, ecc.

La Santa Sede inviò ai Vescovi Spagnoli una nota: «Gravis theologi sententia» (redatta dal Segretario di Stato Card. Pacelli) in cui si davano alcuni orientamenti ai Vescovi sul modo di procedere e al bisogno di non tacere più di fronte ai gravi soprusi. I Vescovi, che erano stati all’inizio prudenti e concilianti presero una coscienza più critica dei loro doveri pastorali e di quanto era in gioco in rapporto alla fede dei cristiani. I loro interventi si fecero più numerosi e precisi col passare del tempo. Fra i più significativi bisogna ricordare la «Declaración» (25. V. 1933) dei Metropoliti di fronte alla legge sulle Confessioni e congregazioni religiose. In essa i Metropoliti esaminavano la storia recente delle offese e violazioni del diritto contro la Chiesa e i suoi fedeli. Questo documento, quelli del 1931 in occasione della promulgazione della Costituzione e quello del 1937 sulla guerra civile, costituiscono i più importanti interventi dell’episcopato spagnolo prima del Vaticano II.

Da parte sua, il nuovo Arcivescovo di Toledo e primate della Spagna, il Cardinale Isidro<o:p> </o:p>Gomá y Tomás, pubblicò una prima lettera pastorale sul tema, intitolata «Horas graves»,<o:p> </o:p>seguendo le tracce del Papa, il 12.VII.1933. Essa fu appoggiata dal dinamico e prudente Cardinale di Tarragona Vidal i Barraquer.


Gli interventi di Pio XI

Parallelamente alla «Declaración», appariva l’enciclica di Pio XI Dilectissima Nobis del 3. VI.1933 sulla situazione in Spagna. Non era la prima volta che Pio XI protestava ufficialmente per le aggressioni fatte alla Chiesa dal Governo della Repubblica. Gli interventi del Papa — come quelli dei Vescovi — furono atti di difesa e di protesta rispettosissima contro le continue aggressioni del Governo alla fede cattolica attraverso le sue leggi durissime. Le parole del Papa non esprimevano ostilità alcuna nei confronti della Repubblica.

Il 1° aprile 1936, il Pontificio Collegio Spagnolo celebrava il Centenario della nascita del benemerito e venerato fondatore Don Manuel Domingo y Sol, oggi beato, con una riuscitissima «giornata sacerdotale». Essa fu resa più solenne dalle sante prime Messe, celebrate da un eletto gruppo di alunni, ordinati il sabato precedente 29 marzo, e da sacre funzioni di ringraziamento al Signore per il nuovissimo dono fatto al Clero con la Enciclica del Santo Padre Ad catholici sacerdotii. Bellissima corona alle varie celebrazioni fu l’udienza pontificia, nel corso della quale il Papa rilevò una cosa che la delicatezza di quei suoi figli non aveva enunciata nel timore di un dolore troppo vivo per il cuore del Padre, misurando tale dolore da quello stesso del loro cuore filiale. Erano andati a far visita a Sua Santità in momenti ancora così turbolenti per la loro e sua cara Spagna; in momenti di Calvario, di Via Crucis!. «Vero è che quando si dice Calvario e Via Crucis non si può fare a meno di mettere accanto al primo l’altro colle, l’altro monte: il monte<o:p> </o:p>della glorificazione, e non si può non accostare alla Via Crucis e ricordare la Via lucis», affermò il Papa.

Altri furono gli interventi pontifici prima e durante il conflitto armato. Ma il più significativo di essi ebbe luogo il 14 settembre 1936. Il Pontefice, davanti a un gruppo di laici e sacerdoti spagnoli, presieduti dai Vescovi di Cartagena, Vich, Tortosa e Seo de Urgel esprimeva il suo dolore e ammirazione per tutti quelli che erano stati perseguitati e maltrattati perché ministri di Cristo e dispensatori della grazia di Dio o che avevano sofferto il martirio.


Il movimento militare e la Chiesa

Buona parte degli storici è concorde nell’affermare che il movimento militare nazionalista contro il Governo della Repubblica (18 luglio 1936) prese di sorpresa la Chiesa. Quale doveva essere il suo atteggiamento di fronte a quegli avvenimenti? Poteva la Chiesa, amante della pace e della convivenza, prestare il suo appoggio ai promotori della guerra? Quali conseguenze potevano derivare dalla sua adesione al movimento nazionalista tanto dentro come fuori Spagna? Già il 13 agosto 1936, il Cardinale Gomá mandava un rapporto al Segretario di Stato, Cardinale Pacelli, nel quale esaminava la genesi della sollevazione militare e le cause della guerra: la politica della Repubblica in campo religioso, civile ed economico, il modo in cui erano state celebrate le elezioni del febbraio del 1936 con le coazioni e violenze governative al fine di ottenere il potere (Frente Popular), la persecuzione chiara a tutti i livelli e ormai dichiarata contro la Chiesa e la complicità del Governo con le bande di sediziosi che avevano in mano la situazione pubblica, l’assassinio dello statista Calvo Sotelo e la programmata rivoluzione comunista che avrebbe dovuto prendere il potere il 20 luglio 1936, l’esistenza di liste di persone da eliminare iniziando da tutti i sacerdoti e il fatto comprovato che questa rivoluzione era appoggiata dal comunismo internazionale.

Il Cardinale esaminava poi la natura e il carattere della rivolta militare come una protesta della coscienza nazionale; si soffermava sul suo sviluppo, sulle sue difficoltà e sulle caratteristiche della lotta dal punto di vista religioso. Sottolineava anche la ferocia e gli eccessi antireligiosi dei<o:p> </o:p>«rossi» e li paragonava a quelli della Rivoluzione Francese e della persecuzione russa e messicana. Finalmente si interrogava sulle possibili conseguenze sia nel caso della vittoria come della sconfitta del movimento nazionalista. Se fosse fallito, il futuro sarebbe stato ancora più buio per la Chiesa, perché si sarebbe impiantato in Spagna il regime della Russia sovietica con tutte le conseguenze delle sue persecuzioni; se avessero trionfato i nazionalisti ci si sarebbero potute aspettare misure di libertà per la Chiesa; ma il Cardinale non nascondeva le difficoltà, le contraddizioni interne e le diversità dei nazionalisti non soltanto in campo politico (per le visioni a volte contrapposte), ma anche dal punto di vista religioso. Perciò vedeva anni duri per la Chiesa anche nel caso della sua vittoria. Diversi Vescovi spagnoli, come quelli di Vitoria,<o:p> </o:p>Pamplona (6 agosto 1936), Mallorca (8.IX.1936), Palencia (15.IX.1936), Tuy (16.IX.1936) e altri 17 interventi episcopali successivi, fra i quali quello del beato Anselmo Polanco, Vescovo di Teruel, si pronunciarono in favore dell’«alzamiento» nazionalista. Intervento importante fu quello del Vescovo di Salamanca, futuro Arcivescovo Cardinale di Toledo e primate di Spagna, Enrique Pla y Deniel (1876 1968), noto per il suo impegno in favore dei diritti sociali degli operai. La sua lettera pastorale «Las dos ciudades» fu uno dei testi episcopali più chiari in proposito.


La pubblicazione della «Carta Colectiva del Episcopado Español a los obispos del mundo entero»

La «Carta Colectiva del Episcopado Español a los obispos del mundo entero» del 1° luglio 1937<o:p> </o:p>costituisce la somma di tutti questi interventi. Fu firmata da 43 Vescovi (alcuni con diverse amministrazioni apostoliche accumulate) e 5 vicari capitolari.

