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LE PROVE ONTOLOGICHE DELL'ESISTENZA DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 22/01/2019 11:33
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13/02/2010 23:53
 
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Leibniz

Leibniz, sia nella Monadologia, nel 1714, sia nello scritto del 1701 Sulla dimostrazione cartesiana dell’esistenza di Dio, svilupperà l’interpretazione cartesiana dell’argomento anselmiano estrapolato dal contesto di fede e lo riformulerà in una maniera ancora più logica. Per Leibniz, infatti, la prova dell’esistenza di Dio è ridotta alla riflessione logica sulla sua possibilità: se Dio è possibile, necessariamente esiste. Dio è quell’essere la cui esistenza è implicita nella sua essenza o natura, e allora basterà pensare la possibilità di un essere la cui esistenza è implicita nella sua essenza che ne avremo dimostrato l’effettiva esistenza. Basterà, dunque, dimostrare la non-contraddittorietà logica per dimostrare l’esistenza di quell’essere la cui esistenza è inclusa nella sua essenza. Ecco che in Leibniz abbiamo questa estrema logicizzazione dell’argomento anselmiano, il quale verrà totalmente abbandonato nel suo contenuto, nel corso della filosofia moderna, di considerare la fede come presupposto indagante e quindi non scontato e di considerare la conoscenza di Dio come non-conoscitiva attraverso la ripresa della Lettera a Timoteo, che afferma l’apofaticità di Dio. Kant si misurerà continuamente con la filosofia della scuola wolffiana, criticando radicalmente l’argomentazione ontologica, tuttavia valorizzandone la portata e ravvivandone la possibilità di contestualizzazione e quindi, creando quel terreno fertile attraverso il quale Schelling rivaluterà la prova ontologica, pur componendo il percorso in due cammini conoscitivi, ossia filosofia negativa e filosofia positiva.


