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L'ANIMAZIONE MUSICALE LITURGICA

Ultimo Aggiornamento: 03/09/2010 23:34
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03/09/2010 23:19
 
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7. Quale musica è “liturgica”?

La vera musica liturgica è quella dotata di caratteristiche tali che le consentano di porsi al servizio dell’assemblea celebrante e della verità dei riti. Tutta la riforma liturgica ha come punto di riferimento imprescindibile la riscoperta della celebrazione come atto del “corpo mistico di Gesù Cristo”, cioè del capo e delle sue membra (cf. Sacrosanctum Concilium 7). Da questo principio teologico si irradiano numerose conseguenze pastorali, prima fra tutte la necessità della piena partecipazione dei fedeli radunati in assemblea (cf. SC 27.30). Sotto questa spinta innovatrice anche la musica liturgica ha dovuto compiere un cammino di conversione ecclesiale e culturale. Dopo più di trent’anni di riforma liturgica, tale cammino non può assolutamente considerarsi ultimato: anche in questo caso la conversione si realizza con pazienza e costante disponibilità al necessario cambiamento, nel rispetto delle capacità culturali e della maturazione spirituale ed ecclesiale di ogni fedele. Detto questo si può comprendere come la domanda circa la “vera musica liturgica” non trova risposta nella ricerca di nuovi repertori, ma nella disponibilità a compiere questo cammino di conversione teologico-ecclesiale e culturale.

Ci si chiederà immediatamente come possa destreggiarsi un animatore musicale delle nostre assemblee parrocchiali dinanzi ad una situazione così aleatoria, e quali possano essere le linee operative concrete per compiere scelte accurate nel vasto campo della produzione musicale. Ecco quindi delle indicazioni utili per discernere tra musica e musica, tra rito e rito, tra assemblea e assemblea.

1. Studiare la liturgia per comprendere la “ritualità” della musica. Questo è il primo è imprescindibile passo: comprendere la liturgia, il significato della celebrazione cristiana nel suo insieme e il valore proprio dei singoli riti. Conoscendo il senso e lo scopo dei riti è più facile trovare il materiale celebrativo-musicale che meglio realizza o accompagna una determinata sequenza celebrativa. Molti bravi musicisti (strumentisti, solisti, cori...) che si “concedono” alla “musica di chiesa” non hanno capito nulla della celebrazione nella quale intervengono con la propria scienza musicale. Di molti di questi può dirsi che sono “come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna” (1Cor 13,1). Se non si conosce la liturgia, la musica non può essere a suo servizio, ma sarà fine a se stessa.

2. Studiare le forme musicali per porle a servizio della liturgia. Non basta conoscere la liturgia, bisogna avere dimestichezza con le forme e i generi della musica per discernere la “celebrabilità” dei materiali musicali. Se, ad esempio, si comprendesse che il “Signore pietà” è un testo litanico e che ad esso deve corrispondere un’adeguata forma musicale litanica, attraverso questa invocazione si esprimerebbe debitamente l’insistenza del cuore povero che si rivolge a Dio per implorare il suo perdono. È senz’altro meno efficace realizzare l’atto penitenziale con un Kyrie espresso in un’ampollosa forma contrappuntistica, più vicina al mottetto e assai distante dalla litania. Una forma musicale inadeguata può snaturare una sequenza celebrativa, realizzando un rito nel quale finalità simbolico-liturgica, struttura letteraria e forma musicale entrano in contrasto.

3. Studiare la propria assemblea per creare un repertorio “celebrabile”. La musica ha un ambito di “liturgicità” e “celebrabilità” determinato dall’assemblea. È anzitutto la comunità celebrante che deve esprimere i propri interventi rituali attraverso la musica. Se le forme musicali non sono fruibili dall’assemblea vanno evitate. Si tratta di una fruibilità che tiene conto dell’intervento diretto dei fedeli, laddove il rito lo esige affinché possa realizzarsi coerentemente e secondo verità. Se l’assemblea è chiamata alla partecipazione attraverso l’ascolto, la fruibilità della musica passa per la piena comprensione dei testi espressi in canto. In questo caso si pone il problema della lingua e delle forme polifoniche non a servizio della Parola ma solo dell’estetica musicale.