Il suo promotore fu certamente il Cardinale primate Gomá. Non la firmarono 5 vescovi assenti dalle loro diocesi, fra cui Vidal i Barraquer che, pur condividendo il suo contenuto, temeva che la sua pubblicazione producesse ancora più dure rappresaglie. Anche il Vescovo di Vitoria, Mons. Múgica, ebbe delle riserve circa l’opportunità della lettera, e non firmò. I Vescovi non furono affatto moralmente costretti a firmarla, come confermò lo stesso Gomá al Segretario<o:p> </o:p>di Stato. I Vescovi non pretesero dimostrare una tesi politica in favore d’una delle parti, ma esporre a grandi linee dei fatti che caratterizzavano quella guerra terribile e fratricida. Quindi giustificavano la posizione dei Vescovi di fronte ad essa, analizzavano le radici della stessa, le caratteristiche della rivolta nazionalista e della rivoluzione marxista e ribattevano alcune accuse lanciate contro la Chiesa spagnola da alcuni circoli cattolici esteri, per finire appellandosi alla ragione, alla verità e alla giustizia nella diffusione di notizie sulla guerra civile spagnola. La posizione dei Vescovi ripeté quella di Pla y Deniel, lamentando anche la guerra come un «male gravissimo». Secondo i Vescovi non esisteva ragionevole proporzione tra i beni emblematici che si possano raggiungere con una guerra e i mali enormi che derivano sempre da essa. Sottolineano anche la loro missione di riconciliazione e di pace.

Sono importanti le quattro conclusioni della Lettera:

1. La Chiesa non ha voluto mai la guerra, ma non può essere indifferente alla lotta in corso per i connotati che essa va assumendo.

2. La Chiesa non può essere solidale con condotte o tendenze che possano snaturare le ragioni del «movimento nazionale».

3. I Vescovi vedono nell’insurrezione civico militare una radice patriottica e religiosa in ordine alla salvaguardia della propria identità e della storia culturale della nazione.<o:p></o:p>

4. Allo stato presente delle cose: vedono nel trionfo dei nazionalisti l’unica speranza di sopravvivenza di tali diritti e valori.

Tale lettera fu pubblicata un anno dopo l’inizio della guerra, quando erano già stati sacrificati oltre 6.500 ecclesiastici ed esisteva il timore fondato della distruzione totale della Chiesa cattolica nella zona «rossa», mentre in essa erano autorizzati dal Governo repubblicano i culti protestanti ed ebreo, i cui seguaci erano una minoranza esigua e quasi insignificante.

Non si deve più parlare di vittime della guerra civile spagnola, ma piuttosto della persecuzione religiosa in Spagna, e questo per due ragioni: innanzitutto perché la persecuzione cominciò nel 1931 (i primi martiri sono dell'ottobre 1934) mentre la guerra civile scoppiò nel 1936, cinque anni dopo; e poi perché questi martiri non avevano nulla a che vedere né con il conflitto armato né con le due parti in lotta, non impugnarono mai le armi per difendersi, furono uccisi per motivi unicamente ed esclusivamente religiosi, perché erano ecclesiastici oppure cattolici ferventi e perché difesero la loro fede. Tutti morirono perdonando i loro carnefici e pregando per loro, ad imitazione di Cristo sulla Croce.

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03/05/2011 13:26
 
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Sintesi dei documenti che sono stati presi dagli archivi
della ex-polizia politica comunista "Securita dello Stato",
fatta dal Signor DOBOS Danut,
presidente della Comissione storica
 
IL VESCOVO MARTIRE ANDREI DURCOVICI
 
 
OTTOBRE 1947 - 26 GIUGNO 1949: ANNI DI PERSECUZIONE - INSEGUITO DALLA SECURITA
 

Il martirio di dr. Anton Durcovici, vescovo di Iasi, non ha cominciato il 26 giugno 1949, data del suo arresto brutale a Bucarest, ma quasi due anni prima, subito dopo la sua nomina di vescovo di Iasi dal papa Pio XII, il 30 ottobre 1947. In circostanze estremamente difficili nei quali ha dovuto iniziare la sua attivita a Iasi, con il contesto sociale-politico interamente ostile a tutti i cattolici, e specialmente a quelli della diocesi di Iasi, il vescovo Durcovici ha dovuto sopportare le straordinarie pressioni da parte della polizia politica (securita). Dimostreremo, in cio che segue, che il vescovo Durcovici ha rappresentato un caso speciale tra le personalita della Romania, inseguite e arrestate in quel tempo, laici e chierici, perche il fondamento delle accuse che si sono fatte sul suo conto non erano i fatti reali o inventati dalla securita e successi come dicevano loro tra le due guerre mondiali o durante la seconda guerra mondiale, ma i fatti e la sua attivita nel periodo ottobre 1947 - 26 giugno 1949, nella sua qualita di pastore dei cattolici di Moldavia.

Anche se, durante la guerra, si era trovato qualche volta sotto la stretta sorveglianza del Servizio di Informazioni e della Polizia di Sicurezza, solo piu tardi, con la sua nomina di vescovo di Iasi, gli hanno fatto un dossier informativo di sorveglianza. L'intenzione della Polizia politica e stata premeditata dall'inizio, cioe di realizzare non solo un semplice dossier informativo di sorveglianza, ma un dossier di sorveglianza penale, per incriminare, arrestare e condannare il sorvegliato.

Il dossier informativo e stato fatto dalla Direzione regionale di securita di Iasi, principalmente sulla base delle note e rapporti informativi offerti dai servizi provinciali di securita Roman e Bacau, provincie con la piu numerosa popolazione cattolica della diocesi di Iasi. Il dossier personale Anton Durcovici e stato creato dalla securita con il numero 84569. Si deve fare menzione del fatto che l'intenzione della polizia politica era di sorvegliarlo individualmente, una eccezione tra i cherici cattolici cotemporanei che sarebbero stati implicati nelle investigazioni e poi arrestati in "gruppi". Infatti, il dossier penale fatto dalla securita nel periodo della detenzione del vescovo, con il numero 57512, e stato un dossier individuale, il solo accusato essendo il vescovo Durcovici.

Il sistema di pedinamento e di sorveglianza promosso dalla securita nel "caso Durcovici" e stato molto complesso. Gli uffici di informazioni dei servizi provinciali Bacau e Roman hanno seguito ogni passo del vescovo Durcovici durante le sue visite canoniche fatte nei villaggi e le comunita cattoliche delle provincie Bacau e Roman, e a Iasi e stato sempre sorvegliato dai marescialli di securita N. Balanescu e Savel Curariu. A livello di Direzione regionale della Securita Iasi, ufficiali superiori, guidati proprio dal direttore generale N. Pandelea, hanno raccolto le informazioni ricevute dalle diversi fonti, elaborando note e relazioni per la Centrale di Bucarest, o presentando alla stessa centrale le relazioni e le sintesi fatte dai servizi provinciali Roman e Bacau.

Il sistema di sorveglianza e di pedinamento e diventato sempre piu duro nell'autunno dell'anno 1948, in occasione delle visite canoniche fatte dal vescovo Durcovici nelle provincie Bacau e Roman. Riguardo una di queste visite, quella a Luizi Calugara, del 14 settembre 1948, il Servizio provinciale di securita Roman riferiva il 15 settembre 1948: "L'atteggiamento e l'attivita dei sacerdoti cattolici e sorvegliata da vicino da parte nostra...". Durante il viaggio canonico fatto dal vescovo Durcovici in Oltenia in giugno 1949, lui e stato intensamente sorvegliato dagli ufficiali di securita Vistig Eugen e Mircea Malin, che dichiarava:

"Il vescovo Durcovici e i sacerdoti che lo accompagnavano, n.n.> sono stati sempre sotto stretta sorveglianza, avendo in mezzo a loro un doppio numero di informatori...".

