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25/03/2010 22:03 | |
Il dualismo.
Che io un giorno debba cessare di esistere? No! ... Morire è una cosa; cessare di esistere è tutt'altro. Io sento nell'intimo della coscienza la convinzione che la morte separerà il mio spirito dal corpo, ma non potrà distruggere tutto il mio essere.
Avverto in me un dualismo, cioè un elemento materiale, il corpo, il quale ha le sue leggi fisiologiche, i suoi piaceri, le sue pene ed è soggetto a continui mutamenti; avverto anche un elemento spirituale, chiamato anima, con attitudini proprie, molto più nobili di quelle corporali. I due elementi, in modo misterioso, vivono assieme; si completano a vicenda, poiché il corpo, elemento inferiore, ha bisogno dello spirito per essere vivificato, mentre l'anima ha bisogno del corpo per mettersi a contatto con il mondo visibile.
Che in me esista questo dualismo, è vero; diverse prove posso avere. Mi fa sorridere di compassione la proposizione spiritosa di quel medico condotto: Ho tanti anni di esercizio di professione e giammai mi è capitato di vedere un'anima nel corpo dei clienti! - Costui, pur avendo leggicchiato tanti libri, non sa che certe cose si possono vedere con gli occhi, mentre altre possono essere contemplate solo coll'intelligenza.
Secondo questo medico non esistono i pensieri nella mente, unicamente perché non possono vedersi; secondo lui, non dovrebbe esistere l'intelligenza, perché gli occhi non la vedono; non dovrebbe esistere il fluido magnetico, il quale quantunque materiale, da nessuno scienziato ha potuto essere mirato.
Dunque, in me deve esserci un qualche cosa che gli occhi del corpo non possono percepire, appunto perché questo « qualche cosa » non è materiale.
Un incontro.
Sono alla stazione di Catania in attesa del treno, che ritarda a venire. Nella sala di aspetto trovo un uomo sulla cinquantina; è un operaio. M'intrattengo in conversazione. - Fortunato voi, professore! Noi non possiamo vivere. Ho una famiglia a carico e non riesco a sfamarla. Lavoro qui in città; adesso vado a B ... mio paese natio, per chiedere ad un parente denaro in prestito. - Sono anch'io del vostro paese, ma insegno lontano. - Mio concittadino? - Proprio. - E il vostro nome? - Ecco il mio biglietto da visita.
- Ricordo questo nome e cognome ... Avevo un compagno di scuola nella terza elementare, col quale ero amico intimo, e portava il vostro nome e cognome. - In quale anno? Nel 1908, mi pare. Ed il maestro era N.N. Questo compagno abitava vicino alla strada ferrata Circumetnea. - Quel tale sono io. - Possibile?... - E sì! Vi ricordo qualche episodio d'infanzia. - Non c'è più dubbio!... - Ma voi come siete cambiato! Dopo 42 anni siete irriconoscibile!... - Certamente che il mio corpo è cambiato; ma io ... sono sempre io.
Il mio « io ».
Che grande verità io…sono sempre io! Più di una volta ho voluto fermarmi su questo concetto e l'ho trovato sempre molto interessante.
Dunque, dico a me stesso, nel mio essere c'è qualche cosa che muta; è questo il mio corpo.
Ogni sette anni circa, tutti gli elementi che lo costituiscono, cambiano completamente; per tali mutamenti ripetuti nel mio corpo, l'amico d'infanzia non poteva riconoscermi. Malgrado però questo, io sento di avere la stessa identità personale, riconosco in me qualche cosa d'immutato e di immutabile.
Gli altri non vedono in me questo « quid »; ma io sento. Come chiamare l'elemento immutabile che esiste in me ed anche in ogni altro uomo: Le grandi menti, che hanno approfondito il problema, lo chiamano spirito, o principio intellettivo, oppure anima.
Il possessivo.
Mi insegnarono nelle elementari il significato dell'aggettivo possessivo ... mio, tuo, ecc. Questi aggettivi si chiamano possessivi perché si riferiscono ad un possessore.
Io dico: la mia testa, le mie mani, il mio cuore. Chi è il possessore di queste parti del mio corpo? Son io. Il mio « io » è differente dalle parti che posseggo; queste parti del mio corpo non si possono identificare con me, perché altro è il possessore ed altro è la cosa posseduta.
