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EVOLUZIONISMO E CHIESA CATTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2023 11:42
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24/04/2011 20:20
 
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L'esegesi biblica moderna

La maggiore libertà dei biblisti nell'occuparsi dell'evoluzionismo derivava essenzialmente dagli insegnamenti dell'enciclica Divino Afflante Spiritu (1943) di Pio XII, che poneva come condizione necessaria per una corretta esegesi la precisa determinazione del genere letterario della Scrittura[82]:

  « L'esegeta cattolico, per rispondere agli odierni bisogni degli studi biblici, nell'esporre la Sacra Scrittura e nel mostrarla immune da ogni errore, com'è suo dovere, faccia pure prudente uso di questo mezzo, di ricercare cioè quanto la forma del dire o il genere letterario adottato dall'agiografo possano condurre alla retta e genuina interpretazione; e si persuada che in questa parte del suo ufficio non può essere trascurato senza recare gran danno all'esegesi cattolica. Infatti per portare solo un esempio quando taluni presumono rinfacciare ai Sacri Autori qualche errore storico o inesattezza nel riferire i fatti, se si guarda ben da vicino, si trova che si tratta semplicemente di quelle native maniere di dire o di raccontare, che gli antichi solevano adoperare nel mutuo scambio delle idee nell'umano consorzio, e che realmente si tenevano lecite nella comune usanza. Quando dunque tali maniere si incontrano nella divina parola, che per gli uomini si esprime con linguaggio umano, giustizia vuole che non si taccino d'errore più che quando occorrono nella quotidiana consuetudine della vita. Con l'accennata conoscenza e l'esatta valutazione dei modi ed usi di parlare e di scrivere presso gli antichi, si potranno sciogliere molte obbiezioni sollevate contro la veridicità e il valore storico delle divine Scritture; e non meno porterà un tale studio ad una più piena e più luminosa comprensione del pensiero del Sacro Autore. »
   

Questa posizione venne in seguito ribadita nel 1965 in uno dei principali documenti approvati durante il Concilio Vaticano II, la Costituzione Dogmatica sulla Divina Rivelazione Dei Verbum[96]. Essa, dopo aver ricordato che

  « i libri della Scrittura insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, per la nostra salvezza, volle fosse consegnata nelle sacre Scritture »
   

spiega:

  « Poiché Dio nella sacra Scrittura ha parlato per mezzo di uomini alla maniera umana, l'interprete della sacra Scrittura, per capir bene ciò che egli ha voluto comunicarci, deve ricercare con attenzione che cosa gli agiografi abbiano veramente voluto dire e a Dio è piaciuto manifestare con le loro parole. Per ricavare l'intenzione degli agiografi, si deve tener conto fra l'altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l'interprete ricerchi il senso che l'agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso. Per comprendere infatti in maniera esatta ciò che l'autore sacro volle asserire nello scrivere, si deve far debita attenzione sia agli abituali e originali modi di sentire, di esprimersi e di raccontare vigenti ai tempi dell'agiografo, sia a quelli che nei vari luoghi erano allora in uso nei rapporti umani. »
   

Quando allora fu appurato che il racconto genesiaco presenta molte analogie con altre cosmogonie orientali, ed una volta stabilito che queste ultime utilizzassero un genere mitico, venne posto il problema se anche la Genesi potesse essere interpretata come un mito[97]. I biblisti preferirono parlare di racconto eziologico sapienziale con elementi mitici: eziologia, oppure etiologia (dal greco αἰτία, aitia = causa), si ha quando si costruisce un racconto che, indicando delle cause in eventi del passato, spiega una situazione attuale. Si è ormai stabilito che i racconti della Genesi utilizzino un linguaggio simbolico primitivo, soltanto attraverso il quale è possibile cogliere gli aspetti più complessi dell'esperienza umana. Questi racconti evocano infatti importanti esperienze collettive e remote come, ad esempio, la scoperta della vita, dell'amore, del peccato e della morte; questi racconti non sono pertanto la semplice narrazione di eventi ma, utilizzando un linguaggio storico, trasmettono messaggi complessi relativi ad esperienze primordiali comuni a tutta l'umanità.