Il punto culminante di questo processo di sorveglianza era durante le celebrazioni pontificali, quando gli ufficiali di securita erano molto atenti alle omelie e ai discorsi del vescovo, che erano messi per iscritto per trovare le cercatissime riferenze politiche. "Durante la messa <di Tg. Jiu, il 14 giugno 1949, n.n.) - riferivano gli ufficiali Vistig e Malin - hanno partecipato anche i membri del Servizio provinciale di securita Tg. Jiu, interpreti fino alla fine". La sorveglianza mirava anche rubare alcune delle lettere circolare scritte dallo stesso vescovo Durcovici, considerate da loro "elementi delittuosi". Riguardo una simile impresa, "l'ombra" del vescovo Durcovici a Iasi, il maresciallo N. Balanescu, riferiva il 10 gennaio 1949: "e stata rubata da un informatore <la lettera circolare "Consacrazione della diocesi di Iasi al Cuore Immacolato di Maria", n.n.> il 5 gennaio 1949, dalla sagrestia, senza che qualche sacerdote si acorgesse, anche se e stato molto rischioso per l'informatore, che ha rubato anche La manifestazione".

Ugualmente, sono stati intercettati oggetti di corrispondenza e lettere circolare del vescovo Durcovici, mandate da lui ai sacerdoti della diocesi di Iasi, e la corrispondenza ricevuta dal vescovo dai fedeli o sacerdoti di Ardeal o dall'Arcidiocesi di Bucarest. La securita sperava di scoprire cosi ogni tipo di informazioni cosidette sovversive o aventi carattere "antidemocratico".

Il tentativo della polizia politica di reclutare informatori dai colaboratori o dai sacerdoti cattolici si e dimostrato un insuccesso. Con alcune eccezioni, esemplificati sotto, la popolazione cattolica non ha collaborato con la securita nel suo tentativo di incriminare il vescovo Durcovici. Cosi, il 6 ottobre 1948, l'Ufficio I Informazioni della securita provinciale Roman, riferiva alla Direzione regionale Iasi: "Le penetrazioni informative in mezzo ai cattolici costituisce il piu grave problema, essendo difficile di penetrare, perche sono molto sospettosi, e i sacerdoti lavorano in mezzo alla gente con i piu fidati e degni elementi (...) Si sta cercando l'allargamento della rete informativa, penetrando sempre di piu tra gli elementi clericali, per poter conoscere in tempo le azioni minatori del regime".

Sono state usate contro il vescovo Durcovici 57 dichiarazioni scritte, appartenenti ad alcuni cattolici abitanti dei villaggi Lespezi, Faraoani, Ciughes, Tg. Trotus, Valea Seaca, Nicolae Balcescu, Gioseni, Cleja, Slanic, Daramanesti, Onesti e Pustiana, che non erano contenti del rifiuto del vescovo di introdurre la lingua ungherese nelle chiese. La maggioranza di quei 57 contadini avevano fatto parte delle delegazioni di contadini che hanno parlato con il vescovo Durcovici, identificati e poi interrogati alla securita.

Il 20 aprile 1949, la Direzione regionale di securita Iasi riferiva alla Centrale di Bucarest sul "reclutamento di informatori nel Vescovato cattolico" senza poter stabilire i dati concreti richiesti dai superiori di Bucarest. Questo fatto ci porta alla conclusione che gli informatori non erano chierici o collaboratori vicini del vescovo Durcovici.

Nel periodo 1947-1949, hanno lavorato contro il vescovo Durcovici gli informatori "Fleur", "Toiu", "Joseph", "Has" e "X", ancora non identificati dall'indagine storica.

II. GLI ANNI DELLA PERSECUZIONE: 1947-1949. LE ACCUSE PORTATE DALLA SECURITA ROMENA

Le relazioni e le note informative scritte dagli ufficiali di securita contengono decine di accuse al vescovo Durcovici, per incriminarlo e mandarlo dinanzi alla Giustizia comunista.

Sulla base delle dichiarazioni di quei 57 contadini cattolici ricordati sopra, gli ufficiali di securita hanno accusato il vescovo Durcovici di "istigazione in blocco contro l'ordine e la securita dello Stato", "stimolo fatto alla popolazione di non rispettare le leggi dello Stato comunista", "esortazione della popolazione di non partecipare alla vita politica della Romania comunista", istigazioni tra gli abitanti cattolici dei villaggi della provincia Bacau "esortandoli di non obbedire all'insegnamento democratico che proppone la Repubblica Popolare Romania", istigazioni all'odio razziale, propaganda anti-sovietica, critiche fatte alle misure intraprese dal governo, attivita di propaganda contro gli ebrei e contro la forma di governo di Romania. Secondo l'oppinione degli accusatori, in tutte le messe nelle localita cattoliche, il vescovo Durcovici abrebbe "incoraggiato la popolazione di essere fedele e di non avere paura di quello che succedera nella vita perche cosi vinceranno".

Per esempio, nei "substrati dell'omelia" fatta dal vescovo Durcovici a Luizi Calugara il 15 settembre 1948, gli ufficiali della securita scoprivano "la tendenza dei fedeli cattolici di approfondire il sentimento religioso fino al fanatismo (...) Il sentimento religioso nella massa di contadini cattolici e molto sviluppato, e queste omelie tenute dal clero cattolico hanno un grande effetto...".

In un'altra relazione redigita dalla securita di Roman, il vescovo Durcovici era accusato di aver tracciato, con le sue omelie, "una linea di condotta dei sacerdoti cattolici, incoraggiandoli ad azioni di istigazione mirante il regime democratico", o che le parole del vescovo fossero "una precisazione della posizione anti-comunista e anti-governamentale della Chiesa cattolica".

Le visite canoniche fatte dal vescovo Durcovici nelle provincie Bacau e Roman e, con queste occasioni, le solennita religiose sono state considerate dalla securita come "rafforzamento del misticismo religioso nelle masse, fino all'assurdo, e consolidamento dei rapporti con il papa", fatti "incompatibili con la linea politica del regime democratico popolare". Piu volte, la securita ha espresso la sua preoccupazione sui stati di fatto provocati dalle visite canoniche del vescovo Durcovici, riferendosi alle manifestazioni religiose dei paesani in favore del loro vescovo, sullo "spirito agitato" provocato nei sacerdoti e sulle azioni di istigazione dei paesani e sulle possibile provocazioni, nel futuro, contro il regime.

Il 14 ottobre 1948, la Direzione regionale della securita Iasi riferiva alla Centrale di Bucarest il fatto che le visite del vescovo Durcovici avessero determinato che "il fenomeno delle manifastazioni cattoliche diventi un problema sempre piu accentuata" e che puo creare "un ambiente impossibile" nei villaggi cattolici, diventati veri "focolai cattolici di istigazione anti-democratica".

La lista di accuse portate contro il vescovo Durcovici e stata completata con alcuni brani dei discorsi o omelie che questo avesse fatto ai contadini nei villaggi cattolici visitati nell'autunno dell'anno 1948. Sono stati considerati citati delittuosi l'esortazione fatta ai bambini di Sabaoani e Pildesti il 6 ottobre 1948: "Ragazzi! Non perdete la fede in Dio! Anche se le chiese saranno chiuse e tutti noi moriremo, altri dall'Italia ci sostuiranno", o la critica fatta ai sette paesani di Pustiana, il 18 settembre 1948: "Se foste stati buoni cristiani, avreste lottato contro quelli che hanno chiuso le nostre scuole di preti e le scuole teologiche dove crescevano veri cristiani, e non avreste chiesto la lingua ungherese". Queste parole del vescovo sono stati considerate dalla securita come una vera esortazione alla resistenza anti-comunista!

