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TENTATIVI PER SCREDITARE IL CRISTIANESIMO

Ultimo Aggiornamento: 24/09/2023 10:30
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26/03/2010 23:18
 
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Per screditare il Cristianesimo hanno cercato di inventarsi di tutto.
Analizzeremo man mano che ci capiteranno, le varie fantasie che hanno fatto breccia soprattutto tra coloro che erano già avversi al cristianesimo, ma che potrebbero sviare anche dei credenti meno preparati, scambiando le assurdità per realtà.
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IL DIO SOLE EGIZIANO
IL CULTO DI HORUS, OSIRIDE ED ISIDE
Luigi Ambrosi
 



Horus allattato dalla madre  IsideIl 24 /25 Dicembre era festa grande nell’Egitto dell’epoca: in tale data si festeggiava la nascita del Dio Sole Bambino Horus; il culto di Horus e della madre Iside ebbe molta diffusione in Roma nei primi due secoli d.C. con templi ed Imperatori devoti.


Ad Heliopolis si celebrava il 24-25 dicembre già nel 1400 A.C. la festa del Dio Sole che aveva il nome di Ra, considerato anche lui Figlio del Sole e Sole egli stesso.


Horus, il Dio Sole, era frequentemente rappresentato come un bambino con la corona solare in testa. Il Dio Sole in Egitto assunse nel corso dei millenni svariati nomi: Ra, Aton, Osiride, Serapide (nome e culto introdotto da Tolomeo nel III secolo A.C.) e Horus. Il nome “Serapide” comparve come attributo addirittura a fianco di nomi di Imperatore romani.


Interessante il culto del Dio Sole Aton, introdotto circa nel 1350 A.C., dal Faraone Amenophi IV, marito di Nefertiti, (il cui successore fu il più a noi famoso Tutankamen): fu il primo culto monoteista e universalista della storia umana  ma  fu spazzato via dalla rivolta dei sacerdoti politeisti. In Egitto vi era addirittura una citta dedicata al Dio Sole, la famosa Heliopolis, con una vasta classe sacerdotale dedicata al suo culto ed alla sua diffusione. Il Colosso di Rodi (300°.C.), una delle sette meraviglie dell’antichità, rappresentava il Dio Sole Helios e richiese 12 anni di lavoro. I culti egiziani del Dio Sole hanno forse più di tutti influenzato il cristianesimo e lo stesso ebraismo (gli ebrei vissero per secoli in Egitto) essendo precedenti ad entrambe queste ultime religioni.


HeliopolisHorus è partorito da una vergine, ha avuto 12 discepoli, è stato sepolto e poi resuscitato, ha ridato vita ad un morto (El Azar us= Lazzaro), era soprannominato la verità, la luce, il messia, il buon pastore, il KRST (l’Unto). Era denominato anche fanciullo divino e Iusa, figlio prediletto.


Il  padre divino di Horus era Osiride, con cui si confondeva (“Io e mio Padre siamo Uno”), mentre il padre terreno era Seb (Giuseppe); l’angelo Thot annuncia ad Iside che concepirà un figlio verginalmente. Nasce in una grotta, annunciato da una stella d’oriente, viene adorato da pastori e da tre uomini saggi che gli offrono doni. A 12 anni insegna nel tempio e poi scompare fino ai 30 anni. Horus viene poi battezzato sulle rive di un fiume da Anup (Giovanni) il battista, il quale in seguito verrà decapitato. Combattè 40 giorni nel deserto contro Set (Satana), ha compiuto numerosi miracoli e camminato sulle acque..


Con Iside ed Osiride, Horus costituiva la trinità egizia. A Luxor, su edifici risalenti al 1500 A.C. si possono vedere immagini relative all’ Annunciazione e all’ Immacolata Concezione di Iside.


Osiride, il padre di Horus, risale a tempi ancora più arcaici dell’antico Egitto, anch’esso rappresentava il Dio Sole : aveva oltre 200 definizioni avendo assorbito nel tempo altre divinità egiziane. Il suo culto prevedeva l’ingestione di focacce di frumento in comunione, considerate la sua “carne”, e l’elevazione al cielo dell’ostensorio. Osiride fu dall’inizio alla fine considerato il Dio che soffrì e morì; al momento della sua morte il cielo si oscurò.


Vi era in suo onore un inno che assomiglia al Padre Nostro: “O Amen, che sei nei cieli…”. Il salmo 23 della Bibbia è considerato la copia di un testo egiziano che nomina Osiride come “Buon Pastore”. Spesso Osiride era rappresentato da un occhio racchiuso in un triangolo equilatero, immagine che si può rivedere all’interno delle Chiese cristiane.


A proposito dell’Ostensorio, la cui elevazione rientrava nei rituali di Osiride, contrariamente a quanto si pensa per la liturgia cristiana, non prende il nome dall’ ostia ma accade il contrario. Si chiamava ostensorio almeno un millennio prima di Cristo; ostiare corrispondeva ad un etimo egizio (e si traslò anche nel latino) e significava mostrare, far vedere, cioè mostrare il disco solare ai fedeli.


La liturgia cristiana conservò anche l’abbassamento del capo, perché nei primi riti di Osiride-Aton all’aperto, vi era l’accorgimento di abbassare la testa per non guardare il Sole evitando così il rischio di perdere la vista. Quando i riti di Osiride-Aton furono trasferiti all’interno dei templi, i sacerdoti ricorsero ad un disco d’oro con i raggi intorno; appunto l’ostensorio, elevato in alto, ma rimase l’abitudine di abbassare il capo.


Nel culto cristiano l’ostia consacrata risale alla fine del 1400 d.C., mentre la forma dell’ostia fu stabilita dal Concilio di Trento; per spezzare i legami con il Sole pagano raffigurato nell’ostensorio. All’inizio del 1400 san Bernardino da Siena sostituì il disco d’oro luccicante con una teca con dentro il simbolo dell’eucarestia, il pane.


Studiosi sostengono che molte storie presenti nei Vangeli si possono ritrovare molto tempo prima nel Libro di Enoch e nei testi dei monaci egiziani chiamati i “Terapeuti”, successivamente associati agli Esseni.


  Nei sotterranei di Roma vi è una rappresentazione di Horus allattato dalla madre  vergine Iside risalente al II secolo D.C.

[Modificato da Credente 14/11/2011 13:18]
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26/03/2010 23:29
 
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Ecco invece come wikipedia presenta la figura di Horus, :

Viene rilevato che le affermazioni circa il preteso parallelismo (da parte di alcuni) tra Cristo e Horus, sono prive di conferma da parte di tutta la comunità di studiosi che ne contestano le conclusioni infondate.


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Horo, che significa probabilmente "Il lontano" (Bresciani), è una divinità celeste egizia che ha la sua ipostasi nel falco.

G5 A40

Horo (o Horus) è la forma latina del nome egizio Hr (nella scrittura egizia non sono rappresentate le vocali) la cui lettura è Heru oppure Hor.

Indi

Mitologia

Il culto di Horo è attestato dal periodo predinastico fino all'epoca romana quando il suo culto viene unito a quello della madre Iside.
In epoca predinastica si ebbero, con molta probabilità, diverse divinità falco la più importante delle quali era il dio-falco venerato nell'Alto Egitto. Quando i sovrani del Basso Egitto unificano le Due Terre, Horo assume il carattere di Unificatore dell'Alto e Basso Egitto.
Il sovrano egizio è considerato la personificazione di Horo, ossia l' Horo vivente; la prima tra le molte titolature che identificano un sovrano dell'Egitto è il serekht ossia il nome-Horo caratterizzato appunto dal falco.
Horus Narmer.png

In alcuni miti, Horo è considerato figlio della dea-vacca Hathor, il cui nome significa letteralmente casa di Horo.
Il mito però maggiormente famoso è quello che lo vuole figlio di Osiride ed Iside e vendicatore del padre nei confronti di Seth, il quale gli tolse un occhio durante lo scontro.
Durante il lungo periodo della civiltà egizia l'Horo di Hierakonpolis assorbe, con un meccanismo di sincretismo, svariate altre divinità locali aventi caratteristiche simili che infine divennero aspetti diversi di una sola figura.

Le forme sincretiche più comuni erano:Harakhti, Hornedjitef, Harsiesi, Harmakhis, Haroeris, Harpocrates, Harsomtus e Hurum ma ve ne sono anche con gli dei solari Ra, Atum e Aton di cui la più conosciuta è quella di Ra-Harakhti.

I figli di Horo sono quattro divinità protettrici dei vasi canopi, i contenitori delle viscere nel processo di imbalsamazione.

Presso i Greci e i Romani fu noto con il nome di Arpocrate e rappresentato come un bambino con un dito in bocca, gesto interpretato come un invito al silenzio.

Dall'etimologia del nome e dal suo aspetto di uccello, si deduce che Horo fosse una divinità del cielo: i suoi occhi simbolizzano luna e sole, il cui viaggio nel cielo è dovuto al volo di Horo. Inoltre il mito dello scontro tra Horo e Seth spiega la minore luminosità della luna rispetto al sole col fatto che l'occhio lunare sarebbe quello staccato da Seth in combattimento e in seguito riposizionato dal dio della magia Toth.

La teoria del parallelismo tra Horus e Gesù [modifica]

La teoria si basa sugli studi compiuti da Gerald Massey. Le teorie di Massey ispireranno anche il teosofo Alvin Boyd Kuhn. Massey fu esponente della massoneria e le sue opere sono ancora oggi testi di riferimento della Società Teosofica [1], movimento religioso-filosofico fondato da Helena Blavatsky. Poeta e appassionato di civiltà egizia, Massey apprende da autodidatta l’arte di decifrare i geroglifici. La sua teoria che vuole instaurare un parallelismo tra la vita di Horus e quella di Gesù si basa su un rilievo che si trova a Luxor, che lui esamina e interpreta nell'opera The Historical Jesus and The Mythical Christ, anche se per affermare questa tesi non vi sono altre fonti di riferimento.

Rilievo Massey

In questo rilievo si leggerebbe l’annunciazione, l'immacolata concezione della dea Iside, la nascita ed adorazione di Horus. Questa sua interpretazione contrasta con quella degli egittologi[2] e non è stata mai confermata da altre fonti. Le sue opere, che tentano di stabilire un più generale parallelismo tra la religione giudaico-cristiana e la religione egizia, sono assolutamente disconosciute dalla moderna egittologia e non sono menzionate nell'Oxford Encyclopedia of Ancient Egypt o in qualche altra opera di riferimento di questa branca accademica. Massey non è infatti nominato né in "Who Was Who in Egyptology" di M. L. Bierbrier (III ed., 1995), attuale lista degli egittologi internazionali di riferimento, né tanto meno nella più estesa bibliografia sull'antico Egitto stilata da Ida B. Pratt (1925/1942), universalmente riconosciuta dalla comunità internazionale degli egittologi [3].

Nel 1999 la storica e archeologa D.M. Murdock riporta in auge questa "teoria" nel The Christ Conspiracy pubblicato con lo pseudonimo di Acharya. L'opera è stata anche utilizzata come base della prima parte del film web Zeitgeist. In un capitolo del suo libro l'autrice mette in luce delle somiglianze notevoli che intercorrerebbero tra la figura di Gesù Cristo e quella di Horus. In questo ripercorre sostanzialmente le tesi di Massey sul parallelismo Horus/Gesù. La questione relativa all'attendibilità delle sue tesi è tuttora molto controversa e il dibattito molto acceso. La Murdock non ha una formazione accademica da egittologa ed una delle critiche fondamentali che le si rivolgono è di non aver attinto da fonti primarie ma di aver utilizzato fonti poco attendibili come Ancient Egypt: The Light of the World di Gerald Massey. Nel suo ultimo libro Christ in Egypt (Ed. 2009) l'autrice replica che il suo lavoro non si ispirerebbe a quello di Massey (sebbene a distanza di cento anni risulterebbe sostanzialmente corretto) ma su molteplici fonti di egittologi tra cui cita Margaret Murray, egittologa e antropologa vissuta negli anni '30, che nel libro "Il Dio delle streghe" si è occupata di stregoneria medievale cercando di trovare le sue radici nel periodo pre-cristiano. Anche la storicità del lavoro della Murray è ancora molto discussa e le sue argomentazioni sono oggi aspramente criticate in ambito accademico: tra gli storici che criticano la sua impostazione di ricerca e quindi i risultati raggiunti ci sono Norman Cohn, Ronald Hutton, G. L. Kittredge, Keith Thomas, J. B. Russell e Carlo Ginzburg [4]. Questo getta ulteriori ombre sulla canonicità storico/scientifica dell'opera della D.M. Murdock. Si consideri inoltre che, analogamente a quanto affermato dagli egittologi in relazione alle tesi di Massey, la ricostruzione della vita di Iside e Horus fatta dalla Murdock è in aperto contrasto con i risultati raggiunti dall'attuale egittologia e non trova riscontri nella narrazione delle vicende di Horus e Iside come narrate nella mitologia egizia [5].

L'unica fonte di riferimento per questa tesi resterebbe quindi l'iscrizione di Luxor, sopra indicata, in una traduzione e interpretazione considerata dagli egittologi moderni totalmente fallace[6], che non trova altri referenti se non il succitato Massey.

Raffigurazione

L'autrice sostiene di aver ritrovato questi motivi nel corso dei suoi studi e di averli poi riordinati in una specie di racconto evangelico per mettere in luce le somiglianze di fondo. Ecco alcune delle presunte analogie individuate dalla Murdock nel suo libro [7]:

  • fu annunciata la sua nascita alla madre dall'angelo Thot, che le comunicò anche che il figlio sarebbe stato concepito verginalmente
  • nacque in una grotta il 25 dicembre dalla vergine Iside, annunciato da una stella d'oriente
  • venne adorato nella grotta da pastori e da tre saggi che gli offrirono in dono oro, incenso e mirra
  • da bambino insegnò in un tempio
  • ebbe 12 discepoli
  • all'età di 30 anni fu battezzato da una figura nota come Anup, che venne in seguito decapitato (come Giovanni Battista)
  • combatté 40 giorni nel deserto contro Satana
  • compì miracoli, come la resurrezione dei morti e la camminata sulle acque
  • fu chiamato il "Santo Bambino" ed era noto con molti nomi, tra cui: "La Verità", "La Luce", "La Vita", "L'Unto Figlio di Dio" e il "Buon Pastore", "L'Agnello", "La Stella del Mattino"
  • Horus nacque a Annu, il "posto del pane", mentre Gesù nacque a Bethleem, la "casa del pane"
  • fu crocifisso tra due ladroni e dopo tre giorni risorse dai morti
  • viene rappresentato da una croce
  • assieme a Iside e Osiride, Horo costituisce un membro della trinità egizia.

Galleria di immagini [modifica]

[Modificato da Credente 27/03/2010 00:04]
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27/03/2010 00:25
 
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Alcuni, non accontentandosi di effermare che il racconto di Horus avrebbe delle analogie con quello di Cristo (analogie tutt'altro che dimostrabili), si spinge a dire che i discepoli di Cristo avrebbero inventato la storia evangelica adattandola di sana pianta alla storia di Horus.
Conclusioni molto fuorvianti perchè:
Non si può, da un semplice bassorilievo, (sopra riprodotto) ricavare tutte queste congetture di parallelismi che non appaiono affatto.
Ammettendo anche che tali analogie vi fossero, allora in tal caso non si può escludere che anche il  popolo egiziano, così come altri popoli pagani, avessero una qualche luce profetica per intuire taluni connotati del veniente futuro Messia, e quindi in tal caso la figura di Horus assumerebbe i caratteri profetici della persona a cui effettivamente si riferisce, e cioè a Gesù Cristo.
Ma questa seconda ipotesi interviene sono se si riuscisse a dimostrare con certezza la prima, il che è impossibile.


Anche il popolo ebreo aveva oltre 300 profezie scritte nel Vecchio Testamento ( che sono molto più esplicative di un solo  bassorilievo  che si presta a vaghe ipotesi) tracciavano molto bene la figura di Cristo. Quindi alcuni hanno sostenuto che i discepoli di Gesù abbiano adattato la storia evangelica a quelle profezie. Si tratta della stessa accusa mossa dai sostenitori di Horus=Cristo.
La evidenza dei fatti è che Cristo è una persona in carne ed ossa, che ha raccolto veramente dei discepoli intorno a se, i quali hanno dovuto, loro malgrado, predicare un vangelo di accettazione della morte ignominiosa del loro Signore, di una vita di povertà, di rinuncia, di insuccessi materiali. Tutto questo ripugna immediatamente alla natura umana e senza il concorso dello Spirito non avrebbero convertito nè se stessi nè gli altri ad una simile dottrina.

Per questo, di fronte al parlare duro di Cristo molti lo abbandonarono subito, e di fronte alla sua cattura perfino gli apostoli lo abbandonarono.
Questo fa capire  che se i cristiani avessero dovuto costruire una dottrina facilmente predicabile ed accettabile nel mondo, certamente avrebbero dovuto indicare strade più facili e percorribili di quella della Croce. Perciò non fu una storia studiata a tavolino ma unicamente vissuta in primis dal Maestro stesso e poi dai suoi.
[Modificato da Credente 27/03/2010 00:33]
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27/03/2010 12:53
 
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Gesù non è la copia della divinità Horus

dal blog: Il pubblicano.


Ne provano di tutte pur di screditare il Cristianesimo!
Cosa vogliono farci credere stavolta?
Questo: la vita di Cristo è totalmente inventata poichè sarebbe molto simile a quella della divinità egizia Horo (o Horus).

Premettiamo che questa teoria, come al solito, non esiste in nessun testo attendibile che si occupi di mitologia e storicità Egizia (guarda tutti i link in fondo alla pagina).
Il tutto nasce e resta esclusivamente nel libro: "The Christ Conspyracy" scritto dalla sconosciuta D.M. Murdok, (sotto il nome di Acharya) e ha avuto tanta popolarità perchè è disponibile gratuitamente su internet ed è diventato un video circolante su blog e youtube. Ma andiamo con ordine (verifica tutto quello che dico con la voce Horus di Wikipedia).

  • Inizialmente sono due i sostenitori di questa teoria: Gerald Massey, sconosciuto poeta britannico, che per dimostrare, ad esempio, che Pilato fosse un nome inventato provò a ricostruire il nome (anagramma) partendo da un mix di personaggi mitici egizi. Purtroppo morì prima di vedere che nel 1961 a Cesarea Marittima si scopriva una lapide con inciso il nome del prefetto romano.
    E il massone teosofo (cioè un mistico-filosofo) Alvin Boyd Kuhn.

    La loro tesi, come ho già detto, è subito contrastata fortemente dagli Egittologi (vedi studiosi del calibro di Assman, Hornung e Frankfort).
    Queste teorie sono nate da un'interpretazione errata, a detta degli egittologi moderni, di un rilievo trovato a Luxor in cui è descritta la vita di Horus.
    Ad esempio Richard C. Carrier, storico dell'antichità e filosofo ateo, afferma:

    "Le opere di Massey, che tentano di stabilire un più generale parallelismo tra la religione giudaico-cristiana e la religione egizia, sono assolutamente disconosciute dalla moderna egittologia e non sono menzionate nell'Oxford Encyclopedia of Ancient Egypt o in qualche altra opera di riferimento di questa branca accademica. Massey non è infatti nominato né in "Who Was Who in Egyptology" di M. L. Bierbrier (III ed., 1995), attuale lista degli egittologi internazionali di riferimento, né tanto meno nella più estesa bigliografia sull'antico Egitto stilata da Ida B. Pratt (1925/1942), universalmente riconosciuta dalla comunità internazionale degli egittologi".
    (Carrier, Brunner's Gottkoenigs and the Nativity of Jesus: a Brief Communication)
  • Negli anni '30, Margaret Murray, in un capitolo del suo libro "Il Dio delle streghe", conferma la teoria di Massey.
    Subito viene smentita dagli storici ed egittologi, come Norman Cohn (che definisce il lavoro della Murray: "bufala storica"), Ronald Hutton, G. L. Kitteredge (accademico e storico), Keith Thomas, J. B. Russell e il famoso storico italiano Carlo Ginzburg (in Folklore, magia, religione, Einaudi, 1972).
  • Infine nel 1999, la poco famosa storica Murdok riporta alla luce questa assurda somiglianza, ma lei stessa ammette di aver attinto alle fonti di Massey.

    Concentriamoci sul libro della Murdok: "The Christ Conspyracy"., smontando una per una tutte le tesi:
  1. "Horus nacque dalla vergine Isis-Meri il 25 dicembre in una grotta/magiatoia con la nascita annunciata da una stella in oriente e attesa da 3 saggi uomini".

    E' una affermazione piena di errori:
    1) Isis/Iside non era vergine, era sposata con Osiride e nessuna fonte attesta esplicitamente che fosse vergine e non avesse consumato il matrimonio.

    2) Il concepimento miracoloso sta nel fatto che Set uccise Osiride e Isis ricompose i pezzi del marito e giacque con lui. In questo modo fu "miracolosamente" concepito Horus. (vedi qui la versione ufficiale)

    3) Il nome di Isis era Isis e basta, non Isis-Meri.

    Non ci sono documenti ufficiali che provano che Meri fosse parte del nome. La stessa Murdok, nel suo libro, non menziona alcuna fonte su tal fatto. Il ‘Meri’ aggiunto non ha riscontro nella mitologia egizia (guarda i link in basso o cerca tu dei siti che parlino di antico Egitto, e non solo di questa storia).

    4) Horus secondo il mito nacque l’ultimo giorno del mese di ‘Khoiak’ ovvero il 15 Novembre e non il 25 dicembre.
    Altre fonti dicono sia nato il 25 agosto (vedi qui).
    La nascita di Horus, inoltre, non fu annunziata da una stella in oriente e non ci furono saggi o magi presenti alla sua nascita.

    5) Parliamo della stella: la Murdok, copiando l’idea di Massey, afferma che la stella, profetizzatrice di Gesù, era Orione e quindi la Stella di Orus. Oltre al fatto che Orione è una costellazione e non una stella, non fu questa la costellazione o stella che i Magi vedettero (guarda qui).
  1. "Il padre terreno di Horus era Seb (Giuseppe)"

    Non si nota alcun parallelo tra il nome ebreo Joussef (Giuseppe) e l’egizio Seb.
  1. "Horus era di origine regale"

    E' vero nel senso che era figlio diretto degli dei, ma non si può comunque comparare con Cristo.
    La regalità di Gesù deriva dalla Stirpe di Davide, un re terreno. Horus, secondo il mito, era discendente della celeste regalità essendo figlio diretto del dio maggiore.
    Qualche somiglianza, ma forzata.
  1. "A dodici anni Horus insegnava nel Tempio, a 30 fu battezzato dopo essere sparito per 18 anni".

    Non è vero. Nessuna fonte parla di queste cose, tant'è che neanche la Murdok (Achaya) ne porta le fonti.
    Inoltre Gesù non è sparito, semplicemente gli evangelisti si concentrano sulla vita pubblica da adulto. Studiosi autorevoli, come Thiede, stanno confermando le ipotesi che Gesù prima della vita pubblica abbia frequentato la città di Sefforis distante 6km da Nazareth. (vi darò notizie a breve).
  1. Horus fu battezzato nel fiume Eridano o Iarutana (Giornado) da “Anup il battista” e “Aan”.
    Mai accaduto. Anup il Battista non compare da nessuna parte nel mito di Horus. Inoltre l’eridano è una costellazione.
  1. "Aveva 12 discepoli, due dei quail suoi testimoni ed erano chiamati Anup ed Aan (sempre gli stessi)".
    Horus aveva quattro discepoli (chiamati Heru-Shemsu). Una referenza parla anche di 16 discepoli ed un gruppo (non numerato) di ‘mesnui’ (fabbri) che lo seguirono in battaglia contro Set. Anupo e Aan non compaiono nel mito.
  1. "Fece miracoli, esorcizzo demoni, e resuscitò El-Azarus ( El-Osiris) dai morti.
    Vero, fece miracoli, anzi alcune guarigioni. Gesù fece molto di più che guarire (moltiplicazione pani e pesci, placare le tempeste, tramutare acqua in vino ecc..).
    Inoltre Horus non ha mai esorcizzato demoni o resuscitato dai morti Osiride. Inoltre Osiride era Osiris e non venne mai chiamato El-Asarus o El-Osiris.
  1. "Horus camminò sulle acque"
    Non è riportato nella sua mitologia (guarda link in basso)
  1. "Il suo epiteto personale era “Iusa” (Gesù?), il figlio di Ptah il “padre”. Era quindi un figlio santo".
    Non fu mai chiamato Iusa (e tale nome non compare da nessuna parte in Egitto, mitologia o storia) e nemmeno fu chiamato ‘figlio santo’. La Murdok non cita le sue fonti.
  1. "Ha dato un Sermone della Montagna e i suoi discepoli raccontarono ‘I detti di Iusa’
    Horus non ha mai predicato sulla montagna e come detto sopra non fu mai chiamato Iusa (guarda link in basso)
  1. "Horus si transfigurò sul monte"
    Nel mito non compare questo fatto.
  1. "Horus fu crocefisso, morì e fu sepolto e poi resuscitò"
    Horus non fu mai crocefisso.
    Un mito di minore rilievo e valutato ufficiosamente, afferma che fu ucciso e fu gettato a pezzi nel Nilo e poi sua madre Isis lo fece recuperare da un coccodrillo. In un altro si afferma che muore per morso da scorpione e sua madre ha riesumato il cadavere (non l'ha resuscitato). Nelle fonti ufficiali, comunque, Horus non muore, è invece Osiride ad essere ucciso da Set.
  1. "Horus era anche “La via, verità e luce”, “Messia”, “L’unto di Figlio di Dio” (affermando che KRST vuol dire "unto"), ‘Il figlio dell’uomo’, “il buon pastore” ,etc….."
    I soli ed unici titoli di Horus erano: Grande Dio, Signore delle Potenze, Signore dei Cieli e Vendicatore di Suo Padre. Krst inoltre in egiziano significa funerale (o sotterramento), non ‘unto’. E comunque non fu mai chiamato così.
  1. "Era pescatore e viene associato con il Pesce (Ichtys), l'Agnello e il Leone".
    Horus non fu mai pescatore, nè ci riferì a lui come pescatore. Gesù non è associato ad un pesce, e Horus non è mai associato ad agnelli e leoni ma ad un falco.
  1. "Horus venne a portare a compimento la Legge"
    No, non c’era nessua “Legge” da portare a compimento.
  1. "Doveva regnare per 1000 anni come Gesù"
    Nel mito non sta scritto.


Insomma, dalle fonti ufficiali si evince che Horus e Gesù hanno pochissimi tratti in commune, ma le loro storie sono completamente differenti.

Ma cosa dicono gli egittologi della Murdok, dopo questa serie di totali bugie?
Dicono che la Murdock non ha una formazione accademica da egittologa ed una delle critiche fondamentali che le si rivolgono è di non aver attinto da fonti primarie ma di aver utilizzato fonti poco attendibili come quelle di Massey o quelle di Murray (vedi link in basso Wikipedia)
La ricostruzione della vita di Iside e Horus fatta dalla Murdock è in aperto contrasto con i risultati raggiunti dall'attuale egittologia e non trova riscontri nella narrazione delle vicende di Horus e Iside come narrate nella mitologia egizia.

