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LA STORIA ECCLESIASTICA (di EUSEBIO DI CESAREA)

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2019 17:40
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07/02/2011 22:22
 
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26. il MAGO menandro

1. Proseguiamo nella nostra narrazione. Menandro, succeduto a Simon Mago, si rivelò con le sue azioni strumento della forza diabolica pari al suo predecessore. Era anch'egli samaritano e, giunto al più alto grado di magia, non inferiore a quello del maestro, fu prodigo di fandonie ancora più grandi, proclamandosi il Salvatore inviato dall'alto del cielo per la salvezza degli uomini da eoni invisibili, 2. e insegnando che nessuno, neppure fra gli stessi angeli creatori del cosmo, avrebbe potuto salvarsi se non si fosse prima sottoposto all'esperienza della magia da lui proposta e non avesse ricevuto il battesimo da lui impartito: coloro che ne sarebbero stati infatti resi degni avrebbero partecipato dell'eterna immortalità anche nella vita terrena e non sarebbero mai morti, ma sarebbero rimasti sulla terra giovani in eterno e immortali. Tutto ciò lo si può facilmente apprendere leggendo le opere di Ireneo 103.

3. Anche Giustino 104, dopo aver fatto menzione, nella sua opera, di Simone, spiega la dottrina di Menandro dicendo: "Sappiamo che un tal Menandro, anch'egli uomo di Samarla, del villaggio di Caparotta, discepolo di Simone, spinto, come il suo maestro, dai demoni, si recò ad Antiochia, dove trascinò nell'errore molti con la sua arte magica, persuadendo i suoi ascoltatori che non sarebbero mai morti; e ancora oggi esistono di coloro che, seguendo la sua dottrina, credono in ciò" 105.

4. A causa della potenza demoniaca che agiva in siffatti maghi, che si nascondevano dietro il nome di cristiani, il grande mistero della nostra religione correva il rischio di essere ritenuto opera di magia, e i dogmi della Chiesa sull'immortalità dell'anima e la resurrezione dei morti di essere diffamati a causa loro. Ma coloro che scelsero questi come salvatori hanno allontanato da sé ogni speranza di verità.-

103 Contro le eresie. I, 23, 5.

104 Su questo autore cf. supra, II, n. 50. ^51 Apologià, 26, 4.

 

27. L'ERESIA DEGLI EBIONITI

1. Il demonio, pur non riuscendo a distogliere alcuni dalla disposizione naturale che fa tendere l'anima al Cristo di Dio, li trasse ugualmente in suo potere, approfittando della loro debolezza. Gli antichi denominarono giustamente questi ultimi Ebioniti, perché avevano concezioni misere e meschine sul Cristo. 2. Lo ritenevano un uomo semplice e comune, che aveva perseguito la virtù migliorando il proprio carattere, generato dall'unione di un uomo con Maria. Avevano un bisogno assoluto di una religione basata sulla Legge, poiché non credevano che si sarebbero salvati solo grazie alla fede in Cristo e ad una vita ad essa conforme. 3. Ma altri, sebbene mèmbri anch'essi della stessa setta, rifiutavano la folle dottrina dei loro compagni, credendo che il Signore nacque da una Vergine e dallo Spirito Santo; ma non riconoscevano, come loro, la preesistenza di Dio Verbo e Sapienza, ritornando così nell'empietà dei primi, soprattutto per la valorizzazione dell'osservanza materiale della Legge, proprio come quelli. 4. Ritenevano che si dovessero rigettare del tutto le lettere dell'apostolo Paolo, che denominavano "apostata della Legge", e facevano uso soltanto del Vangelo detto secondo gli Ebrei106, tenendo in pochissimo conto gli altri; 5. e, come gli Ebrei, erano rispettosi del Sabato e di ogni altra usanza giudaica, ma osservavano le Domeniche a ricordo della resurrezione del Salvatore, quasi come noi. 6. Il loro comportamento da spiegazione del nome di Ebioniti, che attesta la povertà della loro intelligenza: "il povero" infatti viene designato nella lingua ebraica con il termine "ebionita".

106 Cf. supra, n. 96.

28. L'ERESIARCA cerinto

1. Sappiamo che in questi tempi capo di un'altra eresia fu Cerinto. Gaio 107, le cui parole sono state già prima da me citate 108, nella sua Ricerca, a noi pervenuta, scrive di lui: 2. "Ma anche Cerinto, dicendo il falso, sulla base di rivelazioni che sarebbero state scritte da un grande apostolo narra avvenimenti straordinari che gli sarebbero stati svelati dagli angeli, dicendo che, dopo la resurrezione, il regno di Cristo sarebbe venuto di nuovo sulla terra e che i cittadini di Gerusalemme sarebbero stati nuovamente schiavi dei desideri e dei piaceri. Ed essendo nemico delle Scritture di Dio, ingannava Ì suoi ascoltatori, insegnando loro che ci sarebbe stata una festa nuziale della durata di mille anni".