Le lettere circolare mandate dal vescovo Durcovici ad alcuni sacerdoti delle parrocchie della diocesi di Iasi, a loro volta, sono state considerate dalla securita come stimolo alla "resistenza mediante il fanatismo religioso".

Verso la fine dell'anno 1948, l'azione di sorveglianza e persecuzione della polizia politica verso il vescovo Durcovici e diventata piu intensa, e le accuse sono arrivate al parossismo. Le relazioni della securita parlano chiaramente dei casi di "istigazione" dei sacerdoti cattolici "al comando di Durcovici" e degli "atti di ribelione della popolazione cattolica". Cosi si faceva diretto riferimento alle misure efficienti di difesa della liberta dei sacerdoti nella loro lotta contro il regime comunista, anche con la promozione delle "Guardie parrocchiali" e la "mobilizzazione della popolazione", tutte e due messe sul conto del vescovo Durcovici. Le visite canoniche sono ridotte solo ad una presupposta "campania propagandista disordinata, fatta dal vescovo Durcovici all'aperto e con un svergognato coraggio..."; lui avesse esortato la popolazione cattolica alla renitenza al regime comunista.

La partecipazione dei cattolici alle messe pontificali e ad alcune vere azioni di ribelione e renitenza alle truppe di securita (i casi di Oteleni) sono state considerate dalla securita "movimenti di massa successi nei villaggi cattolici all'istigazione dei sacerdoti e del vescovo Durcovici". L'assurdita di alcune accuse puo essere esempificata con l'aiuto di una nota della securita di Iasi, del 6 ottobre 1948, che, riferendosi alle visite canoniche nelle provincie Bacau e Roman, incriminavano il vescovo Durcovici del fatto di aver creato un "ambiente ostile al regime, cosi che si puo pensare che e fatta con l'intenzione di sabotare la campania di seminagione autunnale".

Senza lasciarsi superata, la securita di Craiova accusava il vescovo Durcovici dopo le sue visite canoniche fatte da lui nelle parrocchie di Oltenia nel giugno 1949. Secondo gli ufficiali di securita di Craiova, in queste visite il vescovo Durcovici avesse incontrato in particolare la gioventu cattolica, considerata "fanatica del culto cattolico", con l'intenzione di mantenere cosciente la fede cattolica e "l'attenzione verso il papa", ma anche la renitenza al regime.

Queste note qualificano gia il vescovo Durcovici come "uno dei nemici della clase lavoratrice e dell'attuale regime della R.P.R.". Nel modulo personale fatto dalla securita di Iasi, hanno fatto il seguente ritratto politico del vescovo Durcovici: "Atteggiamento forte; non rinuncia al papato, esortando alla resistenza verso le misure del M.C. (Ministero dei culti, n.n.) anche gli altri sacerdoti sudditi. Un elemento ostile al regime, ha istigato le masse, ha dato disposizioni per organizzare mezzi di difesa, ha canalizzato il clero suddito sulla linea anti-democratica, ha dato disposizioni di rinunciare allo stipendio". Un secondo modulo personale, fatto sempre dalla securita di Iasi, completa il ritratto politico del vescovo Durcovici: "Essendo molto abile, non parla, non critica, lasciando che si comprenda dal suo atteggiamento e comportamento che non e in consenso con l'attuale governo".

Per sostenere l'accusa di anti-sovietismo, la maggioranza delle relazioni della securita contenevano una delle frasi dette dal vescovo Durcovici il 28 dicembre 1948, dopo la messa pontificale nella cattedrale di Iasi: "Come si puo ottenere la pace, quando i nostri vicini (girando la testa verso est) turbano la tranquillita e la pace della nostra anima?, dichiarava il vescovo Durcovici alla fine dell'omelia <Sulla pace>"

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24/05/2011 22:36
 
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La chiesa ortodossa è uscita vincitrice dall’ateismo sovietico

Un nuovo libro, intitolato Stalin e il patriarca, la Chiesa ortodossa e il potere sovietico 1917-1958 (Einaudi 2011), di Adriano Roccucci, docente di Storia contemporanea presso la facoltà di Lettere e filosofia di Roma Tre, ricostruisce la rinascita della chiesa ortodossa russa dopo le durissime vessazioni che subì sotto il periodo ateo-comunista. La chiesa fu stordita dalla foga inquisitoria del regime, ma non soccombette. Il patriarcato di Mosca è tornato ad esercitare un ruolo importante nella Russia post-comunista, riappropriandosi di quella vocazione millenaria di architrave della “russità”.

Intervistato dal quotidiano Europa ha risposto: «L’esperienza sovietica non si risolse con il tentativo di secolarizzare stato e società. Prese la forma, piuttosto, di una “confessionalizzazione ribaltata”. Quello sovietico non era il modello dello stato laico, tendenzialmente neutrale verso la religione. I sovietici avevano una posizione chiara su Dio e professavano l’ateismo. Il tutto s’inseriva in un clima segnato dal mito rivoluzionario e dell’uomo nuovo. L’ateo sovietico era diverso dall’ateo occidentale. Era un credente, in taluni casi addirittura più credente del religioso. Questo carattere, in parte “mistico”, pervade tutta la storia bolscevica e connota la lotta contro gli ortodossi». Anche il comunismo sovietico fu un tentativo di emanciparsi dal cristianesimo per creare una nuova religione, assolutamente secolarizzata: «Il potere volle costruirsi un’aurea di sacralità, riappropriandosi addirittura dei simboli della storia russa. Con Stalin, in modo ancora più evidente, si consumò una strategia per convertire la “Terza Roma” alla tradizione bolscevica. Il piano regolatore portò alla costruzione dei sette, celebri grattacieli staliniani. Non è casuale che sette fosse anche il numero dei colli di Mosca e dei monasteri ortodossi, abbattuti dal regime, disposti a semicerchio lungo il secondo anello della città prerivoluzionaria».

Stalin usò anche la chiesa per realizzare i suoi obiettivi di guerra, cioè l’allargamento a occidente delle frontiere e dell’influenza dell’Urss, e convocò al Cremlino i tre metropoliti reggenti della chiesa: «Fu un evento paradossale, drammatico. Tre uomini di fede che avevano sofferto la persecuzione assistendo all’eliminazione di credenti, preti e vescovi durante gli anni ’30, si confrontarono con il loro carnefice. Venne stabilito una sorta di compromesso. Stalin chiuse la parentesi della persecuzione dura e pura, dando alla chiesa maggiori spazi e la possibilità di eleggere un nuovo patriarca».

La chiesa ha resistito e per questo è rimasta radicata nella società: «E’ una chiesa di martiri (un milione di persone vennero uccise a causa di questioni legate alla fede), è una chiesa che percorre le vie della clandestinità. Ha fatto resistenza mobilitando la leva liturgica. Continuando a celebrare il culto e a mantenerne la magnificenza, tenne vivo uno spazio di bellezza e alterità rispetto alle stile e alla cultura dell’Urss. La chiesa è riuscita anche a superare la seconda fase delle campagne antireligiose, lanciata dopo la morte di Stalin». L’assunto della propaganda sovietica diceva che la religione non era che una sopravvivenza del passato. Oggi l’82% crede in Dio
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06/06/2011 22:47
 
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Antonio Socci: Nel mondo ma non del mondo
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11/06/2011 09:17
 
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UNA GIORNATA PER RICORDARE I MARTIRI CRISTIANI

 “Una Giornata europea dei martiri cristiani per ricordare i tanti cristiani del nostro tempo uccisi in odio alla fede e alla Chiesa”.

