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I DONI DELLO SPIRITO SANTO

Ultimo Aggiornamento: 12/01/2019 17:51
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10/12/2010 23:26
 
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Il dono dell'intelletto riguarda anch'esso una illuminazione soprannaturale della mente umana, ma sotto un aspetto ancora diverso. Se il dono della sapienza è "la luce per vedere" e il dono della scienza è "l'oggetto divino da vedere", il dono dell'intelletto è "la facoltà di vedere". Anche nelle cose naturali, in fondo, la possibilità di conoscere il mondo risulta dall'incontro di tre fattori: un OGGETTO da vedere, la LUCE per poter vedere e l'OCCHIO sano. In mancanza di uno di questi tre elementi non si ha la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza del disegno divino di salvezza risulta egualmente da tre doni spirituali: la scienza (l'oggetto da vedere), la sapienza (la luce per vedere), l'intelletto (l'organo della vista). Vediamo qualche riscontro biblico.
In Matteo 15,16, Gesù rimprovera significativamente i suoi Apostoli: "Anche voi siete ancora senza intelletto?". Cosa era accaduto? Il Maestro aveva appena esposto un insegnamento fondamentale sul puro e sull'impuro, precisando che l'impostazione del Levitico doveva essere trasferita dal piano materiale del cibo che entra nello stomaco (e che quindi non contamina lo spirito) al piano spirituale di ciò che l'uomo elabora dentro la propria coscienza. E' questa radice interiore delle decisioni che contamina la società e il singolo. I farisei restano scandalizzati dinanzi a questo insegnamento così nuovo, mentre gli Apostoli non ne capiscono il senso. E' a questo punto che Gesù chiede: "Siete ancora senza intelletto?"
Che cosa è allora l'intelletto? Sulla base del contesto in cui Gesù utilizza questo termine, dobbiamo dire che il dono dell'intelletto è una particolare capacità di capire la Parola di Dio. Il dono dell'intelletto entra quindi in azione nei momenti di meditazione personale, nei ritiri e negli incontri di annuncio o di formazione dottrinale. Senza "l'organo della vista", cioè senza il dono dell'intelletto soprannaturale, la nostra comprensione delle Scritture non sarebbe né profonda né salvifica. Sappiamo che la Bibbia può essere studiata anche come libro; di essa si può scandagliare tutto: le epoche di composizione, le eventuali stratificazioni e redazioni, la trasmissione del testo e i suoi codici, i suoi generi letterari, il suo rapporto con l'archeologia… ma rimane il fatto che la Bibbia diventa Parola di salvezza solo a condizione che venga letta e meditata "nello Spirito"; ossia sotto l'influsso e l'operazione dei doni che innalzano le facoltà mentali dell'uomo a un livello di conoscenza soprannaturale. Se la Bibbia viene studiata senza il dono dell'intelletto può essere compresa solo nei suoi significati umani, ma non nelle sue energie salvifiche, che si possono raggiungere e penetrare solo in una lettura nello Spirito. Su questo punto abbiamo dei riscontri molto precisi: "L'ispirazione dell'Onnipotente lo fa intelligente" (Gb 32,8); vale a dire: esiste una forma di analisi e di penetrazione mentale della realtà che è data da una ispirazione divina, la quale rende più acuta l'intelligenza naturale e la fa idonea a comprendere ciò che supera il confine della natura: il mondo del soprannaturale. Per questo il saggio avverte: "Non appoggiarti sulla tua intelligenza" (Prv 3,5), esortazione che risulterebbe senz'altro assurda, se non esistesse un'altra intelligenza sulla quale potersi appoggiare.
