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EVOLUZIONE E STRUTTURA NEL GENESI BIBLICO

Ultimo Aggiornamento: 02/02/2021 17:56
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26/10/2010 13:48
 
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La critica di fondo all’evoluzione

Chi ha già letto lo scritto del prof. Sermonti potrà notare la nostra identità di vedute sul senso più profondo dell’evoluzionismo. Sia per noi sia per il professore, l’evoluzionismo è soprattutto un tentativo di escludere Dio dall’orizzonte della nostra storia e della nostra vita. Mi sembra molto interessante l’opinione di Sermonti quando afferma che l’evoluzionismo, così come si è venuto a configurare, non fa altro che rinnovare quanto Genesi 1 già diceva, escludendo però la figura del Creatore se non soltanto (e solo per alcuni) in rapporto al fiat iniziale. Dò per scontato che con le sue poche frasi, Sermonti non voglia rendere conto di tutte le componenti dell’evoluzionismo moderno (molti, ad esempio, vedono la mano di Dio anche nel processo evolutivo in sé: “concordismo” o “evoluzionismo teista”). Possiamo quindi ritrovarci in quello che lui dice. Notiamo tuttavia quella che a noi appare come una incongruenza nel suo modo di leggere il testo biblico, lettura che si svolge partendo dai presupposti e con i metodi che sono propri dei sostenitori del pensiero che si vuole criticare (non solo viene riconosciuta l’esistenza dei documenti wellhausiani, ma se ne accetta la datazione e anche una delle argomentazioni più antiche come quella di diversi nomi attribuiti a Dio). Conoscendo la situazione capisco che non era facile assumere una posizione diversa, ma può essere utile sapere che questo potrebbe farci vittima della forza della cultura di impostazione storico-critica wellhausiana allo stesso modo in cui molti sono vittime di una visione darwinista o neo darwinista solo perché vinti dalla ormai preponderante e ossequiente letteratura sull’argomento e dal martellamento ossessivo dei mass media favorevoli alla tesi.

Il rapporto tra Genesi 1 e 2

La gran parte dei commentari moderni sul libro del Genesi, rispecchia o dà per scontata la teoria documentaria di Wellhausen. Il prof. Sermonti, forse senza conoscerne i presupposti e i metodi, sviluppa la sua tesi proprio sullo sfondo di questa visione. Allo stesso modo mi sembra che, come avviene in molti commentari tendenti a proteggere da una parte il valore spirituale del testo biblico pur negandone il senso storico, lo si legga influenzati da preoccupazioni che molto probabilmente sono più nostre che dello scrittore originale. 

La teoria documentaria classica attribuisce Genesi 1 al Sacerdotale (fine epoca esilica quindi) mentre Genesi 2 è attribuito allo Javista e sarebbe quindi più antico. Non staremo qui a discutere le ragioni per questa distinzione – che noi rifiutiamo – perché richiederebbe una trattazione molto più lunga e di tipo totalmente diverso da quella che possiamo offrire qui. Mentre gli interpreti “liberali” (per necessità di semplificazione, chiamo così quegli studiosi che accettano i presupposti evoluzionistici di Wellhausen o altri simili), prediligono in genere il testo di Genesi 1 come culturalmente e spiritualmente più avanzato, il professore Sermonti predilige invece Genesi 2 perché ponendo l’uomo all’inizio della creazione ne farebbe l’archetipo di tutte le altre forme animali, cosa che corrisponderebbe perfettamente alla sua visione della storia della vita. La nostra impressione è però che, così facendo, si faccia dire a Genesi 2 quello che il testo non vuole dire; allo stesso modo in cui gli Evoluzionisti teisti fanno dire a Genesi 1 quello che essi hanno già deciso di credere indipendentemente da questo testo. 

Per noi, la realtà è che entrambi i primi capitoli del Genesi, nonostante la diversità di linguaggio ed alcuni problemi non facili da risolvere, ma di secondaria importanza, contraddicono pesantemente la visione evoluzionistica e danno lo stesso messaggio di base. 

