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QUANTO E' PROBABILE CHE LA SINDONE SIA AUTENTICA ?

Ultimo Aggiornamento: 29/05/2017 10:35
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11/02/2010 15:28
 
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Perchè ci occupiamo della Sindone?



Perchè riteniamo che sia il DOCUMENTO più straordinario per l'intera umanità, accanto ai Vangeli e a conferma di essi, in quanto, in base a tutte le risultanze e le analisi fatte, può essere considerato il Vangelo scritto col proprio sangue da Cristo stesso !!!


In questo studio viene analizzato in dettaglio ogni singola risultanza derivante dagli studi fatti sulla Sindone e la conclusione statistico-matematica è che non vi possono essere dubbi circa il fatto che quel Telo abbia avvolto lo stesso protagonista descritto nei Vangeli: Gesù di Nazareth!

Questo significa che abbiamo tra le mani un oggetto analizzato sotto tutti gli aspetti scientifici e che ci rimanda direttamente ai fatti di 2000 anni fa, come una fotografia che ha ripreso il momento culminante della vita dell'uomo che vi è rimasto avvolto, ma che oltre ad essere una foto, è stato segnato dal suo stesso sangue, che ci testimonia silenziosamente di tutte le sofferenze patite ma anche del fatto che non avendo alterazioni nei bordi, non è stato rimosso da mano umana.


[Modificato da Credente 11/06/2015 14:23]
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11/02/2010 15:37
 
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[Modificato da Credente 23/11/2011 18:54]
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11/02/2010 15:38
 
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[Modificato da Credente 07/03/2011 22:46]
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[Modificato da Credente 07/03/2011 22:47]
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11/02/2010 15:57
 
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5) CONCLUSIONI

È stato applicato un modello probabilistico, sviluppato dagli stessi autori in un altro lavoro, a 100 affermazioni risultanti dalle ricerche finora eseguite sulla Sindone di Torino.

Sono state definite tre diverse possibili alternative riguardanti l’origine della ST: l’alternativa A (autentica) afferma che la ST abbia avvolto il corpo di Gesù, l’alternativa F (falsa) afferma che la ST è di origine medievale, mentre l’alternativa N (non autentica, ma nemmeno falsa medievale) considera tutte le altre possibili origini, non escluso il miracolo.

A ciascuna affermazione sono stati assegnati 7 coefficienti di cui i primi tre in riferimento alla probabilità che sia verificata l’alternativa A, F oppure N, i secondi tre in riferimento alle corrispondenti incertezze

nell’assegnazione delle probabilità ed infine un peso assegnato in relazione all’importanza

dell’affermazione.

I 700 coefficienti assegnati dagli autori alle 100 affermazioni sono stati inseriti nel modello probabilistico per definire il grado di attendibilità delle tre diverse alternative.

Risulta che la ST è autentica con probabilità del 100% e corrispondente incertezza pari a 10
-83; l’alternativa F ha una probabilità dello 0% e corrispondente incertezza pari a 10-183, l’alternativa N ha una probabilità dello 0% e corrispondente incertezza pari a 10-83. Ciò equivale ad affermare che è più probabile fare uscire per 52 volte consecutive uno stesso numero al gioco della roulette piuttosto che affermare che la ST non sia autentica.

Successivo sviluppo del lavoro è quello di fare assegnare i coefficienti probabilistici delle stesse affermazioni ad altri ricercatori e di confrontare quindi i risultati ottenuti.

[Modificato da Credente 17/03/2012 21:28]
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11/02/2010 16:02
 
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Cercare altre evidenze oltre tutte quelle addotte, studiate, verificate, significherebbe voler continuare a mantenere gli occhi chiusi di fronte a una realtà che invece ci aiuta e ci conferma nella nostra Fede, che certo non si basa sulla Sindone, ma che dalla Sindone trae un motivo molto forte per affermare che vi è un Documento che nessuno può ignorare, e che avvalora le cose in cui crediamo.
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19/02/2010 23:01
 
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LA SINDONE SECONDO I VANGELI

La Sindone

Che cosa è la Sindone? Secondo la tradizione, la Sindone è il lenzuolo dove fu avvolto, da Giuseppe d'Arimatèa, il corpo di Cristo dopo essere stato deposto dalla croce.
Ripercorriamo questo fatto attraverso la lettura dei Vangeli:

Matteo 27:57..61

<<[57]Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatèa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù. [58]Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato. [59]Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo [60]e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò. [61]Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria.>>.

Marco 15:42..47

<<[42]Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato, [43]Giuseppe d'Arimatèa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù. [44]Pilato si meravigliò che fosse gia morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo. [45]Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe. [46]Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro. [47]Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.>>

Luca 23:50..56

<<[50]C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta. [51]Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatèa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio. [52]Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù. [53]Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto. [54]Era il giorno della parascève e gia splendevano le luci del sabato. [55]Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù, [56]poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.>>

Giovanni 19:38..42

<<[38]Dopo questi fatti, Giuseppe d'Arimatèa, che era discepolo di Gesù, ma di nascosto per timore dei Giudei, chiese a Pilato di prendere il corpo di Gesù. Pilato lo concesse. Allora egli andò e prese il corpo di Gesù. [39]Vi andò anche Nicodèmo, quello che in precedenza era andato da lui di notte, e portò una mistura di mirra e di aloe di circa cento libbre. [40]Essi presero allora il corpo di Gesù, e lo avvolsero in bende insieme con oli aromatici, com'è usanza seppellire per i Giudei. [41]Ora, nel luogo dove era stato crocifisso, vi era un giardino e nel giardino un sepolcro nuovo, nel quale nessuno era stato ancora deposto. [42]Là dunque deposero Gesù, a motivo della Preparazione dei Giudei, poiché quel sepolcro era vicino.>>

I tre vangeli Sinottici specificano che il corpo di Gesù fu avvolto in un lenzuolo, mentre Giovanni da questo per scontato e passa alla fase successiva (e lo avvolsero in "bende") come ben vedremo in seguito... 

Dopo la sepoltura, che cosa accadde? Il Vangelo di Matteo aggiunge un particolare rispetto agli altri tre, particolare che prepara al successivo annuncio della risurrezione.

Matteo 27:62..66

<<[62]Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo: [63]«Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò. [64]Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: E' risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!». [65]Pilato disse loro: «Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete». [66]Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.>>.


Il sepolcro "vuoto" (Gv 20: 1..10)


<<[1]
Nel giorno dopo il sabato, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di buon mattino, quand'era ancora buio, e vide che la pietra era stata ribaltata dal sepolcro. [2]Corse allora e andò da Simon Pietro e dall'altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l'hanno posto!». [3]Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. [4]Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. [5]Chinatosi, vide le bende per terra, ma non entrò. [6]Giunse intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entrò nel sepolcro e vide le bende per terra, [7]e il sudario, che gli era stato posto sul capo, non per terra con le bende, ma piegato in un luogo a parte. [8]Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette. [9]Non avevano infatti ancora compreso la Scrittura, che egli cioè doveva risuscitare dai morti. [10]I discepoli intanto se ne tornarono di nuovo a casa.>>

Innanzitutto è bene precisare che la sindone, di cui parlano i Sinottici ed il sudario di Giovanni non sono la solita cosa, ma sono due cose distinte; infatti molti hanno fatto e fanno confusione tra i due al punto di identificarli entrambi come se fossero la medesima cosa. E' sotto l'influsso delle parole evangeliche che sindone e sudario hanno assunto un significato funerario, mentre in realtà altro non erano che:un mero lenzuolo di tela (sindone), ed un comune fazzoletto che serviva per detergere, come dice la parola stessa, il sudore (sudario). Gli ebrei usavano seppellire i morti con le loro vesti, ma nel caso dei condannati a morte le vesti finivano in mano ai soldati, pertanto ci si doveva preoccupare di rivestire il cadavere. A tale scopo Giuseppe d'Arimatea comprò un rotolo di tela di alcuni metri, di cui si servì per ritagliare i pezzi necessari (sindone, sudario, "bende") per ricoprire, avvolgere e legare il corpo di Gesù. L'avvolgimento del cadavere nella sindone era necessario per due motivi: in primo luogo, evitare di toccare direttamente il cadavere così da non incorrere in una grave impurità; in secondo luogo, per una precisazione della Legge ebraica, che imponeva di non lasciare disperdere il sangue dalle ferite di chi fosse morto in modo traumatico. Per l'ebraismo il sangue rappresenta l'uomo stesso: si imponeva di seppellire con il morto anche le zolle di terra su cui qualche goccia fosse caduta.

La fede nel Cristo risorto, secondo l'evangelo di  Giovanni, nasce per la prima volta proprio qui, in questo episodio ed esattamente in quel vide e credette. Vedere per credere: è questa la pedagogia usata da Gesù, il quale lascia dei segni, dei segnali che preparano e conducono sulla strada della resurrezione: la pietra ribaltata ed il sepolcro "vuoto" ne sono, appunto, un esempio. Ma che cosa videro i due discepoli ? I versetti che ci descrivono il sepolcro trovato da Pietro e Giovanni presentano un aspetto insieme ordinato e disordinato: sia la sparizione del cadavere che la disposizione delle vesti funerarie trovata, sembrano lanciare un messaggio ambiguo, aperto a tutte le interpretazioni e che non giustifica di certo quel vide e credette

La pietra ribaltata, le vesti funerarie disposte casualmente ed il sepolcro senza cadavere non sono di certo indizi sufficienti per condurre ad un fede fulminea nella resurrezione, espressa da Giovanni, evangelista  e testimone oculare, con quel netto e deciso vide e credette. E questo vale in particolar modo per i discepoli, i quali stavano vivendo, in quelle ore, un profondo sentimento di delusione, di sconfitta, di sgomento e di disperazione per la miserabile ed umiliante fine che aveva fatto il loro Maestro, nel quale avevano riposto ogni speranza e per il quale avevano lasciato tutto. 

Non c'è dubbio: i primi due pellegrini a quello che ormai era il Santo Sepolcro osservarono qualcosa di singolare, d'unico, d'irripetibile e d'estremamente convincente che li portò a credere che Gesù era veramente risorto! Non può essere stato altrimenti. Ma quale mirabile segno lasciato da Gesù ebbero modo di ammirare  e constatare Pietro e Giovanni in quel sepolcro ? 

Matteo 12:38..42

<<[38]Allora alcuni scribi e farisei lo interrogarono: «Maestro, vorremmo che tu ci facessi vedere un segno». Ed egli rispose: [39]«Una generazione perversa e adultera pretende un segno! Ma nessun segno le sarà dato, se non il segno di Giona profeta. [40]Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell'uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. [41]Quelli di Nìnive si alzeranno a giudicare questa generazione e la condanneranno, perché essi si convertirono alla predicazione di Giona. Ecco, ora qui c'è più di Giona! [42]La regina del sud si leverà a giudicare questa generazione e la condannerà, perché essa venne dall'estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone; ecco, ora qui c'è più di Salomone!>>.

Matteo 16:1..4

<<[1]I farisei e i sadducei si avvicinarono per metterlo alla prova e gli chiesero che mostrasse loro un segno dal cielo. [2]Ma egli rispose: «Quando si fa sera, voi dite: Bel tempo, perché il cielo rosseggia; [3]e al mattino: Oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l'aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi? [4]Una generazione perversa e adultera cerca un segno, ma nessun segno le sarà dato se non il segno di Giona». E lasciatili, se ne andò.>>.

Dopo tutte le guarigioni miracolose operate da Gesù, dopo il miracolo della moltiplicazione dei pani ove Gesù sfama più di 5000 persone, dopo aver resuscitato la figlia di Giairo, dopo aver dato prova di dominare le forze della natura (camminando sull'acqua,  sedando la tempesta...) e dopo aver liberato alcuni indemoniati, gli scribi, i farisei ed i sadducei hanno la sfrontatezza di chiedere un segno spettacolare. Gesù risponde che un segno sarà dato, ma uno ed uno soltanto: la sua resurrezione dai morti. Questa è la prova incontrovertibile che Egli è veramente colui che afferma di essere: il Figlio di Dio, il Messia atteso dai profeti!

Il segno di Giona: Nella tradizione giudaica il profeta Giona era famoso per la sua liberazione miracolosa, ad opera di Dio, dal ventre del pesce che lo aveva inghiottito e nel quale vi era stato tre giorni e tre notti. Gesù vede in Giona chiuso nel ventre del pesce la permanenza di Cristo nel sepolcro. In modo velato Egli annuncia la sua vittoria finale sulla morte, come Giona infatti fu liberato e riuscì nella missione che Dio gli aveva affidato. In un certo senso, sempre per analogia con Giona, Gesù annunzia anche la predicazione futura dei suoi discepoli, in quanto Giona a seguito della sua liberazione và a predicare a Nìinive, città di pagani. Gli abitanti di Nìnive si convertirono, mentre, come Gesù qui predice, i giudei non si convertiranno e la salvezza sarà offerta anche ai pagani.

