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LA STORIA ECCLESIASTICA (di EUSEBIO DI CESAREA)

Ultimo Aggiornamento: 26/01/2019 17:40
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07/02/2011 22:16
 
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1. in qUALI REGIONI GLI APOSTOLI HANNO PREDICATO IL cristo

  1. Queste erano le condizioni in cui versavano i Giudei. I santi apostoli e i discepoli del nostro Salvatore erano dispersi per tutta la terra. Tommaso, come dice la tradizione, ebbe in sorte la Partia, Andrea la Scizia; Giovanni visse invece in Asia e morì poi ad Efeso. 2. Pietro, come sembra, predicò nel Ponto, in Galazia, Bitinia, Cappadocia ed Asia ai Giudei della diaspora; recatosi infine a Roma, vi fu crocifisso a testa in giù, come egli stesso aveva chiesto di morire. E che dire di Paolo, che diffuse il Vangelo di Cristo da Gerusalemme all’Illirico, e che fu poi martirizzato a Roma al tempo di Nerone? Racconta dettagliatamente questi fatti Origene nel terzo libro del suo commento alla Genesi.
  2. d Cf 1 Pt 1, 1. b Cf. Rm 15, 19. c 2 Tm 4, 21.

  3. chi PER PRIMO HA RETTO LA chiesa DI roma

1. Primo ad essere nominato vescovo della Chiesa di Roma, dopo il martirio di Paolo e Pietro, fu Lino, citato da Paolo nel saluto che chiude la lettera da lui inviata da Roma a Timoteo c.

 

 

3. le LETTERE DEGLI APOSTOLI

  1. Di Pietro si riconosce autentica una sola lettera, quella detta "prima", poiché di essa gli antichi presbiteri si sono serviti nelle loro opere come di uno scritto inoppugnabile. Sappiamo invece che quella detta "seconda" non fa parte del Nuovo Testamento 3, ma, dato che a molti è parsa utile, è stata esaminata insieme agli altri scritti neotestamentari.

2. Sappiamo anche che il testo degli Atti di Pietro 4, il Vangelo detto secondo Pietro 5, la cosiddetta Predicazione 6 e la cosiddetta Apocalisse 7, attribuiti a Pietro, non sono stati invece tramandati fra gli scritti cattolici, poiché nessuno degli scrittori ecclesiastici, antichi o moderni, ha fatto ricorso a testimonianze desunte da queste opere. 3. Procedendo nella mia narrazione riporterò pertanto, elencandoli in ordine di successione, i nomi di quegli scrittori ecclesiastici che in vari tempi si sono serviti di testi di dubbia autenticità, e ciò che essi hanno riferito sugli scritti neotestamentari, sia di quelli indiscussi, sia di quelli che non sono tali. 4. A questi ultimi appartengono gli scritti attribuiti a Pietro, di cui ritengo autentica una sola lettera, perché riconosciuta tale anche dagli antichi presbiteri. 5. Di Paolo sono indubbiamente le quattordici lettere; ma bisogna sapere che alcuni non considerano testamentaria la Lettera agli Ebrei 8, dicendo che la stessa Chiesa di Roma la respinge perché non scritta dall'apostolo; ma riferirò al momento opportuno ciò che su di essa hanno detto coloro che mi hanno preceduto q. Non ritengo però opera di indiscussa autenticità gli Atti 10 a lui attribuiti. 6. Lo stesso apostolo, nei saluti conclusivi della Lettera ai Romani d, menziona, fra gli altri, anche Erma, a cui si attribuisce l'opera dal titolo II Pastore 1[, la cui autenticità, bisogna saperlo, è stata contestata da alcuni, che la ritengono spuria; tuttavia altri la reputano di grande utilità per coloro che hanno un grande bisogno di una introduzione basilare [alle dottrine della nostra fede]. Abbiamo appreso che ha avuto già pubblica lettura anche nelle Chiese, e so che alcuni fra i più antichi scrittori se ne sono già serviti. 7. Ciò sia detto per distinguere le Sacre Scritture di certo autentiche da quelle che invece non sono ritenute tali da tutti.

D Rm 16. 14.

1 Cf. supra^ II, n. 90.

2 Dotto filologo, teologo ed asceta cristiano nato ad Alessandria d'Egitto nel 185 d.C. circa e morto nel 253. Sulla sua complessa figura e sull'opera letteraria cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 112-HO.

3 Sull'autenticità della Seconda lettera di Pietro già Origene nutriva giu-stifìcati dubbi. Sulla sua linea sono anche i moderni, che ne respingono l'autenticità sulla citazione (3, 15-16) delle epistole di Paolo come riunite in un unico corpus già facente parte del Nuovo Testamento. Questo corpus si costituì, come si sa, intorno al 150 d.C., anno m cui Pietro era già morto.

