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LE PROVE ONTOLOGICHE DELL'ESISTENZA DI DIO

Ultimo Aggiornamento: 22/01/2019 11:33
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13/02/2010 23:50
 
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 Tommaso d’Aquino

  San Tommaso d’Aquino formalizza diverse prove dell’esistenza di Dio, e sembra essere proprio lui il principale teorizzatore della prova “a posteriori” dell’esistenza di Dio, anche se, comunque, parla della prova “a priori” formulata da Anselmo d’Aosta in tono critico, dichiarandola inaccettabile.

San Tommaso, infatti, afferma che di per sé, la prova ontologica sarebbe valida in assoluto, ma solo relativamente a Dio e non per l’uomo, che invece deve contemplare Dio a partire dalla propria finitezza: cioè, la prova che partendo semplicemente dall’essere di Dio ne dimostra l’esistenza, per Dio stesso è sicuramente valida (essenza ed esistenza coincidono in Dio), ma per la debole mente umana non è valida, in quanto l’uomo non può fare esperienza diretta del fatto che in Dio coincidono essenza ed esistenza.

Per San Tommaso, come chiaramente in Aristotele, la conoscenza non può che avvenire attraverso l’esperienza, la quale a sua volta non può che avvenire per mezzo dei sensi.

Così, San Tommaso passa ad individuare quali siano le prove a posteriori per giungere alla dimostrazione dell’esistenza di Dio e queste vengono chiamate prove cosmologiche o fisico-teologiche, in quanto partono dal cosmo sensibile e ordinato, invece di partire da una mera nozione dell’essere riscontrabile nella stessa mente finita dell’uomo. Per San Tommaso le prove dell’esistenza di Dio sono cinque, e c’è una ripresa di varie tematiche aristoteliche.

1)      La prima parte dal principio aristotelico che ogni movimento non può che essere ricondotto ad uno suo movente, e il movente ultimo di ogni movimento non può che essere un motore immobile, cioè che muove pur non essendo mosso (Dio). Questo concetto, proprio della teologia aristotelica,intende Dio come causa finale, cioè muove per attrazione, attraverso il desiderio, ogni cosa finita, la qual mossa dal desiderio di questo fine superiore, viene attratta, appunto, finalisticamente da questo motore che resta, tuttavia, immobile.

2)      La seconda via individua nella serie di causalità, argomentabili relativamente ai rapporti di causalità fra cose sensibili, tra sostanze sensibili e anche soprasensibili, quindi in una continua concatenazione di cause con cause, un fondamento primo di questa serie. Questa causalità non è semplicemente una causa efficiente, ma la causa finale, ossia la immobile movenza attrattiva propria al primo principio aristotelico della realtà come motore immobile. La serie di cause rinvia ad una causa prima, che può essere causa assolutamente finale, cioè Dio.

3)      La terza consiste nell’interpretazione tomistica del rapporto tra potenza e atto aristotelico: prima l’atto, poi la potenza. Se riscontriamo una potenza, per spiegarla, dovremo risolverla all’attualità rispetto alla quale tale potenza è potenzialità. Non possiamo fare a meno di considerare Dio come atto puro, ossia un atto privo di ogni potenzialità, una realtà pienamente realizzata in quanto ha in sé stesso il suo fine.

4 e 5) La quarta e la quinta risalgono dalla realtà sensibile alla realtà divina: riscontrando alcuni gradi di realtà è necessario risalire ad un principio primo, che contiene tali gradi nella propria purezza, nella propria perfezione. La quinta prova, non solo riscontra queste tracce di caratteristiche trascendentali nel mondo sensibile, ma riscontra proprio l’ordine del cosmo: il cosmo è tale proprio perché è ordinato, ed è possibile riscontrare in esso una certa provvidenza, ossia possiamo dire che è governato da qualcosa di superiore, e questo lo possiamo dire a posteriori.

Ecco dunque la reinterpretazione tomistica della metafisica aristotelica: tuttavia San Tommaso riconoscerà un apofatismo relativamente alla divinità e introdurrà una teologia della Rivelazione, ossia una teologia fatta non solo attraverso la conoscenza naturalmente propria all’esistenza finita e alla sua capacità conoscitiva, ma anche basata sulla rivelazione positiva del cristianesimo.



Leggiamo dalla sua SUMMA TEOLOGICA

(per scaricarla integralmente vedasi:

http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9045073


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E' EVIDENTE L'ESISTENZA DI DIO?

