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EVOLUZIONISMO E CHIESA CATTOLICA

Ultimo Aggiornamento: 01/03/2023 11:42
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24/04/2011 20:18
 
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Ernest C. Messenger

[modifica] La sintesi di Messenger

Il lavoro più importante sulle relazioni tra teologia ed evoluzione fu certamente[53], per la prima metà del XX secolo, quello del teologo Ernest Charles Messenger, Evolution and Theology: the problem of Man's origin (1932). In questo libro Messenger discute prima le evidenze scientifiche sulla generazione spontanea della vita e sull'evoluzione dell'essere umano, dopodiché le discute sotto il profilo esegetico e teologico. Nel capitolo finale del suo libro[54] egli stesso fornisce una sintesi dei risultati del suo lavoro.

Sulla generazione spontanea della vita, Messenger spiega che essa non ha alcuna evidenza scientifica, ma comunque non può essere completamente rigettata, per due motivi: il primo è che essa potrebbe essere avvenuta in condizioni fisiche completamente differenti da oggi; il secondo, e più importante motivo, è invece che in fondo non è possibile dimostrare scientificamente che la generazione spontanea non sia avvenuta, e pertanto la si potrebbe ammettere su base teologica piuttosto che su base scientifica, come, spiega Messenger, fecero i Padri della Chiesa ed i teologi fino al XIII secolo, quando poi, sulla base della fisica elaborata dagli scolastici, essa fu messa da parte.

Riguardo all'evoluzione delle specie in generale, Messenger afferma che ormai esistano un gran numero di prove, e che pertanto si deve ammettere che l'evoluzione sia avvenuta, anche se comunque c'è ancora da discutere molto sulle modalità. Ma riguardo all'evoluzione dell'uomo scrive che non esista alcuna prova davvero conclusiva, anche se ammette che comunque essa sia un'ipotesi scientifica molto convincente.

Comunque, dal punto di vista teologico, secondo Messenger la scrittura non dimostra né confuta la teoria dell'evoluzione del corpo umano; infatti spesso la scrittura attribuisce a Dio i risultati delle attività di cause seconde, e pertanto quando tali cause seconde non vengono nominate esplicitamente, ciò non dimostra che Dio non sia servito di esse; inoltre in Genesi 2, 7 sta scritto che Dio plasmò l'uomo con polvere del suolo e in Genesi 2, 19 che Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche, ma in Genesi 1, 24 sta anche scritto che la terra produca esseri viventi secondo la loro specie, e pertanto non è possibile provare che l'uomo non sia stato prodotto da forze attive in natura.

Ad ogni modo Messenger afferma che in tutta la tradizione cattolica non esista un accordo sul fatto che l'uomo sia stato o meno prodotto con il concorso di cause seconde, e, pertanto, che questo sia un problema ancora aperto sul quale la Chiesa non ha ancora una posizione. Per Messenger i teologi che rigettano l'evoluzione dell'uomo si basano essenzialmente su una lettura troppo letteralista della Genesi, che non trova sufficiente sostegno nella tradizione. Comunque Messenger dichiara[55] che, allo stato attuale, i cattolici sono, individualmente, liberi di accettare l'evoluzione dell'uomo.

A questo punto Messenger tenta di sviluppare una dimostrazione del fatto che Dio si sia servito di cause seconde nella formazione del corpo umano, utilizzando il criterio scotista secondo cui Dio potuit, decuit, ergo fecit (Dio poteva, ciò era conveniente, dunque fece).

