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La Donna e il Drago (da Apoc 12)

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2011 22:23
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15/04/2011 22:16
 
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Al contrario, invece, per Nestorio, la dualità delle nature è anche dualità di "persone":
Cristo non è un'unica persona divina (in due nature), ma è semplicemente un uomo, una persona
umana, eletta da Dio, della quale Dio si è particolarmente compiaciuto, in strettissima "unione"
("synàfeia") con lui; ma Cristo non è Dio; bensì Dio (Verbo) è in Cristo come nel suo tempio. Si
percepisce la concretezza ela storicità dell'umanità di Cristo, ma si ignora l'unione ipostatica:
cristologia "eraclitea".
Quanto invece all'eutichianismo, esso si presta sia ad una cristologia monofisita, sia ad una
cristologia evoluzionista-storicista, che precorre già di moltissimi secoli la cristologia dell'idealismo
storicistico tedesco. Eutiche infatti ammette una distinzione reale iniziale fra le due nature di Cristo,
prima dell'Incarnazione; tuttavia, per lui l'Incarnazione non consiste nel fatto che il Verbo divino,
restando identico con se stesso, assume l'umanità di Cristo in unione ipostatica con lo stessoVerbo,
ma consiste nel fatto che il Verbo "diviene" l'uomo Cristo.
Eutiche interpreta il detto Giovanneo "il Verbo si fece carne" ("o Logos sarx eghèneto") in
un senso evoluzionistico e trasformista, come se la natura divina mutasse, cambiasse e si
mescolasse o identificasse, perdendo la propria identità, con la natura umana, la quale pertanto
assume attributi divini.
In Eutiche quindi, viene a mancare una rigorosa e logica distinzione fra attributi umani e
attributi divini, per cui si ha un "Dio", come abbiamo visto, che non è più Dio, essendo limitato
dagli attributi della creatura (come per esempio il divenire e la sofferenza). Questa idea che Dio (o il
Verbo o il Padre) possa "soffrire" non è nata con i kenotici protestanti e con certi loro seguaci
cattolici dei nostri giorni, ma appare fin dalle origini del cristianesimo, ed è stata, nei secoli,
moltissime volte condannata dalla Chiesa, ma semure regolarmente è rinata con un'incredibile
ostinazione o ignoranza delle precedenti condanne2. Indubbiamente ciò non pregiudica
assolutamente la "communicatio idiornatum" o comunicazione dei predicati, ( per es.: "Dio muore
in croce", Maria è la Madre di Dio, "Gesù è il creatore del mondo", ecc.), una volta che si ha chiara
la distinzione degli attributi delle due nature.
Certamente, una delle maggiori difficoltà non solo della cristologia, ma anche della
triadologia dei primi secoli, fu quella di distinguere adeguatamente "natura" e "persona". Tale
difficoltà si mostrò non solo nelle eresie cristologiche che confondevano natura e persona
(monofisismo e nestorianesimo), ma anche in campo trinitario col "mnodalismo", per il quale 1a
persona non è più una sussistenza distinta, ma l'apparire o modo d'essere o di sussistere dell'unica
persona-natura divina sussistente: l'eccessivo timore del triteismo portava ad assegnare la
sussistenza solo alla natura (unica) di Dio e la toglieva alla sussistenza delle persone, che cosi
diventavano in qualche modo tre "accidenti" o manifestazioni di un unica sostanza-persona divina:
il Dio Uno.
Mentre il modalismo si sposa bene col monofisismo-monismo-docetismo cristologico, per
la comune radice parmenideo-plotiniana dell'Uno assoluto negatore della molteplicità e del valore
ontologico del finito, la tendenza triteista, segno di una grossolana mancanza di pensiero
speculativo, va più d'accordo con la cristologia nestoriana, anche se questa è indubbiamente più
sensibile ai valori della storia, dell'umano e del molteplice ("pluralismo").
Una prova molto difficile, in fatto di eresia, per la Chiesa dei primo secoli, è stato il caso di
Origene3, uomo dottissimo e di santa vita, ma involontariamente sedotto dal dualismo platonico e
forse persiano, assorbito dal suo maestro Ammonio Sacca alla scuola di Alessandria, insieme col
2 Ho presentato in ordine storico gli insegnamenti della Chiesa su questa materia, criticando gli attuali errori contrari,
nel mio studio Il mistero dell'impassibilità divina" in Divinitas, 2, 1995, pp.111-167.