Motivi a favore

Sembra che sia di per sé evidente che Dio esiste. Infatti:

1 Noi diciamo evidenti di per sé le cose la cui conoscenza è insita per natura in noi, come avviene nel caso dei primi princìpi. Ma, come di­ce san Giovanni di Damasco, «la conoscenza del­l'esistenza di Dio è insita in tutti per natura»'. Perciò l'esistenza di Dio è evidente per se stessa.

2. Si dicono ancora evidenti le nozioni che vengono conosciute non appena ne sono chiariti i termini, come afferma Aristotele a proposito dei primi principi della dimostrazione negli Analitici posteriori'. Per esempio, non appena si sa che co­s'è il tutto e che cos'è la parte, immediatamente si capisce che il tutto è sempre maggiore di ogni sua parte. Così, non appena venga compreso che cosa significhi la parola Dio, subito si capisce che Dio esiste. Con tale parola, infatti, si indica l'essere rispetto al quale non può esistere nulla di più grande. Ora, ciò che esiste nello stesso tempo nella mente e nella realtà è più grande di ciò che esiste solo nella mente. Dunque, una vol­ta compresa la parola Dio, subito egli appare co­me esistente nella mente. Di conseguenza esiste anche nella realtà. Perciò l'esistenza di Dio è evi­dente di per se stessa.

3. Infine l'esistenza della verità è di per sé evidente. Di fatto, chi dice che non esiste la veri­tà, afferma che esiste una verità. Se infatti non esiste la verità, almeno sarà vero che la verità non esiste. Ma se vi è qualcosa di vero, bisogna che esista la verità. Ora Dio è la verità stessa, in base a ciò che si legge nel vangelo di Giovanni: «Io sono la via, la verità e la vita»'. Perciò l'esi­stenza di Dio è di per sé evidente.

Motivo contrario

Nessuno può pensare l'opposto di ciò che è per sé evidente, come afferma Arístotele riguardo ai primi princìpi della dimostrazione. Ora si può pensare l'opposto della proposizione: Dio esiste, giacché - secondo il Salmo - «l'insensato ha detto nel suo cuore: "Dio non c'è"». Dunque non è per sé evidente che Dio esista.

Risposta conclusiva

Una cosa può essere evidente in due sensi, cioè: in se stessa, ma non per noi; in se stessa e an­che per noi. Così è evidente la proposizione in cui il predicato è già compreso nella definizione del soggetto. Ad esempio, «l'uomo è un animale» è una proposizione evidente perché il termine «ani­male» è già contenuto nella definizione del termi­ne «uomo». Se è a tutti nota la natura del predica­to e del soggetto, la proposizione che ne risulta sa­rà per tutti evidente. Ciò risulta, appunto, nel caso dei primi princìpi della dimostrazione i cui termini sono nozioni universali che nessuno ignora, come ente e non ente, il tutto e la parte, ecc.

Ma se qualcuno ignora la natura del predí­cato e del soggetto, la proposizione può essere evidente in se stessa, ma non lo è per lui. Accade così, come nota Boezio, che alcuni concetti sono comuni ed evidenti solo per i dotti. Per esempio, è evidente per i dotti che le cose immateriali non sono estese, non occupano spazio.

Dico pertanto che la proposizione Dio esiste, considerata in se stessa, è evidente perché, in es­sa, il predicato si identifica con il soggetto. Dio, infatti, è il suo essere, come vedremo in seguito. Ma poiché noi non conosciamo l'essenza di Dio, tale proposizione non è evidente per noi. Per di­ventare evidente, ha bisogno di essere dimostrata per mezzo delle cose che sono a noi più note, an­che se di per sé sono meno evidenti, cioè per mezzo degli effetti.

Risposta ai motivi a favore

1. È vero che abbiamo dalla natura una conoscenza generale e confusa dell'esistenza di Dio, in quanto cioè Dio è la felicità dell'uomo. L'uomo infatti desidera per natura la felicità, e ciò che è desiderato per natura dall'uomo è da questi anche conosciuto per natura. Ma ciò non è propriamente conoscere che Dio esiste, così co­me conoscere uno che sta venendo verso di noi non vuol dire conoscere Pietro, benché sia pro­prio Pietro colui che sta venendo verso di noi. Molti infatti ritengono che il sommo bene del­l'uomo, cioè la felicità, consista nelle ricchezze, altri che consista nei piaceri e altri ancora che consista in qualche altra cosa.

