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SIAMO FATTI AD IMMAGINE DELLA TRINITA'

Ultimo Aggiornamento: 29/04/2011 12:35
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29/04/2011 12:35
 
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Altra interpretazione simbolica: l’opinione che l’uomo significhi lo spirito, la donna i sensi

13. 20. Non ignoro che, prima di noi, illustri difensori della fede cattolica 77 e commentatori delle divine Scritture, cercando questi due principi nell’uomo individuale, la cui anima, buona nel suo insieme, considerarono come una specie di paradiso, affermarono che l’uomo rappresenta lo spirito, la donna il senso del corpo. E se si accetta poi questa distinzione che vede nell’uomo l’immagine dello spirito, nella donna quella del senso del corpo, tutto sembra accordarsi in maniera perfetta qualora si considerino attentamente le cose, ma con questa riserva però: che è scritto che fra tutte le bestie e tutti gli uccelli non è stato trovato per l’uomo un aiuto simile a lui 78, ed allora fu creata la donna traendola dal suo costato 79. Per questo non ho creduto di dover considerare la donna come simbolo del senso corporeo che, come sappiamo, ci è comune con le bestie, ma ho voluto vedere in lei il simbolo di qualcosa che le bestie non avessero; così ho pensato che si dovesse invece vedere nel serpente il simbolo del senso corporeo; il serpente che è, secondo la Scrittura, il più astuto degli animali della terra 80. Fra quei beni naturali, che vediamo esserci comuni con gli animali, eccelle per la sua vivacità il senso, non quel senso di cui parla l’Epistola agli Ebrei, quando dice: Il nutrimento solido è per gli uomini perfetti, i cui sensi sono esercitati dall’abitudine a discernere il bene dal male 81, perché questi sono sensi della natura razionale ed appartengono all’intelligenza; quello invece è un senso corporeo che si divide in cinque sensi e mediante il quale non solo noi, ma anche le bestie, percepiscono le forme e i movimenti corporei.

- 21. Ma sia che si debba intendere in questo o in quel modo, o in un altro ancora, ciò che l’Apostolo dice quando afferma che l’uomo è immagine e gloria di Dio, la donna invece gloria dell’uomo 82, in ogni caso appare chiaro che, quando viviamo secondo Dio, il nostro spirito, teso verso le perfezioni invisibili di Dio, deve progressivamente ricevere la sua forma modellandosi sulla sua eternità, sulla sua verità, sulla sua carità, ma che una parte della nostra attenzione razionale, cioè dello stesso spirito, deve essere diretta verso l’uso delle cose mutevoli e corporee, senza di che non si può vivere questa vita; ma non per conformarci a questo mondo 83, ponendo il nostro fine in questi beni e deviando su di essi il nostro appetito di felicità, ma perché, quanto facciamo razionalmente nell’uso dei beni temporali, lo facciamo senza cessare di contemplare i beni eterni da conseguire, passando attraverso quelli, unendoci a questi.

 

Sapienza e scienza

14. Perché anche la scienza è benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole gonfiare è dominato dall’amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come sappiamo, edifica 84. Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere quella eterna, che è veramente beata.

 

Differenza tra la sapienza e la scienza

- 22. C’è tuttavia una differenza tra la contemplazione delle cose eterne e l’azione con la quale facciamo buon uso delle cose temporali: quella si attribuisce alla sapienza, questa alla scienza. Sebbene infatti anche la sapienza possa venir chiamata scienza, come lo mostra l’affermazione dell’Apostolo, che dice: Ora conosco parzialmente, allora conoscerò come sono conosciuto 85, per questa scienza egli intende certamente la contemplazione di Dio, che sarà il premio supremo dei santi; tuttavia dove l’Apostolo dice: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito 86, distingue, senza dubbio, l’una dall’altra, benché non spieghi la natura della loro differenza, e i caratteri che permettano di distinguerle. Ma dopo aver scrutato le molteplici ricchezze delle sante Scritture, trovo scritta nel libro di Giobbe questa sentenza del santo uomo: Ecco, la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza 87. Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la contemplazione, la scienza l’azione. In questo passo Giobbe identifica la pietà con il culto di Dio, che in greco si dice . È questa la parola che si trova presso i codici greci in questo passo. E fra le cose eterne che vi è di più eccellente di Dio, che solo possiede una natura immutabile? E che è il culto di Dio, se non l’amore di lui, amore che ci fa desiderare di vederlo, che ci fa credere e sperare che lo vedremo, perché nella misura in cui progrediamo lo vediamo ora per mezzo di uno specchio, in enigma, ma un giorno lo vedremo nella sua piena manifestazione? È ciò che dice l’apostolo Paolo quando parla della "visione" faccia a faccia 88; è anche quello che dice l’apostolo Giovanni: Carissimi, ora siamo figli di Dio, e ciò che saremo un giorno non è stato ancora manifestato; ma sappiamo che al momento di questa manifestazione saremo simili a lui, perché lo vedremo come è 89. In questi passi e in passi simili si tratta proprio, mi pare, della sapienza 90. Astenersi invece dal male 91, ciò che Giobbe chiama scienza, appartiene certamente all’ordine delle cose temporali. Perché è in quanto siamo nel tempo che siamo soggetti al male, che dobbiamo evitare, per giungere ai beni eterni. Perciò tutto quanto compiamo con prudenza, forza, temperanza e giustizia, appartiene a quella scienza o regola di condotta, che guida la nostra azione nell’evitare il male e nel desiderare il bene; e le appartiene pure tutto ciò che, come esempio da evitare o da imitare e come conoscenza necessaria tratta da avvenimenti adatti ad illuminare la nostra vita, raccogliamo attraverso la conoscenza della storia.