3 Su Origene, cf H.Crouzel, "Origene", Borla, Roma 1986; F.Cocchini, "Origene. Teologo ed esegeta per un'identità
cristiana", EDB, Bologna 2006.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
3
suo condiscepolo Plotino. Il dualismo e il monismo sono le due forme principali dello gnosticismo,
che sempre sono state e tuttora sono una pericolosissima e insidiosissima tentazione per la teologia
cattolica, data l'apparente spiritualità della quale sanno fanno mostra.
Entrambi le visioni non riescono a coordinare Dio e il mondo a causa della mancanza di una
concezione analogico-pluralista dell'essere, e della soggezione ad una concezione monistico-
assolutista-univocista, per la quale il pensiero è posto davanti a quest'unica alternativa, le cui due
possibilità sono entrambe false e assurde: o si distingue Dio e il mondo, e allora il mondo diventa
negazione di Dio; per cui, se Dio è buono, il mondo sarà male (oppure, come accadrà per il
dualismo ateo moderno: se il mondo è buono, Dio sarà cattivo); oppure si vuol mantenere l'unità e
la identità dell'essere, ma allora si sarà costretti a identificare Dio col mondo, e si ha il panteismo
(oppure, come avverrà per l'ateismo moderno, si identificherà il mondo con Dio, divinizzando il
mondo e negando Dio, almeno il Dio trascendente realmente distinto dal mondo).
L'influsso dualista, riconducibile al platonismo ma ancor più al lo zoroastrismo persiano4,
si fa sentire già prestissimo nella teologia cristiana con Marcione, che distingue, come è noto, il Dìo
"malvagio" dell'Antico Testamento creatore del mondo, del corpo umano e della materia, dal Dio
del Nuovo Testamento, il Dio di Cristo, che sarebbe il Dio buono, alla cui sostanza appartiene
l'anima umana.
Queste idee provenienti da Zoroastro, saranno poi riprese nel sec.III da Mani5, la cui
posizione ereticale sarà ancora più spinta, per il fatto che mentre Marcione si considerava semplice
esegeta delle Scritture, Mani si considera - in modo simile a quanto farà Maometto - emissario del
Paracleto come "apostolo di Gesù Cristo, apostolo dell'ultima generazione e suggello dei profeti",
quasi a completare la stessa rivelazione di Cristo, per cui si mise in contrapposizione con la
gerarchia cattolica, come se essa non fosse l'autentica interprete e custode del messaggio
evangelico.
Il dualismo manicheo darà quindi luogo ad una forma di panteismo col concepire l'anima
della stessa sostanza divina, mentre d'altra parte, per un malinteso modo di scagionare Dio
dall'accusa di essere l'autore del male, finirà col concepire il principio del male come una sostanza
essa stessa malvagia - il "diavolo" -, increata e indipendente da Dio, quindi, alla fine, appunto come
vediamo già in Marcione, un Dio "cattivo" accanto al Dio "buono".
Queste due linee di pensiero confluiranno poi nei secoli seguenti, attraverso la setta dei
bogòmili6 operanti in Bulgaria, nella famosa setta dei càtari7, che si diffuse soprattutto nella Francia
meridionale e nell'Italia settentrionale. L'antropologia catara ammette l'esistenza di una categoria di
persone, i cosiddetti "perfetti" o "puri" (catari dal gr. "katharòs"=puro), i quali, assumendo il
battesimo ("consolamentum"), esprimono la loro unità con la sostanza divina nella loro
impeccabilità, per la quale ad essi (come a Dio) tutto è permesso, e nella convizione di possedere
una scienza (divina) della salvezza superiore a quella comunicata dalla Chiesa cattolica.
Questa idea dell'uomo o dell'anima non semplicemente "simile" a Dio, ma identica a Lui, la
si ritrova nella letteratura kabbalistica, particolarmente fiorente in Francia proprio nel periodo di
maggiore espansione del catarismo (sec.XIII), dove si parla appunto di un "Adàm kadmòn"8, -
fraintendimento della biblica felicità edenica - un Uomo divino originario, che costituisce la
4 Cf F.Romano, "La religione di Zarathustra", Xenia Edizioni, Milano 1998.
5 Sul manicheismo, vedi: H.-J. Polotsky, "Il manicheismo, gnosi di salvezza tra Egitto e Cina", Il Cerchio Iniziative
Editorialei, Rimini 1996.