  1. E anche Dionigi 10<?, che ai nostri tempi detiene l'episcopato nella diocesi di Alessandria, riportando nel secondo libro delle Promesse, riguardo ^Apocalisse di Giovanni, notizie desunte dalla tradizione degli antichi, fa menzione dello stesso personaggio con queste parole: 4. "Cerinto, fondatore dell'eresia che da lui prese il nome di cerintiaca, volle dare ad essa un nome degno di fede. 5. Il dogma del suo insegnamento era infatti che il regno di Cristo sarebbe venuto sulla terra. E, da uomo incline ai piaceri del corpo e della carne, diceva che esso avrebbe avuto a fondamento ciò che egli desiderava, il pieno soddisfacimento dei piaceri del ventre e di ciò che sta sotto il ventre, cioè il gozzovigliare, il bere, l'avere rapporti non leciti, feste, sacrifici e immolazioni di vittime sacre, tutte cose che facevano ritenere la sua dottrina più encomiabile di ogni altra".

107 II riferimento è a Filone, per il quale cf. supra, II, 4, 2; 17-18, e n. 19. 1^ Ct.supra, II, 25, 6.

109 Discepolo di Origene, fu a capo della scuola catechetica di Alessandria dal 231 al 232 d.C. Per le opere da lui composte cf. infra, VI, 45, 46; VII, 4; 24; 26. Nell'opera Le promesse, di cui si conservano solo frammenti, negava l'autenticità Agl'Apocalisse di Giovanni. Di essa Eusebio cita un'ampia pagina (infra, VII, 25). Una trattazione più ampia in M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 130-132.

 

 

6. Questo dice Dionigi. Ireneo, dopo aver esposto nel primo libro del Contro le eresie alcune delle sue false dottrine più indicibili 110, riferisce nel terzo anche la seguente storia degna di ricordo, ripresa, come dice, dalla tradizione di Policarpo m. Un giorno l'apostolo Giovanni entrò in un bagno pubblico per lavarsi. Ma, saputo che dentro c'era anche Cerinto, fuggendo verso la porta, si allontanò da quel luogo, non sopportando di starsene sotto lo stesso tetto con lui, e consigliò ai suoi compagni di fare altrettanto dicendo: "Scappiamo, prima che il bagno crolli per la presenza di Cerinto, nemico della verità" 112.

29. nicola E COLORO CHE DA LUI HANNO DESUNTO IL PROPRIO NOME

1. Oltre a queste eresie si affermò, ma per poco tempo, anche quella detta dei Nicolaiti, ricordata anche nell’ Apocalisse di Giovanni ^. Costoro magnificavano Nicola, uno dei diaconi insieme a Stefano, designati dagli apostoli per il servizio ai bisognosi. Clemente di Alessandria, nel terzo libro degli Stremata 113, riporta su di lui questo racconto: 2. "Costui, biasimato dagli apostoli, dopo l'ascensione del Salvatore, per la gelosia che aveva verso la moglie, donna di esimia bellezza, condusse quest'ultima in mezzo a loro, offrendola in sposa a colui che la voleva.

a) Ap 2, 6, 15.

110 Contro le eresie. I, 26, 1.

111 Famoso martire cristiano, autore di alcune lettere a varie comunità. Su di lui cr. infra, IV, 14-15 e M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., p.37.

112 Contro le eresie. III, 3, 4.

113 Sugli Stremata e sulle altre opere di Clemente di Alessandria cf. supra. I, n. 79.

Dicono che egli accompagnò a questa azione la frase: "occorre disprezzare la carne". Coloro che partecipano alla sua eresia, fraintendendo ciò che egli fece e disse in modo semplice e puro, si prostituiscono senza pudore. 3. Ma io so che Nicola non si unì a nessun'altra donna se non a quella che aveva sposato; dei suoi figli le femmine si mantennero vergini fino alla vecchiaia, il maschio rimase sempre puro. Stando così le cose, il condurre fra gli apostoli la donna di cui era geloso simboleggiava il rifiuto di ogni passione, e il "disprezzare la carne" insegnava il dominio dei piaceri più desiderati. Non credo, infatti, che egli volesse, contro il comandamento del Signore, "servire due padroni", il piacere e il Signore. 4. Dicono pertanto che anche Mattia, non abbandonandosi affatto al piacere, abbia insegnato a combattere e disprezzare la carne e a far crescere l'anima con fede e conoscenza" 114.

Questo dunque basti su coloro che nei tempi che stiamo esaminando misero mano a falsare la verità, ma che scomparvero del tutto in men che non si dica.

