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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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04/06/2010 18:13
 
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Il Vangelo di Giovanni

Al seguito di Gesù. “Maestro, dove abiti?”

(Gv 1,35-51)


Raccontando la vocazione dei primi quattro discepoli d’origine galilaica, appartenenti al gruppo dei Dodici, l’evangelista Giovanni si discosta dalla narrazione dei Sinottici. I futuri discepoli non sono chiamati direttamente da Gesù con un invito categorico (“Venite dietro a me e farò di voi pescatori di uomini”, (cf. Mt 4,18-22; Mc 1,16-20; Lc 5,1-3.10-11), ma sono indirizzati a Gesù da Giovanni il Battista, testimone per eccellenza del Messia d’Israele.

Simone, detto Pietro, Andrea e Filippo sono nomi noti ai Sinottici, mentre Natanaele, figura di spicco di questa pericope del IV Vangelo, è ignorato dalla tradizione sinottica, salvo che non lo s’identifichi con Bartolomeo, il cui nome ha il medesimo significato (“Dio ha dato”) e che rientra, invece, nella lista dei Sinottici.

Dal punto di vista letterario, il testo è racchiuso tra due dichiarazioni solenni, quella del Battista (“Ecco l’Agnello di Dio”, 1,36) e quella di Gesù (“Vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’Uomo”, 1,51). Il racconto ha uno sviluppo temporale racchiuso in due giorni, ognuno dei quali comprende due scene centrate su Gesù (1,37-39; 1,41-42; 1,43; 1,45-51) ed introdotte dalla scena iniziale del Battista, attorniato dai suoi discepoli (1,35-36).

Il fuoco dell’annuncio, proclamato dal Battista, si propaga progressivamente ed in modo incalzante. Sono numerosi i verbi di movimento: Gesù cammina, si gira, mentre i discepoli si muovono per seguirlo e vanno dove Egli dimora; un discepolo incontra un altro, che viene a Gesù; ci si dispone a partire per andare in Galilea.

Un altro verbo, caro all’autore del IV Vangelo e collegato al tema della fede, è vedere: il Battista indica Gesù con un “Ecco…” , espresso dal greco ide (una parola che appartiene alla famiglia del verbo oraô, che significa vedere), nel quale è possibile cogliere uno sguardo di tipo contemplativo, uno sguardo intenso che cerca di andare oltre le apparenze esteriori; “Vedrete gli angeli di Dio…” promette Gesù ai discepoli e questi “videro dove egli dimorava…” ; incontrando Simone e Natanaele, Gesù “fissò lo sguardo” su di loro.

Mentre il vedere dei discepoli è da interpretare come uno sguardo orientato alla fede, il vedere di Gesù è un conoscere nell’intimo più profondo ogni essere umano.


1,35 Il giorno dopo, di nuovo, Giovanni si trovava là con due dei suoi discepoli. 36 Fissando lo sguardo su Gesù che stava camminando, dice: “Ecco l’Agnello di Dio”. 37 I due discepoli l’udirono parlare così e seguirono Gesù.

Giovanni il Battista viene descritto all’imperfetto (“si trovava là”), in una posizione d’immobilità. Egli ha già compiuto la sua missione di testimone il giorno precedente, quando ha designato Colui che deve essere manifestato ad Israele (1,31). Tuttavia il Battista continua a parlare al presente (“dice”…), giacché il suo annuncio è sempre valido in ogni tempo e per ciascun uomo.

Gesù sta camminando, non si sa da dove venga né dove vada ma il Battista sembra saperlo: “Ecco l’Agnello di Dio”. Lo sguardo del Battista è intenso, contemplativo e si sforza di cogliere il mistero nascosto in quella persona che, dai Sinottici, sappiamo essere anche suo parente. Diversi commentatori dei testi evangelici ritengono che Gesù, prima di affrontare l’esperienza delle tentazioni nel deserto all’inizio della sua vita pubblica, sia stato anche Lui discepolo di Giovanni. Si potrebbe proprio dire che il discepolo abbia superato, e di gran lunga, il maestro. Il Battista ha potuto percepire che Gesù era un essere speciale: indicandolo con un significativo “Ecco”, il Battista ha orientato verso Gesù lo sguardo contemplativo dei suoi stessi discepoli, mettendosi umilmente in disparte. La sua missione si poteva ritenere conclusa. Dopo aver “udito” ed accolto con disponibilità la testimonianza del Battista, due dei suoi discepoli raccolsero il suo invito e si misero a “seguire” il nuovo Maestro, spinti più dalla curiosità che non da vera consapevolezza del contenuto dell’invito del Battista.