6 Cf A.Rigo, "Monaci esicasti e monaci bogomili", Leo Olschki Editore, Firenze 1989.
7 Cf M.H.Vicarie, "Cathares en Languedoc", Privat, Toulouse 1968; AA.VV. "Eresia catara come problema
storiografico" di R.Manselli, in AA.VV., "Eresia medievale", Il Mulino, Bologna 1971; Raynerius Sacconi, OP,
Summa de Catharis, a cura di Franjo Sanjek, in Archivum Fratrum Praedicatorum, 44, 1974; "Rituel catare", a cura di
C.Thouzellier, Cerf, Paris 1977; J.Douvernoy, "Le catharisme", Privat, Toulouse. Tomo I, "La religion", 1976; Tomo
II, "L'histoire", 1979; R.Manselli, "L'eresia del male", Morano, Napoli 1980; R.Nelli, "Le phénomène cathare",
Presses Universitaires de France,Paris 1964; ristampa Privat, Toulouse 1982; A.Brenon, "I Catari. Storia e destino dei
veri credenti", Convivio/Cardini Editore 1990; L.Flöss, "I Catari. Gli eretici del male", Xenia Edizioni, Milano 1999.
8 Sulla questione dell'Adamo Kadmòn, cf G.Scholem, "Le origini della Kabbalà", Edizioni Dehoniane, Bologna 1980.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
4
condizione della purezza umana originaria, che deve essere recuperata per mezzo di una. presa di
coscienza della propria origine divina ed un'opportuna ascesi che comporta un'interpretazione
rigoristica dell'etica evangelica, che insisteva soprattutto sulla povertà.
Come è avvenuto altre volte della storia della teologia, le eresie di Origene non furono
subito individuate con certezza dall'autorità ecclesiale, benché egli subisse critiche già da quand'era
in vita; ma perché l'autorità facesse piena chiarezza, si dovette giungere al sec.VI, e da allora Roma
lo condannò più volte.
Il difetto più grave dell'origenismo consiste nel suddetto dualismo, che certamente non è
così spinto come nel manicheismo, ma che tuttavia risente del dualismo platonico, per il quale, se le
anime non sono proprio della sostanza divina, tuttavia preesistono ai corpi sin dalla fondazione del
mondo e si trovano nei corpi a causa del peccato originale, per cui Origene si trova in difficoltà
quando deve spiegare il dogma della resurrezione della carne ed elabora una teoria del corpo
glorioso che non si distingue più dallo spirito.
Inoltre in Origene esiste anche una forte esigenza monistica di ricomposizione universale
dell'essere, che lo spinge a rimediare al dualismo con un'eresia opposta, inventando la famosa
dottrina dell'"apocatastasi", la quale prevede una riconciliazione escatologica del demonio con Dio,
dimenticando che la pena dei demòni non intacca per nulla quella "ricapitolazione" finale della
quale parla pure S. Paolo, in quanto la persistenza della giusta pena eterna dei dannati (angeli e
uomini), manifesta meglio la potenza e la bontà divina ricapitolatrici della totalità ch'universo, che
non un mondo (che pur Dio, se avesse voluto, avrebbe potuto creare) del tutto esente dalla presenza
del male. Ma questa intuizione del significato del male la potrà raggiungere solo Agostino, dando
cosi una risposta decisiva, alla luce della rivelazione cristiana, alla gravissima questione del male,
che egli aveva sentito con particolare acutezza, senza poterla ri solvere, nel periodo passato sotto
l'influsso del manicheismo.
L'antropologia panteistica manichea ricompare in Spagna nel sec.IV col vescovo
Priscilliano, la cui dottrina fu ripetutamente condannata da alcuni concili: dal concilio Toletano del
400, col seguente canone: "Si quis crediderit animam humanam Dei portionem vel Dei esse
substantiam, a. s."(D20l); da S. Leone Magno nella Lettera "Quam laudabiliter" del 21.VII.447 a
Turibio vescovo dell'Asturia, dove così riferisce l'eresia: "Anima hominis divinae est substantiae,
nec a natura Creatoris sui condicionis nostrae distat natura. Quam impietatem catholica fides
damnat, sciens nullam tam sublimem tamque praecipuam esse facturam, cui Deus ipsa natura sit.