E’ vero che Genesi 2 ha un linguaggio più immaginifico o mitologico (non so se anche più “poetico”) di Genesi 1, ma ciò è finalizzato a criticare, come aveva già fatto a suo modo Genesi 1, la visione mitica del mondo caratteristica di quell’epoca. Lo si vede, ad esempio, paragonando ciò che il testo biblico dice sull’albero della vita con quello che troviamo, ad esempio, nel mito mesopotamico di Ghilgamesh. In quest’ultimo, gli dèi lo nascondono in fondo al mare perché  l’uomo non giunga mai a possederlo, mentre l’Iddio del Genesi lo pone al centro dell’Eden e lo offre lui stesso all’uomo. Lo si vede da ciò che lo stesso mito dice del serpente, descritto come alleato degli dèi affinché l’uomo continui a morire,  mentre Genesi 2 né fa l’avversario bugiardo di Dio, il nemico che allontana la creature dal Padre che lo ama.[3] Per Genesi 1, lo stesso Sermonti dà ampia  ragione della sua natura antimitica. Anche il lettore non addentro a queste tematiche potrà facilmente apprezzare il fatto che quando il testo biblico deve parlare della creazione del sole e della luna (vv. 14-17) evita persino di chiamarli per nome, perché per gli antichi essi erano degli déi, cosa che la Bibbia rifiuta in modo totale. Genesi 1 dice soltanto che erano delle luci, delle lampade e dei segni per scandire il tempo dell’uomo.

Tutti i commentatori liberali vedono in Genesi 2 una storia diversa della creazione. Sermonti segue la loro scia anche se nega a questo capitolo un’intenzione storicista, facendone un modello esistenziale e introducendovi una sua tematica del tutto speciale. Però, come altri studiosi riconoscono, Genesi 2 non può essere visto come una descrizione alternativa e contrastante della creazione. Innanzitutto mancherebbe la creazione fondamentale del cielo e degli astri, del mare e dei suoi abitanti, elementi senza i quali il mondo conosciuto non esisterebbe e la stessa vita dell’uomo non andrebbe avanti. Anche la creazione del suolo e del processo del suo annacquamento, fatto così determinante per la vita, è presupposto come esistente, non descritto mentre viene creato. Solo dell’uomo si descrive con certezza la creazione. Su quella degli animali, si può discutere perché il verbo usato può essere inteso legittimamente come un passato remoto, “creò”, nel qual caso il testo porrebbe la loro creazione dopo quella dell’uomo, creando un conflitto con Genesi 1:24-28 dove  la loro creazione precede quella dell’uomo anche se il tutto avviene nello stesso giorno. Alcune traduzioni moderne come la Nuova Diodati in campo protestante e la traduzione delle Paoline traducono ancora in questo modo. Altre traduzioni, come la Nuova Riveduta o la New International Version, altrettanto legittimamente, intendono il tempo del verbo come se si riferisse ad un momento precedente: “Dio ... avendo formato dalla terra tutti gli animali ... li condusse all'uomo.” In questo modo la creazione degli animali viene ricondotta, come in Genesi 1, a prima della creazione dell’uomo. La scelta tra le due opzioni non nasce da esigenze grammaticali, ma dalla visione d’insieme dei testi e non vediamo perché si debba introdurre una discrepanza non necessaria.

La questione delle piante è più complessa e la comprensione del testo biblico dipende in buona parte da come si comprendono i riferimenti ai vegetali che non esistevano ancora e alla pioggia che non c’era, cose non così ovvie come potrebbe dedursi dalla semplice lettura delle traduzioni. Non potendo entrare qui in una discussione sui dettagli, mi limito a condividere la mia impressione sul significato generale del testo. Mentre in Genesi 1 l’autore ci ha descritto la creazione del mondo e della vita in termini generali e assoluti, con Genesi 2 comincia invece un dialogo più specifico sulla vita dell’uomo nei suoi rapporti interpersonali e con il resto del mondo così come poteva essere percepito dall’agricoltore o dal pastore del suo tempo. Egli ci dice dunque, che il mondo che si conosceva al suo tempo, il mondo dei cespugli del deserto e dei campi coltivati a cereali, il mondo insomma della lotta e della fatica quotidiana per la vita non esisteva quando Dio creò il mondo. Esisteva invece la vita ideale di chi era stato posto in un giardino irrigato che, con piccola cura da parte dell’uomo, produceva spontaneamente e generosamente i frutti necessari alla vita. Nel Medio Oriente antico, l’ideale di molti contadini era il possesso di un giardino, un pezzo di terra dove la presenza dell’acqua rendesse la vita facile e prospera (il nostro “paradiso” significa “giardino”, appunto). Quello che ci viene allora detto è che la casa provveduta da Dio all’uomo era il meglio che si potesse desiderare. Al mondo della fatica si giunge solo dopo il peccato e la maledizione che ne consegue sull’uomo stesso e sul mondo.