La Resurrezione di Gesù è un fatto, una realtà: i due discepoli nel sepolcro osservarono il segno tangibile di questo grande miracolo, di questa liberazione dalla schiavitù della morte. Anche le guardie che vigilavano il sepolcro hanno visto quello che Pietro e Giovanni videro nel sepolcro e  lo riferirono ai loro capi. E' questo l'unico segno tangibile che Gesù ha voluto lasciare per tutti, specialmente per i non credenti. Infatti sappiamo che Gesù è apparso ai suoi discepoli diverse volte ed in diversi modi; si è fatto toccare, ha mangiato con loro e li ha ammaestrati, ha quindi dato, a quelli della sua cerchia, molte prove e molti segni di Resurrezione (Atti 1:3). Tuttavia non è apparso ai suoi avversari, non si è mostrato loro risorto, vittorioso, non si è rivendicato... cosa alquanto divina e poco umana, pienamente coerente con la logica evangelica (i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini) ed indizio di autenticità dei Vangeli. Non trattandosi dunque di apparizioni, poiché i non amici  non avrebbero avuto diritto, di che cosa si tratta ? E' la prova sensibile, tangibile, visibile, constatabile ed inconfutabile di Resurrezione che Gesù ha voluto lasciare per condurci alla fede.  

Alcuni studiosi molto attenti al problema, tra cui don Antonio Persili e Vittorio Messori, hanno analizzato a fondo i versetti in questione dall'originale greco ed hanno scoperto che i traduttori hanno mal interpretato il passo in questione prendendo dei gravi abbagli e stravolgendo così la traduzione al punto da non far comprendere più quel vide e credette.

Ecco qui di acchito la corretta traduzione dei versetti interessati (Gv 20: 3..8):

<<Uscì allora Simon Pietro insieme all'altro discepolo, e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l'altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Chinatosi, scorge le fasce distese, ma non entrò. Giunge intanto anche Simon Pietro che lo seguiva ed entra nel sepolcro e contempla le fase distese e il sudario, che era sul capo di lui, non disteso con le fasce, ma al contrario avvolto in una posizione unica. Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette.>>.

Analizziamo le differenze:

Nella traduzione ufficiale viene utilizzato il verbo "vedere" per ben tre volte nel passo in questione, mentre nell'originale greco Giovanni utilizza tre verbi distinti: scorgere, contemplare, vedere (blépei, theçrei, eìden), che esprimono una progressione nella ricognizione del sepolcro e nella presa di coscienza della avvenuta Resurrezione... Si inizia con scorgere, ovvero constatare con perplessità, per poi contemplare, ovvero ammirare, guardare attentamente, esaminare per poi finire con  vedere pienamente, così da comprendere e da credere. Questa scelta precisa dei verbi utilizzati da Giovanni è molto importante poiché ci mostra dei particolari essenziali per la comprensione dell'epilogo e della visione del sepolcro. Nella traduzione ufficiale, questi particolari essenziali si perdono completamente poiché viene utilizzato sempre il verbo vedere, creduto sinonimo.

Anche il sostantivo "bende" viene utilizzato per ben tre volte nel passo in questione, ma in realtà queste sono fasce (originale greco: othònia). Bende erano quelle che legavano il cadavere di Lazzaro e per indicare le quali lo stesso Giovanni utilizza un diverso sostantivo (11:44). Le fasce, erano più alte delle bende. Queste avvolsero tutto il corpo di Gesù fino al collo, escludendo solo la testa. Tale legatura aveva lo scopo di stringere la sindone al corpo che lo avvolgeva e la funzione di impedire quella troppo rapida evaporazione del liquido aromatico che si sarebbe verificata se la sindone fosse stata a contatto diretto con l'aria. Ecco perché Giovanni, giunto al sepolcro per primo, scorse le fasce distese  e non vide il lenzuolo: la sindone era avvolta dalle fasce, ma era intatta, non manomessa, non trafugata. Anche Luca che ci aveva descritto la sepoltura con il lenzuolo (Lc 23:50..56), racconta che Pietro corso al sepolcro vide solo "le bende", cioè le fasce e tornò a casa pieno di stupore per l'accaduto (Lc 24:12)

Sulla testa invece, già coperta dalla sindone, fu soprapposto il sudario. Questa copertura ulteriore serviva sempre per i medesimi scopi delle fasce, ma in aggiunta aveva la funzione di non lasciare in disordine le piegature del lenzuolo all'altezza del volto, visto che tutto il resto del corpo era ordinatamente fasciato. Probabilmente risultò anche necessaria poiché le ferite al volto e al capo, dovute tra l'altro alla corona di spine, furono fonte di una abbondante emorragia che inzuppò cospicuamente  il lenzuolo di sangue. In realtà anche a Gesù fu applicato, prima della sindone, un'altro sudario che fungeva da mentoniera, ovvero impediva la vista disdicevole della bocca spalancata. E' anche per questo motivo che l'evangelista Giovanni precisa che Pietro ha visto il sudario che stava all'esterno, sul capo di Gesù, e non quello che stava all'interno, intorno al capo di Gesù. 

"per terra" nell'originale greco è keìmena, ovvero il participio passato del verbo keìmai, che significa giacere, essere disteso, seduto, steso, orizzontale; si dice di una cosa bassa in opposizione ad una elevata, eretta. Dunque keìmena tà  othònia si deve tradurre con le fasce distese. Giovanni vuole dirci che prima le fasce erano rialzate, poiché all'interno c'era il cadavere di Gesù, mentre adesso le fasce sono distese, abbassate, giacendo nel medesimo posto in cui si trovavano quando contenevano il cadavere di Gesù.

"ma piegato in un luogo a parte" è purtroppo l'infelice traduzione che la CEI adotta per "allà chorìs entetyligménon eis éna tòpon" e che distrugge la mirabile descrizione dell'evangelista, lunga un' intero versetto,  riguardo alla posizione assunta dal sudario che era stato messo sulla testa di Gesù. Innanzi tutto "piegato" risulta essere la traduzione arbitraria del participio greco entetyligménon, mentre la corretta traduzione è avvolto. Infatti  il verbo entylìsso corrisponde ai verbi "avvolgo, involgo, ravvolgo", che deriva a sua volta dal sostantivo entylé che corrisponde a "coperta, accappatoio", quindi ad oggetti che servono per avvolgere e non per piegare. L'avverbio "chorìs" in italiano significa: "separatamente, a parte, in disparte", ma in senso traslato può significare: "differentemente, al contrario". Qui si vuol dare all'avverbio "chorìs" il significato traslato perché la logica della testimonianza consiste nell'opporre la posizione assunta dalle fasce (distese) a quella, diversa, assunta dal sudario (avvolto). "allà" è l'avversativo "ma" che lega con "chorìs", quindi la prima parte (allà chorìs entetyligménon) si deve tradurre con: "ma al contrario avvolto". Le parole greche "eis éna tòpon", stando al senso immediato si traducono con "in un luogo" ed è per questo che la CEI costruisce la frase "in un luogo a parte", utilizzando "chorìs" in senso locale. Tuttavia la parola greca "tòpos" va intesa come "posizione" e non come "luogo", infatti Giovanni impiega l'intero versetto 7 per descriverci questa posizione particolare assunta dal sudario. La preposizione "eis" e l'aggettivo numerale "èna" in italiano significano rispettivamente "in" ed "uno", tuttavia "eis" nel Nuovo Testamento è usato solo raramente come numerale e per lo più significa: "solo, unico, incomparabile, oppure dotato di una validità unica...". Dunque unico è il significato che Giovanni vuole dare ad "éna" e quindi il sudario era avvolto in una posizione unica, nel senso di singolare, eccezionale, irripetibile. Infatti mentre avrebbe dovuto essere disteso sulla pietra con le fasce, era invece rialzato e avvolto, anche se ormai non avvolgeva più nulla. La  posizione del sudario appare unica per eccellenza agli occhi di Pietro e Giovanni, perché è una sfida alla forza di gravità. Concludendo l'analisi delle differenze "eis éna tòpon" va tradotto: "in una posizione unica"

Alla luce di quanto sopra ecco spiegate le ragioni di quell'improvviso e deciso vide e credette, che l'infelice traduzione ufficiale non giustificava, anzi lasciava alquanto increduli...

Ricapitolando, ecco dunque cosa osservarono  i due discepoli: videro le fasce che avvolgevano la sindone come svuotate dall'interno, tuttavia intatte, non manomesse, non trafugate, ed il sudario che gli era stato posto sul capo avvolto in una posizione unica, ovvero sempre nella medesima posizione di avvolgimento, anche se ormai non avvolgeva più nulla e quindi era una sfida alla forza di gravità. Da questa visione, Giovanni realizzò che la sparizione del corpo di Gesù non era un fatto stato possibile per mano di uomo e quindi capì che il Signore era veramente risorto e credette. 

In seguito avranno poi guardato la sindone, notando che recava l'immagine del Risorto. Un'antica anfora mozarabica canta: <<Pietro e Giovanni corsero al sepolcro e videro nella Sindone le recenti impronte del Morto che era risuscitato…>>. Tuttavia, come il Vangelo ci ricorda, non avevano capito chiaramente la Scrittura in merito alla resurrezione di Gesù dai morti. La capiranno pienamente in seguito, quando scenderà lo Spirito Santo su di loro a Pentecoste e quando Gesù risorto stesso, spiegherà loro le scritture in merito a Lui, a partire da quella stessa sera, quando apparve in mezzo a loro a porte chiuse (Gv 20:19..29).

La prima indicazione scritta su ciò che avvenne della Sindone dopo il suo ritrovamento nel sepolcro vuoto, la ritroviamo nel "Vangelo degli Ebrei": fu ricevuta in custodia da Pietro. Il Telo sindonico era ricettacolo della più grave impurità religiosa perché usato su un cadavere, insanguinato, e contaminato ritualmente. Tale impurità se la trascinava addosso, diffondendola a chiunque l'avesse toccato. Nella cultura ebraica, la purezza tradizionale aveva un ruolo molto sentito, perciò chi si prese il rischio di conservarlo, lo fece con ogni possibile cautela. Sicuramente fu qualcuno che aveva vissuto quelle ore affettivamente molto vicino all'Ucciso. Chi nel nostro secolo ha scetticamente preteso documentazioni circostanziate sui primissimi anni della sua storia, non ha realisticamente valutato i timori e le tensioni che i suoi custodi si sono trovati a vivere. E' da ricordare inoltre che i cristiani, nei primi secoli, hanno vissuto, per così dire, in clandestinità, poiché perseguitati.

Oggi la Sindone è conservata nel Duomo di Torino, sin dal 1578. Ma vediamo di ripercorrere le principali date della sua storia nel corso dei secoli:

7 Aprile del 30 d.C.

Gesù, calato dalla croce, fu avvolto in un candido lenzuolo e sepolto in una tomba nuova, scavata sulla roccia. La mattina di Pasqua questo lenzuolo viene trovato vuoto. Nell'ambiente ebraico, un lenzuolo che ha avvolto un morto, per di più di un bestemmiatore, è considerato oggetto impuro, dunque da non esporre, perciò resta nascosto.

II° Sec.

Si parla di un Santo Volto di Cristo, su stoffa, venerato ad Edessa, oggi Urfa, Turchia.

525

Durante un restauro, a Edessa viene alla luce un'immagine achiròpita, cioè non fatta da mani umane, detta Mandylion, che significa telo o fazzoletto.

944

Il Mandylion è portato a Costantinopoli. Alla Sindone si ispira la leggenda delle gambe asimmetriche del Crocifisso, che si ritrovano nell'arte curva bizantina e nelle croci russe che hanno il poggiapiedi inclinato.

1147

A Costantinopoli, il re di Francia, Luigi VII, venera la Sindone.

1171

Manuele I Comneno mostra ad Amalrico, re dei Latini di Gerusalemme, le reliquie della passione, tra cui la Sindone.

1204

Robert de Clary, cronista alla IV Crociata, scrive che "tutti i venerdì la Sindone è esposta a Costantinopoli... ma nessuno sa dove sia andata a finire dopo che fu saccheggiata la città". La Sindone è nascosta per timore della scomunica comminata ai ladri di reliquie.

1307

I Templari sono condannati come eretici anche per il culto segreto d'un Volto Santo che pare riprodotto dalla sindone. Uno di loro sì Chiamava Geoffroy de Charny.

1356

Geoffroy de Charny, cavaliere crociato omonimo del precedente, consegna la Sindone, in suo possesso da almeno tre anni, ai canonici di Lirey, presso Troyes, in Francia.

1389

Pierre d’Aricis, vescovo di Troyes, proibisce l’ostensione della Sindone.

1390

Clemente VII, antipapa di Avignone, tratta della Sindone in due Bolle.

1453

Marguerite de Charny, discendente di Geoffroy, cede la Sindone ad Anna di Lusignano, moglie del duca Ludovico di Savoia, che la custodirà a Chambéry.

1506

Papa Giulio II approva l'Ufficiatura della Sindone.

1532

Nella notte fra il 3 e il 4 dicembre, incendio a Chambéry: l'urna della Sindone ha un lato arroventato ed alcune gocce di metallo fuso attraverso i diversi strati ripiegati. Due anni dopo le Clarisse cuciranno i rattoppi oggi visibili.

1535

Per motivi bellici il Lenzuolo è trasferito a Torino e successivamente a Vercelli, Milano, Nizza e di nuovo Vercelli; qui rimane fino al 1561.

1578

Emanuele Filiberto trasferisce la Sindone a Torino, per abbreviare il viaggio a san Carlo Borromeo che vuole venerarla per sciogliere un voto. Ostensioni pubbliche, per particolari celebrazioni di casa Savoia o per i giubilei, si succedono circa ogni 30 anni.

1694

La Sindone è sistemata nella Cappella annessa al Duomo di Torino, eretta da Guarino Guarini. Sebastiano Valfrè rinforza i rammendi.