30. gli APOSTOLI CHE SI UNIRONO IN MATRIMONIO

1. Clemente inoltre, subito dopo le parole che ho appena riferito, elenca, per confutare coloro che disprezzano il matrimonio, quegli apostoli che si legarono in vincoli matrimoniali, dicendo: "Forse che condanneranno anche gli apostoli?

dk 1 Cor 9, 12. 114 Stromata.m,^-^.

 

Pietro e Filippo infatti generarono figli, e Filippo diede le sue figlie in spose. Paolo poi non esita, in una lettera ak, a menzionare una donna a lui coniugata, che non aveva portato con sé per avere maggiore libertà nella sua missione" 115.

2. Dopo aver ricordato queste cose, non è disdicevole riportare anche un'altra storia degna di essere raccontata, riferita dallo stesso autore nel settimo libro degli Stremata con queste parole: "Dicono dunque che il beato Pietro, vedendo la sua sposa ormai vicina alla morte, gioì del fatto che essa veniva chiamata a far ritorno nel luogo da cui era venuta; e per incoraggiarla ed esortarla, la chiamò per nome e le disse: "Ricordati, cara, del Signore". Di tal natura era il matrimonio dei beati e la perfetta disposizione dell'anima di coloro che sono carissi-mi a Dio" 116.

E stato questo il momento opportuno di riferire queste notizie, perché strettamente congiunte ai fatti che sto esponendo.

•31. morte DI giovanni E DI filippo

1. Ho già trattato prima 117 del tempo e del modo in cui morirono Paolo e Pietro, e anche del luogo della loro sepoltura dopo la morte. 2. Si è già parlato anche del tempo di Giovanni 118. Il luogo della sua sepoltura è indicato in una lettera indirizzata da Policrate, vescovo della Chiesa di Efeso, a Vittore, vescovo di Roma, in cui si fa menzione allo stesso tempo di Giovanni, dell'apostolo Filippo e delle sue figlie con queste parole: 3. "Grandi astri si sono oscurati in Asia; essi risorgeranno l'ultimo giorno della venuta del Signore, quando egli scenderà dal cielo nella gloria e radunerà tutti i santi, Filippo, uno dei dodici apostoli, sepolto a lerapoli, e le sue fìglie, che si mantennero vergini fino alla vecchiaia. La terza figlia, vissuta sotto la guida dello Spirito Santo, è sepolta ad Efeso. Anche Giovanni, colui che posò sul petto del Signore, che fu sacerdote, indossò il pétalon 119 e fu maestro e martire, è sepolto ad Efeso". 4. Questo per quanto riguarda la loro morte. Nel dialogo di Gaio, menzionato poco sopra 120, Proclo, con cui era in disaccordo, riporta la stessa versione della morte di Filippo e delle sue fìglie, concordante con ciò che abbiamo fin qui riferito: "Dopo di lui, quattro profetesse, figlie di Filippo, giungono a lerapoli, città dell'Asia; qui si trova la loro tomba e quella del loro padre". Questo è quanto egli racconta. 5. Anche Luca, negli Atti degli Apostoli, ricorda le fìglie di Filippo, che vivevano insieme col padre a Cesarea di Giudea e che furono onorate del dono della profezia. Dice l'apostolo: Arrivati a Cesarea ci recammo a casa di Filippo l'evangelista, uno dei sette, da cui ricevemmo ospitalità. Questi aveva quattro figlie vergini, profetesse d1.

6. Ho passato in rassegna ciò che sapevo sugli apostoli, sui loro tempi, sugli scritti sacri che ci hanno lasciato, su quelli controversi, di cui tuttavia molti fanno pubblica lettura in moltissime Chiese, e su quelli non testamentari e lontani dall'ortodossia apostolica. Proseguiamo ora nella nostra opera passando alla narrazione degli avvenimenti successivi.

115 Stromata, III, 52-53. \\b cromata. VII, 63-64.

117 Cf. ^^11,25.

118 Cf. supra, 23,3-4.

•^21,8-9.

119 Lamina d'oro posta sopra la mitra del sacerdote ebraico.

120 Su di lui ci. supra, II, 25, 6-7 e n. 115.

32. il MARTIRIO DI SlMEONE, VESCOVO DI gerusalemme

 

 