Che l'intelligenza, come dono soprannaturale, sia distinta e ordinata alla sapienza si vede chiaramente da 1 Re 5,9: "Dio concesse a Salomone saggezza e intelligenza". Non sarebbe infatti pensabile che Dio doni all'uomo la luce per vedere (sapienza) ma non l'organo della vista (intelligenza). Anche l'Apostolo Paolo si muove nella identica prospettiva: "Egli ha riversato (la grazia) abbondantemente su di noi con ogni sapienza e intelligenza" (Ef 1,8). In sostanza, Paolo vuol dire che per metterci in grado di capire il mistero di Cristo (dono della scienza), il Padre ci ha dato la luce per vedere (dono della sapienza) e l'organo della vista (dono dell'intelligenza). Il dono dell'intelligenza, cioè la comprensione soprannaturale della realtà, non è limitato però ai soli contenuti della Rivelazione, visto che lo stesso Apostolo lo preannuncia a Timoteo come un aiuto per tutte le altre eventuali difficoltà del ministero apostolico: "Il Signore ti darà intelligenza per ogni cosa" (Tm 2,7). Infine, ai Romani, Paolo parla del dono dell'intelletto che i sapienti della Grecia pagana non hanno avuto; essi, tanto colti e raffinati da aver dato i natali alla filosofia occidentale, hanno dall'altro lato idolatrato le forze della natura, rendendo un culto a divinità inesistenti, false e bugiarde, come le chiama Agostino di Ippona, e Dante dopo di lui. In questo si sono dimostrati insipienti. Hanno guardato la natura, così bella e ricca di armonie, ma non sono riusciti a risalire dall'opera all'Artista; e ciò è strano, perché "dalla creazione del mondo in poi, le perfezioni invisibili di Dio possono essere contemplate con l'intelletto" (Rm 1,20). Se l'intelletto naturale bastasse per vedere le perfezioni di Dio nella natura, anche i greci, così sapienti, se ne sarebbero accorti. Ci vuole infatti il dono dell'intelletto, di cui essi erano evidentemente privi. E poi, trattandosi di un dono, l'intelligenza infusa va anch'essa invocata e attesa: "Se invocherai l'intelligenza…" (Prv 2,3).
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Questo dono dello Spirito, altrettanto necessario ai discepoli di Cristo, riguarda pure una particolare illuminazione della mente; tuttavia, a differenza dei tre doni precedenti, i quali si muovono su un terreno prevalentemente speculativo (anche se la sapienza ha innegabili aspetti pratici), il dono del consiglio opera esclusivamente in sede di ragion pratica. Questa particolare luce soprannaturale non è quindi ordinata al conoscere ma all'agire. Ma perché è necessario un dono dello Spirito per illuminare la ragion pratica? La risposta è semplice: l'ambito delle decisioni e della vita pratica è il campo su cui si combatte la battaglia del compimento della volontà di Dio. E la luce della ragione naturale, da sola, non è sufficiente a indicarmi "il meglio pratico" nel quadro della perfezione cristiana. In sostanza: se devo realizzare un bene umano (vale a dire: l'acquisto di una casa, la legalità nella professione, il metodo educativo per i figli..) può bastarmi la luce della mia ragione naturale, accompagnata dalle competenze e dall'esperienza; ma se devo realizzare un bene soprannaturale (vale a dire: realizzare le aspettative della volontà di Dio per me, qui e ora), la luce della mia ragione naturale non può più bastarmi. Ecco che il Signore mi dà ciò che manca al mio quoziente intellettivo, infondendomi il dono soprannaturale della ragion pratica: il consiglio.
Si tratta di un dono che, al pari degli altri, nessuno può conseguire, se Dio non lo elargisce graziosamente: "A Dio appartiene il consiglio" (Gb 12,13). Anche questo dono è prerogativa divina, nel senso che non è in dotazione della natura umana in quanto tale. Il consiglio è un dono che si aggiunge alla ragione umana. Chi non lo possiede non può rispondere alle esigenze quotidiane della volontà di Dio, perché non è interiormente diretto da Dio. Al massimo egli potrà individuare il bene umano e regolarsi su di esso in base al loro buon volere, ma la perfezione cristiana, ovviamente, è ben altro. Chi ha il dono del consiglio è guidato da Dio nelle circostanze piccole e grandi della vita pratica, e perciò egli non agisce bene, ma agisce santamente: "Mi guiderai con il tuo consiglio" (Sal 73,24); "Benedico il Signore che mi ha dato consiglio" (Sal 16,7); "Il Signore dirigerà il consiglio del saggio" (Sal 39,7).