2. Colui che ode il nome di Dio, non sem­pre comprende che con esso viene espresso l'es­sere rispetto al quale non si può pensarne uno di maggiore. Prova ne è il fatto che alcuni hanno creduto che Dio fosse un corpo. Ma, ammesso pure che con la parola Dio tutti intendano signi­ficare ciò che essa dice - l'essere rispetto al qua­le non si può pensarne uno maggiore -, da que­sto non risulta che si intenda che ciò che è espresso da tale parola esista nella realtà delle cose. Da questo risulta solo che esiste nella cono­scenza intellettiva. Né si può arguire che esista nella realtà se prima non si ammette che nella realtà vi è un essere rispetto al quale non si può pensarne uno maggiore. Cosa, questa, che non è ammessa da coloro che dicono che Dio non esiste.

3. Che esista la verità in generale è di per sé evidente, ma non è altrettanto evidente che esista una verità prima.

 

 

DIO ESISTE ?


Sembra che Dio non esista.

Infatti:

1. Di due cose opposte, se una è infinita, l'altra viene completamente annullata. Ma ciò che significa la parola Dio è, appunto, una realtà che è infinito bene. Pertanto, se Dio esistesse, non dovrebbe esserci più il male. Invece nel mondo c'è il male. Dunque Dio non esiste.

2. Ciò che può esser compiuto da un ristret­to numero di cause, non si vede perché debba venire compiuto da cause più numerose. Ora tut­ti i fenomeni osservati nel mondo possono venir realizzati da altre cause, nell'ipotesi che Dio non esista. In effetti i fenomeni naturali vengono ri­condotti, come a loro principio, alla natura, e tutto ciò che è di ordine spirituale viene ricon­dotto alla ragione e alla volontà umana, come a suo principio. Non c'è quindi alcuna necessità dell'esistenza di Dio.

Motivo a favore

Nel libro dell'Esodo viene detto da parte di Dio stesso: «Io sono colui che è».

Risposta conclusiva

L'esistenza di Dio si può provare per mezzo di cinque vie.

La prima via e la più evidente è quella che si desume dal divenire.

È infatti una cosa certa - tanto da essere constatabile dall'esperienza sensi­bile - che in questo mondo alcune realtà sono soggette al divenire. Ora tutto ciò che è in dive­nire diviene a partire da altro da sé. Infatti nulla è in divenire se non in quanto è in potenza ri­spetto all'ente che rappresenta il termine del suo divenire. Divenire, infatti, altro non è che passa­re dalla potenza all'atto. Ora nulla passa dalla potenza all'atto se non a causa di un ente che è già in atto. Per esempio, il fuoco - che è caldo in atto - rende caldo in atto il legno che, di per sé, è caldo solo in potenza. Scaldandolo, lo fa dive­nire caldo e lo modifica. Però non può avvenire che uno stesso ente sia in atto e in potenza con­temporaneamente e sotto lo stesso aspetto, ma solo secondo aspetti diversi. Infatti ciò che è cal­do in atto non può esserlo in potenza nello stesso tempo, ma sarà freddo in potenza. E perciò impossibile che una realtà - sotto un identico aspetto - sia insieme in divenire e anche si faccia divenire, o che sia soggetto attivo e passivo del proprio divenire. Dunque tutto ciò che è in dive­nire trova necessariamente in altro da sé il sog­getto che lo fa divenire. Se pertanto un ente, che determina il divenire di un altro, è anch'esso soggetto al divenire, bisogna che il suo divenire si attui grazie all'intervento di un altro ente e questo grazie all'intervento d'un terzo e così via. Ma non si può procedere all'infinito in tal modo, perché altrimenti non vi sarebbe un primo ente che fa divenire e, di conseguenza, nessun al­tro ente che fa divenire: in quanto gli enti inter­medi che fanno divenire non hanno la capacità di determinare il divenire, se non per il fatto di es­sere spinti essi stessi a divenire dal primo ente. Così, per esempio, un bastone mette in movimen­to, cioè fa divenire una cosa, solo in quanto è mosso dalla mano. Dunque è necessario arrivare a un primo ente che fa divenire tutti gli altri, senza divenire a sua volta. E tutti comprendono che tale ente è Dio".

La seconda via si basa sulla natura della cau­sa efficiente.

Troviamo infatti negli oggetti sensi­bili la presenza di un ordine di cause efficienti. Ma non si trova - anzi ciò è addirittura impossi­bile - che una realtà sia causa efficiente di se stessa. In tal caso, infatti, essa preesisterebbe a se stessa, Il che è del tutto assurdo. Ora non è possibile che, nell'ambito delle cause efficienti coordinate tra loro, si possa procedere all'infini­to. E ciò perché, in tutte le cause efficienti coor­dinate, la prima è causa dell'intermedia e l'intermedia è causa dell'ultima, sia nell'ipotesi che le cause intermedie siano molte, sia che si tratti di una sola. Ora, rimossa la causa, viene rimosso in­sieme anche l'effetto. Perciò se non vi fosse una prima causa nell'ambito delle cause efficienti, non vi sarebbe neppure l'ultima e l'intermedia. Ma se si procede all'infinito nell'ambito delle cause efficienti, non vi sarà una prima causa efficiente. Così non vi saranno più né l'effetto ultimo né le cause efficienti intermedie. Il che è evidente­mente falso. Perciò è necessario ammettere una prima causa efficiente, che tutti chiamano Dio.

