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23/02/2010 21:48 | |
4. Le armi dello Spirito
« Le armi della nostra battaglia non sono carnali », dice Paolo ai Corinzi (2 Cor. 10,3). E la ragione è che « la nostra battaglia non è contro creature fatte di sangue e di carne, ma contro i Principati e le Potestà, contro i dominatori di questo
mondo di tenebra, contro gli spiriti del male che abitano nelle regioni celesti » (Ef. 6,12; 2,2).
Con la carne si può anche combattere con armi materiali, ma con creature spirituali bisogna combattere con armi spirituali, senza miscuglio.
Per questo l'Apostolo ci ammonisce: « Rivestitevi dell'armatura di Dio, per poter resistere alle insidie del diavolo...Prendete l'armatura di Dio, perché possiate resistere nel giorno malvagio e restare in piedi dopo aver superato tutte le prove » (Ef. 6,11,13).
Qual è questa armatura di Dio?
Le scritture del V. T. ci mostrano « il Signore degli eserciti » come un guerriero armato, che scende in battaglia per difendere il suo popolo e far valere i suoi diritti.
Il salmista nel salmo 18 (vv. 10-16) e il profeta Abacuc (3,9-14) descrivono una battaglia di Dio con toni solenni, in cui Dio si serve degli elementi della natura come di armi micidiali. Il profeta Isaia e il libro della Sapienza ci descrivono l'equipaggiamento di Jahvè in battaglia: « Egli si è rivestito di giustizia come di una corazza, e sul suo capo ha posto l'elmo della salvezza... si è avvolto di zelo come di un manto » (Is. 59,17); « Egli prenderà per armatura il suo zelo... indosserà la giustizia come corazza e si metterà come elmo un giudizio infallibile, prenderà come scudo una santità inespugnabile, affilerà la sua collera inesorabile come spada affilata... scoccheranno gli infallibili dardi, ecc. » (Sap. 5,17-21).
S. Paolo evidentemente si rifà ai testi del V. T. per presentarci l'armatura di Dio nella battaglia contro gli spiriti, volendoci con questo indicare che la nostra battaglia è la battaglia contro gli spiriti; è la battaglia di Dio, la quale continua attraverso noi, e che va combattuta con l'armatura di Dio.
Anche Gesù nel N. T. è presentato come un lottatore. Dal suo primo ingresso nella vita pubblica fino alla fine dei tempi egli è in lotta contro il principe delle tenebre, per strappargli il dominio sugli uomini e affermare il suo Regno di pace e di amore.
L'Apocalisse ce lo presenta come un guerriero armato e ci descrive con enfasi il combattimento escatologico, che vale la pena riportare: « Poi vidi il cielo aperto, ed ecco un cavallo bianco; colui che lo cavalcava si chiamava « Fedele » e « Verace »: egli giudica e combatte con giustizia. I suoi occhi sono come una fiamma di fuoco, ha sul suo capo molti diademi; porta scritto un nome che nessuno conosce all'infuori di lui. È avvolto in un mantello intriso di sangue e il suo nome è Verbo di Dio... Dalla bocca gli esce una spada affilata per colpire con essa le genti... Ambedue (la bestia e il falso profeta) furono gettati vivi nello stagno di fuoco, ardente di zolfo. Tutti gli altri furono uccisi dalla spada che usciva di bocca al Cavaliere... E il diavolo che li aveva sedotti fu gettato nello stagno di fuoco e di zolfo dove sono anche la bestia e il falso profeta: saranno tormentati giorno e notte per i secoli dei secoli » (Ap. 19,11-21; 20,10).
Anche noi siamo lottatori dietro di Cristo, e per questo è detto: « Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio... Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono » (Ap. 3,12,21).
Ma per vincere bisogna « attingere forza nel Signore e nel vigore della sua potenza » (Ef. 6,10).
La battaglia che combattiamo è la battaglia di Cristo. È Cristo che la combatte contro il grande nemico, in noi, con noi e attraverso di noi.
Per questo l'Apostolo ci esorta: « Rivestitevi del Signore Gesù Cristo » (Rom. 13,14).
È importante insistere su questo « rivestirci » di Cristo, come del resto vi insiste S. Paolo. « Battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo », dice ai Galati (Gal. 3,27); « Avete rivestito l'uomo nuovo », dice ai Colossesi (Col. 3,10).
A chi è rivestito di Cristo vengono consegnate le « armi della luce » (Rom. 13,12) perché possa combattere contro le tenebre.
Chi combatte con Cristo, vince. Ma la vittoria è data non in forza della volontà dell'uomo, non dalla sua capacità di lottare e di giostrare, ma unicamente dal « potere » di Cristo operante in lui. Di qui la necessità di essere « fermi » in Lui, « seduti » in Lui, « uniti » a Lui.