Un aspetto del racconto genesiaco che chiaramente presenta aspetti mitologici è quello relativo allo stato primitivo dell'umanità[98]. Tradizionalmente fino agli anni '50, nei manuali di teologia veniva esposta la dottrina della perfezione dello stato originario dell'uomo appena creato da Dio; ciò che caratterizzava questa perfezione era l'immortalità, l'assenza di concupiscenza e la possibilità di vivere nell'agiatezza all'interno di un ambiente accogliente (vedi Giardino dell'Eden). Negli anni '50 e '60 lo stato primitivo dell'uomo venne però completamente demitizzato; si riconobbe che le abituali descrizioni dell'umanità primitiva non appartenevano alla fede, ma risalivano a tradizioni e mitologie popolari. In particolare, l'idea che è un cosa è più perfetta quanto più è vicina all'origine, era legata ad una concezione fissista del mondo che era stata ormai definitivamente abbandonata[99].

[modifica] Nuovi sviluppi della teologia negli anni '60 e '70

[modifica] Le questioni in campo

Nonostante nell'enciclica Humani Generis venisse accettato l'evoluzionismo, alcuni problemi continuavano a restare in campo. La stessa Humani Generis, immediatamente di seguito alla parte sull'evoluzionismo, proseguiva dicendo:

  « Però quando si tratta dell'altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui assertori insegnano che dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da progenitore di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste affermazioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo individualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (confronta Romani V, 12-19; Concicilio Tridentino, sessione V, canoni 1-4). »
   

In teologia, il poligenismo indica[100] l'ipotesi che l'umanità discenda da più coppie originarie; tale ipotesi si contrappone, ovviamente, al monogenismo, ovvero l'ipotesi che tutta l'umanità discenda da una sola coppia primitiva (Adamo ed Eva). In ambito scientifico invece viene più che altro utilizzato il termine polifiletismo, che indica la pluralità di rami (ceppi, phyla) originari e si contrappone al monofiletismo (un solo ramo originario per tutta l'umanità). Il poligenismo è compatibile sia con il polifiletismo che con il monofiletismo, mentre il monogenismo implica necessariamente il monofiletismo. Dal punto di vista scientifico è interessante discutere il polifiletismo ed il monofiletismo, mentre che gli uomini derivino da una o più coppie è un problema secondario per gli scienziati anche se comunque, attualmente, il monogenismo sembra essere confutato[101]. Per i teologi invece il problema è tutt'altro che secondario, perché la dottrina tradizionale sul peccato originale insegnava che esso fosse un peccato realmente e personalmente commesso, secondo il racconto genesiaco, da una coppia primitiva, dalla quale poi sarebbe stato trasmesso a tutti i discendenti; accettando la dottrina tradizionale, il poligenismo avrebbe allora implicato l'esistenza di uomini senza peccato originale. Anche Paolo VI, l'11 luglio 1966, pose ancora esplicitamente questo problema in un discorso che fu tenuto ai partecipanti ad un simposio organizzato dai rettori delle Università pontificie e tenutosi a Nemi[102]:

  « È evidente, perciò, che vi sembreranno inconciliabili con la genuina dottrina cattolica le spiegazioni che del peccato originale danno alcuni autori moderni, i quali, partendo dal presupposto, che non è stato dimostrato, del poligenismo, negano, più o meno chiaramente, che il peccato, donde è derivata tanta colluvie di mali nell’umanità, sia stato anzitutto la disobbedienza di Adamo «primo uomo», figura di quello futuro (Concilio Vaticano II, Costituzione Gaudium et spes, numero 22; confronta anche numero 13) commessa all’inizio della storia. Per conseguenza, tali spiegazioni neppur s’accordano con l’insegnamento della Sacra Scrittura, della Sacra Tradizione e del Magistero della Chiesa, secondo il quale il peccato del primo uomo è trasmesso a tutti i suoi discendenti non per via d’imitazione ma di propagazione, «inest unicuique proprium», ed è «mors animae», cioè privazione e non semplice carenza di santità e di giustizia anche nei bambini appena nati (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canoni 2-3). »
   