Questo argomento dimostra la cosa più assurda: come una semplice teoria portata da una persona qualunque senza alcuna preparazione, con l'unica caratteristica di essere anticristiana, possa diventare più famosa e attendibile delle stesse fonti storiche ufficiali. Ciò purtroppo evidenzia il livello di ignoranza che circola nel web!

Per tutte le verifiche di quello che è stato detto:
  • Horo, voce Wikipedia.
  • Horus, voce Wikipedia inglese, molto ampliata, non accenna neanche alla similitudine Gesù/Horus.
  • Sito interessantissimo, pieno di riferimenti, che affronta l'argomento in modo esauriente: (1° parte), (2°parte), (3°parte).
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14/04/2010 00:17
 
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UN ALTRO PERSONAGGIO MITICO A CUI I DETRATTORI DEL CRISTIANESIMO VORREBBERO PARIFICARE GESU' CRISTO, E' MITRA.
ADDIRITTURA SOSTENENDO CHE CRISTO SIA UN MITO DERIVATO DA QUELLO DI MITRA.

Ecco come stanno le cose
:

Gesu' E Mitra Non Hanno Niente In Comune
Mitra non nacque da una vergine in una grotta, ma (secondo il mito) nacque da una roccia, presumibilmente lasciando una grotta dietro di sè. La roccia non può certamente essere definita "una vergine", e inoltre Mitra nacque già adulto [MS.173].

L'idea secondo cui Mitra sarebbe nato da una vergine è fondata su un uso arbitrario della terminologia. Mitra sarebbe nato dalla "materia primordiale", chiamata anche "prima madre" o "materia vergine". È evidente che la differenza tra la materia inanimata e una donna vergine è abissale.

Rimane da affrontare il discorso dei pastori, e anche questo non ha niente a che fare col vangelo, in cui i pastori non assisterono al parto. I pastori del mito di Mitra, invece, presenziarono alla sua nascita, e fecero anche di più: lo aiutarono a "uscire" dalla roccia, e gli offrirono alcuni elementi dei loro greggi.

Si consideri poi che la nascita di Mitra avrebbe avuto luogo quando gli uomini non erano ancora stati creati [Cum.MM, 132]. Come potevano allora esserci dei pastori ad aiutarlo a nascere?

In realtà queste idee, come praticamente tutti i presunti "paralleli cristiani" presenti nel mitraismo romano, sono nati almeno un secolo dopo la stesura del Nuovo Testamento, dunque troppo tardi per dire che il Cristianesimo abbia "preso in prestito" qualche idea dal mitraismo, ed è invece estremamente probabile che sia vero il contrario.

Nella letteratura mitraica non c'è alcun riferimento all'idea che Mitra fosse un "maestro".

Il Mitra iraniano aveva un solo compagno, Varuna. Il Mitra romano invece aveva due aiutanti, due piccole creature simili a lui e che forse simboleggiavano l'alba e il tramonto, o la vita e la morte.
Mitra aveva anche una quantità di animali suoi compagni: un serpente, un cane, un leone, uno scorpione - ma non erano affatto 12, e non erano persone.

Alcuni atei affermano che durante l'iniziazione a Mitra, i devoti romani si vestivano secondo i segni zodiacali e formavano un cerchio attorno all'iniziato. Queste idee non provengono dalla letteratura mitraica, e nessuno studioso di mitraismo le ha mai confermate.

Il mitraismo prometteva agli iniziati solo la "liberazione dal fato che attende tutti gli uomini" [MS.470]. L'unica idea di una "salvezza" è un affresco del 200 d.C. su cui è scritto che Mitra avrebbe salvato gli uomini versando il sangue del toro che, secondo il mito, Mitra avrebbe ucciso. Questa "salvezza", secondo l'interpretazione mitraica "astrologica", non indica l'immortalità ma solo un livello di iniziazione più elevato.
Anche qui, si tratta di un'idea di ben due secoli successiva al Cristianesimo, e quindi è evidente che il mitraismo ha importato il concetto dal Cristianesimo.

Secondo il mito, Mitra non sacrificò se stesso, ma piuttosto compì il gesto eroico di uccidere il "grande toro del Sole". Non esiste niente nella letteratura mitraica che giustifichi l'idea che Mitra si sia sacrificato. E non è neanche possibile paragonare la morte di un toro "per la pace del mondo", con Gesù Cristo che venne nel mondo dando la sua vita per salvare gli uomini dal peccato (e non per una generica "pace").


Nella letteratura mitraica non esiste alcun riferimento né alla morte né alla sepoltura di Mitra. Lo studioso Gordon dice apertamente che nel culto di Mitra non esiste "nessuna morte di Mitra" [Gor.IV, 96], dunque non si può neppure parlare di resurrezione.

Il mito non dice affatto che Mitra risorse. Dice piuttosto che non Mitra, ma gli dèi, dopo aver cercato gli umani, salirono al cielo, e Mitra attraversò l'Oceano con il suo carro. L'Oceano cercò di inghiottirlo e fallì, e infine egli raggiunse la dimora degli immortali.

C O N C L U D E N D O:
Il Cristianesimo non attinge né è influenzato da alcun altro culto, poiché tutte le sue dottrine sono presenti nell'Antico Testamento delle Sacre Scritture (affidato al popolo giudeo), compilato molto tempo prima della nascita di Cristo - tra il 2000 a.C. e il 400 a.C. - e la cui autorevolezza storica è confermata da solide prove archeologiche.

L'Antico Testamento racchiude sotto forma di simboli la dottrina Cristiana spiegata nel Nuovo Testamento, e contiene profezie su Gesù Cristo, il figlio di Dio (Zac. 12:10) che sarebbe dovuto venire nel mondo nascendo da una vergine (Is. 7:14), essendo poi crocifisso (Sal. 22), risuscitando (Sal. 16:10), ecc. Ogni particolare della sua vita fu profetizzato molti secoli prima della sua nascita, e si è verificato con assoluta precisione.

Non fu dunque il Cristianesimo ad attingere ad elementi pagani, ma il contrario: diversi culti pagani, tra cui il culto di Mitra, durante il loro sviluppo nel 1° e 2° secolo, cominciarono ad adottare vari elementi della teologia cristiana, per facilitarne la diffusione tra i cristiani. Lo stesso avvenne nel 9° secolo per il culto di Zoroastro.

R. Nash, nel libro Cristianesimo e Mondo Ellenistico, spiega: "Le asserzioni di una dipendenza del Cristianesimo dal Mitraismo sono state rigettate per diversi motivi. Il Mitraismo non aveva concetti di morte e risurrezione del suo dio e in esso non aveva luogo il concetto di rinascita - almeno durante le sue fasi iniziali... Inoltre, il Mitraismo era essenzialmente un culto militare. Pertanto, bisogna guardare con scetticismo all'idea che esso possa essere stato accolto da persone pacifiche come i primi Cristiani".

B. Wilson aggiunge: "Sebbene vi siano diverse fonti che suggeriscono che il Mitraismo includesse la nozione di rinascita, esse sono tutte post-Cristiane. La più antica risale al secondo secolo d.C."

Michael Grant conferma: "I metodi critici moderni non danno sostegno alla teoria del 'Cristo mitico' [Osiride, Mitra, ecc.]. Tale teoria è stata ripetutamente ribattuta e demolita da studiosi fra i più eminenti".

Pertanto, considerando che il Nuovo Testamento fu redatto da Ebrei che rigettavano le filosofie pagane, e che l'Antico Testamento conteneva già tutte le nozioni del Cristianesimo molti secoli prima del Mitraismo e della venuta di Cristo, è evidente che furono i culti pagani ad attingere alla teologia Cristiana per poter resistere durante il periodo di nascita ed espansione del Cristianesimo.
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19/04/2010 00:10
 
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Gesù non è Apollonio di Tiana

Un'altra figura che ha subito un parallelismo con Gesù è il pagano Apollonio di Tiana (2 - 98 d.c).

Di questo filosofo greco ci sono poche notizie storiche accertate e quelle poche sono mischiate alle leggende. Di lui ha scritto quasi esclusivamente lo scrittore Filostrato prendendo spunto dal materiale lasciato da un seguace di Apollonio, tale Damis.

E' stato venerato dai pagani per un breve periodo e spesso è stato da loro paragonato (non certo da alcun storico) a Gesù, a causa di qualche somiglianza: vita ascetica prima di quella pubblica, comunicatore con un seguito di discepoli, opere di guarigioni grazie alla taumaturgia. Altre note di Apollonio: era vegetariano e morì verso la fine del I° secolo.

Ho integrato all'articolo il commento dell'utente Riccardo (qui trovate il suo blog), che afferma: "I miracoli di Apollonio di Tiana somigliano più a riti magici che ad altro, inoltre i suoi miracoli si differenziano enormemente da quelli fatti da Cristo: Gesù comandava ai demoni di andarsene, Apollonio fece lapidare una persona additandola come il demonio travestito. Gli stessi apologeti di Apollonio non sanno dire se egli ha operato realmente una resurrezione o se invece la ragazza interessata era ancora viva".
(Per maggiori dettagli: Carsten Thiede (storico e papirologo), Jesus la fede, i fatti, EMP)

Gli storici dell'antichità, come B. Blackburn, affermano che Filostrato, nel descrivere la vita di Apollonio, tracci un quadro condizionato più dalle precomprensioni del proprio tempo che non da informazioni storiche, e che "egli sia stato influenzato già dai Vangeli stessi". (B. Blackburn, Theios Anēr, pag. 74-75).

Infine, qualcuno dice che egli sia in realtà San Paolo per il solo fatto di aver studiato a Tarso, e altri dicono che il suo discepolo Damis sia in realtà l'apostolo Tommaso. Chiaramente non ci sono prove minimamente attendibili.

Riccardo, conclude il suo commento affermando una verità logica: "Apollonio opera nella seconda metà del I secolo, periodo in cui secondo i critici sono stati redatti i Vangeli. Se la vita di Gesù fosse stata copiata da quella di Apollonio (ancora in vita), possibile che i destinatari dei Vangeli non si siano accorti del parallelismo e quindi della falsità degli stessi?". Ottima osservazione, infatti il filosofo greco era un personaggio molto conosciuto.

Insomma, altri tentativi inutili di creare confusione attorno a Gesù: "Quando non si crede più in Dio si rischia di credere a tutto". (Chesterton)
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25/05/2011 21:52
 
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Gesu' era sposato?

Maria Maddalena è la donna più diffamata e fraintesa del Nuovo Testamento. Tanti, anche in buona fede, la ritengono ad esempio la prostituta purificata, la peccatrice perdonata da Gesù. Tanti altri pensano che sia quella Maria, sorella di Lazzaro e Marta, che unse con l’unguento Gesù a Betania. Ma molto probabilmente non è nè l’una nè l’altra. Quando gli gnostici si misero a redigere i loro Vangeli per riscrivere la storia del cristianesimo, si occuparono anche di Maria Maddalena. Scrittori e registi contemporanei li hanno interpretati a modo loro (senza contare che i Vangeli gnostici sono ritenuti già di per sè poco attendibili storicamente), facendo emergere un rapporto di matrimonio tra la Maddalena e Gesù, con tanto di figli e di dinastia segreta. Non ci sarebbe comunque nulla di compromettente ad ammettere -se ciò fosse vero- che Gesù avesse una moglie come alcuni apostoli. Ma essendo una falsità storica creata “a tavolino” è bene smentirla. Hanno portato avanti questa teoria cospiratoria lo scrittore Nikos Kazantzakes, che nel suo romanzo “L’ultima tentazione” (Frassinelli 1961), fece sognare a Gesù sulla croce come sarebbe stato se, invece di salvare l’umanità, avesse fromato famiglia con Maria Maddalena. Il regista Martin Scorsese, che ne trasse il film “L’ultima tentazione di Cristo” (1988). Nel 2003 (con il film nel 2006) arrivò lo scrittore Dan Brown col suo romanzo Il Codice da Vinci, anche lui rifacendosi esplicitamente agli gnostici, in particolare il Vangelo di Filippo. Molti altri romanzieri hanno poi seguito le sue orme: Laurence Gardner con “La linea di sangue del Santo Graal” (2004); Margaret Starbird con “Maria Maddalena e il Santo Graal” (2005); Jean-Yves Leloup con “Il Vangelo di Maria Myriam di Magdala” (2007); Marianne Fredricksson con “La prescelta Maria Maddalena” (2007); Kathleen McGowan con “Il Vangelo di Maria Maddalena” (2007) ecc…



Non c’è alcun indizio sul fatto che Maria Maddalena fosse una prostituta

Nei Vangeli non c’è alcun collegamento fra Maria Maddalena e il fatto che fosse una prostituta. L’abbinamento è nato per deduzioni ed interpretazioni postume un pò azzardate. Innanzitutto vediamo quali informazioni abbiamo sul passato di Maria Maddalena. Si dice che Gesù attraversava la Galilea per annunciare il Vangelo, accompagnato dai Dodici e da «alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Magdala, dalla quale erano usciti sette demoni, Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e moltre altre, che li assistevano con i loro beni» (Lc 8, 1-3 e Mc 16,9). Anche l’evangelista Matteo conferma che la Maddalena faceva parte delle «molte donne» che «avevano seguito Gesù dalla Galilea» e «lo servivano» (Mt 27,55 e Mc 15,40). Si può pensare che fosse vedova anche perché a differenza della maggior parte delle altre donne del Nuovo Testamento, non viene mai definita per il tramite di un uomo («figlia/sorella/moglie/madre di…»).

1) Indipendenza finanziaria. Quest è il primo motivo che ha portato a pensare al fatto che fosse una prostituta. Sembra anche che abbia contribuito a sostenere economicamente («con quello che possedeva») Gesù e i suoi discepoli, probabilmente in segno di gratitudine per la guarigione ricevuta e per l’eccezionalità dell’Uomo Gesù. Sappiamo che era originaria di Migdal (o meglio Migdal Nunaya, “torre dei pescatori”), come si chiama oggi questa cittadina situata sulle sponde del lago di Tiberiade. La località acquisì al tempo di Gesù grande fama con il suo nome greco, Taricheai, per la sua specialità gastronomica: il pesce in salamoia. Perfino Strabone, nella sua “Geografia” terminata attorno al 18 d.C., richiama l’attenzione sul successo della pietanza tipica di Migdal. La cittadina divenne presto il centro di una fiorente industria della lavorazione del pesce e i suoi abitanti si arricchirono velocemente (scoperte archeologiche hanno portato alla luce grandiosi palazzi dell’epoca di Gesù, con bagni e mosaici magnifici). Il collegamento tra la stabilità finanziaria di Maria Maddalena e la ricchezza della città da cui proveniva (potrebbe facilmente aver ereditato una delle fiorenti attività della lavorazione del pesce in salamoia da qualche familiare o dal marito) sembra essere molto più storicamente realistico rispetto all’ipotesi che essa dovesse essere per forza una prostituta.

2) Confusione con Maria di Betania.. Il secondo motivo si basa su un’interpretazione errata di papa Gregorio Magno, nel 591 d.C. Egli ritenne (in un suo sermone contenuto nelle “Omelie sui Vangeli”, 2,33,1) che Maria Maddalena fosse quella donna peccatrice, che Giovanni chiama “Maria” (Gv 12,1-8), la quale unse con l’unguento Gesù, mentre egli era a Betània a casa di Simone (Mc 14, 3-9, Lc 7, 36-50 e Mt 26, 6-13). Il fatto che anche questa donna, peccatrice, si chiamasse “Maria” non può però significare molto. Dalla statistica sulle iscrizioni degli ossari di Gerusalemme, sappiamo infatti che il nome “Maria” all’epoca era il più diffuso fra le donne. Nei Vangeli ne incontriamo addirittura quattro (o forse cinque*): Maria, la madre di Gesù; sua cognata Maria; Maria, sorella di Lazzaro e Marta; e appunto Maria Maddalena. La peccatrice “Maria” viveva a Bètania mentre Maria Maddalena era originaria di Magdala, in Galilea e accompagnava spesso Gesù assieme agli apostoli. Non c’è alcun collegamento e le Chiese orientali l’hanno sempre saputo: ricordano infatti Maria di Betània, la peccatrice (prostituta) perdonata, il 4 giugno e Maria Maddalena il 22 luglio. La Chiesa cattolica solo nel 1969, dopo il Concilio vaticano II, riconobbe ufficialmente l’errore di identificazione delle due donne.



Gesù non era sposato con la Maddalena

1) Gesù era celibe come lo erano gli esseni. Dan Brown mette in bocca al suo personaggio, Leigh Teabing, ne Il Codice da Vinci, queste parole: «Gesù era ebreo e il costume dell’epoca imponeva virtualmente a un ebreo di essere sposato. Secondo i costumi ebraici, il celibato era condannato e ogni padre aveva l’obbligo di trovare per il figlio una moglie adatta». Ecco giustificata la teoria del matrimonio tra Gesù e Maria Maddalena. Si collega anche come “prova” il fatto che i seguaci di Gesù (compresa la Maddalena) lo chiamavano rabbi («maestro») e oggi i rabbini sono sposati. Ma tutti sanno che l’ebraismo contemporaneo deriva solo da uno solo dei tre movimenti religiosi presenti all’epoca di Gesù: quello dei farisei. Accanto ad essi c’erano i sadducei (i principali oppositori di Gesù) e gli esseni (tradizionalisti). Questi ultimi erano un movimento religioso molto consistente che viveva nel celibato (Giovanni Battista era un esseno e fece del celibato una regola di vita) e nessuno «imponeva» loro di sposarsi. Sugli esseni sappiamo molto di più grazie a ritrovamenti dei “rotoli del Mar Morto”. I punti di contatto rta gli esseni e Gesù sono numerosi, oltre alla vita celibe. Furono in molti a riconoscere il Messia dei profeti in Gesù Cristo. Ad esempio sappiamo che utilizzavano un calendario solare (sadducei e farisei ne usavano uno lunare) e la Pasqua per loro cominciava due giorni prima: probabilmente furono alcuni di loro che misero a disposizione di Gesù e dei suoi discepoli i loro locali per festeggiarla (questo spiega anche il perché Gesù fece la cena pasquale di giovedì mentre i farisei lo fecero di venerdì, vedi Mt 26,17; Mc 14,12; Lc 22,7 e Gv 18,28). Il movimento degli esseni era celibatario (i primi monaci cristiani e il celibato del sacerdozio cristiano hanno qui la loro origine), come confermato anche da Giuseppe Flavio e Plinio. Negli Atti degli Apostoli si parla anche di «uomini pii» e di «sacerdoti» che si uniscono alla prima comunità cristiana. Non potevano essere certo nè i sacerdoti del Tempio, i sadducei, che continuarono a perseguitare i primi cristianim nè i farisei, i quali non avevano sacerdoti. Erano infatti sacerdoti esseni, celibi. Il celebre studio del massimo esperto mondiale del giudaismo antico, Gèza Vemes, “Gesù, l’ebreo” (1983), direttore di Studi ebraici e del Forum per gli studi su Qumran all’Università di Oxford è molto chiaro: la scelta del celibato da parte di Gesù ha ragioni storiche ben precise. La missione profetica nel giudaesimo del I secolo includeva infatti la castità. Il celibato era una condizione ben nota all’ebraismo antico ed era chiamato «nazireato». I nazirei erano riconsocibili dal fatto che non si tagliavano i capelli e la barba (si pensi all’immagine di Gesù restituita dalla Sindone di Torino).

2) Nei Vangeli canonici Gesù stesso parla del celibato. Nel Vangelo di Matteo, è Gesù stesso che si riferisce al celibato: «Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna» (Mt, 19,12). Come poteva l’evangelista riportare con coerenza queste frasi se Gesù per primo non si fosse legato a casa, moglie e figli? Egli non aveva una casa, una donna, dei figli, viveva a turno dagli amici, dagli apostoli o nelle grotte: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi,, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo» (Mt 8,20). Potrebbe parlare così un marito fedele o un padre di famiglia come i teorici della cospirazione cristiana vogliono presentarci? Anche le parole di Paolo confermano il celibato di Cristo. Sentendosi svantaggiato perché al contrario di Pietro non era sposato, chiede: «Non abbiamo il diritto di portare con noi una donna credente, come fanno anche gli altri apostoli e i fratelli del Signore e Cefa?» (1Cor 9,5). Se Gesù avesse avuto una compagna, Paolo non avrebbe evitato di citare il suo nome.

3) Gli gnostici stessi (le fonti di Dan Brown) ripudiano i rapporti carnali. Le argomentazioni di coloro che sostengono l’unione matrimoniale tra Gesù e la Maddalena risalgono esclusivamente all’interpretazione dei Vangeli gnostici, in particolare il Vangelo di Filippo. Nella dottrina gnostica, Gesù e Maria Maddalena divengono i rappresentanti dei principi originari Logos («parola») e Sophia («spirito»). In questo linguaggio metaforico, la Sophia era la compagna del Logos. Ma è una rappresentazione che non ha nulla a che fare con il matrimonio. Anzi, nel Vangelo di Filippo (versetto 122) l’unione carnale viene rifiutata espressamente. Al suo posto deve subentrare «il matrimonio immacolato», cioè l’unione spirituale. Esso «non è carnale, ma puro». Secondo gli gnostici, «la sposa è impudica non solo quando riceve il seme di un altro, ma anche quando si allontana dalla sua camera da letto ed è vista». Per il redattore del Vangelo di Filippo, al quale si è ampiamente rifatto Dan Brown per il suo Il Codice da Vinci, l’unione carnale tra Gesù e la Maddalena sarebbe assolutamente impensabile, un sacrilegio osceno. Addirittura nel Vangelo gnostico di Tommaso si parla del superamento della carnalità, la donna deve perfino rinunciare alla sua sessualità (Logion 114).

3) Maria Maddalena era una compagna di viaggio e non moglie. Nel Vangelo di Filippo (versetto 55) leggiamo: «La compagna di Cristo è Maria Maddalena. Il Signore amava Maria più di tutti i discepoli e la baciò più volte sulla bocca. Le altre donne, vedendo il suo amore per Maria, gli dissero: “Perché ami lei più di tutte noi?”. Il Salvatore rispose a loro: “Come mai io non amo voi come lei?”». Dan Brown nel suo Codice da Vinci cita questo versetto letteralmente e giustifica: «Ogni esperto di aramaico sa che la parola “compagna”, all’epoca, significava letteralmente “moglie”». Eppure ogni esperto di aramaico saprà che il Vangelo di Filippo non è scritto in aramaico ma è, come tutti gli scritti trovati a Nag Hammadi, una traduzione copta di un testo greco. La parola usata nell’originale per «compagna» è koinonos, che non significa «moglie» o «amante» ma effettivamente «compagna di viaggio». Nel mondo commerciale questo termine è utilizzato nel significato di «collaboratore», o «socio in affari». La parola è usata anche da Luca quando descrive la pesca fatta dai fratelli Giacomo e Giovanni insieme a Pietro (5,10). Si traduce: «che erano soci di Simone». Nemmeno negli gnostici quindi si parla di una gyne (moglie), di heteira (amante) o pallake (concubina). Anche per essi Maria Maddalena era una compagna di viaggio, come i discepoli e come confermano i Vangeli canonici.

4) Il bacio con la Maddalena era usanza tipica fra i discepoli. Sempre riprendendo il versetto gnostico di Filippo, citato poco sopra, e ripreso letteralmente da Dan Brown e dai teorici della cospirazione, occupiamoci del bacio. Occorre ricordare che nell’ambito della prima comunità cristiana, il bacio era, come accade ancor oggi in Oriente, un gesto di saluto normale (anche tra uomo ed uomo): un bacio sulla bocca indicava un legame particolare di fratellanza o anche tra maestro e discepolo. Oggi probabilmente si è trasformato nello “scambio della pace” che avviene durante la celebrazione eucaristica. Lo stesso Paolo consigliava alle comunità: «Salutatevi gli uni e gli altri con il bacio santo» (Rm 16,16; 1Cor 16,20). Lo stesso Giuda tradì il suo Maestro con un bacio, a conferma del suo utilizzo fra gli apostoli. In un altro testo gnostico, Il Vangelo di Maria Maddalena, Gesù appare dopo la risurrezione e prima dà il bacio a tutti i suoi discepoli. In un’altra circostanza Pietro interroga Maria Maddalena di fronte agli altri apostoli. Innalzata con questa richiesta al rango di discepolo, si alzò e diede a tutti il bacio prima di parlare. Il bacio era quindi segno di fratellanza, senza alcun riferimento sessuale. Che Gesù baciasse anche Maria Maddalena sulla bocca, sempre che ciò sia accaduto veramente e sempre che si possano valutare “attendibili” i Vangeli gnostici, indica solo che la considerava sullo stesso piano degli altri discepoli. Oggi -ipotizziamo- la avrebbe salutata con due baci sulle guance, con un abbraccio o con una calorosa stretta di mano.

 
 
  
  
 
[Modificato da Credente 25/05/2011 21:55]
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28/05/2011 22:28
 
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Ipazia, la verità e le bugie ideologiche

Ipazia. La vera storia è il titolo del libro di Silvia Ronchey, e la fascetta editoriale porta questa frase di Umberto Eco: «Una bizantinista, che sa lavorare sui documenti, racconta la vera storia di Ipazia – che non è meno affascinante delle leggende». Un programma impegnativo, dunque: ridare i contorni storici a una figura in cui storia e leggenda si mescolano in modo inestricabile.

 

Perché dell’Ipazia storica sappiamo poco, e tra la penuria di documenti storici e la mole di libri scritti su di lei la sproporzione è schiacciante. Tra l’Ipazia della storia e le sue proiezioni, quasi sempre avvelenate dalla volontà di usarla come simbolo (martire del libero pensiero, dell’intolleranza cristiana, del femminismo, della scienza, e via dicendo), sono le seconde a risultare vincenti. Nei buchi della storia si inserisce facilmente l’ideologia. La Realencyklopädie di Pauly-Wissowa, il monumentale repertorio in diverse decine di volumi che raccoglie tutto ciò che sappiamo del mondo antico, elenca in poche colonne le scarne notizie che ci restano, e nota che già nei testi più antichi si assiste al formarsi del «romanzo di Ipazia, che proliferò in modo lussureggiante».

 

Chi fu veramente Ipazia? Nessuna fonte risponde in modo soddisfacente alla domanda. Fu un personaggio di primo piano dell’élite culturale alessandrina del V secolo, uccisa durante un tumulto da un gruppo di cristiani fanatici sobillati da un certo Pietro il lettore. Le modalità e le circostanze dell’uccisione non sono ben chiarite dalle fonti antiche, che le espongono in modo incerto e discordante. Il mondo tardo-antico è un crogiolo di tensioni, e Alessandria, importante e agiato centro che ha alle spalle una prestigiosissima tradizione culturale, ma anche una tradizione di disordini e di violenze, è un microcosmo in cui i contrasti anziché attutirsi si dilatano. Vi è un contrasto sempre meno latente tra la Chiesa, naturalmente gelosa delle sue prerogative, e i rappresentanti del potere imperiale. Tra i cristiani vi sono drammatiche lacerazioni interne di eresie e sette.

