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Anche i demoni credono e tremano

Ultimo Aggiornamento: 14/04/2014 23:02
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19/09/2010 18:54
 
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Giac.2,19 ... anche i demoni credono e tremano.

Creature intelligenti, gli angeli caduti non possono fare a meno di credere all'esistenza del vero Dio e conoscendone la santità e la potenza, essi tremano al pensiero del giudizio che li aspetta.
Il credere non ha alcun effetto salutare in loro che sono incapaci di pentimento; ma un effetto lo ha, perchè li fa tremare. In ciò la lor fede è più seria, più efficace di quella di tanti credenti.
[Modificato da Coordin. 16/10/2010 19:24]
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19/09/2010 18:54
 
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1. L'esistenza dei demoni è certissi­ma. La Sacra Scrit­tura racconta la spa­ventosa origine di satana e dei diavoli: "Scoppiò una guer­ra nel cielo; Michele e i suoi Angeli com­battevano contro il ­drago. Il drago com­batteva insieme con i suoi angeli, ma non prevalsero e non ci fu più posto per essi in Cielo. Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavo­lo o satana e che seduce tutta la terra, fu precipi­tato sulla terra e con lui fu­rono precipitati anche i suoi angeli. Allora udii una gran voce nel Cielo che diceva: Ora è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo, poiché è stato preci­pitato l'accusatore dei nostri fratelli.

... Ma essi lo hanno vinto per mezzo del Sangue dell'Agnello. Esultate, dunque, o Cieli e voi che abitate in essi. Ma guai a voi terra e mare, perché il diavolo è preci­pitato sopra di voi pieno di grande furore " (Apocalisse 12,7-12).

2. La Bibbia nel Nuovo Testamento ha espressioni terribili su satana. Lo chiama "principe di questo mondo" (Gv. 12,31; 14,30); "il dragone grande, il serpente antico " (Ap. 12,9); il "maligno" (Mt. 6,13); "colui che seduce tutta la terra abitata " (Ap. 12,9); "il dio di questo mon­do " che "ha accecato la mente " incredula (2 Cor. 4,4); "il leone ruggente in cerca di chi divorare" (1 Pietro 5, 8); "bugiardo e padre della menzogna" (Gv. 8,44); "omi­cida fin da principio" (Gv. 8, 43). Inoltre dice che coloro che non seguono Gesù e non ascoltano la sua parola è perché "han­no per padre il diavolo " (Gv. 8,43).

3. Gesù parla frequentemente del diavolo. Egli è venuto nel mondo "per distruggere le opere del diavolo" (1 Gv. 3,8). Gesù nel deserto è tentato dal dia­volo, e non solo per tre volte (come molti pensano), ma per molte volte "con ogni specie di tentazione "(Luca 4,1-12).

Gesù ha scacciato molti demoni da tanti indemoniati e da uno di costoro ne ha scacciato una legione (Cf. Luca 8,30).

4. Gli Apostoli, parlano chiaramente del diavolo. Per esempio S. Pietro ammoni­sce: "Fratelli, siate sobri e vigilate perché il demonio come leone ruggente va in giro cercando chi divo­rare. Resistetegli saldi nella Fede" (1 Pt. 5,8­9). S. Giovanni: "Chi commette peccato vie­ne dal diavolo" (1 Gv. 3,8)

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16/10/2010 19:44
 
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Il motivo del terrore dei demoni risulta da questa parola di Gesù espresso in
Luca 10,18:

