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ORATIONIS FORMAS: Istruzioni per la meditazione cristiana.

Ultimo Aggiornamento: 15/04/2011 09:51
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02/03/2011 09:39
 
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5.

Questioni di metodo

 

16. La maggior parte delle grandi religioni che hanno cercato l'unione con Dio nella preghiera, hanno anche indicato le vie per conseguirla. Siccome "la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni" (18), non si dovranno disprezzare pregiudizialmente queste indicazioni in quanto non cristiane. Si potrà, al contrario, cogliere da esse ciò che vi è di utile, a condizione di non perdere mai di vista la concezione cristiana della preghiera, la sua logica e le sue esigenze, poiché è all'interno di questa totalità che quei frammenti dovranno essere riformulati ed assunti. Tra di essi si può annoverare anzitutto l'umile accettazione di un maestro esperto nella vita di preghiera e delle sue direttive; di ciò si è sempre avuto consapevolezza nell'esperienza cristiana sin dai tempi antichi, dall'epoca dei padri del deserto. Questo maestro, esperto nel "sentire cum ecclesia", deve non solo guidare e richiamare l'attenzione su certi pericoli, ma, quale "padre spirituale", deve anche introdurre in maniera viva, da cuore a cuore, nella vita di preghiera, che è dono dello Spirito santo.

17. La tarda classicità non cristiana distingueva volentieri tre stadi nella vita di perfezione: la via della purificazione, dell'illuminazione e dell'unione. Questa dottrina è servita da modello per molte scuole di spiritualità cristiana. Questo schema, in se stesso valido, necessita tuttavia di alcune precisazioni, che ne permettano una corretta interpretazione cristiana, evitando pericolosi fraintendimenti.

18. La ricerca di Dio mediante la preghiera deve essere preceduta e accompagnata dalla ascesi e dalla purificazione dai propri peccati ed errori, perché secondo la parola di Gesú soltanto "i puri di cuore vedranno Dio" (Mt 5,8). Il Vangelo mira soprattutto a una purificazione morale dalla mancanza di verità e di amore e, su un piano piú profondo, da tutti gli istinti egoistici che impediscono all'uomo di riconoscere e accettare la volontà di Dio nella sua purezza. Non sono le passioni in quanto tali ad essere negative (come pensavano gli stoici e i neoplatonici) ma la loro tendenza egoistica. È da essa che il cristiano deve liberarsi: per arrivare a quello stato di libertà positiva che la classicità cristiana chiamava "apatheia", il medioevo "impassibilitas" e gli Esercizi spirituali ignaziani "indiferencia" (19).

Ciò è impossibile senza una radicale abnegazione, come si vede anche in san Paolo che usa apertamente la parola "mortificazione" (delle tendenze peccaminose) (20). Solo questa abnegazione rende l'uomo libero di realizzare la volontà di Dio e di partecipare alla libertà dello Spirito santo.

19. Dovrà perciò essere interpretata rettamente la dottrina di quei maestri che raccomandano di "svuotare" lo spirito da ogni rappresentazione sensibile e da ogni concetto, mantenendo però un'amorosa attenzione a Dio, cosí che rimanga nell'orante un vuoto che può allora essere riempito dalla ricchezza divina. Il vuoto di cui Dio ha bisogno è quello della rinuncia al proprio egoismo, non necessariamente quello della rinuncia alle cose create che egli ci ha donato e tra le quali ci ha posti. Non vi è dubbio che nella preghiera ci si deve concentrare interamente su Dio ed escludere il piú possibile quelle cose di questo mondo che ci incatenano al nostro egoismo. Sant'Agostino è, su questo punto, un maestro insigne: se vuoi trovare Dio, dice, abbandona il mondo esteriore e rientra in te stesso. Tuttavia, prosegue, non rimanere in te stesso, ma oltrepassa te stesso, perché tu non sei Dio: egli è piú profondo e piú grande di te. "Cerco la sua sostanza nella mia anima e non la trovo; ho meditato tuttavia sulla ricerca di Dio e, proteso verso di lui, attraverso le cose create, ho cercato di conoscere le "perfezioni invisibili di Dio" (Rm 1,20)" (21). "Restare in se stessi": ecco il vero pericolo. Il grande dottore della Chiesa raccomanda di concentrarsi in se stessi, ma anche di trascendere l'io che non è Dio, ma solo una creatura. Dio è "interior intimo meo, et superior summo meo" (22). Dio infatti è in noi e con noi, ma ci trascende nel suo mistero (23).

