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LA RAGIONEVOLEZZA DELLA FEDE

Ultimo Aggiornamento: 23/11/2015 15:21
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25/03/2010 22:03
 
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Il dualismo.

Che io un giorno debba cessare di esistere? No! ... Morire è una cosa; ces­sare di esistere è tutt'altro. Io sento nel­l'intimo della coscienza la convinzione che la morte separerà il mio spirito dal corpo, ma non potrà distruggere tutto il mio essere.

Avverto in me un dualismo, cioè un elemento materiale, il corpo, il quale ha le sue leggi fisiologiche, i suoi piaceri, le sue pene ed è soggetto a continui muta­menti; avverto anche un elemento spi­rituale, chiamato anima, con attitudini proprie, molto più nobili di quelle corpo­rali. I due elementi, in modo misterioso, vivono assieme; si completano a vicen­da, poiché il corpo, elemento inferiore, ha bisogno dello spirito per essere vivifi­cato, mentre l'anima ha bisogno del corpo per mettersi a contatto con il mondo visibile.

Che in me esista questo dualismo, è vero; diverse prove posso avere. Mi fa sorridere di compassione la proposizione spiritosa di quel medico condotto: Ho tanti anni di esercizio di professione e giammai mi è capitato di vedere un'ani­ma nel corpo dei clienti! - Costui, pur avendo leggicchiato tanti libri, non sa che certe cose si possono vedere con gli occhi, mentre altre possono essere con­template solo coll'intelligenza.

Secondo questo medico non esistono i pensieri nella mente, unicamente perché non possono vedersi; secondo lui, non dovrebbe esistere l'intelligenza, perché gli occhi non la vedono; non dovrebbe esistere il fluido magnetico, il quale quan­tunque materiale, da nessuno scienziato ha potuto essere mirato.

Dunque, in me deve esserci un qual­che cosa che gli occhi del corpo non pos­sono percepire, appunto perché questo « qualche cosa » non è materiale.



Un incontro.

Sono alla stazione di Catania in attesa del treno, che ritarda a venire. Nella sala di aspetto trovo un uomo sulla cinquan­tina; è un operaio. M'intrattengo in con­versazione. - Fortunato voi, professore! Noi non possiamo vivere. Ho una fami­glia a carico e non riesco a sfamarla. La­voro qui in città; adesso vado a B ... mio paese natio, per chiedere ad un parente denaro in prestito. - Sono anch'io del vostro paese, ma insegno lontano. - Mio concittadino? - Proprio. - E il vostro nome? - Ecco il mio biglietto da visita.

- Ricordo questo nome e cogno­me ... Avevo un compagno di scuola nel­la terza elementare, col quale ero amico intimo, e portava il vostro nome e co­gnome. - In quale anno? Nel 1908, mi pare. Ed il maestro era N.N. Questo compagno abitava vicino alla strada fer­rata Circumetnea. - Quel tale sono io. - Possibile?... - E sì! Vi ricordo qualche episodio d'infanzia. - Non c'è più dubbio!... - Ma voi come siete cambiato! Dopo 42 anni siete irricono­scibile!... - Certamente che il mio corpo è cambiato; ma io ... sono sempre io.



Il mio « io ».

Che grande verità io…sono sem­pre io! Più di una volta ho voluto fer­marmi su questo concetto e l'ho trovato sempre molto interessante.

Dunque, dico a me stesso, nel mio essere c'è qualche cosa che muta; è que­sto il mio corpo.

Ogni sette anni circa, tutti gli ele­menti che lo costituiscono, cambiano com­pletamente; per tali mutamenti ripetuti nel mio corpo, l'amico d'infanzia non po­teva riconoscermi. Malgrado però questo, io sento di avere la stessa identità perso­nale, riconosco in me qualche cosa d'im­mutato e di immutabile.

Gli altri non vedono in me questo « quid »; ma io sento. Come chiamare l'elemento immutabile che esiste in me ed anche in ogni altro uomo: Le grandi menti, che hanno approfondito il proble­ma, lo chiamano spirito, o principio in­tellettivo, oppure anima.



Il possessivo.

Mi insegnarono nelle elementari il si­gnificato dell'aggettivo possessivo ... mio, tuo, ecc. Questi aggettivi si chiamano possessivi perché si riferiscono ad un possessore.