La questione dei tempi delle varie fasi della creazione non è più importante (e molti verbi ebraici possono essere tradotti con valori temporali diversi). Quello che importa è il quadro generale della vita che non c’era e che poi venne, e di quello che Dio veramente fece. In Genesi 1 tutto è descritto in termini esplicitamente cronologici come indicato dall’insistente ripetizione di “e fu il primo ... il secondo ... il terzo ... il quarto ... giorno”, ma questo manca totalmente in Genesi 2 dove si vuole soprattutto creare l’impressione di un mondo che direttamente ruota attorno all’uomo. Che si parli di qualcosa prima o dopo della creazione dell’uomo ha poca importanza: quello che importa è ciò che Dio fece, non quando fece una cosa rispetto all’altra. In questo senso possiamo essere parzialmente vicini al sentire del prof. Sermonti quando attribuisce al testo un valore più funzionale che cronologico. 

Qual è allora la funzione di Genesi 2 rispetto a Genesi 1? Qualcosa abbiamo già detto, ma possiamo aggiungere altro, anche se solo per cenni: Genesi 1 risponde alla domanda fondamentale di ogni essere pensante: Chi siamo noi? Da dove veniamo? Il testo ci dice: siamo creature di Dio da cui viene tutto quello che esiste, il suo ordine, la sua bellezza, la sua armonia. Il testo dice ai suoi primi lettori, che questo Dio non era come gli uomini erano giunti ad immaginarlo. Non era un dio che sorgeva dalla natura con la quale aveva dovuto lottare per emergere ed affermarsi su di essa, ma un Dio da cui la natura stessa veniva e sulla quale Egli signoreggiava in modo incontrastato. Un Dio che non aveva  bisogno di lottare che  creò un mondo in cui non c’era lotta, dove la terra produceva spontaneamente i suoi frutti per gli esseri animati, la cui vita non era mai vissuta a scapito della vita degli altri. Tutti godevano liberamente di una vita data con una ricchezza senza limiti  “Tutto era molto buono” (v. 31) è la sintesi della creazione narrata da Genesi 1. 

Genesi 2 risponde invece ad altre domande: Se Dio ha creato tutto così buono, da dove viene il male, la lotta, la fatica, la morte che sperimentiamo tutti i giorni? Da dove viene la vita come la viviamo ora, in questo mondo così diverso, la vita dell’agricoltore, del pastore, con la sua lotta per strappare al suolo quel poco che basta al sostentamento? Da dove vengono gli stessi rapporti tra gli uomini molto spesso così problematici? 

Come in Genesi 1, anche qui la risposta non viene data attraverso delle affermazioni teoriche, ma attraverso la plasticità della narrazione. Il mondo in quanto tale esiste già. Come sia sorto è già stato detto. Ora ci si concentra sul mondo del lavoro e dell’attività umana. Eden era un mondo di pace e di armonia, come quello di Genesi 1: Dio vi aveva messo tutto quello che era necessario alla vita: alberi di ogni tipo e abbondanza d’acqua: attraverso fiumi e attraverso la rugiada: entrambi abbondanti e continui come continua e florida scorreva la vita di tutto. Non c’era da aspettare la pioggia per avere vita e non c’era paura delle inondazioni. In Genesi 2, l’uomo è posto al centro della creazione come in Genesi 1 è posto al suo culmine. In ogni caso, la centralità dell’uomo è affermata. E come in Genesi 1 l’uomo è creato a immagine di Dio, signore della natura, così Genesi 2 ci dice che Dio crea l’uomo con la libertà e la responsabilità di un essere morale capace di rispettare il limite tra sé e il suo Creatore, e quello esistente tra il bene e il male. Genesi 2 ci dice anche che quella signoria sulla natura che l’uomo aveva ricevuto in Genesi 1, non si esprime attraverso un atteggiamento distruttivo di sfruttamento, ma attraverso un atteggiamento regale di servizio e protezione. A un mondo dove la donna era già abbondantemente diventata serva del maschio, il testo ci dice che Dio aveva creato Eva dalla stessa carne di Adamo attribuendole dignità e valore. Lo stesso aveva fatto Genesi 1 dicendo che quell’uomo creato a immagine di Dio era “maschio e femmina”. No, non c’è differenza tra Genesi 1 e 2 per quel che riguarda la visione delle origini e il senso della vita. In Genesi 2 c’è solo un linguaggio diverso, un linguaggio usato per dire che quel Dio, che sovranamente aveva creato il mondo, era tuttavia un Dio vicino all’uomo, un Dio che lo crea toccandolo, plasmandolo con una vicinanza e intimità straordinaria, un Dio che crea non semplicemente il mondo in astratto, ma il mondo che è casa dell’uomo. Una casa diversa però da come i primi lettori concretamente la conoscevano. Tutto è cambiato a causa della ribellione dell’uomo a Dio, ribellione che ha distrutto l’armonia tra la creatura e il Creatore, ed ha introdotto in loro stessi e in tutto il resto, la disarmonia, la lotta e la morte. Da questo nasce il mondo con le spine, con gli arbusti o comunque li si voglia intendere che fanno parte della vita dei piccoli coltivatori  o dei pastori di quel tempo e di tutti i tempi. 