18. Ed egli disse loro: io vedevo Satana cader dal cielo, a guisa di folgore.
il Figliuol di Dio avea visto Satana e gli angeli ribelli suoi aderenti cader letteralmente dal cielo, quando ne furono espulsi per la loro ribellione, vedi le allusioni a questo fatto in Isaia 14,12-15; Ezechiele 28,12-16; 2Pietro 2,4; Apocalisse 12,1-9; ma non è a questo che Gesù fa qui allusione, neppure intende egli parlare,  della sconfitta di Satana nel deserto, o della sua distruzione finale, quando egli sarà buttato nello stagno di fuoco e di zolfo- Apocalisse 20,10-; ma «il Signore condensa in questa grandiosa parola profetica, che riguarda così il passato come il futuro, il progresso e la consumazione della caduta di Satana».
   L'uso dell'imperfetto, indica chiaramente che la contemplazione in cui il suo spirito era impegnato, non abbracciava soltanto la missione dei discepoli, ma si estendeva molto al di là di quella, cioè fino alla fine dei secoli. Non fu una mera visione, come Dio ne fece spesso passar dinanzi agli occhi degli antichi profeti, rivelando loro le cose che doveano accadere, ma fu una intuizione spirituale del Figlio dell'uomo, una scena che passava dinanzi agli occhi della sua mente, riempiendo il suo cuore di gioia, ad onta delle sofferenze che stavano in serbo per lui.
   Queste sue parole significano: «Osservando le vostre vittorie sugli emissari di Satana, si presentò alla mia vista uno spettacolo più maestoso ancora, cioè la rovina completa dello stesso Principe delle tenebre, e l'intera distruzione dell'usurpato suo regno, di cui i vostri successi non sono che il preludio».
   Godet lo esprime mirabilmente così: «Mentre scacciavate i satelliti, io vedeva cadere il padrone. Sulla scena esterna, lottavano da ambo le parti i luogotenenti; nella intima coscienza di Gesù, i due capi erano in presenza». Il folgore «non può indicare la rapidità e la subitaneità della caduta del regno di Satana, poiché quella è andata compiendosi per ben 1900 anni, fin da quando cioè Gesù esclamò in sulla croce: "Ogni cosa è compiuta"» (benché, dopo tutto, la consumazione quando essa verrà, possa essere istantanea e sorprendente come un fulmine); ma quella parola dipinge mirabilmente una potenza di abbagliante splendore, spenta ad un tratto.
   Non pochi  negano l'esistenza di Satana, affermando che quel termine è usato solo figurativamente come la personificazione dell'elemento del male, ma ricordiamoci che Gesù, insegnando alle moltitudini, o ai soli discepoli, sempre parla di Satana come di una personalità distinta, e lo stesso fanno tutti gli scrittori sacri. In origine egli fu uno degli angeli di Dio, e la caduta non produsse cambiamento alcuno nella sua natura fisica o metafisica perciò Paolo lo chiama «il principe della podestà dell'aria, lo spirito che opera al presente nei figliuoli della disubbidienza» Efesini 2,2, ed altrove dice che dobbiamo combattere non già «contro a sangue e carne, ma contro a' principati, contro alle potestà, contro ai rettori del mondo, e delle tenebre, di questo secolo, contro agli spiriti maligni nei luoghi celesti» Efesini 6,12. La parola «cielo», in questo versetto, è evidentemente uguale a quest'ultimo passo, e indica quella sfera superiore dalla quale Satana, agisce sulla coscienza umana: il «cader dal cielo» significa dunque la perdita di quel potere mediante il quale rendeva nazioni ed individui soggetti al suo impero.
[Modificato da Coordin. 16/10/2010 19:45]
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16/10/2010 22:00
 
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"2 Tess.2,8:

E allora sarà manifestato l'empio che il Signore Gesù distruggerà col soffio della sua bocca e annienterà con lo splendore della sua venuta.