Se si dicesse: Nelle parti del corpo non c'è un possessore! - si giungerebbe alla illogicità, in quanto avremmo la cosa posseduta e non chi la possiede. Questo dualismo lo avvertono tutti ... forse senza sapersene dare spiegazione.
Differenza sostanziale.
Il mio corpo vede con gli occhi e vede ciò che è materiale. Il mio spirito vede per mezzo dell'intelligenza e cerca la verità, come gli occhi cercano la luce del sole.
Gode la mia vista corporale davanti ad un panorama incantevole; ma gode di più la mia intelligenza quando scopre qualche cosa di nuovo, come esultò di gioia Galileo Galilei osservando la lampada nella chiesa di Pisa, per cui poté inventare il pendolo; pure godette immensamente Archimede allorchè trovò la legge che regola il peso dei corpi nell'acqua, e fuori di sé per la gioia, uscì dal mare gridando: Ho trovato! Ho trovato!
Il mio corpo ha lo stomaco; ha bisogno di pane e di altri cibi. Ad un certo istante della refezione deve dire: Basta, non posso mangiare più. Sono sazio.
Ciò che è materiale, ha le parti e queste accumulandosi riempiono il recipiente. Il mio spirito ha l'intelligenza; ha fame e sete di cognizioni e va ad attingerle dalla natura creata, dagli avvenimenti storici e dai libri; ma più sa, più vorrebbe sapere; non sente mai la sazietà; pensa che ciò che conosce, è ben piccola cosa in confronto di ciò che ignora.
Il mio corpo cade a terra; il ginocchio ne riporta una ferita. Quanto dolore! Un monello lancia un sasso e per caso mi colpisce alla testa, la quale sanguina. Io provo il dolore fisico, o corporale. Mentre tutto mi sorride nella vita, giovinezza, sanità, ricchezza, mi perviene un telegramma. Poche parole mi annunciano la morte di mio padre. Il mio corpo a tale notizia resta intatto; le varie membra non ricevono mutazione alcuna. Io intanto dico: Povero me! Sono in questo istante l'uomo più infelice. - Internamente mi sento sanguinare. Il mio cuore è fortemente ferito. Non ci sono persone o cose che possano consolarmi; il pianto solamente dà uno sfogo al dolore. Battendo il ginocchio a terra e ricevendo un sasso alla testa, io soffro soltanto nel corpo; alla notizia della morte del mio genitore, io soffro nel mio spirito ed è precisamente l'anima che spasima, perché sente la separazione dalla persona amata.
La madre ama d'ordinario il figlio come se stessa. Ecco una donna che rivede ed abbraccia il figlio militare, che credeva morto. L'ha davanti a sé in perfetta salute, ricoperto di gloria per la decorazione al valor militare. Che cosa avverte questa madre? Una gioia ineffabile. Ha un godimento, davanti al quale le più grandi gioie corporali sono minuzie. Che cosa è che gode in tale donna? È il suo spirito.
Dunque esiste una differenza tra il corpo e l'anima.
La volontà.
Il mio spirito è intelligente; ma è anche volitivo. Io sento di essere libero, cioè padrone di fare una cosa e di non farla. Voglio studiare e mi metto a tavolino; non voglio studiare e vado a passeggio. Questa facoltà particolare del mio spirito opera ogni qual volta dico « voglio » o « non voglio ». Esternamente la mia volontà non può vedersi. Ma chi potrebbe dubitare della esistenza di essa in me ed anche in tutti gli altri?
La volontà è fatta per il bene, ma, essendo libera, può determinarsi anche al male. Da ciò dipende la responsabilità degli atti davanti alla società e davanti a Dio.
La volontà è fatta per amare. Che cosa sente un cuore che ama fortemente, stando vicino all'oggetto amato? Nessuna penna può riprodurre la veemenza e la dolcezza degli affetti amorosi!
L'istinto.
Presso il cancello della mia palazzina ha la sua cuccetta « bobi », un grosso cane di guardia. A mirarlo fa paura, specialmente quando inveisce; con me si comporta da agnellino; la mia presenza o la mia voce lo calmano subito. Che caro animale! Come saltella e gioisce al solo mio passaggio! Sembrerebbe molto intelligente e quasi volitivo.