E adesso ritorniamo all'armatura spirituale descritta dall'Apostolo nel testo di Efesini 6,14-17.
Troviamo cinque pezzi di « rivestimento » che sono come armi di difesa nel combattimento.
1) La cintura ai fianchi, che è la verità.
La cintura allaccia tutti gli altri pezzi dell'armatura, dà loro consistenza, ai fianchi, che sono la parte centrale, come la vita, dell'uomo.
La verità di Dio cinge il combattente.
La prima tattica sferrata dal serpente contro l'uomo nel paradiso terrestre fu la falsità. Insinuò in Eva il dubbio sulla parola di Dio, cercando di distaccarla dalla verità. « Non è vero », disse. « Non morirete affatto, anzi... » (Gen. 3,4). E intrappolò l'uomo nel peccato, facendolo suo schiavo.
Cristo, che è la Verità, ci ha resi liberi (Gv. 14,6). È aderendo a Lui, alla sua Parola che diventiamo liberi: « Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli, conoscerete la verità e la verità vi farà liberi » (Gv. 8,32).
Aderire alla verità rivelata è la prima esigenza per essere soldati di Cristo e per combattere contro il falsario, contro colui « che non ha perseverato nella verità... e quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna » (Gv. 8,44).
Aderire alla verità significa anche avere sincerità di vita, nutrirsi degli « azzimi della sincerità » e non più « del lievito della malizia e della perversità » (1 Cor. 5,7-8).
Gesù domandò al Padre lo Spirito di verità per noi, perché ci introdusse in tutta la verità, e perché fossimo « santificati nella verità » (Gv. 17,17,19).
Essere cinti della verità, come di una cintura, significa aderire strettamente a Cristo, col pensiero, con la volontà, con la vita.
2) La corazza della giustizia.
La corazza è una parte molto importante dell'armatura. Protegge il petto, le spalle, il cuore del combattente, e gli dà un senso di sicurezza contro i colpi del nemico.
La giustizia è una proprietà di Dio. Lui solo è giusto, Lui solo è il santo. Ma Dio può comunicarla agli altri, giustificandoli e santificandoli. E Dio ha fatto questo per noi in Cristo. Siamo stati giustificati nel suo sangue e resi santi al suo cospetto nella luce (cfr. Rom. cc. 3-6; Ef, cc. 1-2; ecc.).
La giustizia, pertanto, che corazza l'uomo, non è la giustizia dell'uomo perché l'uomo non si può rendere giusto con le sue opere davanti a Dio, ma è la giustizia di Cristo, non solo imputata, ma anche data realmente all'uomo, che lo mette in condizione, per lo Spirito di Cristo che gli è stato infuso, di compiere quelle opere giuste « che Dio ha preordinato che praticassimo » (Ef. 2,10).
Appropriarci dei meriti di Cristo e corazzarci della sua giustizia ci dà un grande senso di sicurezza, ci protegge contro ogni attacco al cuore, contro ogni emozione, ci protegge soprattutto nella fede e nell'amore. L'Apostolo, nella prima lettera ai Tessalonicesi, identifica questa corazza con la fede e con l'amore, che sono i frutti della giustizia di Cristo in noi. « Noi che siamo del giorno - dice - dobbiamo essere sobri, rivestiti della corazza della fede e dell'amore, e avendo come elmo la speranza della salvezza »(I Tess. 5,8).
3) La calzatura ai piedi, che è lo zelo per propagare il vangelo della pace.
Lo zelo indica 'in Dio un atteggiamento di difesa del suo onore contro chiunque voglia profanarlo o del suo posto contro chiunque voglia usurparlo.
Dio rivendica la gloria che gli è dovuta come Signore, che
non cede a nessuno (Is. 42,8) e si scaglia contro i culti idolatrici, rivendica l'amore che gli è dovuto come Padre (Is. 1,2-3), come Sposo (Ez. c. 16; Os. c. 2).
Dio comunica all'uomo fedele il suo zelo, perché egli difenda i diritti di Dio contro chiunque voglia o pretenda di usurparli e perché faccia riconoscere agli altri l'onore che è dovuto a Dio. Finees (Pincas) è lodato perché « zelò lo zelo di Dio » (I Mac. 2,54) uccidendo Zimri (Num. 25,7).
Gesù ricevette lo zelo di Dio, ne fu « divorato », dice Giovanni, (Gv. 2,17) applicando a Lui la parola del salmo « Lo zelo per la tua casa mi divora » (Sal. 69,10), e cacciò i profanatori del tempio, che avevano mutato « in luogo di mercato » « la casa di preghiera » (Gv. 2,16).
Lo zelo di Gesù avvampa anche noi, quando difendiamo i diritti di Dio, quando evangelizziamo per affermare il suo regno, quando contro l'odio predichiamo la Pace.