20. Dal punto di vista dogmatico, è impossibile arrivare all'amore perfetto di Dio se si prescinde dalla sua autodonazione nel Figlio incarnato, crocifisso e risuscitato. In lui, sotto l'azione dello Spirito santo, prendiamo parte, per pura grazia, alla vita intradivina. Quando Gesú dice: "Chi ha visto me ha visto il Padre" (Gv 14,9), non intende semplicemente la visione e la conoscenza esteriori della sua figura umana ("la carne non giova a nulla", Gv 6,63). Ciò che intende è piuttosto un "vedere" reso possibile dalla grazia della fede: vedere attraverso la manifestazione sensibile di Gesú ciò che questi, quale Verbo del Padre, vuole veramente mostrarci di Dio ("è lo Spirito che dà la vita... ; le parole che vi ho dette sono spirito e vita", Gv 6,63). In questo "vedere" non si tratta dell'astrazione puramente umana ("abstractio") dalla figura in cui Dio si è rivelato, ma del cogliere la realtà divina nella figura umana di Gesú, del cogliere la sua dimensione divina ed eterna nella sua temporalità. Come dice sant'Ignazio negli Esercizi spirituali, dovremmo tentare di cogliere "il profumo infinito e la dolcezza infinita della divinità" (n. 124), partendo dalla finita verità rivelata dalla quale abbiamo iniziato. Mentre ci eleva, Dio è libero di "svuotarci" di tutto ciò che ci trattiene in questo mondo, di attirarci completamente nella vita trinitaria del suo amore eterno. Tuttavia, questo dono può essere concesso solo "in Cristo attraverso lo Spirito santo" e non attraverso le proprie forze, astraendo dalla sua rivelazione.

21. Nel cammino della vita cristiana, alla purificazione segue l'illuminazione mediante l'amore che il Padre ci dona nel Figlio e l'unzione che da lui riceviamo nello Spirito santo (cf. 1Gv 2,20). Fin dall'antichità cristiana si fa riferimento alla "illuminazione" ricevuta nel battesimo. Essa introduce i fedeli, iniziati ai divini misteri, alla conoscenza di Cristo mediante la fede che opera per mezzo della carità. Anzi, alcuni scrittori ecclesiastici parlano in modo esplicito dell'illuminazione ricevuta nel battesimo come fondamento di quella sublime conoscenza di Cristo Gesú (cf. Fil 3,8) che viene definita come "theoria" o contemplazione (24).

I fedeli, con la grazia dei battesimo, sono chiamati a progredire nella conoscenza e nella testimonianza dei misteri della fede mediante "la profonda intelligenza che essi esperiscono delle cose spirituali" (25). Nessuna luce di Dio rende superate le verità della fede. Le eventuali grazie di illuminazione che Dio può concedere aiutano piuttosto a chiarir meglio la dimensione piú profonda dei misteri confessati e celebrati dalla Chiesa, in attesa che il cristiano possa contemplare Dio come egli è nella gloria (cf. 1Gv 3,2).

22. Il cristiano orante, infine, può arrivare, se Dio lo vuole, ad un'esperienza particolare di unione. I sacramenti, soprattutto il battesimo e l'eucaristia (26), sono l'inizio obiettivo dell'unione del cristiano con Dio. Su questo fondamento, per una speciale grazia dello Spirito, l'orante può essere chiamato a quel tipo peculiare di unione con Dio che, nell'ambito cristiano, viene qualificato come mistica.

23. Certamente il cristiano ha bisogno di determinati tempi di ritiro nella solitudine per raccogliersi e ritrovare, presso Dio, il suo cammino. Ma, dato il suo carattere di creatura, e di creatura che sa di essere al sicuro solo nella grazia, il suo modo di avvicinarsi a Dio non si fonda su alcuna tecnica nel senso stretto della parola. Ciò contraddirebbe lo spirito d'infanzia richiesto dal Vangelo. La mistica cristiana autentica non ha niente a che vedere con la tecnica: è sempre un dono di Dio, di cui chi ne beneficia si sente indegno (27).

24. Ci sono determinate grazie mistiche, conferite ad esempio ai fondatori di istituzioni ecclesiali in favore di tutta la loro fondazione nonché ad altri santi, che caratterizzano la loro peculiare esperienza di preghiera e che non possono, come tali, essere oggetto di imitazione e di aspirazione per altri fedeli, anche appartenenti alla stessa istituzione, e desiderosi di una preghiera sempre piú perfetta (28). Possono esserci diversi livelli e diverse modalità di partecipazione all'esperienza di preghiera di un fondatore, senza che a tutti debba venir conferita la medesima forma. Del resto l'esperienza di preghiera che ha un posto privilegiato in tutte le istituzioni autenticamente ecclesiali, antiche e moderne, è sempre in ultima analisi qualcosa di personale. Ed è alla persona che Dio dona le sue grazie in vista della preghiera.