L'empio, lett. il senza-legge (anomoV), colui che sprezza ogni legge divina ed umana, l'iniquo che concentrerà in sè l'empietà e l'iniquità del suo tempo che sarà l'ultimo. Questo campione umano di Satana, il Signor Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca.
 L'espressione non accenna alla sentenza di condanna che uscirà dalla bocca del Giudice. Essa è tolta dall'Antico Testamento, ov'è usata per rappresentare la facilità colla quale l'Onnipotente compie i suoi disegni e in ispecie trionfa dei nemici. In Isaia 11,4 si dice del Messia: «Ucciderà l'empio col fiato delle sue labbra».
 In Giobbe 4,9 si legge: «... quelli che seminano la perversità la mietono. Essi periscono per l'alito di Dio e sono consumati dal soffiar delle sue nari» cioè dall'ira sua. «Come l'Eterno, nota il Bornemann, crea la vita col soffio della sua bocca Salmi 104,30; come con esso chiama all'esistenza ogni forza ed ogni fenomeno in questo mondo, così basta anche per il Signor Gesù il semplice soffio della sua bocca per ridurre al niente il suo avversario e togliergli la vita».
     L'Apocalisse descrive il trionfo del Re dei re sopra le potenze avverse per esempio in Apocalisse 19,15,21. Lo splendore (lett. l'apparizione) della sua venuta in gloria per far giustizia dei malvagi, non solo confonde tutte le menzogne e falsità dell'uomo del peccato, ma ne annienta d'un colpo l'empie pretese, e ne mette in luce l'iniquità e la fragilità. Tale essendo l'ordine degli eventi futuri, era evidente l'orrore di chi rappresentava come imminente la venuta di Cristo, mentre non era ancora apparito, nè poteva ancora apparire l'uomo del peccato; mentre non si era neppure verificata l'apostasia dalla quale doveva uscire l'empio per eccellenza.
     Quanto tempo occorrerebbe perchè il mistero dell'iniquità si svolgesse appieno in opposizione al regno di Cristo, Paolo non lo dice, nè poteva dire poichè lo ignorava egli stesso.
[Modificato da Credente 16/10/2010 22:14]
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16/10/2010 22:10
 
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PAOLO VI

UDIENZA GENERALE

Mercoledì, 15 novembre 1972

 

«Liberaci dal male»

Quali sono oggi i bisogni maggiori della Chiesa?

Non vi stupisca come semplicista, o addirittura come superstiziosa e irreale la nostra risposta: uno dei bisogni maggiori è la difesa da quel male, che chiamiamo il Demonio.

Prima di chiarire il nostro pensiero invitiamo il vostro ad aprirsi alla luce della fede sulla visione della vita umana, visione che da questo osservatorio spazia immensamente e penetra in singolari profondità. E, per verità, il quadro che siamo invitati a contemplare con globale realismo è molto bello. È il quadro della creazione, l’opera di Dio, che Dio stesso, come specchio esteriore della sua sapienza e della sua potenza, ammirò nella sua sostanziale bellezza (Cfr. Gen. 1, 10, etc.).

Poi è molto interessante il quadro della storia drammatica della umanità, dalla quale storia emerge quella della redenzione, quella di Cristo, della nostra salvezza, con i suoi stupendi tesori di rivelazione, di profezia, di santità, di vita elevata a livello soprannaturale, di promesse eterne (Cfr. Eph. 1, 10). A saperlo guardare questo quadro non si può non rimanere incantati (Cfr. S. AUG. Soliloqui): tutto ha un senso, tutto ha un fine, tutto ha un ordine, e tutto lascia intravedere una Presenza-Trascendenza, un Pensiero, una Vita, e finalmente un Amore, così che l’universo, per ciò che è e per ciò che non è, si presenta a noi come una preparazione entusiasmante e inebriante a qualche cosa di ancor più bello ed ancor più perfetto (Cfr. 1 Cor. 2, 9; 13, 12; Rom. 8, 19-23). La visione cristiana del cosmo e della vita è pertanto trionfalmente ottimista; e questa visione giustifica la nostra gioia e la nostra riconoscenza di vivere per cui celebrando la gloria di Dio noi cantiamo la nostra felicità (Cfr. il Gloria della Messa).