1706

In giugno la Sindone viene trasferita a Genova a causa dell’assedio di Torino, al termine del quale, in ottobre, viene riportata nel capoluogo piemontese.

1898

Prima fotografia eseguita dall'avvocato Secondo Pia.

1931

Nuove fotografie del fotografo professionista Giuseppe Enrie.

1933

Ostensione per il XIX centenario della Redenzione

1939-1946

Durante la II° guerra mondiale, la Sindone viene nascosta nel Santuario di Montevergine ad Avellino.

1969

Ricognizione di esperti. Prime fotografie a colori di Giovanni Battista Judica Cordiglia.

1973

Il 23 novembre: ostensione televisiva in diretta.

1978

Dal 26 agosto all'8 ottobre: ostensione per il IV centenario del trasferimento della Sindone a Torino, e Congresso internazionale di studio.

1980

Durante la visita a Torino il 13 aprile, il papa Giovanni Paolo II ha modo di venerare la Sindone nel corso di un’ostensione privata.

1983

Il 18 marzo Uberto II di Savoia muore e nel testamento dona la Sindone alla Santa Sede. Per decisione papale, la reliquia resterà a Torino.

1988

Tentativo di datazione col metodo del radiocarbonio, che fa risalire la sindone al Medio Evo, circa 1260-1390.

1992

Il 7 settembre ci fu una ricongiunzione di esperti per studiare come garantire la migliore conservazione.

1993

La Sindone è temporaneamente trasferita dietro l'altar maggiore del Duomo di Torino durante i restauri della Cappella del Guarini.

1995

Lo scienziato russo Dmitri Kouznetsov dimostra sperimentalmente che l'incendio del 1532 ha modificato la quantità di carbonio radioattivo presente nella Sindone. Lo scambio è di grande entità: circa il 25% del totale. Di conseguenza la datazione ottenuta in precedenza è alterata ed in base a questo dato, la nuova datazione può essere ricondotta al I° secolo d.C.

1997

La notte tra l'11-12 aprile un furioso incendio rovina la Cappella del Guarini e l'attiguo palazzo reale. La Sindone viene portata in salvo appena in tempo e sembra proprio che non abbia subito danni.

1998

Dal 18 Aprile al 14 Giugno, ostensione pubblica per il centenario della prima fotografia.

2000

Dal 12 Agosto al 22 Ottobre, ostensione per il Giubileo.

Adesso

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27/02/2010 00:02
 
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Ecco l´uomo che firmò la Sindone

di Michele Smargiassi
in “la Repubblica” del 20 novembre 2009
Nessun Vangelo, neppure gli apocrifi, parla di lui, lo scriba dell´atto di sepoltura di Gesù. I grandi
libri della fede preferiscono i personaggi grandiosi agli sbiaditi comprimari rimasti al di qua del
bene e del male. Eppure eccolo riemergere da duemila anni di oblio, così stagliato che par di
vederlo. Un funzionario dell´Impero romano, un anziano impiegato ebreo della morgue di
Gerusalemme, mano tremolante, parsimonioso, sbrigativo ma accurato. In una Deposizione barocca
potremmo immaginarlo un po´ in disparte, intento a stilare i documenti richiesti dalla minuziosa
burocrazia imperiale per il rilascio del cadavere di un giustiziato. Non sappiamo il suo nome. Ma
quello scritto, che per lui era solo l´incombenza quotidiana di un poco gratificante mestiere, ora lo
possediamo. Forse per gli anni passati a inseguirlo, forse per la familiarità coi misteri che deve
avere una Ufficiale degli Archivi segreti del Vaticano, Barbara Frale non sembra emozionata nel
confermarci quello che potrebbe essere uno dei ritrovamenti più sorprendenti dell´era cristiana: «Sì,
penso di essere riuscita a leggere il certificato di sepoltura di Gesù il Nazareno». E quel che pare
esservi scritto non solo accredita, ma arricchisce il racconto degli evangelisti.
È stato, per la verità, sotto i nostri occhi per secoli, impresso come una fotocopia sul telo più
venerato della storia, la Sindone di Torino; ma per estrarlo di lì occorreva frugare il lino fibra per
fibra, con sapere archeologico, storico, paleografico. Ciò che la dottoressa Frale assicura di aver
decifrato, e come lo ha fatto, ce lo racconta lei stessa nel volume La sindone di Gesù Nazareno (Il
Mulino, 375 pagine, 28 euro), sul quale prevedibilmente si scateneranno le controdeduzioni degli
specialisti. Ma questo è il meno: se Frale vede giusto, allora si riapre clamorosamente, proprio alla
vigilia della nuova ostensione torinese prevista in primavera, non solo la questione della datazione
della Sindone, ma quella ben più scottante della sua autenticità come «la reliquia più splendida della
Passione» (Giovanni Paolo II) e non più come semplice «icona veneranda» (cardinal Ballestrero).
La presenza di scritture sulla Sindone è nota da oltre trent´anni. Stringhe di caratteri latini greci e
ebraici circondano il volto dell´Uomo, impresse in negativo: macchie chiare visibili solo dove si
sovrappongono al colore rossastro che disegna l´immagine più controversa del mondo. Se ne
accorse per primo nel 1978 il chimico Piero Ugolotti esaminando alcuni negativi fotografici del
Telo, e sentendosi incompetente a decifrarle chiamò in aiuto il classicista Aldo Marastoni. Altri
studiosi, francesi e italiani, recuperarono poi nuovi frammenti di vocaboli. L´insieme sembrava
promettente: iber poteva essere un moncone di Tiberios, nome dell´imperatore regnante al tempo
della Passione; l´apparente neazare suggeriva ovviamente un nazarenos, e quell´innece(m) poteva
alludere alle circostanze di una morte. Il senso, però, restava un puzzle insolubile. A che genere di
testo appartenevano quelle parole, ma prima ancora: come si stamparono sul lino?
Reperti che presentano ricalchi e impressioni delle scritture con cui vennero casualmente a contatto
non sono rari in archeologia: tavolette d´argilla, persino strati di fango ci hanno trasmesso testi il cui
supporto originario è andato perduto. Il metallo contenuto nell´inchiostro di un foglio venuto a
contatto con la Sindone può aver rilasciato sul telo particelle poi "rivelate" dalla misteriosa reazione
chimica che ha impresso l´immagine dei misteri. Ma di che foglio si trattava? Forse l´etichetta, la
cedola, di uno dei reliquiari che custodirono la Sindone quando era già oggetto di culto? Ad ogni
modo, quando nel 1988 la famosa e clamorosa prova del radiocarbonio stabilì per il Lenzuolo una
data di nascita tardomedievale, l´interesse per la questione delle scritte crollò a zero: a chi poteva
ormai interessare la presenza di complicati graffiti su una falsa reliquia?
Barbara Frale però è tra quanti non hanno mai creduto a quella datazione scientifica. Per lei, che ne
ha tracciato la storia nel suo recente I Templari e la Sindone, il telo di Torino è il bizantino
Mandylion di Edessa, trafugato durante il sacco di Costantinopoli del 1204, poi clandestinamente
adorato dai monaci guerrieri. Dunque le scritte possono risalire ai primi secoli dell´era cristiana.
Devono, anche? Non mancherà chi accusi la ricercatrice di aver forzato le sue ipotesi per arrivare
alla spiegazione più clamorosa. Lei lo mette in conto, e replica: «Non ho voluto dimostrare verità di
fede. Io sono cattolica, ma tutti i miei maestri sono stati atei o agnostici, l´unico credente era ebreo.
Il mio libro non si esprime sull´origine miracolosa o meno dell´immagine della Sindone. Fin dall
´inizio mi sono imposta, anche per disinnescare l´emozione che avrebbe potuto travolgermi, di
lavorare come avrei fatto su qualsiasi reperto archeologico».
Frale procede per deduzione, confronto ed esclusione, come un detective. Impossibile, è la sua
prima conclusione, che quelle scritte provengano da un testo scritto da cristiani; infatti, osserva, se
oggi è abituale chiamare Gesù "il Nazareno", quell´appellativo diventò pressoché eretico per i fedeli
dei primi secoli: troppo legato alla sola dimensione umana, terrena del Salvatore. «Sarebbe stata un
´offesa suprema scrivere Nazareno in un testo destinato al culto. Avremmo dovuto trovare invece
Cristo: ma di quella parola sulla Sindone non c´è traccia». Quelle parole straordinariamente salvate
dal ricalco, ne deduce, provengono da un documento pre-cristiano. E del tutto "laico". Parlano di
Gesù dal punto di vista di chi lo considera solo un uomo. Un documento "gesuano", dunque, non
"cristologico". Ma a che scopo ne parlano? Il confronto con le sepolture coeve, lo studio delle
procedure giudiziarie romane e dei regolamenti necrofori giudaici suggerisce alla fine questa
ipotesi: un povero corpo crocifisso dopo una condanna poteva essere riconsegnato ai parenti solo
dopo un anno di "purificazione" nella fossa comune; per identificarlo, evitando che si perdesse nel
caos del sepolcreto di Gerusalemme, i necrofori utilizzavano cartigli incollati con colla di farina all
´esterno del sudario già avvolto attorno al cadavere, a incorniciarne il volto nascosto dalla tela.
Corriamo avanti, alla ricostruzione finale proposta da Frale: un funzionario al servizio dell
´amministrazione romana, attingendo ai documenti del processo e nel rispetto delle leggi sulle
inumazioni, redige con la mano un po´ tremolante (per l´età?) e con calligrafia un po´ demodé ma
ancora in uso nel primo secolo una sorta di "bolla di accompagnamento necroforo", come i cartellini
appesi ancor oggi all´alluce dei cadaveri negli obitori; un informale certificato di sepoltura che,
visto lo scopo pratico, può essere steso su sparsi scampoli di papiro e vergato in fretta, con errori e
incertezze ortografiche. Frale riprende là dove la decifrazione si era arenata, lancia nuove ipotesi,
corregge quelle vecchie, completa le lacune, ricorre ai vocabolari greco, latino ed ebraico e alla fine
propone la sua lettura. Eccola: quel testo riferisce di un certo (I)esou(s) Nnazarennos che nell´anno
16 dell´impero di (T)iber(iou), una volta "deposto sul far della sera", (o)psé kia(tho), dopo essere
stato condannato "a morte", in nece(m), da un giudice romano "perché trovato", mw ms´, secondo la
denuncia di un´autorità che parlava ebraico (il Sinedrio?), colpevole di qualcosa, viene avviato a
sepoltura con l´obbligo di essere consegnato ai parenti solo dopo un anno esatto, ossia nel mese di
ada(r); c´è infine l´"io sottoscritto", o meglio "io eseguo", pez(o), del nostro umile burocrate.
Tutto torna, il puzzle va miracolosamente a posto. L´anno 16 di Tiberio è l´anno 30 dopo Cristo, il
periodo è la primavera, l´ora è la nona, quella del Golgota, le parole superstiti di quella che potrebbe
essere una copia del verbale del processo (un testo greco lungo ma illeggibile appare sotto il mento)
coincidono con le espressioni che i Vangeli attribuiscono al Sinedrio di Caifa, quell´in necem
sarebbe dunque una citazione delle parole della sentenza del romano Pilato; la mescolanza di
citazioni in tre lingue non farebbe problema visto l´ambiente poliglotta in cui si muovono gli attori
della Passione. Questo complicato puzzle di parole, conclude Frale, è «l´anello mancante» tra dati
della storia e racconto del Vangelo. Tutto torna perfettamente. Magari un po´ troppo, dottoressa? «Io
ho incontrato un documento archeologico che parla della condanna e della sepoltura di un uomo di
nome Yeshua Nazarani: a lui ho intitolato il mio lavoro. Se quell´uomo fosse anche il Cristo, il
Figlio di Dio, non è compito mio stabilirlo»
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28/03/2010 17:10
 
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UNO STUDIO A CURA DI GIULIO FANTI CHE FORMULA L'IPOTESI DELLA RESURREZIONE A PARTIRE DALLE INSPIEGABILI CARATTERISTICHE DELL'IMMAGINE SINDONICA, E' SCARICABILE DAL COLLEGAMENTO:

http://www.4shared.com/file/251288029/e7629545/sindonresur.html

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02/04/2010 16:45
 
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STUDIO SUI POLLINI DEPOSITATI SULLA SINDONE

www.4shared.com/file/255295423/3bfb01f9/pollini_sindone.html?
[Modificato da AmarDio 02/04/2010 16:48]
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13/04/2010 12:00
 
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Dal blog di Antonio Socci

 

Sindone: le prove della resurrezione

“Tutta la terra desidera il tuo volto”. In questa frase della liturgia sta il segreto della Sindone che continua ad attrarre milioni di persone. E’ l’attrazione per colui che la Bibbia definiva “il più bello tra i figli dell’uomo”. E che qui è “fotografato” come un uomo macellato con ferocia.   

La Sindone non è solo “una” notizia oggi, perché inizia la sua ostensione. E’ “la” notizia sempre. Perché documenta – direi scientificamente – la sola notizia che – dalla notte dei tempi alla fine del mondo – sia veramente importante: la morte del Figlio di Dio e la sua resurrezione cioè la sconfitta della morte stessa.

Sì, avete letto bene. Perché la sindone non illustra soltanto la feroce macellazione che Gesù subì, quel 7 aprile dell’anno 30, con tutti i minimi dettagli perfettamente coincidenti con il resoconto dei vangeli, ma documenta anche la sua resurrezione: il fatto storico più importante di tutti i tempi, avvenuta la mattina del 9 aprile dell’anno 30 in quel sepolcro appena fuori le mura di Gerusalemme.