4 E senza dubbio uno scritto apocrifo, che un anonimo autore fece circolare sotto il nome di Pietro per conferirgli maggiore autorità. Fu composto, secondo la maggior parte degli studiosi, tra il 180 e il 190 d. C. Il testo si presenta frammentario; se ne ha una traduzione latina negli Actus Vercellenses e in un manoscritto del sec. VII, che reca il titolo Actus Petri cum limone e riferisce la tenzone tra l'apostolo e Simon Mago, che muore precipitando nel Foro durante un tentativo di volo mal riuscito. Se ne conosce anche un frammento in copto, che narra la guarigione operata da Pietro della propria figlia paralitica. Legato agli Atti di Pietro è senza dubbio il Martyrium Retri, scritto in greco, che riferisce la crocifissione dell'apostolo a Roma.

5 Lo scritto è noto grazie ad Eusebio (cf. anche infra, VI, 12, 3-6 ) e ad un frammento scoperto in una tomba cristiana ad Akhimim nell'Alto Egitto. Esso riferisce la passione del Signore, la sua morte, che viene attribuita esclusivamente ai Giudei, e la sua resurrezione. Evidenti tracce di docetismo sono presenti nello scritto.

6 Opera composta nei primi decenni del II secolo. Essa intende tracciare le direttive a cui devono attenersi i missionari nell'evangelizzare i pagani. Ne sono conservati solo frammenti in Clemente Alessandrino.

7 Come Eusebio, anche Girolamo {Gli uomini illustri, 1) considera apocrifo questo scritto, risalente alla prima metà del II secolo. Esso tuttavia continuò ad essere letto in Palestina in occasione del Venerdì santo. Il testo dell'opera è noto per intero da una libera traduzione etiopica scoperta nel 1910; solo in parte nell'originale greco grazie alla scoperta ad Akhmim di un ampio frammento, che descrive lo splendore celeste del Paradiso e le pene dell'Inferno.

8 Eusebio ritiene lo scritto autentico sulla base delle motivazioni riportate a 38, 1-3. Dello stesso avviso non sono però i moderni. Già Martin Luterò ne attribuiva la paternità ad Apollo di Alessandria, un giudeo della setta del Battista, che in At 18, 24-28 viene presentato come ottimo conoscitore della Scrittura. Dopo Luterò altri hanno proposto Aquila, Priscilla, Clemente di Roma, Sila. ^Cf.^,38,1.

10 Già Tertulliano (II battesimo, 17) attribuiva questo scritto ad un prete anonimo, deposto per avere inventato i fatti storici narrati, e lo datava all'ultimo quarto del II secolo d.C. L'opera è nota grazie a frammenti in copto scoperti nel 1904 da C. Schmidt, e ad un papiro, conservato ad Amburgo, che riporta gran parte del testo greco.

11 L'opera, attribuita ad Erma, forse fratello del vescovo di Roma Pio I, risale alla fine del I secolo d.C. Essa fu erroneamente annoverata fra le Scritture da Ireneo (Contro le eresie, IV, 20, 2), Tertulliano (Depudicitia, 10) e Ori-gene (Principi, IV, 11). Per una trattazione più ampia cf. M. Simonetti, La letteratura cristiana antica, cit., pp. 39-42.

 

4. I PRIMI SUCCESSORI DEGLI APOSTOLI

1. Che Paolo, annunciando il Vangelo ai Gentili, pose le fondamenta delle Chiese che sorsero da Gerusalemme fino all'Illirico, è chiaro dalle sue stesse parole e da ciò che raccontano gli Atti di Luca. 2. In quali nazioni Pietro predicò il Cristo ai Giudei, diffondendo fra di loro la parola del Nuovo Testamento, risulta poi con chiarezza dalle stesse parole della lettera a lui unanimemente attribuita, indirizzata, come abbiamo detto 12, agli Ebrei della diaspora che vivevano nel Ponto, in Galazia, Cappadocia, Asia e Bitinta. 3. Fra quelli che divennero più zelanti e furono per questo giudicati idonei a guidare le Chiese da loro fondate, si possono identificare con facilità solo quelli che Paolo menziona nelle sue lettere: 4. molti di questi erano infatti suoi collaboratori o, come egli stesso li definisce, compagni d'armi e, la maggior parte dei quali rese degni di imperituro ricordo, riportando nelle sue epistole continue testimonianze su di loro; Luca inoltre negli Atti cita per nome i più noti, di cui da un elenco f. 5. Impariamo così che Timoteo fu il primo ad ottenere l'episcopato della Chiesa di Efeso §, e Tito quello delle Chiese di Creta h.