1. Si racconta che dopo Nerone e Domiziano, sotto l'imperatore 121 del cui tempo ci stiamo ora occupando, in ogni città scoppiò, in seguito ad una rivolta popolare, la persecuzione contro di noi; sappiamo che durante questa Simeone, figlio di Cleopa, nominato, come abbiamo già detto 122, secondo vescovo della Chiesa di Gerusalemme, subì il martirio. 2. Di questo è testimone quello stesso Egesippo, delle cui parole anche in precedenza, in varie occasioni123, mi sono servito. Egli, parlando di certi eretici, racconta che Simeone, da loro denunciato in quel tempo, fu torturato per moltissimi giorni perché cristiano, colpendo enormemente il giudice e coloro che gli stavano intorno; morì infine allo stesso modo del Signore. 3. Ma è meglio cedere la parola all'autore, che racconta l'episodio dicendo testualmente: "Alcuni di questi eretici denunciarono Simeone, figlio di Cleopa, accusandolo di essere discendente di Davide e cristiano. Così, all'età dei centoventi anni, subì il martirio per testimoniare la sua fede in Cristo, al tempo di Cesare Traiano e del console Attico 12-^". 4. Lo stesso scrittore racconta che, mentre venivano ricercati i Giudei di stirpe regale, i suoi accusatori furono uccisi perché ritenuti appartenenti ad essa. Servendoci pertanto come prova della durata della sua vita e del fatto che i Vangeli ricordano Maria, figlia di Cleopa, del quale anche Simeone era figlio, come si è sopra detto, a ragione si può concludere che Simeone appartenne al numero di coloro che videro e ascoltarono il Signore. 5. Lo stesso scrittore dice che anche altri discendenti di uno di quelli che erano ritenuti fratelli del Salvatore, di nome Giuda, vissero fino al tempo del suddetto imperatore. E dopo la testimonianza, riferita già prima 125, della loro fede nel Cristo sotto Domiziano, scrive: 6. "Dirigono ogni Chiesa come testimoni e discendenti del Signore; e vissero fino al regno di Cesare Traiano, in un periodo in

cui regnava una pace profonda in ogni Chiesa; sotto questo imperatore il figlio dello zio del Signore, il già menzionato Simeone, figlio di Cleopa, fu denunciato dagli eretici e processato an-ch'egli per la stessa accusa al tempo del console Attico. Egli, sottoposto a tortura per molti giorni, rese la sua testimonianza di fede, facendo stupire, fra tutti gli altri, anche il console di come un uomo, dell'età di centoventi anni, potesse avere una simile resistenza. Si comandò poi di crocifiggerlo". 7. Inoltre lo stesso autore, raccontando ciò che avvenne nei tempi di cui stiamo parlando, riferisce anche che la Chiesa rimase fino a quel momento pura e casta come una vergine, poiché coloro che tentarono di distruggere la salutare regola dell'annuncio della salvezza, se ne esisteva qualcuno, rimasero nascosti fino ad allora nella tenebra più oscura. 8. Ma quando morirono in varie circostanze la sacra schiera degli apostoli e la stirpe di coloro che furono resi degni di ascoltare Cristo, saggezza divina, con le proprie orecchie, allora cominciò a sorgere l'empio errore per le falsità diffuse da maestri menzogneri che, approfittando del fatto che nessun apostolo era rimasto più in vita, cercarono, ormai a viso aperto, di sostituire una falsa conoscenza all'annuncio della verità.

121 II riferimento è a Traiano.

122 Ci.supra, 11. 12^ Cf supra, II, 23, 3ss; supra, III, 11; 16; 20, Iss.

124 Attico fu console in Giudea dal 99 al 103 d.C.

125 Cf. supra, 20, Iss.

33. traiano PROIBÌ DI RICERCARE I cristiani

1. In più luoghi scoppiò in quel tempo una così grande persecuzione contro di noi che Plinio Secondo 126, il più illustre fra i procuratori di Roma, colpito dal grande numero di martiri, riferì all'imperatore il numero di coloro che avevano dato la loro vita per la fede. -

126 Nipote dello scienziato Plinio il Vecchio, nacque a Como nel 61 o 62 d.C. Venuto ben presto a Roma, divenne discepolo di Quintiliano. Nel 100, per celebrare la propria nomina a console, compose il Panegirico, in cui esalta l'imperatore Traiano come il restauratore della libertà soppressa da Domiziano. Nel 110 divenne governatore di Bitinia. Fu anche autore di un importante Epistolario in dieci libri.

 