Che Gesù sia veramente vivo lo si può sperimentare – da duemila anni – nell’esperienza cristiana. Attraverso mille segni e una vita nuova. Ma la sindone porta traccia proprio dell’evento della sua resurrezione.

Ce lo dicono la medicina legale e le scoperte scientifiche fatte con lo studio dettagliato del lenzuolo per mezzo di sofisticate apparecchiature. Cosicché questo misterioso lino diventa una speciale “lettera” inviata soprattutto agli uomini della nostra generazione, perché è per la prima volta oggi, grazie alla moderna tecnologia, che è possibile scoprire le prove di tutto questo.

Cosa hanno potuto appurare infatti gli specialisti? In sintesi tre cose.

Primo. Che questo lenzuolo – la cui fattura rimanda al Medio oriente del I secolo e in particolare a tessitori ebrei (perché non c’è commistione del lino con tessuti di origine animale, secondo i dettami del Deuteronomio) – ha sicuramente avvolto il corpo di un trentenne ucciso (morto tramite il supplizio della crocifissione con un supplemento di tormenti che è documentato solo per Gesù di Nazaret).

Che ha avvolto un cadavere ce lo dicono con certezza il “rigor mortis” del corpo, le tracce di sangue del costato (sangue di morto) e la ferita stessa del costato che ha aperto il cuore.

Secondo. Sappiamo con eguale certezza che questo corpo morto non è stato avvolto nel lenzuolo per più di 36-40 ore perché, al microscopio, non risulta vi sia, sulla sindone, alcuna traccia di putrefazione (la quale comincia appunto dopo quel termine): in effetti Gesù – secondo i Vangeli – è rimasto nel sepolcro dalle 18 circa del venerdì, all’aurora della domenica. Circa 35 ore.

Terza acquisizione certa, la più impressionante. Quel corpo – dopo quelle 36 ore – si è sottratto alla fasciatura della sindone, ma questo è avvenuto senza alcun movimento fisico del corpo stesso, che non è stato mosso da alcuno né si è mosso: è come se fosse letteralmente passato attraverso il lenzuolo.

Come fa la sindone a provare questo? Semplice. Lo dice l’osservazione al microscopio dei coaguli di sangue.

Scrive Barbara Frale in un suo libro recente: “enormi fiotti di sangue erano penetrati nelle fibre del lino in vari punti, formando tanti grossi coaguli, e una volta secchi tutti questi coaguli erano diventati grossi grumi di un materiale duro, ma anche molto fragile, che incollava la carne al tessuto proprio come farebbero dei sigilli di ceralacca. Nessuno di questi coaguli risulta spezzato e la loro forma è integra proprio come se la carne incollata al lino fosse rimasta esattamente al suo posto”.

Lo studio dei coaguli al microscopio rivela che quel corpo si è sottratto al lenzuolo senza alcun movimento, come passandogli attraverso. Ma questa non è una qualità fisica dei corpi naturali: corrisponde alle caratteristiche fisiche di un solo caso storico, ancora una volta quello documentato nei Vangeli.

In essi infatti si riferisce che il corpo di Gesù che appare dopo la resurrezione è il suo stesso corpo, che ha ancora le ferite delle mani e dei piedi, è un corpo di carne tanto che Gesù, per convincere i suoi che non è un fantasma, mangia con loro del pesce, solo che il suo corpo ha acquisito qualità fisiche nuove, non più definite dal tempo e dallo spazio.

Può apparire e scomparire quando e dove vuole, può passare attraverso i muri: è il corpo glorificato, come saranno anche i nostri corpi divinizzati dopo la resurrezione.

Si tratta quindi di un caso molto diverso dalla resurrezione di Lazzaro che Gesù semplicemente riportò in vita. La resurrezione di Gesù – com’è riferita dai Vangeli e documentata dalla sindone – è la glorificazione della carne non più sottoposta ai limiti fisici delle tre dimensioni, l’inizio di “cieli nuovi e terra nuova”.

La “prova” sperimentale di questa presenza misteriosa di Gesù è propriamente l’esperienza cristiana: Gesù continua a manifestare la sua presenza fra i  suoi continuando a compiere i prodigi che compiva duemila anni fa e facendone pure di più grandi.

Ma la sindone documenta in modo scientificamente accertabile l’unico caso di morto che – anziché andare in putrefazione – torna in vita sottraendosi alla fasciatura senza movimento, grazie all’acquisizione di qualità fisiche nuove e misteriose, che gli permettono di smaterializzarsi improvvisamente e oltrepassare le barriere fisiche (come quella del lenzuolo stesso).

E’ esattamente ciò che si riferisce nel vangelo di Giovanni: quando Pietro e Giovanni entrano nel sepolcro dove erano corsi per le notizie arrivate dalle donne, si rendono conto che è accaduto qualcosa di enorme proprio perché trovano il lenzuolo esattamente com’era, legato attorno al corpo, ma come afflosciato su di sé perché il corpo dentro non c’era più.

Più tardi, aprendo quel lenzuolo, scopriranno un’altra cosa misteriosa: quell’immagine. Ancora oggi, dopo duemila anni, la scienza e la tecnica non sanno dirci come abbia potuto formarsi. E non sanno riprodurla.

Infatti non c’è traccia di colore o pigmento, è la bruciatura superficiale del lino, ma sembra derivare dallo sprigionarsi istantaneo di una formidabile e sconosciuta fonte di luce proveniente dal corpo stesso, in ortogonale rispetto al lenzuolo (fatto anch’esso inspiegabile).

La “non direzionalità” dell’immagine esclude che si siano applicate sostanze con pennelli o altro che implichi un gesto direzionale. E ci svela che l’irradiazione è stata trasmessa da tutto il corpo (tuttavia il volto ha valori più alti di luminanza, come se avesse sprigionato più energia o più luce).

Quello che è successo non è un fenomeno naturale e non è riproducibile. Non deriva dal contatto perché altrimenti non sarebbe tridimensionale e non si sarebbe formata l’immagine anche in zone del corpo che sicuramente non erano in contatto col telo (come la zona fra la guancia e il naso).

Oggi poi i computer hanno permesso di rintracciare altri dettagli racchiusi nella sindone che tutti portano a lui: Gesù di Nazaret.

Dai 77 pollini, alcuni dei quali tipici dell’area di Gerusalemme (quello dello Zygophillum dumosum, si trova esclusivamente nei dintorni di Gerusalemme e al Sinai), alle tracce (sul ginocchio, il calcagno e il naso) di un terriccio tipico anch’esso di Gerusalemme. Ai segni di aloe e mirra usate dagli ebrei per le sepolture.

Infine le tracce di scritte in greco, latino ed ebraico impresse per sovrapposizione sul lenzuolo.

Barbara Frale ha dedicato un libro al loro studio, “La sindone di Gesù Nazareno”. Da quelle lettere emerge il nome di Gesù, la parola Nazareno, l’espressione latina “innecem” relativa ai condannati a morte e pure il mese in cui il corpo poteva essere restituito alla famiglia.

La Frale, dopo accuratissimi esami, mostra che doveva trattarsi dei documenti burocratici dell’esecuzione e della sepoltura di Gesù di Nazaret. Un fatto storico. Un avvenimento accaduto che ha cambiato tutto.

 

Antonio Socci

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07/08/2010 15:23
 
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IL CARBONIO 14 DI FRONTE ALLA SACRA SINDONE DI TORINO
M-C van Oosterwyck-Gastuche

Nel n° 54 di Science et Foi abbiamo fatto una breve recensione del libro, molto bello e documentato, di Marie-Claire van Oosterwyck-Gastuche: Le Radiocarbone face au Linceul de Turin e promesso un intervento più completo dell'autore sulla questione del valore del radiocarbonio come cronometro. Eccolo, e noi speriamo che
questo inciterà senza dubbio i nostri lettori a leggere il suo libro per approfondire la questione. Ne ricordiamo il
prezzo e l'editore: 200FF chez F.X. de Guibert, 3 rue J.F. Gerbillon, 75006, Paris.
Ecco le nostre domande a cui l'autrice ha voluto rispondere:
1) Come siete stata portata a rimettere in questione le datazioni radioattive, anzitutto in ciò che concerne la preistoria e in seguito la Sacra Sindone di Torino?

Risposta:
"Semplicemente consultando le pubblicazioni specializzate come Radiocarbon, Archaeo-metry o i resoconti dei congressi. Vi si scopre un'abbondanza di date caotiche, senza rapporto con le età ufficiali indicate dalle cronologie storiche o preistoriche.
Si trovano così delle date molto antiche per dei materiali attuali, come quei resti di pesci dell'Antartico, vivi o uccisi di recente, datati da 600 à 4000 anni B.P. ("Before Present" = prima dell'epoca attuale; la data cerniera è il 1950, data dei primi esperimenti di Libby, l’inventore del metodo), dei legni del Medio Evo datati 2450 anni B.P., come delle date recenti per dei materiali antichi, come il carbone del Magdaleniano, di età ufficiale 17.000 anni B.P., che ha invece 4730 anni B.P.

Le età degli oggetti storici, la cui data è conosciuta dalle liste genealogiche, variano in modo altrettanto fantasioso. Alcuni sono troppo vecchi di migliaia di anni, altri troppo giovani, altri ancora hanno delle età nel futuro. Le età dei tessuti sono spesso troppo giovani -come le cinque date C14 del tessuto in cotone "Chimu"
studiato da Burleigh, Leese e Tite nel 1986, nell'intercomparazione in test cieco preliminare alla datazione della Sacra Sindone- che erano tutte troppo giovani in rapporto alla sua età storica (1200 della nostra era), la più giovane datando dell'inizio del XX secolo. Questo campione la cui distribuzione in C14 ricorda quella della
Sindone, è stata scartata come "aberrante", come lo sono d'altronde i campioni le cui età si allontanano dalle cronologie ufficiali. Di conseguenza, nelle pubblicazioni, si trovano solo delle età preventivamente selezionate.

Così, ascoltando la dichiarazione perentoria del Professor Tite nel 1988 a proposito dell'infallibilità dell'età medievale del Lenzuolo di Torino, io stimai che egli induceva in errore il mondo intero. Mi domandai perché nessuno gli faceva osservare che esistevano delle date aberranti e che quella del Lenzuolo ne era molto verosimilmente una, ma io non pensai allora di intervenire.

Fu il libro del Dr. Clercq e di Dominique Tassot, Le Linceul de Turin face au C14 (Editions de l'OEIL, 1988) che, riprendendo la mia pubblicazione del 1984 Sur le manque de fiabilité de la datation C14, apparso ne Les nouvelles du CESHE sotto il mio pseudonimo di allora, Michaël Winter, mi obbligò ad entrare in lizza.
Fui invitata a parlare alla tavola rotonda sul radiocarbonio con i professori Tite ed Evin, al primo simposio di Parigi sul Lenzuolo di Torino, nel 1989. Tutto è partito da là.

2) Nel vostro libro dite che è quasi sempre la data conosciuta che decide della datazione al radiocarbonio. Potete precisare?

Risposta:
"Non quasi sempre, ma sempre. Ciò che affermo può sembrare sorprendente, così lo giustificherò con una breve storia del metodo. Quando W.F. Libby, fisico-chimico dell'università di Berkeley, l'inventore del cronometro al radiocarbonio, mise a punto il suo metodo, egli ricercò i suoi campioni di riferimento nella
preistoria, una scienza di cui ignorava i fondamenti. Egli fu alquanto sorpreso di costatare che essa mancava di riferimenti certi. Diceva infatti, evocando i suoi ricordi: "Il primo choc che ricevemmo, il Dr. Arnold ed io, fu di apprendere dai nostri consiglieri che la storia risaliva ad appena 5000 anni. Noi all'inizio avevamo creduto che avremmo potuto ottenere dei campioni scaglionabili su circa 30.000 anni, piazzarvi i nostri punti, e
terminare così il nostro lavoro. Si consultano dei libri e vi si scopre che Untel ha definito un sito archeologico vecchio di 20.000 anni. Così apprendemmo molto bruscamente che queste età non erano conosciute:
infatti, l'ultima data storicamente conosciuta risale all'epoca della prima dinastia egiziana".
Ecco perché egli opererà sistematicamente la scelta delle date. Figureranno nelle pubblicazioni sul radiocarbonio solo quelle che corrispondono alle cronologie ufficiali, non solo le date storiche fondate sulle genealogie, ma anche le date preistoriche derivanti dai princìpi utopici che si conoscono. Egli enuncia in più i
princìpi che fondano il suo cronometro ma che si riveleranno erronei. Sono i seguenti:
a) Il principio di uniformità, che postula che la produzione dell'irraggiamento cosmico responsabile della formazione del radiocarbonio nell'alta atmosfera è rimasta costante nel corso degli ultimi 40.000 anni, durata che corrisponde al periodo di validità del metodo. Adesso però sappiamo che l'irraggiamento cosmico ha
variato.

b) Il principio di simultaneità, che postula che il radiocarbonio così formato si ripartì immediatamente e uniformemente nell'atmosfera, nell'acqua, nelle formazioni geologiche, e finalmente nei vegetali e negli animali viventi in quell'epoca. Così, al tempo iniziale, marcato da Libby al suo cronometro (1950), tutti gli organismi viventi contengono la quantità di C14 presente nell'atmosfera, cioè il 100%. La morte del vivente fa partire una
disintegrazione e la messa in marcia dell'orologio radioattivo.
La scoperta di Libby, conosciuta sotto il nome di rivoluzione del radiocarbonio, permetteva di datare per la prima volta degli avvenimenti della preistoria e della paleoclimatologia che si estendono su circa 40.000 anni. Libby esprime le date del suo calendario in età B.P. che suddivide inoltre in età B.C. (Before Christ) prima della nostra èra, e A.D. (Anno Domini), dopo il Cristo.
I suoi primi risultati sembrarono eccellenti: in effetti, le età C14 determinate su degli oggetti di antiche civiltà faraoniche, i manoscritti del mar Morto o gli anelli di crescita di alberi molto antichi, confermavano le età archeologiche conosciute da altri. Libby ed i suoi allievi determinarono anche le cronometrie preistoriche e
paleoclimatiche che confermavano quelle che erano state determinate dai preistorici dell'ultimo secolo a partire dai criteri soggettivi secondo i quali si sarebbe passati lentamente dalla scimmia all'uomo per un processo di autogenerazione. Il mondo scientifico esultò e gli conferì il premio Nobel senza vedere che i suoi dati erano stati preventivamente selezionati.