Ai margini della chiesa vi sono frange di estremisti (laici e monaci), inclini a scendere in piazza e a menare le mani più che a pregare. Il paganesimo vive le sua stagione declinante, le scuole filosofiche pagane esprimono i loro ultimi pensatori. Vi sono gli ebrei (coi quali la tensione è altissima), vi sono gli gnostici, che organizzano parodie di culti cristiani nei giorni stessi delle festività cristiane, e forse vi sono anche i buddhisti. Sono accentuati i contrasti, ma esistono anche momenti di reciproca integrazione. Il pensiero cristiano apprezza e fa propri molti motivi del neoplatonismo, e vi sono persino episodi di sincretismo.

 

Nel 415, quando Ipazia viene uccisa, vescovo di Alessandria (una sede episcopale che aveva potuto sperimentare dal vivo la crudezza delle lotte con l’arianesimo, nelle quali il potere imperiale era intervenuto pesantemente, favorendo gli ariani e costringendo il vescovo Atanasio a un esilio temporaneo) è Cirillo, uomo energico e di straordinaria dottrina, autore di un numero impressionante di scritti (nessun altro autore della Grecità cristiana scrisse quanto lui), in prima linea nella difesa dell’ortodossia contro l’eresia monofisita, che sosteneva la presenza in Cristo di due nature distinte, umana e divina, e limitava la maternità di Maria alla sola natura umana. Allo zelo dottrinale non sempre corrispose un equilibrio nella guida della diocesi: gli viene rimproverata una serie di atti imprudenti ed eccessivi, e soprattutto il fatto di non avere preso sufficientemente le distanze dalle frange fanatiche.

 

Da questo a farne il mandante dell’uccisione di Ipazia ne corre. Il libro della Ronchey, arricchito da un apparato critico straordinariamente ampio (pp. 195-292), dà una panoramica delle fonti antiche e delle riletture moderne. Alle lacune della documentazione fatalmente lo storico è portato a sopperire con congetture e ipotesi, sulle quali purtroppo si costruiscono altre ipotesi. Questo vale, ad esempio, per la sopravvalutazione dei meriti filosofici di Ipazia, rispetto ai quali gli antichi sembrano piuttosto scettici («donna versata nella matematica, ma non meritevole del nome di filosofo» dice il pagano Damascio).

Sul suo pensiero non sappiamo nulla di nulla: da dove trae la Ronchey la certezza che Ipazia «cercava la verità, amava il dubbio, detestava la manipolazione» (p. 11)? Se il proposito è quello di ricostruirne la figura «in modo non settario. Di leggere la sua storia in maniera autenticamente laica e libera: per quanto possibile, vera» (p. 12), il risultato non sempre corrisponde all’intento. Un solo esempio. La Storia Ecclesiastica di Socrate Scolastico costituisce una fonte primaria per la ricostruzione degli avvenimenti. Secondo la Ronchey (p. 60) «anche per il cristiano Socrate fu una non piccola infamia questa compiuta da Cirillo e dalla chiesa di Alessandria». Ma il testo non dice così. Precisamente vi si legge: «Questo fatto produsse una non piccola infamia per Cirillo e la chiesa di Alessandria».

 

Quindi nessuna palese intenzione accusatoria nei confronti del vescovo: semplicemente la segnalazione che l’uccisione di Ipazia dilatò un’immagine negativa della chiesa di Alessandria e del suo vescovo. La Ronchey non ha esitazioni: «Cirillo fu colpevole della morte di Ipazia? Certo» (p. 133). Nemmeno il beneficio del dubbio! Come è poco garantista il pensiero laico, arroccato nelle sue certezze aprioristiche! Soprattutto, si richiederebbe allo storico moderno un minimo di prudenza, quando affronta fatti così delicati e dai contorni così incerti. A quanto pare, il fatto che l’insinuazione della responsabilità (o corresponsabilità) di Cirillo non compaia nelle fonti più antiche e si affacci solo più di un secolo dopo i fatti non sembra rilevante.

 

Forse le fonti successive si sono rifatte a tradizioni orali, ma nel contesto specifico dire “tradizionale orale” non è molto diverso dal dire “diceria popolare” e magari “calunnia”. La Ronchey ritiene sconcertante (p. 90) che nella voce Cirillo d’Alessandria dell’Enciclopedia Cattolica si legga che «non si può imputare a Cirillo questo assassinio». In realtà anche altri grandi repertori non cattolici arrivano alle stesse conclusioni, a partire dalla citata Pauly-Wissowa, che elenca le fonti e ne presenta con inappuntabile rigore critico il carattere poco attendibile, contraddittorio e incline all’amplificazione, e sottolinea l’inverosimiglianza di alcune affermazioni (p.es. la tesi di Damascio della gelosia di Cirillo per la cultura e il carisma di Ipazia).

E comunque, perché la Ronchey ha una fiducia così granitica delle sue convinzioni, tanto da ritenere che ogni interpretazione non collimante con la sua sia scandalosa? L’enfasi sul fatto che fu «il cattolicesimo ottocentesco a promuovere Cirillo dottore della Chiesa … nel 1882 … da Leone XIII, un papa ossessionato dal nuovo paganesimo rappresentato dalla massoneria» (p. 91) è fuori luogo. Il titolo di dottore della Chiesa fu conferito a Cirillo in grazia della sua dottrina sull’Incarnazione e sulla Maternità di Maria (sostenne la formula “Maria Madre di Dio” contro la formula nestoriana “Maria Madre di Cristo”), e non ha nessun riferimento con la sua attività politica. Per la Ronchey «il monofisita Cirillo sarà fatto santo. Il suo fantasma di eresiarca intoccabile sopravviverà implacabilmente» (p. 35).

Ma da dove ha ricavato l’idea che Cirillo sia monofisita, quando sia la chiesa cattolica (si veda la Catechesi di Benedetto XVI del 3 ottobre 2007) sia le chiese ortodossa, copta, armena hanno riconosciuto in lui un intransigente paladino dell’ortodossia, gli anglicani ne hanno fatto uno dei “Maestri della fede”, e la liturgia siriaca lo saluta come «torre di verità e interprete del Verbo di Dio fatto carne»? Se la Ronchey protesta più volte sulla pretesa della Chiesa di ingerirsi in ambiti che non le competono, a maggior ragione dovrebbe astenersi dall’intervenire su questioni ecclesiali: che autorità ha per stabilire chi è eretico e chi non lo è? La Ronchey parla di una «generale e millenaria omertà della Chiesa di Roma» e lamenta che «nonostante le scuse e le richieste di perdono dispensate un po’ a tutti tra la fine del ventesimo e l’inizio del ventunesimo secolo» (pp. 92-93) non vi sia mai stata una richiesta di perdono per Ipazia e una presa di distanza da Cirillo. Ma di che cosa dovrebbe chiedere perdono la Chiesa di Roma?

 

Se un gruppo di cristiani fanatici di Alessandria in un contesto di tensione estrema ha ucciso barbaramente una donna, si tratta sicuramente di un crimine deplorevole, ma che responsabilità può avere la Chiesa di Roma? Quanto al vescovo, posto che nessuna prova positiva si ha della sua corresponsabilità, e al massimo gli si possono imputare imprudenze nell’azione temporale, è compito della Chiesa dispensare giudizi su questioni di natura storica che tocca agli studiosi ricostruire e interpretare? Riassumendo, il libro presenta un esame molto ampio del materiale, ma, sotto il manto di una obiettività solo apparente, fornisce in realtà una lettura dei fatti viziata da un atteggiamento di fondo (ribadito con insistenza quasi ad ogni pagina) pregiudizialmente ostile alla realtà ecclesiale. Questo, ovviamente ne fa un libro di parte e ne sminuisce l’affidabilità.

 di Moreno Morani

http://www.labussolaquotidiana.it/ita/articoli-ipazia-la-verite-le-bugie-ideologiche-834.htm

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02/10/2011 23:43
 
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Chi nega la divinità di Cristo- Dio dovrebbe leggere meglio i vangeli. Gesù parla e opera, compie miracoli immediati con una autorità che puo' solo appartenere a Dio. A parte le sue dichiarazioni in merito sono i suoi stessi avversari giudei che ci rivelano questo: «Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu,
che sei uomo, ti fai Dio». Eppure gli eretici dicono che da nessuna parte è scritto che Gesù si dichiarava vero Dio...
Se i critici negazionisti della realtà storica dei miracoli di Cristo potessero collocare la composizione e la diffusione dei nostri quattro vangeli al I o II secolo dopo Cristo, avrebbero a loro disposizione un lasso di tempo trascorso dalla morte di Cristo, sufficiente a formarsi di quelle leggende che sogliono spesso fiorire dall'accesa fantasia popolare intorno alla persona e alle azioni di quegli uomini che hanno esercitato un potente fascino sul mondo loro contemporaneo. Ma i critici hanno dovuto riconoscere che i primi tre vangeli sinottici sono stati composti nel primo trentennio dopo la morte di Cristo, quello di S. Giovanni pochi decenni più tardi. Manca dunque il tempo e la possibilità per il formarsi della leggenda intorno alla persona di Cristo. Eppure i nostri critici non vogliono darsi per vinti e dicono che anche se i vangeli sono vicini ai tempi di Cristo, nondimeno la narrazione di fatti attribuiti a Cristo sono una aggiunta posteriore e una tardiva interpolazione fatta al testo primitivo dei vangeli. Io mi propongo di mostrarvi come questa ipotesi sia fra le più sballate che siano mai fiorite dalla fantasia dei critici razionalisti. Se apriamo la storia evangelica troviamo, oltre le espressioni generali sui molti miracoli operati da Gesù, si hanno nei vangeli 41 miracoli, dei quali 24 sono riferiti da Matteo, 22 da Marco, 24 da Luca 9 da Giovanni, 16 miracoli sono comuni a tre vangeli. Ora, se consideriamo l'importanza fondamentale che ha la narrazione di questi miracoli in tutto il contesto evangelico vediamo sprofondare miseramente l'ipotesi delle interpolazioni, giacché, se sottraiamo dal contesto evangelico la narrazione dei miracoli, quello che resta non ha alcun senso né costrutto e quindi quello che resta non poteva essere il testo primitivo nel quale più tardi sarebbero stati interpolati i miracoli. Togliete i miracoli dal contesto evangelico, l'insegnamento di Gesù, lo scopo della sua missione, le credenziali che suggellano la sua legazione divina, le diverse opinioni intorno alla sua persona, le controversie con i suoi nemici, l'entusiasmo del popolo, la congiura dei farisei per toglierlo di mezzo alla vista di miracoli operati da Lui, in una parola, tutta la storia evangelica resta campata in aria, manca della causa e del motivo di tutti i fatti narrati e i tutti i discorsi riferiti. Dunque non puo' concepirsi un testo primitivo dei vangeli dal quale fosse assente la narrazione dei miracoli. Se volete un esempio ancora più concreto aprite S. Luca dal capo IV fino al capo IX: troverete che in questi sei capitoli l'insegnamento di Gesù, l'accoglienza del popolo, le controversie con i nemici, tutto é intrecciato intorno alla narrazione di 15 miracoli; togliete questi 15 miracoli dal contesto e tutto quello che resta di questi sei lunghi capitoli del terzo vangelo sono membra mutile, sono elementi sparsi senza alcuna connessione, sono discorsi fatti che mancano del motivo per cui sono riferiti. Dunque bisogna concludere che i miracoli e l'azione taumaturgica di Gesù percepiti da tutti, amici e nemici, non sono niente affatto una aggiunta posteriore e una tardiva interpolazione al testo primitivo dei vangeli ma la narrazione é per cosi dire l'ossatura che sorregge tutto l'organismo della narrazione evangelica, é parte centrale insurrogabile della storia evangelica. Inoltre lo stile di queste narrazioni é semplice, sobrio, scarno, disadorno, schivo di ogni amplificazione o esaltazione eccetto le espressioni di meraviglia di chi assisteva al prodigio, senza esordi introduttivi e senza commenti apologetici. La missione del cristianesimo primitivo si distingueva ed era strettamente legata ai miracoli. Quadrato, discepolo degli apostoli, nella sua Apologia presentata all'imperatore Adriano quasi 100 anni dopo Gesù, scriveva: "Le opere del nostro Salvatore, essendo vere e non già abili simulazioni di ciarlatani, si manifestano durevoli; quelli che furono da lui guariti, quelli che furono da lui risuscitati da morte, non soltanto sono stati veduti, guariti risuscitati, ma sono rimasti tali durante la vita e dopo la morte del Salvatore, durante uno spazio di tempo considerevole, cosi' che alcuni di essi sono sopravissuti fino ai nostri giorni". Gli stessi avversari giudei e pagani accusavano Gesù di compiere quei miracoli con la magia, riconoscendo, anche se negativamente il fatto storico. A questo punto i critici tornano all'attacco attribuendo le guarigioni (anche quelle a distanza?) la moltiplicazione dei pani ecc... all'autosuggestione. Inutile rispondere a questa insensatezza consegnata da romanzieri abbietti quale il Renan. L'autosuggestione non rimette a posto un arto fratturato. Quindi dicono infine che Gesù esigeva la fede nel malato prima di operare il miracolo. A parte il fatto che come nel caso del figlio del centurione la guarigione fu immediata e a distanza, Gesù non richiedeva sempre questo: aveva richiesto forse una prova di fede a Lazzaro morto da giorni? I critici dicono che o quello era un ciarlatano (di cui già tutti sentivano la puzza perché morto e murato da giorni) o che era un fakiro (pratica sconosciuta ai contadini ebrei e che richiede anni di allenamento). La fede che domanda Gesù non ha per oggetto la guarigione stessa ma la grazia santificante, dove il miracolo é un segno di riconoscimento che suggella la divinità di Gesù.
I critici moderni conoscono poco la psicologia perchè, volendo mentire per procurare a Cristo nuovi seguaci, gli evangelisti, anzichè scrivere cio' che hanno scritto, ci avrebbero dato un Cristo meno discordante dalle concezioni materiali dei giudei e dei pagani, un Cristo meno rigido contro i costumi depravati, un Cristo non morto in croce dato che questa era considerata la più ignominosa morte per un romano, destinata a persone spregevoli; non si sarebbero esposti all'odio universale, non avrebbero vissuto nelle catacombe e non sarebbero andati incontro ai supplizi per testimoniare la verità (addirittura pregando per il boia e ricompensandolo con doni) quando potevano semplicemente bruciare un pò di incenso agli idoli per evitare tutto questo, non avrebbero riportato i fatti storici nel dettaglio con lo stile di un cronista, (luoghi, amministrazioni vigenti, date, orari, pesi, misure esatte) cosa che riscontriamo solo nella storia di Cristo e non nei miti Osiride, Cibele & Co. e sopratutto non in quello stile rozzo tipico di pescatori ignoranti lontani dalla koinè della lingua greca e della cultura classica. Inoltre i romani aborrivano i giudei e tutto cio' che proveniva da loro e non avevano nessuna intenzione nè vaga idea di abbandonare tutti i piaceri di cui avevano sempre goduto per una rigida morale qual'è quella cristiana e nientemeno morire per essa: se li chiamate matti sottovalutate l'intelligenza dell'uomo e quindi di voi stessi.
Respingiamo come assurda l'ipotesi più recente, escogitata da alcuni cultori di storia comparata delle religioni secondo cui il racconto della risurrezione di Cristo non sarebbe altro che una derivazione delle mitologie babilonesi, iraniche, elleniche, egiziane: come in quelle mitologie si parla di esseri divini che muoiono e che risuscitano, cosi' nel cristianesimo nascente attraverso il giudaismo, sarebbe pullulato per forza irresistibile di evoluzione il racconto di un Dio crocifisso, che al terzo giorno sarebbe risorto. Amici miei, bisogna che conserviamo la calma di fronte ad una ipotesi cosi' insulsa e che ci restringiamo ad accennare in forma schematica le molte ragioni per le quali la critica e la storia comparata delle religioni, condotte con criteri veramente scientifici, rigettano nella maniera più assoluta questa ipotesi.
La storia religiosa del popolo giudaico e particolarmente del giudaismo palestinese ai tempi di Cristo, ci attesta come quei giudei erano insuperabilmente ostili a ogni concezione religiosa straniera, ad ogni infiltrazione pagana, ad ogni ombra di idolatria e mitologia.
L'idea di un Dio che muore e che risuscita per condurre i suoi fedeli alla vita eterna non esiste in alcuna religione pagana e misteriosofica, che anzi, la contradizione più manifesta salta agli occhi quando si fa un confronto tra la risurrezione di Cristo e la favolosa rinascita degli eroi o semidei, come Osiride, Adone, Dioniso Zagreo, Attis, Cibele e simili. Anzitutto, Gesù di Nazareth è un personaggio pienamente storico, di cui conosciamo con certezza storica il tempo esatto, il luogo, l'ambiente in cui è vissuto, viene da subito riportato da autori giudei e pagani insieme, sappiamo come e perchè sia morto, sappiamo che è stato veduto e toccato dai suoi discepoli, dopo la sua risurrezione, e che questi discepoli hanno suggellato col sangue la verità della dottrina e della vita del maestro risorto. Invece, di tutti gli eroi o semidei delle mitologie, dei misteri pagani, non c'è niente che ne attesti la storicità. Se si eccetui il paese d'origine, dove verosimilmente è nato il loro mito, tutto il resto è favola e leggenda, è frutto della fantasia sbrigliata dei poeti.
In secondo luogo, Cristo vero Dio e vero uomo, ha predicato la religione più perfetta e la morale più pura; ci ha dischiusi gli orizzonti della vita futura, non solo immortale, ma soprannaturale; con la sua morte redentrice ha riaperto le porte del cielo all'uomo prevaricatore. Invece, tutti gli eroi o semidei dei misteri pagani non sono altro che la glorificazione della potenza generatrice e degli istinti che la alimentano, sono l'apoteosi dell'impurità oscena più sfacciata.
In terzo luogo, la risurrezione di Cristo è il pegno della risurrezione finale, coporea degli uomini. Invece tutti i misteri pagani o non conoscono questa risurrezione corporea o la deridono. E S. Paolo ne fece l'esperienza, non una volta. Cosi, all'Aeropago di Atene, allorchè avendo annunziata a quei sapienti, che conoscevano bene i misteri pagani, la risurrezione dei morti, vide che alcuni cominciarono a beffeggiarlo, mentre altri con cortese ironia lo licenziarono: " ti ascolteremo su questa cosa un'altra volta" (Atti 17, 22). E un altro giorno, alla presenza del re Agrippa e del procuratore Festo (tutti personaggi storici realmente esistiti) uomini colti e di tendenze religiose, avendo Paolo annunciato la risurrezione di Cristo, udi' festo gridare ad alta voce: "tu sei impazzito Paolo, la molta dottrina ti fa dire pazzie" e Paolo rispose: " non sono pazzo ottimo festo, ma proferisco parole di verità e di saggezza": Si, parole di verità e saggezza, parole di verità storica, appoggiata al fatto storico della risurrezione di Cristo e al suo insegnamento: verità e saggezza che il mondo pagano, le mitologie pagane, i misteri pagani e le loro filosofie ignoravano completamente. Quindi il voler far derivare la storia della risurrezione di Cristo dai misteri pagani, non è nè verità nè saggezza, ma menzogna e stoltezza.
Altri geni incompresi e poco informati hanno creduto di scoprire la causa adeguata della propagazione del regno di Cristo nell'unità politica e nell'estensione ampissima dell'impero romano e nella dispersione dei giudei in tutto l'orbe. Ma questi dimenticano il rovescio della medaglia giacchè, se l'unità e l'estensione dell'impero romano rendeva possibile agli araldi di Cristo di annunciare la nuova religione in quasi tutto l'orbe, d'altra parte, la facilità delle comunicazioni faceva si che le calunnie contro la nuova religione si spargessero più rapidamente e che l'orrore delle persecuzioni da Roma si estendesse fino alle più remote province dell'impero. Perchè anche ammesso che alcune cause abbiano potuto favorire il propagandarsi del cristianesimo, resta sempre che sia dai giudei sia dai pagani (come già fu per Cristo) i cristiani sono stati perseguitati senza trega, sono stati atrocemente calunniati come atei, come nemici dello stato, come autori dei più orrendi delitti, come causa delle pubbliche calamità. Cosi' pure i giudei dispersi per l'orbe nelle loro sinagoghe covavano l'odio contro Cristo e i suoi seguaci, e come scriveva Tertulliano: "le sinagoghe sono dappertutto fonte di persecuzione contro i cristiani" e al capo 40 del suo Apologeticum ha scritto: "I cristiani sono considerati come la causa di ogni pubblica calamità, di ogni sventura; se il Tevere straripa, se il Nilo non irriga i campi, se il cielo non piove, se la terra trema, se la fame, se la pestilenza si diffonde, subito si grida: CHRISTIANI AD LEONES!"

“Non c’è scritto da nessuna parte nella mitologia egizia che Horus nacque il 25 dicembre.
Il giorno di nascita di Horus è contemplato tra i 5 giorni epagomeni, ovvero gli ultimi 5 giorni dell’anno Egizio, che cadono a cavallo tra giugno e luglio (il Capodanno egizio si festeggiava al momento della levata eliaca della stella Sirio, ovvero con l’avvento della piena del Nilo).
Non è riferito nemmeno della verginità di Iside. La caratteristica della nascita di Horus sta nel fatto che Iside dovette resuscitare Osiride, il suo sposo, ucciso dal fratello Seth, per poterlo concepire e permettergli di vendicare il padre. Horus perde sì un occhio in una delle tante battaglie contro Seth, ma fu quest’ultimo ad essere evirato e Horus ne uscì vincitore ereditando il Regno del Padre (a Seth andò invece il Deserto).
Per tale ragione, ogni faraone che saliva al trono veniva assimilato ad Horus, ed ogni faraone che moriva diventava Osiride.
Discorso analogo si può fare per le presunte similitudini tra Gesù e mithra.Le similitudini che dovrebbero esserci tra Gesù e horus sono state teorizzate nel 1999 da una certa D.M. Murdock che pubblicò un testo, The Christ Conspiracy con lo pseudonimo di Acharya S. Questo testo è stato anche usato come base della prima parte del film web Zeitgeist. In un capitolo del suo libro, l’autrice mette in luce delle somiglianze notevoli che intercorrerebbero tra la figura di Gesù Cristo e quella di Horo.È corretto dire che l’autrice, nel corso dei suoi studi, ha ritrovato questi motivi e li ha poi riordinati in una specie di racconto evangelico per mettere in luce le somiglienze di fondo. La questione è tutt’ora molto controversa e il dibattito molto acceso. Una delle critiche fondamentali al lavoro della Murdock è quella di non aver raccolto “fonti primarie” e di aver usato fonti poco attendibili, come il libro del poeta, spiritista ed egittologo dilettante Gerald Massey, Anciet Egypt (1907).
Tutto si basa su studi non ufficiali fatti da Gerald Massey. Le teorie di Massey, ispireranno anche Alvin Boyd Kuhn, che farà un più ampio discorso, realizzando delle sue ricerche che prendono il nome di studi sulle religioni comparate. Esponente della massoneria, fece anche parte della società teosofica, per la quale scrisse articoli sulla rivista dal nome Lucifer magazine; i suoi articoli sono di carattere prettamente anti-cristiano, e soprattutto espongono la sua idea, che la teologia Cristiana su come presenta Lucifero (che lo vede portatore del male) è falsa. Appassionato dell’Egitto, da autodidatta apprendere l’arte di decifrare i geroglifici, la sua teoria si basa su un geroglifico che si trova a Luxor, che lui esamina nel libro The Historical Jesus and The Mythical Christ, nel quale lui trova la descrizione: dell’Annunciazione, Immacolata Concezione, Nascita ed Adorazione, rivolta alla dea Iside. Questa sua teoria contrasta con la mitologia ufficiale Egizia, e non è stata mai confermata.
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02/10/2011 23:48
 
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Gli "illuministi", i razionalisti, i musulmani  che accusano gli apostoli di aver progettato a tavolino il culto a Gesù-Dio o di aver rimaneggiato i vangeli per i propri fini dovrebbero chiedersi perchè una comunità che vuole convincere il mondo della propria fede debba scrivere che i discepoli di Gesù erano indegni, che Pietro, capo della comunità, lo rinnegò 3 volte, perchè non eliminarono le discordanze fra i vangeli, perchè parlavano contro i piaceri immorali dei pagani se volevano essere accettati da essi, perchè i loro fratelli giudei (ma anche avversari) mai fecero notare cambiamenti nei loro testi, perchè non hanno rimosso le accuse di questi contro Gesù che lo giudicavano un impostore, perchè incominciano i vangeli riportando una genealogia di Gesù che estraneamente alla consuetudine giudaica includeva per la prima volta donne e per di più prostitute e adultere (Tamar, Rut, Raab, Betsabea) e addirittura facendolo appartenere a Giuseppe, discendente di un ramo decaduto della famiglia di Davide quando gli ebrei imputavano povertà, malanni e sfortune ad una punizione divina, perchè Giovanni il battista, Mosè o altri non furono mai elevati a divinità e per ultimo, se il loro maestro stesso fosse stato un imbroglione perchè quando richiesti di bruciare un pò di incenso alle divinità pagane preferivano piuttosto rinunciare a tutto andare incontro a orribili supplizi e quindi alla morte?
[Modificato da Coordin. 02/10/2011 23:52]
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15/12/2011 22:49
 
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 di Michele Loconsole*
*docente di religione cattolica e saggista

 

Come è noto, secondo non pochi studiosi del cristianesimo antico, e sostenitori dell’ipotesi cosiddetta mitologica, la data del 25 dicembre fu scelta dalla Chiesa del secolo IV – tra alcune possibili – per “oscurare” e, nello stesso tempo, “soppiantare” la festa pagana del dio sole, o più propriamente del Sol Invictus, la ricorrenza religiosa celebrata da diversi popoli, soprattutto politeisti, in concomitanza del giorno del solstizio d’inverno. Alla luce dello studio delle fonti dell’epoca, sembra invece che sia accaduto esattamente il contrario. È infatti la festa pagana del Sole Invitto ad essere stata posta o, ancor meglio, posposta al 25 dicembre, nel tentativo di oscurare o di sovrapporsi a quella cristiana del Natale del Signore. Infatti, prima del 354 d.C., ancora durante il regno di Licinio (imperatore dal 308 al 324), il culto alla divinità solare veniva celebrato, a Roma, il 19 dicembre, non il 25. Potremmo aggiungere, poi, che questa antica festa astronomica era celebrata nell’Urbe, come altrove, anche in diverse altre date dell’anno, tra cui spesso veniva scelto il periodo compreso tra il 19 e il 22 ottobre.