Né Genesi 1 né Genesi 2 possono armonizzarsi con la tesi evoluzionistica, non solo perché entrambi vedono la creazione dei viventi come esseri già specificati e perfetti, ma anche e soprattutto perché entrambi i capitoli sono stati fondamentalmente scritti per dirci che Dio non ha bisogno della fatica dei milioni di anni e della pena della lotta e della morte per creare e sostenere la vita, come invece l’evoluzionismo ha iscritto nel più profondo del suo DNA ideologico. 

Condividiamo quindi con il prof. Sermonti la tesi che il vero nemico dell’Evoluzionismo è la visione biblica della creazione. Ce ne differenziamo invece per il fatto di credere che il vero nemico non sia solo genesi 2, ma tutto il racconto della creazione a partire da quel “Nel principio Dio creò i cieli e  la terra” (Genesi 1:1). 

D’altra parte, perché discutere sul valore di Genesi in rapporto all’evoluzione? Se non si crede che questo libro abbia in Dio la sua prima origine, perché affaticarsi a considerarlo in tutto o in parte? Se si crede che Genesi ci presenti una visione che ha valore perché viene da Dio, allora bisogna accettarlo completamente come dicendoci la verità. Genesi 1 e 2 sono soltanto l’inizio di un percorso. Il Vangelo di Gesù Cristo e la speranza che ci offre di un mondo originario restaurato alla sua primitiva armonia e bellezza ne sono la conclusione.  

L’uomo e gli animali

Il prof. Sermonti scrive: “Nel genesi mitico [cap. 2,3] la vita è un soffio, che solo l’uomo, tra tutti gli animali, riceve; è pensiero e parola, riservati all’uomo (e, per clonazione, alla sua compagna), mentre gli altri animali ne restano privi e saranno animati da una sola parola, quello che l’uomo sceglierà per ognuno di loro.” E’ un pensiero molto bello e vi intuisco sensibilità poetica oltre che logica. Tuttavia, sul piano testuale, mi sembra che difficilmente si possa attribuire al soffio dell’uomo un carattere di esclusività, perché Genesi attribuisce lo stesso soffio a tutti gli animali (Confronta Gn 2:7 con 6:17; 7:15,22. I termini neshmah e ruach sono usati come sinonimi per dire alito, respiro, soffio, vita). Il fatto che Adamo sia invitato da Dio a dare un nome agli animali, non è lo stesso che dare vita. Gli animali esistono per volontà e potere di Dio: è da Lui che ricevono il soffio. Dare loro un nome, nella terminologia biblica, significa piuttosto riconoscerne la natura specifica ed esercitare su di essi un’autorità e un dominio (anche questo fatto presente in Genesi 1). 

E’ proprio sul rapporto tra uomo e animale che l’opinione del prof. Sermonti ci sembra maggiormente differire dalla visione biblica. Provo a spiegarmi. 