L’INSEGNAMENTO BIBLICO

Ma è completa questa visione? è esatta? Nulla ci importano le deficienze che sono nel mondo? le disfunzioni delle cose rispetto alla nostra esistenza? il dolore, la morte? la cattiveria, la crudeltà, il peccato, in una parola, il male? e non vediamo quanto male è nel mondo? specialmente, quanto male morale, cioè simultaneamente, sebbene diversamente, contro l’uomo e contro Dio? Non è forse questo un triste spettacolo, un inesplicabile mistero? E non siamo noi, proprio noi cultori del Verbo i cantori del Bene, noi credenti, i più sensibili, i più turbati dall’osservazione e dall’esperienza del male? Lo troviamo nel regno della natura, dove tante sue manifestazioni sembrano a noi denunciare un disordine. Poi lo troviamo nell’ambito umano, dove incontriamo la debolezza, la fragilità, il dolore, la morte, e qualche cosa di peggio; una duplice legge contrastante, una che vorrebbe il bene, l’altra invece rivolta al male, tormento che S. Paolo mette in umiliante evidenza per dimostrare la necessità e la fortuna d’una grazia salvatrice, della salute cioè portata da Cristo (Cfr. Rom. 7); già il poeta pagano aveva denunciato questo conflitto interiore nel cuore stesso dell’uomo: video meliora proboque, deteriora sequor (OVIDIO, Met. 7, 19). Troviamo il peccato, perversione della libertà umana, e causa profonda della morte, perché distacco da Dio fonte della vita (Rom. 5, 12), e poi, a sua volta, occasione ed effetto d’un intervento in noi e nel nostro mondo d’un agente oscuro e nemico, il Demonio.

Il male non è più soltanto una deficienza, ma un’efficienza, un essere vivo, spirituale, pervertito e pervertitore. Terribile realtà. Misteriosa e paurosa.

Esce dal quadro dell’insegnamento biblico ed ecclesiastico chi si rifiuta di riconoscerla esistente; ovvero chi ne fa un principio a sé stante, non avente essa pure, come ogni creatura, origine da Dio; oppure la spiega come una pseudo-realtà, una personificazione concettuale e fantastica delle cause ignote dei nostri malanni.

Il problema del male, visto nella sua complessità, e nella sua assurdità rispetto alla nostra unilaterale razionalità, diventa ossessionante. Esso costituisce la più forte difficoltà per la nostra intelligenza religiosa del cosmo. Non per nulla ne soffrì per anni S. Agostino: Quaerebam unde malum, et non erat exitus, io cercavo donde provenisse il male, e non trovavo spiegazione (S. Aug. Confess. VII, 5, 7, 11, etc.; PL, 32, 736, 739).

Ed ecco allora l’importanza che assume l’avvertenza del male per la nostra corretta concezione cristiana del mondo, della vita, della salvezza. Prima nello svolgimento della storia evangelica al principio della sua vita pubblica: chi non ricorda la pagina densissima di significati della triplice tentazione di Cristo? Poi nei tanti episodi evangelici, nei quali il Demonio incrocia i passi del Signore e figura nei suoi insegnamenti? (P. es. Matth. 12, 43) E come non ricordare che Cristo, tre volte riferendosi al Demonio, come a suo avversario, lo qualifica «principe di questo mondo»? (Io. 12, 31; 14, 30; 16, 11) E l’incombenza di questa nefasta presenza è segnalata in moltissimi passi del nuovo Testamento. S. Paolo lo chiama il «dio di questo mondo» (2 Cor. 4, 4), e ci mette sull’avviso sopra la lotta al buio, che noi cristiani dobbiamo sostenere non con un solo Demonio, ma con una sua paurosa pluralità: «Rivestitevi, dice l’Apostolo, dell’armatura di Dio per poter affrontare le insidie del diavolo, poiché la nostra lotta non è (soltanto) col sangue e con la carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori delle tenebre, contro gli spiriti maligni dell’aria» (Eph. 6, 11-12).

E che si tratti non d’un solo Demonio, ma di molti, diversi passi evangelici ce lo indicano (Luc. 11, 21; Marc. 5, 9); ma uno è principale: Satana, che vuol dire l’avversario, il nemico; e con lui molti, tutti creature di Dio, ma decadute, perché ribelli e dannate (Cfr. DENZ.-SCH. 800-428); tutte un mondo misterioso, sconvolto da un dramma infelicissimo, di cui conosciamo ben poco.