Il culto del dio Sole – solo per fare ulteriore chiarezza – era stato introdotto a Roma da Eliogabalo (imperatore dal 218 al 222 d.C.), ma ufficializzato per la prima volta da Aureliano (214-275) soltanto nel 274, che proprio il 25 dicembre dello stesso anno consacrava il Tempio dedicato al culto del Sol Invictus. La festa pagana prese in tal modo il titolo di giorno di nascita del Sole Invitto, ricorrenza, quindi, che potrebbe aver visto le sue origini cultuali – almeno a Roma – soltanto sul finire del secolo III d.C.
Di contro, la fonte più antica in nostro possesso, che fissa al 25 dicembre la nascita di Gesù, è quella di Ippolito di Roma (170 circa-235), che già nel 204 riferiva della celebrazione del Natale, nell’Urbe, proprio in quella data. In conclusione, è la festa pagana del dio sole che è stata “spostata” al 25 dicembre, nel tentativo di sostituirla a quella del Natale cristiano. Così facendo, l’Impero romano non avrebbe fatto altro che aggiungere un’altra tessera al mosaico che stava componendo, e cioè mettere in atto tutte le strategie possibili per arginare, limitare, se non cancellare – e non solo attraverso le indimenticabili e efferate persecuzioni – l’ormai ingombrante comunità cristiana di Roma e d’Europa.

Concludendo:

I documenti precedenti il Chronografus 354 sono incerti, ma non per questo inaffidabili quanto alla datazione della festa del Natale cristiano al 25 dicembre. Vedi Ippolito (204 d.C.), Commentario su Daniele IV, 23,3; e soprattutto Sesto Giulio Africano (211 d.C.) che data il Natale di Gesù al 25 dicembre. La scoperta della Cronaca dei Giubilei a Qumran nel 1948 conferma, tuttavia, la tradizione gioudeo-cristiana che voleva la festività dell’Annuncio a Zaccaria il 23 settembre. 15 mesi dopo abbiamo il 25 dicembre. Quindi, il 25 dicembre è la data storica della nascita terrena di Gesù.

 

Inoltre

Il solstizio d’inverno – data in cui si festeggiava nelle culture politeiste il Sol Invictus - cade il 21 dicembre e non il 25.
In secondo luogo è bene precisare che la Chiesa primitiva, soprattutto d’Oriente, aveva fissato la data di nascita di Gesù al 25 dicembre già nei primissimi anni successivi alla sua morte e non senza una ragione: infatti nelle grotte di Qumran vicino Gerusalemme furono scoperti dei rotoli con scritti sacri degli esseni, una setta isarelitica che poi nascose tutto in quella grotta prima della conquista e distruzione di gerusalemme nel 70 d.C. e tra questi importanti documenti, uno ci interessa particolarmente: è il Libro dei Giubilei, un testo del II secolo a.C.
La fonte giudaica ci ha permesso di conoscere, dopo quasi due millenni, le date in cui le classi sacerdotali di Israele officiavano al Tempio di Gerusalemme, ciclicamente da sabato a sabato, quindi sempre nello stesso periodo dell’anno.
Il testo in questione riferisce poi che la classe di Abia, l’VIII delle ventiquattro che ruotavano all’officiatura del Tempio - classe sacerdotale cui apparteneva il sacerdote Zaccaria, il padre di Giovanni Battista - entrava nel Tempio nella settimana compresa tra il 23 e il 30 settembre.
La notizia apparentemente secondaria si è rivelata invece una vera bomba per gli studiosi del cristianesimo antico. Infatti, se Zaccaria è entrato nel Tempio il 23 settembre, giorno in cui secondo il vangelo di Luca ha ricevuto l’annuncio dell’Arcangelo Gabriele, che gli ha comunicato - nonostante la sua vecchia età e la sterilità della moglie Elisabetta - che avrebbe avuto un figlio, il cui nome sarebbe stato Giovanni, questo vuol dire che il Precursore del Signore potrebbe essere nato intorno al 24 giugno, nove mesi circa dopo l’Annuncio dell’angelo.
Guarda caso gli stessi giorni in cui la Chiesa commemora nel calendario liturgico, già dal I secolo, sia il giorno dell’Annunciazione a Zaccaria che la nascita di Giovanni!

Detto ciò, Maria potrebbe avere avuto la visita, sempre di Gabriele, giorno dell’Annunciazione, proprio il 25 marzo. Infatti, quando Maria si reca da sua cugina Elisabetta, subito dopo le parole dell’Arcangelo, per comunicare la notizia del concepimento di Gesù, l’evangelista annota: “Elisabetta era al sesto mese di gravidanza”.

Passo evangelico che mette in evidenza la differenza di sei mesi tra Giovanni e Gesù. E allora, se Gesù è stato concepito il 25 marzo, la sua nascita può essere ragionevolmente commemorata il 25 dicembre, giorno più, giorno meno.

[Modificato da Credente 17/12/2011 23:29]
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10/02/2012 22:35
 
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L’ossessione di Corrado Augias: «Santo Stefano è stato ammazzato dai cristiani»

Il 26 dicembre si festeggiava Santo Stefano, il primo martire della Chiesa cattolica. Uno dei non credenti militanti (anche se poi se ne vergogna e dice di rifiutare l’ateismo e di credere “in una specie di armonia universale che ci unisce tutti”), Corrado Augias, si è voluto occupare anche di questo nel suo libro scandalistico “Inchiesta sul cristianesimo” (Mondadori 2008).

L’ossessionato anticristiano Augias è arrivato a sostenere (pag. 86): «Sappiamo dagli Atti che, a un certo punto, si creò nella primitiva comunità di Gerusalemme una grave tensione fra i cristiani di provenienza giudaica e quelli che venivano dalla cultura ellenistica. Ci fu un’assemblea nella quale questi ultimi cominciarono a protestare, dicendo che si trascuravano le loro vedove e i loro orfani. Sembrava una questione riguardante l’amministrazione della carità, tanto che l’assemblea decise di nominare dei diaconi, fra i quali Stefano, per occuparsi appunto degli indigenti [...]. Ciò che a me pare interessante -e sinistro- in questa fosca storia è che le tensioni all’interno delle varie correnti cristiane potevano arrivare fino al linciaggio di un avversario, poiché Stefano venne in pratica linciato dalla folla. Inoltre, sembra improprio attribuirgli la qualifica di “protomartire”, data la natura del dissidio dal quale Stefano venne travolto». In poche parole ha sostenuto che ad ammazzare Santo Stefano nel 35 d.C. siano stati gli stessi cristiani e non giudei e liberti romani che lo lapidarono dopo averlo trascinato davanti al Sinedrio e al Sommo Sacerdote accusandolo -alla presenza di Paolo di Tarso prima della conversione- di aver bestemmiato contro Mosè e Dio, nel preannunciare la distruzione del tempio e della legge mosaica, per mano di Gesù (qui, qui e qui un approfondimento). Non basta discriminare i cristiani, bisogna anche negare loro perfino lo statuto di vittime, come ha fatto notare Antonio Socci nel suo libro: “La guerra contro Gesù” (Rizzoli 2011). Qualcuno ha mai sentito Augias, sempre così attento ai diritti umani, spendere mezza parola per il massacro dei cristiani nel mondo (la comunità attualmente più discriminata a livello globale, secondo Bernard-Henri Lévy)? Secondo lui si stanno forse ammazzando tra loro?

La poca fedeltà di Augias alla storia era già stata notata quando ha sostenuto che Gesù avesse “dei fratelli”, facendo passare per tali i cugini paterni, figli dello zio di Gesù. L’antropologo e storico tedesco Michael Hesemann ne parla così: «Augias è un esempio perfetto di autore scandalistico». Il filosofo Costanzo Preve, celebre studioso del marxismo, parla così del giornalista romano: «Dal momento che mi sono occupato personalmente di questi temi sono in grado di capire dove sta la specifica cialtroneria dell’approccio di Augias», sintetizzando così il libro: «libello del giornalista dilettante romano Corrado Augias». Il sociologo Massimo Introvinge ha definito i suoi libri una «truffa intellettuale».
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11/03/2012 14:45
 
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Pontifex.RomaLA LEGGENDA DELLA PAPESSA PRESENTATA COME VERITA' STORICA

Che la Chiesa cattolica, così come istituita e voluta da Cristo, dia fastidio è dato evidente e lapalissiano, pertanto da più di 250 anni la si cerca di "demolire" e di indebolirne l'infallibilità che da Essa è detenuta. Gli intellettuali laicisti, sovente di provenienza progressista e di orientamento filo comunista, ateo od esoterico, strumentalizzano qualsiasi pettegolezzo o vicenda leggendaria al fine di allontanare i fedeli dall'Istituzione e di indirizzarli ad una religiosità (non religiosità) incentrata sull' "io", che deve tendere a relegare la Chiesa nei propri palazzi ed a delegittimarne anche i primati in ragione dell'ordine morale e naturale, sia del mondo che dell'umanità. Questi "cattivi" uomini, ma abilissimi pensatori, ignorano o rinnegano quanto Cristo stesso insegno all'umanità nel definire Pietro capo della Chiesa, consegnando a lui le materiali Chiavi (SOLO A LUI), non metaforiche come alcuni teologi modernisti intendono far credere ai meno indottrinati, della Sua Chiesa e del Suo  Regno in terra.

Per demolire in 1 minuto la presunzione che i laicisti e modernisti hanno di voler incolpare la Chiesa di alcuni abomini compiuti dai propri uomini, esseri fortemente disobbedienti a Cristo e palesemente vessati da Satana, mettendo dunque in discussione l'infallibilità dello stesso Corpo Mistico di Cristo, basterebbe analizzare 2 pericopi evangeliche.

In ordine cronologico noi sappiamo che:

1) "Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»" (Mt 16,13-19).

2) "Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»" (Mt 16,21-23).

Caso 1: Pietro ragiona secondo lo spirito di Dio, quindi non parla e non agisce come uomo ma secondo Dio. In questo caso è manifesta l'infallibilità dell'uomo di Dio (Vicario di Cristo) che, abbandonando lo spirito del mondo - che è Satana - riceve le Chiavi della Chiesa cattolica e, con esse, l'infallibilità che ne deriva.

Caso 2: Pietro non è più tale, ma ragiona come l'uomo Simone, quindi cade nella trappola del maligno, dubita e agisce secondo la carne e non secondo Dio, quindi sbaglia. Nonostante Cristo stesso lo avesse insignito del ruolo di primo Papa, Simone erra, ma lo fa non secondo Dio bensì secondo l'uomo; non usa la sua autorità pietrina, ma parla da singolo uomo errante. Ed ecco che, quando l'uomo di Chiesa sbaglia, lo fa perché è privo di Spirito Santo, agisce sedotto da Satana.

Questo cosa sta a significare?

Che il costante lavoro di demolizione messo in atto dalla società neo pagana, che fa leva sull'errore del singolo uomo di Chiesa, non scalfisce e non potrà mai intaccare il concetto di Sovranità di Cristo che, nella Chiesa cattolica, manifesta la Sua Parola e la Sua Regalità[1].

Tornando al nostro seminato e lasciando ulteriori approfondimenti alla lettura della nota 1, è evidente che la società massonica ed anti clericale ha sfruttato anche la leggenda della papessa Giovanna nell'insano tentativo di ridicolizzare e mettere alla pubblica gogna l'intera cattolicità e, devo dire, che purtroppo molti battezzati hanno ceduto a questa seduzione satanica.

La corruzione infernale è avvenuta fino agli anni 70 mediante la vendita di libri platealmente eretici e, successivamente, ha utilizzato come strumento di diffusione la TV o il cinema, ovvero quella "grande invenzione" che lo stesso San Padre Pio definì un "utile strumento" che purtroppo finirà nelle mani di Satana e "procurerà gravi danni alle anime".

Il grande popolo dei battezzati, quindi cattolici (a chiacchiere), ha tratto grandi insegnamenti subdolamente cattofobici e diabolici dai film "La papessa Giovanna" di Michael Anderson (1972) e "Die Päpstin" o "La papessa" di Sönke Wortmann (2009), quest'ultimo ispirato ad un ROMANZO di Donna Woolfolk Cross, privo di qualsiasi attendibilità.

Ecco che, dai risultati ottenuti, ovvero convincere i cattolici deboli nella fede, ma anche molti teologi e uomini di Chiesa, che l'Autorità può sbagliare, si manifesta quanto San Paolo affermava in 2Corinzi, ovvero:

"Lo faccio invece, e lo farò ancora, per troncare ogni pretesto a quelli che cercano un pretesto per apparire come noi in quello di cui si vantano. Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo. Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce. Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere. Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o se no ritenetemi pure come un pazzo, perché possa anch'io vantarmi un poco. Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella fiducia che ho di potermi vantare. Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch'io. Infatti voi, che pur siete saggi, sopportate facilmente gli stolti. In realtà sopportate chi vi riduce in servitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia. Lo dico con vergogna; come siamo stati deboli!" (2Corinzi,11,12-21).

In questo contesto chi ci rimette non è la Chiesa in sé, ma sono i cattolici non fortificati nella fede che, sedotti da Satana presente specialmente nel film "Die Päpstin", si allontanano dalla Verità che è in Roma, basandosi sulla raffigurazione televisiva di un romanzo ben pubblicizzato dalla società neo pagana e massonica.

LA "PAPESSA GIOVANNA":

E' mai esistita questa cosiddetta papessa Giovanna nella realtà, oltre che nei tarocchi? Ha fatto danni o ha indebolito la Chiesa? Analizziamo oggettivamente la vicenda leggendaria / mitologica.

La vicenda è una storia leggendaria di una donna d’origine inglese, ma nata a Magonza, che verso la metà del secolo IX andò ad Atene con un amico, acquistò una grande cultura; quindi si trasferì a Roma dove, travestita da uomo, intraprese la carriera ecclesiastica fino a raggiungere il trono pontificio nell’855, dopo la morte di Leone IV.

La strana vicenda, secondo mitologia pagana ed eretica, ebbe il suo più disgustoso epilogo quando, dopo qualche anno, durante un corteo papale, a poca distanza dalla chiesa di San Clemente a Roma, presa dalle doglie del parto, diede alla luce un bambino che morì con la madre.

La novella non figura in alcun documento fino alla metà del sec. XIII e, in seguito, si legge nel "Chronicon" di Martin Polono, sfruttata dalla spudoratezza degli umanisti e dall’odio antipapale dei Protestanti; nondimeno perse ogni credibilità dalla seconda metà del secolo XVI in poi, anche per merito di storici insigni, tra cui il Gregorovius, Dòllinger ed altri.

Di essa si conserva appena un vago ricordo per tantissimi anni, proprio fino al 1972.

Il più recente storico della "papessa Giovanna", Cesare D’Onofrio, ritiene che «tranne la "realtà fisica" di un papa di sesso femminile, tutti gl’ingredienti della storia sono assolutamente veri, compreso quello di una "realtà allegorica" di un papa-donna» [2].

Tra i vari "ingredienti" della vicenda figurano anche due seggiole di marmo forate, poi servite - dopo il presunto inganno della "papessa" - per accertarsi del sesso, della virilità maschile (non eunuco) e della sensibilità a "sfiorate dei primaticci diaconi", del neo eletto durante la cerimonia dell'esaltazione al pontificato dei successori. 

Da questa pratica ne derivano le famose frasi:

- "virgam et testiculos habet", ossia "ha il pene e i testicoli" pertanto gli ecclesiastici ribattono: "Deo Gratias", ossia "Sia lode a Dio". Quindi incedono alla lieta ordinazione del Papa nominato [3];

- "Testiculos qui non habet Papa esse non posset", potete immaginarne il significato [4].

Ora, se i singoli elementi della «ridicola e assurda» vicenda sono per sé veri, la loro manipolazione si deve soltanto alla fantasia, alla credulità e alla malizia di quanti trasmisero da un secolo all’altro l’incredibile avventura, raccolta più tardi da scrittori tutt’altro che seri.

Il Platina, nelle sue "Vite dei Pontefici", dichiara di riferire «cose che [...] si raccontano volgarmente da au-tori incerti ed oscuri...» [5]. Lo storico, nel concludere il racconto, sa bene di «errare col volgo», però non può escluderlo del tutto [6].

Anche Enea Silvio Piccolomini, ossia il futuro Pio II, sa che «la storia non è [...] certa» [7];  ma nel 1451, trovandosi a Costanza, seppe rispondere ad un avversario della Chiesa osservando: «...In quel caso non fu errore né di fede, né di diritto: si trattò soltanto di ignoranza del fatto (cioè che fosse una donna) ... » [8].

Gli elementi storicamente certi dell’intricata quanto fantastica leggenda della papessa Giovanna, imbastita dalla fantasia popolare e dall’astio protestante, secondo il D’Onofrio sono i seguenti:

1) Tra l’VIII e la metà del IX secolo avviene il rilancio dell’antico concetto della Sedes Apostolica Romana "quale Mater Ecclesia";

2) Poco prima, 847-55, le "Decretales Pseudo-Isidorianae" sostengono e diffondono quel concetto, che viene inserito nella liturgia dell’elezione papale in vista dell’utilizzazione di due «sellae obstetricae»;

3) La convinzione del primato della "Sedes Apostolica Romana" quale "Ecclesia Mater et Caput" di tutte le chiese del mondo, si riferisce, in concreto, alla basilica del Laterano, che alla metà del XII secolo si fregia del titolo di "Mater et Caput", titolo però che acuisce l’antica rivalità col Capitolo della basilica vaticana [...];

4) le due sedie marmoree, di cui sopra, sono seggiole da parto, di età romana, rimaste "ab immemorabili" nel Patriarchio lateranense, forse già servite a mogli di imperatori. Esse, sembra dal sec. X, furono utilizzate di nuovo nel rito dell’elezione dei papi. I quali dovevano sedervisi "come se fossero distesi, e quindi prendere l’atteggiamento della donna-madre all'’atto del parto". In quel preciso momento infatti al Papa, semi-disteso, venivano consegnate le «chiavi», gesto che significava la ri-fondazione della Chiesa: la "Mater Ecclesia", capo di tutte le chiese, superiore ad ogni altra autorità religiosa e civile;

5) il D’Onofrio conclude affermando che l’avvio della leggenda della papessa Giovanna dovrebbe attribuirsi alla rivalità del Capitolo Vaticano, insofferente della superiore dignità di quello del Laterano [...];

6) Ne deriva che l’invenzione di un "papa - femmina" e madre è stata !a conseguenza (non la causa) della utilizzazione delle "sellae obstetricae" nel rito dell’elezione pontificia. Invenzione favorita dalla presenza, nella Roma dei primi decenni del sec. X, di Papi alla mercé di donne prive di scrupoli, come Teodora e soprattutto Marozia, «prostitute senza pudore» [9]. Favorevolissimo quindi il terreno di coltura per una leggenda d’una "femmina - papa";

7) A poca distanza dalla chiesa di S. Clemente, e precisamente in Via dei Querceti, sorge ancora un’edicola - sacello con un affresco della Madonna col Bambino in braccio. Sarebbe stato in quel punto che la strada, facendo gomito e rendendosi pericolosa per l’affollatissimo percorso papale, Giovanna - pressata dalla calca - avrebbe partorito e sarebbe morta. Quella via, per questo, si chiamò "Vicus Papissae" ed il sacello sarebbe stato costruito in memoria della disgraziata. Sempre secondo la leggenda, in guito all’accaduto, il corteo papale non sarebbe più passato in quel punto; mentre risulta che ciò fu deciso unicamente per l’angustia del luogo, già causa di disgrazie;

8) La «papissa» che diede il nome al «vicus» non è affatto la famigerata «Giovanna», bensì un certo Giovanni Papa, proprietario di una casa che sorgeva in quel luogo, e che lui soleva addobbare per il passaggio del corteo papale. Per questo, infatti, riceveva dalla Camera Apostolica «otto soldi provesini» [10]. La «papissa» poté essere soltanto la moglie o la madre di quel nobile Papa che dominava nella zona [...];

9) La papessa Giovanna avrebbe regnato dall’855 all’858, ma è certo che proprio in quegli anni - dopo san Leone IV (847-855) - regnò Benedetto III (29 settembre 855 - 17 aprile 858), mentre l’unico Giovanni VIII fu Papa dal 14 dicembre 872 al 16 dicembre 882;

10) Nella casa del "visus papissae" figura quel Giovanni che - secondo il "Liber Censuum" di Cencio - non è un «ottavo» da attribuire a lui, bensì al compenso in soldi provesini. L'attribuzione si deve ad un errore di «impaginazione» del testo: «Deinde usque ad domum Johannis Pape VIII /soldi provesini»;

11) «In altre parole [...]: come il toponimo "vicus Papissae" venne arbitrariamente creduto della papessa; così la domus Johannis Papae" divenne l’abitazione del Papa Giovanni. L’errata, o, piuttosto, oculata cattiva lettura di una copia del "Liber Censuum", dove si parlava di VIII soldi che spettavano al signor Giovanni Papa, fece il resto» [11];

12) Il 29 giugno 1633, a San Pietro, fu inaugurato il baldacchino del Bernini eretto sulla tomba dell’Apostolo, concepito da Urbano VIII, che volle si scolpissero sulle basi che sostengono le colonne sei volti di donna nelle varie fasi della maternità, dal concepimento ai dolori del parto, eternando così la grande idea della "Mater Ecclesia". Il Pontefice, come noto, conosceva bene la leggenda della «papessa Giovanna» [12][13].

Lo stesso David  Blondel, pastore protestante del diciassettesimo secolo, analizzò il caso della cosiddetta "papessa Giovanna" e ne screditò totalmente ogni veridicità; testimonianza, quella del Blondel, che fa comprendere come addirittura un protestante, all'epoca nemici acerrimi di Roma, non potesse accettare tali falsità, per altro diffuse dai seguaci di Lutero stesso.

Il Blondel, nel suo testo [14], fece notare che:

1)  All'epoca dei presunti fatti mitologici, la tradizionale processione papale di Pasqua non passava nella strada dove la presunta nascita sarebbe avvenuta;

2) Non esiste alcun documento d'archivio su un tale evento e mai risulta che alcun documento sia stato distrutto;

3) La "sedia dei testicoli", su cui i papi sederebbero per avere la propria mascolinità accertata, è di molto precedente all'epoca della papessa Giovanna e non ha niente a che fare con il requisito che ai papi vengano controllati i testicoli;

4) Papa Leone IV regnò dall'847 fino alla sua morte nell'855; Benedetto III gli succedette nel giro di pochissime settimane, rendendo impossibile che Giovanna abbia regnato dall'853 all'855.

Ecco dunque che in questo, come in tanti altri casi, si tenta di dileggiare primato, verità ed autorità del Corpo Mistico di Cristo, utilizzando quella che una volta veniva definita "satira anti papale" e che ebbe inizio dal conflitto che vide protagonisti Federico II di Svevia ed il papato.

Tutti gli storici accreditati, salvo qualche romanziere di bassa categoria e qualche narratore luterano o calvinista, concordano - da sempre - che la leggenda ebbe inizio dallo scontro fra la Chiesa ed il Sacro Romano Impero e, da semplice barzelletta, divenne oggetto di mitologia, al pari del Minotauro o di Medusa.

Vale la pena deridere e rinnegare la Chiesa cattolica, quindi Cristo, per una favola inventata e riprodotta dal grande schermo e dal cinema che, come è stato ben evidenziato dal caso "the Passion" di Mel Gibson, è nelle mani di giudaismo e massoneria (nemici di Cristo e della Chiesa)?

Dice il Signore:

LA SEDUZIONE DI SATANA

1) "Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici. Ed egli andò a discutere con i sommi sacerdoti e i capi delle guardie sul modo di consegnarlo nelle loro mani. Essi si rallegrarono e si accordarono di dargli del denaro. Egli fu d'accordo e cercava l'occasione propizia per consegnarlo loro di nascosto dalla folla" (Luca 22,3-6).

IL TRADIMENTO A CRISTO ED ALLA CHIESA

"Mentre egli ancora parlava, ecco una turba di gente; li precedeva colui che si chiamava Giuda, uno dei Dodici, e si accostò a Gesù per baciarlo. Gesù gli disse: «Giuda, con un bacio tradisci il Figlio dell'uomo?»" (Luca 22,47-48).

LA FINE DELL'APOSTATA TRADITORE, IL SUICIDIO DA IMPICCAGIONE

"Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani dicendo: «Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente». Ma quelli dissero: «Che ci riguarda? Veditela tu!». Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi" (Matteo 27,3-5).

AD OGGI

Ecco, dunque, Satana è principe dell'inganno, è colui che seduce il mondo e che sulla Terra fu precipitato; avendo perso, in veste di Lucifero la battaglia con gli Angeli di Dio, questi diviene Satana e ruba anime al Creatore. Lo fa studiando attentamente le vulnerabilità umane, le caratteristiche e capacità ed ogni cattiva inclinazione, ne riesce ad ottenere divina condanna susseguente al peccato dell'uomo ed al suo asservitismo allo spirito immondo[15].

Carlo Di Pietro (M.S.M.A.)

Note:

[1] MA IN QUESTO CASO GESU' HA SBAGLIATO? CRISTO SI E' CONTRADDETTO? GLI "ERRORI DEGLI UOMINI DI CHIESA" 
[2] Mille anni di leggenda. Una donna sul trono di Pietro, Romana Soc. Editr. 1978, p. 6
[3] Felix Hamerlin, De nobilitate et Rusticate Dialogus (ca. 1490)
[4] Francesco Sorrentino, Prova di Virilità
[5] cf. C. D'Onofrio, op. cit., p. 91
[6] iv.
[7] iv., p. 97
[8] iv.
[9] iv., p. 181
[10] iv., p. 204
[11] C. D’Onofrio, op. cit., p. 210
[12] iv., pp. 211 ss.
[13] Enrico Zoffoli, Dizionario del Cristianesimo, Sinopsis In. Cult. 1992
[14] David Blondel, Dissertazione sulla leggenda della papessa Giovanna, 1647
[15] Stanzione - Di Pietro, i Santi e il Demonio, Milano Sugarco Ed., 2012

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27/04/2012 23:33
 
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I Santi cristiani così diversi dagli eroi pagani

*docente di storia e filosofia

 

Chi è sinceramente convinto della diversità cristiana rispetto alle mitologie pagane è certamente rimasto sconcertato leggendo un articolo del Corriere della Sera in data 6 aprile. Il titolo dell’articolo, firmato da Lorenzo Cremonesi, è molto esplicito: “Cristiani e pagani, miti paralleli. San Giorgio è come Ercole e Ulisse somiglia a san Brandano“. L’articolo recensisce una recente pubblicazione della casa editrice Laterza, Corpi gloriosi. Eroi greci e santi cristiani, scritta a quattro mani daMariateresa Fumagalli Beonio Brocchieri e Giulio Guidorizzi.