Ma le cose si guastarono molto presto. La seconda rivoluzione del radiocarbonio, ignorata dai media, ebbe luogo verso il 1975. Contrariamente alle affermazioni del suo autore, il metodo, lungi dall'applicarsi a tutti i materiali carbonati, forniva delle età affidabili solo in casi eccezionali. Si misero in evidenza dei "cattivi materiali" che davano delle età sorprendenti e non si integravano in nessun modo nelle cronologie ufficiali storiche o preistoriche. La lista era lunga: livelli torbosi, paleo-suoli, ossa, ceneri, letti carbonati, conchiglie diverse. Ben più tardi, l'età radiocarbonica delle pitture parietali delle grotte fu a sua volta sospettata giacché era influenzata da delle soluzioni povere in radiocarbonio e dagli attacchi microbici. Ora, questi elementi erano tutti serviti ad elaborare delle cronologie ufficiali della paleoclimatologia e della preistoria. Per di più, anche i
materiali più affidabili come il legno, il carbone di legno, i grani di polline e il collagene davano anch'essi delle età non congrue. Con i nuovi apparecchi che permettono di dosare le piccole quantità, era frequente misurare delle età C14 differenti per le ossa di uno stesso scheletro, i pollini di uno stesso giacimento o i ritagli di uno
stesso tessuto. Ora, questo è il caso anche dei ritagli della Sindone le cui età erano ugualmente eterogenee.

Man mano che il tempo passava, si scopriva non solo che i materiali mancavano di affidabilità, ma anche che i princìpi fondanti il metodo di Libby erano erronei. La produzione del C14 nell'alta atmosfera non è stata costante nel corso del tempo poiché esso non si era diffuso in modo uniforme nell'aria, nelle acque o negli organismi. Il trasporto del radiocarbonio nelle soluzioni si rivelò una importante causa di errore che Libby aveva molto semplicemente ignorato. Del resto, i processi di distribuzione del radiocarbonio si rivelavano
infinitamente più complessi di quanto aveva creduto Libby. L'influenza della temperatura e delle radiazioni
era stata messa in evidenza in molti lavori, così come la specificità della sua distribuzione in ogni specie vivente. É impossibile qui citare tutto, bisogna leggere il libro.
Consci di queste difficoltà, gli specialisti si rifiutarono alle revisioni necessarie che avrebbero provocato il crollo delle loro acquisizioni e gettato un'ombra sulla reputazione del cronometro. Ecco perché preservarono le cronologie ufficiali e procedettero alla scelta dei risultati. Bisogna sottolineare che le sole età affidabili sono state ottenute nei composti secchi, ben protetti dalle aggressioni diverse e dagli attacchi microbici.

La terza rivoluzione del radiocarbonio, che avvenne dopo il congresso di Trondheim nel 1985, non fu neanch'essa mediatizzata. Il cronista della rivista Antiquity, Ch. Chippindale, che la presentava, faceva notare che tre rivoluzioni in quarant'anni erano troppe per un metodo presentato da Libby come assoluto, e che questo portava a negare ogni affidabilità alle datazioni del C14.

Si comprende adesso che le date del C14 non sono all'origine delle cronologie preistoriche, ma che è l'inverso:
queste cronologie determinano le età ufficiali e presiedono alla cernita delle date incoerenti. Si comprende così perché, essendo data l'incoerenza dei risultati ottenuti in "test cieco" durante l'intercomparazione preliminare alla datazione del Lenzuolo di Torino (Burleigh, Leese et Tite, 1986), il Professor Tite aveva esigito
che si facessero conoscere in anticipo le età dei campioni standard agli specialisti A.M.S. e che li si autorizzasse a vedere il Lenzuolo affinché potessero riconoscerlo più tardi dal suo tessuto caratteristico..."

3) In ciò che concerne il Lenzuolo di Torino la cui autenticità è provata dai lavori dello STURP e dalla Tradizione costante della Chiesa, come pensate che si debba interpretare la datazione al radiocarbonio?

Risposta:
Essa è stata fabbricata dai nemici della Chiesa. Le A.M.S. non hanno misurato una data medievale, essa è stata fabbricata in modo molto astuto. A questo è servito il calcolo statistico estremamente complesso, e per i più incomprensibile. Solo gli statistici hanno potuto seguirne gli arcani. Ed essi hanno tutti dichiarato che
l'età medievale è priva di fondamento scientifico. Si consulti in merito lo studio magistrale del Dr. Jouvenroux che si trova nel mio libro.

4) Tenuto conto di quanto abbiamo detto, lei pensa che si possa ancora validamente considerare la radioattività come un cronometro?
Risposta: No. Infatti il cronometro di Libby è fondato su dei presupposti ideologici estranei al metodo scientifico propriamente detto. Il metodo del radiocarbonio ha, in effetti, tutte le caratteristiche diagnosticate da Jean-François Revel nel suo libro La connaissance inutile (Grasset, 1988) per le ideologie a consonanza
scientifica, che sono: "Miscuglio indissolubile di fatti parziali, selezionati per i bisogni della causa (le scelte orientate) e giudizi di valore passionale". Revel diceva ancora, di questa ideologia, che essa "era utilizzata come arma da combattimento destinata al dominio di una classe", e che "la verità scientifica e la verità tout-court
erano l'ultimo dei loro scopi". Non poteva dir meglio. Essa è servita a denigrare la Chiesa.
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07/08/2010 15:27
 
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LA DATAZIONE COL METODO AL RADIOCARBONIO E' INAFFIDABILE

Le variazioni della concentrazione di 14C nell'atmosfera del passato sono state studiate principalmente tramite la dendrocronologia: misurando la concentrazione di 14C in resti di alberi di età nota si è ottenuta una curva di calibrazione, usando la quale l'età radiocarbonica di un campione (cioè l'età calcolata in base al suo contenuto di 14C) viene corretta per ottenere la presunta età effettiva. L'applicazione di questa calibrazione comporta generalmente la determinazione di più età differenti, ciascuna con una diversa probabilità ed un differente margine di errore. Organismi che assumono carbonio di diversa provenienza, per esempio fossile (nel qual caso si ottiene una datazione più antica) restituiscono datazioni completamente sbagliate.
Anche le già citate variazioni di breve e lungo periodo della concentrazione di 14C nell'atmosfera influenzano la datazione, che richiede quindi di essere calibrata tramite il confronto con la dendrocronologia.
Può accadere in archeologia, che la radiodatazione di un campione dia un risultato in disaccordo con la stratigrafia del sito nel quale esso è stato dissotterrato, o con la sua datazione determinata con metodi differenti.
In genere vanno considerate le condizioni ambientali e le caratteristiche del sito da cui si preleva il campione. Tuttavia a volte anche campioni trattati con la massima cautela danno datazioni anomale a causa di variazioni del 14C le cui cause spesso rimangono ignote non potendo ricostruire in modo assoluto le "vicissitudini biologiche" del reperto.
Willi Wölfli, direttore del laboratorio AMS del Politecnico di Zurigo uno dei massimi specialisti mondiali del campo, ha riportato che per 64 campioni prelevati in siti archeologici egiziani, l'età radiocarbonica differiva da quella determinata in base alla cronologia comunemente accettata della storia egizia in media di 400 anni, e per alcuni campioni fino a 800-1200 anni sia in eccesso che in difetto .

Cito figure della statura del Koutznezov e del Garza Valdés, nonché degli italiani Mario Moroni, Maurizio Bettinelli e Francesco Barbesino; gli ultimi tre effettuarono esperimenti su campioni di tele di mummie egizie, la cui anzianità era storicamente nota, dopo averli trattati simulando l'incendio in Chambery sofferto dalla Sindone nel 1532; ma l'elenco degli scienziati, credenti e non credenti, che dubitano fortemente o addirittura si oppongono con veemenza al risultato è lungo. Lo stesso ideatore dei due metodi di radiotazione (si definiscono l'uno dei radioconteggi e l'altro della spettrometria di massa), il Libby, affermava che avevano il punto debole proprio nei tessuti come la Sindone. Quando viene trattata per farne filato, la pianta del lino subisce l'eliminazione dei suoi componenti lipidi e proteici, che sono più poveri di C 14 del resto, quel resto che servirà alla filatura; quando il filato o il tessuto vengono assoggettati a radiodatazione, appaiono assai più giovani della loro reale età, in quanto, in proporzione, hanno più C 14 della pianta. Per avere una datazione più precisa bisognerebbe poter operare non sul prodotto tessile ma sulla pianta di lino da cui fu tratto. Ma non si tratta solo di questo. Il perché della mancata attendibilità dei risultati richiederebbe molto spazio, a rischio d'annoiare troppo il lettore. Dico solo quanto segue, che sicuramente è più che sufficiente.
Intanto, in generale, entrambi i metodi di datazione hanno portato più volte a risultati manifestamente assurdi. Ad esempio, gusci di lumache vive furono datati a 26.000 anni fa; un corno vichingo dell'anno 1000 al XXI secolo (!); la pelle di un mammuth, sicuramente di almeno 25.000 anni fa, quando la specie scomparve, fu considerata vecchia di soli 5.600 anni; una foca appena morta risultò "defunta" 1300 anni prima; l' Uomo di Lindow fu datato, su tre suoi campioni, una volta al 300 a.C., una seconda al I secolo, infine al V secolo, con uno scarto di 800 anni. Ossa e bende della stessa mummia egiziana, conservata al Museo di Manchester, risultarono le prime più vecchie di 1000 anni rispetto alle seconde, mentre erano contemporanee. Di più: come s'era detto, fili sindonici erano già stati sottoposti ufficiosamente a radiodatazione nel 1973 dal Raes: un'estremità del campione risultava del 200 e l'altra del 1000 d.C.
Ma in particolare, gli esperimenti ufficiali di radiotazione del 1988 di Ginevra, Oxford e Tucson, per tutti e tre i laboratori interessati non s'avvalsero, com'era indispensabile, di entrambi i metodi: tutti usarono il medesimo, nessun laboratorio pure l'altro sistema, mentre avrebbe dovuto considerarsi doveroso, scientificamente, ricorrere ad entrambi, per controllo, come di gran norma si fa.
Tuttavia se anche fosse stata fatta questa doverosa forma di verifica, in presenza di fili di cotone di rammendo, anche questo ulteriore controllo avrebbe dato risultati errati.
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07/03/2011 22:52
 
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Per visualizzare immagini in dettaglio della Sindone cliccare sul seguente link:

http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9012666
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23/05/2011 09:27
 
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Di Lazzaro, fisico dell’Enea: «la Sindone non è spiegabile scientificamente»

Lunedì 16 maggio 2011 si è svolto un incontro all’Istituto di Scienza e Fede dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma nell’ambito del Diploma di specializzazione in Studi Sindonici. Vi hanno partecipato, tra gli altri, anche Bruno Barberis, docente di Fisica Matematica all’Università di Torino, Direttore del Centro Internazionale di Sindonologia e autore di circa 50 pubblicazioni su Riviste nazionali ed internazionali e Paolo Di Lazzaro, fisico e ricercatore Senior presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati, dove si occupa dello sviluppo di sorgenti di luce LASER innovative e di studi di interazione della luce con la materia a livello atomico. Con oltre 150 pubblicazioni sulle migliori riviste scientifiche è considerato uno dei massimi esperti europei nel campo dei sistemi LASER di potenza elevata e delle loro applicazioni nei campi biologico, di micro-elettronica, di generazione di plasmi, di pulizia selettiva e superficiale di materiali. Da 5 anni si dedica allo studio della Sindone.

Bruno Barberis, si legge su Zenit, ha introdotto dicendo che «lo studio dell’immagine presenta un altissimo interesse dal punto di vista scientifico». Soprattutto in questi ultimi 40 anni la Sindone è stata «al centro di un ampio, articolato e acceso dibattito scientifico a livello interdisciplinare”, e gli scienziati “hanno cercato di comprenderne a fondo le caratteristiche e l’origine, avviando studi nei più disparati settori della scienza: fisica, chimica, biologia, informatica, medicina legale, statistica, ecc». L’approccio tradizionale, che veda la Sindone come lenzuolo funebre di Gesù, e quello scientifico «possono benissimo coesistere, a patto che ne vengano rispettati i diversi piani di competenza e non si voglia a tutti i costi mescolarli forzando le conclusioni senza rispettarne le peculiarità». E’ quello che chiedeva Giovanni Paolo II agli scienziati: «la Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono. Li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti».