La terza via è presa dalla realtà contingente e dalla realtà necessaria.

Tra le diverse cose, noi ne troviamo alcune che possono essere e non es­sere. Infatti alcune cose nascono e alcune peri­scono, il che vuol dire che possono essere e non essere, ossia che sono contingenti. Ora è impos­sibile che le cose di tale natura siano sempre esi­stite e ciò perché una realtà che può non essere, un tempo non esisteva. Se tutte le realtà esistenti fossero tali da poter non essere, in un determina­to momento non sarebbe esistito nulla nel mon­do. Ma se ciò fosse vero, anche ora non vi sareb­be nulla, e questo perché ciò che non esiste non comincia ad esistere se non a causa d'una realtà già esistente. Se pertanto a un determinato mo­mento non fosse esistita alcuna realtà, sarebbe stato impossibile che qualche realtà cominciasse ad esistere. Così ora non esisterebbe niente. Ma ciò è evidentemente falso. Perciò non tutti gli enti sono contingenti. Bisogna che, nella realtà, ci sia qualcosa di necessario. Ora tutto ciò che è necessario, o ha la causa della propria necessità in altro essere, oppure no. D'altra parte, negli enti necessari che hanno altrove la causa della loro ne­cessità, non si può procedere all'infinito, come non lo si può nelle cause efficienti, come si è provato. Dunque bisogna affermare l'esistenza di un ente che sia, di per se stesso, necessario e che non tragga da altri la propria necessità, ma che sia causa di necessità per tutti gli altri enti necessari. E questo tutti dicono Dio.

La quarta via si desume dai gradi di perfe­zione che si riscontrano nella realtà.

In questa, infatti, si riscontrano enti che possiedono un gra­do maggiore o minore di bontà, di verità, di no­biltà, e così via. Ma il grado maggiore o minore viene attribuito ai diversi enti in rapporto al diverso modo con cui essi si avvicinano a ciò che rappresenta il grado sommo di quella qualità. Così, ad esempio, più caldo è ciò che maggior­mente si avvicina al caldo in grado sommo. Vi è dunque qualcosa che è vero in grado sommo, così come è buono in maniera superlati­va e nobilissimo e - per conseguenza - ente som­mo. Infatti ciò che è vero in sommo grado è an­che ente in sommo grado, come viene affermato nel secondo libro della Metafisica. D'altra parte, ciò che è in grado sommo se­condo un determinato genere è causa di tutti gli enti che appartengono a quel genere. Così, ad esempio, il fuoco che è caldo in sommo grado è causa di tutti gli enti caldi, come si afferma nello stesso libro della Metafisica. Perciò esiste una realtà che è causa per tutti gli enti dell'essere, della bontà e di qualunque perfezione. E tale realtà noi la chiamiamo Dio.

La quinta via muove dall'ordine del mondo.

Vediamo infatti che alcuni enti - pur essendo privi di conoscenza, come sono i corpi fisici - operano per un fine. Ciò appare dal fatto che sempre, o almeno molto di frequente, si compor­tano in quel modo preciso che fa loro conseguire la piena realizzazione. È chiaro così che raggiun­gono il loro fine non per opera del caso, ma a causa d'una precisa determinazione. Ora ciò che è privo di conoscenza non tende al proprio fine se non perché è diretto da un en­te che possiede conoscenza e intelligenza: come, ad esempio, la freccia dall'arciere. Perciò esiste un ente intelligente dal quale gli enti della natu­ra vengono guidati al loro fine. E questo ente noi lo chiamiamo Dio.

Risposta ai motivi contrari

1. All'obiezione del male, sant'Agostino ri­sponde: «Dio, sommamente buono, non permet­terebbe che in alcun modo ci fosse del male nelle sue opere, se non fosse tanto potente e tanto buono da saper trarre il bene anche dal male».

È dunque alla stessa infinita bontà di Dio che si collega la sua permissione del male, unita alla sua volontà di trarne del bene.

