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SCRITTI PATRISTICI PER LA LITURGIA FESTIVA (anno A)

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2017 10:21
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28/06/2011 07:50
 
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XIV DOMENICA


Letture: Zaccaria 9,9-10

Romani 8,9.11-13

Matteo 11,25-30


1. Apprendere la mitezza di Cristo


"Venite a me, voi tutti che siete affaticati e aggravati, e io vi darò sollievo" (Mt 11,28). Non chiama questo o quello in particolare, ma si rivolge a tutti quanti sono tormentati dalle preoccupazioni, dalla tristezza, o si trovano in peccato. «Venite», non perché io voglia chiedervi conto delle vostre colpe, ma per perdonarle. «Venite», non perché io abbia bisogno delle vostre lodi, ma perché ho una ardente sete della vostra salvezza. «Io» - infatti, egli dice - «vi darò sollievo». Non dice semplicemente: io vi salverò, ma ciò che è molto di piú: vi porrò in assoluta sicureza, perché questo è il senso delle parole «vi darò sollievo».

"Prendete su di voi il mio giogo e imparate da me che sono mite e umile di cuore, e cosí troverete conforto alle anime vostre; poiché il mio giogo è soave, e il mio peso è leggero" (Mt 11,29-30). Non vi spaventate dunque, quando sentite parlare di «giogo», perché esso è «soave»; non abbiate timore quando udite parlare di «peso», perché esso è leggero. Ma perché, allora, -voi direte, - ha parlato precedentemente della porta stretta e della via angusta? Pare cosí quando noi siamo pigri e spiritualmente abbattuti. Ma se tu metti in pratica e adempi le parole di Cristo, il peso sarà leggero. E` in questo senso che cosí lo definisce. Ma come si può adempire ciò che Gesú dice? Puoi far questo se tu diventi umile, mite e modesto. Questa virtù è infatti la madre di tutta la filosofia cristiana. Per questo motivo quando egli incomincia a insegnare quelle sue divine leggi, inizia dall`umiltà (cf.Mt 7,14). Egli conferma qui quanto disse allora, e promette che questa virtù sarà grandemente ricompensata. Essa non sarà - dice in sostanza - utile solo agli altri, in quanto voi prima di tutti ne riceverete i frutti, poiché «troverete conforto alle anime vostre». Ancor prima della vita eterna il Signore ti dà già la ricompensa e ti offre la corona del combattimento: in questo modo e col fatto che propone se stesso come esempio, rende accettabili le sue parole.

Che cosa temi? - sembra dire il Signore. Temi di apparire degno di disprezzo, se sei umile? Guarda a me: considera tutti gli esempi che ti ho dati e allora riconoscerai chiaramente quale grande bene è l`umiltà. Osserva come esorta e conduce con tutti i mezzi i discepoli all`umiltà; dapprima con il suo esempio: «Imparate da me che sono mite e umile di cuore»; poi con le ricompense che essi otterranno: «troverete conforto alle anime vostre»; con la grazia che egli stesso concederà loro: «io vi darò sollievo»; rendendo dolce e leggero il suo giogo: «poiché il mio giogo è soave, e il mio peso leggero»...

Se voi, dopo aver sentito parlare di giogo e di peso, ancora tremate e avete paura, ciò non deriva dalla natura stessa delle cose, ma esclusivamente dalla vostra pigrizia; perché se aveste lo spirito pronto e fervoroso tutto vi apparirebbe facile e leggero.

Ecco perché Cristo, volendo mostrare che anche noi dobbiamo compiere da parte nostra ogni sforzo, evita da un lato di dire soltanto cose gradevoli e facili, e dall`altro di parlare solamente di rinunzie difficili e severe, ma tempera le une cose con le altre. Parla di un «giogo», ma lo definisce «soave»; nomina un «peso», ma aggiunge che è «leggero», affinché non lo si sfugga in quanto eccessivamente pesante, né lo si disprezzi perché troppo leggero.


(Giovanni Crisostomo, In Matth. 38, 2 s.)



2. L`esempio di Gesù


Che cosa dà valore alla nostra vita? Forse il far miracoli, oppure il mantenere un ottimo e perfetto comportamento? Certamente l`avere una condotta perfetta, da cui traggono occasione anche i miracoli che in essa hanno il loro fine. La santità della vita attira su di noi il dono divino di compiere azioni miracolose: e chi lo riceve ne è arricchito soltanto per convertire gli altri. Anche Cristo ha compiuto i miracoli per attirare a sé gli uomini, mediante la stima e l`ammirazione ch`essi gli procuravano, e per introdurre la virtù nella vita umana. E` questo lo scopo che Gesú con gran zelo si è proposto. Ma non gli bastavano i prodigi: difatti accompagnò i miracoli con la minaccia dell`inferno e con la promessa del regno; diede leggi nuove, meravigliose e sublimi e tutto operò allo scopo di renderci uguali agli angeli.