Nell'ossessione il demonio usurpa i diritti di Dio. Dio soltanto può esercitare il suo dominio sull'uomo, fatto a sua immagine. Ogni uomo appartiene a Cristo, fa parte del suo corpo, perché Egli ha dato il suo sangue per tutti. Lo zelo per rivendicare a Dio quello che a Dio appartiene deve sempre muoverci a pregare per la liberazione e deve sempre accompagnarci e sostenerci in tutte le fasi della liberazione.
4) Lo scudo della Fede.
Le scritture del V.T. e del N.T. mettono in risalto, in modo sorprendente, l'importanza unica e suprema della Fede, «fondamento (realtà fondante) delle cose che si sperano e prova di quelle che non si vedono» (Ebr. 11,1). La base che ci apre le porte a ciò che attendiamo e ci convince di ciò che non vediamo, Dio, è appunto la fede. Di qui la sua grandezza, e di qui anche il suo incommensurabile valore, perché ci rende possibile quello che solo a Dio è possibile. « A Dio tutto è possibile » (Mt. 19,26), « Tutto è possibile per chi crede » (Mc. 9,23). Ciò che è impossibile all'uomo, è possibile a Dio e a chi crede! È su questa linea che dobbiamo leggere e credere le parole di Gesù ai discepoli che per la «poca fede» non avevano potuto cacciare un diavolo: «Se avrete fede pari ad un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile » (Mt. 17,20); e in questa luce dobbiamo cogliere le affermazioni di Gesù ai miracolati: « La tua fede ti ha salvata » (Le. 8,48) « Sia fatto a voi secondo la vostra fede » (Mt. 9,29).
Dobbiamo chiedere a Dio questo dono, che radicalmente abbiamo già ricevuto nel battesimo, ma di cui abbiamo bisogno in abbondanza, non solo per crescere nella nostra dimensione personale, ma anche per esercitare il nostro ministero.
Nella liberazione non possiamo fare a meno della fede. Ci vuole fede in noi, perché operiamo nel campo dell'invisibile e abbordiamo ciò che è impossibile; fede che dobbiamo eccitare nei pazienti, perché credano all'amore di Dio e nella sua potenza liberante.
La fede comporta una grande umiltà nel ministero della liberazione. Convinti che nulla possiamo da noi, perché nulla noi siamo, dobbiamo tuffarci nella fede, e attender fiduciosi che la dynamis di Cristo si manifesti nella nostra astenìa.
Talvolta il diavolo ci mette alla prova, ci attacca da ogni lato, ci insinua il dubbio, ci opprime con la sfiducia e la stanchezza. È allora che dobbiamo giostrare con lo scudo della fede, nasconderci dietro di esso ed eludere « tutti i dardi infocati del maligno » (Ef. 6,16).
5) L'elmo della salvezza.
L'elmo protegge il capo, che è la parte più vitale dell'uomo. Se il capo è scoperto, il nemico mirerà al capo e tutto sarà finito.
L'elmo nostro è la salvezza, è cioè Dio in azione verso di noi.
Jahvé significa appunto salvezza, che viene da Dio; è Lui che ci salva con mano potente.
Anche Gesù significa salvezza: « Lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati » (Mt. 1,21).
Invocare il suo Nome è avere la salvezza. « Chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvo » (Rom. 10,13; GI. 3,5). E Pietro proclama: « In nessun altro c'è salvezza; non v'è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » (At. 4,12).
L'esperienza ci insegna l'efficacia del Nome di Gesù nella liberazione degli ossessi, efficacia già notata dagli antichi Padri.
Quando ci mettiamo a pregare, invochiamo anche su di noi la protezione del Santissimo Nome di Gesù, e combattiamo con senso di grande sicurezza, perché abbiamo la salvezza del Signore. Quando siamo deboli o in pochi, confidiamo nell'elmo, ossia nella protezione del Signore, ripetendo come Gionata: « Non è difficile per il Signore salvare con molti o con pochi » (1 Sam. 14,6), o con Giuda Maccabeo: « Non c'è differenza per il cielo salvare per mezzo di molti o per mezzo di pochi » (1 Mac. 3,18).
Qualche parola sulle armi di offesa.
1) La spada dello Spirito, che è la Parola di Dio.
Gesù, sospinto dallo Spirito, che era disceso su di Lui nel Giordano, va nel deserto e contro il tentatore maneggia come spada la Parola di Dio, insegnando anche a noi ad usarla e ad usarla bene. Pure il diavolo osa brandire quest'arma, per trarre in inganno, ma quest'arma si ritorce contro di lui e lo condanna
(Gv. 12,48).