Il primo punto (potuit) è evidente, essendo Dio onnipotente, e non necessita di essere sviluppato. Il secondo (decuit) è più complesso; Messenger tenta di dimostrarlo utilizzando quello che lui definisce Principio del Naturalismo Cristiano secondo cui Dio fa uso di cause seconde ogniqualvolta ciò sia possibile; a sostegno di questo Messenger cita i due seguenti passi dalla Summa Contra Gentiles di San Tommaso d'Aquino[56]:

  « È incompatibile con la sapienza che ci sia qualcosa di inutile nelle opere del sapiente. Ora, se le cose create non avessero nessun influsso nel produrre gli effetti, ma fosse Dio a compiere ogni cosa immediatamente, sarebbe inutile che egli si servisse di altre cose per produrre degli effetti. Dunque tale opinione è incompatibile con la sapienza di Dio. »
   
  « Chi dà a qualcuno ciò che è principale gli comunica anche tutte le proprietà che ne derivano: la causa, per esempio, che dà a un corpo la gravità, gli dà pure il moto verso il basso. Ora, il fare o rendere in atto deriva dall'essere in atto, com'è evidente in Dio stesso: egli infatti è l'atto puro (di essere), ed è insieme causa prima dell'essere in tutte le cose, come abbiamo visto. Quindi, se egli, producendole, ha comunicato ad altre cose la propria somiglianza quanto all'essere, è logico che abbia loro comunicato la propria somiglianza quanto all'agire, in modo che anche le cose create abbiano le proprie azioni. »
   

Messenger spiega poi che esistono diversi gradi nella causalità; uno scultore è la causa principale della statua che egli produce con uno scalpello, ed i genitori sono la causa principale dei figli; ma non è lecito affermare in senso stretto che lo scalpello sia la causa della statua e le forme embrioniche quella dei bambini. Pertanto è sempre necessario, per ogni effetto, risalire alla causa principale, e non limitarsi alle cause secondarie e strumentali; queste ultime non agiscono soltanto tramite le proprie forze, ma anche attraverso le virtù conferite loro dalla causa principale. Quindi, pur ammettendo la partecipazione di cause naturali ed organiche nella formazione del corpo dell'uomo, si deve comunque ammettere lo speciale intervento divino.

(EN)
« The production of the first human body was an effect out of proportion to any organic cause then existing on the earth, for the human body is specifically different from, and superior to, any other body,[...]. Hence its production, though brought about through the instrumentality of created organic causes, could not strictly be attributed to those causes, but (inasmuch as we have good reasons for excluding angelic agency) only to God Himself.[57] »
(IT)
« La produzione del primo corpo umano fu un effetto sproporzionato per qualunque causa organica al tempo esistente sulla terra, per via del fatto che il corpo umano è specificamente diverso, e superiore, a qualsiasi altro corpo [...]. Pertanto la sua formazione, sebbene portata avanti utilizzando come strumenti le cause organiche create, non potrebbe essere strettamente attribuita a tali cause, ma (dato che abbiamo buone ragioni per escludere interventi angelici) soltanto a Dio stesso. »
 

Sull'ultimo punto (ergo fecit) Messenger lascia un punto interrogativo. Egli si dichiara incline a concludere definitivamente che Dio si sia servito di cause seconde, e quindi dei meccanismi evolutivi, per formare il corpo dell'uomo, tuttavia, prudentemente, sospende il giudizio in attesa che il Magistero della Chiesa cattolica fornisca delle indicazioni più certe.

Molto più problematica, sotto il profilo scientifico, risulta invece essere la spiegazione che Messenger fornisce[58] della creazione di Eva dal corpo di Adamo[59]. Messenger ipotizza infatti che Eva avrebbe potuto esser stata creata per partenogenesi da Adamo, ma questa spiegazione scientificamente è assurda ed inconcepibile. Messenger riconosce la difficoltà e pertanto è costretto ad appoggiarsi pesantemente all'onnipotenza divina.

[modifica] Il dibattito successivo al lavoro di Messenger

Le tesi di Messenger stimolarono moltissimo la discussione sull'evoluzionismo che, nel mondo cattolico, incontrava pian piano sempre maggiore approvazione. Diverse furono le pubblicazioni che seguirono al libro di Messenger da parte di autori cattolici favorevoli all'evoluzionismo, e nessuno di questi testi fu mai censurato.[60]

Nel febbraio 1932 il reverdo P. G. M. Rhodes scrisse una recensione al libro di Messenger pubblicata sulla rivista Clergy review[61]. Rhodes continuava a dichiararsi scettico riguardo alla creazione del corpo umano attraverso cause secondarie, tuttavia ammetteva che se il testo di Messenger avesse continuato a diffondersi senza censure, allora sarebbe davvero stato necessario concludere che l'evoluzionismo, anche applicato al corpo umano, fosse teologicamente accettabile. Egli esaminò inoltre un migliaio di testi scritti dagli studenti di quasi tutte le scuole cattoliche inglesi, e ne trasse la conclusione che ormai l'evoluzionismo stava diventando un'opinione accettata da quasi tutti.