Ma che dico? Se qualcuno vi desse il potere di risuscitare i morti nel nome di Gesú, oppure di morire per lui, quale di questi due favori scegliereste? Senza dubbio, il secondo. L`uno è miracolo, mentre l`altro è opera. Se, del pari, vi si offrisse la facoltà di cambiare in oro tutta l`erba di questo mondo, oppure la grazia di disprezzare tutto l`oro del mondo come fosse erba, non preferireste forse quest`ultima cosa? E la scelta sarebbe certamente giusta, poiché il disprezzo delle ricchezze può, sopra ogni altra cosa, conquistare e attirare gli uomini. Difatti se essi vedessero l`erba tramutata in oro, desidererebbero avere anche loro quella facoltà, come accadde a Simon Mago, e la loro brama di ricchezza aumenterebbe ancor piú. Se invece ci vedessero calpestare e disprezzare il denaro come erba, già da tempo sarebbero guariti da questa malattia ch`è l`avarizia. Vedete, dunque, che niente giova di piú agli uomini quanto la vita. E intendo non digiunare o stendere per terra il sacco e spargervi sopra la cenere, ma disprezzare realmente e concretamente le ricchezze, amare tutti gli uomini, dare il pane al povero dominare l`ira, eliminare la vanità e l`ambizione, soffocare ogni sentimento di invidia.

Questi sono gli insegnamenti che Gesú stesso ha dato, dicendo: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29). Non invita a imparare da lui a digiunare, anche se potrebbe ricordare i quaranta giorni di digiuno da lui fatti, ma anziché esigere questo, egli vuole che imitiamo la sua mansuetudine e la sua umiltà. Quando invia i suoi apostoli a predicare, non dice loro di digiunare, ma di mangiare tutto quanto verrà loro offerto (cf. Lc 10,8). Per quanto concerne però il denaro, vieta loro espressamente di portarne con sé, ordinando di non possedere né oro, né argento, né alcun`altra moneta nelle loro borse (cf. Mt 10,9; Lc 10,4). Io vi dico questo, non perché biasimi il digiuno: Dio mi guardi da simile pensiero; anzi l`apprezzo moltissimo. Ma mi addoloro nel vedere che voi trascurare le altre virtù, pensando che basti digiunare per essere salvi, mentre il digiuno, fra tutte le virtù, occupa l`ultimo posto. Le virtù piú eccelse sono la carità, l`umiltà, la misericordia, che precedono e superano anche la verginità.

Sta di fatto che, se voi volete divenire uguali agli apostoli, niente ve lo impedisce. Basta soltanto praticare queste virtù e non essere in nulla inferiori a loro.


(Giovanni Crisostomo, In Matth. 46, 4)



3. L`umiltà del cuore


Dice il Salvatore: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete riposo alle anime vostre" (Mt 11,29). E se vuoi conoscere il nome di questa virtù, cioè come essa è chiamata dai filosofi, sappi che l`umiltà su cui Dio rivolge il suo sguardo è quella stessa virtù che i filosofi chiamano atyfìa, oppure metriòtes. Noi possiamo peraltro definirla con una perifrasi: l`umiltà è lo stato di un uomo che non si gonfia, ma si abbassa. Chi infatti si gonfia, cade, come dice l`Apostolo, «nella condanna del diavolo» - il quale appunto ha cominciato col gonfiarsi di superbia -; l`Apostolo dice: "Per non incappare, gonfiato d`orgoglio, nella condanna del diavolo" (1Tm 3,6).


(Origene, In Luc. 8, 5)



4. Lo Spirito di Dio inclina alla pietà


I Novaziani sostengono che non possono essere reintegrati nella comunione dei fedeli coloro che sono caduti in apostasia. Se facessero eccezione per il solo peccato di sacrilegio come non passibile di condono, mostrerebbero durezza, ma sarebbero, almeno, coerenti con la loro dottrina e in contrasto soltanto con gli insegnamenti divini. Il Signore, infatti, ha condonato tutti i peccati senza alcuna eccezione. I Novaziani, invece, alla maniera degli Stoici, pensano che tutte le colpe si debbano valutare parimenti e che debba per sempre rinunciare ai celesti misteri sia chi abbia sgozzato un gallo, come si dice, del pollaio, sia chi abbia strangolato il proprio padre. Come, dunque, possono escludere dai sacramenti la sola categoria dei rei di apostasia, quando, per giunta, proprio i Novaziani affermano che è cosa assai deplorevole estendere a molte persone il castigo che conviene a poche?