e Fm 2, Fil 2, 25 t At 16, 1; 19, 22; 20, 4 § 1 Tm 1 3 h Tt Cf ^1.2

6. Luca, nativo di Antiochia e medico di professione, che trascorse gran parte della propria vita con Paolo ed ebbe continui contatti anche con gli altri apostoli, ci ha insegnato in due libri divinamente ispirati l'arte di curare le anime, che egli apprese da loro: nel Vangelo, che dice di aver composto servendosi delle testimonianze riferitegli dai testimoni oculari e dai ministri della fede, che riporta non senza avere prima indagato con cura su ogni cosa sin dal principio, come egli stesso afferma 1; e negli Atti degli Apostoli, che compose non sulla base di ciò che gli veniva riferito da altri, ma di quello che aveva visto con i suoi occhi. 7. Dicono che Paolo sia solito ricordare il Vangelo di Luca, dicendo: Secondo il mio Vangelo i, come se fosse un proprio scritto.

8. Degli altri suoi discepoli Paolo cita Crescente k, da lui mandato in Gallia, e Lino ], di cui ricorda, nella Seconda lettera a Timoteo, la presenza a Roma insieme con lui; costui, come si è già detto 13, fu il primo successore di Pietro nell'episcopato della Chiesa di Roma. 9. Paolo dice inoltre che Clemente, terzo vescovo della Chiesa di Roma, fu suo collaboratore e amico di traversie m. 10. Fra gli antichi c'è inoltre quell'Areopagita di nome Dionigi 14 che, come narra Luca negli Atti ", fu il primo ad abbracciare la nostra fede dopo il discorso che Paolo rivolse agli Ateniesi sull'Areopago.

k 2 Tm 4, 10. 1 2 Tm 4,

iRm2, 16,2Tm2,8 n At 17, 34

'Le 1,2-3 m Fil 4, 3

21

13 Cf supra, 2

14 Sotto il nome di Dionigi l'Areopagita ci sono pervenuti quattro grandi trattati (De divims nomimbus, De mystica theologia, De cadesti hierarchia, De ecclesiastica hierarchia} e dieci lettere Tutte queste opere furono lette nel Medioevo nelle traduzioni latine di Scoto Enugena, Giovanni Sarrazm e Ro berto Grossatesta, e influenzarono notevolmente il pensiero della Scolastica Le opere sono però apocrife Esse, come avevano sospettato già Erasmo da Rotterdam e Lorenzo Valla, furono composte alla fine del V secolo d C , come dimostrerebbe la presenza di elementi neoplatomci nconducibili a Pioti no e a Proclo Centro dell'interesse dell'anonimo autore sono Dio, ritenuto l'Uno da cui deriva il mondo, Cristo e gli Angeli Questi ultimi sono divisi in Triadi, la più alta delle quali, costituita da Michele, Gabriele e Raffaele, e la più vicina a Dio

Un altro Dionigi, pastore della diocesi di Corinto, dice di essere stato vescovo della Chiesa di Atene. 11. Ma procedendo per la mia strada, parlerò al momento opportuno 15 della successione cronologica degli apostoli. Ora invece passiamo ad esporre i fatti successivi.

5. L'ULTIMO ASSEDIO DEI giudei DOPO cristo

1. Dopo Nerone, che detenne il potere per tredici anni, e dopo Galba e Otone^-che regnarono per un anno e sei mesi 16, Vespasiano, che si era già distinto nell'impresa contro Ì Giudei, fu riconosciuto rè dalla stessa Giudea, poiché era stato acclamato imperatore dai soldati che erano lì con lui. Partito subito alla volta di Roma, lasciò al figlio Tito il compito di proseguire la guerra contro i Giudei.

2. Dopo l'ascensione del nostro Salvatore, i Giudei, non contenti della tracotanza già mostrata contro di lui, macchinarono molte insidie anche contro i suoi apostoli. Lapidarono prima Stefano ° e, dopo di lui, decapitarono Giacomo p, figlio di Zebedeo e fratello di Giovanni; e, atto più grave, uccisero Giacomo, primo a succedere al trono episcopale della città di Gerusalemme dopo l'ascensione del nostro Salvatore, nel modo in cui si è già detto 17.