L’ha proposta oggi il sociologo italiano Massimo Introvigne, rappresentante dell’Osce (Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa) nel corso della sua audizione, promossa dal Centro Europeo per il Diritto e la Giustizia, al Consiglio d’Europa di Strasburgo sul tema “Persecuzione dei cristiani orientali, quale risposta dall'Europa?”.

“Non c’è sufficiente consapevolezza – ha detto Introvigne – dell’intolleranza e delle persecuzioni contro i cristiani. Tre quarti dei casi di persecuzioni religiose nel mondo riguardano i cristiani, ma pochi lo sanno”.

Nel suo intervento, il sociologo ha anche ricordato l’appello che Giovanni Paolo II fece al Colosseo il 7 maggio 2000 in occasione del nuovo secolo XXI che allora iniziava: “Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle. Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perché da essa germini un profondo rinnovamento”.

Per questo, ha concluso Introvigne, “l’istituzione di una Giornata europea dei martiri cristiani sarebbe una bella risposta a questo appello oggi più che mai attuale”.
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11/06/2011 09:22
 
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Introvigne denuncia: oltre centomila cristiani uccisi in un anno

Lo studioso cattolico Massimo Introvigne ha partecipato alla Conferenza internazionale sul dialogo interreligioso fra cristiani, ebrei e musulmani, in svolgimento a Gödollö (Budapest), promossa dalla presidenza ungherese dell’Unione Europea. Nel suo intervento, scrive Zenit, ha denunciato il fatto che “ogni cinque minuti un cristiano muore ucciso per la sua fede”, ragion per cui i cristiani uccisi ogni anno sarebbero 105.000, “contando solo i veri e propri martiri, messi a morte perché cristiani”. “Se non si gridano al mondo queste cifre, se non si ferma questa strage, se non si riconosce che la persecuzione dei cristiani è la prima emergenza mondiale in materia di violenza e discriminazione religiosa, il dialogo tra le religioni produrrà solo bellissimi convegni ma nessun risultato concreto”, ha dichiarato.
Il Cardinale Erdő, già fondatore dell’Osservatorio sull’intolleranza e la discriminazione contro i cristiani in Europa (cfr. Ultimissima dell’11 dicembre 2010) ha sostenuto che il pericolo “è che molte comunità cristiane in Medio Oriente muoiano per emigrazione, perché tutti i cristiani sentendosi minacciati scapperanno”. Il metropolita ortodosso ha rilanciato: “almeno un milione” dei cristiani vittime di persecuzioni nel mondo sono bambini.
Nessuno dei partecipanti al convegno sembra aver citato fonti in grado di suffragare le proprie affermazioni.

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08/07/2011 17:34
 
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Digiuno di massa
a difesa dei diritti dei dalit in India

New Delhi, 8.

I cristiani in India hanno annunciato dal 25 al 27 luglio un digiuno nazionale di massa per riportare all’attenzione del Governo l’annosa questione della dignità e dei diritti umani. L’iniziativa tende anche a sensibilizzare l’opinione pubblica sulla situazione sociale ed economica dei dalit, i «fuori casta», gli oltre 250 milioni di persone che si trovano all’ultimo grado della scala sociale nel Paese, in una società che — pur avendo formalmente abolito il sistema castale — ancora lo vive e lo rispetta nella prassi sociale e anche istituzionale.

La manifestazione — riferisce l’agenzia Fides — è organizzata dalla Commissione nazionale per i dalit cristiani (National Coordination Committee for Dalit Christians) e dal Consiglio nazionale dei dalit cristiani (National Council of Dalit Christians) organismi che hanno coinvolto un’ampia rete di associazioni e comunità cristiane in tutto il territorio federale. Per due giorni i cristiani di tutte le denominazioni saranno in strada a New Delhi digiunando pubblicamente, mentre il 28 luglio, a conclusione dell’evento, si terrà una marcia simbolica verso il palazzo del Parlamento federale indiano. Scopo dell’iniziativa è chiedere, in particolare, il rispetto dei diritti costituzionali, specialmente in nome dei principi di laicità dello Stato e di libertà religiosa, per i dalit di fede cristiana, che subiscono ulteriori discriminazioni e restano esclusi dal sistema educativo e dall’accesso a molti servizi pubblici. Ai dalit cristiani, già di per sé segnati dallo stigma dell’intoccabilità e del pregiudizio, molti diritti e opportunità sono negati proprio a causa della loro fede. Per questo le associazioni cristiane chiedono la revisione del paragrafo 3 della Costituzione (sul cosiddetto «Scheduled Castes Order»), in modo da concedere pari opportunità di sviluppo, diritti e tutele ai dalit cristiani e musulmani, rispetto a quelli di religione indù, ai quali sono accordate garanzie e benefit per la loro promozione sociale, non riconosciuti ai dalit di religioni diverse. I cristiani invitano il governo del Partito del Congresso ad «adempiere ai suoi obblighi costituzionali» in quanto «si tratta di una fondamentale questione di giustizia e di uguaglianza».

La richiesta giungerà al Parlamento impegnato nella sessione estiva dei lavori, nella quale la United Progressive Alliance, formata dal Partito del Congresso e da altri partner minori, ha già intenzione di approvare alcuni provvedimenti molto importanti per la società indiana: una legge sulla sicurezza alimentare; una sull’esproprio delle terre; la legge contro la corruzione e la legge sulla violenza intercomunitaria, che dà poteri di intervento al governo centrale negli stati nazionali.

Secondo dati ufficiali del ministero dell’Interno, nel periodo 2004-2008 vi sono stati in India almeno tremilaottocento episodi di violenza intercomunitaria, contro minoranze etniche, religiose o culturali. Fra gli episodi più gravi, la violenza di massa scoppiata in Orissa nel 2008, ma vanno segnalati anche 131 casi in Madhya Pradesh, 114 in Maharashtra e 109 in Karnataka: circa la metà dei casi registrati toccano i cristiani, l’altra metà le comunità musulmane. Per tutti questi episodi — ha dichiarato John Dayal, attivista per i diritti umani e presidente della United Christian Action (organizzazione che accoglie laici cristiani impegnati nella battaglia per la tutela dei diritti, per la difesa dei dalit e per la promozione delle minoranze cristiane) — il Governo centrale è stato criticato per il mancato intervento. Occorreva dunque affrontare la questione dell’impunità, cercando un sistema per rendere i politici, la polizia e gli ufficiali pubblici responsabili e perseguibili per le loro azioni. Per questo la legge prevede la costituzione di un’Autorità nazionale per l’armonia interreligiosa che dovrà monitorare le situazioni locali, e dà ampi poteri di intervento allo Stato centrale per i casi di violenza che avvengono nei diversi Stati della federazione. Importante — ha aggiunto Dayal — è la decisione di stabilire adeguati risarcimenti e compensazioni per le vittime, nonché prevedere pene certe per i responsabili delle violenze, per i funzionari pubblici che le incoraggiano o evitano di fermarle.

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25/07/2011 15:11
 
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Come agnelli portati al macello


C’è un volto di bambina con degli orecchini e un piccolo crocifisso al collo. La fanciulla guarda qualcuno fuori campo, con espressione seria e interrogativa.

Sopra la foto si legge: “Perché mi perseguiti?”. Il sottotitolo recita: “Libertà religiosa negata. Luoghi e oppressori, testimoni e vittime”.

E’ l’eloquente copertina dell’annuale (e sempre drammatico) rapporto – per il 2010 – dell’associazione “Aiuto alla Chiesa che soffre”. Quest’anno è stato pubblicato in collaborazione con le edizioni Lindau.

E’ un’agghiacciante finestra spalancata su uno scenario pressoché sconosciuto e certamente ignorato dall’opinione pubblica e dai mass media. Ma è questo il mondo in cui viviamo.