Gli rese noto anche che essi non venivano colti a dire qualcosa di empio ne a commettere qualcosa di illegale. SÌ alzavano all'alba, scriveva, per cantare inni al Cristo come ad un dio, ed erano per loro azioni empie commettere adulterio, uccidere e altri crimini simili. Gli disse inoltre che essi vivevano e si comportavano secondo le leggi 127. 2. A queste parole Traiano emanò un decreto, che ordinava di non ricercare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati. In parte perciò si spense la minaccia della persecuzione che ci incalzava violentemente. Ma non per questo a coloro che volevano nuocerci mancavano i pretesti per farlo; ormai infatti sia il popolo sia i comandanti di ogni singola regione macchinavano insidie contro di noi, così che, anche senza persecuzioni aperte, se ne svilupparono di parziali nella provincia, e molti fedeli andarono incontro a martiri di ogni tipo. 3. Il racconto di questi avvenimenti è stato desunto dall’ Apologetico di Tertulliano, scritto in latino, già menzionato sopra 128, che noi riportiamo: "Eppure abbiamo saputo della proibizione di darci la caccia. Plinio Secondo, governatore di una provincia, giudicò e condannò alcuni Cristiani; ma, sbigottito dal loro numero, non sapendo co-s'altro fare, scrisse all'imperatore Traiano, dicendogli di non aver trovato in loro niente di empio se non il rifiuto di adorare gli dei pagani. Gli disse anche che i Cristiani si svegliavano all'alba per innalzare un canto a Cristo come al loro dio, e che la loro dottrina proibiva di uccidere, fornicare, essere avidi, rubare e altre cose simili. A queste notizie Traiano rispose di non perseguitare più i Cristiani, ma di punirli se denunciati" 129. Anche questi furono avvenimenti di quel tempo.

128 Cf. supra, II, 2, 4; 25, 4; supra, 20, 7.

129 Apologetico, 2,6-7.

 

34 quarto VESCOVO DELLA chiesa DI ROMA FU EVARISTO

Per quanto concerne i vescovi di Roma, nel terzo anno di regno del suddetto imperatore 130 mori Clemente, dopo aver di retto l'insegnamento della parola di Dio per nove anni interi, lasciando il ministero a Evansto

35 terzo VESCOVO DI gerusalemme FU giusto

Morto anche Simeone nel modo già descritto 131, succedette all'episcopato di Gerusalemme un giudeo di nome Giusto, uno dei moltissimi circoncisi che in quel tempo si erano convcrtiti a Cristo

36 ignazio E LE SUE LETTERE

1 In questi tempi viveva in Asia Policarpo, discepolo de gli apostoli, designato vescovo della Chiesa di Smirne da coloro che avevano visto coi loro occhi e servito il Signore 2 In quel tempo si distinsero Papia, vescovo della Chiesa di lerapoli 132, e Ignazio, famoso ancora oggi ai più, secondo vescovo di Antiochia dopo Pietro 3 Si racconta che questi, mandato dalla Siria a Roma, divenne cibo delle belve per la sua fede in Cristo 133 4 Attraversando l'Asia, sebbene sotto una strettissima sorveglianza di una scorta, rinvigoriva con discorsi ed esortazioni la fede delle diocesi in ogni città in cui si fermava, ammo nendo come prima cosa a stare lontano dalle eresie che allora per la prima volta cominciavano a prendere piede, e raccomandando di attenersi alla tradizione apostolica, che ritenne necessario, per maggiore sicurezza, affidare alla scrittura, pur avendone reso già testimonianza.

150 Cioè Tralano L'anno indicato e il 100 d C

131 Cf supra 32

132 Su di lui cf infra, 39

133 Ignazio fu martirizzato nel 110 d C circa

 

4Così, mentre era a Smirne, dove viveva Policarpo, scrisse una lettera alla Chiesa di Efeso, in cui fa menzione del suo pastore Onesimo, e un'altra a quella di Magnesia sul Meandro, dove ricorda di nuovo il vescovo Dama, e un'altra ancora a quella di Traile, presieduta allora, dice, da Polibio. 6. Oltre a queste, scrisse anche alla Chiesa di Roma, che scongiurò di non togliergli, intercedendo per lui, l'ardente speranza del martirio. E’ bene, a dimostrazione delle cose dette finora su di lui, riportare da questa lettera brevissimi passi. Scrive dunque testualmente: 7. "Dalla Siria fino a Roma combatto con le belve per terra e per mare, di giorno e di notte, legato a dieci leopardi (cioè ad un ordine di soldati) che, quando si fa loro del bene, diventano ancora più cattivi; ma grazie alle loro ingiustizie divento ancora di più discepolo di Cristo. Non per questo però sono giustificato •am.

8. Potessi io avere qualche bene dalle belve già pronte contro di me, che spero di trovare sbrigative. Se no sarò io stesso ad esortarle a divorarmi prontamente, perché non mi succeda, come ad alcuni, di non essere sbranato; qualora esse non volessero, le indurrò io stesso a farlo. 9. Concedetemi il vostro perdono. So io che cosa conviene a me. Ora comincio ad essere discepolo di Cristo. Nessuna delle cose visibili o invisibili mi impedisca di giungere a Gesù Cristo: fuoco, croce, belve voraci, ossa sfracellate, membra dilaniate, piaghe in tutto il corpo, punizioni del diavolo mi colgano pure purché possa giungere a Gesù Cristo!" I34. 10. Questo scrisse dalla città suddetta alle Chiese sopra menzionate. Lasciata Smirne, giunse nella Troade, da dove inviò uno scritto alla Chiesa di Filadelfìa e a quella di Smirne, in particolare a Policarpo, che la presiedeva. -

am 1 Cor 4, 4. 134 Lettera ai Romani, 5.