25. A proposito della mistica si deve distinguere tra i doni dello Spirito santo e i carismi accordati in modo totalmente libero da Dio. I primi sono qualcosa che ogni cristiano può ravvivare in sé attraverso una vita zelante di fede, di speranza e di carità e cosí, attraverso una seria ascesi, arrivare a una certa esperienza di Dio e dei contenuti della fede. Quanto ai carismi, san Paolo dice che essi sono soprattutto in favore della Chiesa, degli altri membri del corpo mistico di Cristo (cf. 1Cor 12,7). A questo proposito, va ricordato sia che i carismi non possono essere identificati con dei doni straordinari ("mistici") (cf. Rm 12,3-21), sia che la distinzione fra i "doni dello Spirito santo" e i "carismi" può essere fluida. Certo è che un carisma fecondo per la Chiesa non può, nell'ambito neotestamentario, venir esercitato senza un determinato grado di perfezione personale e che, d'altra parte, ogni cristiano "vivo" possiede un compito peculiare (e in questo senso un "carisma") "per l'edificazione del corpo di Cristo" (cf. Ef 4,15-16) (29), in comunione con la gerarchia, alla quale "spetta soprattutto di non estinguere lo Spirito, ma di esaminare tutto e ritenere ciò che è buono" (Lumen gentium, n. 12).

 

 

 

6.

Metodi psicofisici-corporei

 

26. L'esperienza umana dimostra che la posizione e l'atteggiamento del corpo non sono privi d'influenza sul raccoglimento e la disposizione dello spirito. È un dato al quale alcuni scrittori spirituali dell'oriente e dell'occidente cristiano hanno prestato attenzione.

Le loro riflessioni, pur presentando punti in comune con i metodi orientali non cristiani di meditazione, evitano quelle esagerazioni o unilateralità che, invece, spesso vengono oggi proposte a persone non sufficientemente preparate.

Questi autori spirituali hanno adottato quegli elementi che facilitano il raccoglimento nella preghiera, riconoscendone al contempo anche il valore relativo: essi sono utili se riformulati in vista del fine della preghiera cristiana (30). Ad esempio, il digiuno nel cristianesimo possiede anzitutto il significato di un esercizio di penitenza e di sacrificio, ma, già presso i padri, era anche finalizzato a rendere l'uomo piú disponibile all'incontro con Dio e il cristiano piú capace di dominio di sé e allo stesso tempo piú attento ai fratelli bisognosi.

Nella preghiera è tutto l'uomo che deve entrare in relazione con Dio, e dunque anche il suo corpo deve assumere la posizione piú adatta per il raccoglimento (31). Tale posizione può esprimere in modo simbolico la preghiera stessa, variando a seconda delle culture e della sensibilità personale. In alcune aree, i cristiani, oggi, stanno acquisendo maggior consapevolezza di quanto l'atteggiamento del corpo possa favorire la preghiera.

27. La meditazione cristiana dell'oriente (32) ha valorizzato il simbolismo psicofisico, spesso carente nella preghiera dell'occidente. Esso può partire da un determinato atteggiamento corporeo, fino a coinvolgere anche le funzioni vitali fondamentali, come la respirazione e il battito cardiaco. L'esercizio della "preghiera di Gesú", ad esempio, che si adatta al ritmo respiratorio naturale, può - almeno per un certo tempo - essere di reale aiuto per molti (33). D'altra parte gli stessi maestri orientali hanno anche constatato che non tutti sono ugualmente idonei a far uso di questo simbolismo, perché non tutti sono in grado di passare dal segno materiale alla realtà spirituale ricercata. Compreso in modo inadeguato e non corretto, il simbolismo può diventare addirittura un idolo e, di conseguenza, un impedimento all'elevazione dello spirito a Dio. Vivere nell'ambito della preghiera tutta la realtà del proprio corpo come simbolo è ancora piú difficile: ciò può degenerare in un culto del corpo e può portare a identificare surrettiziamente tutte le sue sensazioni con esperienze spirituali.

28. Alcuni esercizi fisici producono automaticamente sensazioni di quiete e di distensione, sentimenti gratificanti, forse addirittura fenomeni di luce e di calore che assomigliano ad un benessere spirituale. Scambiarli per autentiche consolazioni dello Spirito santo sarebbe un modo totalmente erroneo di concepire il cammino spirituale. Attribuire loro significati simbolici tipici dell'esperienza mistica, quando l'atteggiamento morale dell'interessato non corrisponde ad essa, rappresenterebbe una specie di schizofrenia mentale, che può condurre perfino a disturbi psichici e, talvolta, ad aberrazioni morali.