Anche il reverendo R. W. Meagher, docente di teologia dogmatica all'Ushaw College, scrisse nel marzo del 1932 una recensione a Messenger sulla rivista Ushaw Magazine[61]. Meagher apprezzava il libro di Messenger, tuttavia spiegava che il riferimento ai Padri della Chiesa sulle questioni evoluzionistiche non era molto sensato; infatti, secondo Meagher, gli antichi Padri non avevano alcuna idea dell'evoluzione, e pertanto non c'era senso nel citarli per discutere di questioni scientifiche a loro completamente estranee. Secondo Meagher in pratica, sarebbe stato inutile cercare nella tradizione dei punti di riferimento per discutere dell'evoluzionismo; questo era una moderna scoperta, e pertanto avrebbe potuto essere accettata dai cattolici solo su basi scientifiche, senza considerare le implicazioni teologiche.

John O'Brien, un professore della Newman Foundation presso l'Università dell'Illinois, pubblicò nel 1932 il libro Evolution and religion[62]. In questo libro egli riportò il dato secondo cui, tra tutti gli scienziati in qualche modo implicati con la teoria dell'evoluzione, ormai il 91% la accettasse. O'Brien, citando la Providentissimus deus e lo stesso Galileo ribadì ancora che la Bibbia non abbia lo scopo di insegnare proposizioni scientifiche, e che non avesse più alcun senso continuare ad opporla all'evoluzionismo. Grazie alle scoperte scientifiche, era accettato da tutti, ad esempio, che i sei giorni della creazione non fossero da intendersi letteralmente, e quindi un'interpretazione allegorica poteva ormai essere ammessa anche per la formazione dell'uomo. Secondo O'Brien una reinterpretazione flessibile della Genesi si rendeva ormai più che necessaria.

Nel libro Religion and evolution since 1859 (1939)[63], Mary Frederick, una suora, tentò di stabilire quale fosse il grado di accettazione dell'evoluzionismo nel mondo cattolico. Un'analisi accurata era impossibile, tuttavia la Frederick fece alcune osservazioni: dai tempi di John Henry Newman erano ormai pochi gli scienziati cattolici con buone competenze di filosofia; quasi tutti gli apologisti cattolici che scrivevano di evoluzione non erano tanto interessati alla discussione scientifica, ma solo alla difesa ad oltranza della loro religione; l'ostilità dei cattolici all'evoluzionismo derivava soprattutto dalle interpretazioni filosofiche di tipo materialistico ed ateo; da quando le teorie di Darwin erano state introdotte, la filosofia cattolica non era cambiata di nulla riguardo alle idee di Dio, della creazione, dell'origine dell'uomo, dell'anima e del peccato originale. Tutti questi fattori ostacolavano l'accettazione dell'evoluzionismo che, secondo la Frederick, era ancora rifiutato dalla maggior parte dei cattolici. Tuttavia ammetteva che un cambiamento era in corso, e che con il tempo sempre più cattolici avrebbero assunto un'opinione positiva della teoria dell'evoluzione.

[modifica] Ulteriore sviluppo del pensiero di Messenger

Nel 1951 Ernest C. Messenger pubblicò il volume Theology and evolution, seguito del precedente Evolution and theology. In questo volume cercava di analizzare come, dalla pubblicazione del primo testo, fosse cambiato l'atteggiamento cattolico verso l'evoluzione. Messenger osserva che il suo primo testo non aveva subito alcuna censura e che la Santa Sede aveva di fatto assunto l'atteggiamento di aspettare e vedere come procedessero le cose; ad indicare che comunque a Roma si stava pian piano assumendo una posizione più favorevole all'evoluzionismo, Messenger porta come esempio la terza (1940) e quarta edizione (1948) del Tractatus de Deo Creante del gesuita Charles Boyer, utilizzato come libro di testo alla Pontificia Università Gregoriana, nel quale l'autore passava da una posizione di rifiuto dell'evoluzionismo ad un atteggiamento aperto ad accoglierlo.