Riconoscendo Fapostolicità di quest'uomo, da autentico buon pastore gli da in custodia il gregge di Antiochia, reputando degno che egli ne avesse la massima cura. 11. Scrivendo agli abitanti di Smirne, si serve di parole riprese da non so quale fonte, dicendo queste cose su Cristo: "Io so e credo che egli, anche dopo la resurrezione, era nella carne. Quando si recò infatti dagli apostoli radunati intomo a Pietro, disse loro: "Rendetevi conto, toccatemi, vi accorgerete che non sono un fantasma privo di corpo". E subito lo toccarono e credettero" 13ci.

12. Anche Ireneo conobbe il martirio di Ignazio, di cui ricorda le lettere dicendo: "Come disse uno dei nostri, condannato per la sua fede in Dio ad essere divorato dalle belve, "sono frumento di Dio e sono stritolato dai denti delle belve per divenire pane puro" 136" 137.

13. Policarpo ricorda queste stesse cose nella sua Lettera ai Filippesi giunta fino a noi, dicendo testualmente: "Esorto pertanto tutti voi a credere e ad avere tutta la pazienza che avete visto con i vostri occhi non solo nei beati Ignazio, Rufo e Zosimo, ma anche in altri fra voi, nello stesso Paolo e negli altri apostoli, certi che tutti costoro non hanno corso invano, ma nella fede e nella giustizia, e che sono nel luogo loro dovuto al cospetto del Signore, per il quale soffrirono. Infatti non amarono il secolo presente , ma colui che è morto per la nostra salvezza ed è stato risuscitato da Dio" 138. Prosegue poi dicendo: 14. "Sia voi sia Ignazio mi avete raccomandato in una lettera che, qualora qualcuno vada in Siria, vi porti anche le vostre lettere.

 

135 Lettera agli Smirnei, 3, 1-2.

136 Lettera ai Romani, 4, 1.

137 Contro le eresie, V, 28, 4.

138 Lettera ai Filippesi, 9.

Lo farò, se ne avrò l'occasione propizia, io stesso o inviandovi qualcuno come messaggero. 15. Vi ho spedite, come mi avete richiesto, le lettere che Ignazio ci ha scritto e tutte le altre che di lui possedevamo, allegandole alla presente lettera. Da esse potrete ricavare grande giovamento: contengono infatti fede, pazienza e ogni virtù che si addice a nostro Signore" 139.

Ciò per quanto riguarda Ignazio. Dopo di lui diviene vescovo di Antiochia Eros.

37. gli EVANGELISTI ANCORA FAMOSI IN QUEL TEMPO

1. Tra coloro che in questi tempi divennero illustri era anche Quadrato 140, che insieme alle figlie di Filippo, come si dice, si distinse per il dono della profezia. Molti altri ancora divennero celebri in questi tempi, occupando la prima posizione nella successione degli apostoli. Questi, quali discepoli divini di siffatti uomini, costruirono sulle fondamenta delle Chiese già poste in ogni luogo dagli apostoli, propagando ulteriormente la predicazione e diffondendo ampiamente i semi salvifici del regno dei cieli in tutto il mondo. 2. Moltissimi dei discepoli di allora infatti, per eccesso di amore verso la Sapienza, colpiti nell'animo dalla parola di Dio, per prima cosa ubbidirono all'ordine del Salvatore, dividendo le loro ricchezze a coloro che erano nel bisogno; poi, inviati lontano dalla patria, adempirono alla loro missione di evangelisti, bramando di annunciare la parola della fede a coloro che non l'avevano ancora ascoltata e di consegnare loro lo scritto dei divini Vangeli. 3. Essi, dopo aver posto le basi della fede in alcuni territori stranieri e designato altri pastori, sotto la cui cura mettevano quanti si erano da poco convcrtiti a Cristo, partivano poi di nuovo per altre terre e altri popoli, sorretti dalla grazia e dall'aiuto divino; in loro infatti era così forte l'azione della potenza grandissima e straordinaria dello Spirito Santo che, sin dal primo udirli, sterminate folle accettavano spontaneamente nelle loro anime la fede nel creatore dell'universo.

139 Lettera ai Filippesi, 13.

140 Scrittore vissuto nella prima metà del II secolo d.C., autore di una Apologià indirizzata ad Adriano, ora perduta. Su di lui cf. infra, IV, 3, 1-2.

4. Essendomi impossibile elencare per nome tutti coloro che nella prima successione degli apostoli furono pastori o messaggeri della parola divina nelle Chiese del mondo, ho ricordato per nome soltanto quelli la cui tradizione è ancora oggi a noi nota nelle opere concernenti l'insegnamento apostolico.

