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Meditazioni per le festività (di Mons.Riboldi)

Ultimo Aggiornamento: 07/07/2017 21:39
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24/05/2017 12:54
 
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Omelia del 21 Maggio 2017

VI Domenica di Pasqua

Voi conoscete il Padre



Oggi l’obiettivo del mondo e l’impostazione della sua ‘moda’ è quello di cancellare anche solo l’idea di sofferenza, facendo prevalere la filosofia dello star bene ad ogni costo: una corsa alla felicità che, quando non si incontra con i nostri desideri, può continuare, come impazzita, verso paradisi artificiali, quali la droga o altro, che si rivelano alla fine come anticamere della morte.

Ma è inevitabile: viene per tutti, in qualunque condizione sociale, l’impatto con il dolore o con la necessità di scelte radicali o con le asprezze dei compiti da realizzare. Avere paura è come gettare le armi, ancor prima che inizi la ‘battaglia’: è rinunciare a vivere, prima ancora di essersi assunti un impegno, è lasciare un discorso in sospeso, quando per sua natura dovrebbe essere finito.

Affrontare le difficoltà nella vita, le piccole o grandi scelte, fa parte della natura umana, e, molto di più, di chi vive di fede, sapendo che Dio ‘mette alla prova’ il nostro amore, ma nello stesso tempo si fa nostro Cireneo. A volte si rimane stupiti di fronte a fratelli e sorelle che affrontano nella vita difficoltà, scelte, sofferenze, che per i più sembrerebbero insormontabili. Ma sono la testimonianza di quanto un credente vero può vivere con coraggio e serenità e la ‘dimostrazione’ concreta di come solo da Dio possiamo ricevere la forza di vivere. D’altra parte noi sappiamo che la nostra vita non è un disegno uscito dalla nostra fantasia, ma è sin dall’inizio un percorso che il Padre ha tracciato per noi, e solo a noi spetta di decidere se seguirlo con amore e libertà.

Troviamo nel Vangelo di oggi, come Gesù, prima ancora della Pentecoste, avesse tracciato per gli Apostoli il cammino che li attendeva, assicurandoli che non li avrebbe lasciati soli.

È quello che, del resto, riserva per ciascuno di noi. Così, oggi, Gesù ci parla:

“Gesù disse ai suoi discepoli (noi!): ‘Se mi amate osserverete i miei comandamenti. Io pregherò il Padre ed Egli vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi per sempre: lo Spirito di verità, che il mondo non può ricevere, perché non crede e non Lo conosce. Voi lo conoscete, perché Egli dimora presso di voi e sarà in voi. Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più: voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi. Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch’io lo amerò e mi manifesterò a lui”. (Gv. 14, 15-21)

Queste parole Gesù le rivolgeva ai Suoi prima della sua passione, morte e resurrezione. Conosceva molto bene la loro – e nostra – debolezza e li voleva rassicurare: con la Pentecoste, la Presenza dello Spirito ‘annulla’ ogni debolezza umana. Quella stessa debolezza, manifestatasi subito dopo la Sua morte, quelle ore di smarrimento,… di tradimento!... da parte dei Dodici, sono in fondo la nostra stessa fragilità di fronte alle difficoltà o alle grandi scelte.

Ma c’è la promessa del Consolatore!

Ricordo il mio smarrimento quando improvvisamente ed inaspettatamente mi giunse la nomina, da parte di Paolo VI – che mi conosceva e mi amava – ad essere vescovo della Chiesa. La mia confusione era simile a quella dei Dodici. Confesso che provai un senso di ‘paura’ di fronte a quella chiamata: una ‘paura’ che non dovrebbe assolutamente essere nostra! Quando il beato Giovanni Paolo II fu eletto Papa, le prime parole che rivolse al mondo, ma soprattutto alla Chiesa, furono: ‘Non abbiate paura!’… perché dietro ad ogni volontà del Padre, c’è Lui stesso a sostenerci!

‘Non vi lascerò orfani’ – ripete Gesù a noi – ‘Tornerò da voi’.

Ed è quello che ho sperimentato nella mia vita da vescovo. Ci furono momenti molto difficili, per tante ragioni e per tante scelte. Volendo liberare la mia terra dalla criminalità organizzata, sentivo come mio dovere di Pastore di dover ‘liberare’ il territorio affidato alla mia cura pastorale, fronteggiandola. Fu una lotta dura, in cui si doveva mettere in conto anche la possibilità di essere ucciso. Lo dissi una volta, in visita, al Papa, S. Giovanni Paolo II, che comprese il mio animo e con forza mi ripetè le parole: ‘Non abbiate paura. Vi sarò vicino’. E fu così.

Per questo impressiona oggi la solitudine di tanta gente nel momento della prova, quando, a volte, basterebbe un sorriso, un nulla per rompere la solitudine. Non è nemmeno necessario ‘fare’ tanto: nella nostra società così dispersiva, distratta, così abituata a consumare persone e cose, ciò che la gente tutti i giorni desidera è un orecchio disponibile ad ascoltare, una mano pronta a sorreggere, una voce che, con pazienza, tatto, bontà, narri e testimoni la buona notizia che Gesù è venuto a dirci:

‘Non abbiate paura. Il Padre vi darà un altro Consolatore, perché rimanga con voi, per sempre’.

Anche Papa Francesco spesso constata con rammarico come nel nostro tempo ‘si riscontrano diversi segni della nostra condizione di orfani: Quella solitudine interiore che sentiamo anche in mezzo alla folla e che a volte può diventare tristezza esistenziale; quella presunta autonomia da Dio, che si accompagna a una certa nostalgia della sua vicinanza; quel diffuso analfabetismo spirituale per cui ci ritroviamo incapaci di pregare; quella difficoltà a sentire vera e reale la vita eterna, come pienezza di comunione che germoglia qui e sboccia oltre la morte; quella fatica a riconoscere l’altro come fratello, in quanto figlio dello stesso Padre; e altri segni simili”. A tutto questo, è la sua riflessione, “si oppone la condizione di figli, che è la nostra vocazione originaria, è ciò per cui siamo fatti, il nostro più profondo Dna,… Dall’immenso dono d’amore che è la morte di Gesù sulla croce, è scaturita per tutta l’umanità, come un’immensa cascata di grazia, l’effusione dello Spirito Santo … lo Spirito ci fa entrare in una nuova dinamica di fraternità … E questo cambia tutto! Possiamo guardarci come fratelli e le nostre differenze non fanno che moltiplicare la gioia e la meraviglia di appartenere a quest’unica paternità e fraternità”. Così sia!

Antonio Riboldi - Vescovo

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