Messenger spiega inoltre che, con il proseguire delle ricerche, sempre più prove fossero emerse a sostegno dell'evoluzione di piante e di animali, e pertanto risultava sempre più plausibile l'applicazione della teoria anche al corpo umano. Anche il vecchio argomento degli anelli mancanti cominciava a diventare debole, dato che ritrovamenti come quello dell'Uomo di Giava e dell'Uomo di Pechino fornivano le prove dell'esistenza di antenati dell'Homo sapiens.

Messenger torna a discutere anche la creazione di Eva, ma di fatto non riesce a proporre un'ipotesi più attendibile di quella esposta nel primo volume.

Quando Theology and evolution era ancora in fase di stampa, Messenger venne a sapere che Papa Pio XII stava per pubblicare l'enciclica Humani generis, nella quale avrebbe parlato anche dell'evoluzionismo; si affrettò così ad apportare una modifica al testo nella quale dichiarava che si sarebbe completamente rimesso ai pronunciamenti del Papa, nel caso in cui questi fossero stati in contrasto con le sue tesi.

[modifica] Il pensiero di Pierre Teilhard de Chardin

Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi la voce Pensiero di Teilhard de Chardin.

Il padre gesuita Pierre Teilhard de Chardin (1881 - 1955), che fu un importante paleontologo, espose la sua concezione dell'evoluzione nell'opera Il fenomeno umano, scritta tra il 1938 e il 1940, rivista tra il 1947 e il 1948, ed infine pubblicata postuma nel 1955.

Lo scopo dichiarato di quest'opera[64] non è quello di essere una trattazione metafisica o teologica, bensì quello di fornire una descrizione scientifica dell'uomo e al tempo stesso descriverne il suo posto all'interno della natura. L'autore si ripropone di restare sempre e solo sul piano scientifico e fenomenologico (il fenomeno umano appunto), ma volendo descrivere l'uomo in rapporto con la totalità del cosmo, inevitabilmente il discorso deve sfociare sul piano filosofico e religioso.

Teilhard parte dal considerare la materia, che egli definisce la stoffa delle cose[65]. La materia è caratterizzata dalla pluralità dei suoi atomi e al tempo stesso dalla capacità di questi di interconnettersi; queste interconnessioni producono mano mano diverse strutture secondo una gerarchia di complessità crescente, e alla conoscenza scientifica l'universo appare così come un tutto (totum) in cui l'ordine, il disegno, è visibile solo nell'insieme. Per Teilhard questo ordine però è comprensibile solo dall'alto, e sfugge invece a chi volesse indagarlo partendo dal basso, ciò guardando direttamente agli atomi e alle loro interconnessioni.

La coscienza emergerebbe poi dalla stessa materia organizzata oltre un certo livello di complessità[66]. In questo modo la coscienza sarebbe allora completamente indagabile come fenomeno rilevabile scientificamente; ma in realtà per Teilhard, oltre alle condizioni chimico-fisiche che rappresentano l'esterno delle cose, esiste anche un'energia spirituale che ne rappresenta l'interno; dietro la coscienza dell'uomo vi sarebbe quindi un principio trascendente (e quindi non sondabile scientificamente) che organizza la materia e prepara, appunto, l'emergere della coscienza.

Per Teilhard l'evoluzione degli esseri viventi è certamente un dato di fatto, ma essa non è un prodotto del caso, come vorrebbero i darwinisti, bensì sarebbe orientata[67], pur non essendo ancora tale direzionalità rigorosamente dimostrata dal punto di vista scientifico. Teilhard fornisce comunque degli argomenti, e prende in considerazione l'organizzazione della materia, i cui progressi successivi si accompagnano interiormente, come possiamo constatare, a un accrescimento e a un approfondimento continuo di coscienza.