La Parola di Dio è veramente « una spada a doppio taglio », « viva », « efficace », « tagliente »; essa penetra fino in fondo e dove arriva separa « le giunture dalle midolla, scruta i sentimenti e i pensieri del cuore. Nessuna creatura può nascondersi a Lui » (Ebr. 4,12-13), cioè al Signore che brandisce quest'arma. Neanche il diavolo può resistere ai colpi della Parola di Dio.
L'Apocalisse ci presenta Gesù con la spada affilata a doppio taglio che esce dalla sua bocca, ed è la Parola. « Dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio » (Ap. 1,19), « per colpire con essa le genti » (Ap. 19,15). I1 servo di Jahvè, in Isaia, « col soffio della sua bocca uccide gli empi » (Is. 11,4). E il libro della Sapienza ci presenta la Parola onnipotente che, come « guerriero implacabile, si lanciò in mezzo a quella terra di sterminio, portando come spada affilata, il tuo ordine inesorabile. Fermatasi, riempì tutto di morte; toccava il cielo e camminava sulla terra » (Sap. 18,15-16).
Gesù continua ad uccidere il Dragone con la parola della sua bocca e a portare lo sterminio del suo campo, quando noi la usiamo nel combattimento spirituale.
Durante la liberazione, quando l'iniquo accenna a comparire, usiamo la Parola del Signore, « e il Signore Gesù lo distruggerà col soffio della sua bocca e lo annienterà all'apparire della` sua venuta » (2 Tes. 2,8).
L'esperienza ci insegna che tra le « parole » le più efficaci sono quelle pronunziate da Gesù nei discorsi del Vangelo. Sembra che il nemico avverta la presenza del Signore al suono delle sue parole.
Anche per noi, mentre preghiamo, la Parola è luce: ci illumina il cammino come lampada accesa, ci consente di discernere e di scandagliare le tenebre. E quando siamo stanchi ci consola; è una boccata d'acqua fresca nell'arsura della lotta.
2) La preghiera fatta « incessantemente » e « vigilando ».
È sempre bello ricordare l'episodio di Mosè che prega sul monte, mentre a valle infuria la battaglia contro Amalek, il quale poi sembra simbolo del diavolo: « vi sarà guerra del Signore contro Amalek di generazione in generazione » (Es. 17-16). « Quando Mosè alzava le mani, Israele era il più forte, ma quando le lasciava cadere, era più forte Amalek. Poiché Mosè sentiva pesare le mani dalla stanchezza, presero una pietra, la collocarono sotto di lui ed egli vi sedette, mentre Aronne e Cur, uno da una parte e l'altro dall'altra, sostenevano le sue mani. Così le sue mani rimasero ferme fino al tramonto del sole. Giosuè sconfisse Amalek e il suo popolo passandoli a fil di spada » (Es. 17,11-13).
L'episodio sottolinea l'importanza della preghiera nella lotta contro il nemico, la sua efficacia quando è « incessante », e la forza della intercessione.
Il particolare della pietra su cui siede Mosè ci richiama a Cristo, che nelle Scritture è presentato come pietra. Egli è la pietra su cui dorme Giacobbe e, dormendo, vede la visione di Dio e la consacra versandovi dell'olio: « Questa è proprio la casa di Dio » (Gen. 28,10-18). Egli è la pietra da cui scaturisce l'acqua nel deserto (Es. 17,5-6), la pietra che sempre accompagnò Israele nel suo cammino: « Tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era Cristo » (1 Cor. 10,4).
La nostra preghiera trae forza da Cristo, in cui siamo « seduti », anzi è l'acqua stessa che sgorga da Cristo.
Per questo è importante entrare nella preghiera di Gesù, perché sia sempre Lui a pregare in noi come capo, e sia Lui come sacerdote ad intercedere presso il Padre per la liberazione. Allora la preghiera sarà efficace.
C'è poi una preghiera fatta nello Spirito. « Lo Spirito viene in aiuto della nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inenarrabili, e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, perché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio » (Rom. 8,26-27).
La preghiera in lingue è una preghiera nello Spirito.
L'esperienza ci insegna che i demoni sono molto sensibili alla preghiera in lingue.
Nel corso di una liberazione, quando già parecchi demoni erano usciti ma altri resistevano tenacemente, domandammo per telefono alla comunità riunita in preghiera a parecchi chilometri di distanza di venirci in aiuto. Ci aiutarono pregando in lingue: « Chi sono questi che cantano lontano, che sono queste lingue che io sento? » disse lo spirito che teneva legata la ragazza, e dopo averla rotolata a terra per parecchi metri, fuggì ruggendo.
Quanto più resistenza offre il maligno tanto più dobbiamo insistere con la preghiera. Abbiamo sperimentato che la preghiera di lode è più forte degli scongiuri. |