Mi sembra di capire che il prof. Sermonti inserisca la sua visione scientifica dell’origine e dello sviluppo della vita sullo sfondo del quadro fornito dalla geologia moderna con i suoi lunghissimi tempi e la comparsa di nuovi tipi (mi si perdonerà la terminologia non proprio scientifica) durante lo svolgersi delle diverse ere. A differenza dell’evoluzionismo corrente, il professor Sermonti fa però notare che tali nuove forme di vita non sembrano essere il risultato di lenti adattamenti dovuti alla selezione naturale o a mutamenti genetici casuali. Egli considera questi fattori come inadeguati a spiegare la realtà dei dati oggettivi. Avanza quindi la tesi che tutte le forme viventi esistenti siano in realtà manifestazioni di una possibilità già presente nella creazione originale e che aspettino solo le circostanze opportune per svelarsi improvvisamente. E’ una tesi che mi affascina e alla quale di tanto in tanto ripenso per capirne l’oggettività e le implicazioni. Si tratterebbe di un’altra versione del concetto di creazione continua? Se così fosse non contraddirebbe la visione di una creazione conclusa prospettata da Genesi 1 in cui le varie forme viventi appaiono già presenti de facto al momento della creazione? Non contraddirebbe anche il fatto, presente in Genesi 2, che l’uomo abbia dato un nome agli animali, ne abbia cioè riconosciuto l’identità e diversità in un momento iniziale della storia? Quali limiti attribuisce il prof. Sermonti a questa capacità del vivente di contenere in sé il progetto di tante altre forme possibili? Se tale possibilità fosse limitata entro il quadro di quello che noi chiameremmo “variazioni sul tema”, rimanendo sempre nell’ambito, ad esempio, di quelli che noi chiamiamo generi o famiglie, come potremmo spiegare il fatto che alcuni di essi non sono testimoniati nella successione stratigrafica? Sarebbe questa una prova del fatto che essi non esistevano in certe ere e che siano sorti improvvisamente in epoche successive? O non si può forse leggere la natura stessa degli strati geologici e quella dei fossili in essi contenuti come  testimonianza di un catastrofismo legato, ad esempio al diluvio biblico, che porterebbe ad un accorciamento enorme dei tempi geologici? Certo, la tesi potrebbe aiutare a rispondere a delle domande che anche i creazionisti biblici si pongono e, se accolta entro i limiti cui accennavamo sopra, potrebbe spiegare la molteplicità straordinaria delle forme esistenti. Alla fine, come ogni ipotesi, anche questa deve confrontarsi con i fatti, ma i fatti sono spesso letti alla luce di presupposti. Uno è quello della geologia uniformista, un altro quello del catastrofismo biblico. Sul piano scientifico sia le ipotesi che i presupposti vanno sostenuti o rifiutati in base ai fatti che possono sostenerli o contraddirli. Se ci si pone però sul piano della fiducia nel messaggio biblico, mi sembra difficile non vedere proprio nel fatto che l’uomo è chiamato a dare un nome agli animali, il fatto che l’uomo non sia l’archetipo universale della vita, ma colui che venendo dopo prende consapevolezza di ciò che già esiste e lo riceve in dono. 

Il fatto che l’uomo sia il meno specializzato tra le tante specie, prova che è il più vecchio dei primati e dei vertebrati e che questi sorgono come particolarità del modello che lui offre, o è semplicemente colui che nel progetto di Dio doveva avere più libertà di scegliere la propria vita e la capacità di gestire il mondo in cui tutti gli altri vivono?      

L’uomo bambino

Scrive il prof. Sermonti: “La primogenitura dell’uomo entro la sua famiglia di Primati è attestata anche dai recenti studi delle loro molecole (DNA mitocondriale). Da quando la linea umana si è distaccata da quella dei Primati (radiazione dei Primati antropomorfi), la molecola degli uomini ha subito 13 refusi, contro 34 dello scimpanzé. In termini canonici questo voleva dire che l’uomo è molto meno “evoluto” degli scimmioni africani e che quindi “l’antenato comune” è piuttosto un uomo che una scimmia, che la linea umana è rimasta, per così dire, bambina rispetto a quella quadrumane.”

Non sono un genetista e non saprei come valutare i dati ai quali il professore si riferisce. Mi chiedo soltanto, e da ignorante,  come si faccia a sapere che il DNA dell’uomo abbia subito meno refusi di quello dei primati antropomorfi a partire da un dato periodo o un dato antenato comune. Come si fa a sapere com’era il DNA di tale antenato se esso non esiste più? E se anche esistesse ancora, come si farebbe a sapere che è proprio lui quello da cui gli altri derivano? Cosa sarebbero poi questi refusi? Si tratta di errori funzionali? Ma se fosse così come hanno fatto i loro portatori a sopravvivere? E se sopravvivono, come si fa a dire che sono errori? Sono persona curiosa, a volte anche persino infantile. Tutto il ragionamento non presuppone, di fatto, quell’evoluzionismo e i suoi meccanismi supposti che si vorrebbe invece rifiutare? Mi farebbe piacere capire meglio e lo dico senza malizia perché anche dal mio punto di vista religioso, il fatto che qualche scimmione possa essere il risultato di una involuzione dell’essere umano mi porrebbe meno problemi del contrario. 