Com’era già avvenuto per il Battista, il quale durante il battesimo di Gesù aveva “ascoltato” la voce di Dio che invitava ad “ascoltare” il proprio Figlio diletto (Mt 3,15), anche per i nuovi discepoli di Gesù si rende necessario il momento dell’ascolto attento e riverente della Parola di Dio per poter accogliere, nella fede, il suo Inviato. La dinamica dell’ascolto si fonda sulla trasmissione del messaggio da parte di chi ci ha preceduto nella fede (1,37). Chiunque voglia, in ogni tempo, divenire discepolo di Cristo in modo non superficiale, deve compiere lo stesso percorso di fede del Battista e degli apostoli: mettersi in atteggiamento di “ascolto” per poter “vedere” in Gesù il vero Volto di Dio.

Diversamente dai Sinottici, l’autore del IV Vangelo ci presenta dei discepoli che non vengono strappati da Gesù, in modo autoritario, dalla loro attività di pescatori; essi sono già in ricerca di qualcosa o di qualcuno e proprio per questo sono entrati nella cerchia dei discepoli del Battista, figura profetica e carismatica di quel tempo. In definitiva, secondo il Vangelo giovanneo, è Dio che dona a suo Figlio i primi discepoli tramite il Battista, da Lui inviato appositamente per questo scopo (17,6).

Spinti quindi dalla curiosità, stimolata dall’ascolto della testimonianza diretta ed autorevole del Battista, i due discepoli seguono fisicamente Gesù, che sta andando incontro al suo destino. Per i giudei essere discepoli di un “maestro” (“rabbì”) significava seguirlo non solo fisicamente, ma anche nel senso dell’acquisizione del suo livello di saggezza e di conoscenza.

Dove conduce la sequela di Gesù? Verso il compimento delle promesse fatte da Dio ad Israele.


38 Allora Gesù si voltò e, vedendo che lo seguivano, dice loro: “Che cercate?”. Ed essi gli dissero: “Rabbì (cioè “maestro”), dove dimori?”. 39 Egli dice loro: “Venite e vedrete”. Andarono dunque e videro dove dimorava e quel giorno dimorarono presso di lui; era circa l’ora decima.

Mentre Gesù cammina, si “volge indietro” quasi ad accogliere tutto il passato storico dell’uomo, che Dio ha guidato fin dal tempo della creazione per condurlo alla salvezza, incarnata da suo Figlio. Gesù viene messo in relazione con la profezia biblica, impersonata dal Battista, i cui due discepoli sintetizzano l’attesa messianica di tutto Israele.

È Gesù che prende l’iniziativa rivolgendo la fatidica domanda ai due che lo seguono: “Che cercate?”. Gesù rispetta la libertà di opinione e di volontà di chi vuole seguirlo, non impone scelte obbligate ma le sollecita nel rispetto della libertà individuale. Ogni uomo in ricerca del divino nella propria esistenza deve, alla fine, rispondere a questa domanda esistenziale e compiere una scelta di vita. I discepoli rispondono alla domanda di Gesù ponendo a loro volta un’altra domanda: “Rabbì, dove dimori?”. A prima vista sembrerebbe una banale richiesta della residenza “fisica” del nuovo maestro, ma in realtà i due discepoli vogliono conoscere il “programma” dell’insegnamento di Gesù: che cosa insegni? Che cosa proponi per la nostra vita? Chi ti conferisce l’autorità di maestro? Da quale scuola rabbinica provieni? Chi ci garantisce che ciò che insegni sia giusto?

La risposta di Gesù mette alla prova gli aspiranti discepoli con un espressivo “Venite e vedrete”. Per trovare una risposta esauriente ai loro interrogativi più che legittimi, i discepoli devono “muoversi”, abbandonare cioè i propri pregiudizi e le proprie certezze (“Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”, chiederà di lì a poco lo scettico Natanaele) per constatare di persona l’intima relazione che unisce Gesù al Padre. L’oggetto della ricerca dei due discepoli andrà ben oltre le loro attese.