Il parametro fisico che caratterizza l'evoluzione diventa allora il grado di cerebralizzazione:

  « Sì, certo, negli organismi viventi esiste un meccanismo prescelto per l'attività della coscienza; è sufficiente guardare in noi stessi per scoprirlo: si tratta del sistema nervoso. Noi cogliamo concretamente una sola interiorità al Mondo: la nostra, in modo diretto; e contemporaneamente, per immediata equivalenza, grazie al linguaggio, anche quella degli altri. Ma abbiamo le migliori ragioni di ritenere che esista, anche negli animali, una certa interiorità, approssimativamente commisurabile alla perfezione del loro cervello. Cerchiamo dunque di suddividere i viventi in base al grado di «cerebralizzazione». Cosa succede? — Un ordine, l'ordine stesso che noi desideravamo, si stabilisce, — ed automaticamente. »
   

Teilhard passa allora ad analizzare lo sviluppo del sistema nervoso e del cervello nelle varie specie animali e conclude dicendo:

  « Potremmo continuare all'infinito quest'analisi. Ma ciò che ho detto è sufficiente a indicare con quale facilità, se il filo è afferrato dalla parte giusta, la matassa si lascia districare. Per ovvie ragioni di comodità i naturalisti sono indotti a classificare le forme organizzate in base a certe variazioni negli elementi ornamentali oppure a certe modificazioni funzionali dell'apparato osseo. La loro classificazione, che segue processi ortogenetici riguardanti la colorazione delle ali, o la disposizione delle membra, o il disegno dei denti, è in grado di individuare i frammenti, o persino lo scheletro di una struttura nel mondo vivente. Ma poiché le linee così tracciate esprimono solo alcune armoniche secondarie dell'evoluzione, l'insieme del sistema non assume né volto né movimento. Al contrario, non appena la misura (o parametro) del fenomeno evolutivo viene ricercata nell'elaborazione del sistema nervoso, non solo la moltitudine dei generi e delle specie acquisisce un ordine, ma l'intera rete dei loro verticilli, dei loro strati, delle loro branche, si erge come un fascio vibrante. Non solo una ripartizione delle forme animali secondo il loro grado di cerebralizzazione coincide esattamente con i modelli imposti dalla Sistematica, ma conferisce inoltre all'Albero della Vita un rilievo, una fisionomia, uno slancio nei quali è impossibile non riconoscere l'impronta della verità. Una coerenza così perfetta, — e, aggiungiamo pure, tanta facilità, tanta inesauribile fedeltà e tanta potenza evocatrice in questa coerenza, — non possono essere effetto del caso. Tra le infinite modalità in cui si disperdono le complessificazioni vitali, la differenziazione della sostanza nervosa spicca, così come la teoria lo faceva prevedere, come una trasformazione significativa. Conferisce un senso, — e di conseguenza dimostra che vi è un senso nell'Evoluzione»
   

Dopo la comparsa dell'uomo, l'evoluzione diventa anche evoluzione culturale; nei capitoli successivi Teilhard definisce così la Noosfera, ovvero l'insieme delle conoscenze umane, l'informazione globale, che si organizza e cresce in complessità, e all'interno della quale si inserisce ogni azione e pensiero individuale; la Noosfera è frutto e completamento della biosfera. Il motore dell'evoluzione della Noosfera è il Punto Omega, ovvero il punto di convergenza naturale dell'umanità; esso è di natura trascendente e si rivolge contemporaneamente e Dio e al mondo, costituendo quindi il legame tra l'umanità e Dio.