Quod enim de ipso est, id est quod ipse, neque id aliud est quam Filius et Spiritus Sanctus. Praeter
hanc autem summae Trinìtatis unam consubstantialem et sempiternam atque incommutabilem
deitatem, nihil omnino creaturarum est, quod non in exordio sui ex nihilo creatum sit" (D285); dal
concìlio di Braga nel 561, nel can.5: "Si quis animas humanas vel angelos ex Dei credit substantia
extitisse, sicut Manichaeus et Priscillianus dixit, a. s."(D455). Un segno della permanenza di questa
eresia l'abbiamo ancora nel sec.XI, allorché S.Leone IX propose al Patriarca di Antiochia, nel 1053,
una professione di fede nella quale ricorre la condanna del panteismo antropologico, prova, questa,
che esso si trovava allora in oriente: "Anima non est pars Dei, sed ex nihilo creata" (D685).
Il passaggio, nel cristianesimo, da un panteismo moderato, di tipo antropologico o
psicologico, al panteismo assoluto, di tipo teologico (identità di Dio con tutte le cose), avviene nel
IX sec. con l'irlandese Giovanni Scoto Eriugena, nel periodo della rinascita culturale carolingia. Il
pensiero dell'Eriugena appare veramente sublime e profondo, ispirato da un'altissimo senso della
divinità.
Il Beierwaltes, che ha dedicato speciali studi a questo teologo9, ritiene che le sue fonti, più
che il platonismo - Plotino10, Proclo11, Giamblico, Damascio - siano alcuni Padri della Chiesa
9 Cf Werner Beierwaltes, Platonismo e idealismo, Il Mulino, Bologna 1987, c.IV; Eriugena. I fondamenti edel suo
pensiero, Ed.Vitae Pensiero, Milano 1998.
10 "Plotino e il Neoplatonismo in Oriente e in Occidente", Atti del convegno internazionale dell'Accademia Nazionale
dei lincei del 5-9.X.1970, Quaderno n.198. Roma 1974; H.-C.Puech, "Posizione spirituale e significato di Plotino"
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
5
orientale, come Gregorio di Nissa12 e Massimo il Confessore13, i quali, parlando della vita di grazia
e della figliolanza divina, nonché dell'unione mistica con Dio, hanno, come si sa, espressioni molto
ardite, come la ben nota "théosis" o "divinizzazione" dell'uomo; a volte giungono persino a dire che
il cristiano "diventa Dio": ma si sa bene che si tratta di enfasi retorica, peraltro offerta in
piccolissime dosi, senza alcuna intenzione sistematica, ed in un contesto generale e di fondo, dove è
sempre tenuto presente il limite della creatura, soprattutto peccatrice, e l'infinità dell'essenza divina
nella sua trascendente perfezione, semplicità e bontà.
Anzi, come è noto, la preoccupazione dei padri Greci è tanta, che essi non osano ammettere
- come fa invece la Chiesa cattolica - la visione immediata dell'essenza divina neppure in cielo, ma
soltanto, come alcuni di loro dicono, delle "energie divine", mentre 1'"essenza" resta totalmente
inconoscibile; e sappiamo bene come essi sviluppino la teologia negativa14.
L'Eriugena prende spunto anche dal grande Dionigi l'Areopagita15, ma forza alcune sue
espressioni in senso panteistico, in modo certamente estraneo alle intenzioni dell'Autore. Infatti
anche Tommaso, come si sa, ha commentato l'Areopagita, ma si guarda sempre bene
dall'interpretare questo Autore, del quale aveva la massima stima, in senso panteistico. Il
panteismo, nel medioevo cristiano, faceva orrore a tutti: era considerato una diabolica mostruosità e
somma stoltezza, tanto era viva la coscienza della distinzione fra gli attributi dell'uomo e del mondo
da una parte, e gli attributi divini, dall'altra, benché poi viva, nel contempo, la coscienza della
dignità dell'uomo e del cristiano - benché peccatore -, coscienza, che conduceva comunque a
sublimi speculazioni sulla vita della grazia e ad alti livelli di vita mistica, ma lasciando sempre
intatta e inviolata la trascendenza e quindi l'imperscrutabilità e l'ineffabilità dell'essenza divina, sia
pur rivelata in Cristo e nei suoi santi.