La tesi centrale del libro è la sostanziale continuità tra eroi ellenici e santi cristiani. Gli autori infatti scrivono che con il tramonto dei miti classici, i templi e le tombe degli eroi quali Ulisse ed Ercole furono sostituiti da nuovi eroi, dai santi, portatori di valori molto diversi, “ma nella sostanza poco cambia”, aggiungono subito. «Entrambe le figure (eroi pagani e santi cristiani) sono spesso accompagnate da una nuvola di pazzia, che ne garantisce coraggio fuori dalla norma, eroismo o santità, la cui natura straordinaria resta comunque impressa nella memoria collettiva.»  La vita viene interpretata come una “lunga battaglia”, con avventure, scoperte dell’ignoto, viaggi fantastici. Tutti questi elementi esaltano l’eccezionalità dell’eroe pagano prima e del santo cristiano poi. Entrambe le figure forgiano l’identità delle rispettive culture e dei rispettivi popoli di provenienza.

Allora ci chiediamo: le cose stanno veramente così?  Il mito e la storia sono sempre gli stessi? L’identità culturale dei popoli cristiani non ha niente di diverso rispetto a quella delle mitologie omeriche o virgiliane? Anche Umberto Eco, nel suo celebre Il nome della rosa, aveva sostenuto una tesi simile, affermando che tra santità e follia non c’era sostanziale differenza.  Davvero? E’ proprio qui che si scopre l’inaccettabilità della tesi di fondo del libro. Possiamo concedere agli autori che vi sia un parallelo tra eroi pagani e santi cristiani in quanto entrambe le figure sono i modelli di riferimento, gli ideali morali delle rispettive società.  Possiamo anche concedere che per alcuni santi cristiani dei primi secoli, nelle narrazioni popolari, si mescolino insieme elementi storici e fantasie leggendarie. Ad esempio è verosimile che alcuni racconti degli Atti dei martiri dei primi secoli non siano sempre fedeli al contesto storico. Per la stessa figura, più recente, di San Francesco d’Assisi, non è sempre facile discernere gli elementi storici dalle aggiunte leggendarie di alcuni biografi successivi.

Ma quello che agli autori del saggio sembra sfuggire è che i valori morali che i santi cristiani incarnano sono radicalmente diversi da quelli degli eroi pagani. E non solo i valori morali, ma anche la concretezza storica è ben diversa. Partiamo dai valori morali. L’antichità pagana esalta l’eroe forte, vittorioso, capace di uccidere i nemici, di arrivare per primo. Il principio fondante la cultura pagana è la legge del più forte. Il più forte ha ragione. Le avventure di Ercole, di Achille, dei leggendari eroi romani, sono accomunate da questa esaltazione dell’eroe vittorioso. L’icona gloriosa del gladiatore è il modello spettacolare di questa visione della vita. Ogni città dell’impero romano aveva i suoi anfiteatri, capaci di ospitare anche venti o trentamila spettatori, per celebrare con gli spettacoli dei gladiatori la grandezza dell’impero. Si può dire che questi spettacoli costituivano la concretezza storica degli eroi mitici, fondatori della civiltà greco-romana.

Il discorso cambia radicalmente con il diffondersi del Cristianesimo. Il principio fondante della cultura cristiana è esattamente l’opposto di quello pagano. E’ la legge per cui il più forte si china verso il più debole per innalzarlo al proprio livello, perché siamo tutti figli di Dio, abbiamo tutti la stessa dignità. E soprattutto perché Dio stesso ci ha insegnato a vivere così. Lui è disceso verso il più debole, il peccatore, per innalzarlo ad una vita divina, vissuta nella giustizia, nell’amore, nel servizio del prossimo.  Non vedo proprio come si possa parlare di continuità tra eroe pagano e santo cristiano. Sarebbe comeparlare di continuità tra la legge del più forte e la legge dell’amore e del perdono. Sarebbe come dire che la violenza e l’eroismo guerriero di un Achille o di un Ercole sono simili all’umiltà ed al servizio altruistico di un Sant’Ambrogio o di un Sant’Agostino.  Non riesco proprio a capire come storici di tutto rispetto come gli autori del libro sopra citato abbiano potuto prendere un abbaglio così fuorviante.

E poi, altro abbaglio sorprendente, non riesco proprio a capire come si possa confondere il mito con la storia. Quando gli autori pagani parlavano di Ercole, di Achille, di Enea, di Ulisse, di Dioniso…  sapevano benissimo di raccontare “miti” , ovvero descrizioni affabulatrici e leggendarie che avevano spesso un valore eziologico. Intendevano cioè proporre una spiegazione causale (“eziologica”), di origine divina o soprannaturale, all’origine di Roma o di Atene ecc. Volevano rivestire di un’alone divino quello che divino non era. Completamente diverso è il contesto del santo cristiano. Qui abbiamo i piedi per terra! In base al principio dell’incarnazione, per cui Dio stesso ha preso carne in Gesù di Nazareth, d’ora in poi l’eroe cristiano dovrà essere incarnato nella storia, nel concreto quotidiano. Come i vangeli erano iniziati con precise indicazioni storiche ed erano proseguiti con dettagliati riferimenti a personaggi storici come Ponzio Pilato, Erode, Caifa, Anna, Farisei, Sadducei ecc.  Così i santi cristiani si collocano sempre in precisi contesti storici e sono riusciti nell’arco di circa tre secoli a capovolgere i valori fondanti della civiltà.

Allora, in conclusione, dobbiamo stare bene attenti a non equivocare tra mitologia pagana e storia cristiana. Sarebbe come dire che un pezzo di vetro ed un diamante sono simili, perché luccicano entrambi!

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23/07/2012 21:49
 
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PLATONE ammetteva la libertà dei costumi o anticipava il Cristianesimo?

Umberto Galimberti critica il fatto che scienza, psicoanalisi, religione e diritto – a suo avviso – discriminano l’omosessualità considerandola “esclusivamente sul piano sessuale” (a differenza dell’eterosessualità).

Galimberti sostiene che Platone combatté proprio questo “pregiudizio negativo nei confronti degli omosessuali” e per dimostrarlo si lancia in un’azzardata escursione nel “Simposio”.

Da cui cita un passo dove -  a suo avviso – “Platone lega opportunamente la condanna dell’omosessualità a un problema di democrazia, a cui forse noi, a causa del perdurare dei pregiudizi, non siamo ancora giunti”.

Ora, fare di Platone un teorico e paladino della “democrazia” (oltretutto una democrazia moderna e libertaria) è – a dir poco – surreale. Per sorriderne non occorre neanche aver letto Karl Popper (o il libro di Franco Ferrari, “Platone. Contro la democrazia”, Rizzoli).

Ma ancora più sconcertante è vedere attribuito a Platone un pensiero che nel “Simposio” è espresso da Pausania.

Si deve infatti sapere che in questo dialogo vari personaggi intervengono esprimendo il loro diverso punto di vista su Eros.

La voce con cui si identifica Platone ovviamente non è affatto quella di Pausania o quelle di Aristofane e di Agatone, ma – come di consueto – quella di Socrate che interviene dopo tutti gli altri e che demolisce tutti i discorsi che lo hanno preceduto.

In sostanza Socrate guida gli ascoltatori a scoprire che l’amore non è ciò che loro credevano, ma piuttosto l’attrazione che l’anima umana ha per la perfezione e per l’Assoluto (qui si capisce perché il cristianesimo dialogò subito, non con le religioni, ma con la filosofia greca, che vedeva pervasa dell’attesa del Logos divino).

Se poi consideriamo l’intervento di Pausania – quello che Galimberti erroneamente presenta come pensiero platonico – è assai dubbio che si occupi di omosessualità, ma di certo si può dire che è il discorso più misogino che lì risuoni perché attribuisce l’amore per le donne all’Eros dell’ “Afrodite volgare” (e lo depreca), mentre l’ Eros dell’ “Afrodite celeste” è esclusiva dei maschi.

E’ davvero esilarante che su un magazine femminile quale è  “D” venga citato come esemplare, edificante e “democratico” un discorso di quel tenore dove Pausania esalta il genere maschile perché “per natura più forte e più dotato di cervello”.

Se poi volessimo sapere cosa veramente Platone pensava e cosa ha scritto sulla pratica omosessuale, scopriremmo pagine che oggi, sulle colonne del giornale di Scalfari e Galimberti, verrebbero subito condannate come terribilmente “omofobe”.

Infatti nelle “Leggi”, Platone critica quanti hanno “corrotto la norma antica e secondo natura relativa ai piaceri sessuali non solo degli esseri umani, ma anche degli animali”.

E spiega:

“bisogna considerare che, a quanto pare, il piacere sessuale fu assegnato secondo natura tanto alle femmine quanto ai maschi affinché si accoppiassero al fine di procreare, mentre la relazione erotica dei maschi con i maschi e delle femmine con le femmine è contro natura e tale atto temerario nasce dall’incapacità di dominare il piacere”.

Come si vede qui Platone è perfino più “rigorista” della Chiesa per quanto riguarda l’unione dell’uomo e della donna al cui congiungimento fisico la teologia cattolica riconosce anche il fondamentale valore unitivo, cioè dell’amore fra i coniugi.

In altri passi delle “Leggi”, Platone condanna di nuovo i rapporti sessuali diversi da quelli fra uomo e donna adulti, invitando ad attenersi alle leggi di natura e a cercare sempre e solo l’acquisizione delle virtù.

Il filosofo greco sembra considerare perfino come un “pericolo”, per l’ordine sociale, gli “amori di donne al posto di uomini e uomini al posto di donne” perché “innumerevoli conseguenze sono derivate agli uomini privatamente e a intere città”.

Del resto Platone – decisamente lontano e opposto alla mentalità epicurea –  indicando l’esempio di un famoso atleta, Icco tarantino, che per vincere alle Olimpiadi si astenne da tutti i piaceri durante il lungo allenamento, invita a incitare i giovani a fare altrettanto e a “tener duro in vista di una vittoria molto più bella” ovvero: “la vittoria sui piaceri”.

Platone – con buona pace di coloro che fantasticano di un’antica Grecia libertaria e accusano la Chiesa Cattolica di aver portato illiberalità e sessuofobia – arriva addirittura a chiedere alle leggi di prescrivere la virtù:

“la nostra legge deve assolutamente procedere dicendo che i nostri cittadini non devono essere peggiori degli uccelli e di molte altre bestie che, nati in grandi gruppi, vivono fino alla procreazione non accoppiati, integri e puri da unioni sessuali, ma quando giungono a questa età, congiuntisi per proprio piacere il maschio alla femmina e la femmina al maschio, vivono il resto del tempo in modo santo e corretto, attenendosi e saldamente ai primi patti d’amore; dunque essi (i cittadini) devono essere migliori delle bestie”.

Questa la prima legge (dove, come si vede, si condannano anche i rapporti prematrimoniali e l’adulterio). E “qualora (i cittadini) vengano corrotti”, aggiunge Platone, bisogna escogitare “una seconda legge per loro”. Ovvero, se proprio alcuni non resistono all’attrazione dei piaceri senza legge “sia presso di loro cosa bella compiere di nascosto questi atti (…), mentre sia turpe il non farli di nascosto”.

Questo è il Platone vero, quello che racchiude le leggi nell’ “ossequio agli dèi, l’amore pe gli onori e il fatto che non ci sia desiderio dei corpi, ma dei bei costumi dell’anima”.

Dell’altro Platone, quello di Galimberti, non si trova notizia sui suoi testi.

Voglio aggiungere che siccome a quel tempo sotto la categoria di amore – che non aveva un’accezione romantica moderna – andava anche il rapporto fra maestro e discepolo, e siccome questo rapporto poteva scadere (e scadeva) nella pederastia, c’è un passo di Platone (nella Repubblica, il dialogo filosofico, non il giornale) in cui si legge la condanna di questa degenerazione possibile:

“tu stabilirai una legge nella città che stiamo fondando, in base alla quale chi prova affetto (erastés) per il suo ragazzo affezionato (ta paidikà), lo ami e lo accompagni e lo tocchi come farebbe un padre con il figlio; con il suo consenso e avendo come fine la contemplazione e la conoscenza del bello. Mai dunque dovrà accadere o sembrare che si vada oltre questi limiti”.

Qualcuno potrà sorprendersi di scoprire questo Platone, perché da tempo si è diffuso il luogo comune che la famiglia eterosessuale (come fondamento della civiltà) e la legge naturale siano un’invenzione del cristianesimo.

In realtà la famiglia fra uomo e donna è stata il fondamento istituzionale esclusivo di tutte le civiltà precedenti il cristianesimo e di tutti i popoli. Da sempre.

E la legge naturale ben prima del cristianesimo è stata il fondamento della riflessione morale, in modo speciale nell’antica Grecia.

Un formidabile saggio di Francesco Colafemmina, “Il matrimonio nella Grecia classica” vuole dimostrare tutto questo con ricchezza di citazioni (sorprendenti) e brillante scrittura.

Il libro di Colafemmina (a cui devo tante preziose indicazioni) intende ribaltare “le mistificazioni contemporanee” e ricostruisce “un’etica matrimoniale condivisa fra ellenismo e cristianesimo”. Una lettura preziosa in questi tempi di confusione e di ideologia. Una lettura da consigliare a tutti i nostri spensierati politici.

 Antonio Socci

[Modificato da Credente 23/07/2012 21:51]
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22/09/2012 18:55
 
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Gesù aveva una moglie? 

Quando su alcuni quotidiani si è letta la notizia della scoperta di un frammento di papiro contenente la frase “Gesù disse loro: mia moglie…” in molti hanno pensato all’ennesimo tentativo di Augias di attirare un po’ di attenzione. E invece no, non c’entra: il frammento (grande come un biglietto da visita) scoperto è risalente al IV secolo dopo Cristo, scritto in lingua copta, la cui fonte ha voluto rimanere anonima e la cui provenienza è misteriosa. E’ stato presentato nei giorni scorsi da Karen Kingdocente della Harvard Divinity School, esperta di “gnosticismo” ed in esso compare appunto, tra le altre, la frase: “Gesù disse loro: mia moglie…” e poi “lei sarà in grado di essere mia discepola”.

Ovviamente non ci sarebbe nulla di compromettente se Gesù avesse avuto una moglie, come alcuni apostoli -tra cui Pietro- avevano, lo ha ricordato giustamente Ken Schenck, preside del Wesley Seminary in Indiana e docente di Nuovo Testamento presso la Wesleyan University e anche John Byrondocente di Nuovo Testamento presso l’Ashland Theological Seminary. Se Gesù fosse stato sposato, affermano molti autorevoli biblisti, gli evangelisti lo avrebbero semplicemente scritto.

La stessa docente ha comunque affermato che nulla di questo frammento del IV° secolo autorizza a dargli credito storicoinsistendo sul fatto che «non dovrebbe essere considerato come la prova che Gesù, in quanto persona storica, è stato effettivamente sposato», come non hanno credito storico (né pretendono di averlo) i numerosi vangeli apocrifi e gnostici. «Il testo è stato scritto probabilmente secoli dopo la vita di Gesù, e tutta la prima letteratura cristiana storicamente attendibile tace sulla questione». Tuttavia, in molti si sono già gettati sulla scoperta per valorizzare quella corrente di pensiero bene espressa da Dan Brown nel suo Il codice da Vinci: il matrimonio di Gesù, i suoi figli e la dinastia segreta. Giovanni Filoramo, ordinario di Storia del Cristianesimo presso l’Università di Torino ha spiegato che «il Vangelo di Giuda», quello «su cui ha lavorato proprio la dottoressa King che studia il nuovo frammento di papiro in cui Gesù parla di sua “moglie”, non ci dice niente su Gesù, ci dice soltanto alcune cose sui cristiani gnostici. È utile per capire il loro pensiero»Giorgio Paximadi, ordinario della Facoltà teologica di Lugano, ha spiegato«Prima di tutto siamo di fronte ad un frammento senza nessun contesto archeologico e chiaramente non può darci informazioni su Gesù, ma siamo di fronte a una testimonianza delle sette gnostiche del II secolo e di come queste siano sopravvissute in Egitto fino al IV secolo. Di frammenti così fatti se ne troveranno altri nel futuro, e mettendoli insieme si potrebbe scrivere un romanzo fantasy».

Ben Witherington, uno studioso del Nuovo Testamento presso l’Asbury Theological Seminary, ha spiegato che la dottoressa King è una sostenitrice del «Vangelo di Maria e del Vangelo di Giuda, che ci raccontano la prime esperienze cristiane di vario genere, in particolare di tipo gnostico», lo stesso frammento trovato«potrebbe contribuire allo studio dello gnosticismo nel secondo o quarto secolo, ma mentre questo frammento è interessante, si tratta di molto rumore per nulla se siete interessati al Gesù storico». Inoltre,«il documento segue lo schema dei testi gnostici durante i periodi monastici dei secoli secondo, terzo e quarto, in cui il linguaggio dell’intimità è stato usato per parlare di rapporti spirituali. In considerazione del carattere prevalentemente ascetico dello gnosticismo, è probabile che abbiamo a che fare con il fenomeno della “sorella-moglie”, e il riferimento è ad un rapporto strettamente spirituale, vicino ma che non coinvolge l’intimità sessuale». Anche Antonio Socci, autore di un bellissimo e recente libro sulla storicità del cristianesimo “La guerra contro Gesù” (Rizzoli 2012),  ha ricordato che «la questione di Gesù sposatodel ruolo degli uomini e delle donne, anche l’aspetto sessuale della vita di Gesù è notoriamente un tema attinente alla religione gnostica, e dunque una questione puramente ideologica». Si è anche giustamente lamentato che «si ignorano le scoperte veramente straordinarie e clamorose che riguardano i vangeli canonici, tipo il papiro del vangelo di Giovanni che è stato trovato pochi anni fa e che riporta il vangelo all’età apostolica, demolendo tutte le illazioni e i teoremi costruiti su di esso in quanto vangelo apocrifo» e «si allestisce questa fiera del frammento apocrifo, quando sappiamo benissimo che i cosiddetti vangeli apocrifi o vangeli gnostici si distanziano anche secoli dai vangeli canonici».

Jim West, biblista presso la Quartz Hill School of Theology, ha spiegato che finché aleggia tutto questo mistero attorno al frammento, rispetto alla provenienza e alla fonte anonima sopratutto, esso «non è niente di più di una dichiarazione di nulla, senza contesto sostanziale è di nessuna utilità. Le uniche persone che accettano artefatti senza provenienza sono coloro che fanno gli spettacoli per Discovery Channel»Wolf-Peter Funk, un professore e noto linguista presso la Laval University del Quebec, che ha co-diretto il progetto di modifica francofona della biblioteca copta di Nag Hammadi, ha messo in dubbio l’importanza della scoperta ricordando che «ci sono migliaia di frammenti di papiro dove si trovano cose folli, può essere qualsiasi cosa». Ha poi dubitato anche l’autenticità stessa, dicendo che la forma del frammento è “sospetta”. Anche Stephen Emmel, professore di Coptology presso l’Università di Muenster, membro del gruppo consultivo internazionale che ha rivisto nel 2006 la scoperta del Vangelo di Giuda, ha messo in dubbiol’autenticità del documento: «C’è qualcosa in questo frammento nel suo aspetto e anche nella grammatica del copto, che mi sembra essere in qualche modo non del tutto convincente».  Alin Suciu, papirologo presso l’Università di Amburgo, è stato più schietto«direi che è un falso. La scrittura non sembra essere autentica rispetto ad altri campioni di papiro copto risalenti al 4° secolo».

«Ci sono un sacco di cose davvero dubbie su questo»ha commentato David Gill, professore di archeologia presso l’Università Campus Suffolk ed esperto del commercio illegale sull’antichità. «I responsabili accademici dovrebbero mantenere le distanze da esso»L’Institute of America, per esempio, si è rifiutato di pubblicare articoli sul suo giornale circa la scoperta di reperti antichi privi di una provenienza certificata. Hany Sadak, il direttore generale del Museo Copto del Cairo, ha affermato che l’esistenza del frammento era sconosciuta alle autorità egiziane fino a quando la notizia è emersa sui quotidiani: «Personalmente ritengo, come ricercatore, che il frammento non sia autentico perché, se fosse stato in Egitto, lo avremmo conosciuto e ne avremmo sentito parlare». Opinione condivisa da Larry Rothfield, docente presso l’Università di Chicago. Francis Watson, docente di Teologia biblica presso la Durham University ha ampiamente spiegato, traducendo le parole visibili sul reperto, perché il frammento dev’essere considerato un falso.

E’ importante notare comunque che -se questo frammento dovesse in futuro risultare autentico- l’unica cosa che proverebbe è che l’autore di questo testo, scritto secoli dopo il tempo di Gesù, credeva che Gesù fosse stato sposato (intimamente o spiritualmente con qualcuno). Infatti la stessa studiosa King, intervistata da“Repubblica” (che non vede l’ora di una feroce «reazione ufficiale della Chiesa cattolica») ha spiegato che il frammento può solo «fornire la prova che fra i primi cristiani [siamo nel IV secolo...difficile parlare di "primi" cristiani, nda] alcuni credevano che Gesù fosse sposato. Era dunque già presente un dibattito sulla questione se dovessero sposarsi e avere rapporti sessuali». La cosa interessante, notata da Antonio Socci, è che «coloro che oggi contestano il celibato ecclesiastico lo fanno dicendo che è solo una legge canonica che non ha mai avuto valore dal punto di vista teologico o spirituale. Invece è una legge canonica che ha le radici nella vita apostolica. Se dicono che nel IV secolo c’era un dibattito in corso sul celibato dei preti», valorizzando l’autenticità di questo frammento, «si contraddicono e confermano che ha ragione la Chiesa».

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14/11/2012 21:02
 
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«Ecco come ti fabbrico il falso papiro sulla “moglie” di Gesù»

  

Secondo lo studioso inglese Andrew Bernhard la scoperta del frammento del IV secolo in lingua copta sarebbe una grossolana contraffazione

Giorgio Bernardelli MILANO

 

Ricordate il «Vangelo della moglie di Gesù»? Un paio di mesi fa la professoressa Karen King, della Harvard Divinity School, presentò con grande clamore mediatico la scoperta di un piccolo frammento di papiro del IV secolo in lingua copta nel quale a Gesù venivano attribuite le parole «mia moglie». La sua tesi - scritta in un articolo che verrà pubblicato in gennaio nella rivista teologica della prestigiosa università americana - era che si tratterebbe di un nuovo Vangelo apocrifo che testimonierebbe come il celibato di Gesù fosse un tema discusso nelle comunità cristiane dei primi secoli.

 

 Fin da subito - come raccontato da VaticanInsider  - c'era stato anche chi aveva messo in dubbio l'autenticità del frammento, notando una serie di stranezze. Ora però Andrew Bernhard, uno studioso dei Vangeli antichi formatosi a Oxford, si spinge molto più in là spiegando come secondo lui «questo falso» sarebbe stato fabbricato. Bernhard sostiene infatti che si tratti di una combinazione molto grossolana di alcune frasi prese dal Vangelo di Tommaso, il Vangelo (apocrifo) copto ritrovato nel 1945 tra i papiri di Nag Hammadi, in Egitto. E aggiunge di aver addirittura individuato una serie di coincidenze tipografiche sospette con la traduzione interlineare copto-inglese di quel testo, curata da Michael Grondin e consultabile da chiunque on line .

 

 In uno scritto intitolato «Note sulla contraffazione del “Vangelo della moglie di Gesù”», Andrew Bernhard spiega che le parole contenute nel nuovo frammento sono tutte presenti nel Vangelo di Tommaso. A parte un'unica eccezione: l'espressione copta che significa appunto «mia moglie», attribuita a Gesù. Non solo: nel frammento scoperto da Karen King le parole compaiono spesso anche nello stesso ordine. E ogni linea di testo del «Vangelo della moglie di Gesù» è composta da parole copte che si trovano nella stessa pagina nella traduzione copto-inglese citata del Vangelo di Tommaso: comporle insieme - sostiene Bernhard - non comporta nemmeno molta fatica. In pratica - continua lo studioso di Oxford - una volta inserita l'espressione «mia moglie» - basta prendere alcune frasi dell'altro testo, cambiare qualche maschile in femminile o qualche negazione in affermazione e si ottiene il nuovo Vangelo rivoluzionario. E a riprova di questa tesi cita il fatto che nel frammento comparirebbe addirittura un errore tipografico che si trova pari pari nel volume curato da Michael Grondin.

  

Quanto infine all'espressione copta «mia moglie», si tratta comunque di una parola copta di sei lettere facilmente combinabili. Che - osserva sempre Bernhard - per una singolare coincidenza si trova molto vicino al centro del frammento. Quasi a voler essere proprio sicuri che non passi inosservata.

vaticansider

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Nota:

E' strano ma ogni volta che si introduce qualche elemento che tende a far diminuire la considerazione per Cristo o per il Cristianesimo, vi è sempre un certo morboso interesse. Ma  queste false notizie, si rivelano per quello che sono. Tuttavia riescono a far danno in tanti credenti.
Perciò, occorre approfondire le cose, e se necessario, attendere i responsi degli esperti, prima di accogliere certe notizie come oro colato.
Dai Vangeli si evince che Cristo era celibe, anche se sposandosi non avrebbe fatto niente di male. Ma non avrebbe dato con l'esempio quell'ammaestramento che dava con la parola:
Mat 19,12 Vi sono infatti eunuchi che sono nati così dal ventre della madre; ve ne sono alcuni che sono stati resi eunuchi dagli uomini, e vi sono altri che si sono fatti eunuchi per il regno dei cieli. Chi può capire, capisca».

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26/11/2012 22:25
 
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Chiesa e cristianesimo favorevoli alla schiavitù?
Smontiamo la bufala

L’esigenza è nata a causa delle numerose accuse, rivolte alla Chiesa cattolica, di aver fallito nella diffusione del messaggio cristiano sull’uguaglianza tra gli uomini, addirittura secondo alcuni anticlericali essa avrebbe perfino teorizzato la diseguaglianza tra le razze, legittimando così l’istituzione della schiavitù. La storia tuttavia è sempremolto più complessa di chi vuole usarla per le proprie battaglie ideologiche, e occorre anche dire che comunque ogni bufala anticlericale di qualità -come lo è quella sulla schiavitù- prende sempre spunto da un minimo di verità, non avrebbe altrimenti nessuna forza per essere tanto propagandata. Ma occorre valutare con attenzione questa base d’appoggio che, se correttamente interpretata, porta sempre a conclusioni opposte.

Chi sostiene queste accuse cita volentieri il presunto comportamento indifferente di Gesù, le lettere di San Paolo che sembrerebbero legittimare il possesso di schiavi, la situazione del primo cristianesimo, la servitù della gleba durante il Medioevo, la situazione controversa nel periodo colonialista (di cui ci siamo già specificatamente occupati) e infine un documento estrapolato e male tradotto di Pio IX.

Abbiamo così analizzato ognuna di queste accuse, dimostrando (attraverso citazioni adeguate e ragionamenti storici) che il noto filosofo tedesco, di origini ebraiche, Karl Lowith, non si è affatto sbagliato quando ha affermato: «il mondo storico in cui si è potuto formare il “pregiudizio” che chiunque abbia un volto umano possieda come tale la “dignità” e il “destino” di essere uomo, non è originariamente il mondo, oggi in riflusso, della semplice umanità, avente le sue origini nell’”uomo universale” e anche “terribile” del Rinascimento, ma il mondo del Cristianesimo, in cui l’uomo ha ritrovato attraverso l’Uomo-Dio, Cristo, la sua posizione di fronte a sé e al prossimo» (K. Lowith,Da Hegel a Nietzsche. La frattura rivoluzionaria nel pensiero del secolo XIX, Einaudi 1949).