Così come già avveniva in Aristòtele, la metafisica di Leibniz culmina di sua natura in una teoria di Dio. Il primo passo consiste nel dimostrarne l'esistenza. Differenti prove vengono ritenute valide. La prima è la prova a priori di Anselmo, che era stata ripetuta da Cartesio: data la nozione di essere perfettissimo, ad essa bisogna necessariamente riconoscere l'esistenza, perché altrimenti le si negherebbe una perfezione, cadendo in contraddizione: l' essere perfettissimo, per essere tale, non può mancare di esistenza, altrimenti non sarebbe il più perfetto. Se Dio esistesse solo come concetto mentale ( così come esiste un ippogrifo o un drago ) non potrebbe essere l' ente " più perfetto " perchè già solo l' uomo in quanto esistente sia come concetto astratto ( al pari dell' ippogrifo e del drago ) sia come ente reale avrebbe una maggiore perfezione rispetto a Dio. A tale prova va però aggiunto un passo preliminare, e cioè la dimostrazione che la nozione di essere perfettissimo è effettivamente possibile e cioè non contraddittoria: il che è facilmente fatto quando si osserva che la contraddizione, e cioè l'incompatibilità tra differenti perfezioni, può nascere solo quando nella nozione di una sia contenuto un elemento contrario alla nozione di un altro, il che però non può avvenire quando si suppongono perfezioni assolutamente positive e semplici. La validità di questo argomento mostra che la nozione di Dio è l'unica che implica l'esistenza, e dunque Dio è l'unico essere necessario. La seconda prova usa in maniera peculiare il principio di ragion sufficiente, e viene talvolta giudicata da Leibniz la più solida: Posto questo principio, la prima questione che si ha il diritto di porre è: perché esiste qualcosa anziché nulla? Infatti il nulla è più semplice e più facile del qualcosa. ... Ora, questa ragione sufficiente dell'universo non potrebbe trovarsi nella serie delle cose contingenti, cioè dei corpi e delle rappresentazioni loro nelle anime: perché, essendo la materia in sé stessa indifferente al moto e alla quiete, e a questo o a quel movimento, è impossibile trovarvi la ragione del movimento, e ancor meno d'un determinato movimento. E benché il movimento attuale della materia venga dal precedente, e questo ancora da uno precedente, non ci si trova in una situazione migliore, quand'anche si vada lontano quanto si voglia: infatti, resta sempre la stessa questione. È necessario, quindi, che la ragion sufficiente, la quale non abbia più bisogno di un'altra ragione, sia fuori della serie delle cose contingenti, e si trovi in una sostanza che ne sia causa, ovvero in un essere necessario, portante con sé la ragione della sua esistenza; altrimenti non s'avrebbe ancora una ragione sufficiente a cui fermarsi. Quest'ultima ragione delle cose è chiamata Dio (Princìpi della natura e della grazia, 7-8). Altre due prove sono tratte l'una dall'esistenza delle verità eterne, l'altra dall'armonia prestabilita. Secondo la prima, le verità eterne o di ragione non potrebbero esistere e dunque essere conosciute se non ci fosse l'intelletto di Dio che le pensasse. Secondo l'altra, le sostanze non potrebbero mostrare quella perfetta reciproca armonia se non ci fosse un essere perfetto che le ha create così armonizzate. Entrambe queste due ultime prove appaiono in realtà molto fragili. Quella basata sulle verità eterne sembra essere una petitio principii, perché suppone già la loro dipendenza dall'intelletto divino. La seconda, benché talvolta venga citata da Leibniz come evidente, sembra in realtà basarsi sul presupposto che la conoscenza sia causata dagli oggetti esterni, dei quali quindi si possa accertare l'armonia: il che è proprio ciò che la teoria dell'armonia prestabilita esclude! Tale sostanziale difetto si aggira soltanto ritenendo questa prova identica al classico argomento basato sul finalismo e la bellezza della natura, che benché «evidente» e ricco di forza psicologica è tutt'altro che rigoroso, come la contemporanea filosofia di Spinoza mette bene in evidenza. E' bene riportare la dimostrazione dell' esistenza di Dio addotta da Leibniz nella Monadologia: dà prima una prova a posteriori riassumibile in questi termini: anche se noi potessimo conoscere tutta la serie di ragioni particolari di un determinato fatto non ne avremmo trovato ancora la ragion sufficiente, perchè ognuna di quelle ragioni particolari sarebbe sempre un fatto, una realtà contingente e quindi avrebbe bisogno a sua volta di una ragion d' essere. La ragion sufficiente di un qualsiasi fatto può dunque trovarsi solo in un Essere necessario: Dio. Questa é la dimostrazione a posteriori, proprio perchè parte da un effetto di Dio stesso. Il procedimento che ci conduce a Dio come a ragion sufficiente dell' universo ci permette poi di fissare gli attributi di Dio: l' unità, l' infinità, la somma perfezione, e di stabilire quali rapporti esistono fra Dio e il mondo. Dio é la fonte di tutto ciò che é positivo nelle creature, mentre ciò che in esse é negativo, vale a dire la loro imperfezione, deriva dalla loro natura di creature, dalla loro limitazione: E siccome tutto questo dettaglio non implica che altri contingenti precedenti o più dettagliati, di cui ciascuno ha ancora bisogno di un’analisi simile per renderne ragione, in tal modo non siamo affatto progrediti: è necessario trovare una ragione sufficiente o ultima al di fuori della successione o serie dei contingenti, per quanto infinita possa essere. Ed è così che l’ultima ragione delle cose deve essere in una sostanza necessaria, nella quale il dettaglio dei cambiamenti non sia se non in modo eminente, come nella sua sorgente. Ed è questo ente che noi chiamiamo dio. Ora, essendo questa sostanza una ragione sufficiente di tutto questo dettaglio, che è tutto concatenato con tutto, non c’è che un dio, e questo dio è sufficiente. Si può anche giudicare che questa sostanza suprema, che è unica, universale e necessaria, non avendo nulla al di fuori di sé che ne sia indipendente, ed essendo una semplice conseguenza dell’essere possibile, sia incapace di limiti e debba contenere quanta più realtà possibile. Ne segue che dio è assolutamente perfetto; non essendo la perfezione altro che la grandezza della realtà positiva presa precisamente, mettendo da parte i limiti o confini nelle cose che ne hanno. E là dove non ci sono cardini, cioè in dio, la perfezione è assolutamente infinita. Da ciò segue anche che le creature hanno le loro perfezioni dall’influenza di dio, ma le imperfezioni dalla loro propria natura, incapace di essere senza limiti. In questo, infatti, si distinguono da dio. Ma Leibniz nella Monadologia dà anche una prova a priori: Dio é causa non solo dell' esistenza delle cose, ma anche della loro essenza; il che vuol dire: ogni cosa esiste in quanto Dio la fa esistere, ed ogni cosa é tale ( cavallo, uomo, albero ) perchè Dio l' ha pensata così ( e non avrebbe potuto fare altrimenti perchè Dio può tutto, ma non può non essere Dio ). Ecco allora che Leibniz qui non parte dalle cose esistenti per risalire a Dio come loro causa, ma da una nostra idea. La dimostrazione a priori assume due forme. La prima parte dalle idee che noi abbiamo di qualsiasi cosa considerata come possibile, idee sulle quali si fondano le proposizioni necessarie ed universali. Una cosa infatti non sarebbe neppure possibile se Dio non ne avesse l' idea e non potesse realizzarla; dunque se ci sono delle cose possibili, esiste un Dio che può crearle. La seconda dimostrazione a priori della Monadologia parte dall' idea che abbiamo di Dio stesso, idea che ce lo rappresenta almeno come possibile; ora, se Dio é possibile, Dio esiste; dunque Dio esiste. Perchè se Dio é possibile, Dio esiste? Perchè se Dio non esistesse, nessun altro potrebbe farlo esistere e allora Dio sarebbe impossibile, il che é contro l' ipotesi. È anche vero che si trova in dio non solo la fonte delle esistenze, ma anche quella delle essenze, in quanto reali, ovvero di ciò che vi è di reale nella possibilità: è perché l’intelletto di dio è la ragione delle verità eterne o delle idee da cui esse dipendono, e che senza di lui non ci sarebbe nulla di reale nelle possibilità, e non solo nulla di esistente, ma nemmeno alcunché di possibile. Perché occorre che, se c’è una realtà nelle essenze o possibilità, ovvero nelle verità eterne, questa realtà sia fondata in qualcosa di esistente e attuale, e di conseguenza nell’esistenza dell’essere necessario, nel quale l’essenza include l’esistenza o nel quale è sufficiente essere possibile per essere attuale. Così dio solo (o l’essere necessario) ha questo privilegio: che esiste necessariamente, se è possibile. E siccome nulla può impedire la possibilità di ciò che non include alcuna limitazione, alcuna negazione, e, di conseguenza, alcuna contraddizione, solo questo è sufficiente per conoscere a priori l’esistenza di dio. L’ abbiamo provato anche per la realtà delle verità eterne. Ma l’abbiamo appena provato anche a posteriori, poiché esistono degli esseri contingenti che non possono avere la loro ragione ultima o sufficiente se non nell’essere necessario, che ha la ragione della sua esistenza in sé stesso.

[Modificato da Coordin. 15/05/2010 11:17]
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