2. Affermando Dio, non si intende negare le causalità naturali o libere. Ma poiché la natura non può agire in vista d'un fine determinato, se non sotto la direzione di qualche agente ad essa superiore, bisogna necessariamente attribuire a Dio, causa prima, ciò che realizza la natura. Allo stesso modo gli atti della volontà libera - senza cessare di appartenerle - devono essere ricondot­ti a una causa più elevata della ragione e della volontà umana, perché queste sono mutevoli e defettibili. Ora tutto ciò che è materiale e defet­tibile dev'essere ricondotto a una causa prima, immutabile e necessaria per se stessa, come ab­biamo dimostrato.


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L'ESISTENZA DI DIO E' DIMOSTRABILE ?


Motivi contrari

Sembra che l'esistenza di Dio non sia dimo­strabile.

Infatti:

1. L'esistenza di Dio è un articolo di fede. Ora le cose di fede non si possono dimostrare perché la dimostrazione genera la scienza, men­tre la fede riguarda solo le cose non evidenti, come assicura l'Apostolo. Dunque non si può dimostrare l'esistenza di Dio.

2. Il termine medio di una dimostrazione si desume dalla natura del soggetto. Ma, di Dio, noi non possiamo conoscere la natura o ciò che è. Possiamo sapere solo ciò che non è, come os­serva Giovanni di Damasco. Dunque non pos­siamo dimostrare che Dio esiste.

3. Anche se si potesse dimostrare che Dio esiste, ciò avverrebbe solo movendo dai suoi ef­fetti. Ma questi non sono proporzionati al suo essere, giacché egli è infinito, mentre i suoi effet­ti sono finiti. Tra il finito e l'infinito non vi è al­cuna proporzione. Allora, dal momento che non si può risalire, per via di dimostrazione, ad una causa partendo da un effetto senza proporzione rispetto ad essa, ne risulta che non si può dimo­strare l'esistenza di Dio.

Motivo a favore

Dice san Paolo: «Le qualità invisibili di Dio si rendono a noi visibili per mezzo del mondo crea­to». Ora ciò non sarebbe vero se non si potesse dimostrare l'esistenza di Dio, movendo dal creato, poiché la prima cosa che bisogna conoscere intor­no a un dato soggetto è se esso esista.

Risposta conclusiva

Ci sono due specie di dimostrazioni: una par­te dalla causa e viene chiamata propter quid perché muove da ciò che in sé ha una proprietà logica. L'altra parte dagli effetti ed è chiamata dimostra­zione quia perché muove da cose che hanno una priorità soltanto rispetto a noi. Ogni volta che un effetto ci è più noto della causa da cui deriva, noi ci serviamo di esso per conoscere la causa.

Comunque, movendo da qualche effetto si può dimostrare l'esistenza della sua causa (natu­ralmente a condizione che gli effetti siano per noi più noti della causa). E ciò perché, dal momento che l'effetto dipende dalla causa, una volta che c'è un effetto è necessario ammettere la preesistenza della causa. Pertanto, dal momento che l'esistenza di Dio non è evidente per noi, essa può essere di­mostrata per mezzo degli effetti a noi più noti.

Risposta ai motivi contrari

1. L'esistenza di Dio e altre verità di lui che si possono conoscere con la sola ragione, al dire dell'Apostolo, non sono articoli di fede, ma preliminari agli articoli di fede. Difatti la fede suppone la conoscenza naturale, così come la grazia presuppone la natura e, in generale, la perfezione suppone ciò che può esser perfeziona­to. Nulla però impedisce che una causa - di per sé dimostrabile e oggetto di conoscenza razionale - sia accolta come oggetto di fede da chi non ar­riva a comprenderne la dimostrazione.

2. Quando si vuol dimostrare una causa me­diante un effetto, è necessario mettere l'effetto al posto della definizione della causa, per dimostra­re appunto l'esistenza della causa stessa. E ciò si verifica specialmente per Dio. Poiché, per prova­re l'esistenza d'una realtà, è necessario accogliere come termine medio la sua definizione nominale, e non già la sua essenza, dal momento che la ri­cerca dell'essenza di una realtà è posteriore alla ricerca della sua esistenza. Ora i nomi da noi at­tribuiti a Dio derivano dai suoi effetti, come sarà dimostrato in seguito. Dunque, nel dimostrare l'esistenza di Dio movendo da un suo effetto, possiamo accogliere come termine medio la defi­nizíone nominale di Dio.

3. È vero che da effetti non proporzionati alla causa non si può raggiungere di quest'ultima una conoscenza perfetta. Ma, movendo da qualunque effetto, noi possiamo dimostrare con tut­ta evidenza l'esistenza della causa. Così, partendo da opere di Dio, se ne può dimostrare l'esistenza benché, mediante tali opere, non ci sia possibile conoscere perfettamente l'essenza di Dio.


[Modificato da Coordin. 21/11/2011 09:09]
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