Infatti, è stato proprio il rivoluzionario e radicale messaggio cristiano a sferrare il colpo fatale all’istituzione della schiavitù. Mentre tutto il mondo era favorevole, soltanto la Chiesa cattolica ha cercato inizialmente di umanizzare la condizione degli schiavi e successivamente di eliminare tale aberrante condizione, come d’altra parte riconosciuto ormai da quasi tutti gli storici.

 

Cristianesimo, Chiesa cattolica e la schiavitù 

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07/01/2013 22:54
 
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L'ANIMA DELLE DONNE 

di Massimiliano Fiorin

 


Esiste una consolidata tradizione, nata in Europa nel tardo seicento ed esplosa coi pamphlet illuministici che hanno preparato la Rivoluzione Francese, consistente nell'inventarsi di sana pianta qualche proposizione di carattere storico, politico, dottrinale, ecc., utile a propalare la diffamazione verso l'avversario, ma difficilmente smentibile a causa della relativa impossibilità di verificare le fonti.
 
A tali fini, spesso si sono utilizzate false ricostruzioni basate su "inediti" documenti storici, in genere risalenti a molti secoli addietro, e quindi difficilmente reperibili per i più.
Nella realta', a volte questi documenti sono stati inventati ex novo (vedi i famosi Protocolli dei Savi di Sion, che ora vengono attribuiti ai servizi segreti zaristi della fine dell'ottocento, oppure i "dossier segreti" che proverebbero il grande complotto per nascondere la discendenza terrena di Gesu' Cristo, asseritamente ritrovate nella biblioteca nazionale di Parigi nel 1975 dagli emuli del "Priorato di Sion", su cui si basa anche il recente best seller di Dan Brown "Il Codice da Vinci").
In altri casi, invece, si è trattato di arbitrarie interpretazioni di documenti autentici, che però nella realtà dei fatti storici riguardavano tutt'altro, o comunque non consentivano affatto di sostenere quel che a secoli di distanza si è voluto far loro dire.
 
Alle origini il nemico principale era la Chiesa Cattolica, ma con il progredire della storia il metodo è stato utilizzato - sempre con maggiore raffinatezza - nei confronti di tutte le categorie sociali sgradite ai potenti di turno.   
A partire dal secolo scorso, quando le masse sono affacciate alla vita pubblica e sono nati i moderni mezzi di comunicazione, per continuare questo tipo di diffamazione ci si è basati anche sulle famose leggi della propaganda elaborate da Joseph Goebbels (tra le quali quella per cui più la spari grossa e più e' probabile che ti credano).  
 
Nel XVIII secolo il procedimento poteva contare sul fatto che - per la media borghesia e il popolino al quale si rivolgevano i primi pamphlet - i libri antichi costavano assai ed erano comunque poco accessibili: quindi non era facile che qualcuno si prendesse la briga di andare a  verificare. 
Ma anche oggi, nell'era di Internet, la gente comune riceve ogni giorno migliaia di informazioni che - per forza di cose - non può verificare, e comunque non e' affatto incentivata a farlo perché la comunicazione avviene per spot e per slogan, e quindi nessuno ha più lo stimolo mentale di prendersi la briga. 
Quindi il meccanismo continua a funzionare.

In questo ambito, un esempio particolarmente gustoso e' la favoletta del Concilio di Macon.
Ancora oggi, in televisione, sui giornali, da parte di donne invasate e spesso anche da politicanti di sesso maschile che ne hanno sposato la causa, ogni tanto ci si può sentir asseverare che " la Chiesa Cattolica ha aspettato molti secoli, e ci e' persino voluto un Concilio per stabilire che la donna ha un'anima come l'uomo! ".
E' un argomento di colpevolizzazione "storica" nei confronti dell'intero genere maschile, nato appunto nella Francia prerivoluzionaria del settecento, ma ancor oggi ripreso ed utilizzato dalla propaganda femminista.
Si possono persino citare fior di saggi sul medioevo da parte di insigni studiosi, nei quali questa storiella viene riportata pari pari, e riferita al - mitico - Concilio di Macon.

Ma se andiamo a verificare, intanto scopriamo che a Macon - in Francia - non ci fu nessun Concilio, bensi' un Sinodo di vescovi, nel 585.
Esistono ancora tutti gli atti sinodali, ma la storiella dell'anima delle donne non la si ritrova da nessuna parte. 
 
L'unica fonte che abbiamo al riguardo e' la "Historia Francorum" di san Gregorio, che partecipo' ai lavori perché era vescovo di Tours.
Nell'ottavo libro si narra di fatterelli avvenuti nelle pause dei lavori, e si riferisce di un vescovo che propose una specie di quiz da sofista agli altri padri: il termine latino "homo", usato nelle sacre scritture, può essere usato nel senso di "persona", comprendente entrambi i sessi, o e' sinonimo di "vir", cioè "uomo maschio"?
 
All'epoca si trattò di un semplice sofismo filologico, e non di uno scrupolo femminista ante litteram. 
Anche se lo scrittore cattolico Vittorio Messori, uno dei primi a denunciare il falso, annota che con l'avvento del politically correct il problema è ritornato d'attualità: "negli Stati Uniti, ad esempio, se si intende alludere a entrambi i sessi, ora non si usa più man ma sempre person. Se, negli States, vi capita di partecipare a un congresso, e se non volete essere aggredito come "sessista" e "sciovinista maschilista", guardatevi dal chiamare il "presidente" o "moderatore" chairman: secondo il vocabolario "non discriminante" ora si dice chairperson...." (Pensare la storia, San Paolo, Milano 1992).  
 
Comunque, per tornare alla storiella di Macon, riferisce San Gregorio che gli altri vescovi risposero al problema filologico citando la Genesi, dove - nella vulgata latina - quando si dice che Dio "creò l'uomo, e maschio e femmina lo creò", si usa il termine "homo" che quindi si deve riferire ad entrambi i sessi.
Inoltre, i vescovi fecero riferimento al termine messianico di Gesù "figlio dell'uomo" che nella vulgata di san Gerolamo e' "filius hominis", che viene usato benché Gesù altrove sia definito anche "filius Virginis", cioè della Vergine, dunque di una donna.
Pertanto, se ne deduceva che il termine latino homo, hominis nelle scritture e' riferito ad entrambi i sessi.
 
 
Su questa storiellina, nel settecento gli illuministi francesi costruirono il solito pamphlet diffamatorio per cui il sinodo di Macon diventò un solenne Concilio, e il giochino filologico di san Gregorio una accanita discussione teologica sull'anima della donna, fino ad allora messa in dubbio dalla solita Chiesa medioevale intollerante, maschilista e sessuofoba, e riconosciuta esistente solo a fatica e dopo una lunga disputa che si concluse rifacendosi alla maternità divina di Maria.
Quest'ultima, essendo donna e madre di Dio, non poteva (bontà loro, cioe' dei padri conciliari maschi e sciovinisti) essere priva dell'anima. 
  
Che questa storia sia una pura diffamazione sarebbe intuibile soltanto a considerare che, come ognuno può immaginare, ci sono nella storia della Chiesa, oltre alla Vergine Maria, storie di sante martiri canonizzate molto prima di Macon, e del resto basta leggere i Vangeli e la storia della Maddalena, di Marta e Maria, ovvero delle pie donne che assistevano Gesù coi loro beni (S. Luca), e ancora delle tante cristiane nominate da San Paolo nelle sue lettere, per capire che una disputa teologica cattolica sul fatto che le donne avessero l'anima  è sempre stata cosa che non stava ne' in cielo ne' in terra. 
 
Eppure, chi vuoi che si prendesse la briga - nel settecento ma anche oggi - di andare a verificare le fonti e cercare in qualche biblioteca l'Historia Francorum di san Gregorio di Tours?

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14/01/2013 15:05
 
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Tommaso d’Aquino:
il suo vero pensiero sull’aborto e sulla donna

Tommaso d'AquinoEsiste un’opinione assai diffusa, purtroppo talvolta anche tra i cattolici, secondo cui oggi San Tommaso d’Aquinodisapproverebbe l’attuale insegnamento del Magistero della Chiesa Cattolica sull’aborto.

Si argomenta, infatti, che secondo Tommaso l’anima spiritualenon venga infusa al momento del concepimento, e pertanto egli avrebbe approvato l’aborto non essendo questo, secondo la sua dottrina, la soppressione di un essere umano. In realtà questa opinione si basa su una lettura superficialedei testi dell’Aquinate, non informata da una chiara comprensione delle fondamentali questioni metafisiche e teologiche che sottendono le tesi qui discusse.

Per comprendere la posizione tomista è necessario introdurre preliminarmente alcuni concetti fondamentali che l’Aquinate mutua direttamente da Aristotele, relativi in particolare alla dottrina sull’anima e alle teorie sulla riproduzione dei mammiferi. Non essendo possibile una disamina dettagliata delle ricerche dello Stagirita, ci si è limitati ad un sunto schematico che sia di utilità al profano.

Quanto abbiamo spiegato nel nostro nuovo dossier ci permetterà infine di chiarire ancheun altro comune equivoco, relativo all’opinione di Tommaso sulla donna. Secondo alcuni sarebbe a lui attribuibile la seguente affermazione: «Le femmine nascono a causa di un seme guasto o di venti umidi»,  la quale in realtà è un’opinione aristotelica che l’Aquinate discute nell’ambito di un problema essenzialmente teologico (spiegato nel dossier) a conclusione del quale scrive: «Rispetto invece alla natura nella sua universalità, la femmina non è un essere mancato, ma è espressamente voluto in ordine alla generazione. Ora, l’ordinamento della natura nella sua universalità dipende da Dio, il quale è l’autore universale della natura. Perciò nel creare la natura egli produsse non solo il maschio, ma anche la femmina».

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26/01/2013 15:40
 
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Libro del Papa: le fallaci critiche di Vito Mancuso

di Stefano Biavaschi*
*teologo

 

Che un uomo, ordinatosi sacerdote, possa gettare la tonaca alle ortiche solo un anno dopo, sono fatti suoi (per modo di dire, perché ogni fatto è di tutti, specie se sei un uomo di chiesa). Ma che poi lo stesso uomo pretenda di dare lezioni al Papa, appare un po’ eccessivo. Eppure è quello che Vito Mancuso fa tutti i giorni con i suoi scritti.

E, si sa, appena qualche teologo eterodosso attacca il Papa o il Magistero, c’è sempre qualcuno pronto a fargli fare carriera, come fa (naturalmente) il quotidiano La Repubblica che dal 2009 gli concede una rubrica fissa (cosa che non avverrebbe mai per un teologo in linea con l’insegnamento della Chiesa). E quando Mancuso scrive, subito la grancassa mediatica fa riecheggiare i suoi articoli un po’ dappertutto.

Qua e là sta ancora comparendo, per esempio, il suo articolo del 21 novembre 2012 in cui contesta le affermazioni del Papa sul Natale, che nel suo ultimo libro L’Infanzia di Gesù aveva dimostrato la storicità dei racconti riguardanti la Natività. Ed ecco la replica sconclusionata di Vito Mancuso in quell’articolo: «Prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe o risiedevano a Nazareth (Luca) o risiedevano a Betlemme (Matteo); il loro viaggio da Nazareth a Betlemme o ci fu (Lc) o non ci fu (Mt); Gesù nacque o in casa dei genitori (Mt) o in una mangiatoia (Lc); la strage dei bambini di Betlemme o accadde (Mt) o non accadde (Lc); i genitori o fuggirono in Egitto per salvare il bambino dai soldati di Erode (Mt) o andarono al tempio di Gerusalemme per la circoncisione senza che i soldati di Erode si curassero del bambino (Lc); la famiglia da Betlemme o tornò subito a casa a Nazareth di Galilea (Lc), oppure si recò a Nazaret solo dopo essere stata in Egitto e per la prima volta (Mt)… I dati stanno o come li presenta Matteo, o come li presenta Luca, oppure né in un modo né nell’altro, in ogni caso non sono armonizzabili. Quindi se fosse vero, come scrive Ratzinger, che Matteo e Luca “volevano scrivere storia, storia reale, avvenuta” (p. 26), ci troveremmo davvero in un bel guaio, perché uno dei due evangelisti sicuramente sarebbe in errore».

In sostanza, scrive Mancuso, gli evangelisti sono in errore, il Papa è in errore, mentre lui non sbaglia mai. Eppure prendendo in mano i passi citati, non si trova alcuna contraddizione tra i due evangelisti, come scrive Mancuso, né sono confermate le sue affermazioni azzardate. Vediamo perché:
1) Prima della nascita di Gesù, Maria e Giuseppe risiedevano a Nazareth, e non c’è nessun passo in Matteo che sostenga il contrario.
2) Il viaggio da Nazareth a Betlemme raccontato da Luca non è affatto negato da Matteo: semplicemente non viene da lui narrato.
3) Matteo non scrive affatto che Gesù nasce “in casa dei genitori”, come scrive Mancuso, anzi in Mt 2,1 l’evangelista dice chiaramente che “Gesù nacque in Betlemme di Giudea”, ove certamente non vivevano i genitori, che erano dimorati a Nazareth.
4) La strage dei bambini di Betlemme non è affatto negata da Luca: semplicemente non viene da lui riportata. Mancuso insiste con il pensare che se una notizia non è riportata da tutti allora non è autentica. Come se un fatto di oggi possa non essere veritiero se solo qualcuno non lo racconta. Anzi, potrebbe essere vero il contrario: che dei fatti non vengano raccontati in quanto già raccontati da altri.
5) Secondo Mancuso la circoncisione di Gesù al tempio, narrata da Luca, escluderebbe la fuga in Egitto narrata da Matteo. E perché mai? Sappiamo bene che la circoncisione narrata in Luca avvenne nell’ottavo giorno dalla nascita, ma Matteo, invece, non riporta affatto la data esatta in cui si sarebbe manifestato il pericolo dei soldati di Erode, che poteva benissimo essersi
manifestato dopo la circoncisione stessa.
6) Lo stesso ragionamento vale per l’apparente contrasto tra la fuga in Egitto ed il ritorno a Nazaret: di entrambi i fatti gli evangelisti non riportano le date, per cui i due fatti possono benissimo essere letti in successione. Del resto, al termine della fuga in Egitto, Matteo scrive che Giuseppe, preso con sé il bambino e la madre, “andò ad abitare in una città chiamata Nazareth” (Mt 2,23), ricongiungendosi col racconto di Luca che scrive “fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nazareth” (Lc 2,39).

In conclusione non è affatto vero che i racconti dei due evangelisti non siano armonizzabili tra loro, come scrive Mancuso; e del resto un teologo dovrebbe sapere che il compito degli evangelisti, pur raccontando fatti veri, non era quello di tracciare biografie nella concezione moderna del termine. Ci rimane dunque l’amara impressione che si voglia generare confusione tra i credenti. Anche perché questo non è l’unico caso, né l’unico autore, in cui ci s’imbatte nella tesi delle finte contraddizioni. Tesi che però inganna molti, perché poi sono pochi quelli che vanno a verificare davvero le fonti.

La lettura dei Vangeli non è certo facile, e spesso occorre una valida esegesi, fondata sulla testimonianza dei Padri e sulla Tradizione, illuminata all’insegnamento del Magistero; ma ci sembra che l’andare a costruirsi delle difficoltà inesistenti (magari solo per fare notizia) faccia il gioco di quei demolitori della verità sempre pronti a dare spazio a chi suona la loro stessa musica.

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12/05/2014 10:24
 
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Papiro con la moglie di Gesù?   Un falso 






Ecco le prove che svelano l'inganno costruito da un abile falsario









© HO / Karen L. King / AFP









 



Il “Vangelo della moglie di Gesù” è quasi certamente un falso. L’ennesima conferma, come scrive Tempi il 6 maggio, arriva da uno studio appena pubblicato da Christian Askeland, un ricercatore americano dell’Indiana Wesleyan University, specializzato in versioni copte del vangelo di Giovanni. Il testo scritto su un papiro risalente al 700 – 800 dopo Cristo e scoperto due anni fa dall’Harvard Divinity School, in cui si legge “Gesù disse loro: vi presento mia moglie”, sarebbe in realtà l’opera di un falsario degli anni 2000.

Diverse incongruenze
In uno studio giudicato legittimo e interessante dalla stessa autrice della scoperta del papiro, Karen King, Askeland ha dimostrato che il “vangelo della moglie di Gesù” è un falso grazie alla comparazione con un secondo frammento, una versione copta del vangelo di Giovanni, acquistato da Harvard insieme al frammento sulla moglie di Gesù e poi pubblicato sull’Harvard Theological Review.

Askeland ha dimostrato che il secondo frammento è senza dubbio un falso. Il testo è stato infatti parzialmente copiato da una ricerca del 1924, recentemente pubblicata su internet, scritta in un particolare dialetto copto (Lycopolitan), che però gli scribi del 700-800 (età a cui risale il papiro) non avrebbero mai potuto conoscere, essendosi estinto fra i tre e i cinque secoli prima. Paragonando il frammento falso con quello che parla della moglie di Gesù, Askeland ha rintracciato più di una somiglianza. Forse è stata proprio la stessa mano a scrivere?

Inganno del papiro autentico 
Come è riuscito il falsario a ingannare gli studiosi di Harvard e gli strumenti di rilevamento della prestigiosa università americana? Secondo gli esperti, ha utilizzato un pezzo di papiro realmente antico, scrivendo i due testi evangelici con un particolare tipo di inchiostro composto da fuliggine, in grado di ingannare i test di spettroscopia Raman usati per calcolarne l’età. E per scrivere il testo del vangelo di Giovanni, come dimostra lo studio di Askeland, il falsario si è liberamente ispirato a uno studio del 1924, da qualche anno scaricabile da internet in formato pdf.

Errori grammaticali
Lo scetticismo sul brano copto in cui Gesù presenta la sua fantomatica moglie ai discepoli deriva dagli errori grammaticali presenti nel testo, dal fatto che sembra una copia del vangelo di Tommaso, ma anche dall’insolito uso del grassetto nella frase incriminata. Lo studioso di religione della Brown University, Leo Depuydt, in un articolo pubblicato sempre sulla Harvard Theological Review ha spiegato che l’uso del grassetto sembra voler produrre un qualche effetto comico. «Suona più o meno così – scrive Depuydt – “mia moglie: sì, ho detto mia moglie, avete capito bene!”». Per l’esperto, il frammento «può andar bene per uno sketch dei Monty Python», non per uno studio scientifico.
 

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10/03/2015 12:28
 
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Nessuna similitudine tra Gesù,
Mitra e altre divinità pagane

La tesi dei due autori è che «la vicenda di Gesù non è la biografia di un messia storico, ma un mito fondato sulle eterne favole pagane. Il cristianesimo non fu una rivelazione nuova e unica, ma unadattamento ebraico dell’antica religiose dei misteri pagani» (p. 2). Secondo loro al cuore dei tanti misteri pagani ci sarebbe il mito di un uomo-dio che sarebbe morto e risorto, a cui furono attribuiti diversi nomi: Osiride, Dioniso, Attis, Adone, Bacco, Mitra. E anche Apollonio. Ciò che accomunerebbe tutte queste divinità è la loro biografia: sarebbero figli di Dio e di una madre mortale vergine, nacquero il 25 dicembre in una grotta di fronte a tre pastori e uomini sapienti, come primo miracolo trasformarono l’acqua in vino, fecero il loro ingresso in città a dorso d’asino, furono crocifissi per Pasqua allo scopo di emendare i peccati del mondo, il terzo giorno resuscitarono. Avete già sentito questa storia, vero?

Inutile ricordare che i due autori non sono studiosi ma semplici scrittori, famosi unicamente per queste tesi. L’agnostico Bart D. Ehrman, docente di Nuovo Testamento e presidente del Dipartimento di studi religiosi dell’Università della Carolina del Nord, nel suo“Did Jesus Exist” (HarperCollins Publisher 2012) ha commentato: «Gli storici del mondo antico -quelli seri- sono scandalizzati da tali asserzioni. Gli autori non corredano di prove le loro affermazioni sul modello mitologico dell’uomo-dio. Non citano alcuna fonte pervenutaci dal mondo antico che sia possibile verificare. Non si può dire che abbiano fornito un’interpretazione alternativa delle testimonianze a nostra disposizione. Non le hanno neppure citate. E hanno fatto bene. Quelle testimonianze non esistono» (p. 27). Effettivamente il grande problema di queste tesi è che mancano completamente le testimonianze storiche. Senza contare che«il Gesù storico non proviene dagli ambienti fortemente influenzati dalle religioni misteriche pagane del’Egitto della fine del I secolo, ma dagli ebrei vincolati alla loro religione decisamente antipagana della Palestina degli anni Trenta dell’èra volgare e dei periodi seguenti» (p. 28).

I miticisti, in particolare, si soffermano particolarmente a mostrare presunti paralleli tra Gesù Cristo e Mitra, perché una loro teoria alternativa è che la biografia di Gesù sarebbe interamente paragonabile a quella di questa divinità: oltre alle identiche date e luoghi di nascita, al concepimento verginale della madre (in realtà l’iconografia romana fa nascere Mitra già fanciullo da una roccia, la petra genetrix) e la loro resurrezione, i rituali di venerazione di Mitra sarebbero stati guidati da un sovrano con il nome di papa e tenuti sul colle del Vaticano. La replica di Ehrman è netta: «Non ci sono prove che sia così. E’ un’invenzione. Gli studiosi dei misteri mitraici non hanno difficoltà ad ammettere che, come per la maggior parte delle religioni misteriche, non sappiamo moltodel mitraismo. I mitraisti non hanno lasciato libri per spiegare quali fossero i loro riti e le loro credenze. Quasi tutte le testimonianze in nostro possesso sono prove archeologiche, dal momento che sono stati scoperti molti templi sacri al culto (chiamati mitrei) e una statua che raffigura l’uccisione di un toro […]. Non abbiamo testi mitraici, e tanto meno testimonianze secondo cui il dio Mitra sarebbe nato da una vergine il 25 dicembre e sarebbe morto per espiare i peccati, per poi risorgere di domenica. Religioni quali il mitraismo sono definite culti misterici dagli studiosi perché i seguaci erano vincolati da un voto di segretezza e non rivelarono mai né i misteri del loro culto, né i loro riti o il loro credo». Per approfondire consigliamo le più importanti opere storiche sul mitraismo:“The religion of the Mithras Cult in the Roman Empire: Mysteries of the Unconcquered Sun” (R. Beck, Oxford University Press 2007) e “Mystery Cults of the Ancient World” (H. Bowden, Princeton University Press 2010).

E’ vero che alcuni autori cristiani, come Tertulliano, trovavano similitudini tra la propria religione e i culti misterici, ma scrivevano in un periodo molto tardo e non avevano compiuto ricerche in proposito, il loro intento era far capire ai pagani che il cristianesimo comprendeva parole e azioni non tanto diverse da quelle delle loro religioni, pertanto non c’era ragione di fare un distinguo per i cristiani e perseguitarli. Ma non disponevano di fonti di informazione affidabili. Come ha commentato recentemente il prof. Larry Hurtado, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Edimburgo, «alcuni cristiani del II secolo a volte hanno usato la terminologia utilizzata nei culti misterici a causa dei contrasti con il cristianesimo ma, ovviamente, non è la stessa cosa dell’essere influenzati/plasmati dai culti misterici».

I parallelismi inoltre, oltre a non avere fonti storiche ed essere inventati di sana pianta, hanno anche diverse problematiche per come sono presentati e appaiono completamente differenti dalla biografia di Gesù, come ha ottimamente mostrato il prof. Alfredo Jacopozzi, docente alla Facoltà teologica dell’Italia Centrale. Pensiamo soltanto alla crocifissione di Gesù: «Morire per espiare i peccati è un’idea che non è mai appartenuta all’antica mitologia pagana» (p. 218), ha commentato il prof. Ehrman. «Sia per i particolari sia per la teoria complessiva, sembra perlopiù una tesi studentesca, zeppa di informazioni palesemente false e di incongruenze. Le loro interpretazioni saranno state credibili oltre un secolo fa, ma oggi nessuno studioso le sostiene» (p. 28).

Ha quindi concluso il prof. Jacopozzi: «i presunti “paralleli cristiani” presenti nel mitraismo romano, sono nati almeno un secolo dopo i testi neotestamentari, dunque troppo tardi per dire che il cristianesimo abbia preso in prestito qualche idea dal mitraismo. Semmai, è estremamente probabile che sia vero il contrario».


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06/06/2015 09:53
 
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No, non fu Paolo il vero fondatore del cristianesimo




In questi giorni è riemerso anche Eugenio Scalfari, un altro fanatico del laicismo che ha trascorso la sua vita a parlare di religione. In un articolo per l’Espresso ha elogiato l’ultimo libro dello scrittore e regista Emmanuel CarrèreIl Regno (Adelphi 2015), una rivisitazione romanzata delle origini del cristianesimo. Un altro non studioso, dunque, oltretutto distrutto dalla critica: Gesù viene paragonato a Che Guevara e sono talmente tante le sciocchezze scritte che perfino chi ha recensito il libro ha ammessodi aver «fatto un po’ fatica, a finirlo» (senza contare, tra un commento e l’altro sull’evangelista Giovanni, la descrizione dettagliata del suo video pornografico preferito). Luigi Walt, ricercatore a Ratisbona, ha sottolineato la «distanza di Carrère da un approccio realmente critico, e dunque storico, al problema delle origini cristiane». «Una specie di sufflé moscio e insipido» è stato definito da un altro recensore.


Tornando a Scalfari, osserviamo la sua calcolata insistenza a definire i Vangeli dei “romanzi” e, sopratutto, a sostenere che San Paolo «si autonominò apostolo e fu quello che dettò legge su tutti gli altri, a cominciare da Pietro, al quale secondo i Vangeli Cristo aveva affidato la Chiesa. Quella designazione fu da tutti rispettata, ciononostante la prima polemica di Paolo avvenne proprio con Pietro che guidava la comunità ebraico-cristiana di Gerusalemme», il quale concepiva la «comunità cristiana di Gerusalemme come una delle varie “letture” dell’ebraismo. Il cristianesimo era visto da Pietro come una delle varie sette, innestata come le altre sul robusto tronco della tradizione mosaica e del racconto biblico su Abramo e la sua discendenza. Fino a quando arrivò Paolo. La sua polemica con Pietro fu proprio su quel punto: secondo Paolo il cristianesimo era una religione del tutto diversa dall’ebraismo e doveva essere predicata e diffusa tra i “Gentili”, cioè i pagani, a Roma, in Egitto, in Grecia, nelle città greche della costa anatolica. Pietro accettò, uscì dall’ebraismo ed anche da Gerusalemme, fondò anche lui come Paolo comunità nel Medio Oriente e sulla costa africana; arrivò a Roma come Paolo e lì, come Paolo ma in anni diversi, fu giustiziato. Da allora il vero fondatore del Cristianesimo è stato considerato Paolo. E lo fu». La fiction di Scalfari finisce così.