Il fisico Paolo Di Lazzaro ha invece dichiarato che l’immagine della Sindone «ancora non è stata spiegata in termini scientifici», poiché il “metodo scientifico afferma che «solo dopo aver replicato un fenomeno si può conoscere la natura e l’origine del fenomeno stesso», e finora «nessuno è stato in grado di replicare l’immagine sindonica in tutte le sue caratteristiche chimiche e fisiche, nonostante molti sforzi in questo senso e diversi tentativi di copie periodicamente annunciate». Uno di quelli più grossolani è stato realizzato dal CICAP sotto finanziamento da parte dell’UAAR, rivelatosi un vero flop, come abbiamo accennato in “La Sindone dell’UAAR e del CICAP è una perfetta bufala”.

RISULTATI OTTENUTI DALL’ENEA DI FRASCATI. Tentativi assolutamente più seri, sono invece realizzati da anni presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati, ed effettivamente nel 2010 sono arrivati i primi risultati: «un gruppo di scienziati con esperienza riconosciuta a livello internazionale su sistemi Laser e meccanismi di interazione luce-materia ha effettuato esperimenti di colorazione di tessuti di lino tramite impulsi brevissimi di luce ultravioletta. Dopo anni di indagini, si è scoperto che una colorazione simil-sindonica può essere ottenuta solo in un ristretto intervallo di valori di durata dell’impulso (miliardesimi di secondo), di intensità (miliardi di Watt su centimetro quadrato) e di spettro (profondo ultravioletto) della luce. Inoltre sono state ottenute immagini cosiddette ‘latenti’, che appaiono dopo circa un anno dall’irraggiamento che al momento non ha colorato il lino».

In un articolo del 2010, apparso su 30giorni, il fisico era stato più esaustivo: dopo aver spiegato le caratteristiche uniche della Sindone, disse che «questa immagine presenta circa quaranta caratteristiche fisiche e chimiche molto particolari, praticamente impossibili da replicare oggi, e a maggior ragione nel Medioevo o in tempi più remoti, tali da escludere che si tratti di un dipinto, o di colorazione ottenuta tramite bassorilievo scaldato o trattato con pigmenti o polvere ferrosa». Il fisico ha poi dettagliato il metodo di analisi effettuato dall’Enea sul Lino. Tuttavia, «per quanto significativi, i nostri risultati ancora non permettono di formulare un’ipotesi certa e praticabile sulla modalità di formazione dell’immagine sindonica: basti pensare che, se consideriamo la densità di potenza di radiazione che noi abbiamo utilizzato per ottenere la colorazione di un solo centimetro quadrato di lino, per riprodurre l’intera immagine della Sindone con un singolo flash di luce sarebbero necessari quattordicimila Laser che sparano contemporaneamente ciascuno in una zona diversa del lino per riprodurre l’immagine stessa; per intenderci meglio, una fonte di luce Laser avente le dimensioni di un intero palazzo».

RADIODATAZIONE AL CARBONIO. Nell’articolo Di Lazzaro affronta anche la questione della datazione mediante isotopo C-14 del 1988, la quale stabilì che un piccolo lembo prelevato in un angolo del telo, e diviso in tre parti, risultò essere di età compresa tra il 1260 e il 1390 d.C. Oltre a risultare improbabile che le migliori macchine tecnologiche contemporanee non riescano a riprodurre ciò che sarebbe stato possibile nel Medioevo (quando non esisteva nemmeno la fotografia, per non parlare del Laser), lo scienziato commenta che «è però opportuno sottolineare come la radiodatazione (un metodo che, per la sua natura statistica e dipendente dalla variabilità di molti fattori, gli archeologi utilizzano sempre in comparazione con tutto il complesso degli elementi, compresi quelli storici, datanti un oggetto) ha fornito una età del telo incompatibile con la cronologia suggerita da dati e indizi di carattere storico, iconografico e tessile, concordi nel ritenere il telo sindonico molto più antico. Alcune analisi recenti suggeriscono che il lembo analizzato tramite C-14 possa non essere rappresentativo della Sindone, e che la misura stessa possa aver sofferto di errori materiali di calcolo». Poco dopo queste dichiarazioni, comunque, la Società di Statistica Italiana dimostrava che i risultati della datazione al radiocarbonio utilizzata sulla Sindone sono totalmente inattendibili e che invece la sua origine è da collocarsi al I° secolo: Ultimissima 12/4/10.. Informiamo anche che gli interessantissimi atti del convegno scientifico del 2010 organizzato all’ENEA sulla Sindone sono stati messi online: http://www.acheiropoietos.info

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23/05/2011 09:31
 
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La Sindone dell’UAAR e del CICAP è una perfetta bufala

Nell’ottobre del 2009 il responsabile scientifico del CICAP, Luigi Garlaschelli (vedi una  sua significativa foto), ha presentato in occasione del ventesimo Congresso del CICAP (“Comitato Italiano per il Controllo delle Affermazioni sul Paranormale“), una Sindone a grandezza naturale simile a quella conservata a Torino, volendo dimostrare la possibilità di produrne una anche con tecnologie disponibili nel 1300. L’UAAR ha pensato di impiegare molti suoi fondi in questa impresa e ha voluto finanziare la fabbricazione. L’opinione di molti è che la “seconda” Sindone sia talmente malriuscita che non dovrebbe figurare tra le prove contrarie ma tra quelle a favore dell’autenticità del reperto. Comunque, come si poteva prevedere, il nuovo manufatto  -dopo un’esaltante campagna promozionale organizzata dall’associazione UAAR- è stato presto archiviato e dimenticato. Nonostante questo, moltissime critiche sono piovute addosso all’associazione folkloristica e agli scientisti del CICAP,  sopratutto da parte  di moltissimi esperti, credenti e non. Diversi studi hanno anche certificato la totale diversità tra la Sindone di Torino e la scimmiottatura del professor Garlaschelli.

 

|Opinione di alcuni scienziati| |Inattendibilità della procedura usata dal CICAP|



L’OPINIONE DI ALCUNI SCIENZIATI

Piergiorgio Odifreddi, matematico e logico, ateo e anticlericale italiano. Sul numero di Aprile 2010 della rivista MicroMega ha criticato la Sindone originale, e rispetto ai tentativi di riproduzione della stessa ha affermato: «Anch’io non sono particolarmente impressionato dalla riproduzione di Pesce Delfino o Garlaschelli» (cfr. Ultimissima 31/5/10)

Giulio Fanti, professore associato di Misure Meccaniche e Termiche presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica dell’Università di Padova, ha affermato, parlando di Garlaschelli: «C’è da stupirsi per le affermazioni prive di rigore scientifico riportate. Ogni tanto qualche persona in cerca di notorietà ottiene spazio nei media dichiarando di avere riprodotto la Sindone o una parte di essa, ma quando si approfondisce il discorso “casca il palco» (cfr. Il Sussidiario 8/10/09)

Barbara Frale, storica, archeologa ed esperta della Sindone, afferma: «Le cose però, analizzando la colorazione autentica del lino, sono un po’ più complesse. Non ci riescono i fisici nucleari figuriamoci gli “esperti” del CICAP. Credo francamente che per loro sia stato un autogol perché se è questa la serietà scientifica con la quale affrontano le questioni misteriose di questo mondo stiamo freschi» (cfr. Il Sussidiario 30/11/09)

Bruno Barberis, matematico e cosmologo italiano afferma: «Risulta che fino ad ora tutte le teorie proposte, pur interessanti di per sé, sono sempre risultate carenti o perché non sono state correlate da verifiche sperimentali serie o perché tali verifiche hanno evidenziato sulle immagini ottenute caratteristiche fisico-chimiche molto diverse da quelle possedute dall’immagine sindonica» (cfr. Il Sussidiario 13/10/09)

Petrus Soons, medico e scultore artigiano professionista, ha detto: «La teoria di Garlaschelli era stata già confutata dal team scientifico dello STURP (e altri negli anni, dopo di loro), che condusse investigazioni nel 1978 sulla Sindone di Torino. Il Prof. Garlaschelli spiega l’assenza di qualsiasi traccia di ossido di ferro sulla Sindone originale, affermando che il pigmento sulla Sindone originale si sia dissolto naturalmente attraverso i secoli. Questa non è un’affermazione che vi aspettereste da uno scienziato serio. Le analisi spettroscopiche realizzate nel 1978 avrebbero mostrato anche le più tenui tracce di ossido di ferro presenti sulla Sindone, ed è un pochino “non scientifico” affermare che esse sia sparite “naturalmente”» (cfr. Srmedia 09/10)

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13/06/2011 07:27
 
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Sindone: gli studiosi confutano la teoria della firma di Giotto

Recentemente è apparsa sui giornali una stravagante notizia: un pittore veneto, Luciano Buso, avrebbe trovato, lavorando su fotografie del Sacro Lino, nientepopodimeno che la firma di Giotto. Il pittore ci aveva provato qualche tempo fa anche con la “Gioconda” di Leonardo Da Vinci, sostenendo di aver trovato negli occhi della donna numeri e lettere, legati alla tradizione ebraico-cabalistica, quella cristiana e quella dei templari, quella magica e quella naturalistica (cfr. Italiamagazine 3/2/11), ricevendo ovviamente risposte ironiche dai grandi esperti dell’arte e di Leonardo.

E’ passato quindi alla Sindone come creazione di Giotto. Mentre Leonardo, sostengono altri teorici del complotto, avrebbe creato la Sindone disseminandola di decine di messaggi in codice (per l’eccitazione di Dan Brown), Giotto, con poca fantasia, avrebbe ripetuto tantissime volte, dappertutto, solo la scritta «Giotto 15», (cioè il nome seguito dall’anno di creazione dell’opera) un pò come fanno le teenagers di oggi sul loro diario. Antonio Lombatti, acerrimo nemico dell’autenticità della reliquia e collaboratore del CICAP l’ha subito definita «l’ultima delle idiozie sulla Sindone». Il pittore è stato anche attaccato dai teorici e fans di Leonardo da Vinci, i quali vorrebbero che fosse lui l’artefice. Gli ammiratori del Tintoretto, del Beato Angelico e del Caravaggio non rilasciano dichiarazioni, per ora. La studiosa e sidologa Emanuela Marinelli (www.shroud.it), docente di matematica e scienze naturali e già membro dell’Istituto di Mineralogia dell’Università La Sapienza di Roma, fra le più grandi esperte mondiali della Sacra Sindone, ha invece commentato la notizia su La Bussola Quotidiana, spiegando l’impossibilità della veridicità della dichiarazione del pittore.

Ovviamente la teoria di Buso è compatibile con la data emersa nel 1988 dai risultati dell’analisi radiocarbonica, che fu però successivamente smentita da altre indagini, come quella svolta dall’Istituto di Statistica Italiana (cfr. Ultimissima 12/4/10). Un dipinto insomma, pieno di firme dell’autore, il tutto osservato da Buso ad occhio nudo su fotografie. L’altra prova portata dal pittore è la grande affinità iconografica di particolari delle braccia, delle mani e delle gambe del Cristo con i vari personaggi raffigurati da Giotto nei suoi affreschi. La Marinelli spiega però che «la presunta affinità, quand’anche ci fosse davvero, potrebbe derivare da un’osservazione della Sindone, come si nota in una celebre crocifissione di Van Dyck, dove l’artista raffigurò i chiodi nei polsi di Cristo proprio ispirandosi alla reliquia esposta a Torino. Ma nulla del genere esiste nelle opere di Giotto». Bruno Barberis invece, Professore Associato di Meccanica Razionale presso la facoltà dell’Università di Torino, ha dichiarato all’ANSA che «non ha valore scientifico una scoperta che si dice basata solo su ingrandimenti fotografici. E’ l’ultimo di tanti che negli ultimi trent’anni hanno creduto, anche in buona fede, di riconoscere nel telo le cose piu’ disparate».

FALSARIO-ARTISTA. Qualcuno dovrebbe prendersi la briga di riferire a Buso che ogni esame scientifico da più di trent’anni ha dimostrato che la Sindone non è un dipinto, non c’è direzionalità né traccia di colore. Barberis cita, ad esempio, i risultati degli scienziati statunitensi del gruppo Sturp (Shroud of Turin Research Project), i quali «hanno stabilito senza ombra di dubbio che sulla Sindone non c’e’ traccia di pigmenti e coloranti, dimostrando inoltre che l’immagine corporea è assente al di sotto delle macchie ematiche (e dunque si è formata successivamente ad esse) e che è dovuta ad un’ossidazione-disidratazione della cellulosa delle fibre superficiali del tessuto con formazione di gruppi carbonilici coniugati. L’immagine inoltre possiede peculiari caratteristiche tridimensionali assenti nelle normali fotografie e nei dipinti». L’ingrandimento della fotografia non è adatto «allo studio scientifico dell’immagine in quanto, ingrandendole, si corre il rischio di vedere figure e sagome dovute alla grana della lastra o della pellicola e non all’immagine». La certezza è che questo lenzuolo ha certamente avvolto il cadavere di un uomo flagellato, coronato di spine, crocifisso con chiodi, trapassato da una lancia al costato.