Per ottenere il dono del consiglio, al pari di tutti gli altri doni soprannaturali, occorre una precisa disposizione: "L'uomo accorto acquisterà il dono del consiglio" (Prv 1,5); insomma, i doni di Dio non possono essere elargiti a chi non si dispone a riceverli.
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Dicevamo all'inizio che ci sono tre doni che riguardano la sfera emozionale volitiva: la fortezza, la pietà, il timor di Dio. Cominciamo col dono della fortezza. Anche in questo caso dobbiamo distinguere una fortezza naturale da una fortezza infusa da Dio. E se c'è una fortezza naturale, come la forza del carattere, per affrontare le difficoltà normali della vita, c'è anche una fortezza carismatica per affrontare le difficoltà che sono proprie del cammino di fede. A questo è appunto orientato il dono della fortezza. Vediamo quale può essere qualche riscontro biblico pertinente.
In più punti e in diversi modi si dice nella Scrittura che Dio è la fortezza dell'uomo. Le citazioni potrebbero essere molto numerose: "Signore, mia roccia, mia fortezza" (Sal 18,3); "Di' al Signore: mio rifugio e mia fortezza" (Sal 91,2). I sapienziali precisano che Dio è fortezza per l'uomo giusto: "Il Signore è una fortezza per l'uomo retto" (Prv 10,29). La forza è anch'essa una prerogativa di Dio, che però Egli non usa per imporsi, ma solo per sostenere la debolezza umana: "Prevalere con la forza ti è sempre possibile, tutto il mondo davanti a Te è come polvere… Tu, padrone della forza, giudichi con mitezza… il tuo dominio universale ti rende indulgente con tutti" (Sap 11,21.22; 12,17.18). Piuttosto è Dio che infonde forza ed energia all'uomo: "Il Signore ti darà la forza" (Dt 8,18), e ancora: "Dammi forza, Signore, in questo momento" (Gdt 13,7); "Il Signore darà forza al suo popolo" (Sal 29,11). Naturalmente, come già dicevamo, non si tratta di una forza finalizzata a realizzazioni umane, bensì è quella forza di cui abbiamo bisogno per portare a compimento la volontà di Dio, spesso ardua e ostacolata da grandi impedimenti. Senza il dono della fortezza infusa, si cederebbe radicalmente dinanzi a ostacoli non di rado superiori alle forze umane, come si vede bene dalla vita dei santi, e in particolare quella dei martiri.
Dobbiamo adesso cercare di vedere, attraverso le narrazioni bibliche, in quali casi è intervenuto il dono della fortezza infusa. Il primo riferimento potrebbe essere rappresentato dal difficile ministero di Mosè. Egli non deve soltanto tenere testa all'ostilità del Faraone, bensì anche alle mormorazioni e alla sfiducia del popolo di Israele, come quando, dopo il suo primo intervento in favore degli schiavi ebrei, per tutta risposta il Faraone aumenta la misura dell'oppressione, e gli isareliti accusano Mosè e Aronne: "Il Signore proceda contro di voi e giudichi; perché ci avete resi odiosi agli occhi del Faraone e dei suoi ministri" (Es 5,21). E questa sfiducia verso di lui si ripresenterà più e più volte lungo tutto il cammino nel deserto. Perfino sua sorella Maria, insieme ad Aronne, dubiterà di lui e sarà punita da Dio per questo (cfr. Nm 12,1-3). Insomma, Mosè è colpito dall'esterno e dall'interno, eppure non si abbatte mai, anche se attraversa momenti di grandi lotte interiori (cfr. Nm 11,15). Quale forza lo tiene a galla? Senza dubbio l'infusione della fortezza soprannaturale, che lo abilita a compiere una missione non umana, e perciò dalle difficoltà non umane.