Io dico: la mia testa, le mie mani, il mio cuore. Chi è il possessore di queste parti del mio corpo? Son io. Il mio « io » è differente dalle parti che posseggo; queste parti del mio corpo non si possono identificare con me, perché altro è il pos­sessore ed altro è la cosa posseduta.

Se si dicesse: Nelle parti del corpo non c'è un possessore! - si giungerebbe alla illogicità, in quanto avremmo la cosa posseduta e non chi la possiede. Questo dualismo lo avvertono tutti ... forse senza sapersene dare spiegazione.



Differenza sostanziale.

Il mio corpo vede con gli occhi e vede ciò che è materiale. Il mio spirito vede per mezzo dell'intelligenza e cerca la ve­rità, come gli occhi cercano la luce del sole.

Gode la mia vista corporale davanti ad un panorama incantevole; ma gode di più la mia intelligenza quando scopre qualche cosa di nuovo, come esultò di gioia Galileo Galilei osservando la lam­pada nella chiesa di Pisa, per cui poté inventare il pendolo; pure godette im­mensamente Archimede allorchè trovò la legge che regola il peso dei corpi nell'ac­qua, e fuori di sé per la gioia, uscì dal mare gridando: Ho trovato! Ho trovato!

Il mio corpo ha lo stomaco; ha biso­gno di pane e di altri cibi. Ad un certo istante della refezione deve dire: Basta, non posso mangiare più. Sono sazio.

Ciò che è materiale, ha le parti e que­ste accumulandosi riempiono il recipien­te. Il mio spirito ha l'intelligenza; ha fame e sete di cognizioni e va ad attingerle dalla natura creata, dagli avvenimenti sto­rici e dai libri; ma più sa, più vorrebbe sapere; non sente mai la sazietà; pensa che ciò che conosce, è ben piccola cosa in confronto di ciò che ignora.

Il mio corpo cade a terra; il ginoc­chio ne riporta una ferita. Quanto dolore! Un monello lancia un sasso e per caso mi colpisce alla testa, la quale sanguina. Io provo il dolore fisico, o corporale. Mentre tutto mi sorride nella vita, giovinezza, sanità, ricchezza, mi perviene un telegramma. Poche parole mi annun­ciano la morte di mio padre. Il mio corpo a tale notizia resta intatto; le varie mem­bra non ricevono mutazione alcuna. Io intanto dico: Povero me! Sono in questo istante l'uomo più infelice. - Interna­mente mi sento sanguinare. Il mio cuore è fortemente ferito. Non ci sono persone o cose che possano consolarmi; il pianto solamente dà uno sfogo al dolore. Battendo il ginocchio a terra e rice­vendo un sasso alla testa, io soffro soltanto nel corpo; alla notizia della morte del mio genitore, io soffro nel mio spirito ed è precisamente l'anima che spasima, perché sente la separazione dalla perso­na amata.

La madre ama d'ordinario il figlio co­me se stessa. Ecco una donna che rivede ed abbraccia il figlio militare, che cre­deva morto. L'ha davanti a sé in perfetta salute, ricoperto di gloria per la decora­zione al valor militare. Che cosa avverte questa madre? Una gioia ineffabile. Ha un godimento, davanti al quale le più grandi gioie corporali sono minuzie. Che cosa è che gode in tale donna? È il suo spirito.

Dunque esiste una differenza tra il corpo e l'anima.



La volontà.

Il mio spirito è intelligente; ma è an­che volitivo. Io sento di essere libero, cioè padrone di fare una cosa e di non farla. Voglio studiare e mi metto a tavoli­no; non voglio studiare e vado a passeg­gio. Questa facoltà particolare del mio spirito opera ogni qual volta dico « vo­glio » o « non voglio ». Esternamente la mia volontà non può vedersi. Ma chi potrebbe dubitare della esistenza di essa in me ed anche in tutti gli altri?

La volontà è fatta per il bene, ma, es­sendo libera, può determinarsi anche al male. Da ciò dipende la responsabilità degli atti davanti alla società e davanti a Dio.

La volontà è fatta per amare. Che co­sa sente un cuore che ama fortemente, stando vicino all'oggetto amato? Nessu­na penna può riprodurre la veemenza e la dolcezza degli affetti amorosi!



L'istinto.