Emanuela Marinelli spiega che «l’eventuale falsario non avrebbe raffigurato Cristo con particolari in contrasto con l’iconografia medievale, avrebbe dovuto tener conto dei riti di sepoltura in uso presso gli ebrei all’epoca di Gesù, avrebbe dovuto immaginare l’invenzione del microscopio per aggiungere elementi invisibili ad occhio nudo: pollini, terriccio, siero, aromi per la sepoltura, aragonite». Queste tracce, ha spiegato il maggior esperto di flora desertica israeliana, l’ebreo Avinoam Danin, «l’unico luogo al mondo in cui sono presenti tutte insieme è una ristretta area tra Gerusalemme e Gerico» (cfr. Ultimissima 12/5/10). Il falsario-artista avrebbe anche dovuto entrare in possesso di un telo fabbricato nel I° secolo (perché la Sindone è stata fabbricata in quel periodo come ha dimostrato Mechthild Flury-Lemberg, celebre studiosa di conservazione tessile, cfr. Ultimissima 9/4/10), avrebbe dovuto conoscere la fotografia (inventata nel XIX secolo), e l’olografia (realizzata nel XX secolo). Avrebbe dovuto saper distinguere tra circolazione venosa e arteriosa (studiata per la prima volta nel 1593), nonché essere in grado di macchiare il lenzuolo in alcuni punti con sangue uscito durante la vita ed in altri con sangue post-mortale.

Infine, ammessa la conoscenza di tutte queste nozioni scientifiche, il falsario-artista avrebbe dovuto avere la capacità ed i mezzi per produrre l’oggetto. I fisici dell’ENEA di Frascati hanno recentemente spiegato che l’immagine è «praticamente impossibili da replicare oggi e e a maggior ragione nel Medioevo o in tempi più remoti, tali da escludere che si tratti di un dipinto, o di colorazione ottenuta tramite bassorilievo scaldato o trattato con pigmenti o polvere ferrosa», il falsario medioevale per realizzaer quello che c’è sulla Sindone, avrebbe dovuto possedere «una fonte di luce Laser avente le dimensioni di un intero palazzo», inesistente ancora oggi (cfr. Ultimissima 20/5/11).

FALSARIO-ASSASSINO. E’ così una follia continuare a sostenere l’ipotesi falsario-artista, e infatti molti sono passati a sostenere il falsario-assassino, complicandosi ancora di più la vita. Sarebbe stato impossibile infatti, continua la studiosa, trovare una vittima il cui volto fosse congruente in diverse decine di punti con le icone di Cristo diffuse nell’arte bizantina e, soprattutto, “pestare a sangue” l’uomo in maniera adeguata, in modo da ottenere determinati gonfiori del viso riprodotti nelle icone. Procurare alla vittima, ormai deceduta, una ferita del costato con una lancia romana, facendone uscire sangue e siero separati, non è assolutamente un esperimento facile da compiere, come anche mantenere il cadavere avvolto nel lenzuolo per una trentina di ore impedendo il verificarsi del fenomeno putrefattivo, processo accelerato dopo decessi causati da un così alto numero di gravi traumi. In particolare sarebbe stato impossibile togliere il corpo dal lenzuolo senza il minimo strappo o il più lieve spostamento che avrebbero alterato i contorni delle tracce di sangue, mentre oggi sono perfetti e per nulla “sporchi”. Ovviamente rimangono valide moltissime “impossibilità” relative al falsario-artista.

Anche lei, come gli scienziati dell’ENEA, conclude così: «La realizzazione artificiale della Sindone è impossibile ancora oggi; a maggior ragione nel Medioevo». Che i pittori se ne facciano una ragione!

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02/04/2012 21:29
 
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La radiodatazione della Sindone è stata pilotata? Le risposte in un documentario

Tra gli esperti della Sindone l’uscita del documentario “La notte della Sindone”, prodotto da Polifemo e RAI con la regia di Francesca Saracino, era molto atteso. Per la prima volta si è fatta luce sulle ricerche, sui personaggi e sulle presunte misteriose manovre che hanno caratterizzato la controversa datazione al radiocarbonio eseguita nel 1988.

Da allora c’è stato un acceso dibattito all’interno del mondo scientifico, tantissimi i dubbi avanzati a partire da Harry Gove, il principale portavoce e coordinatore degli scienziati per la datazione della Sindone che ha cambiato idea, mostrando in uno studio scientifico seri dubbi sulla datazione medioevale della Sindone. Poi il chimico Raymond N. Rogers, tra i maggiori esperti a livello internazionale in analisi termica, che alla fine di uno studio scientifico ha così affermato«La data emersa dall’esame al radiocarbonio non è da considerarsi valida per determinare la vera età della Sindone».  Anche il responsabile di uno dei laboratori in cui è stata realizzata la datazione,Christopher Ramsey di Oxford, ha affermato in un comunicato ufficiale del 2008 che «Ci sono un sacco di altre prove che suggeriscono a molti che la Sindone è più vecchia della data rilevata al radiocarbonio». Ovviamente va citata la relazione della Società Italiana di Statistica, con la quale sono stati rilevati errori di calcolo e la modificazione di alcuni dati per arrivare al livello di attendibilità dall’1 al 5%, ovvero la soglia minima per poter presentare l’esame scientificamente.

Ora questo documentario, che verrà proiettato domani 28 marzo 2012 dalle 17:30 alle 19:00 presso l’Auditorium Giovanni Paolo II (ingresso libero) dell’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum a Roma.  Per realizzarlo sono stati analizzati documenti inediti: video, file audio, fascicoli, lettere, foto, e sono stati intervistati i testimoni della vicenda, come il prof. Franco Testore, l’esperto tessile che eseguì la pesatura dei campioni per l’analisi. 

UCCR ha intervistato la regista, Francesca Saracino, cercando di carpire qualche informazione in anteprima. Ci ha gentilmente risposto che «si tratta di una lunga ricerca durata due anni e mezzo per trovare delle prove su varie ipotesi azzardate o meno, che in questi anni sono state avanzate». Anche lei conferma infatti che in questi anni «l’ipotesi di un complotto, di un’analisi “pilotata” è stata portata avanti da tutta una serie di indizi, ma mai davvero qualcosa di concreto, la “prova” è stata trovata. Noi abbiamo trovato le prove che qualcosa di strano c’è stato davvero. E’ questa la novità di questo documentario. Tanti documentari sono stati fatti sulla Sindone, in cui si è affrontato anche il tema del Carbonio 14, ma mai nessuno si è soffermato su questo tema scavando a fondo sul prima, il durante e il dopo la datazione…noi lo abbiamo fatto».

La questione come si vede è davvero scottante. Dopo che pochi mesi fa i ricercatori di ENEA hanno respinto la possibilità di un falsario medioevale, oggi cade (definitivamente?) l’attendibilità della radiodatazione. La cosa più misteriosa è stata la presenza di persone estranee agli scienziati e agli ecclesiastici addetti, che hanno in qualche modo condizionato i lavori: «Nel documentario ciò viene mostrato», ci ha risposto la regista. «Secondo me si, c’è paura di arrivare alla verità sulla Sindone».  Chi è a Roma non si può certo perdere domani questo evento, anche se «ci saranno altre presentazioni in varie parti d’Italia ma ora non saprei darvi delle date certe. Abbiamo già una distribuzione Home video ( che non è ancora iniziata però) molto importante, di cui presto riveleremo il nome e stiamo cercando una diffusione anche per la televisione. Su questo ultimo punto stiamo trovando alcune difficoltà per due motivi: da una parte la crisi globale, dall’altra parte il tema trattato nel documentario è sempre molto scomodo. Per come poi lo abbiamo affrontato noi diventa ancora più scomodo».

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01/05/2012 15:47
 
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Il fotografo ebreo convertito dalla Sindone

In Ultimissima 18/05/10 raccontavamo della conversione del famoso documentarista e regista, David Rolfe, dopo aver studiato la Sindone di Torino: «Ateo convinto e consapevole dell’esistenza di numerose reliquie false, ho prodotto il mio primo documentario sull’argomento, “The Silent Witness”, (Il testimone silenzioso) nel 1977, deciso di scoprire e mostrare come e da chi era stata contraffatta la Sindone. Non potevo pensare che ci fosse un’altra spiegazione [...]. Il mio documentario, lungi dal rivelare la contraffazione, è divenuto un argomento affascinante per la probabile autenticità della Sindone[...]. Noterete da come mi esprimo che nel corso della produzione sono divenuto credente e cristiano», ha raccontato.

Un’altra conversione molto simile è accaduta al fotografo ebreo Barrie Schwortz, responsabile della fotografia per il “Shroud of Turin Research Project” (STURP), il team che ha condotto il primo approfondito esame scientifico della Sindone nel 1978. Attualmente svolge un ruolo importante nella ricerca sulla Sindone e nella sua spiegazione e divulgazione. E’ editore e fondatore del sito Shroud of Turin Website(www.shroud.com). Schwortz è apparso in programmi e documentari di tutto il mondo, tra cui The History ChannelDiscovery ChannelLearning ChannelNational Geographic ChannelCNNBBCFox News,Channel 1 Russia, le sue fotografie sono apparse in centinaia di libri e pubblicazioni tra cui National GeographicTime Magazine e Newsweek. In una recente intervista, svolta presso l’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum dove ha tenuto delle lezioni nell’ambito del corso per il Diploma di specializzazione in Studi Sindonici, ha raccontato come lo studio della Sindone lo abbia condotto a conoscere Dio e a essere un uomo di fede.

Ha iniziato parlando della Sindone: «All’inizio del mio lavoro, ero molto scettico sulla sua autenticità. Non provavo nessuna emozione particolare nei confronti di Gesù perché sono stato cresciuto come un Ebreo ortodosso. L’unica cosa che sapevo di Gesù era che anche lui era un ebreo, e questo era tutto. Esaminando la Sindone, ho capito subito che non era dipinta». Dopo 18 anni di studi, la convinzione completa è arrivata quando «il chimico del sangue Allen Adler, un altro ebreo che faceva parte del gruppo di studio, mi ha spiegato perché il sangue è rimasto rosso sulla Sindone. Il sangue vecchio doveva essere nero o marrone, mentre il sangue sulla Sindone è di un colore rosso-cremisi. Mi sembrava inspiegabile, invece era l’ultimo pezzo del puzzle. Dopo quasi 20 anni di indagini è stato uno shock per me scoprire che quel pezzo di stoffa era il telo autentico in cui era stato avvolto il corpo di Gesù. Le conclusioni a cui ero arrivato si basavano esclusivamente sull’osservazione scientifica».

Non ha dubbi Schwortz: «una volta giunto alla conclusione scientifica che il telo fosse autentico, sono arrivato a capirne anche il significato. Si tratta del documento forense della Passione, e per i cristiani di tutto il mondo è la reliquia più importante, perché documenta con precisione tutto ciò che viene detto nei Vangeli di ciò che è stato fatto a Gesù. Penso che ci siano abbastanza prove per dimostrare che quello è il telo che ha avvolto il corpo di Gesù». La verità su Gesù è compito della fede, lui specifica che«dal punto di vista scientifico quel telo ha avvolto il corpo dell’uomo di cui si parla nei Vangeli».

Lo studio della Sindone non lo ha solo convinto dell’autenticità, ma lo ha anche cambiato, evidentemente, anche a livello personale«All’inizio dell’indagine, sapevo di Dio, ma non era molto importante nella mia vita. Non avevo pensato a Dio, da quando avevo 13 anni [...]. Non ero molto religioso, era quasi un obbligo per la mia famiglia. Da allora mi sono allontanato dalla fede, dalla religione e da Dio, fino a quando non ho raggiunto i 50 anni. Quando nel 1995 sono arrivato alla conclusione che la Sindone era autentica, ho costruito il sito shroud.com. Ho iniziato a raccogliere il materiale e l’ho messo a disposizione del pubblico. Ho iniziato a parlare pubblicamente della Sindone intorno al 1996». Questo dualismo non poteva però continuare: «Quando la gente ha iniziato a chiedermi se ero un credente, non trovavo la risposta. A quel punto mi sono interrogato ed ho capito che Dio che mi stava aspettando. Ero davvero sorpreso di vedere che dentro di me c’era la fede in Dio. Fino a 50 anni avevo praticamente ignorato la fede ed improvvisamente mi sono trovato faccia a faccia con Dio nel mio cuore. In sostanza posso dire che la Sindone, è stato il catalizzatore che mi ha riportato a Dio». Ha concluso divertito: «Quanti sono gli ebrei che possono dire che la Sindone di Torino li ha portati alla fede in Dio?».

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08/07/2012 10:45
 
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LA VERA PARTICELLA DI DIO

In questi giorni è stata strombazzata in tutto il mondo la scoperta del famoso “bosone di Higgs”, la cosiddetta “particella di Dio”. Ma c’è anche un’altra “scoperta” – rimasta pressoché sconosciuta – a cui voglio accostarla: più che la “particella di Dio” essa mostra Dio stesso.

Si tratta di uno studio sulla Sindone di Giuseppe Baldacchini, uno scienziato italiano già dirigente al laboratorio dell’Enea di Frascati (vedi  http://www.sindone.info/BALDAKKI.PDF).

La prima scoperta – quella del bosone – ci dice che in effetti esiste una particella che alcuni fisici teorici avevano ipotizzato come necessaria per il funzionamento del mondo subatomico.

Già Albert Einstein si stupiva constatando che il mondo dell’infinitamente piccolo e quello dell’infinitamente grande sono stati fatti non dal caso, né dal caos senza leggi, ma secondo una grandiosa e perfetta Razionalità, tanto che la razionalità umana può intuire l’esistenza di queste realtà subatomiche prima ancora che vengano scoperte sperimentalmente.

