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COMMENTO AL VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 04/06/2019 15:05
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04/06/2010 18:02
 
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Il Vangelo di Giovanni


Parte prima (cc. 1-12)



Commento a cura di

Damiano Antonio Rossi

Con la collaborazione delle Suore Adoratrici Perpetue del S.S. Sacramento di Vigevano

Prefazione


Allorquando mi sono accinto a preparare un commento ad alcune pericopi del Quarto Vangelo, seguendo i principi classici della lectio divina, non mi sarei mai aspettato di farmi coinvolgere dallo studio e dalla meditazione del testo giovanneo fino al punto di rinunciare, molto volentieri, a parecchie ore di giusto e meritato riposo dopo quelle trascorse al lavoro in un ambulatorio medico, luogo che, per sua destinazione propria, catalizza e concentra l’afflusso del malessere umano per antonomasia: la malattia del corpo (e, molto spesso, anche quella dello spirito). Ispirandomi alle pagine evangeliche, mi sono convinto una volta di più del fatto che anche la professione medica non è immune da tale malessere, specie quando affronta esclusivamente sul piano scientifico le numerose malattie che affliggono l’umanità e dimentica di avere a che fare con “esseri umani malati”, ognuno dei quali necessita e richiede trattamenti del tutto personali ed il cui punto cruciale è l’ascolto della persona che è, o che si sente, malata. Assai frequentemente, a dire il vero, le patologie organiche scaturiscono o sono aggravate da profondi disagi psicologici e morali, ma l’odierna impostazione della professione medica sembra non farvi caso più di tanto, poiché prevale l’interesse per i numeri delle prestazioni professionali e degli interventi specialistici. Si curano più le malattie che gli ammalati, i quali costituiscono sovente un “peso” gravoso sia per il medico, oberato di lavoro, sia per la medicina istituzionale, alle prese con problemi di carattere economico-sociale sempre più pressanti. Rileggendo le pagine del testo evangelico di Giovanni, non può sfuggire all’attenzione la sorprendente finezza psicologica dimostrata da Gesù quando si accosta, interroga, ascolta, incoraggia ed esaudisce con la guarigione dei corpi e delle anime i malati del suo tempo, ma non può sfuggire neppure la durezza con cui si oppone a ciò che Egli considera la radice vera di tutti i mali: l’incredulità preconcetta e radicalizzata di quanti rifiutano di riconoscere in Lui la fonte ed il culmine d’ogni bene. Non solo la malattia, ma persino la dissoluzione fisica dei corpi nella morte possono essere superate e vinte mediante la fede in Colui che è “la resurrezione e la vita” (Gv 11,25).

La fede in Dio e nel suo Inviato, Gesù di Nazareth, è un dono assai prezioso ma da molti disprezzato, vilipeso, deriso o ridicolizzato a tutto vantaggio di una fede “cieca” nell’autosufficienza degli uomini, che ritengono di non aver bisogno del soprannaturale (considerato un peso insopportabile ereditato da un passato oscuro ed ignorante) per gestire autonomamente il proprio destino. Il desiderio dell’uomo di sconfiggere una volta per sempre la sofferenza, la guerra, la malattia e la morte è del tutto legittimo ma non fa i debiti conti con la provvisorietà e la fragilità della natura umana. In passato sono state le ideologie e le follie totalitarie a presumere di poter gettare le basi per la “costruzione” dell’uomo nuovo mediante l’eliminazione fisica di quanti sono “diversi” dal punto di vista razziale, culturale, fisico, mentale, psicologico o religioso; ora è la scienza, praticata ed ideologicamente sorretta da uomini radicalmente “atei” (cioè privi di qualsiasi riferimento a ciò che è sovrumano, divino) a presumere di sostituirsi al Creatore mediante il dominio e la manipolazione del codice della vita, con l’evidente intento non di migliorare, bensì di creare la vita stessa. Il rifiuto della Luce divina da parte delle Tenebre del male, dell’incredulità, del peccato (Gv 1,5.10) è attuale oggi come ai tempi dell’evangelista e le conseguenze di tale rifiuto sono sotto gli occhi di tutti, anche se vengono spacciate come “progresso” e come conquista della “libertà” da ogni forma di superstizione religiosa.

Il mio commento al Vangelo secondo Giovanni non si è limitato a poche pericopi, com’era nelle mie intenzioni originarie. Ho deciso, infatti, di affrontare per intero lo studio esegetico del testo giovanneo perché sollecitato dall’interesse dimostrato dalla gente intervenuta agli incontri di lectio divina, effettuati presso il Santuario Eucaristico di Vigevano ed organizzati dalla Madre Superiora e dalle suore Adoratrici Perpetue del S.S. Sacramento. Mi sono avvalso, per il presente lavoro, della consultazione di testi esegetici redatti da studiosi assai noti nel mondo cattolico e grandi esperti delle opere di Giovanni: tra tutti, R. Fabris, X. Léon-Dufour, R. Schnackemburg, A. Marchadour, R. E. Brown, G. Segalla, I. De La Potterie; oltre alle opere di questi autori contemporanei, che citano a loro volta i commenti di altri autorevoli esegeti cattolici e protestanti (M. E. Boismard, R. Bultmann, C. H. Dodd, M. J. Lagrange, A. Loisy, D. Mollat e numerosi altri), ho avuto l’opportunità di leggere anche il pregevole commento al Quarto Vangelo di s. Agostino, grande Padre della Chiesa e raffinato esegeta dell’opera giovannea, di cui restano memorabili alcune osservazioni lapidarie, che sanno cogliere l’essenzialità del messaggio evangelico in modo incisivo ed impossibili da dimenticare.

Per il testo, oggetto del commento, ho fatto ricorso alla versione greca originale proposta dal notissimo Nestle-Aland, alla traduzione latina di S. Girolamo ed alle traduzioni italiane proposte dalla Bibbia di Gerusalemme (adottata dalla CEI), dalla TOB, dalle Edizioni Paoline e da alcuni esegeti succitati (in particolare, nella lingua originale italiana R. Fabris e G. Segalla e, nelle traduzioni dal francese, X. Léon-Dufour e A. Marchadour). Il confronto tra i vari autori e le diverse traduzioni dall’originale greco, mi hanno permesso di cogliere le sfumature espressive di una lingua, il greco, che sfuggono ai più e che vengono fatte risaltare nelle varie traduzioni adottate dagli studiosi non per solo gusto stilistico-letterario, ma per una migliore comprensione ed attualizzazione del messaggio evangelico.

Sono grato per il sostegno avuto dalle suore Adoratrici Perpetue del S.S. Sacramento, per l’incoraggiamento ricevuto dalle tante persone, d’ogni età, che mi hanno manifestato il loro apprezzamento per il lavoro svolto sinora e, non ultimo, sono riconoscente ai miei familiari che hanno “sopportato” i disagi provocati dalle tantissime ore da me trascorse sui libri ed al computer, sottraendo tempo prezioso alle loro necessità quotidiane.

Sento di dovere un pensiero particolare di gratitudine a mia moglie Gabriella, a madre Maria Amore Plena, a suor Maria Pacis, a Massimo Pistoia, ai reverendi don M. Ferrari e don A. Negrelli, a tutti coloro che hanno contribuito alla mia formazione teologica durante cinque indimenticabili anni di studi in Scienze Religiose: senza di loro, questo lavoro non avrebbe visto la luce.

[Modificato da Credente 04/06/2019 15:05]
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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