Basti dire che il “Pew Forum on Religion e Public Life” di Washington, che ha analizzato la situazione di 198 Paesi, è arrivato alla conclusione che, sul pianeta, oggi, sono circa 5 miliardi gli esseri umani che vedono repressa, negata o limitata la loro libertà di coscienza e di religione.

Si tratta quindi del 70 per cento della popolazione mondiale (oggi quantificata in 6,8 miliardi di persone).

La libertà religiosa, riguardando la coscienza personale, è la più delicata delle libertà e, fatalmente, quando è negata quella sono compromesse anche tutte le altre.

Non a caso Gandhi affermava: “Potete strapparmi gli occhi e non mi ucciderete. Ma se distruggete la mia fede in Dio, io sono morto”.

Si parla ovviamente della libertà di credere come della libertà di non credere. Implicano sempre la coscienza.

Va detto che, purtroppo, talora sono delle religioni che perseguitano altri gruppi religiosi.

Non tutte però sono uguali. Ad esempio la Chiesa Cattolica non perseguita, né reprime alcuna altra religione e anzi si batte per la libertà di tutti, compresa quella dei propri persecutori. E’ contro le persecuzioni e l’oppressione di chiunque.  

Eppure va rilevato che il cristianesimo è anche la religione più perseguitata del pianeta: a tutte le latitudini, sotto i più diversi regimi (il rapporto cita, in questo caso, come fonte Amnesty International).

Secondo la Commissione delle Conferenze episcopali della Comunità europea “il 75 per cento delle morti collegate a crimini a sfondo religioso riguarda i cristiani”.

Ma qual è la geografia della repressione della libertà religiosa?

Anzitutto, anche se spesso lo dimentichiamo, grava ancora sul mondo il retaggio del XX secolo, il secolo delle ideologie, perché circa un miliardo e mezzo di persone vivono sotto regimi comunisti.

E siccome certi intellettuali faziosi e superficiali amano ripetere che è la religione a produrre intolleranza, va sottolineato che nessuno nella storia ha mai fatto l’oceano di vittime e di perseguitati delle ideologie atee del Novecento.

Oggi il caso di maggiore importanza è la Cina, il paese più popoloso del mondo, con un miliardo e 300 milioni di abitanti, ormai avviato a diventare la prima potenza economica mondiale e una grande potenza politica e militare globale.

Lì, in quel regime che resta comunista “il diritto alla libertà religiosa non è concesso”. Ma la repressione e le persecuzioni sono particolarmente scatenate contro i cristiani e in particolare contro i cattolici in comunione con il papa.

“Numerosi sono i cristiani arrestati, condotti nei ‘centri di rieducazione’, torturati e condannati a morte”, si legge nel rapporto. E “si tratta indistintamente di sacerdoti, vescovi e fedeli laici”.

Situazione ancora peggiore è quella della Corea del Nord, il mostruoso regime comunista imposto da Kim Il-sung.

In questo colossale lager a cielo aperto, dove lo Stato proclama ufficialmente l’ateismo obbligatorio, i cattolici erano numerosi: nella capitale Pyongyang – prima dell’avvento del comunismo – erano il 30 per cento della popolazione.

Con il comunismo sono spariti tutti, vescovi compresi, ingoiati dalla buia voragine dei lager. Le poche notizie che arrivano da là sono agghiaccianti.

Nel 2009, per esempio, emerse dall’oscurità il nome di una giovane cristiana, la trentatreenne Ri Hyon-ok, che il 16 giugno era stata condannata a morte e giustiziata “per aver messo in circolazione delle Bibbie”.

Un problema di repressione e persecuzione c’è anche nella Cuba di Fidel Castro dove i cristiani sarebbero l’80 per cento della popolazione, ma lo Stato è ufficialmente ateo.

I casi di sofferenza dei cattolici sono tanti. Per quanto riguarda gli ultimi mesi si cercano ancora gli assassini di don Mariano Arroyo Merino che il 13 luglio 2009, all’età di 74 anni, fu ritrovato morto: lo hanno ammanettato, imbavagliato, accoltellato e poi bruciato.  

C’è inoltre la situazione dei cristiani in India dove – su pressione dei nazionalisti indù – i diversi stati “oltre ad approvare le leggi ‘anticonversione’, perseguitano ogni manifestazione pubblica e sociale delle altre religioni”.

Nello stato di Orissa nel 2007 e nel 2008 si è scatenata una “caccia al cristiano” che ha fatto 90 morti ufficiali (perlopiù cristiani) e ha costretto 50 mila persone a fuggire dai propri villaggi.

Sono state distrutte centinaia di case di cristiani e tantissime chiese, nell’indifferenza delle forze dell’ordine (con gli aiuti ricevuti dall’estero i cristiani hanno ricostruito non solo le proprie case, ma anche quelle degli indù).

C’è poi il continente musulmano che è per i cristiani un vero e proprio calvario.

Il Paese che sta diventando l’inferno peggiore per loro è il Pakistan dove – specie per la famigerata legge sulla blasfemia e le varie fatwa lanciate dai tribunali islamici – l’attacco alle minoranze religiose, in particolare ai cristiani, è in drammatica intensificazione (ma gli stessi musulmani sono spesso vittime dei fondamentalisti).

La casistica riferita nel rapporto è terrificante. La storia di Asia Bibi, che è la più conosciuta, è solo una delle tante (e così pure l’uccisione di Shahbaz Bhatti).

La situazione più penosa è quella delle giovani ragazze cristiane che si trovano spesso a subire ogni forma di abuso e di violenza, fino alla morte, nell’indifferenza delle autorità.  

E’ tristemente inutile passare in rassegna gli altri paesi islamici se si considera che in Egitto, che dovrebbe essere il paese islamico più evoluto e il più “occidentale”, quello che ha la più grande (il 12 per cento della popolazione) e la più antica comunità cristiana (radicata lì molto prima dell’arrivo dell’Islam), ebbene in Egitto, il 20 gennaio – si legge nel rapporto – “il patriarca (cristiano copto) Shenouda III dichiarava che sarebbe auspicabile un giudizio equo sui 1800 assassinii di cristiani e sugli oltre 200 atti di vandalismo perpetrati contro i loro beni, mai giudicati e ancor meno puniti”.

E’ inutile aggiungere altro. Ma qualche flash sulla nostra libera Europa è necessario. Già diversi libri hanno denunciato la deriva anticristiana di certe istituzioni europee, con episodi stupefacenti. Ma consideriamo qui alcuni casi recenti dei due paesi che si propongono come maestri di diritti umani.

“In Francia, nelle scuole” c’informa il rapporto “una legge proibisce il velo alle ragazze musulmane, ai cristiani vieta di portare una croce troppo visibile e ai sikh di portare il turbante”.

Se il velo portato davanti al volto (che non è un simbolo religioso) poneva un problema di ordine pubblico e di dignità delle donne, si vorrebbe sapere cosa c’entra il crocifisso.

In Gran Bretagna poi “una sentenza ha consentito che un’azienda imponesse ai propri dipendenti cristiani di nascondere i simboli della fede sul luogo di lavoro, lasciando però liberi gli appartenenti ad altre religioni di mostrare i loro simboli”.

Aggiungo un episodio emblematico. In questo paese, dove la regina è capo della Chiesa d’Inghilterra (con buona pace dei nostri intellettuali che ritengono il protestantesimo più laico del cattolicesimo), il cancelliere Tony Blair ha dovuto aspettare di perdere la carica prima di formalizzare la sua conversione al cattolicesimo. Non è incredibile?