Quella di Paolo come il vero fondatore del cristianesimo è una tesi vecchissima, con il preciso scopo di convincere che il cristianesimo è una religione nata “a tavolino”, del tutto aliena alla predicazione di Gesù (la sosteneva anche Nietzsche e perfino Alfred Rosenberg, l’ideologo nazista di Hitler). Oggi è forse la convinzione più diffusa tra gli scettici appassionati del cristianesimo (nessuno studioso vero, ovviamente), tanto che perfino Benedetto XVI ne ha parlato«L’importanza che Paolo conferisce alla Tradizione viva della Chiesa, che trasmette alle sue comunità, dimostra quanto sia errata la visione di chi attribuisce a Paolo l’invenzione del cristianesimo: prima di evangelizzare Gesù Cristo, il suo Signore, egli l’ha incontrato sulla strada di Damasco e lo ha frequentato nella Chiesa, osservandone la vita nei Dodici e in coloro che lo hanno seguito per le strade della Galilea».


Il prof. Romano Penna, biblista e già ordinario di Origini Cristiane presso la Pontificia Università Lateranense, ha spiegato«Il tema di Paolo come “secondo fondatore del cristianesimo” è piuttosto trito, anche se ha avuto una certa presa nel Novecento in ambito luterano. Si tratta di una concezione che però bypassa un elemento importante, cioè che tra Gesù e Paolo non c’è una continuità “gomito a gomito”. Paolo è “gomito a gomito” con la Chiesa di Gerusalemme e con le Chiese, al plurale, della Giudea. Lui stesso dice: “Io vi ho trasmesso quel che anche io ho ricevuto”. Quello che voglio dire è che c’è una fede delle origini che è assolutamente pre-paolina, la sua originalità ermeneutica elabora il dato della fede, che è anteriore a lui. Per questo quella contrapposizione non ha, alla fine, nessun senso. Si tratta di un giudizio affrettato, semplificatorio, superficiale». Il contributo innovativo di Paolo, in altre parole, è davvero minimo rispetto alle convinzioni dei primi discepoli. Lo stesso ha spiegato il già citatoLuigi Walt, docente di Nuovo Testamento presso l’Università di Ratisbona: «La contrapposizione netta tra Gesù e Paolo, innanzitutto, risulta essere uno dei tanti miti dell’esegesi storica otto-novecentesca […], l’idea servì a slegare Paolo, inteso come simbolo di una Chiesa istituzionale, visibile, gerarchica, dall’eredità di un Gesù percepito come maestro inoffensivo (e frainteso) di morale. In breve, essa fu il risultato di un a priori ideologico, non di un’indagine storica rigorosa. Paolo non agì come un outsider, non piombò dal nulla in mezzo ai primi seguaci di Gesù, né le sue posizioni possono essere valutate come del tutto originali e solitarie». Esistono infatti «altri documenti del cristianesimo nascente, in maniera del tutto indipendente dall’apostolo, sembrano condividerne alcune linee ideali. L’importanza di Paolo, in altri termini, non va esagerata, nel suo immediato contesto di azione. Si faceva allusione, tempo addietro, alla necessità di considerare gli elementi pre-paolini in Paolo: ebbene, un’indagine in tal senso toglie immediatamente la terra sotto i piedi a chiunque voglia attribuire all’apostolo il ruolo di “autentico fondatore” del cristianesimo».


Molto simile il giudizio di Giorgio Jossa, professore di Storia del Cristianesimo e Storia della Chiesa Antica presso l’Università degli Studi di Napoli e la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale: «affermazioni relative alla persona di Gesù, che una volta venivano attribuite a Paolo sulla base di una sua provenienza dalla diaspora greca, possono essere già sorte prima di lui, non soltanto nella comunità di Antiochia ma anche in quella di Gerusalemme, e nella stessa componente aramaica di questa comunità. […] Paolo si colloca allora non all’inizio, ma al termine di uno sviluppo teologico che è stato in realtà incredibilmente rapido» (G. Jossa, Il cristianesimo ha tradito Gesù?, Carocci 2008, p. 115). Rainer Riesner, professore emerito di Nuovo Testamento presso l’Università Dortmund, ha anch’egli fatto notare che gli insegnamenti di Paolo «non erano frutto del suo pensiero, bensì della tradizione», della «comunità originaria che si era raccolta intorno all’apostolo Pietro a Gerusalemme». Si potrebbe andare avanti per giorni citando il pensiero degli studiosi (quelli veri, non i giornalisti di Repubblica) che hanno risposto alla tesi ottocentesca che vede Paolo il “vero” fondatore del cristianesimo. Molto chiaro, lo citiamo per ultimo, il giudizio di Heinrich Schlier, importante biblista che partecipò alla stesura della traduzione ufficiale della Bibbia: «cinque anni dopo la morte di Gesù esisteva in Siria una formulazione, già relativamente fissata e tramandata in greco, dei fatti di salvezza della morte e resurrezione di Gesù: ed è proprio quella che Paolo riprende» nella sua prima lettera, quella ai Corinzi. «Essa è alla base di ogni lettera paolina e di ogni fonte evangelica scritta» (H. Schlier, Il tempo della Chiesa. Saggi esegetici, EDB 1981, p. 345-346).


Eugenio Scalfari descrive inoltre Paolo come vero leader della Chiesa primitiva in opposizione a Pietro (ammette che, comunque, quest’ultimo è ritenuto dai discepoli l’autorità principale della chiesa primitiva): sarebbe stato Paolo a convincere i primi cristiani adiffondere il cristianesimo tra i pagani. Eppure negli Atti degli Apostoli, basati su tradizioni che circolavano negli anni 30-50 d.C., dunque a ridosso della morte di Gesù, si legge che è Pietro che, inspirato dallo Spirito Santo, decide di aprire la missione anche verso i pagani, incontrandoli e battezzandoli per primo dopo aver detto: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenza di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (At 10,34). Come ha spiegatoil prof. Fabrizio Fabbrini, ordinario di Storia romana all’Università di Siena e di Storia del cristianesimo alla Pontificia Università:«Credo che si commetta un errore quando, parlando dei primi decenni del cristianesimo, si contrappone una linea “petrina” a una “paolina” quale differenziazione tra una Chiesa giudaica e una Chiesa aperta ai Gentili. L’impostazione teologica di Pietro (si vedano le sue bellissime Lettere) è caratterizzata dallo stesso universalismo di Paolo, la sua azione missionaria è altrettanto intensa ed ampia. Ed è Pietro che per primo si apre alla predicazione verso i Gentili (= pagani), dato che la conversione del centurione Cornelio è precedente a tutta l’azione paolina; e si legga negli Atti degli apostoli (At 11,1-18) la difesa che Pietro fa a Gerusalemme, dinanzi agli apostoli scandalizzati, della necessità della conversione dei pagani. È questa la prima teologia del “cristianesimo delle genti”, quella esposta da Pietro, il capo della Chiesa universale: il quale può dunque chiamarsi, esattamente come Paolo, “Apostolo delle genti”».


Infine, rispondendo alla convinzione di Scalfari che Pietro concepiva la comunità cristiana come una setta dell’ebraismo, basterebbe leggere le sue parole riportate, ancora una volta, negli Atti degli Apostoli per trovare moltissimi “voi” e “noi” quando si rivolge agli ebrei, concependo chiaramente una differenziazione. Senza considerare che la base di ciò che predicava -Dio incarnatosi in uomo, crocifisso e risorto da morte-, era assolutamente inconcepibile e intollerabile per gli ebrei, impossibile che i sostenitori di questo fossero accettati come una variante dell’ebraismo. I discepoli di Cristo erano in gran parte ebrei che riconobbero in Gesù il Messia annunciato da sempre nell’Antico Testamento, inevitabilmente si produsse una divisione rispetto agli ebrei che non lo riconobbero. Per questo, ha spiegato Eric Noffke, presidente della Società Biblica in Italia, «a cominciare dal Nazareno fino ad arrivare agli apostoli e ai loro discepoli, la nuova fede in Gesù è andata gradualmente costruendosi come una religione completamente nuova rispetto al giudaismo». Lo stesso Gesù, infatti, «aveva radicalizzato vari aspetti della fede ebraica, soprattutto l’attesa del Regno di Dio, predicato come una realtà in lui presente e operante […]. Gesù fu maestro, ma fu anche riconosciuto come il Messia atteso, nonostante che la sua predicazione e la sua morte in croce dovessero essere spiegate sovente contro la tradizione messianica mediogiudaica. Paolo, dunque, lungi dal tradire il Gesù profeta del Regno, fu di lui un discepolo fedele e un predicatore instancabile di quanto Dio aveva operato per suo tramite» (E. Noffke, Protestantesimo n.67, Claudiana Editrice 2012, pp. 125-141).


Essendo una tesi ancora molto diffusa, abbiamo sentito il bisogno di una risposta così esaustiva, al di là che sia stata formulata da Eugenio Scalfari. Il quale avrebbe dovuto essersi già accorto da tempo di non avere la competenza né la capacità necessaria per occuparsi di queste cose.



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08/12/2015 23:47
 
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ELOHIM , UNA BIBBIA SENZA DIO?

Il termine Elohim (’elōhîm) è un vocabolo abbastanza frequente nella Bibbia ebraica, ricorre in totale 2602 volte, il che significa che si trova in media quasi ogni 10 versetti. Recentemente è scoppiato un vero e proprio caso attorno a questa parola. Secondo alcuni pseudo-studiosi, la Bibbia non parlerebbe mai di Dio, ma di entità soprannaturali, gli Elohim, che senza esitare vengono identificati come creature aliene, entrate nel passato in contatto con le civiltà antiche.

Elohim

Elohim: un plurale per Dio

Tutta la questione deriva dal fatto che il termine Elohim è la forma plurale di El, Dio, ed indica perciò gli dei, le divinità. Questo utilizzo classico di Elohim è attestato anche nella Bibbia per indicare gli dei pagani in contrapposizione al Dio d’Israele.
El ed Elohim sono vocaboli semitici molto antichi, precedono l’ebraico della Bibbia, essendo attestati inugaritico ed accadico. Sostenere che la Bibbia non parli di Dio ma di entità misteriose perché Elohim non indicherebbe mai Dio è un’affermazione insostenibile dal punto di vista filologico.

L’ateismo è un fenomeno complesso e spesso può vantare solidi argomenti a suo favore, ma sicuramente non può appellarsi alla diatriba su Elohim. A ben vedere, fra gli studiosi non c’è nessuna disputa su questo argomento: il caso Elohim è stato palesemente costruito ad hoc per motivi editoriali.
La filologia semitica o biblica è un ambito di studi quasi sconosciuto nel contesto accademico italiano. Qualsiasi studioso non sarebbe mai stato ingannato da una trovata così banale, ma il grande pubblico è ignaro di filologia. Affermare che la Bibbia sia priva di Dio, desta scalpore e curiosità, ovvero fa vendere decine di migliaia di copie col minimo sforzo.

Elohim

Il termine ebraico Elohim: notare il curioso particolare della vocale brevissima -e- rappresentata con i 5 puntini sotto la prima lettera a destra.

In principio Elohim creò il cielo e la terra

La Bibbia utilizza Elohim sia nel suo effettivo valore plurale, come detto sopra, indicando gli déi, sia in riferimento a Dio, in questo caso con valore singolare. Secondo alcuni studiosi, questo valore singolare della forma plurale, precede gli scritti biblici essendo attestato anche in ugaritico.
In ogni caso ritroviamo questo strano utilizzo del plurale come singolare anche in un dialetto arabo moderno, lingua che appartiene sempre al ceppo delle lingue semitiche[1]. Potremmo definire questo utilizzo grammaticale una sorta di plurale maiestatis, con le dovute cautele naturalmente, dato che in ebraico non esiste quello che noi definiamo come plurale maiestatis, ovvero il singolo che si esprime con la forma comune plurale, il noi.

Elohim è la terza parola della Bibbia ebraica che recita:

In principio Dio (Elohim nel testo ebraico)   creò il cielo e la terra[2].

Elohim: indicazioni per l’uso

Non è un caso se la terza parola della Bibbia è Elohim e se essa ricorre in Genesi molto frequentemente rispetto ad altri libri della Bibbia. La Bibbia ebraica utilizza vari appellativi per Dio, Elohim è quello più generico ed anonimo, se è comunemente tradotto come Dio, sarebbe più corretto tradurlo con ‘la Divinità’.
L’utilizzo del vocabolo Elohim per indicare il Dio creatore è strategico ed intenzionale. Coloro che vogliono ascrivere Elohim all’esoterismo, ignorano, volutamente o meno, l’evidentissimo piano letterario del Pentateuco, i primi 5 libri della Bibbia, conosciuti come la Torah.

Il libro dell’Esodo (il secondo della Bibbia dopo Genesi) al capitolo sesto, versetto secondo e terzo lo spiega esplicitamente[3]:

Dio (Elohim) parlò a Mosè e gli disse: «Io sono il Signore! (YHWH/Yahweh) Mi sono manifestato ad Abramo, a Isacco, a Giacobbe come Dio l’Onnipotente (El-Šaddāy), ma non ho fatto conoscere loro il mio nome di Signore (YHWH/Yahweh).

Il redattore del Pentateuco presenta la Rivelazione di Dio come progressiva: la Divinità creatrice è inizialmente anonima (Elohim) e resta ancora tale ai patriarchi presentandosi come (El-Šaddāy).Solo nella Rivelazione finale a Mosè sul Sinai, Dio rivelerà il suo nome di YHWH, vocalizzabile probabilmente come Yahweh.

La scelta di Elohim come Dio creatore è quindi una scelta dettata da ragioni letterarie, narrative e teologiche: se già il Dio creatore fosse stato YHWH, non ci sarebbe stato più nulla da rivelare.

elohim

La fantasia non ha limiti: Elohim diventa ora un misterioso pianeta, habitat degli Elohim le misteriose creature.

Alla luce di tutte queste ragioni diventa evidente l’assurdità di affermare che la Bibbia sia priva di Dio. Se aggiungiamo che gli Elohim verrebbero poi identificati da questi sedicenti studiosi come ifantomatici alieni che sarebbero entrati in contatto con le civiltà antiche, le ragioni dell’operazione diventano chiare. Dei libretti che negano l’esistenza di Dio nella Bibbia hanno ottime possibilità di essere venduti, ma se affermano anche che la Bibbia stessa ci parla degli alieni, gli Elohim, allora queste possibilità come minimo raddoppiano.

Christian Sabbatini


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28/12/2015 10:53
 
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La Chiesa costa 6 miliardi?
Ovviamente no, i ricavi per lo Stato sono 11 miliardi

turisti romaGià dal primo anno di scuola media si impara il concetto di costo e di ricavo: uno scrittore sostiene dei costi iniziali per pubblicare il suo libro, i quali dovranno poi essere sottratti dai ricavi ottenuti dalla vendita del volume.

Un concetto elementare che guarda caso viene dimenticato quando si parla della presenza della Chiesa sul territorio italiano. Secondo l’associazione ateista Uaar, infatti, i costi della Chiesa per lo Stato italiano sarebbero 6 miliardi.

Alcuni quotidiani, come Il Fatto Quotidiano, hanno recentemente ripreso tale indagine che, tuttavia, risulta completamente inattendibile non tanto perché promossa da un’associazione che ha come unico obiettivo quello di auto-promuoversi accusando la Chiesa di tutti i mali del mondo (bisognerebbe ricordare che coloro che difendono l’indagine degli atei militanti sono poi gli stessi che criticano il consiglio di Stato quando legifera contro le nozze gay, contestando la mancata imparzialità di uno dei giudici in quanto cattolico dichiarato). Il problema è che ci si concentra soltanto sui presunti costi senza considerare i ricavi. Presunti perché ovviamente l’indagine non è stata realizzata da alcuno studioso di comprovata attendibilità.

Un’indagine seria sul tema è stata invece svolta dal vaticanista Giovanni Rusconi, il quale -come chiunque dotato di minima intelligenza avrebbe fatto-, ha rapportato i costi ai ricavi, pubblicando il libro L’impegno. Come la Chiesa italiana accompagna la società nella vita di ogni giorno(Rubettino 2013). I ricavi per lo Stato, ovviamente, sono molto più numerosi dei costi. Soltanto il risparmio dovuto alla presenza delle scuole paritarie si aggira sui 6 miliardi all’anno, secondo il Miur, (qui e qui un approfondimento), coprendo dunque già da solo i (fantomatici) costi che l’Uaar avrebbe conteggiato.

A questi va aggiunto il risparmio per il diffuso impegno nel sociale sostenuto da Caritas e associazioni legate alla Santa Sede, il risparmio derivato dalla sanità ospedaliera (1,2 miliardi all’anno), dal volontariato (2,8 miliardi), dalle comunità di recupero dei tossicodipendenti (800 milioni), da iniziative come il “Banco alimentare” (650 milioni), dalla lotta all’usura, dai prestiti di speranza, dagli aiuti ai terremotati, dagli oratori, dalle attività ricreative delle parrocchie, dai corsi prematrimoniali ecc. Secondo tale indagine il risparmio complessivo è per lo Stato di circa 11 miliardi di euro annui, ovvero quasi il quadruplo di quello che invece la Chiesa riceve: attorno a 1 miliardo di euro l’anno tramite l’8 per mille, più circa 3 miliardi dai contributi versati da regioni, comuni, altri enti statali.

Un’altra voce importante è quella del “turismo religioso” che genera anch’essa miliardi di ricavi per lo Stato: secondo la Coldiretti nel 2014 soltanto per la città di Roma c’è stato un guadagno di oltre 5 miliardi di dollari (dato in coerenza con quello del 2007), poiché i visitatori cattolici rappresentano l’1,5% dei flussi turistici complessivi nel nostro Paese e, per giunta, appartengono ad ogni fascia d’età: il 41,4% di chi viaggia per fede ha fra i 30 e i 50 anni.

Per non parlare dei grandi eventi cattolici che ogni anno si svolgono a Roma (dalla beatificazione di Giovanni Paolo II al Giubileo). Il Conclave del 2013, ad esempio, ha portato un boom di ricavi per Roma, e lo stesso accade in ogni grande città Europea. Dopo la Giornata Mondiale della Gioventù in Spagna, ad esempio, uno studio del PriceWaterhouseCoopers (PwC) ha dimostrato un’entrata di 476 milioni di dollari per la città di Madrid, di cui 37 milioni incassati direttamente dallo Stato in ragione dell’Iva.

Come ha ricordato recentemente il card. Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, «c’è sempre un attacco continuo come se ci fosse un malaffare costituito su questa voce importante che è una provvidenza per la Chiesa in Italia, ma non si dice mai che la Chiesa riceve 1 e restituisce 11, in termini di opere e di iniziative di carattere sociale. Riceve più o meno fino ad adesso un miliardo e ne restituisce più di 11, come è stato documentato. L’anno scorso le mense delle nostre comunità hanno dato 6 milioni di pasti che sono una cifra esorbitante e sono un segnale serio da considerare da parte della società ma soprattutto della politica perché questa è la situazione. Invece, su tutto questo, silenzio».

Parlare di “costi della Chiesa” senza considerare i ricavi, dunque, è un’operazione sbagliata. La presenza della Chiesa sicuramente ha un costo, certamente inferiore agli 11 miliardi che restituisce ogni anno.


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20/03/2016 10:29
 
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Gesù è una copia degli dèi pagani?
Una bufala respinta dagli storici

diosole 
 
di Bart D. Ehrman*
*docente di Nuovo Testamento presso l’Università di North Carolina

 
da Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, pp. 25-35

 

Una diffusa teoria sostiene che Gesù sarebbe stato una creazione fondata sulle diffuse mitologie delle divinità soggette a morte e rinascita, note in tutto il mondo pagano. Ecco come, ad esempio, Timothy Freke e Peter Gandy, espongono la loro tesi principale in The Jesus Mysteries: Was the “Original Jesus” a Pagan God?«La vicenda di Gesù non è la biografia di un messia storico, ma un mito fondato sulle eterne favole pagane. Il cristianesimo non fu una rivoluzione nuova e unica, ma un adattamento ebraico dell’antica religione dei misteri pagani».

Al cuore dei tanti misteri pagani, affermano Freke e Gandy, c’era il mito di un uomo-dio che sarebbe morto e risorto. A questa figura divina furono attribuiti nomi diversi nei misteri pagani: OsirideDionisoAttisAdoneBacco e Mitra. Ma, «in buona sostanza, tutti questi uomini-dei rappresentavano il medesimo essere mitico». La ricerca per cui i due autori sostengono questa tesi va ricercata nella mitologia che accomunerebbe tutte quelle figure: Dio ne era il padre; la madre era una vergine mortale; ciascuno di loro nacque il 25 dicembre in una grotta di fronte a tre pastori e uomini sapienti; uno dei miracoli compiuti da tutti fu la trasformazione dell’acqua in vino; tutti fecero il loro ingresso in città a dorso d’asino; tutti furono crocifissi per Pasqua allo scopo di emendare i peccati del mondo; tutti discesero all’inferno e il terzo giorno risuscitarono. Poiché di Gesù si raccontano le stesse vicende, è ovvio che le storie in cui credono i cristiani sono semplici imitazioni delle religioni pagane.

Gli storici del mondo antico -quelli seri- sono scandalizzati da tali asserzioni, o meglio lo sarebbero se si prendono il disturbo di leggere il libro di Freke e Gandy. Gli autori non corredano di prove le loro affermazioni sul modello mitologico dell’uomo-dio. Non citano alcuna fonte pervenutaci dal mondo antico che sia possibile verificare. Non si può dire che abbiano fornito un’interpretazione alternativa delle testimonianze a nostra disposizione. Non le hanno neppure citate. E hanno fatto bene. Quelle testimonianze non esistono.

Quale sarebbe, per esempio, la prova che dimostra la nascita di Osiride il 25 dicembre di fronte a tre pastori? O la sua crocifissione? O il fatto che la sua morte sia servita a espiare i peccati? O che sia tornato in vita sulla terra dopo essere risorto? Il fatto è che nessuna fonte antica afferma niente del genere su Osiride (o sugli altri dei). Questi non sono seri studi storici. Sono libri sensazionalistici la cui finalità è vendere.

Secondo tali autori, il “Cristo” originario fu un uomo-dio al pari di tutti gli altri uomini-dei pagani. Solo in una seconda fase fu ripreso dagli ebrei etrasformato in un messia che venne immaginato come personaggio storico, creando in tal modo il Gesù della storia. L’apostolo Paolo, secondo questa ricostruzione, non sapeva nulla del Gesù storico e, come lui, nessun altro membro della Chiesa primitiva. Il vangelo scritto da Marco fu determinante per dar vita al personaggio storico perché fu Marco a storicizzare il mito per il bene degli ebrei a cui serviva una figura storica che li salvasse, non una divinità. Furono i cristiani delle regioni occidentali dell’Impero, il cui centro delle loro attività era a Roma, a far nascere la Chiesa cattolica romana, che interpretò in senso letterale la figura storicizzata del salvatore e finì con l’occultare le originarie interpretazioni mitologiche degli gnostici.

Questa tesi presenta una gran quantità di problemi. Basti dire che tutto ciò che sappiamo su Gesù -il Gesù storico- non proviene dagli ambienti fortemente influenzati dalle religioni misteriche pagane dell’Egitto della fine del I secolo, ma dagli ebrei vincolati alla loro religione decisamente antipagana della Palestina degli anni Trenta dell’era volgare e dei periodi seguenti. Le interpretazioni di questi autori saranno state credibili oltre un secolo fa, ma oggi nessuno studioso le sostiene.


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18/02/2017 12:41
 
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L’inesistenza degli apostoli e altre fantasie



L’inesistenza storica dei dodici Apostoli di Gesù è stato uno degli argomenti su cui Emilio Salsi ha scritto maggiormente. 


Ma chi è Emilio Salsi? Si descrive come un ex militare in inattività che, spinto dalla curiosità, ha studiato amatorialmente la storia dell’Impero Romano, appassionandosi agli eventi del I secolo e alla nascita del cristianesimo. E’ salutare coltivare i propri hobby, ma bisogna riconoscere che non è uno storico, non è accademico, non è un ricercatore professionista, non ha pubblicato alcun testo storico e non è citato da alcuno studioso.


Le sue affermazioni -il cui filo logico è onestamente difficile da seguire- sembrano in gran parte una riproposizione delle tesi di Luigi Cascioli, agronomo ateo, anch’egli ex militare e, a sua volta, “curioso” di argomenti storici (il quale copiò da David Donnini, altro amatore, insegnante di fotografia all’istituto alberghiero “Datini” di Prato). I tre ritengono che Gesù sia un mito inventato e, come tutti i “miticisti”, se nessuno li considera, è per loro una “prova” dell’aver detto verità scomode. Se qualcuno, invece, si prende la briga di ascoltarli, ciò diventa una “prova” dell’aver detto cose impossibili da trascurare. Ne parliamo semplicemente perché capita di ricevere da qualche lettore inviti ad “aprire gli occhi” e considerare quanto scritto da Salsi. Abbiamo accettato la proposta e consultato i suoi testi.


Salsi è seriamente convinto che Gesù sia in realtà il figlio di “Giuda il Galileo”, che ritiene -citando Flavio Giuseppe- fondatore del movimento nazionalista rivoluzionario degli Zeloti. Altri figli di Giuda sarebbero Menahem (il cui vero nome sarebbe stato Giuseppe), Giuda Taddeo, Giacomo e Simone. Giovanni, inoltre, andrebbe per Salsi identificato con lo stesso Gesù. Questi cinque fratelli, scrive, «corrispondono tutti ai figli di Giuda il Galileo» e come lui sarebbero stati fanatici, violenti e rivoluzionari antiromani. «Al contrario», ha proseguito Salsi, «gli apostoli con nomi greci, senza alcuna designazione ribelle, vengono tutti cancellati dalla storia come dimostriamo ad iniziare da “Filippo” nello studio successivo su “Paolo di Tarso”: entrambi inventati».


Il tutto verrebbe confermato, sempre secondo l’ex militare, analizzando gli scritti di Flavio Giuseppe e la posizione geografica della città di Nazareth, che in realtà corrisponderebbe a Gàmala. «”Galileo”», ha concluso Salsi, «era la qualifica che distingueva “Giuda il Galileo”, il quale, anche lui, non era nativo della Galilea ma della città di Gàmala le cui rovine, ribadiamo, sono conformi alla Nazaret descritta nei vangeli». Da Giuda, il fondatore dei fanatici nazionalisti zeloti, derivò il termine “Galilei”, ovvero «gli ebrei più focosi e nazionalisti, pronti a ribellarsi» al potere romano. Partorire una simile tesi è sorprendente, non lo è invece apprendere che lo “studio” di Salsi è completamente privo di note, bibliografia e citazioni di autentici studiosi. Anzi, «gli storici genuflessi odierni», ha scritto, sono «ben coordinati fra loro per dare maggior peso alle menzogne». Il solito complotto, quindi.