Adamo ed Eva

Il professore Sermonti spiega la nascita di Eva dalla costola di Adamo come una sorta di “clonazione” attribuendo così anche a lei i caratteri di archetipo dell’uomo. E’ una visione che onora la donna sul piano morale e spirituale, e dovrebbe farlo anche sul piano sociale. L’intenzione non è lontana da quella che probabilmente ha il testo biblico. E tuttavia vi sono delle diversità che non si possono ignorare, soprattutto quando, come fa il prof. Sermonti, si pone il testo biblico in parallelo con la mitologia greca che fa nascere Afrodite Anadiomene, “la madre di tutti i viventi”, dai testicoli di Urano che il figlio Cronos taglia con un falcetto.  Il prof. Sermonti fa infine notare come Genesi 2 si chiude con l’affermazione sulla nudità senza vergogna dell’uomo e della donna, e commenta: “La nudità esprime non la indecenza della prima coppia, ma il loro essere inermi, privi di protezioni e di armi (e di nome), come invece tutte le bestie e i volatili. Via via che li acquistano, gli animali perdono la loro onnipotenzialità e si chiudono nella loro specializzazione.”  

Offro alcune alternative:

1.      La storia della donna tratta dalla costola di Adamo è probabilmente il frutto di un gioco di parole sulla parola ebraica sala’ che può significare sia costola, che fianco e da qui anche lato, aspetto. Quello che il testo vorrebbe dire è probabilmente che la donna rappresenta un aspetto complementare dell’essere umano insieme con il maschio. Non si tratta quindi di una vera clonazione (ma capisco che probabilmente anche il prof. Sermonti usa il termine in senso molto lato) portante a un essere identico ma ad un essere distinto all’interno di una unità di base che attribuisce ad entrambi la stessa dignità e valore. Il paragone con la nascita di Afrodite fa perdere questa peculiarità del testo biblico.

2.      Il testo biblico non attribuisce alla nudità originale alcuna connotazione morale negativa. In questo concordo con il prof. Sermonti. Il sottolineare che “non ne avevano vergogna” tende probabilmente a enfatizzare il fatto già sottolineato in Genesi 1 che tutto quello che Dio aveva creato era buono. Vuole forse anche dire che l’uomo e la donna, vivendo in armonia con Dio, pienamente inseriti nel suo progetto di vita, accoglievano se stessi con innocenza e candore. Sarà il peccato, a introdurre disarmonia, vergogna di sé e timore dell’altro e di fronte all’altro. Allora la nudità sarà vergogna, ma non alla creazione di Dio. Interpretare questa nudità come segno del loro essere indifesi, non armati come le altre creature, mi sembra obbligare il testo entro i limiti di una problematica che non è la sua. Altrimenti cosa vorrebbe dire il fatto che dopo il peccato l’uomo e la donna si fecero delle cinture di fico, che poi Dio sostituì con tuniche di pelle? Non dovrebbe questo portare alla conclusione che l’uomo non è più l’animale bambino che conserva tutte le potenzialità? Che ha  perso la sua natura biologica originaria diventando uno tra i tanti animali specializzati? Ma non sarebbe questo proprio il contrario di quello che si vorrebbe dimostrare?

3.      Il testo di Genesi 2 attribuisce in qualche modo dei nomi sia all’uomo che ad alla donna. Adamo è chiamato tale già fin dal v. 7. Certo, si potrebbe obiettare che qui Adam è usato come nome comune e che solo più tardi acquisterà il valore di nome personale, ma i nomi ebraici hanno valore diverso dai nostri, essi sono descrittivi di ciò che la persona è: ed Adamo è quello che Adam significa, “colui che viene dalla terra”. Lo stesso avviene per la prima donna di cui, subito dopo la sua apparizione, Adamo dice che sarebbe stata chiamata isha, femminile di ish, uomo, “perché è stata tratta dall’uomo”. Successivamente, in Genesi 3:20, Adamo chiama sua moglie Eva, perché, dice, “è stata la madre di tutti i viventi.” Adamo dà quindi nomi non solo agli animali ma anche alla moglie, prima e dopo del peccato, anche se probabilmente con un senso in parte diverso come la linea del racconto impone di pensare (riconoscimento della natura dell’altra ma non necessariamente dominio su di lei). Il fatto che gli animali ricevano un nome non dovrebbe quindi simboleggiare la loro perdita di potenzialità tranne che, non lo si voglia dire anche di Eva, cosa che  però il testo non mi sembra consentire. 