 

La sapienza è conoscenza delle cose eterne

- 23. Quando si parla di queste cose mi pare che il discorso riguardi la scienza e vada distinto da quello che concerne la sapienza 92 alla quale non appartengono né le cose passate né le future, ma quelle che sono presenti, e a causa di quella eternità in cui esistono, si chiamano passate, presenti e future senza alcuna mutazione di tempo. Infatti non sono passate in modo che abbiano cessato di esistere, o future come se non esistessero ancora, ma esse hanno avuto sempre lo stesso essere e sempre l’avranno. Permangono infatti, non però fisse in un’estensione spaziale come i corpi; ma nella loro natura incorporea le realtà intelligibili sono presenti allo sguardo dello spirito, come i corpi sono visibili e tangibili ai sensi corporei. Ma non soltanto le ragioni intelligibili e incorporee delle cose sensibili, situate nello spazio, sussistono indipendentemente da ogni estensione, bensì anche quelle dei movimenti che passano nel tempo permangono indipendenti da ogni divenire temporale, essendo intelligibili, non sensibili. Giungere ad attingerle con lo sguardo dello spirito è privilegio di pochi e quando vi si giunge, nei limiti del possibile, non vi permane colui stesso che vi è giunto, ma ne è come respinto dallo stesso offuscamento dello sguardo, e si ha così un pensiero passeggero di una cosa che non passa. Tuttavia questo pensiero, avanzando attraverso quelle discipline che istruiscono l’anima, è affidato alla memoria, cosicché abbia dove ritornare, esso che è costretto ad allontanarsi. Tuttavia se il pensiero non ritornasse alla memoria e se non vi ritrovasse ciò che le aveva affidato, come un ignorante sarebbe ricondotto a questo, come vi era stato condotto prima, e lo troverebbe dove l’aveva trovato prima, cioè in quella verità incorporea, da cui trarrebbe di nuovo una specie di copia che fisserebbe nella memoria. Infatti non allo stesso modo, per esempio, che permane la ragione incorporea ed immutabile di un corpo quadrato, può permanere ad essa unito il pensiero dell’uomo, supponendo tuttavia che vi sia potuto giungere senza rappresentazione spaziale. O ancora, se si coglie il ritmo di un’armonia melodiosa che scorre nel tempo, come immobile al di fuori del tempo in una specie di segreto e di profondo silenzio 93, vi si può pensare almeno per il periodo di tempo in cui si può udire quel canto; tuttavia quanto di ciò ha trattenuto lo sguardo, sebbene fugace, dello spirito ed ha depositato nella memoria, come inghiottendolo nello stomaco, esso potrà con il ricordo in qualche modo ruminarlo e far diventare conoscenza metodica ciò che abbia in tal modo appreso. Se la dimenticanza ha tutto cancellato, sotto la guida dell’insegnamento si può di nuovo giungere a ciò che era interamente scomparso e così lo si ritroverà com’era.