 


GLI ZELOTI. Sono comprensibili i giudizi di Salsi verso gli storici, i quali infatti riferiscono cose completamente opposte. L’ex militare, ad esempio, dà per scontata l’esistenza del gruppo rivoluzionario degli zeloti, ma l’eminente biblista americano J.P. Meier, docente di Nuovo Testamento presso l’University of Notre Dame, ha dedicato ad essi un intero paragrafo della sua monumentale opera sul Gesù storico. «Se attribuiamo a “zeloti” il significato che Flavio Giuseppe quasi sempre attribuisce a questo termine, ossia un gruppo organizzato e armato di rivoluzionari, ribelli contro il governo romano in Palestina, allora non è pertinente chiedersi se e come Gesù abbia interagito con gli zeloti. Gli zeloti in questo senso del termine non emersero di fatto come un gruppo distinto che al tempo della prima rivolta giudaica (66-70 d.C.), più precisamente durante l’inverno dell 67-67 d.C. a Gerusalemme, quando vari gruppi politici si scontrarono e manovrarono per avere il controllo della rivolta. Per definizione, quindi, è assolutamente anacronistico dire che Gesù fu uno zelota, o anche un simpatizzante degli zeloti» (J.P. Meier, Un ebreo marginale vol 1, Querininana 2006).


Lo stesso prof. Meier sembra ironizzare sui vari romanzieri amatoriali: «Certamente ci saranno sempre scrittori che asseriscono che gli evangelisti hanno celato l’autentico Gesù storico -cioè, Gesù il violento rivoluzionario che fu messo a morte per aver cercato di suscitare una rivolta contro Roma- e lo hanno sostituito con l’imbarazzante figura del mite e amorevole Gesù dei vangeli. In un certo senso, non c’è motivo di discutere con questi tanto convinti teorici della “cospirazione” […], tali romanzi non hanno alcun fondamento di scientificità» (p 608, 634). Volendo comunque replicare, «a parte la difficoltà di spiegare come la maggior parte dei palestinesi contemporanei di Gesù abbiano potuto così rapidamente e facilmente dimenticare del tutto quello che Gesù era stato e il motivo della condanna a morte, il difetto più fatale di questa teoria è il suo presupposto che ci fossero uno o più gruppi organizzati e armati di rivoluzionari ebrei attivi in Palestina verso il 28-30 d.C. Nella misura in cui la ricostruzione storica permette di giudicare, non ce n’erano» (p. 608, 609). Tutto ciò è confermato da chiunque si sia professionalmente dedicato a queste tematiche, come gli studiosi Martin Hengel (in Gli zeloti. Ricerche sul movimento di liberazione giudaico dai tempi di Erode I al 70 d. C., Paideia 1996) e G. Baumbach (in Zeloten und Sikarier, in “ThLZ” 1965).


 


GIUDA IL GALILEO. Per quanto riguarda Giuda il Galileo -secondo Salsi il padre di Gesù e dei suoi quattro fratelli (Giuseppe, Giuda, Giacomo e Simone)-, a rispondere ci pensa lo stesso Flavio Giuseppe, il quale riferisce che quest’uomo faceva parte della dinastia di Ezechiele, ed era padre di Simone, Giacobbe, Menahem e Jair. Fu poi tale Jair ad avere due figli di nome Eleazaro, Giuda e Simone.  Nessun Giovanni, nessun Giacomo, nessun Giuseppe e nessun Gesù tra i suoi figli o nipoti. Oltre ad aver sbagliato l’albero genealogico, Salsi dà anche per certo qualcosa che gli storici non ritengono nemmeno probabile: «Se Giuda, come capo degli insorti, abbia avanzato pretese messianiche, si ignora», ha scritto ad esempio Martin Hengel, professore emerito all’Università di Tubinga. «Si potrà tuttavia supporre che, al pari di altre figure del suo tempo che dettero vita a movimenti popolari, si sia presentato come un carismatico dotato di doni profetici. Neppure è certo se sempre a lui si debba l’appellativo onorifico di “zelatori” per la sua setta. E lo stesso vale per la sua sorte: secondo Atti 5,37 la sua sollevazione fallì, egli fu ucciso e i suoi seguaci vennero dispersi. Ma quando e in quali circostanze ciò possa essere accaduto non si sa» (M. Hengel, Gli zeloti. Ricerche sul movimento di liberazione giudaico dai tempi di Erode I al 70 d. C., Paideia 1996, p. 378).


 


NAZARETH. Arriviamo alla questione della città di Nazareth, che Salsi identifica geograficamente con Gàmala, da dove sarebbe venuto Gesù (assieme al padre Giuda il Galileo e ai suoi fratelli), sostenendo (assieme a Donnini e Cascioli) che l’attuale Nazareth non sarebbe esistita se non dal III° secolo d.C. Questa volta è la paletta dell’archeologo a dargli torto (ne abbiamo già parlato in un apposito articolo). Oltre alle tombe ritrovate che portano a concludere «che Nazareth era un insediamento fortemente ebraico nel periodo romano» (J. Finegan, The Archaeology of the New Testament, Princeton University Press 1992, pp. 44-46), nel 1996 è stata scoperta un’azienda agricola e alcune monete anch’esse risalenti al periodo romano, e nel 2009 l’archeologa Yardenna Alexandre ha scoperto a Nazareth una casa risalente al I° secolo. Lo studioso agnostico B.D. Ehrman ha così concluso: «molti reperti archeologici degni di fede indicano che Nazareth esisteva ai tempi di Gesù» (B.D. Ehrman, Did Jesus Exist?, HarperCollins Publishers 2012, p. 198).


 


Più che dedicarci a dimostrare l’esistenza storica dei dodici -non mancheremo di farlo in una prossima occasione (nel frattempo, ne ha parlato poco tempo fa un interessante articolo in lingua inglese) -, abbiamo preferito far crollare le tre colonne portanti della tesi di Emilio Salsi: 1) gli zeloti come movimento politico-ribelle non esistevano al tempo di Gesù; 2) di Giuda il Galileo si sa ben poco e da quel che si conosce si rileva che non ebbe i figli che Salsi riferisce; 3) la città di Nazareth esisteva già nel I° secolo e la sua identificazione con Gàmala è priva di qualunque riscontro storico, archeologico e scientifico.

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Tradotto dal sito https://seanmcdowell.org/blog/did-the-twelve-apostles-of-jesus-exist  :


I DODICI APOSTOLI DI GESÙ SONO ESISTITI?

I dodici apostoli di Gesù sono esistiti?

SeanMcDowell.org

Forse ti starai chiedendo: "Perché mai offri prove dell'esistenza degli apostoli? Qualcuno mette davvero in dubbio che fossero reali? ”Beh, sì, alcuni lo fanno. Recentemente ho avuto un dibattito sul destino degli apostoli con il mitico Ken Humphreys alla Premier Christian Radio.Non sorprende, ha iniziato chiedendo che esistessero persino gli apostoli.

Se sei sorpreso che l'esistenza degli apostoli sia messa in discussione, allora sei in buona compagnia. Nel terzo volume del suo voluminoso testo, Un ebreo marginale , lo storico studioso di Gesù John Meier si lamenta di aver persino bisogno di difendere che Gesù aveva un gruppo di seguaci noto come i Dodici: “Fortunatamente non abbiamo bisogno di spendere molto tempo sulla questione se Gesù avesse effettivamente avuto discepoli durante la sua vita, poiché la storicità di alcuni di questi gruppi è raramente se mai negata ”. 

Tuttavia, ecco un semplice caso per la storicità dei Dodici dal mio libro Il destino degli apostoli :

1. Attestazione multipla

Un gruppo noto come "I Dodici" è più volte attestato in varie fonti e forme. Il riferimento ai Dodici appare dieci volte in Marco (alcuni di questi casi, come 3: 13-19, possono anche essere pre-Markan). La menzione dei discepoli esiste anche in Giovanni (ad es. 6:67, 20:24), Q (Matteo 19:28 || Luca 22:30), e negli scritti di Paolo (1 Cor.15: 5).

2. Criterio di imbarazzo

Sarebbe stato imbarazzante per la chiesa primitiva inventare un discepolo di Gesù che lo tradì.Meier osserva: “Chiaramente entra in gioco anche il criterio dell'imbarazzo, perché non esiste una ragione convincente per cui la chiesa primitiva avrebbe dovuto fare di tutto per inventare una tradizione così inquietante come il tradimento di Gesù da parte di Giuda, uno dei suoi eletti Dodici. " [Ii]

3. Mancanza di dettagli floreali nella Chiesa primitiva

Per fornire prove dell'esistenza degli apostoli, Humphreys scrive:

“Gli apostoli dovrebbero essere dodici delle persone più famose della storia. Ci viene detto che furono scelti a mano da Gesù per assistere alle sue opere meravigliose, imparare i suoi insegnamenti sublimi e portare la buona notizia del suo regno fino ai confini della terra. Il che rende ancora più sorprendente il fatto che non sappiamo quasi nulla di loro. Non possiamo nemmeno essere sicuri dei loro nomi: dovrebbe essere evidente che se i dodici fossero personaggi storici reali, con un ruolo così importante nella fondazione e nella crescita della Chiesa, sarebbe impossibile avere una tale confusione selvaggia sul domanda su chi fossero realmente. " [iii]

Fa un punto giusto, ma in realtà penso che le prove indichino esattamente l'altra direzione.Pensateci: se la chiesa primitiva aveva inventato gli apostoli, allora ci saremmo aspettare le prime notizie (come At) da riempire con i dettagli sulle loro vite ed exploit. Se la chiesa primitiva li avesse inventati, avrebbero probabilmente sentito il bisogno di darci dettagli sostanziali sulla loro vita e ministeri per giustificare la loro esistenza. Il semplice fatto che questi dettagli fioriti siano scarsi nei primi documenti dimostra che la chiesa primitiva non ha inventato la sua esistenza e che risalgono al tempo dello storico Gesù. Craig S. Keener spiega perché nella chiesa primitiva non c'è più attenzione ai singoli apostoli:

“Sebbene questi testimoni fossero fondamentali (cfr. Allo stesso modo Ef 2,10), dal punto di vista della teologia di Luca, tali scelte non esaltavano gli individui scelti come individui (da qui l'enfasi sul loro background, ad esempio Luca 5: 8; 22: 34; Atti 8: 3); piuttosto, queste scelte hanno messo in luce il piano sovrano di Dio per compiere efficacemente la missione ... a parte Gesù, tutti i protagonisti sarebbero come David, che è passato dalla scena dopo aver adempiuto al proposito di Dio nella sua generazione (Atti 13:36). " [iv]

4. Studi onomastici

Richard Bauckham ha recentemente completato uno studio onomastico dei nomi ebraici nel primo secolo che fornisce ulteriore supporto all'autenticità dei Dodici. [v] Tra gli ebrei nella Palestina del I secolo c'erano un piccolo numero di nomi molto popolari e un gran numero di nomi rari. Come ci si aspetterebbe, se la tradizione dei Dodici fosse affidabile, una lista di nomi comuni e rari sarebbe sugli elenchi. Questo è esattamente ciò che troviamo.

Conclusione

Nel loro insieme, questi fatti rendono molto probabile che i Dodici esistessero come un gruppo speciale di discepoli che formarono un cerchio interno attorno a Gesù. Alcuni studiosi dubitano dell'esistenza dei Dodici (come Rudolf Bultmann). Tuttavia, data la natura delle prove, la stragrande maggioranza le accetta. In effetti, EP Sanders considera l'esistenza dei Dodici tra i "(quasi) fatti indiscutibili su Gesù". [Vi]

Sean McDowell, Ph.D. è professore di apologetica cristiana alla Biola University, autore di best seller di oltre 18 libri, relatore riconosciuto a livello internazionale e insegnante di scuola superiore part-time. Seguilo su Twitter: @sean_mcdowell e il suo blog: seanmcdowell.org.

 





[Modificato da Credente 11/10/2019 21:28]
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05/03/2017 17:12
 
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La fossa comune nell’orfanotrofio cattolico?
Occhio alla bufala…

fake news bufala mediaNon c’è quotidiano online che ancora non ne abbia parlato: vicino ad un ex istituto gestito da suore in Irlanda, la Mother and Baby Homes, è stato trovato un “significativo numero di resti umani”. Le ossa appartengono a circa 800 bambini (796 per la precisione), di età tra le 35 settimane e i tre anni.

Lo si sapeva già nel 2014, oggi semplicemente sono stati effettuati gli scavi ed è stato confermato quanto già venne detto in passato. La Mother and Baby Homes fu una casa di accoglienza per madri non sposate e i loro figli che ha operato tra il 1925 e il 1961 in Tuam, nella contea di Galway in Irlanda. Venne gestito dalle suore francesi Bon Secours sister. 

I media sono incredibilmente interessati alla vicenda, probabilmente perché coinvolge un’istituzione cattolica. Purtroppo la notizia è infarcita da dati falsi e i giornalisti si stanno copiando a vicenda, ognuno aggiungendo macabri particolari inesistenti. Già nel 2014, quando la notizia uscì la prima volta, diversi quotidiani si avventarono sulla vicenda inventando orrori e crimini che sarebbero avvenuti in questi istituti cattolici, salvo poi dover chiedere scusa per le falsità scritte, come fece l’Associated Press. Qui sotto le principali bufale apparse sui media.

 

NON E’ UNA FOSSA COMUNE E I BAMBINI HANNO CERTIFICATO DI MORTE.
Si legge ovunque il termine “fossa comune”, ma le autorità di Dublino non hanno affatto parlato in questi termini. La stessa storica locale che ha portato avanti l’inchiesta, Caterina Corless, è intervenuta sull’Irish times dicendo: «Non ho mai usato la parola “scaricati”, non ho mai detto a nessuno che 800 corpi sono stati gettati in una fossa settica. Non sono le mie parole». La fossa comune è una buca in cui vengono gettati sbrigativamente cadaveri di più persone, senza alcuna segnalazione della loro morte. Nel caso dell’istituto irlandese, invece, per tutti i bambini deceduti è stato compilato un certificato di morte ed è grazie ad esso che Catherine Corless ha potuto segnalare anni fa la presenza di 800 bambini seppelliti. La storica ha spiegato che nei certificati compilati dalle religiose, compaiono i nomi dei bambini, la loro età, il luogo di nascita e le cause di morte. I documenti, inoltre, mostrano che molti bambini dell’orfanotrofio sono stati battezzati. Il numero medio annuale di morti nei 36 anni è stato poco più di 22 all’anno.

Inoltre, occorre ricordare che anche diversi ospedali governativi utilizzavano questo tipo di sepoltura in quel periodo, segnato da una pesantissima carestia e un’altissima incidenza di mortalità infantile. Il prof. Finbar McCormick, docente di Archeologia e Paleontologia presso la Queens University di Belfast ha rimproverato i media per l’utilizzo del termine “fossa comune” per descrivere il tipo di sepoltura: «Si tratta in realtà di un metodo comune di sepoltura utilizzato nel recente passato e utilizzato ancora oggi in molte parti d’Europa. Molti ospedali materni in Irlanda hanno utilizzato questo tipo di sepoltura comune per i bambini nati morti o per coloro che sono morti subito dopo la nascita. Questi venivano sepolti assieme in un cimitero vicino, ma più spesso in una zona speciale all’interno dell’ospedale».

 

NON SONO MORTI PER MALNUTRIZIONE.
Tutti i media inglesi e quelli italiani, a partire da Repubblica, stanno individuando nella malnutrizione la causa della morte dei neonati e dei bambini, incolpando di questo le religiose. In realtà il gruppo interdipartimentale istituito dal governo irlandese per studiare gli eventi (la Mother and baby homes commission of investigationha concluso che solo 10 bambini (l’1%) in circa 40 anni sono morti per questo. Gran parte degli 800 bambini sono invece periti per malattie presenti fin dalla nascita, problemi respiratori, tubercolosi, influenza, epilessia e meningite. C’è tuttavia da segnalare che in quello specifico istituto si è riscontrato quasi il doppio del tasso di mortalità rispetto ad altri istituti del Paese. Il tasso di mortalità complessivo del Paese era del 17%.

morti orfanotrofio

Un ex dirigente sanitario irlandese, Jacky Jonesè intervenuta scrivendo: «Perché siamo così scioccati dei 796 neonati e bambini che sono morti nella St Mary’s mother-and-baby home di Tuam? Alti tassi di mortalità infantile erano normali in Irlanda fino al 1970. Questo non era giusto, ma non c’è nulla di oscuro. Le indignazioni implicano che ci fosse qualcosa di sinistro circa le morti dei bambini ma non è di aiuto a nessuno, soprattutto alle donne i cui bambini sono morti in queste istituzioni. I bambini sono morti nella Casa di maternità per le stesse ragioni per cui sono morti nella baraccopoli di Dublino: la povertà e il basso stato di salute. Il tasso di mortalità infantile tra gli orfani è stato di circa cinque volte la media nazionale e i bambini provenienti da famiglie povere avevano quattro volte più probabilità di morire prima del loro primo compleanno. Per questo i tassi di mortalità neonatale e infantile nelle Case materne erano probabilmente circa 10 volte superiori la media nazionale».

 

CONTESTUALIZZARE GLI EVENTI AL PERIODO STORICO.
Il giornalista di Forbes, Eamonn Fingleton, cresciuto in Irlanda, ha spiegato che «per chiunque abbia familiarità con l’Irlanda (sono cresciuto lì negli anni 1950 e 1960), la storia che le suore hanno gettato coscientemente i bambini in una fossa settica non ha mai avuto senso. Un fatto sembra fuori discussione: le condizioni degli orfanotrofi irlandesi fino al 1960 (quando l’istituto al centro dell’attenzione è stato chiuso) sono note. Certamente il tasso di mortalità in molti di essi era incredibilmente alto. Ma chi dovrebbe essere incolpato? Una parte importante del problema sembra essere stata la dilagante povertà dell’epoca perché gli orfanotrofi irlandesi erano così disperatamente sottofinanziati e vergognosamente sovraffollati, il che significava che quando un bambino prendeva un’infezione contagiava tutti. Non ultimo dei pericoli era la tubercolosi, una malattia allora incurabile che si diffuse a macchia d’olio in condizioni di sovraffollamento». Le suore che gestivano la Mother and Baby Homes di Tuam «sono morte da tempo, ma se potessero parlare sicuramente direbbero che stavano facendo del loro meglio in condizioni spaventose. Oggi viviamo un’epoca di disinformazione».

La storica Caterina Corless ha spiegato sull’Irish Time che a volte, durante i 36 anni di attività, l’istituto di Tuam ha ospitato contemporaneamente più di 200 bambini e 100 madri. Ha anche ricordato che i bambini sono stati sepolti in un cimitero non ufficiale sul retro dell’ex istituto e questo piccolo spazio erboso è stato assistito per decenni dalla popolazione locale, che ha piantato fiori e ha costruito una grotta in un angolo (ben visibile in tutte le fotografie).

La Conferenza Episcopale irlandese è intervenuta già nel 2014 a sostegno dell’indagine governativa sui fatti di Tuam, esprimendo dispiacere del fatto che «i residenti di queste case hanno sofferto alti livelli di mortalità e malnutrizione, malattie e povertà». I vescovi irlandesi hanno anche ricordato che «purtroppo in quel tempo le ragazze madri erano spesso giudicate, stigmatizzate e rifiutate dalla società, e lo fece anche la Chiesa». Tuttavia il sociologo Bill Donohue ha pubblicato un lungo resoconto dei fatti, spiegando che le religiose Bon Secours erano «infermiere addestrate venute da Dublino per farsi carico di una casa per poveri, anziani, malati, bambini orfani e donne non sposate. Queste case erano sorte per iniziativa della Irish Poor Laws del 1840, emanata dal governo irlandese, ma dopo il 1921 il sistema venne rivisto, separando gli orfani dalle donne non sposate. E’ importante notare qual era l’alternativa per queste donne e i loro bambini: la strada, per questo ricercavano rifugio nelle istituzioni cattoliche. Questo è raramente riconosciuto. Nel 1961 l’edificio stava cadendo a pezzi e aveva bisogno di essere ristrutturato ma i fondi non erano disponibili, quindi è stato chiuso. Le suore hanno consegnato tutti i documenti alle autorità».

David Quinn dell’Irish Independent è intervenuto a proposito della stigmatizzazione sociale patita dalle ragazze madri, ricordando che non si tratta affatto di un “costume cattolico”, né tanto meno di una caratteristica irlandese. Ha fatto notare infatti che era la norma ovunque, in società cattoliche o non. Nella laica Svezia, ha scritto come esempio, le ragazze madri venivano addirittura sterilizzate, oppure costrette ad abortire. Il sociologo Bill Donohue ha fatto presente che la “stigmatizzazione” è «una dura realtà, ma si tratta di una sanzione sociale impiegata in ogni società conosciuta. Serve come correttivo, come mezzo per scoraggiare comportamenti indesiderati. Al cambiamento della società, l’uso dello stigma può aumentare o diminuire. Oggi c’è uno stigma sociale, ad esempio, verso i fumatori e non più verso i responsabili di figli nati fuori dal matrimonio». Occorre tuttavia accogliere l’indicazione che i vescovi irlandesi hanno rivolto pubblicamente ai cristiani, indicando l’errore nel comportarsi “come il mondo”, poiché «il Vangelo ci chiama a trattare tutti, in particolare i bambini e le persone più vulnerabili, con dignità, amore, compassione e misericordia. Ci scusiamo per la ferita causata dalla Chiesa, come parte di questo sistema».

 

I TRATTAMENTI RICEVUTI DALLE MADRI E DAI BAMBINI DELL’ISTITUTO.
Nel 2012, la responsabile delle ricerche, Caterina Corless, ha raccolto diverse fonti che descrivono la situazione dell’istituto oggi al centro della polemica. Ad esempio il viaggiatore Halliday Sutherland, scrive la Corless, «ha descritto l’istituto come un edificio a due piani su un terreno di proprietà». Sutherland, che visitò la Casa durante il periodo di attività, annota: «L’edificio è ben tenuto, fresco e pulito. La Casa è gestita dalle Suore di Bon Secours di Parigi e la reverenda Madre mi ha mostrato l’interno. Ognuna delle suore è infermiera professionale e ostetrica. Alcune sono anche esperte di infermieristica per bambini. Una ragazza non sposata può venire qui per far nascere il suo bambino. Se lei è d’accordo può rimanere nella casa per un anno, assistendo il suo bambino assieme alle suore, le quali non vengono retribuite per questo. Alla fine dell’anno può andare via, può prendere il suo bambino con lei oppure lasciare il bambino nella Casa, con la speranza che possa essere adottato. Le suore mantengono il bambino fino all’età di sette anni, quando viene inviato ad una scuola industriale» (Sutherland Halliday, Irish Journey, Wyman & Sons Ltd, Fakenham, UK 1956). Si tratta di una testimonianza oculare, una fonte di prima mano.

In articolo dell’ottobre 1953 del quotidiano locale The Tuam Herald, si criticano i metodi di adozione adottati dalle suore, in quanto «non è stato sempre fatto il miglior sforzo per trovare la casa più adatta al bambino e l’assegno dato dai genitori per la crescita non è stato sempre speso per il benessere del bambino». In un altro articolo, risalente al 25/06/1949, si legge di un’ispezione avvenuta nell’istituto condotto da ispettori del consiglio della contea di Galway, riferendo questo: «tutto nella Casa è in buon ordine e gli ispettori si sono congratulati con le sorelle Bon Secour per le ottime condizioni della loro istituzione». Molti collegano questi eventi alle Case Magdalene irlandesi, anch’esse oggetto di fake news anticlericali: per approfondimenti segnaliamo il nostro dossier e l’ottimo articolo di Massimo Micaletti.

 

Dove sono finite dunque le suore violente che gettano nelle fosse comuni i bambini che hanno ucciso tramite malnutrizione e cure inadatte, come stanno raccontando i giornali? Se si ricostruiscono gli eventi, come abbiamo fatto, seppur sommariamente, rimane ben poco della bufala che sta girando sui media. Ovviamente non si vuole sostenere che nell’Irlanda della prima metà del ‘900 tutto era perfetto, tanto meno negare i limiti delle istituzioni cattoliche e/o statali della società irlandese di quel periodo storico. Di certo, ha scritto il sociologo Bill Donohue«i giornalisti obiettivi ed indipendenti dovrebbero raccontare correttamente i fatti, purtroppo ci sono troppi giornalisti pigri e incompetenti pronti a ingoiare l’ultimo chiaro di luna sulla Chiesa cattolica. Se ci fosse un Pulitzer per le fake news, la concorrenza sarebbe agguerrita».


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22/07/2017 18:30
 
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RATISBONA E LA MACCHINA DEL FANGO

La macchina del fango contro la chiesa lavora a pieno regime .
Nessuno vi informa come abbiamo fatto noi ad esempio che in Francia i giudici hanno assolto con formula piena il Cardinale Barbarin accusato di aver coperto ed insabbiato casi di pedofilia :tutto falso anzi il Cardinale è stato lodato per la sua collaborazione con la giustizia.Questo di Ratisbona è solo l'ennesimo anello delle catena di fakenews, falsità e distorsioni della verità organizzata per screditare la chiesa cattolica.

Ovviamente i giornalucoli italici non vi dicono la realtà sull'indagine delle presunte violenze e i presunti abusi sessuali . Innanzi tutto la vicenda riguarda la scuola ed il convitto (non il coro diretto dal fratello di Ratzinger ) per un periodo che va dalla scuola postnazista del 1945 fino al 1980 .
Le accuse poi coinvolgono solo il PERSONALE LAICO ,in particolare due docenti laici morti nel 1983 ( e quindi non possono più difendersi) .Ratzinger non c'entra nulla ma i giornali lo citano per infarcire la notizia Facciamo notare che se una indagine simile , riguardante lo stesso periodo venisse fatta in Gran Bretagna nei colleges prestigiosi quelli che hanno formato e formano le èlite del paese dove le PUNIZIONI CORPORALI VERSO GLI STUDENTI SONO STATE ABOLITE SOLO TRA IL 1999 e 2003 i casi di VIOLENZA ED ABUSI SESSUALI sarebbero a MIGLIAIA .

Tanto per dire nel 1993 alcune sentenze nei tribunali britannici assolvevano i docenti accusati di violenza perchè dichiaravano che dare ad un bambino di sette anni tre colpi di slippering con una scarpa da ginnastica sopra i pantaloni non poteva essere considerato un "trattamento degradante".

Se questo era fino al 2003 il pensiero dei docenti e dei giudici della democratica Gran Bretagna possiamo immaginare come potevano agire nel 1945 e gli anni successivi dei docenti formati ed abituati ai metodi scolastici del regime nazista come conferma il settantunenne Alexander Metz,ex alunno della scuola di Ratsbona , che ha scritto un libro nel quale ricorda come quei maltrattamenti erano del tutto normali. Lui non vuole alcuna indennità.Secondo Metz “nelle scuole le botte erano normali, fino agli anni Settanta”. Il problema, insomma, era il sistema pedagogico. “ ma questo i giornali italici in genere non ve lo dicono.

da ATEISMO. NO GRAZIE
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