Nell'Epilogo de Il fenomeno umano Teilhard spiega allora il valore e la funzione del Cristianesimo, e come questo si concili perfettamente con la visione evolutiva del mondo precedentemente sviluppata. Il Punto Omega si identifica così con il Cristo che ha lo scopo di riunire l'umanità e condurla a Dio. Scrive Teilhard:

  « Per ragioni di praticità, e forse anche per timidezza intellettuale, la Città di Dio è troppo sovente descritta, nei libri di spiritualità, in termini convenzionali e puramente morali. Dio e il mondo che Egli governa: una vasta associazione di essenza giuridica concepita sul modello di una famiglia o di un governo. Ben altra è la prospettiva di fondo alla quale si alimenta e dalla quale scaturisce sin dalle origini la linfa cristiana. Per un falso evangelismo, si crede spesso di onorare il cristianesimo riducendolo ad una qualche dolce filantropia. Significa capir nulla dei suoi “misteri” non vedervi la più realistica e la più cosmica delle fedi e delle speranze. Una grande famiglia, il regno di Dio? Sì, in un certo senso. Ma anche, in un altro senso, una prodigiosa operazione biologica, quella dell'Incarnazione redentrice.

Creare, completare e purificare il mondo, come già leggiamo negli scritti di Paolo e di Giovanni, ha per Dio il significato di unificarlo unendolo organicamente a sé. Ora, come procede per unificarlo? Si immerge parzialmente nelle cose, si fa “elemento” e, successivamente, grazie al punto di appoggio trovato interiormente nel cuore della materia, assume la direzione e si mette alla testa di ciò che noi, ora, chiamiamo l'evoluzione. Principio di universale vitalità, il Cristo, per il fatto di essere sorto uomo tra gli uomini, si è messo in posizione di poter piegare — e da sempre sta difatti piegando — sotto il suo dominio, epurandola, dirigendola e superanimandola, l'ascesa generale delle coscienze nella quale si è inserito. Mediante una perenne azione di comunione e di sublimazione, Egli si aggrega l'intero psichismo della terra. E allorché avrà in questo modo radunato tutto e trasformato tutto, raggiungerà in un gesto finale il Focolaio divino dal quale non è mai uscito, e si racchiuderà così su se stesso e sulla sua conquista. E allora, dice San Paolo «non ci sarà più che Dio, tutto in tutti». Forma superiore di “panteismo”, in verità, senza traccia avvelenata di mescolanza né di annientamento. Attesa di perfetta unità, nella quale, per il fatto stesso della propria immersione, ogni elemento troverà, contemporaneamente all'universo, la sua consumazione.

L'universo che si compie in una sintesi di centri, in perfetta conformità con le leggi dell'unione. Dio, Centro di centri. In questa visione culmina il dogma cristiano. Ciò s'inquadra così esattamente e così bene con il Punto Omega che probabilmente non avrei mai osato prospettarne o formularne razionalmente l'ipotesi se, nella mia coscienza di credente, io non ne avessi trovato, non solo il modello speculativo, ma la realtà vivente. »
   

[modifica] La ricezione del pensiero di Teilhard de Chardin da parte della Chiesa

L'interpretazione del pensiero di Teilhard de Chardin ha comportato notevoli problemi per i teologi[68]. Teilhard elabora, senza dubbio, una visione profondamente cristiana della natura, muovendosi tra risultati scientifici, testi biblici e teologia; per fare questo egli elabora un linguaggio nuovo, facendo uso di neologismi e metafore, e spostando spesso sul piano metafisico e teologico termini e concetti prettamente scientifici. Questo è il motivo per cui i teologi, formati sulla metafisica e sulla teologia classica, hanno trovato molta difficoltà ad interpretare i testi di Teilhard e a verificarne l'ortodossia. Teilhard restò sempre, indubbiamente, cristiano e cattolico, ma lo studio e l'esposizione dei suoi testi richiede, per la Chiesa, particolare prudenza.