0 Cf. At 7, 54-60. PCf.At 12,2.

15 In verità Eusebio non ne parla più.

16 Alla morte di Nerone (68 d.C.) seguì un periodo di anarchia, durante il quale Galba, comandante delle legioni stanziate nella Spagna citeriore, Otone, comandante di quelle della Lusitania, Vitellio, comandante di quelle del Reno, e Vespasiano, governatore della Giudea, si contesero il potere in una sanguinosa guerra civile, conclusasi con la vittoria di quest'ultimo

17 Cf.^^, II, 23.

Anche gli altri apostoli corsero mille pericoli di morte: scacciati dalla Giudea, venivano inviati ad insegnare la dottrina del Vangelo a tutti i popoli, resi forti dalla potenza di Cristo, che aveva detto loro: Andate e predicate a tutti i popoli nel mio nome q. 3. Al popolo della Chiesa di Gerusalemme una profezia, rivelata prima della guerra da una visione divina solo ai notabili, ordinò di abbandonare la diocesi e di trasferirsi in una città della Perea, di nome Pella; in essa, tra gli abitanti di Gerusalemme, andarono coloro che credevano in Cristo, così che uomini in tutto santi lasciarono la città regale dei Giudei e l'intera Giudea. La giustizia divina li punì così per avere agito ingiustamente contro Cristo e i suoi apostoli, allontanando quella schiatta di empi dalla vista degli uomini.

4. Quanti e quali mali si riversarono su tutto il popolo dei Giudei in ogni luogo; le più atroci disgrazie subite dagli abitanti della Giudea; le decine di migliala di giovani che, insieme con donne e bambini, morirono di spada, di fame e in mille altri modi; quanti e quali furono gli assedi delle città giudaiche; i mali e le pene più tremende dei mali che videro coloro che si rifugiarono a Gerusalemme, stimandola la città più sicura; lo svolgimento della guerra e ogni singolo episodio che in essa si verifìcò; e, infine, il terrore dell'abbandono, annunciato già dai profeti, che si abbattè proprio sull'antico tempio di Dio, un tempo famoso, che attendeva completa distruzione e rovina piena nel fuoco: tutti questi episodi è possibile, per chi vuole, leggerli nel racconto dettagliato che ne fa Giuseppe. 5. E’ necessario tuttavia rilevare, come egli stesso dice 18, che coloro che nei giorni della festa di Pasqua si radunarono a Gerusalemme - erano circa tré milioni - da tutta la Giudea furono come rinchiusi in un carcere.

q Mt 28,19. 18 Guerra giudaica^ IV, 425-428.

6. Bisognava pertanto che, nei giorni in cui il Salvatore e benefattore di tutti, il Cristo di Dio, subì la passione, la giustizia divina riversasse su quegli uomini, che erano come imprigionati in un carcere, la rovina che loro spettava. 7. Tralasciando Ì lutti che furono loro inflitti con la spada o in altro modo, ritengo necessario riferire soltanto le sofferenze causate dalla fame, affinchè i miei lettori possano conoscere nel dettaglio come il castigo divino non tardò a colpirli per il reato da loro compiuto contro il Cristo di Dio.


6. la CARESTIA CHE LI TORMENTÒ

1. Riprendiamo dunque per le mani il quinto libro delle Storie 19 di Giuseppe. Ecco con quale tragicità egli espone ciò che allora accadde: "Per i ricchi rimanere in città significava morire; infatti, accusandoli pretestuosamente di tradimento, gli insorti uccidevano ognuno di loro per impossessarsi delle sue sostanze. La carestia faceva aumentare il malcontento dei rivoltosi, e di giorno in giorno entrambi i mali crescevano. 2. Essendo ormai chiaro che in nessun luogo era possibile trovare del cibo, facevano irruzione nelle case, perquisendole da cima a fondo; poi, trovato del grano, picchiavano coloro che ne avevano negato l'esistenza; se invece non lo trovavano, li torturavano, perché credevano che lo tenessero nascosto molto bene. La prova dell'averne o no erano i corpi di quei miseri infelici; era chiaro che quanti fra questi avevano ancora la forza di stare in piedi, ne possedevano a sufficienza. Quelli che erano già allo stremo delle loro forze venivano lasciati vivere, poiché sembrava irragionevole uccidere chi era lì lì per morire di indigenza.

3. Molti scambiavano di nascosto ciò che possedevano per una sola misura di grano se erano ricchi, di orzo se poveri; poi, chiudendosi nelle stanze più recondite delle case, per l'eccessivo bisogno, alcuni mangiavano il grano non lavorato, altri lo cucinavano come la necessità e la paura imponevano -

19 Si ricorda che Eusebio intitola Storie la Guerra giudaica (cf. supra. I, n. 49). VI, 423-428.

. 4. In nessuna casa si apparecchiava la tavola, ma togliendo i cibi dal fuoco, li divoravano con ingordigia ancora crudi. Il cibo era misero, ed era lacrimevole vedere i più forti esigere di più, e i più deboli invece compiangersi.