Paolo VI continuava inoltre il suo discorso esponendo ancora una particolare riserva su come conciliare l'evoluzionismo con la creazione dell'anima:

  « Ma anche la teoria dell’evoluzionismo non vi sembrerà accettabile qualora non si accordi decisamente con la creazione immediata di tutte e singole le anime umane da Dio, e non ritenga decisiva l’importanza che per le sorti dell’umanità ha avuto la disobbedienza di Adamo, protoparente universale (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canone 2). La quale disubbidienza non dovrà pensarsi come se non avesse fatto perdere ad Adamo la santità e giustizia in cui fu costituito (confronta Concilio Tridentino, sessione V, canone 1).  »
   

Come scrive Molari[103] «gli altri aspetti del problema a questo punto sono tutti scomparsi. Non passerà molto tempo che anche gli ultimi due scompariranno come problemi. Anzi, ad essere esatti, per la teologia essi erano già diventati insignificanti».

[modifica] L'azione di Dio nel Mondo e la creazione dell'anima

Per i teologi l'evoluzione era un aspetto particolare di un problema più generale, quello di capire come il più proceda dal meno, come una perfezione derivi da una causa inferiore[104]; nell'origine della vita si passa dalla materia inorganica alla vita vegetativa, poi dalla vita animale al corpo umano e alla creazione della sua anima. In tutti questi casi i teologi riconoscevano sempre che l'effetto eccedesse la causa, pertanto postulavano l'intervento speciale di Dio. In particolare (come già esposto al paragrafo su Ernest C. Messenger) i teologi ricorrevano alle nozioni di causa prima e causa principale.

Dio è innanzitutto causa prima, ovvero il fondamento di tutte le cose che vengono dette cause seconde. Ma nei casi in cui gli effetti eccedono le possibilità delle cause seconde, allora Dio interverrebbe come causa principale utilizzando le creature come cause strumentali, così come uno scultore (causa principale) utilizza uno scalpello (causa strumentale) per fare una statua[105]. Ma se in un primo tempo questo speciale intervento di Dio veniva considerato come un vero e proprio miracolo, in seguito tale concezione venne completamente abbandonata, e si accettò la lezione che l'intervento divino è invisibile ed in nessun modo può essere rilevato dai sensi[106], introducendo così il concetto di concorso evolutivo, così come spiegavano Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy (1969)[107]:

  « Dio non opera in questo modo dando colpi di pollice per supplire le cause create, e la riflessione ermeneutica ci ha insegnato che non ci sono argomenti teologici per un "intervento" che implichi l'interruzione della catena delle cause seconde. Il concetto di concorso creativo di Dio [...] può essere utilizzato per spiegare anche l'ominizzazione, ed in genere l'evoluzione dalle speci inferiori alle speci superiori. Dio opera, non parallelamente o successivamente all'azione dell'organismo generante, ma attraverso di essa, non supplendo una causalità deficiente, ma facendo sì che l'organismo generante possa esercitare una causalità, che supera la propria capacità naturale. Dio con il suo concorso evolutivo, agisce non solo come causa prima (facendo che la creatura agisca restando sul piano della propria essenza), ma anche come causa principale (che eleva la causa creata a produrre effetti non proporzionati ad essa. »
   

Ma in questo modo sparisce la distinzione tra causa prima e causa principale, ed esse divengono, in Dio, una cosa sola. L'azione di Dio nel cosmo non viene più vista come un intervento diretto, bensì essa diventa azione puramente creatrice e trascendente. Secondo questa nuova concezione «Dio non pruduce le cose,» scrive Molari[108], «ma fa sì che esse, attraverso rapporti, diventino e si sviluppino». Sempre Flick e Alszeghy scrivevano che[109]