Essi dicono che onorano il Signore, giacché riconoscono il diritto di condonare i peccati a lui solo. Coloro, invece, che violano coscientemente la legge del Signore e sovvertono il magistero che egli ha loro affidato offendono assai gravemente Dio. Cristo medesimo ha detto nel Vangelo: "Ricevete lo Spirito Santo e a chi rimetterete i peccati saranno a lui rimessi, e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi" (Gv 20,22.23). Dunque, rende onore maggiore chi ubbidisce ai comandi o chi disubbidisce?

La Chiesa ottempera all`uno e all`altro comando: a quello di non rimettere la colpa e a quello dell`assolverla. L`eresia, invece, è spietata nell`esecuzione del primo dei due imperativi, disubbidiente nell`altro. Pretende legare ciò che non intende sciogliere, non vuole sciogliere ciò che ha legato. Si condanna manifestamente da se medesima. Il Signore, infatti, ha voluto che il diritto di assolvere e quello di non assolvere siano del tutto identici. Ha garantito entrambi e a pari condizioni. E` ovvio che chi non possiede l`uno, non può possedere l`altro diritto. Infatti, in conformità agli insegnamenti di Dio, chi ha il potere di condannare ha anche quello di perdonare. Logicamente, l`affermazione dei Novaziani cade. Col negare a sé la potestà del condonare sono costretti a rinunciare a quella del non assolvere. Come potrebbe essere lecita l`una e non l`altra potestà? A chi è stato fatto dono di entrambe o è chiaro che sono possibili l`una e l`altra o nessuna delle due. Alla Chiesa sono, dunque, lecite entrambe, all`eresia né l`una né l`altra. A ben considerare, tale facoltà è stata data, infatti, ai soli sacerdoti. A ragione, pertanto, la Chiesa che ha ministri legittimi, si arroga l`uno e l`altro diritto, l`eresia non può, al contrario, farlo, poiché non ha i sacerdoti di Dio. Col non rivendicare le due potestà, l`eresia sentenzia nei propri riguardi che, non avendo ministri legittimi, non può attribuirsi un loro diritto. Nella sfacciata tracotanza è dato intravedere un`ammissione, sia pure timida.

Tieni anche presente: chi riceve lo Spirito Santo, riceve la potestà di assolvere e di non assolvere i peccati. Sta scritto: "Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi". Dunque, chi non può assolvere non possiede lo Spirito Santo, dal momento che è lo Spirito Santo, appunto, a far dono del ministero sacerdotale e la sua autorità è nel condonare e nel non rimettere le colpe. Come, perciò, i Novaziani potrebbero rivendicare un dono di chi mettono in dubbio l`autorità, la potestà?

Che dire della loro enorme sfacciataggine? Lo Spirito di Dio è incline alla pietà, non già alla durezza. Essi, al contrario, non vogliono ciò che egli dice di volere e fanno ciò che egli afferma di non gradire. Eppure il castigare si addice al giudice, il perdonare, invece, all`indulgente. Tu che appartieni alla setta dei Novaziani saresti, pertanto, piú tollerabile coll`assolvere che col non condonare. Col non essere indulgente peccheresti di disubbidienza verso Dio, coll`usare misericordia, elargiresti il perdono, dimostrando di provare, almeno, pietà di chi vive nell`afflizione.


(Ambrogio, De Paenit. 1, 2)



5. Ammonimento di papa Leone Magno al suo vicario a Tessalonica


La tua fraternità rilegga le nostre pagine, riveda tutti gli scritti inviati dai presuli di questa sede apostolica ai tuoi predecessori e provi a trovare se mai da me o dai miei predecessori fu mai ordinato ciò che, come ci consta, tu hai avuto la presunzione di fare!

E` venuto infatti da noi, insieme con i vescovi della sua provincia, il nostro fratello Attico, metropolita del Vecchio Epiro, e in lacrime si è lagnato dell`assolutamente indegna offesa che ha dovuto sostenere... che cioè tu ti sei recato alla Prefettura dell`Illirico, e hai eccitato la piú alta tra le alte autorità terrene per ottenere l`espulsione di un vescovo innocente. Cosí fu ordinata una terribile esecuzione, alla effettuazione della quale furono obbligate tutte le pubbliche autorità: che fosse strappato dai sacri recessi della chiesa, senza colpa o per colpa falsamente insinuata, un sacerdote, esclusa ogni dilazione, né per ragioni di salute, né per l`inclemenza dell`inverno; e fu costretto ad intraprendere un viaggio aspro e pieno di pericoli tra le nevi intransitabili; viaggio che fu tanto disagiato e tanto rovinoso che, mi si riferisce, alcuni di coloro che accompagnavano il vescovo ne morirono.