5. Il più grande di tutti i mali era la fame, ma niente era rovinoso quanto il pudore; infatti ciò che in altre occasioni sarebbe stato oggetto di vergogna, in questa circostanza invece diveniva degno di disprezzo. Le donne strappavano il cibo dalla bocca dei mariti, i figli da quella dei padri e, ciò che è molto degno di compianto, le madri da quella dei propri figli. Sebbene le persone più care deperissero fra le loro braccia, non si astenevano dallo strappare via di bocca ciò che poteva, anche se per poco, mantenerli ancora in vita. 6. Sebbene mangiassero in simile modo, tuttavia non potevano restare nascosti e sfuggire alle ruberie commesse in ogni luogo dai rivoltosi. Il vedere infatti una casa chiusa a chiave era per costoro segno che coloro che vi abitavano stavano mangiando; sfondate subito le porte, vi facevano irruzione e, afferrati i malcapitati per la gola, facevano loro quasi uscire fuori i bocconi. 7. Picchiavano i vecchi che facevano resistenza, strappavano i capelli alle donne se cercavano di nascondere qualcosa in mano; non avevano rispetto alcuno ne per i vecchi ne per i fanciulli. Questi ultimi anzi, sollevati in aria mentre ancora pendevano dai loro bocconi, venivano scaraventati poi a terra con violenza. 8. Coloro che, prevedendo il loro arrivo, divoravano in fretta quel cibo che altrimenti sarebbe stato loro tolto, venivano trattati come dei malfattori e sottoposti a terribili supplizi escogitati per fare loro sputare fuori il cibo: venivano a quei miseri ostruiti con vecce gli orefìzi dei genitali e infilati nel retto bastoni aguzzi. Infliggevano ad ognuno sofferenze tremende anche a sentirsi per in-durlo a confessare il posto in cui aveva nascosto un pezzo di pane o una piccola quantità di orzo. 9. Quei boia però non pativano gli stenti (la loro crudeltà infatti sarebbe stata meno feroce se imposta dalla necessità) dato che, grazie alla loro impudenza, riuscivano a procurarsi il cibo per i giorni seguenti. 10. Assalivano coloro che erano andati di notte a rubare verdure selvatiche ed erba nel campo romano e, quando questi credevano di essere già sfuggiti ai nemici, toglievano loro ciò che avevano preso. I derubati-con continue suppliche e invocando il terribile nome di Dio, li scongiuravano di dare loro almeno una parte di ciò che avevano rubato a rischio della loro stessa vita; ma non ottenevano niente, ed era per loro una fortuna non essere stati uccisi oltre che rapinati" 2Q.

11. Dopo aver riferito altri avvenimenti, Giuseppe aggiunge: "Insieme con il desiderio di uscire, fu tolta ai Giudei ogni speranza di scampo. La fame, che diveniva sempre più acuta, uccideva la gente nelle loro case e sterminava intere famiglie: le terrazze infatti erano stracolme di cadaveri di donne e di neonati, i vicoli di salme di vecchi. 12. Fanciulli e giovani, tumefatti, come fantasmi si radunavano nelle piazze e cadevano là dove l'inedia li faceva stramazzare a terra. I malati non avevano neppure la forza di dare sepoltura ai loro cari, e chi si manteneva ancora in forze ricusava [di farlo] a causa del numero elevato dei morti e dell'insicurezza del proprio destino: molti infatti cadevano morti su coloro che avevano testé seppellito, e molti scendevano nelle tombe prima che si presentasse il fato di mòrte. 13. Non si udivano, fra queste sciagure, lamento ne pianti, poiché la fame aveva represso anche i sentimenti; quelli che stavano per morire guardavano con occhi asciutti venir meno coloro che li avevano preceduti; la città era piombata in un profondo silenzio e in una tetra oscurità, della morte compagna. 14. Ma ancor più terribile di questi mali erano i briganti; questi, saccheggiando le case, rapinavano persino i morti e, dopo averli spogliati di ciò che ancora ricopriva i loro corpi, se ne uscivano ridendo; saggiavano persino le punte delle spade sui cadaveri, e ne provavano la lama trafiggendo alcuni di quelli che erano stati abbandonati ancora in vita. Lasciavano con disprezzo invece consumare dalla fame coloro che li supplicavano di dar loro aiuto o di porre fine alle sofferenze trafiggendoli con la spada. Ciascuno di coloro che erano ancora in vita guardava quindi fisso verso il Tempio, non curandosi più dei rivoltosi, che erano ancora vivi. 15. Essi dapprincipio esortavano a seppellire a spese pubbliche i morti, di cui non sopportavano più il fetore; e poiché neppure ciò era sufficiente, presero a buttarli dalle mura giù nei burroni. Quando Tito, attraversandoli, li vide pieni di morti e il sangue uscire abbondante dai cadaveri, alzò le mani al cielo, chiamando a testimone Dio che quello scempio non era opera sua" 21.