Antonio Socci

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13/10/2011 12:31
 
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Kristen Chick, inviata in Egitto per il Christian Science Monitor, era al Cairo domenica quando l'esercito ha ucciso almeno 17 cristiani. Racconta a Tempi.it: «Sono andata in ospedale, ho visto i corpi, ho parlato con i copti. Sono davvero spaventati, la tv di Stato ha detto che sono stati loro ad attaccare i soldati e ha invitato la gente a difendere l'esercito. Se questa non è violenza settaria, io non saprei proprio come altro definirla»

«Sono andata all'ospedale dopo l'attacco di domenica ai copti e ho visto 17 corpi, tutti civili, tutti cristiani, non saprei dire se ce n'erano di più. Ho sentito diversi testimoni e tutti mi hanno detto la stessa cosa: una volta arrivati davanti alla televisione di Stato, che ha diffuso la falsa notizia che sarebbero stati i cristiani ad attaccare l'esercito, i soldati hanno cominciato a sparare e a guidare i carri armati contro la folla. Non era necessario, non so perché l'hanno fatto. Ora però i copti hanno davvero paura». Kristen Chick lavora come inviata dall'Egitto per il Christian Science Monitor, vive al Cairo e domenica si trovava in città quando i militari hanno attaccato i cristiani copti che manifestavano contro l'esercito e il governo per non avere impedito che gli estremisti islamici bruciassero l'ennesima chiesa. Dopo gli scontri che hanno causato la morte di almeno 17 cristiani, anche se alcune stime parlano addirittura di 35, è stata nell'ospedale dove sono stati portati i corpi, ha parlato con diversi testimoni oculari dell'accaduto e ora racconta tutto a Tempi.it.

I giornali dicono che l'esercito ha attaccato i cristiani, la televisione di Stato egiziana sostiene esattamente il contrario. Che cosa è successo domenica?
La situazione è molto confusa. La televisione di Stato è totalmente inaffidabile, dà notizie false perché è comandata dal governo e dall’esercito. Quando hanno parlato degli scontri di domenica, dovendo dire chi era responsabile delle vittime, hanno dichiarato che i cristiani hanno attaccato l’esercito. Invece tutti i testimoni oculari con cui ho parlato hanno raccontato la stessa identica versione dei fatti. I cristiani copti stavano marciando in due gruppi pacificamente dal quartiere di Shoubra, cantavano, gridavano slogan. Alcune persone hanno cominciato a tirargli le pietre durante il tragitto ma loro sono andati avanti. Poi sono arrivati davanti alla sede della televisione di Stato e lì l'esercito ha cominciato a sparare sulla folla e a guidare i carri armati contro di loro. Lo si può vedere nei tanti filmati che girano anche su internet: io non so perché ma sembrava proprio che volessero schiacciarli. Tra la folla c'erano, forse, delle persone che gridavano insulti contro i militari ma questo non giustifica la violenza.

Saprebbe dire quanta gente è stata uccisa?

Non dispongo di numeri ufficiali. Io sono andata nell'ospedale dove hanno portato i corpi dopo gli scontri. Ne ho visti 17, erano tutti civili, tutti cristiani. Sono certa che ci sia almeno un'altra persona morta, sempre un civile, anche se non l'ho vista con i miei occhi. I cristiani hanno fatto i funerali a 17 persone e non so di altri funerali.

Ieri il ministro delle Finanzen Hazem Blebawi si è dimesso, protestando contro le violenze dei giorni scorsi e dichiarando che anche se è stato l'esercito a uccidere quelle persone, «la responsabilità ultima è da attribuire al governo».

La violenza è stata commessa dall’esercito, che è al potere e controlla il governo, quindi i militari sono i veri responsabili.

In un'intervista al Sussidiario.net e ad Avvenire, Abdel Fattah, esponente di spicco dei Fratelli musulmani e professore di Letteratura italiana all’Università del Cairo, ha dichiarato che in Egitto non c'è «uno scontro di natura religiosa» perché «i morti di domenica al Cairo non sono stati provocati da un conflitto religioso tra cristiani e musulmani, ma tra alcuni manifestanti e l’esercito»
. Lei è da anni inviata in Egitto, che cosa ne pensa?
In Egitto problemi religiosi ci sono da tempo, non sono una novità. Ma la protesta di domenica è nata dal fatto che estremisti islamici hanno bruciato una chiesa. L’esercito ha attaccato i dimostranti, tutti cristiani, e che l’attacco fosse settario si capisce da quanto è successo dopo. La televisione di Stato ha detto che i cristiani hanno sparato all’esercito e ha chiesto alla gente di scendere in strada per difendere l’esercito dai copti. Dopo aver subito l’attacco, ho visto migliaia di cristiani andare verso l’ospedale e centinaia di musulmani li hanno raggiunti davanti all'edificio gridando “Islamic, islamic”, attaccandoli. Quindi, se questa non è violenza settaria, io non saprei proprio come chiamarla.

Un avvocato egiziano ha dichiarato due settimane fa che quasi 100 mila cristiani sarebbero fuggiti dall'Egitto dall'inizio dell'anno e che altri 250 mila potrebbero lasciare il paese prima della fine del 2011. Il fenomeno della fuga dei cristiani è diffuso?

Io non posso confermare i numeri, anche se penso siano reali. Non ho rapporti con l'ufficio di immigrazione egiziano. Però un avvocato degli Stati Uniti che si occupa di immigrazione mi ha detto che il numero di copti arrivati negli Usa è triplicato rispetto all’anno scorso, quindi c'è sicuramente la tendenza a fuggire. E i numeri sono molto alti.

Dalla caduta del regime di Hosni Mubarak la situazione è peggiorata per i cristiani?

Sicuramente sì. Sotto il vecchio regime avvenivano casi di persecuzione ma ora sono aumentati. Quando gli estremisti islamici hanno bruciato la chiesa di Embaba, la polizia ci ha messo moltissimo ad arrivare mentre le persone combattevano. Non c'è nessun tipo di giustizia e l'esercito non protegge i cristiani e non punisce i responsabili. Con Mubarak gli estremisti erano più deboli.

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01/12/2011 11:23
 
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DM364
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08/12/2011 19:32
 
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10/01/2012 21:57
 
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Quasi a dare tristemente ragione al Pontefice, il 2012 è cominciato con una dimostrazione devastante di questo odio. In Nigeria — paese al 48% cristiano — musulmani fondamentalisti hanno presso d'assalto diverse chiese durante la Messa di Natale, sparando all'impazzita e lanciando ordigni incendiari. Bilancio: trentacinque morti e quasi cento feriti.

L'attacco è stato rivendicato dal gruppo islamista Boko Haram, facente capo alla rete di Al Qaeda in Africa centrale.

Non pago di questo sanguinoso attentato, Boko Haram ha diramato un ultimatum: pena l'esecuzione sommaria, tutti i cristiani devono abbandonare il nord della Nigeria entro metà gennaio. Una vera "pulizia etnica" in atto sotto i nostri occhi!

Trovate esagerata l'espressione "pulizia etnica"? Date uno sguardo a questo video, che mostra cristiani arsi vivi in Costa d'Avorio:


http://www.youtube.com/watch?v=yxfW9P82vgY&feature=player_embedded&skipcontrinter=1


Nel denunciare la Cristianofobia, oltre ai Paesi a maggioranza islamica, il Papa ha individuato altre zone dove il cristianesimo è oggetto di persecuzione, a cominciare dall'Unione Europea dove, all'insegna di un laicismo oltranzista, si cerca di cancellare ogni traccia di Fede cristiana dalle istituzioni e dalla vita pubblica.