IL NEMICO OCCULTO CHE SEMINA ERRORI

Conosciamo tuttavia molte cose di questo mondo diabolico, che riguardano la nostra vita e tutta la storia umana. Il Demonio è all’origine della prima disgrazia dell’umanità; egli fu il tentatore subdolo e fatale del primo peccato, il peccato originale (Gen. 3; Sap. 1, 24). Da quella caduta di Adamo il Demonio acquistò un certo impero su l’uomo, da cui solo la Redenzione di Cristo ci può liberare. È storia che dura tuttora: ricordiamo gli esorcismi del battesimo ed i frequenti riferimenti della sacra Scrittura e della liturgia all’aggressiva e alla opprimente «potestà delle tenebre» (Cfr. Luc. 22, 53; Col. 1, 13). È il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo così che questo Essere oscuro e conturbante esiste davvero, e che con proditoria astuzia agisce ancora; è il nemico occulto che semina errori e sventure nella storia umana. Da ricordare la rivelatrice parabola evangelica del buon grano e della zizzania, sintesi e spiegazione dell’illogicità che sembra presiedere alle nostre contrastanti vicende: inimicus homo hoc fecit (Matth. 13, 28). È «l’omicida fin d a principio . . . e padre della menzogna», come lo definisce Cristo (Cfr. Io. 8, 44-45); è l’insidiatore sofistico dell’equilibrio morale dell’uomo. È lui il perfido ed astuto incantatore, che in noi sa insinuarsi, per via dei sensi, della fantasia, della concupiscenza, della logica utopistica, o di disordinati contatti sociali nel gioco del nostro operare, per introdurvi deviazioni, altrettanto nocive quanto all’apparenza conformi alle nostre strutture fisiche o psichiche, o alle nostre istintive, profonde aspirazioni.

Sarebbe questo sul Demonio e sull’influsso, ch’egli può esercitare sulle singole persone, come su comunità, su intere società, o su avvenimenti, un capitolo molto importante della dottrina cattolica da ristudiare, mentre oggi poco lo è. Si pensa da alcuni di trovare negli studi psicanalitici e psichiatrici o in esperienze spiritiche, oggi purtroppo tanto diffuse in alcuni Paesi, un sufficiente compenso. Si teme di ricadere in vecchie teorie manichee, o in paurose divagazioni fantastiche e superstiziose. Oggi si preferisce mostrarsi forti e spregiudicati, atteggiarsi a positivisti, salvo poi prestar fede a tante gratuite ubbie magiche o popolari, o peggio aprire la propria anima - la propria anima battezzata, visitata tante volte dalla presenza eucaristica e abitata dallo Spirito Santo! - alle esperienze licenziose dei sensi, a quelle deleterie degli stupefacenti, come pure alle seduzioni ideologiche degli errori di moda, fessure queste attraverso le quali il Maligno può facilmente penetrare ed alterare l’umana mentalità. Non è detto che ogni peccato sia direttamente dovuto ad azione diabolica (Cfr. S. TH. 1, 104, 3); ma è pur vero che chi non vigila con certo rigore morale sopra se stesso (Cfr. Matth. 12, 45; Eph. 6, 11) si espone all’influsso del mysterium iniquitatis, a cui San Paolo si riferisce (2 Thess. 2 , 3-12), e che rende problematica l’alternativa della nostra salvezza.

La nostra dottrina si fa incerta, oscurata com’è dalle tenebre stesse che circondano il Demonio. Ma la nostra curiosità, eccitata dalla certezza della sua esistenza molteplice, diventa legittima con due domande. Vi sono segni, e quali, della presenza dell’azione diabolica? e quali sono i mezzi di difesa contro così insidioso pericolo?