I casi di panteismo, nel medioevo16, si può proprio dire che si contano sulle dita di una
mano, come per esempio quello di Davide de Dinant o Amaury de Bène, il primo del sec. XII, il
secondo, del sec.XII-XIII; ma essi furono totalmente cancellati dalla memoria collettiva della
Chiesa.
Di David non si sa più nemmeno esattamente in che secolo sia vissuto, e tutte le sue opere
furono distrutte, tanto che ne abbiamo solo notizie indirette, come vedremo oltre parlando di S.
Tommaso che ci riferisce scandalizzato ("stultissime dixit") le sue idee.
Quanto ad Amaury (o Almarico) di Bène, il DTC, alla voce corrispondente, ci dice che
secondo la testimonianza del domenicano Enrico di Polonia (+1278), Amaury sosteneva che tutti gli
enti sono un solo ente; tutti gli enti sono Dio; Dio è l'essenza di ogni creatura e l'essere di tutte le
cose (sembra di leggere Severino!). Il Concilio Lateranense IV condannò Amaury con queste
parole: "Reprobamus etiam et condemnamus perversissimum dogma impii Amarici, cuius mentem
sic pater mendacii" (=il diavolo) "excaecavit, ut eius doctrina non tam haeretica censenda sit, quam
insana" (D808): considerarla "eretica" sarebbe stato fargli un onore.
Anche Eriugena subì una sorte simile a quella di Origene: non fu condannato in vita (che io
sappia), ma addirittura tre secoli dopo da Onorio III nel 1225 (cf W.Beierwaltes, "Eriugena. I
fondamenti del suo pensiero, Op.cit., p. 111).
(1938), in Sulle tracce della gnosi, Adelphi, Milano 1985; p:Hadot, "Qu'est-ce que la philosophie antique?",
Gallimard, Paris 1995, Parte II, capp.VIII-IX.
11 W.Beiewaltes, "Proclo. I fondamenti della sua metafisica", Ed.Vita e Pensiero, Milano1990.
12 G.Ferro Garel, "Gregorio di Nissa. L'esperienza mistica, il simbolismo, il progresso spirituale", Edizioni Il Leone
Verde, Torino 2004.
13 H.U.Von Balthasar, "Massimo il Confessore. Liturgia cosmica",Jaca Book, Milano 2001.
14 Cf Vladimir Lossky, La teologia mistica della Chiesa d'Oriente ­ La visione di Dio, Il Mulino, Bologna 1967; Pavel
Nikoàjevic Evdokimov, La conoscenza di Dio secondo la tradizione orientale, Edizioni Paoline, 1983.
15 Cf S.Lilla, "Dionigi l'Areopagita e i l platonismo cristiano", Ed.Morcelliana, Brescia 2005.
16 Sulle eresie medioevali: L.Paolini, "Eretici del medioevo. L'albero selvatico", Ed. Patron, Bologna 1989; "Eresia
medievale" a cura di O.Capitani, Il Mulino, Bologna 1971; G.G.Merlo, "Eretici er eresie medievali"Il Mulino, Bologna
1995.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
6
Un esempio di come Eriugena prende in senso panteistico un'affermazione di Dionigi lo
abbiamo nella sua seguente affermazione: "Ipse" (=Deus) "omnium essentia est, qui solus vere est,
ut ait Dionysius Areopagita. 'Esse enim, innuit, omnium est super esse divinitas'" ("Perphyseon", I,
3; 38, 25s). Tommaso, invece intende ouell'"esse omnium" come "esse causa omnium".
Così delinea brevemente l'Enciclopedia Filosofica dell'Editrice Sansoni il pensiero
dell'Eriugena: "Dio è la ragione suprema di tutto, e perciò nulla può esistere fuori di lui; tutto quello
che è, è 'ex ipso et in ipso et ad ipsum', dove l"ex' indica la derivazione,... ma essa non dà luogo ad
una rottura della permanenza. L'essere in Dio di tutti gli esseri diviene senz'altro l'essere Dio di tutti
gli esseri: 'Deus itaque omnia est, et omnia Deus'" (Alla voce: "Scoto Eriugena").