 

Confutazione della reminiscenza sostenuta da Platone e da Pitagora

15. 24. Per questo Platone, quel celebre filosofo, si sforzò di persuaderci che le anime hanno vissuto quaggiù anche prima di unirsi a questi corpi e perciò si spiega che ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva, più che conoscenza di qualcosa di nuovo 94. Infatti racconta che, un fanciullo, interrogato su argomenti di geometria, rispose come un maestro assai versato in quella disciplina. Interrogato per gradi e ad arte vedeva ciò che doveva vedere e diceva ciò che aveva visto 95. Ma se si trattasse qui di un ricordo di cose anteriormente conosciute, non sarebbe possibile a tutti o a quasi tutti rispondere a domande di tal genere. Infatti non tutti furono geometri nella loro vita anteriore, essendo i geometri così rari tra gli uomini che a mala pena se ne può trovare qualcuno. Bisogna piuttosto ritenere che la natura dell’anima intellettiva è stata fatta in modo che, unita, secondo l’ordine naturale disposto dal Creatore, alle cose intellegibili, le percepisce in una luce incorporea speciale, allo stesso modo che l’occhio carnale percepisce ciò che lo circonda, nella luce corporea, essendo stato creato capace di questa luce ed ad essa ordinato. Infatti non è a dire che egli distingua, anche senza l’aiuto di un maestro, il bianco dal nero per il motivo che conosceva già queste cose prima di esistere in questo corpo. Infine perché soltanto a riguardo delle cose intelligibili può accadere che qualcuno risponda, se lo si interroga ad arte, su ciò che appartiene a qualsiasi disciplina, sebbene la ignori del tutto? Perché nessuno può far questo, riguardo alle cose sensibili, se non per quelle che ha visto una volta unito al suo corpo o per quelle cui ha creduto sulla testimonianza di coloro che le sapevano e le hanno comunicate per iscritto o con le loro parole? Non si ha da credere infatti a coloro che raccontano che Pitagora di Samo si sarebbe ricordato di certe cose di cui aveva fatto esperienza quando viveva quaggiù in un altro corpo 96; altri narrano che alcuni altri avrebbero sperimentato nei loro spiriti qualcosa di simile. Si tratta di false reminiscenze simili a quelle che proviamo per lo più nel sonno, quando ci sembra di ricordare, come se lo avessimo fatto o visto, ciò che non abbiamo né fatto né visto, e accade che simili affezioni si producano anche nell’anima di persone sveglie, per influsso degli spiriti maligni e ingannatori che si preoccupano di confermare e far nascere delle false opinioni sulla migrazione delle anime per ingannare gli uomini; lo si può provare a partire dal fatto che, se si ricordassero veramente le cose viste quaggiù prima, quando si viveva uniti ad altri corpi, si tratterebbe di un’esperienza comune a molti o a quasi tutti, perché, secondo tale opinione, si suppone un passaggio incessante dalla vita alla morte e dalla morte alla vita, come dalla veglia al sonno e dal sonno alla veglia.

 

La giusta distinzione tra sapienza e scienza; anche nella scienza si trova una trinità

- 25. Se dunque la vera differenza tra la sapienza e la scienza consiste in questo: che alla sapienza appartiene la conoscenza intellettiva delle cose eterne, alla scienza invece la conoscenza razionale delle cose temporali, non è difficile giudicare a quale si debba dare la precedenza, a quale l’ultimo posto. Supponendo che si debba usare un altro criterio per distinguere queste due cose, che l’Apostolo senza alcun dubbio distingue, quando afferma: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito 97, tuttavia anche in tal caso rimane assai chiara la distinzione che abbiamo fatto tra le due, per cui una cosa è la conoscenza intellettiva delle cose eterne, altra cosa la conoscenza razionale delle cose temporali; e nessuno dubita che bisogna preferire la prima alla seconda.

Lasciando dunque da parte ciò che appartiene all’uomo esteriore e desiderando elevarci interiormente al di sopra di ciò che abbiamo in comune con gli animali, prima di giungere alla conoscenza delle realtà intelligibili e supreme, che sono eterne, incontriamo la conoscenza razionale delle cose temporali. Anche in essa sforziamoci dunque di vedere, se ci è possibile, una trinità, come ne abbiamo trovata una nei sensi corporei e un’altra nelle cose che per mezzo di essi sono entrate nell’anima e nel nostro spirito sotto forma di immagini; in luogo delle cose corporee che attingiamo dal di fuori, con i sensi corporei, avevamo in questo secondo caso le similitudini dei corpi impresse nella memoria, immagini che informavano il pensiero, intervenendo la volontà come terzo elemento che univa questo a quelle, a somiglianza di come era informato al di fuori lo sguardo degli occhi, che la volontà dirigeva verso la cosa visibile per produrre la visione, unendo l’uno all’altra, aggiungendosi, essa stessa, anche in questo caso, come terzo elemento. Ma non facciamo entrare forzatamente tale argomento in questo libro, affinché, nel seguente, se Dio ci aiuterà, lo si possa indagare con pieno agio e si possa esporre ciò che avremo trovato.

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È Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri.. Ef 4,11
 
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