16. Giuseppe poi, riferite altre notizie, aggiunge: "Non mi sarà impedito di dire ciò che il dolore mi ordina. Credo che, se i Romani avessero indugiato a intervenire contro gli empi, la città sarebbe caduta in una voragine o invasa da un diluvio o colpita dagli stessi fulmini che si abbatterono su Sodoma; la maggior parte di coloro che soffrivano questi mali discendeva infatti da avi più empi di loro, per la cui follia su tutto il popolo precipitò la più completa rovina" 22.

17. Nel sesto libro Giuseppe così scrive: "Ormai incalcolabile era il numero delle vittime che la fame mieteva in città, e inenarrabili le sofferenze. In ogni casa era guerra se c'era la sola ombra di cibo; i parenti più cari venivano alle mani gli uni gli altri, strappandosi di bocca i miseri sostentamenti. A soffrire erano non coloro che morivano, ma chi era ancora in vita, a cui i briganti rapinavano anche un misero boccone affinchè nessuno di loro morisse con del cibo nascosto addosso. 18. Quelli che venivano rosi dai morsi della fame, come cani rabbiosi, barcollavano, si trascinavano, a mo' di ubriachi chiudevano le porte e per la disperazione facevano irruzione nelle stesse case due o tré volte in un'ora.

20 Guerra giudaica V, 424-438.

21 Guerra giudaica, V, 512-519.

22 Guerra giudaica, V, 566.

19. Il bisogno li spingeva a raccogliere qualunque cosa e a metterla sotto i denti, anche ciò che persino i più sudici fra gli animali-avrebbero rifiutato. Mangiavano infine anche i cinturoni e le suole delle scarpe, e masticavano le pelli disvelte dagli scudi; alcuni si nutrivano anche di frammenti di grano vecchio; altri poi raccoglievano le fibre delle piante e ne vendevano una piccolissima parte per quattro dracme attiche. 20. E che dire della sfrontatezza verso cose immateriali dovuta alla carestia? Riferisco a questo punto un episodio, ignoto anche ai Greci e ai barbari, terribile a raccontarsi, incredibile ad udirsi. Io, per non apparire ai posteri uno scrittore che racconta fandonie, avrei di buon grado tralasciato la narrazione di questo luttuoso fatto se non ne avessi avuto un numero infinito di testimoni nel mio tempo. Se avessi fatto diversamente, avrei reso un cattivo servizio alla patria, tacendo le disgrazie che essa soffrì. 21. Fra coloro che abitavano al di là del Giordano una donna, di nome Maria, figlia di Eleazaro, del villaggio di Batezor 23 (che vuoi dire "casa dell'issopo"), illustre di nascita e per la sua ricchezza, fuggì con molti altri a Gerusalemme, dove divenne oggetto di continue rapine da parte di quei tiranni, 22. che le tolsero tutti quei beni che aveva messo insieme e portato dalla Perea in questa città; uomini armati facevano ogni giorno irruzione nella sua abitazione per toglierle quelle poche ricchezze che ancora le rimanevano e il cibo che sospettavano essa tenesse nascosto. Una terribile indignazione tormentava l'animo della donna, che insultava e offendeva spesso quegli avvoltoi, provocandoli contro se stessa. 23. Ma poiché nessuno ne per compassione ne per pietà la uccideva, ed essa era stanca ormai di cercare cibo per altri, che del resto in nessun luogo era possibile ormai trovare, e poiché la fame le rodeva le viscere e il cervello, e più rabbiosa di essa era la sua collera, spinta dal bisogno, decise di infierire contro la sua natura. Preso il figlio ancora lattante, 24. disse: "O figlio infelice, a chi ti potrò affidare in tempo di guerra, di carestia e di rivolta? Anche se vivremo sotto il dominio romano, avremo la schiavitù; ma prima di essa ci colpirà certo la fame. I rivoltosi però sono più atroci di entrambe. Orsù, sii per me cibo, maledizione per i rivoltosi ed esempio per l'umanità, il solo che manca ancora alle sciagure dei Giudei". 25. Dopo aver proferito queste parole, uccise il figlio; poi, dopo averlo arrostito, ne mangiò metà, nascondendone con cura il resto. Ma subito giunsero i rivoltosi, attirati dall'odore dell'empio arrosto, e la minacciarono di ucciderla subito se non avesse consegnato ciò che aveva preparato. Essa disse che ne aveva conservato per loro anche una buona razione, e mostrò i resti del figlio. 26. Un improvviso terrore e rapimento di cuore li prese, facendoli inorridire a quella vista. La donna disse: "Questo è mio figlio, e ciò è opera mia. Mangiate, l'ho fatto anch'io. Non siate più deboli di una donna ne più afflitti di una madre. Se voi siete saggi e provate raccapriccio per il mio sacrificio, [sappiate che] io stessa ne ho mangiato, e ciò che ne resta rimanga pure per me". 27. A queste parole essi uscirono tremando, non per il fatto in sé, ma per avere lasciato quel cibo alla madre. Subito a tutta la città fu nota questa empietà, e ciascuno inorridiva al solo immaginare quell'orrendo delitto, come se ne fosse l'autore diretto. 28. Gli affamati volevano affrettare la morte, ed era fortunato chi anticipava il suo destino prima di avere ascoltato e visto simili atrocità" 24.