Io mi domando: Il mio cane è come me? Esiste in esso il mio dualismo, cioè il corpo e lo spirito? Ha un'intelligenza ed una volontà, come l'ho io? No! Assolutamente no! Diversamente « bobi » sarebbe un uomo e non una bestia.
Lo spirito è intelligente; il mio cane invece non ha intelligenza, ma è guidato dal suo istinto, cioè è soggetto ad una forza incosciente, per cui fa una cosa senza conoscerne il fine, senza il minimo ragionamento. Arriva fin dove l'istinto lo spinge, ma non può giungere neppure alle porte del ragionamento.
Supponiamo che di notte, mentre io sono a letto, entrino dei ladri nel mio giardinetto, con l'intenzione di rubarmi.
Il mio « bobi » abbaierebbe disperatamente. I ladri potrebbero ferirlo ed esso continuerebbe ad inveire; quasi dissanguato finché le forze glielo permetterebbero, non cesserebbe di minacciare. Gli si potrebbe dire: Ma che cosa guadagni a far ciò? Non vedi che stai per morire? Non ti accorgi che è inutile resistere davanti ad un'arma da fuoco? E che cosa ne perdi tu, se il tuo padrone è derubato? E la tua vita, per te, non è più preziosa del denaro del tuo padrone? - Il cane non potrebbe, nell'ipotesi, rispondere a tali domande; però se avesse l'intelligenza, agirebbe diversamente.
In questo caso il più interessato sarei io; avendo l'intelligenza, ragionerei così: Se mi affacciassi, potrei essere colpito da una fucilata. Senza espormi sparerò in aria per mettere in fuga i ladri. Intanto nascondo il denaro e gli oggetti preziosi. Se non riuscissi a chiamare aiuto, vedendo la porta forzata, alzerei le mani, dicendo: Fate ciò che volete della mia casa; ma per pietà risparmiatemi la vita! - Questo ragionamento posso farlo io, non il mia cane.
Dunque il mio « bobi » non è intelligente come sembrerebbe a prima vista; in esso manca la parte spirituale, cioè l'anima intellettiva; nella bestia tutto è materiale.
Gli animali potrebbero ammaestrarsi nel riprodurre dei movimenti particolari; ma tutto ciò è frutto dell'intelligenza dell'uomo, che utilizza la memoria sensitiva di certi animali.
Ho visto ballare un orso a passo di musica in un circo equestre. Sembrava un ballerino provetto. L'orso, da giovane, è messo sopra una lastra di metallo; sta fermo. Intanto si riscalda di sotto leggermente la lastra; l'orso sentendo il calore comincia a muoversi; contemporaneamente s'intona una danza. Aumentando il calore, l'orso accelera i movimenti, mentre gli strumenti musicali eseguiscono la parte più viva della danza. Dopo centinaia di prove, con i debiti ritocchi, i movimenti dell'orso si possono sincronizzare con la danza. Ogni qualvolta l'orso sente quella musica, ha l'istinto di ballare ovunque si trovi, anche senza lastra riscaldata. Se gli strumenti eseguiscono un pezzo musicale differente, l'orso resta impassibile.
Dunque è da veri ignoranti attribuire l'intelligenza alle bestie; istinto e memoria sensitiva, sì; raziocinio, no.
Gli animali, non avendo la parte spirituale, essendo privi di ragione, sono privi anche di volontà e di libertà. In base a ciò essi non sono responsabili dei propri atti.
Un uomo alza il pugno contro un altro uomo in segno di minaccia; ancorché non sia riuscito a colpire l'avversario, viene condotto al tribunale. Un asino spranga un calcio contro un bambino e l'uccide ... un cane morde un viandante e gli procura la morte per l'infezione. L'asino ed il cane non saranno messi in prigione, pur avendo commesso omicidio, perché tutti riconoscono che le bestie non hanno libera volontà.
Concludendo ... che cosa sono dunque io? Un essere ragionevole, composto di anima e di corpo. Lo spirito mi differenzia dalle bestie. |