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LA FEDE DEI NON CREDENTI

Ultimo Aggiornamento: 08/06/2018 22:22
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26/06/2016 23:01
 
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«L’ateismo è un atto di fede,
chi dice il contrario è un dogmatico»

andre comtesponville«Io non so se Dio esiste o no; io credo che non esista. L’ateismo non dogmatico è un ateismo che ammette il proprio status di credenza, nel caso specifico di credenza negativa. Essere atei non dogmatici significa credere (anziché sapere) che Dio non esiste». Illuminante la riflessione di André Comte-Sponville, noto filosofo razionalista francese, molto simile a quella che abbiamo già presentato tempo fa del filosofo Iain T. Benson.

Sostenere apoditticamente che Dio non esiste è un’affermazione dogmatica pronunciata paradossalmente proprio dagli oppositori dei dogmi cattolici, è una dichiarazione priva di dimostrazione scientifica paradossalmente pronunciata proprio da coloro che idolatrano la scienza come unica forma certa di conoscenza. Ed invece, ha riconosciuto Comte-Sponville, l’ateismo è una credenza, una fede personale a cui si può giungere per motivi vari e, secondo noi, per un uso sbagliato e riduttivo della ragione.

Riconosco che  «il mio ateismo non è un sapere»ha spiegato il filosofo razionalista. «Come potrebbe esserlo? Nessuno sa, nel senso vero e forte del verbo “sapere”, se Dio esiste o no. Se qualcuno vi dice: “So per certo che Dio non esiste”, non avete a che fare con un ateo, ma con uno sprovveduto. La verità e che non lo si sa. In breve, io non so se Dio esiste o no; io credo che non esista». Allo stesso modo, per Comte-Sponville«se incontrate qualcuno che vi dice: “So che Dio esiste”, è uno sprovveduto che ha la fede, e che, scioccamente, confonde la fede con il sapere».

Ben venga questo riconoscimento, anche se non apprezziamo la separazione tra fede e sapere promossa apertamente da Comte-Sponville. La fede, infatti, può diventare conoscenza certa, tanto quanto (se non di più) una dimostrazione scientifica, basandosi su ciò che chiamiamo certezza morale. Siamo moralmente certi che nostra madre ci vuole bene, anche se non possiamo dimostrarlo scientificamente, non possiamo dimostrare l’onestà del nostro migliore amico, né l’amore di nostro/a marito/moglie. Eppure, potremmo metterci la mano sul fuoco, siamo più certi moralmente di tutto questo che nemmeno la rotazione della Terra attorno al Sole, tanto che su queste convinzioni basiamo l’intera nostra esistenza. Sbagliamo a fidarci di nostra madre, dell’onestà dell’amico, dell’amore del coniuge? No, sarebbe irragionevole non farlo e andrebbe ricoverato in neuropsichiatria colui che portasse l’amico in un laboratorio scientifico chiedendo di esaminare le sue buone intenzioni.

E’ l’atto di fede, dunque, che se supportato da una esperienza diretta, da determinate ragioni, porta al sapere, alla certezza di sapere. Si può sbagliare? Certamente, così come sbagliano gli scienziati. Se ci fidassimo del nostro migliore amico che ieri sera ha cercato di rubarci il portafoglio, stiamo utilizzando male il metodo di conoscenza della fede. Se ci sono valide ragioni, invece, è ragionevole fidarsi ed essere moralmente certi, così la fede diventa sapere. Allo stesso modo, l’esperienza personale con Dio genera una fede in Lui che diventa certezza morale.E’ un’illusione perché Dio non lo si può dimostrare scientificamente? Ritorniamo allora da capo: possiamo dimostrare l’amore del marito, l’onestà dell’amico e la bontà della madre? No, eppure se ci sono ragioni adeguate è ragionevole affermare tutto questo, dunque sapere che Dio esiste, che l’amico è onesto e che la madre è buona.

Ma c’è una differenza tra il credente e il non credente: si può raggiungere una certezza morale soltanto di ciò di cui si fa esperienza diretta, su una conoscenza in prima persona. Solo chi ha sperimentato l’amore può dire “sono certo che l’amore esiste”, chi non lo ha sperimentato non può dire: “lo so, sono certo che l’amore non esiste”. Allo stesso modo, chi non ha sperimentato l’esperienza di Dio non può avere alcuna certezza sulla sua non-esistenza. Se la certezza morale emerge in chi fa esperienza personale dell’esistenza di Dio, dell’esistenza dell’amore, dell’esistenza dell’onestà ecc., allo stesso tempo non sono possibili certezze morali sulla non esistenza. Certo, ci possono essere motivazioni per non credere, ma queste non diventeranno mai un “sapere”.

Il dubbio nella vita cristiana esiste, come tanti santi testimoniano, ma accade quando ci si sottrae dal rapporto con Dio e, molto più spesso, si dubita non tanto della Sua esistenza, ma piuttosto della bontà del disegno nei nostri confronti (è il grido di Cristo sulla croce: “Padre, perché mi hai abbandonato?”). “Sa” della presenza di Dio solo chi ne fa esperienza, per lui è certezza, non matematica, ma morale. E’ una posizione ragionevolese in questo sentire è coinvolta la ragione, che si interroga, valuta i segni, rimane aperta e scevra dal pregiudizio, come ci ha sempre magistralmente insegnato Benedetto XVI.

Tornando a Comte-Sponville, ha ragione: l’unica posizione razionale dell’ateo è autodefinirsi un “credente”, ma in senso fideista, cioè incline a seguire la fede senza poter tenere conto dell’apporto dell’esperienza personale che porta ad un valido giudizio di ragione. Al contrario, una fede che parte dall’esperienza personale è un valido metodo di conoscenza che porta ad una certezza morale, ad un “sapere”.


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