Cosa si dissero Gesù ed i discepoli? Nulla viene riferito del contenuto del colloquio, ma ne viene annotato il risultato: i due si mettono alla sequela del Maestro ed invitano altri a fare altrettanto. L’evangelista Giovanni (forse uno dei due discepoli, l’altro è Andrea) annota curiosamente l’ora dell’incontro con Gesù: è l’ora decima, cioè le 4 del pomeriggio. Forse è semplicemente il ricordo indelebile di un incontro che ha segnato per sempre la vita e l’anima dell’evangelista, ma c’è chi ha visto nel numero 10 il tempo del compimento (S. Agostino), riferendosi alla simbologia biblica dei numeri.

È curiosa anche l’annotazione del numero dei giorni, due, durante i quali si è sviluppato il primo incontro dei discepoli con Gesù. Nel linguaggio biblico il “giorno” non è solo la successione temporale di 24 ore (presso gli ebrei il nuovo giorno cominciava al tramonto del sole, alle sei di sera e coincideva con la prima ora di vigilia della notte, quando iniziava, con la chiusura delle porte della città, il primo dei quattro turni di guardia della durata di tre ore ciascuno), ma è un chiaro riferimento al “giorno della creazione”. Il giorno è il tempo del Signore, tempo di grazia (chairòs) e di rinnovamento del creato. I discepoli fanno la conoscenza di Gesù quasi al termine della giornata, pronti a cominciare col Maestro il nuovo giorno che sta per iniziare. L’incontro di fede col Signore Gesù non avviene mai troppo tardi e l’uomo è sempre in tempo a convertirsi ed a cambiare vita, sintonizzando il tempo dell’attesa col tempo della salvezza (“oggi sarai con me in paradiso” [Lc 43,23], promette Gesù al ladrone crocifisso vicino a lui, esempio di pentito dell’ultima ora). I due giorni d’intimità dei discepoli con Gesù pongono l’accento anche sul carattere d’incompletezza della loro fede nell’Uomo - Dio: solo nel terzo giorno, quello della resurrezione di Gesù, essi comprenderanno la vera natura del Maestro ed i propri occhi vedranno nel Risorto il loro Signore e Dio (21,28). La fede pasquale degli apostoli è la nostra fede ed insieme a loro noi siamo in attesa del definitivo compimento della salvezza, che sarà pienamente realizzata nell’ottavo giorno, cioè il giorno in cui Dio sarà “tutto in tutti” (1 Cor 15,28) nella Gerusalemme celeste, il giorno della Domenica (Dies Domini, il giorno del Signore) senza fine dell’eternità, il giorno del Paradiso e della pienezza dell’Amore.

L’ottavo giorno fa seguito, infatti, ai sei giorni della creazione materiale ed al settimo giorno del riposo di Dio (il sabato). Il “giorno dopo il sabato (Mt 28,1; Lc 24,1; Gv 20,19) è il giorno della salvezza per coloro che credono a Dio-che-salva (è il significato del nome Gesù), divenuto uomo, morto sulla croce e risorto per la salvezza di ogni uomo.


40 Andrea, il fratello di Simon Pietro, era uno dei due che avevano ascoltato Giovanni e seguito Gesù. 41 Egli incontra per primo suo fratello Simone e gli dice: “Abbiamo trovato il Messia (che significa Cristo)”. 42 E lo conduce a Gesù. Guardandolo Gesù dice: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni; tu sarai chiamato Kephàs (che significa Pietro)”.

L’incontro con Gesù ha acceso il fuoco, che si propaga inarrestabile come un incendio. Andrea, che ha riconosciuto in Gesù il Messia atteso da Israele, sente il bisogno di incontrare il fratello Simone, per il quale Gesù ha un progetto di vita tale da richiedere il cambio del nome, sul modello degli antichi patriarchi d’Israele (Abram ebbe il nome mutato in Abraham, Giacobbe fu chiamato da Dio col nome di Israel). A differenza di quanto narrato dai Sinottici, il primo a riconoscere la messianicità di Gesù fu, dunque, Andrea e non Pietro e ciò fu il risultato delle poche ore trascorse da Andrea con Gesù in quel primo incontro!

Perché Gesù chiama Simone col nome di Kephàs (pietra, roccia) dopo averlo fissato profondamente (emblépsas) nell’intimo? Così commenta questo passo Origene, grande Padre della Chiesa del II-III secolo d.C.: “Gesù dice che egli si sarebbe chiamato Pietro traendo questo nome dalla Pietra, che è Cristo, poiché come saggio viene da saggezza e santo da santità, così allo stesso modo Pietro dalla pietra”. Per i semiti il nome esprime l’essenza di una personalità od il suo destino; chi segue Cristo deve essere pronto ad “essere chiamato per nome”, a ricevere da Lui la propria missione nel mondo, a ricevere sulla fronte il “sigillo dell’Agnello” (Ap 7,3-49), che esprime l’appartenenza del cristiano a Cristo Signore.