  « Dio costruisce e guida il suo mondo senza interrompere o sostituire la serie delle cause seconde, quasi nascondendosi dietro a queste cause, a cui egli dà l'azione e l'efficiacia. »
   

Il cambiamento definitivo della concezione dell'azione di Dio nel mondo si ebbe con Karl Rahner[110]. Egli osservava[111] che per qualunque effetto osservato nel mondo si potesse, e si dovesse, cercare la causa nel mondo stesso, dal momento che Dio agisce sempre attraverso le cause seconde. Ma nel caso della creazione dell'anima, questa regola fondamentale verrebbe spezzata, e l'intervento divino verrebbe a collocarsi, in modo miracoloso, accanto alle creature anziché essere il loro fondamento trascendente. Per risolvere questo problema Rahner introdusse un nuovo modo di intendere il divenire che egli definì come[112] l'autotrascendimento dell'agente, operato da ciò che sta a un livello inferiore. Ogni divenire è partanto un superamento di sé stessi, che è possibile in quanto[113]

  « l'Essere assoluto ne è causa e fondamento originario in modo tale da costituire un intimo fattore, che questo automovimento ha in sé. Si ha perciò un vero autosuperamento e non un essere trasportati in maniera puramente passiva al di sopra di sé [...] Ogni causalità finita è tale in sé stessa proprio in forza dell'essere, che sempre essenzialmente la domina dall'interno e dall'alto. Di conseguenza si può attribuire all'ente finito in quanto mosso interiormente dall'essere assoluto la causalità capace di produrre qualcosa di superiore a sé stesso. »
   

L'autotrascendimento, così definito, è un processo che implica contemporaneamente continuità e discontinuità, infatti[114]

  « secondo la metafisica tomistica esistono diverse essenze solo come diversi gradi di limitazione dell'essere. Un'essenza inferiore perciò non si contrappone e diversifica per il contenuto positivo di essere da un'essenza superiore, ma solo per la sua partecipazione relativamente più limitata all'essere. »
   

In questa nuova prospettiva il problema della creazione dell'anima, anziché postulare l'intervento miracoloso di Dio, può essere risolto in un modo del tutto nuovo, infatti la materia[115]

  « è per la sua origine vicina allo spirito, è momento dello spirito, un momento del Logos eterno, quale egli è per sua libera scelta, ma effettivamente, per sempre. »
   

Di conseguenza[116]

  « l'evoluzione della materia verso lo spirito non è un concetto irrealizzabile. »
   

Non mancarono comunque posizioni più prudenti rispetto a qualle di Rahner, come ad esempio quella di Maurizio Flick e Zoltan Alszeghy[117] che cercarono di salvaguardare il senso ovvio dell'espressione "creazione immediata dell'anima". Essi distinsero tre gradi di creazione: 1) la creazione propriamente detta, in cui Dio non si serve di alcuna cosa preesistente; 2) il concorso ordinario, in cui Dio fa operare le cause seconde conformemente alle loro capacità; 3) il concorso creativo, in cui Dio agisce come causa principale facendo in modo che gli effetti siano superiori alle capacità delle cause seconde. Il concorso creativo interverrebbe quindi nella creazione dell'anima, in cui[118]

  « l'azione divina non ha per suo termine l'anima separata, ma l'uomo completo: l'uomo infatti non è un conglomerato di due sostanze complete, ma un unico soggetto incarnato [...] Il corpo umano non è la stessa materia inorganica che preesisteva e che era necessaria per la sua generazione; il corpo umano è la manifestazione dell'io e perciò, come unità dell'anima e del corpo, l'uomo non può venire che direttamente da Dio, senza alcun legame orizzontale col mondo biologico. »
   