Evoluzione o eternità?

A conclusione del suo scritto, il prof. Sermonti ritorna sulla distinzione tra Genesi 1 e Genesi 2 facendo del primo il modello della competitività evoluzionistica, del secondo il modello della stabilità e dell’eterno. Confesso che mi viene difficile capire il perché. L’unica spiegazione cui mi sembra ci si riferisca esplicitamente è il riferimento al dominio dell’uomo sulla natura in Genesi 1. Alcuni critici della Bibbia hanno voluto vedere in questo dominio la causa dei mali derivanti dallo sfruttamento dell’uomo sulla natura, ma il testo non identifica tale dominio con lo sfruttamento. Esso viene inquadrato invece in un progetto di Dio in cui ogni cosa è in armonia con il resto della creazione, in cui non solo ogni cosa è buona in se stessa ma in cui l’insieme è “molto buono”. Il contesto biblico della creazione impone di vedere il dominio dell’uomo sulla natura come segno dello stesso atteggiamento che Dio ebbe verso di essa nel crearla. Non per niente l’uomo è creato “ad immagine di Dio”. Se si vuole cercare un modello di assenza di competitività è proprio in Genesi 1 che esso è più chiaramente presente: solo in esso si afferma il totale vegetarianesimo di tutti i viventi, segno di rispetto per tutti e di pace con tutti.  Mi viene da pensare che il prof. Sermonti sia stato influenzato, nella sua valutazione, da quanto aveva detto all’inizio del suo scritto, cioè che Genesi 1 è usato come modello ideologico ateo dagli evoluzionisti. Il professore mi perdonerà se azzardo un paragone con Cristo. Nel suo nome i crociati e tanti altri hanno ucciso milioni di persone, eppure Cristo ha soltanto dato se stesso per amore dei suoi nemici ed ha insegnato ai suoi discepoli a fare altrettanto. 

Sia Genesi 1 sia Genesi 2 descrivono un Creatore dinamico ed una vita dinamica,  ma non evolutiva né competitiva.  La creazione è già perfetta ed è quindi chiamata alla stabilità anche se non all’immobilismo. Essa viene posta dal Creatore all’inizio del cammino dell’eternità e solo la ribellione dell’uomo rende doloroso il cammino che alcuni addirittura smarriscono. Il Vangelo in cui confidiamo ci permette di riprenderlo con nuova sicurezza e slancio, perché ci chiama a camminare con Colui che conosce la strada smarrita perché lui stesso è “la via, la verità, e la vita”.       

Con affetto e riconoscenza,

Past. Giovanni Leonardi

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[1] Tengo a precisare che, a mio personale parere, la tesi sul primato della ragione non è da rifiutare. Bisogna solo esercitarla con umiltà, qualità che sembra spesso mancare a molti illuministi dei tempi passati e anche del nostro.

[2] Old Testament in Modern Research (1954), p. 11. Cit. in R. K. Harrison, Introduction to the Old Testament, Inter-Varsity Press, 1969, p. 21.

[3] Parlando di Genesi 1, Sermonti nota:E’ stato notato (Graves e Patai) che il Genesi 1 mantiene alcuni elementi della cosmogonia babilonese”. Nel suo contesto, tale frase sembra quasi essere prova del fatto che Genesi 1 abbia veramente la sua origine in epoca esilica. Tuttavia, anche se il parere di Graves e Patai risultasse vero, non significherebbe molto sul piano cronologico perché i miti babilonesi dovevano essere molto conosciuti anche altrove e anche prima dell’esilio. D’altra parte, se l’argomentazione fosse corretta, allora dovrebbe ben più a ragione essere applicata a Genesi 2 per i diretti riferimenti al mito di Ghilgamesh che stiamo riportando.
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