Un'altra figura che può aiutarci a cogliere l'operazione del dono della fortezza è Davide, allorché si trovò dinanzi a Golia, abile soldato filisteo. Le parole di Davide sono già l'espressione verbale del dono della fortezza soprannaturale; mentre gli israeliti fuggono dinanzi al campione Golia, Davide chiede: "Chi è mai questo filisteo incirconciso che osa insultare le schiere del Dio vivente?" (1 Sam 17,27). L'uomo giusto si sente sempre sicuro e imbattibile nei confronti di coloro che, pur arroganti o umanamente potenti, non hanno con sé la grazia di Dio. Questo stesso concetto, con implicito riferimento alla fortezza soprannaturale, è detto in Prv 28,1: "L'empio fugge anche se nessuno lo insegue; il giusto invece è sicuro come un giovane leone".
Il profeta Daniele lo abbiamo già visto nella sua grande disinvoltura dinanzi ai re di Babilonia, e soprattutto viene messa in rilievo dal narratore l'inflessibilità del veggente perfino dinanzi alla minaccia della morte. Non v'è dubbio che la fortezza dei martiri sia una fortezza non umana, cioè un dono carismatico che corrobora la capacità umana di volere un bene arduo.
Lo stesso può dirsi di Giuditta e di Ester, le quali, chiamate da Dio a una missione di salvezza in favore del popolo di Israele, affrontano delle prove e dei combattimenti del tutto sproporzionati alla loro femminilità. Evidentemente, lo Spirito di Dio ha aggiunto quella dose di coraggio e di inflessibilità che umanamente mancava al loro carattere.
Il discorso sul dono della fortezza soprannaturale sarebbe monco se non si giungesse all'insegnamento di Gesù nel NT. Il Maestro dice ai suoi discepoli che essi nel mondo dovranno portare il peso di angustie e persecuzioni per il fatto stesso di essere cristiani; per questo Dio li soccorrerà infallibilmente nel momento della prova. Questo divino soccorso nel tempo della prova è stato identificato dalla teologia spirituale con il "dono della fortezza" di Is 11,2. Rivediamo i termini dell'insegnamento neo testamentario.
Dopo avere scelto i Dodici e avere comunicato loro l'autorità carismatica di operare guarigioni ed esorcismi, Gesù rivolge loro un lungo insegnamento nel quale dice, tra l'altro, "sarete condotti davanti ai governatori e ai re per causa mia… E quando vi consegneranno nelle loro mani, non preoccupatevi di come o di che cosa dovrete dire… non siete infatti voi a parlare, ma lo è Spirito del Padre vostro che parla in voi" (Mt 10,18-20). Ciò significa che i discepoli, nelle loro prove, non sono sorretti unicamente dalla loro fede soggettiva, o dalla capacità personale di sperare contro ogni speranza; i discepoli sono sorretti nel loro cammino e nei loro combattimenti da un intervento tempestivo e attuale dello Spirito di Dio, che sposta i limiti delle loro forze aldilà delle normali possibilità umane. Con maggiore dovizia di particolari, il vangelo di Giovanni riporta il lungo discorso pronunciato da Gesù nel contesto dell'Ultima Cena, dopo l'uscita di Giuda dal cenacolo. Qui il Maestro promette alla comunità cristiana la venuta del Paraclito, dopo la propria partenza da questo mondo. Lo Spirito di Verità riespone nel cuore dei credenti l'insegnamento di Gesù (cfr. Gv 14,26), diviene forza nuova di testimonianza nel mondo (cfr. Gv 15,26), dove i discepoli sono odiati come è stato odiato Lui (cfr. 15,18). L'opera lucana parla esplicitamente di una forza proveniente dallo Spirito: "avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,8); e prima di ascendere al Padre il Risorto così parla ai discepoli radunati: "Io manderò su di voi quello che il Padre mio ha promesso; ma voi restate in città, finché non siate rivestiti di potenza dall'alto" (Lc 24,49)
Quanto questa promessa sia vera è ampiamente dimostrato non solo dal racconto degli Atti degli Apostoli, ma anche dalla storia della Chiesa dei primi tre secoli, secoli di sanguinose persecuzioni. E i pagani si stupivano del modo di morire dei cristiani, sereno e gioioso.
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Ro 10,17 La fede dipende dunque dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola di Cristo.
 
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