43 Il giorno dopo [Andrea] decise di partire per la Galilea ed incontra Filippo. Gesù dice a costui: “Seguimi!”. 44 Filippo era di Betsaida, la città di Andrea e Pietro.

Il testo greco omette di citare il soggetto della decisione di recarsi in Galilea. I traduttori attribuiscono generalmente a Gesù tale decisione, ma non si comprende come mai subito dopo, nella frase successiva, venga ripetuto in greco “Gesù dice a costui” invece di usare semplicemente la congiunzione “e”, visto che il soggetto delle due azioni è il medesimo. Evidentemente il soggetto della decisione è ancora Andrea, che prima incontra il fratello Pietro e poi il concittadino Filippo, rispettando la logica della diffusione dell’annuncio da un discepolo all’altro.

Filippo è il primo discepolo cui Gesù rivolga un imperioso comando: “Seguimi!”. L’invito non ammette tentennamenti e la risposta deve essere necessariamente un “sì” o un “no”. Come mai un simile cambiamento nell’atteggiamento di Gesù? Qualcuno ha ipotizzato che uno dei primi due discepoli del Battista, messisi sulle orme di Gesù, sia proprio Filippo e non l’evangelista Giovanni. Mentre Andrea ha aderito subito alla sequela del nuovo Maestro, Filippo si sarebbe presa una pausa di riflessione, cui Gesù avrebbe posto fine sollecitando da lui una risposta decisa e senza ripensamenti.

A questo punto l’evangelista introduce una figura di discepolo di diversa levatura culturale rispetto ai primi tre che, dai Sinottici, sappiamo essere stati pescatori.


45 Filippo incontra Natanaele e gli dice: “Colui di cui ha scritto Mosè nella Legge, come pure i profeti, l’abbiamo trovato: è Gesù, il figlio di Giuseppe di Nazareth”. 46 Natanaele gli rispose: “Da Nazareth può mai venire qualcosa di buono?”. “Vieni e vedi” gli dice Filippo. 47 Gesù vide Natanaele venirgli incontro e dice di lui: “Ecco veramente un israelita in cui non c’è falsità!”. 48 Natanaele gli dice: “Donde mi conosci?”. Gesù gli rispose: “Prima che Filippo ti chiamasse, quando eri sotto il fico, io ti ho veduto”. 49 Natanaele rispose: “Rabbì, tu sei il Figlio di Dio! Tu sei il Re di Israele!”. 50 Gesù riprese: “Perché ti ho detto di averti veduto sotto il fico tu credi? Vedrai cose maggiori di queste”.

Alcuni identificano Natanaele con l’apostolo Bartolomeo, presente nella lista dei Sinottici, per il fatto che i due nomi hanno lo stesso significato: “Dio ha dato”. Gesù di Nazareth è, secondo Filippo, il Messia atteso da almeno dodici secoli a partire da Mosè e passando attraverso le profezie di uomini venerati (Isaia), temuti (Geremia), ritenuti strambi (Ezechiele) o di scarsa cultura (Amos) o controcorrente (Osea) ecc. In Israele i profeti facevano spesso una brutta fine, perché non erano mai allineati con il potere e non facevano nulla per ingraziarsi il popolo: quando le cose andavano bene ed il popolo viveva un periodo di prosperità e di pace, i profeti annunciavano sventure e punizioni divine e, quando le cose si mettevano davvero male, essi avevano la faccia tosta di affermare che la salvezza era imminente. Inoltre, i profeti tiravano spesso le orecchie sia ai potenti, re in testa, che alla gente comune, rimproverando loro ogni sorta di iniquità. In buona sostanza, i profeti erano persone scomode perché riferivano ciò che Dio pensava del suo popolo. Ad ogni buon conto, i profeti erano riusciti ad inculcare nel popolo ebraico l’attesa di un personaggio carismatico che avrebbe portato pace e prosperità a tutto Israele, un uomo “unto”, cioè consacrato da YHWH per restaurare e rendere stabile l’antica alleanza tra Dio ed il popolo eletto. Da tempo ormai non si vedevano più profeti in Israele, per cui quando fece la sua comparsa il Battista, del tutto simile agli antichi profeti sia nella condotta di vita che per il coraggio dimostrato nel denunciare gli abusi della casa regnante, tutto il popolo ebraico si fece attento alle sue esternazioni, fatte nel nome del Dio Altissimo. Soldati di professione, gente del popolo, esattori delle tasse (i famigerati pubblicani), cortigiani e quant’altro si recavano dal Battista per ricevere il battesimo di penitenza, nell’attesa del tempo messianico che Giovanni affermava essere imminente.