23 Località identifìcabile con l'odierna Zubya.

24 Guerra giudaica. VI, 193-213.

. le PROFEZIE DI cristo

1. Siffatte furono le pene inflitte ai Giudei per l'illegalità ed empietà di cui diedero prova contro il Cristo di Dio. E ora opportuno aggiungere ad esse anche la profezia divina, con la quale il nostro Salvatore predisse queste sciagure: Guai alle donne che saranno gravide e a quelle che allatteranno i loro figli in quei giorni. Pregate che la vostra fuga non abbia luogo d'inverno o di sabato; infatti vi sarà allora grande sofferenza, quale mai, dall'inizio del mondo fino ad oggi, si è verificata, ne accadrà mai più '.

  1. Riportando il numero dei morti, lo scrittore riferisce 25 che un milione e centomila uomini morirono di fame o di spada; i rivoltosi e i briganti invece, denunciatisi a vicenda dopo la presa della città, furono condannati a morte. Fra i giovani, quelli che eccellevano per altezza e bellezza del corpo furono destinati al trionfo; riguardo alla popolazione restante, fra i prigionieri che superavano i diciassette anni di età, alcuni furono mandati ai lavori forzati in Egitto, ma i più affidati alle province per essere uccisi nei teatri dal ferro o dalle fiere; i giovani al di sotto dei diciassette anni, il cui numero ammontava a no-vantamila, furono invece portati via come prigionieri e poi venduti schiavi.
  2. Questo fu lo svolgimento dei fatti che ebbero luogo nel secondo anno del regno di Vespasiano 26, così come li avevano preannunziati le profezie del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo. Egli, infatti, avendoli previsti come presenti con la sua divina potenza, ne aveva pianto e singhiozzato, come dicono i santi evangelisti, che riportano le testuali parole che egli pronunciò quasi riferendole alla stessa Gerusalemme:

4. Se conoscessi anche tu in questo giorno le cose per la tua pace! ora essa invece si cela ai tuoi occhi, poiché verranno giorni in cui i tuoi nemici ti circonderanno con una trincea, ti chiuderanno, ti stringeranno da ogni parte e uccideranno tè e i tuoi figlis. 5. Riportano poi altre sue parole, quasi fossero dette sul popolo di quella città: Ci sarà una grande necessità nel paese e collera su questo popolo; cadranno sotto i colpi del pugnale e saranno/atti prigionieri da tutti ipopoli, che schiacceranno Gerusalemme, finché i loro tempi non saranno compiutil. E ancora: Quando vedrete Gerusalemme assediata dai soldati, allora sappiate che è ormai prossima la sua rovina u. 6. Confrontando le parole del nostro Salvatore con le notizie che lo storico riferisce sull'intero svolgimento della guerra, come non meravigliarsi nel dichiarare, secondo verità, divina e miracolosa oltre misura la prescienza e la profezia del nostro Salvatore?

7. Riguardo a ciò che accadde all'intero popolo giudaico dopo la passione del Salvatore in seguito alle parole con le quali la folla salvò dalla condanna capitale il brigante e l'assassino 27, chiedendo invece la morte per l'artefice della vita, non è necessario aggiungere altro alle notizie già note. 8. Sarebbe giusto tuttavia, a conferma della benevolenza divina verso gli uomini, illustrare quanto avvenne dopo. La Provvidenza divina li mandò in rovina quarantenni dopo l'efferatezza da loro compiuta contro il Cristo 28. In questo tempo gran parte degli apostoli e dei discepoli, e lo stesso Giacomo, primo vescovo della città, ritenuto fratello del Signore, erano ancora vivi e trascorrevano nella stessa Gerusalemme la loro esistenza, formando come un baluardo tortissimo in difesa della città. 9. Lo sguardo divino, che fu fino ad allora benevolo, sarebbe rimasto tale qualora si fossero pentiti di ciò che avevano fatto, avendo così in cambio perdono e salvezza.

^24, 19-21.

25 Guerra giudaica, VI, 420; 435.

26 Nel 70 d.C.

5 Le 19,42-44.

T Le 2L 23-24.

'Le 21,20.