38. la LETTERA DI clemente E LE OPERE FALSAMENTE ATTRIBUITEGLI

1. A queste ultime appartengono le lettere di Ignazio che ho già elencato, e quella di Clemente 141, unanimemente ritenuta autentica, che egli scrisse in nome della Chiesa di Roma a quella di Corinto. In essa riprende molti concetti della Lettera agli Ebrei, e ne cita testualmente alcuni passi, mostrando così molto chiaramente che essa non è stata composta in tempi recenti; 2. pertanto è parso opportuno annoverarla fra gli altri scritti dell'apostolo. Secondo alcuni poi l'evangelista Luca, secondo altri lo stesso Clemente, hanno tradotto in greco la Lettera agli Ebrei che Paolo scrisse nella lingua patria. 3. Questo potrebbe spiegare la somiglianzà stilistica fra la lettera di Clemente e la Lettera agli Ebrei, e la presenza in entrambi gli scritti di pensieri non lontani 142. 4. Ma si deve sapere che a Clemente è attribuita anche una seconda lettera 143, che non ha, come si sa, la stessa fama della prima, poiché nessuno degli Scrittori antichi se ne è servito. 5. Ormai alcuni già da tempo hanno attribuito a Clemente altre opere prolisse e ponderose, i Dialoghi di Pietro e Apione i44. Di queste però nessuna menzione si trova negli antichi scrittori, dato che non conservano puro il carattere dell'ortodossia apostolica. E ormai chiaro qual è la lettera di Clemente ritenuta autentica; di quelle di Ignazio e di Po-licarpo si è già parlato.

-

141 CLsupra, 16 e n. 61.

142 Sul problema dell'autenticità della Lettera agli Ebrei cf. supra, n. 8.

143 Non si tratta in realtà di una lettera, ma della più antica omelia cristiana. Essa non è stata composta di certo da Clemente, come dimostrano le differenze linguistiche con le altre opere dello scrittore cristiano. A. Harnack ha ritenuto che l'autore sia il vescovo di Roma Sotero, e il 170 d.C. l'anno in cui è stata composta. Incerto è il luogo di composizione. Alcuni (G. Krùger) propongono Corinto, altri Alessandria (R. Harris). Lo scritto esorta a mettere la vita al servizio di Cristo, salvatore del mondo, a temere Dio più degli uomini, a disprezzare il mondo e a non avere paura del martirio. Alcune esortazioni alla penitenza e l'esaltazione della vita oltre la morte chiudono l'omelia.

144 Opera perduta.

 

39. le opere di papia

1. Di Papia ci è giunta una sola opera, dal titolo Esegesi dei detti del Signore, in cinque libri. Anche Ireneo ne fa menzione come dell'unica che egli scrisse, dicendo: "Papia, uditore di Giovanni, amico di Policarpo, scrittore antico, è testimone di queste cose nel quarto libro della sua opera, che ne comprende cinque" 145.

2. Questo dice Ireneo. Lo stesso Papia, nel proemio del suo scritto, afferma di non avere ascoltato ne visto di persona i santi apostoli, ma di avere appreso Ì contenuti della fede da coloro che li conobbero. Ecco le sue parole: 3. "Non esiterò a riferirti anche quelle notizie che un tempo ho rottamente appreso dai presbiteri e che ho bene impresso nella memoria, sicuro della loro veridicità. Non godevo infatti, come Ì più, di coloro che dicono molte cose, ma di quelli che insegnano la verità, ne di quelli che riferiscono ciò che altri hanno loro comandato, ma di coloro che hanno annunciato i comandamenti consegnati alla fede dal Signore e derivanti pertanto dalla verità in persona. 4. Se mai è giunto qualcuno che si vantava di essere seguace dei presbiteri, io gli chiedevo con insistenza quello che avevano detto Andrea o Pietro o Filippo o Tommaso o Giacomo o Giovanni o Matteo o chiunque altro tra Ì discepoli del Signore, e inoltre le parole di Aristione e del presbitero Giovanni, discepoli del Signore. Non pensavo infatti di dovere a ciò che avevo appreso dai loro libri tanto quanto alle cose imparate dalla loro voce viva e sicura".

5. È opportuno a questo punto sapere che in Papia il nome di Giovanni è attestato due volte; il primo viene chiaramente presentato come evangelista accanto a Pietro, Giacomo, Matteo e agli altri apostoli. Dopo aver fatto una distinzione, annovera l'altro Giovanni fra coloro che non erano apostoli, gli antepone Aristione, e lo chiama chiaramente presbitero. 6. Con ciò viene dimostrata la veridicità del racconto di coloro che dicevano che in Asia due persone avevano lo stesso nome, e ricordavano che ancora oggi esistono due tombe che portano il nome di Giovanni ad Efeso. A queste cose bisogna fare attenzione; è verosimile infatti che il secondo, se non si vuole il primo, abbia avuto le visioni riferite dall’ Apocalisse attribuita a Giovanni.