Ciò non toglie che autentiche pratiche di meditazione provenienti dall'oriente cristiano e dalle grandi religioni non cristiane, che esercitano un'attrattiva sull'uomo di oggi diviso e disorientato, possano costituire un mezzo adatto per aiutare l'orante a stare davanti a Dio interiormente disteso, anche in mezzo alle sollecitazioni esterne.

Occorre tuttavia ricordare che l'unione abituale con Dio, o quell'atteggiamento di vigilanza interiore e di invocazione dell'aiuto divino che nel Nuovo Testamento viene chiamato la "preghiera continua" (34), non si interrompe necessariamente quando ci si dedica anche, secondo la volontà di Dio, al lavoro e alla cura del prossimo. "Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio", ci dice l'apostolo (1Cor 10,31). La preghiera autentica infatti, come sostengono i grandi maestri spirituali, desta negli oranti un'ardente carità che li spinge a collaborare alla missione della Chiesa e al servizio dei fratelli per la maggior gloria di Dio (35).

 

 

 

7.

"Io sono la via"

 

29. Ogni fedele dovrà cercare e potrà trovare nella varietà e ricchezza della preghiera cristiana, insegnata dalla Chiesa, la propria via, il proprio modo di preghiera; ma tutte queste vie personali confluiscono, alla fine, in quella via al Padre, che Gesú Cristo ha detto di essere. Nella ricerca della propria via ognuno si lascerà quindi condurre non tanto dai suoi gusti personali quanto dallo Spirito santo, il quale lo guida, attraverso Cristo, al Padre.

30. Per chi si impegna seriamente verranno comunque tempi in cui gli sembrerà di vagare in un deserto e di non "sentire" nulla di Dio, malgrado tutti i suoi sforzi. Deve sapere che queste prove non vengono risparmiate a nessuno che prenda sul serio la preghiera. Ma egli non deve identificare immediatamente questa esperienza, comune a tutti i cristiani che pregano, con la "notte oscura" di tipo mistico. Ad ogni modo in quei periodi la preghiera, che egli si sforzerà di mantenere fermamente, potrà dargli l'impressione di una certa "artificiosità" benché si tratti in realtà di qualcosa di totalmente diverso: essa è infatti proprio allora espressione della sua fedeltà a Dio, alla presenza del quale egli vuole rimanere anche quando non è ricompensato da alcuna consolazione soggettiva.

In questi momenti apparentemente negativi diventa manifesto ciò che l'orante cerca realmente: se cerca proprio Dio che, nella sua infinita libertà, sempre lo supera, oppure se cerca solo se stesso, senza riuscire ad andare oltre le proprie "esperienze", sia che gli sembrino "esperienze" positive d'unione con Dio che "esperienze" negative di "vuoto" mistico.

31. L'amore di Dio, unico oggetto della contemplazione cristiana, è una realtà della quale non ci si può "impossessare" con nessun metodo o tecnica; anzi, dobbiamo aver sempre lo sguardo fisso in Gesú Cristo, nel quale l'amore divino è giunto per noi sulla croce a tal punto che egli si è assunto anche la condizione d'allontanamento dal Padre (cf. Mc 15,34). Dobbiamo dunque lasciar decidere a Dio la maniera con cui egli vuole farci partecipi del suo amore. Ma non possiamo mai, in alcun modo, cercare di metterci allo stesso livello dell'oggetto contemplato, l'amore libero di Dio; neanche quando, per la misericordia di Dio Padre, mediante lo Spirito Santo mandato nei nostri cuori, ci viene donato in Cristo, gratuitamente, un riflesso sensibile di quest'amore divino e ci sentiamo come attirati dalla verità, dalla bontà e dalla bellezza del Signore.

Quanto piú viene concesso ad una creatura di avvicinarsi a Dio, tanto maggiormente cresce in lei la riverenza davanti al Dio, tre volte santo. Si comprende allora la parola di sant'Agostino: "Tu puoi chiamarmi amico, io mi riconosco servo" (36). Oppure la parola che ci è ancora piú familiare, pronunciata da colei che è stata gratificata della piú alta intimità con Dio: "Ha guardato l'umiltà della sua serva" (Lc 1,48).

Il Sommo pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dell'udienza concessa al sottoscritto cardinale prefetto, ha approvato la presente lettera, decisa nella riunione plenaria di questa Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.

Roma, dalla sede della Congregazione per la dottrina della fede, il 15 ottobre 1989, nella festa di santa Teresa di Gesú.

+ Joseph card. Ratzinger, prefetto  

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