Nel contesto di questa spasmodica attesa messianica, Natanaele, davanti all’affermazione decisa e sicura di Filippo, inciampa nei suoi pregiudizi di studioso rigoroso della Sacra Scrittura. Come tutti gli studiosi dei testi sacri, Natanaele soleva sedersi all’ombra di un fico, albero ritenuto simbolo della conoscenza della felicità e della sventura (un po’ come l’albero della conoscenza del bene e del male). Natanaele sapeva benissimo che nella Scrittura non si fa alcun riferimento a Nazareth circa le origini del Messia mentre di Betlemme, piccola borgata alle porte di Gerusalemme, si dice che sarà la culla del dominatore d’Israele (Mi 5,1). Secondo la tradizione giudaica, poi, non si sapeva da dove sarebbe venuto il Messia; certo non dall’insignificante cittadina di Nazareth di Galilea. Seppur scettico, forte della sua conoscenza della Scrittura, Natanaele è, però, un uomo profondamente onesto e capace di aprirsi alla novità della buona Notizia. Basta un “vieni e vedi!” per scomodarlo dai suoi studi e farlo “mettere in movimento” verso la Verità. Gesù vide Natanaele “farglisi incontro” e, dal momento che la sua vista è molto diversa da quella dei comuni mortali, lo giudica in profondità e lo “vede” disposto a mettersi in discussione ed a spogliarsi dei suoi pregiudizi di studioso. Gesù vede in Natanaele un israelita di fede sincera e senza fronzoli, leale ed amante della verità.

Prima che sia Natanaele a credere (“vedere”) in Gesù, è Lui, il Maestro, che crede nella disponibilità sincera di Natanaele a credere nel Figlio di Dio, il Re di Israele e non solo nella Scrittura, così come egli è in grado di comprenderla.

Natanaele rimane senza parole quando si accorge che l’uomo di Nazareth lo ha capito nel più profondo del suo essere. Dichiarando di “aver visto” Natanaele sotto il fico, Gesù insinua che egli, studiando la Legge, si è preparato ad incontrare Gesù stesso nella fede. Natanaele individua subito in Gesù il Figlio - Re del salmo 2,6s (vale a dire, il messia davidico) e la sua professione di fede è istantanea e senza incertezze. Natanaele viene rassicurato da Gesù: la sua fede nel Figlio di Dio sarà confermata da fatti prodigiosi, di portata ben superiore all’essere stato “visto sotto il fico”!


51 “In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell’uomo”.

Quando Gesù fa un’affermazione solenne (“Io vi dico”) preceduta dal duplice “Amen”, ci troviamo di fronte ad una sua auto rivelazione circa la propria persona e funzione. I cieli, che erano stati chiusi da Dio dopo la cacciata di Adamo dal paradiso terrestre a causa del peccato di ribellione dei progenitori, sono stati definitivamente riaperti da Dio per ristabilire, grazie a Gesù, l’ormai irreversibile comunicazione tra cielo e terra, tra Dio e l’uomo.

Il segno che Dio si è riconciliato con l’uomo è il via vai di angeli, che salgono e scendono sul Figlio dell’Uomo (cf. Gen 28,12-17). In Gesù la nuova e definitiva Alleanza tra Dio e l’uomo è, ora, presente sulla terra sino alla consumazione del tempo, quando cielo e terra (cioè, tutta la creazione) saranno sostituiti da “cieli nuovi e terra nuova” (Ap 21,1), in cui l’intimità dell’uomo con Dio sarà definitiva e non più guastata da gesti di ribellione da parte dell’uomo.

La fede dei discepoli sarà messa a dura prova dallo scandalo del Gòlgota, davanti al quale essi fuggiranno spaventati, delusi, sconcertati ed angosciati per aver lasciato solo il Maestro. La Pasqua di Resurrezione consentirà ai discepoli pusillanimi di “vedere” con occhi nuovi il Risorto, riconoscendolo come “Signore e Dio”, con coraggio ed a prezzo del proprio sangue, davanti a tutti gli uomini.


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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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