Nel 1984, Carlo Molari concludeva la sua disamina[119] spiegando che l'espressione "Dio crea l'anima di ogni uomo" stia soltanto ad indicare «l'irripetibile individualità di ogni uomo, la relazione esclusiva che ogni uomo ha con il suo creatore», e non dice nulla sull'azione di Dio in sé. Nel 2002, in un importante documento della Commissione Teologica Internazionale, approvato dallo stesso Joseph Ratzinger (al tempo Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede), si riassumeva lo stato della teologia cattolica in merito al problema dell'anima e della sua creazione[120]:

  « Per mantenere l’unità di corpo e anima insegnata nella Rivelazione, il Magistero adotta la definizione dell’anima umana come forma substantialis. Qui il Magistero si è basato sull’antropologia tomistica che, attingendo alla filosofia di Aristotele, vede il corpo e l’anima come i princìpi materiali e spirituali di un singolo essere umano. Possiamo notare come tale impostazione non sia incompatibile con le più recenti scoperte scientifiche. La fisica moderna ha dimostrato che la materia, nelle sue particelle più elementari, è puramente potenziale e non ha tendenza alcuna verso l’organizzazione. Ma il livello di organizzazione nell’universo, nel quale si trovano forme altamente organizzate di entità viventi e non viventi, sottintende la presenza di una qualche «informazione». Un ragionamento di questo genere fa pensare a una parziale analogia tra il concetto aristotelico di forma sostanziale e il concetto scientifico moderno di «informazione». Quindi, ad esempio, il DNA dei cromosomi contiene le informazioni necessarie affinché la materia possa organizzarsi secondo lo schema tipico di una data specie o singolo essere. Analogicamente, la forma sostanziale fornisce alla materia prima quelle informazioni di cui ha bisogno per essere organizzata in un particolare modo. Questa analogia va presa con la dovuta cautela, in quanto non è possibile un raffronto diretto tra concetti spirituali e metafisici e dati materiali e biologici. »
   
  «  Con riferimento alla creazione immediata dell’anima umana, la teologia cattolica afferma che particolari azioni di Dio producono effetti che trascendono la capacità delle cause create che agiscono secondo la loro natura. Il ricorso alla causalità divina per colmare vuoti genuinamente causali, e non per dare risposta a ciò che resta inspiegato, non significa utilizzare l’opera divina per riempire i «buchi» del sapere scientifico (dando così luogo al cosiddetto «Dio tappabuchi»). Le strutture del mondo possono essere viste come aperte all’azione divina non disgregatrice in quanto sono causa diretta di certi eventi nel mondo. La teologia cattolica afferma che la comparsa dei primi membri della specie umana (singoli individui o popolazioni) rappresenta un evento che non si presta a una spiegazione puramente naturale e che può essere appropriatamente attribuito all’intervento divino. Agendo indirettamente attraverso catene causali che operano sin dall’inizio della storia cosmica, Dio ha creato le premesse per quello che Giovanni Paolo II ha chiamato "un salto ontologico [...], il momento di transizione allo spirituale". Se la scienza può studiare queste catene di causalità, spetta alla teologia collocare questo racconto della specifica creazione dell’anima umana all’interno del grande piano del Dio uno e trino di condividere la comunione della vita trinitaria con persone umane create dal nulla a immagine e somiglianza di Dio e che, a suo nome e secondo il suo piano, esercitano in modo creativo il servizio e la sovranità sull’universo fisico. »
   

Si vede ancora quindi come Dio è causa prima e causa principale, ma anche in quanto causa principale non agisce con interventi diretti e particolari. Dio agisce invece rimanendo dietro le cose, ed il salto ontologico dalla materia allo spirito avviene attraverso catene causali che comunque trovano il loro fondamento in Dio stesso. La creazione dell'anima è quindi un evento immediato (un salto), e tuttavia non è il prodotto di un intervento diretto di Dio, ma il risultato di un processo. «In questo evento del tutto singolare la causalità umana supera sostanzialmente i suoi propri limiti - l'autotrascendimento - in virtù dell'azione divina come fondamento trascendente delle causalità intramondane[121]».


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