PRESENZA DELL'AZIONE DEL MALIGNO

La risposta alla prima domanda impone molta cautela, anche se i segni del Maligno sembrano talora farsi evidenti (Cfr. TERTULL. Apol. 23). Potremo supporre la sua sinistra azione là dove la negazione di Dio si fa radicale, sottile ed assurda, dove la menzogna si afferma ipocrita e potente, contro la verità evidente, dove l’amore è spento da un egoismo freddo e crudele, dove il nome di Cristo è impugnato con odio cosciente e ribelle (Cfr. 1 Cor. 16, 22; 12, 3), dove lo spirito del Vangelo è mistificato e smentito, dove la disperazione si afferma come l’ultima parola, ecc. Ma è diagnosi troppo ampia e difficile, che noi non osiamo ora approfondire e autenticare, non però priva per tutti di drammatico interesse, a cui anche la letteratura moderna ha dedicato pagine famose (Cfr. ad es. le opere di Bernanos, studiate da CH. MOELLER, Littér. du XXe siècle, I, p. 397 ss.; P. MACCHI, Il volto del male in Bernanos; cfr. poi Satan, Etudes Carmélitaines, Desclée de Br. 1948). Il problema del male rimane uno dei più grandi e permanenti problemi per lo spirito umano, anche dopo la vittoriosa risposta che vi dà Gesù Cristo. «Noi sappiamo, scrive l’Evangelista S. Giovanni, che siamo (nati) da Dio, e che tutto il mondo è posto sotto il maligno» (1 Io. 5, 19).

LA DIFESA DEL CRISTIANO

All’altra domanda: quale difesa, quale rimedio opporre alla azione del Demonio? la risposta è più facile a formularsi, anche se rimane difficile ad attuarsi. Potremmo dire: tutto ciò che ci difende dal peccato ci ripara per ciò stesso dall’invisibile nemico. La grazia è la difesa decisiva. L’innocenza assume un aspetto di fortezza. E poi ciascuno ricorda quanto la pedagogia apostolica abbia simboleggiato nell’armatura d’un soldato le virtù che possono rendere invulnerabile il cristiano (Cfr. Rom. 13, 1 2 ; Eph. 6, 11, 14, 17; 1 Thess. 5; 8). Il cristiano dev’essere militante; dev’essere vigilante e forte (1 Petr. 5, 8); e deve talvolta ricorrere a qualche esercizio ascetico speciale per allontanare certe incursioni diaboliche; Gesù lo insegna indicando il rimedio «nella preghiera e nel digiuno» (Marc. 9, 29). E l’Apostolo suggerisce la linea maestra da tenere: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci nel bene il male» (Rom. 12, 21; Matth. 13, 29).

Con la consapevolezza perciò delle presenti avversità in cui oggi le anime, la Chiesa, il mondo si trovano noi cercheremo di dare senso ed efficacia alla consueta invocazione della nostra principale orazione: «Padre nostro, . . . liberaci dal male!».

A tanto giovi anche la nostra Apostolica Benedizione.

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14/04/2014 23:01
 
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Come può esistere l’inferno
se Dio è misericordioso?

InfernoCom’è possibile la compatibilità tra un Dio buono e misericordioso come quello cristiano con l’esistenza dell’inferno e della dannazione eterna? La domanda è seria e la risposta, prettamente teologica, deve partire innanzitutto -come sempre-, capendo cosa davvero insegna la Chiesa cattolica, senza pensare di sapere quel che in realtà non si conosce.

Nel 1999 durante un Udienza generale, Giovanni Paolo IIne ha parlato in termini molto chiari. «Dio è Padre infinitamente buono e misericordioso. Ma l’uomo, chiamato a rispondergli nella libertà, può purtroppo scegliere di respingere definitivamente il suo amore e il suo perdono, sottraendosi così per sempre alla comunione gioiosa con lui. Proprio questa tragica situazione è additata dalla dottrina cristiana quando parla di dannazione o inferno. Non si tratta di un castigo di Dio inflitto dall’esterno, ma dello sviluppo di premesse già poste dall’uomo in questa vita». L’uomo si auto-esclude dalla relazione con Dio e Dio, che non costringe mai la libertà dell’uomo, lo terrà lontano da sé per l’eternità anche se fino all’ultimo cercherà di tendergli la mano. «L’inferno è la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del Padre anche nell’ultimo istante della sua vita», ha continuato Papa Wojtyla.