Per questi motivi, durante la sua vita, Teilhard fu oggetto di alcuni provvedimenti disciplinari all'interno della Compagnia di Gesù, che gli impedirono di insegnare materie di tipo filosofico o teologico e di pubblicare testi su questi argomenti. Nel 1962 il Sant'Uffizio pubblicò il seguente Monitum[69]:

  « Certe opere del P. Pietro Theilard de Chardin, comprese anche alcune postume, vengono pubblicate ed incontrano un favore tutt'altro che piccolo (affatto disdicevole). Indipendentemente dal dovuto giudizio in quanto attiene alle scienze positive, in materia di Filosofia e Teologia si vede chiaramente che le opere menzionate racchiudono tali ambiguità ed anche errori tanto gravi, che offendono la dottrina cattolica. Di conseguenza, gli Eccellentissimi e Reverendissimi Padri della Suprema Congregazione del Santo Ufficio esortano tutti gli Ordinari e i superiori di Istituti Religiosi, i Rettori di Seminari e i Direttori delle Università, a difendere gli spiriti, particolarmente dei giovani, dai pericoli delle opere di P. Theilard de Chardin e dei suoi discepoli. - Dato in Roma, nel Palazzo del Santo Ufficio, il 30 giugno 1962 »
   

Il Monitum non specifica quali siano effettivamente gli errori e le ambiguità, ma si può ipotizzare[68] che si riferisse ad una possibile visione panteistica, ad una insufficiente separazione ontologica tra materia e spirito, ad un'idea determinista dell'incarnazione e ad un'errata comprensione del peccato originale.

Il cardinale Henri-Marie de Lubac tentò di esporre e di sintetizzare il pensiero di Teilhard de Chardin in un libro pubblicato nel 1962[70], al termine del quale si dichiarò convinto di aver mostrato la perfetta ortodossia dello scienziato gesuita. Questo giudizio tuttavia non fu unanimemente condiviso, come spiegato in un articolo de L'Osservatore Romano del 30 giugno 1962[71] che riportò anche il Monitum.

Papa Paolo VI invece, in una sua allocuzione del 1966[72], di Teilhard de Chardin disse

  « ... che ha dato una spiegazione dell’universo e, tra tante fantasie, tante cose inesatte, ha saputo leggere dentro le cose un principio intelligente che deve chiamarsi Iddio. »
   

Nel 1981, il Cardinale Segretario di Stato Agostino Casaroli, in una lettera[73] a monsignor Paul Poupard e riportata da L'Osservatore Romano, parla di Teilhard de Chardin:

  « Una forte intuizione poetica del valore profondo della natura, una percezione acuta del dinamismo della creazione, un’ampia visione del divenire del mondo s’intrecciavano in lui con un innegabile fervore religioso. »
   

ed aggiunge:

  « Senza dubbio il nostro tempo ricorderà, al di là delle difficoltà della concezione e le deficienze dell’espressione di questo audace tentativo di sintesi, la testimonianza della vita tutta di un pezzo di un uomo afferrato da Cristo nel profondo del suo essere, e che ha avuto la preoccupazione di onorare nello stesso tempo la fede e la ragione, rispondendo quasi in anticipo a Giovanni Paolo II: “Non abbiate paura, aprite, spalancate le porte a Cristo, gli immensi campi della cultura della civiltà, dello sviluppo”. »
   

Dopo questa lettera, in un articolo de L'Osservatore Romano dell'11 luglio 1981, la sala stampa della Santa Sede spiegò che le parole di Agostino Casaroli non dovessero essere intese come una completa riabilitazione di Teilhard de Chardin e che diversi aspetti problematici del suo pensiero non erano ancora stati chiariti.

Ancora oggi la discussione resta aperta e, come spiega Giuseppe Tanzella Nitti[68],

  « il credente che desideri accostarsi alle opere di Teilhard lo faccia dall'interno di un quadro teologico nel quale una precisa conoscenza dei principali contenuti della Rivelazione non solo lo protegga dall'estrapolare o dal fraintendere il pensiero dell'Autore, ma possa addirittura aiutarne una comprensione matura, chiarendo ciò che nel linguaggio esperienziale e mistico del pensatore gesuita potrebbe restare dogmaticamente incompiuto. Sarà probabilmente il tempo a dirci, come avvenuto in occasione di altri autori, se una nuova contestualizzazione del pensiero di Teilhard potrebbe mutarne il sobrio ma significativo giudizio disciplinare, e su quali aspetti della sua sintesi intellettuale i Pastori della Chiesa vorranno eventualmente intervenire, se lo riterranno opportuno, con ulteriori indicazioni. »
   


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