27 II riferimento è a Barabba.

28 L'anno indicato è il 70, data della distruzione di Gerusalemme ad opera di Tito.

Oltre ad una simile testimonianza di magnanimità ebbe luogo ahche una miracolosa apparizione divina, che rivelò loro ciò che stava per accadere se non si fossero pentiti 29. Non era assolutamente possibile tacere ai miei lettori queste notizie, ritenute degne di memoria dal suddetto scrittore.

8. I SEGNI PREMONITORI DELLA GUERRA

1. Si leggano pertanto le parole con cui egli riporta, nel sesto libro delle Storie, questi avvenimenti: "Gli impostori, giurando il falso persino su Dio, ingannavano quel popolo di infelici. Nessuno credeva ne prestava fede ai segni prodigiosi che preannunziavano l'ormai prossima distruzione, ma, come colpiti da un fulmine e come ciechi e privi di mente, non porsero neppure orecchio a questi ammonimenti divini. 2. Un astro, simile ad una spada, si fermò sopra la città, lasciando lì per un anno una cometa; poi, prima della rivolta e dello scoppio della guerra, quando il popolo era riunito per celebrare la festa degli Azimi 30, l'ottavo giorno del mese di Xandico 31, all'ora nona della notte, una luce così abbagliante illuminò l'altare e il Tempio da fare sembrare che fosse giorno pieno. Questo fenomeno durò circa mezz'ora. Agli inesperti sembrò un segno propizio, ma gli scribi lo interpretarono rettamente, come presagio cioè delle sventure future.

29 Questa apparizione è riferita al capitolo successivo.

30 Era la festa che dava inizio alla celebrazione della Pasqua ebraica. Essa durava una settimana e prendeva tale denominazione dal fatto che in quei giorni non veniva usato il lievito per fare il pane (cf. Es 12, 15-20; 13, 3-7; 23, 15; 34, 18). Sui riti in essa prescritti cf. Lv 23, 5-8; Nm 28, 16-25.

31 Mese del calendario macedone, usato in Asia Minore dopo la conquista di Alessandro Magno fcf. anche supra. I, n. 87).

3. Durante questa stessa festa una giovenca, portata dal sommo sacerdote per il sacrificio, partorì un vitello in mezzo al Tempio. 4. La porta orientale interna poi, che era di bronzo e pesantissima, chiusa a fatica di sera da venti uomini e sprangata con catenacci di ferro e con paletti conficcati ad una profondità notevole nel terreno, fu vista aprirsi da sola all'ora sesta della notte 32. 5. Non molti giorni dopo quella festa, il ventuno del mese di Artemisio 33, apparve un demone incredibilmente grande. Ma potrebbe sembrare una favola ciò che sto per riferire se non mi fosse stato raccontato da testimoni oculari, e se le sofferenze future non fossero state degne di tali segni premonitori. Prima del tramontare del sole si videro carri sospesi in cielo circondare tutta la regione, e falangi di opiiti slanciarsi dalle nuvole e cingere la città. 6. I sacerdoti raccontarono che, in occasione della festa detta di Pentecoste 34, recatisi di notte al Tempio per la liturgia, come erano soliti fare, sentirono dapprima movimento e rumore, poi una voce rimbombante che diceva: "Noi andiamo via da qui" 35. 7. E, cosa più orrenda di queste, un contadino di nome Gesù, figlio di Anania, cittadino privato, quattro anni prima dello scoppio della guerra ?6, quando la città viveva ancora in pace profondissima e in tranquillità, partecipava alla festa, in cui era tradizione che tutti erigessero tende a Dio ì7; all'improvviso cominciò a gridare verso il Tempio: "Voce dall'Oriente, voce dall'Occidente, voce dai quattro vediti, voce su Gerusalemme e il Tempio, voce contro sposi e spose, voce contro tutto il popolo".-

32 Su questi particolari cf. anche Tacito, Storie, V, 13, 1.

33 Altro mese del calendario macedone.

34 La festa di Pentecoste veniva celebrata cinquanta giorni dopo la Pasqua per commemorare il giorno della consegna della Legge a Mosè. Sul suo svolgimento cf. Lv 23, 15-22; Nm 28, 26-31.

35 Voce spiegabile con un'antica tradizione ebraica, secondo la quale gli dei abbandonavano al suo destino una città ormai destinata alla distruzione.

36 Nel 62 d.C.

37 Riferimento alla Festa delle capanne, celebrata dagli Ebrei per ricordare l'esodo dall'Egitto. In occasione di questa ricorrenza essi, abbandonate le proprie case, erano soliti dimorare m capanne appositamente erette. Su di essa cf. Lv 23, 33-43; Nm 29, 12-39; Dt 16, 13-16.

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