Me ne stupisco molto, fratello carissimo, ma soprattutto mi dolgo che tu abbia potuto muoverti con tanta atrocità e tanta violenza contro uno di cui prima non mi avevi riferito altro se non che aveva differito di presentarsi alla tua chiamata, adducendo motivi di salute. Soprattutto perché, se avesse meritato qualcosa di simile, avresti dovuto aspettare che io rispondessi alla tua consultazione. Ma, come vedo, conosci bene il mio carattere e hai preveduto giustissimamente con quanta urbanità io avrei risposto per conservare la concordia tra i vescovi: perciò ti sei affrettato a mandare ad effetto i tuoi impulsi, senza neppure dissimularli, perché se avessi ricevuto qualche nostro scritto con altre disposizioni non avresti avuto licenza di fare ciò che hai fatto. O forse eri venuto a conoscenza di qualche altra colpa, o ti faceva pressione il peso di qualche altro delitto del vescovo metropolitano? Ma che ciò non fosse, tu stesso lo confermi, non obiettandogli nulla.

Ma, anche se avesse commesso qualche colpa grave e intollerabile, avresti dovuto aspettare la nostra decisione, e non avresti dovuto stabilire nulla prima di conoscere il nostro placito. Abbiamo affidato infatti alla tua carità di fungere le nostre veci in modo però da esser chiamato a sostenere una parte delle nostre cure, non alla pienezza della potestà. Perciò, come molto ci allieta quello che hai portato ad effetto con religiosa cura, troppo ci rattrista quello che hai malamente compiuto. E` necessario, dopo l`esperienza di molti casi, guardare con piú cura e premunirsi con piú diligenza che, in spirito di amore e di pace, venga tolta dalle Chiese del Signore che abbiamo a te affidato ogni materia di scandalo, mantenendo in tutto il suo onore la tua funzione episcopale in quelle province, ma eliminando ogni eccesso ed usurpazione.

Perciò, secondo i canoni dei santi padri stabiliti dallo Spirito di Dio e consacrati dall`osservanza in tutto il mondo, decretiamo che i vescovi metropoliti delle singole province, affidate per delegazione nostra alle cure della tua fraternità, abbiano integro il diritto della dignità loro da tempo affidata...

A questo fine, infatti, dirigiamo tutto il nostro affetto e la nostra cura: che da nessun dissenso sia violato e da nessuna trascuranza sia negletto ciò che giova all`unità della concordia e all`osservanza della disciplina. E te dunque, fratello carissimo e i fratelli nostri offesi dai tuoi eccessi - per quanto non tutti abbiano uguali argomenti di querela - esorto ed ammonisco che non venga turbato in nessun modo ciò che è stato religiosamente ordinato e salutarmente disposto. Nessuno curi ciò che è proprio, ma ciò che è altrui, come dice l`Apostolo: "Ciascuno di voi cerchi di compiacere il prossimo nel bene, per edificarlo" (Rm 15,2). Infatti, non potrà restar salda la compagine della nostra unità se il vincolo dell`amore non ci avrà stretto con forza inseparabile, perché "come in un corpo abbiamo molte membra, e tutte le membra non compiono le stesse azioni, cosí in molti siamo un corpo solo in Cristo e siamo ciascuno membra per l`altro" (1Cor 12,12). L`intima unione di tutto il corpo è fonte di una sola salute, di una sola bellezza; e se questa intima unione di tutto il corpo richiede da tutti l`unanimità, esige soprattutto la concordia tra i vescovi. Se fra di essi, poi, la dignità è comune, non è tuttavia identica l`autorità: del resto fra gli stessi beatissimi apostoli, pur in simile onore, vi fu una certa distinzione di potestà: pur essendo pari l`elezione di loro tutti, a uno solo fu dato di avere sugli altri il primato. Su questo modello sorse anche la distinzione tra i vescovi, ed è stato provvisto, con un importante precetto, che tutti non rivendicassero a sé tutti i diritti, ma che nelle singole province vi fosse quello che tra i fratelli avesse la prima parola; e inoltre, che alcuni vescovi costituiti nelle città piú grandi fossero rivestiti di una cura piú ampia; e, infine, che per il loro tramite confluisse la cura della Chiesa universale nella sola sede di Pietro, dal cui capo nessuno può dissentire.

Chi dunque sa di essere preposto ad altri, non sopporti a malincuore che qualcuno gli sia superiore, ma l`obbedienza, che esige (dagli altri), egli per primo la attui: e come non vuole sopportare un peso grave, cosí non osi imporre agli altri un carico insopportabile (cf. Mt 13,4). Siamo infatti discepoli di un maestro umile e mite, che ci dice: "Imparate da me che sono mite e umile di cuore, e troverete pace per le vostre anime. Il mio giogo infatti è soave, e il mio peso leggero" (Mt 11,29s). E come esperimenteremo ciò, se non attueremo quello che dice lo stesso Signore: "Chi fra voi è il maggiore, sarà vostro servo" (Mt 23,11s)?


(Leone Magno, Epist. 14, 1-2.11)


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