Il linguaggio usato dall’Antico e Nuovo Testamento, compresa l’Apocalisse, per descriverlo (un luogo di tenebre, una fossa, la Geenna dal “fuoco inestinguibile”, che poi era la discarica di Gerusalemme ecc.) è «un linguaggio simbolico» e «le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate»«Esse», ha proseguito Giovanni Paolo II, «indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta ad indicare più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia». Una auto-esclusione dalla comunione con Dio, come spiega anche il Catechismo: «Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significarimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed è questo stato di definitiva auto-esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno”».

Anche Enzo Bianchirecentemente, ha spiegato che «noi siamo portati a immaginare l’inferno come luogo, ma esso è un “non-luogo”, un “non-essere”, un “non-tempo”, è il nulla di una morte eterna. Dio vuole che tutti siano salvati, suo Figlio Gesù è venuto nel mondo per i peccatori, non per i giusti (Mc 2,17 e par.; 1Tm 1,15): ma di fronte al bene o al male l’uomo, seppure in una condizione di fragilità propria della sua natura, resta sempre libero di aderire all’uno e rifiutare l’altro, almeno con il desiderio e la volontà». Il priore di Bose ha poi aggiunto che anche Gesù «per condannare il male in modo chiaro e indicare che l’uomo può scegliere vie mortifere, ricorre a immagini diverse, tratte sia dalle Scritture sia dalla sua contemporaneità». D’altra parte, «queste immagini sono crudeli, ma come descrivere altrimenti l’esito di una via che ha scelto la morte, la violenza, la prepotenza e non ha mai riconosciuto la vita dell’altro, non ha mai avuto discernimento del povero e del bisognoso, non ha mai riconosciuto la fraternità umana? Certo, queste sono solo immagini, ma ci dicono che noi possiamo scegliere non la vita e la comunione con Dio, ma la morte eterna e la separazione da Dio! L’inferno dunque non indica un luogo ma una situazione in cui potranno cadere coloro che liberamente e definitivamente hanno scelto tutto ciò che è contrario alla volontà di Dio e, di conseguenza, anche a ogni cammino di umanizzazione». Rispetto alla presenza reale delle fiamme, si può approfondire con la riflessione di padre Angelo Bellon.

Papa Giovanni Paolo II ha aggiunto anche che «la ‘dannazione’ non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creatura che si chiude al suo amore. La “dannazione” consiste proprio nella definitiva lontananza da Dioliberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato». E «il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche – non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà». Anche Enzo Bianchi ha riconosciuto che «l’inferno è rimosso soprattutto come reazione a un insegnamento che lo affermava per intimorire e minacciare, credendo in tal modo di poter dissuadere il popolo cristiano dal peccare». Invece, «le parole delle Scritture sull’inferno, dobbiamo innanzitutto vederle come una chiamata alla responsabilità, mediante la quale esercitare la nostra libertà in vista del nostro destino».

Pensare ad un Dio cattivo a causa dell’esistenza dell’inferno significa ritenere che per noi ci sia una salvezza automatica, qualunque cosa facciamo, qualunque vita viviamo. Ed invece non è così, anche perché l’inferno noi lo creiamo qui sulla terra, diventando sovente noi “inferno” per gli altri. Edith Stein nell’inferno di Auschwitz nel 1942 scriveva: «Appartiene a ciascuno decidere del proprio destino. Dio stesso si ferma davanti al mistero della libertà di ogni persona». Per questo, ha concluso Enzo Bianchi, «non è conforme alla fede cristiana affermare che non c’è l’inferno o che l’inferno è vuoto». Sostenerlo è un’azione dannosa per la fede, come ha spiegatoanche padre Giovanni Cavalcoli.

L’esistenza dell’inferno dunque, come abbiamo visto, non contraddice affatto la bontà e la misericordia di Dio. E’ comunque importante che noi cristiani siamo chiamati sopratutto a ricordare la misericordia di Dio, sperando e pregando per tutti, anche per i nemici e i peggiori criminali, affinché conservino una scintilla di libertà e umanità capace di accogliere, almeno, l’ultima chiamata di Dio.


[Modificato da Credente 14/04/2014 23:02]
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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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