Presso il cancello della mia palazzina ha la sua cuccetta « bobi », un grosso ca­ne di guardia. A mirarlo fa paura, spe­cialmente quando inveisce; con me si comporta da agnellino; la mia presenza o la mia voce lo calmano subito. Che ca­ro animale! Come saltella e gioisce al so­lo mio passaggio! Sembrerebbe molto in­telligente e quasi volitivo.

Io mi domando: Il mio cane è co­me me? Esiste in esso il mio dualismo, cioè il corpo e lo spirito? Ha un'intel­ligenza ed una volontà, come l'ho io? No! Assolutamente no! Diversamente « bobi » sarebbe un uomo e non una be­stia.

Lo spirito è intelligente; il mio cane invece non ha intelligenza, ma è guidato dal suo istinto, cioè è soggetto ad una forza incosciente, per cui fa una cosa sen­za conoscerne il fine, senza il minimo ra­gionamento. Arriva fin dove l'istinto lo spinge, ma non può giungere neppure alle porte del ragionamento.

Supponiamo che di notte, mentre io sono a letto, entrino dei ladri nel mio giardinetto, con l'intenzione di rubarmi.

Il mio « bobi » abbaierebbe disperata­mente. I ladri potrebbero ferirlo ed esso continuerebbe ad inveire; quasi dissangua­to finché le forze glielo permetterebbero, non cesserebbe di minacciare. Gli si po­trebbe dire: Ma che cosa guadagni a far ciò? Non vedi che stai per morire? Non ti accorgi che è inutile resistere davanti ad un'arma da fuoco? E che cosa ne perdi tu, se il tuo padrone è derubato? E la tua vita, per te, non è più preziosa del denaro del tuo padrone? - Il cane non potrebbe, nell'ipotesi, rispondere a tali domande; però se avesse l'intelligenza, agirebbe diversamente.

In questo caso il più interessato sa­rei io; avendo l'intelligenza, ragionerei così: Se mi affacciassi, potrei essere col­pito da una fucilata. Senza espormi spa­rerò in aria per mettere in fuga i ladri. Intanto nascondo il denaro e gli oggetti preziosi. Se non riuscissi a chiamare aiuto, vedendo la porta forzata, alzerei le mani, dicendo: Fate ciò che volete della mia casa; ma per pietà risparmiatemi la vita! - Questo ragionamento posso farlo io, non il mia cane.

Dunque il mio « bobi » non è intel­ligente come sembrerebbe a prima vista; in esso manca la parte spirituale, cioè l'anima intellettiva; nella bestia tutto è materiale.

Gli animali potrebbero ammaestrar­si nel riprodurre dei movimenti par­ticolari; ma tutto ciò è frutto dell'intel­ligenza dell'uomo, che utilizza la memoria sensitiva di certi animali.

Ho visto ballare un orso a passo di musica in un circo equestre. Sembrava un ballerino provetto. L'orso, da giovane, è messo sopra una lastra di metallo; sta fermo. Intanto si riscalda di sotto leg­germente la lastra; l'orso sentendo il ca­lore comincia a muoversi; contempora­neamente s'intona una danza. Aumen­tando il calore, l'orso accelera i movi­menti, mentre gli strumenti musicali ese­guiscono la parte più viva della danza. Dopo centinaia di prove, con i debiti ri­tocchi, i movimenti dell'orso si possono sincronizzare con la danza. Ogni qual­volta l'orso sente quella musica, ha l'i­stinto di ballare ovunque si trovi, anche senza lastra riscaldata. Se gli strumenti eseguiscono un pezzo musicale differen­te, l'orso resta impassibile.

Dunque è da veri ignoranti attribuire l'intelligenza alle bestie; istinto e me­moria sensitiva, sì; raziocinio, no.

Gli animali, non avendo la parte spi­rituale, essendo privi di ragione, sono privi anche di volontà e di libertà. In base a ciò essi non sono responsabili dei propri atti.

Un uomo alza il pugno contro un al­tro uomo in segno di minaccia; ancorché non sia riuscito a colpire l'avversario, viene condotto al tribunale. Un asino spranga un calcio contro un bambino e l'uccide ... un cane morde un viandante e gli procura la morte per l'infezione. L'asino ed il cane non saranno messi in prigione, pur avendo commesso omicidio, perché tutti riconoscono che le bestie non hanno libera volontà.

Concludendo ... che cosa sono dun­que io? Un essere ragionevole, composto di anima e di corpo. Lo spirito mi diffe­renzia dalle bestie.
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