7. Papia, di cui ora stiamo parlando, dichiara apertamente di avere appreso gli insegnamenti degli apostoli dai loro seguaci, e di avere ascoltato di persona Aristione e il presbitero Giovanni, che spesso cita per nome nelle sue opere, riferendo la tradizione su entrambi.

145 Contro le eresie, V, 33, 4.

8. Anche queste cose sono state dette non senza utilità. E opportuno alle parole di Papia fin qui riportate aggiungere altre sue notazioni, che riferiscono alcuni eventi prodigiosi e altri ancora pervenutigli dalla tradizione. 9. Si è già visto da quanto detto prima 146 che l'apostolo Filippo visse a lerapoli insieme alle fìglie, dalle quali Papia, quando si trovava presso di loro, apprese una storia che ha del miracoloso, che è bene ora riferire. Racconta infatti della resurrezione di un morto avvenuta davanti ai suoi occhi, e poi di un altro prodigio che accadde a Giusto, detto "Barsaba" che, dopo aver bevuto un veleno mortale, non ne subì alcun danno per grazia del Signore. 10. Questo Giusto, dopo l'ascensione del Salvatore, fu accolto insieme con Mattia fra Ì santi apostoli, che avevano pregato per la scelta di uno che prendesse il posto del traditore Giuda per completare il loro numero. Dicono ciò gli Atti degli Apostoli con queste parole: E furono scelti due, Giuseppe detto Barsaba, soprannominato Giusto, e Mattia. E pregando dissero... ^. 11. Riferisce poi altri fatti, appresi, come dice, dalla tradizione orale, altre parabole sconosciute del Salvatore, i suoi insegnamenti e altre cose più favolose: 12. trascorsi mille anni, diceva, dalla resurrezione di Gesù dai morti, il regno di Cristo si sarebbe manifestato materialmente su questa terra 147. Penso che egli, accettando queste teorie, abbia frainteso e travisato le dottrine professate dagli apostoli, non avendo compreso che essi parlavano solo in senso mistico e simbolico. 13. E’ chiaro che egli era infatti di intelligenza limitata, come si può provare dai suoi scritti. A causa sua moltissimi altri scrittori della Chiesa che vissero dopo di lui hanno professato le sue stesse opinioni in forza della sua antichità, come Ireneo e qualche altro che, a quanto pare, condivise le sue stesse idee. 14. Inoltre Papia riferisce nella sua opera alcune spiegazioni dei detti del Signore, derivate dal sopra citato Aristione, e le testimonianze sul presbitero Giovanni. -

^At 1,23-24.

^Cf.^^,31,3-5.

147 II riferimento è al millenarismo.

Rimandando a queste coloro che vogliono conoscerle, bisogna che io ora aggiunga alle parole già citate la testimonianza da lui riferita sull'evangelista Marco con queste parole: 15. "Questo diceva il presbitero, che Marco, interprete di Pietro, riferì con precisione, ma disordinatamente, quanto ricordava dei detti e delle azioni compiute dal Signore. Non lo aveva infatti ascoltato di persona, e non era stato suo discepolo, ma, come ho detto, di Pietro; questi insegnava secondo le necessità, senza fare ordine nei detti del Signore. In nulla sbagliò perciò Marco nel riportarne alcuni come li ricordava. Di una sola cosa infatti si preoccupava, di non tralasciare alcunché di ciò che aveva ascoltato e di non riferire nulla di falso 148".

16. Questo è quello che Papia racconta di Marco. Di Mat-teo dice: "Matteo ordinò i detti del Signore nella lingua ebraica, e ciascuno li ha tradotti come poteva" 14CÌ. 17. Egli ha fatto ricorso a testimonianze desunte dalla Prima lettera di Giovanni e dalla Prima lettera di Pietro, ed ha riferito anche un altro racconto riportato nel Vangelo secondo gli Ebrei, riguardante una peccatrice condotta davanti al Signore.

È stato necessario aggiungere queste notizie a quanto già detto.

148 Questo passo, insieme ad altre testimonianze, ha spinto alcuni studiosi, primo fra tutti aJ.O' Callaghan, a ritenere che il Vangelo di Marco è stato composto intorno al 50 d. C. Sulla complessa questione cf. Vangelo e storicità. Un dibattito, a cura di S. Alberto, Milano 1995; C.P. Thiede, Qum-ran e i Vangeli. Ì manoscritti della grotta 7 e la nascita del Nuovo Testamento, Milano 1996. 149 Su questo punto cf. supra, n. 85.

 

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