Rientra in questa Cristianofobia il moltiplicarsi di atti vandalici ai danni di edifici ed oggetti sacri. L'anno scorso, per esempio, secondo i dati della Gendarmerie, sono state bruciate quarantadue chiese in Francia. In questo triste computo rientrano anche le blasfemie, sempre più frequenti sui mezzi di pubblicità. Tanto da indurre alcuni analisti a parlare di un vero e proprio "terrorismo blasfematorio".

Queste blasfemie vengono speso spacciate per "arte". È il caso dell'opera teatrale "Sul concetto di volto nel Figlio di Dio", del regista Romeo Castellucci.

Dopo un crescendo di provocazioni e di ingiurie dal sapore gnostico e freudiano, l'opera si conclude col lancio di pietre ed escrementi contro il famoso quadro di Antonello da Messina raffigurante Nostro Signore Gesù Cristo.

In Francia questo lurido spettacolo è stato oggetto d'una massiccia campagna di proteste che, partendo da ambienti cattolici tradizionalisti, hanno man mano coinvolto anche le gerarchie ecclesiastiche. L'arcivescovo di Parigi, cardinale André Vingt-Trois, ha condotto una veglia di preghiera in riparazione.
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13/01/2012 08:40
 
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Il premio 2011 a due vescovi cinesi, martiri e “illustri sconosciuti” (da “Asianews” uno straordinario articolo di padre Bernardo Cervellera)
Posted: 02 Jan 2012 01:16 PM PST
Mons. Giacomo Su Zhimin, 80anni, ha subito finora 40 di prigionia; mons. Cosma Shi Enxiang, 90 anni, ha passato 51 anni in carcere. Di loro nessuno parla e il governo cinese dice che “non sa dove essi siano”. Si teme che vengano uccisi sotto tortura, come è avvenuto per altri vescovi. Il Vaticano dovrebbe chiedere la loro liberazione come condizione per ogni dialogo. Una campagna a loro favore per il 2012.

Roma (AsiaNews) – Alla fine dell’anno molte riviste e siti web stilano una classifica dei personaggi più famosi del 2011, che si sono distinti in qualche opera o hanno determinato l’informazione mondiale.

Di solito sono personaggi della politica, della cultura, o un movimento intero, come è quest’anno per la rivista americana Time, che ha consacrato a “personaggio” (collettivo) del 2011 i giovani della “primavera araba” e a tutti i dimostranti del mondo.

Noi di AsiaNews vogliamo fare una scelta controcorrente: dare un premio a chi non è mai stato citato dai media, chi non ha avuto alcun riconoscimento pubblico, chi è dimenticato nonostante anni di lotta per la verità, la dignità e la giustizia: insomma un premio “all’illustre sconosciuto”.
Come Time, anche noi vogliamo dedicare un premio “collettivo”, a due grandi sconosciuti: due vescovi cinesi della comunità sotterranea che da decenni sono stati rapiti dalla polizia e dei quali nessuno sa più nulla.

Il primo è mons. Giacomo Su Zhimin, quasi 80 anni, vescovo di Baoding (Hebei), arrestato dalla polizia l’8 ottobre 1997.

Da allora nessuno conosce né l’accusa che ha causato l’arresto, né se vi sia stato un processo, né il suo luogo di detenzione.

Nel novembre 2003 è stato per caso scoperto in cura in un ospedale di Pechino, circondato da poliziotti della pubblica sicurezza. Dopo una breve e frettolosa visita dei parenti, la polizia lo ha fatto scomparire ancora fino ad oggi.

Il secondo è mons. Cosma Shi Enxiang, di 90 anni, vescovo di Yixian (Hebei), arrestato il 13 aprile 2001. Di lui non si sa davvero nulla, anche se i suoi parenti e fedeli continuano a domandare alla polizia almeno qualche notizia.

Essi meritano di essere ricordati accanto a famosi personaggi della dissidenza come il premio Nobel Liu Xiaobo o il grande Bao Tong perché come loro – e da molto più tempo – combattono per la libertà dell’individuo e per la loro fede.

In qualche modo essi sono i profeti della dissidenza: primi a subire persecuzione; primi a subire arresti e condanne; primi a lanciare appelli alla comunità internazionale; i primi ad essere dimenticati.
Prima dell’ultimo arresto, mons. Su Zhimin ha passato a fasi alterne almeno 26 anni in carcere o ai lavori forzati, bollato come “controrivoluzionario” solo perché , fin dagli anni ’50, si è sempre rifiutato di aderire all’Associazione patriottica, che vuole edificare una chiesa nazionale staccata dal papa.

Nel ’96 – da un luogo nascosto perché ricercato – era riuscito a diffondere una lettera aperta al governo cinese perché rispettasse i diritti umani e la libertà religiosa del popolo. In tutto ha già speso 40 anni in cattività.

Mons. Shi Enxiang è stato incarcerato ancora più a lungo: dal 1957 fino al 1980, costretto ai lavori forzati agricoli nell’Heilongjiang, fino a fare il minatore nelle miniere di carbone dello Shanxi.

È arrestato ancora per tre anni nel 1983, poi subisce tre anni di arresti domiciliari.

Nell’89 – alla costituzione della Conferenza episcopale dei vescovi sotterranei – viene ancora arrestato e rilasciato solo nel ’93, fino al suo ultimo arresto nel 2001. In tutto egli ha passato già 51 anni in prigione.
Mentre in Cina crescono le rivolte sociali per la giustizia e la dignità degli operai e dei contadini, vale la pena ricordare questi campioni perché essi hanno lottato come loro e prima di loro per la verità, senza mai imbracciare le armi, spesso da soli, senza il conforto dei network di Facebook o di Twitter.
Vale la pena ricordarli anche perché c’è il timore che il regime cinese li faccia morire sotto le torture, come in passato è avvenuto per altri vescovi cinesi imprigionati (mons. Giuseppe Fan Xueyan nel ’92; mons. Giovanni Gao Kexian nel 2006; mons. Giovanni Han Dingxian nel 2007).
Allo stesso tempo, vale la pena ricordarli per mostrare quanto è ridicolo il governo di Pechino, che davanti a richieste di personalità politiche internazionale sulla sorte dei due vescovi, si nasconde rispondendo: “Non sappiamo”: dovremmo credere che il governo con un gigantesco apparato poliziesco, una superba rete spionistica e di controllo capillare sulla sua popolazione, ignora dove si trovino questi due anziani vescovi, che la cultura cinese imporrebbe di rispettare e onorare?
Il “non sappiamo” è anche la risposta che il Vaticano riceve quando – in incontri privatissimi con qualche burocrate cinese – osa levare la questione sui due prelati scomparsi.

Così, per il timore che la loro sorte peggiori, i loro nomi non vengono mai citati nemmeno nelle preghiere per i perseguitati.
La dolcezza vaticana, mostrata finora nel dialogo con le autorità cinesi, non è riuscita ancora a liberare questi vescovi, né le decine di sacerdoti sotterranei che languono nei laogai (lager) cinesi.
Il nostro augurio per la Commissione vaticana sulla Chiesa in Cina è che essa ponga la loro liberazione come condizione per far ripartire qualunque dialogo.

E la nostra richiesta a chiunque, cristiani e non, è ricordarsi di questi due anziani campioni della fede, della verità, della dignità dell’uomo.

A loro indiscutibilmente va il nostro premio e soprattutto la nostra gratitudine. Per questo vogliamo iniziare il 2012 con una campagna a loro favore.

Bernardo Cervellera

Direttore di “Asianews”, agenzia del Pontificio istituto missioni estere
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27/01/2012 15:23
 
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Cristiani in Nigeria bruciati vivi per la loro fede in Cristo.

 La loro fede incrollabile è paragonabile a quella dei primi cristiani 

ed è un insegnamento per tutti.
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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