Citiamo qualche affermazione dell'Eriugena: "Nihil extra Deum, totus (Deus) in toto"
("Periphyseos", III, l7). Riferisce Beierwaltes: "Dio e ciò che in Lui è creato sono 'unum et
idipsum', un'unica e medesima cosa" (Op.Cit., p.l10). "Non enim Deus videt nisi seipsum, quia
extra ipsum nihil est et omne quod in ipso est ipse est" ("Periphyseon", III, 17; 158; 35, 28; 220, 19-
21); Dio "fit in omnibus omnia, et in seipsum redit revocans in se omnia, et dum in omnibus fit,
super omnia esse non desinit", IV, 5; "Dominus, quum sit super omnia, diffunditur in omnia, et
ubique est, sine quo nihil esse potest, quoniam eorum quae sunt, essentia et substantia ipse est, cum
sit superessentialis et supersubstantialis" (Ier. XIII, 486-489).
"Super omnem creaturam creator et inter omnem creaturam creatus et infra omnem
creaturam subsistens, a seipso esse incipiens et per seipsum seipsum movens et ad seipsum motus et
in seipso quiescens, per genera et species in seipso in infinitum multiplicans, simplicitatem suae
naturae non deserens, et multiplicationis suae infinitatem in seipsum revocans; in ipso enim omnia
unum sunt" ("Periphyseon", III, l7; 160 3-8).
"In istis theophaniis incipiens apparere, veluti ex nihilo in aliquid dicitur procedere, et quae
proprie super omnem essentiam existimatur, proprie quoque in omni essentia cognoscitur, ideoque
omnis visibilis et invisibilis creatura theophania, idest divina apparitio, potest appellari"
("Periphyseon", III, 19:166, 28-32).
Il movimento de gli enti verso Dio corrisponde alla loro uscita da Dio; esso è "reversio vel
congregatio per eosdem gradus ab infinita eorum quae sunt, variaque multiplicatione, usque ad
simplicissimam omnium unitatem, quae in Deo est et Deus est; ita ut et Deus omnia sit et omnia
Deus sint" ("Periphyseon", V, 6; 871 Css; 872 A). Dio produce le creature moltiplicandosi, mentre
il ritorno delle creature è Dio stesso che dal molteplice passa all'unità. E commenta Beierwaltes:
"Questo ritorno universale rientra nell'ambito di una più ampia concezione filosofica
(specificamente neoplatonica): la risoluzione o quantomeno la riconduzione della differenza, di ciò
che è, mediante la 'caduta' " (1 'automoltiplicazione di Dio), "si è estraniato dal Principio e quindi da
se stesso, nell'identità originaria: 'reversio' o 'congregatio' di ciò che si è reso estraneo ai beni divini"
(Op.cit.,p.151).
L'Eriugena, come Tommaso, ha coscienza del fatto che la creatura, contenuta o
precontenuta virtualmente ed eminentemente in Dio come nella sua causa, è identica a Dio, ma
sbaglia nel non riconoscere la esistenza della creatura nel suo essere fuori di Dio, appunto come
effetto della causa. Certo l'Eriugena non rifiuta di parlare di trascendenza divina: ma allora ci si
domanda come concilia questa tesi con la negazione dell'esistenza del mondo fuori di Dio e col suo
identificare il mondo con Dio.
Ad ogni modo, nel pensiero medioevale l'Eriugena non ha lasciato nessun influsso; non
sappiamo neppure se i grandi scolastici del sec. XII-XIII-XlV lo abbiano conosciuto, o, se l'hanno
conosciuto, non hanno voluto tenerne conto: sta di fatto che lo ignorano: e certamente per questa
sua tendenza panteista, che a loro doveva apparire ripugnante, assurda ed empia, benché la lettura
dello Eriugena possa dare qua e là l'impressione di un animo pio e non manchi in lui l'arditezza
della speculazione; ma prevale l'impressione di un certo esibizionismo e di assai pericolosa
spericolatezza intellettuale, della quale il minimo che si possa dire è che può essere fonte di gravi
equivoci.
"La Donna e il Drago" di P.Giovanni Cavalcoli, OP - Bologna, 31.5.10
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