8. I canti dell’ “ordinario” e del “proprio”

Il termine latino “ordinarius” indica “ciò che è secondo l’ordine”. Quando si parla di “ordinario della Messa”, si intendono le parti invariabili della celebrazione eucaristica. Si tratta quindi di parti fisse con le quali si realizzano diverse sequenze rituali della Messa. Alcuni canti fissi sono comunemente noti come “canti dell’ordinario”: 1) Signore pietà, 2) Gloria, 3) Credo, 4) Santo, 5) Agnello di Dio, 6) Congedo (La messa è, finita...). È chiaro che si tratta di una distinzione “tradizionale”, tipica della liturgia preconciliare. Tanti altri interventi in canto fanno parte dell’attuale ordinario, fra questi l’anamnesi (Mistero della fede...) e il Padre nostro.

Prima della riforma liturgica operata promossa e attuata dal Concilio Vaticano II, l’animazione musicale della Messa consisteva nell’“esecuzione” di questi brani dell’ordinario. La composizione stessa della “messa” come genere musicale riguardava esclusivamente questi testi liturgici: Kyrie, Gloria, Sanctus, Agnus Dei. Il Credo, nella tradizione gregoriana, era considerato come composizione a sé stante.

Questo tipo di prassi liturgico-musicale aveva come punto di riferimento esclusivo il canto e il testo cantato, non il rito e il senso liturgico che quel canto, anche in rapporto agli altri riti, deve assumere. Cantare “durante” la messa era relativamente facile, infatti, appresa una “messa”, questa poteva essere eseguita in tutte le circostanze. Si metteva così in atto una liturgia ripetitiva e stereotipata.

Un primo effetto della riforma liturgica è la riscoperta di altri elementi celebrativi comunemente chiamati “canti del proprio”: 1) antifona o canto di ingresso, 2) salmo responsoriale, 3) canto al vangelo, 5) antifona o canto d’offertorio, 6) antifona o canto di comunione. Si comprese infatti che la Messa era costituita da una grande ricchezza di sezioni rituali spesso trascurate. La valorizzazione dei canti del proprio pone le sue radici nella rinnovata attenzione per la Parola di Dio nella vita della Chiesa e soprattutto nella sua liturgia. Questi canti infatti altro non sono che dei brani della parola di Dio.

Questo allargamento degli “spazi musicali” nella celebrazione produsse, nei decenni passati, un’alacre attività da parte di tanti musicisti, ma suscitò l’inventiva di altrettanti “compositori” dalle competenze limitate o inesistenti, sia dal punto di vista musicale che liturgico. È in questo momento che inizia un certo imbarazzo nella scelta dei canti più adatti e qualitativamente più adeguati alle diverse celebrazioni e alle varie ricorrenze liturgiche.

Il lento cammino di assimilazione del rinnovamento liturgico ha fatto sì che si andasse al di là di questa distinzione tra canti dell’ordinario e canti del proprio, che apre all’intelligenza dei diversi testi liturgici realizzabili in canto ma non indica un criterio di scelta. Infatti non basta aver preso coscienza dei diversi e significativi momenti liturgici eseguibili in canto, bisogna partire dal rito che devo celebrare per comprenderlo e realizzarlo nel miglior modo possibile all’interno della mia assemblea. Non è assolutamente sufficiente sapere che “si può cantare il Signore pietà” e pertanto lo si esegue! Bisogna piuttosto comprendere i riti penitenziali della messa e trovare il modo più adeguato per farli celebrare all’assemblea che si intende animare. Ancora una volta si deve affermare che per compiere una regia liturgico-musicale corretta bisogna partire dalla comprensione dei riti e dalle caratteristiche della propria assemblea.

Il criterio della scelta dei canti in base all’assemblea è confermato anche da Principi e norme per l’uso del messale romano: “Nelle celebrazioni si dia grande importanza al canto, tenuto conto della diversità culturale delle popolazioni e della capacità di ciascun gruppo anche se non è sempre necessario cantare tutti i testi che per la loro natura sono destinati al canto” (n. 19).

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CANTATE AL SIGNORE UN CANTO NUOVO, SUONATE LA CETRA CON ARTE E ACCLAMATE (Sal.32,3)
 
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