Ciò significa che la stessa Razionalità che ha fatto l’universo, ha fatto anche la ragione umana.Einstein diceva:

“Chiunque sia seriamente impegnato nel lavoro scientifico si convince che le leggi della natura manifestano l’esistenza di uno spirito immensamente superiore a quello dell’uomo, e uno di fronte al quale noi, con le nostre modeste facoltà, dobbiamo essere umili”.

Einstein – contestando sia il positivismo che il panteismo – spiegava così il suo razionale riconoscimento di Dio:

“La mia religiosità consiste nell’umile ammirazione dello spirito infinitamente superiore che rivela se stesso nei minimi dettagli che noi siamo in grado di comprendere con la nostra fragile e debole intelligenza. La convinzione profondamente appassionante della presenza di un superiore potere razionale, che si rivela nell’incomprensibile universo, fonda la mia idea di Dio”.

E’ proprio grazie alle riflessioni di Einstein e alle ultime scoperte della scienza che Antony Flew, il padre dell’ateismo filosofico, il capostipite degli attuali divulgatori dell’ateismo come Richard Dawkins, annunciò, nel 2004 a New York, di essere giunto alla certezza razionale dell’esistenza di Dio: “I now believe there is a God!”, affermò dopo una gloriosa carriera da ateo.

Nel clamoroso libro in cui spiega questa sua svolta filosofico-razionale, “There is a God” (Harper One 2007), si interroga anche sulla possibilità che questa Intelligenza onnipotente si sia messa in contatto con gli uomini o addirittura che sia venuta sulla terra facendosi uomo.

I greci antichi chiamavano “Logos” l’evidente razionalità dell’universo. E il cristianesimo è entrato nel mondo proprio con questa notizia: il Logos, la Ragione-Parola con cui Dio ha creato il mondo e le leggi razionali che governano il cosmo, è un uomo fra noi.

Il Vangelo di san Giovanni inizia così: “Il Logos si è fatto carne ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”.

Flew sostiene che certamente “la figura carismatica di Gesù” è così umanamente straordinaria che si deve prendere in seria considerazione l’annuncio che lo riguarda.

In effetti con quale altro volto Dio avrebbe mai potuto rivelarsi? Perfino l’ateo Bertrand Russel definì il Nazareno “un uomo eccezionale”.

Gesù è una figura così sublime, immensa e insuperabile che – come scrisse J. Malegue – dopo di lui “il difficile non è l’accettare che Cristo sia Dio; il difficile sarebbe accettare Dio se non fosse Cristo”.

E’ possibile incontrarlo oggi e seguirlo solo perché egli – essendo il Logos di Dio – è risorto dai morti ed è vivo.

Come si fa a sapere che è veramente risorto?

Anzitutto per le testimonianze storiche di chi lo ha visto e toccato vivo, dopo la crocifissione: testimonianze che tutti gli apostoli hanno sempre dato affrontando le persecuzioni, le torture e il martirio. Non esistono testimoni più attendibili di coloro che confermano a costo della vita ciò che hanno visto e toccato con mano.

In secondo luogo l’altra “prova” è data dal fatto che Gesù si dimostra veramente vivo oggi. Lo si può sperimentare: “vieni e vedi…”. La vita cristiana fa toccare con mano la sua presenza e quello che lui fa accadere (compresi i miracoli, che compie oggi come duemila anni fa).

E – come dice la scienza per le particelle subatomiche o per altre realtà fisiche – è razionale riconoscere una causa dagli effetti che produce e che si possono constatare sperimentalmente (anche alcuni corpi celesti sono stati scoperti così: per le perturbazioni che creavano).

Ma siccome a Dio piace riempire di meraviglia e di ragioni il cuore e la mente degli uomini – come mostra la magnificenza del mondo – ha voluto abbondare anche con altri segni che parlano all’intelligenza umana.

E qui veniamo alla seconda scoperta, quella, a cui accennavo all’inizio, del fisico Baldacchini. Il quale si è cimentato con un reperto unico, la Sindone, che porta le tracce scientificamente studiabili di ciò che accadde nel sepolcro di Gesù nella notte fra l’8 e il 9 aprile dell’anno 30.

Sappiamo che quel lenzuolo ha certamente avvolto il corpo di un uomo morto (con tutti i supplizi narrati dai vangeli), sappiamo che quel corpo morto non è stato nel lenzuolo per più di 40 ore perché non contiene traccia alcuna di decomposizione e infine sappiamo – grazie allo studio delle macchie di sangue – che quel corpo non è stato tolto dalla fasciatura del lenzuolo con un movimento fisico, ma si è come smaterializzato.

Infine sappiamo che un’esplosione di energia sconosciuta ha lasciato sul lenzuolo un’immagine delle due parti del corpo tuttora inspiegabile, un’immagine non dipinta, ma ottenuta come per bruciatura superficiale e che contiene informazioni tridimensionali.

Tutto questo è spiegabile solo con un evento eccezionale come la resurrezionee una resurrezione dove il corpo non torna semplicemente in vita, ma acquista proprietà uniche, diventando capace – per esempio – di attraversare altri corpi, come il lenzuolo.

Questo in effetti narrano i vangeli del corpo risorto di Gesù che entrò nella stanza del cenacolo sebbene le porte fossero sbarrate.

Alcuni fisici hanno ipotizzato il formarsi del “corpo meccanicamente trasparente” (“mechanically transparent body”, Mtb), ma la reazione nucleare che presuppone avrebbe investito tutta Gerusalemme.

Allora si è affinata l’ipotesi con la teoria del “metodo storico consistente” (Historically consistent method, Hcm).

Ma nel suo studio Baldacchini osserva: “l’unico fenomeno conosciuto in Fisica che conduca alla sparizione completa della massa con produzione di energia equivalente è il ‘processo di annichilazione materia-antimateria’ (AMA) che oggi può essere riprodotto solo a livello subatomico nei laboratori di particelle elementari, ma che è stato dominante invece subito dopo il Big Bang, cioè negli istanti iniziali di esistenza del nostro universo”.

Le difficoltà che insorgono in questa ipotesi (come il reperimento dell’antimateria) possono trovare possibili soluzioni nei cosiddetti “stati virtuali” che però “non esistono in natura”.

Baldacchini a questo punto formula delle equazioni che potrebbero descrivere le conseguenze fisiche dell’eccezionale fenomeno e spiegare sia il formarsi dell’immagine, sia la smaterializzazione del corpo, sia il fatto che non vi sia stata un’esplosione nucleare che avrebbe devastato l’area, sia l’istantanea possibile rimaterializzazione dello stesso corpo in un altro luogo.

Naturalmente con ciò non intende spiegare né la causa, né la vita successiva di quello stesso corpo e le sue caratteristiche. Qui si entra infatti in un ordine superiore alla fisica, l’ordine spirituale, che ruota attorno al mistero di Dio il quale delle leggi cosmiche e della materia è il Creatore, l’Autore e l’assoluto sovrano.

Altro che la “particella di Dio”, tutto l’universo è di Dio. Come i cieli e terra nuova dell’eternità. Iniziati in quel sepolcro di Gerusalemme l’8 aprile dell’anno 30.

 Antonio Socci

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08/07/2012 21:47
 
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 Motivi per ritenere autentica la Sindone, analizzati dal fisico Giuseppe Baldacchini

Nel novembre 2011 il fisico e dirigente di ricerca presso l’ENEA di Frascati, Paolo Di Lazzaro, ha presentato in anteprima uno studio scientifico svolto sulla Sacra Sindone, concentratosi sulla formazione dell’immagine. La conclusione è stata la presa di coscienza che oggi la scienza non è in grado di spiegare come si sia formata l’immagine corporea sulla Sindone, facendo diventare dunque non ragionevole l’ipotesi di un falsario medioevale. Soltanto utilizzando la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo, si è potuto colorare il lino in modo similsindonico.

In questi giorni è stato pubblicato un altro studio, realizzato dal dott. Giuseppe Baldacchini, fisico e già dirigente presso il Centro di Ricerca ENEA di Frascati. Egli ha riconosciuto che «accurati studi condotti con il metodo scientifico hanno dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio che non si tratta di un falso, ed inoltre l’ipotesi più accreditata chiama in causa un processo energetico radiante compatibile con la Resurrezione».  Nell’introduzione si è soffermato sulla storia delle religioni, evidenziando come «il Cristianesimo è alla base della nascita della civiltà occidentale e del metodo scientifico». Se non vi sono prove per capire quale delle tante religioni sia quella vera, «la Sindone di Torino può dare una risposta a questo quesito, ed è singolare il fatto che le prove che lo dimostrano vengano dalla Scienza che spesso è contrapposta alla Religione, mentre non c’è confitto tra queste due categorie mentali dell’uomo». Il dott. Baldacchini ha quindi riflettuto sul fatto che «numerosi studiosi hanno messo in dubbio la validità delle misure con il 14C perché i campioni utilizzati per la misura non erano rappresentativi della Sindone e/o sono stati contaminati», una datazione molto probabilmente pilotata come ha mostrato un recente documentario.

Nella prima parte dello studio è stata confutata la tesi secondo cui la Sindone sarebbe un’opera artistica, in quanto «negli ultimi decenni è stato scoperto che l’immagine corporea non è un disegno o una pittura eseguita con tecniche conosciute, e alcune macchie rossastre sono state causate da sangue umano». La Sindone, altrimenti, sarebbe stata «realizzata dal più geniale falsario mai apparso sulla Terra e ancora oggi sconosciuto», il quale avrebbe dovuto conoscere «alcune tecnologie o informazioni prima della loro invenzione e divulgazione [...] non poteva essere a conoscenza di scoperte moderne sia perché le tecniche a disposizione a quel tempo non permettevano di eseguire una simile opera dal punto di vista macroscopico e microscopico». Ma chi sostiene questa tesi, assume una posizione irragionevole, in quanto:

1) L’immagine corporea della Sindone è un falso negativo: tecnologia scoperta ed utilizzata nella fotografia solo nel 1850.2) I chiodi sono infissi nei polsi dell’uomo della Sindone: ma in tutte le rappresentazioni antiche della crocifissione i chiodi sono piantati nelle mani, anche se in questo modo il corpo non poteva rimanere appeso in croce. L’ipotetico falsario medioevale non poteva saperlo o comunque non avrebbe avuto motivi per contraddire le rappresentazioni della tradizione, rischiando così di dare adito a sospetti.3) L’immagine della gamba sinistra è più corta della destra: una conseguenza del metodo di inchiodatura dei piedi e della rigidità cadaverica repentina, due aspetti sconosciuti nel Medioevo, essendo statiscoperti solo in tempi recenti.4) Sul lato destro della cassa toracica c’è una grande macchia di sangue e siero: nessun ipotetico falsario medievale poteva sapere che ciò è una conseguenza della morte istantanea per rottura della parete del cuore, una scoperta recente della medicina.5) Le macchie di sangue sono nette e sotto di esse non c’è immagine corporea: queste caratteristiche sono incompatibili con un’opera artistica.6) Ci sono numerose macchie di sangue sulla fronte e sulla calotta cranica: la rappresentazione tradizionale di Gesù è sempre stata con una corona di spine mentre le ferite sulla Sindone presuppongono un casco di spine, un fatto sconosciuto fino a tempi recenti. Nessun falsario, ancora una volta, avrebbe avuto motivi per contraddire di punto in bianco la rappresentazione tradizionale.7) L’immagine corporea è assente in alcuni punti quali la parte destra della faccia e della fronte e altre parti del corpo: solo recentemente se ne è spiegata la ragione che è collegata alle formalità rituali della sepoltura.8) L’immagine corporea contiene informazioni tridimensionali: i dipinti e le foto sono generalmente piatti e, a parte le difficoltà tecniche di riproduzione, non si spiegano i motivi che possono aver indotto l’ipotetico falsario a creare un simile effetto, inutile e sconosciuto nella storia dell’arte.9) L’immagine corporea è estremamente superficiale e consiste di fibrille colorate giallo-seppia che risultano ossidate e disidratate: per le tecniche chimiche e fisiche antiche conosciute non sarebbe stato possibile, mentre esiste una tecnica optoelettronica moderna compatibile.

Si deduce, dunque, che «la Sindone non è un falso e tanto meno medievale, ed ha contenuto realmente il corpo morto di un uomo crocifisso in tempi antichi».

 

L’altra ipotesi è che la Sindone abbia contenuto un corpo di uno sconosciuto, non quello di Gesù, anch’esso crocifisso nello stesso modo più o meno alla stessa epoca. Una tesi ancora una volta irragionevole, perché:

1) Il lenzuolo funebre utilizzato per avvolgere il cadavere era pregiato e costoso: simili lini venivano utilizzati in Israele solo per persone di rango reale e/o posizione sociale elevata, ed in questo caso la storia ne avrebbe parlato.2) L’uomo della Sindone è stato fustigato metodicamente su tutta la superficie del corpo: ci sono segni evidenti di flagello romano in numero così elevato che, a parte i Vangeli, nessun documento storico li ha mai riportati per qualsiasi altro condannato.3) L’uomo della Sindone è stato incoronato con una corona/casco di spine: ci sono segni evidenti delle ferite delle spine e non si conoscono storicamente altre crocifissioni avvenute con questa aggiunta singolare.4) Il costato è stato trafitto da una lancia: c’è una vistosa macchia di sangue e siero nel fianco destro dell’uomo causata da una ferita da lancia, un fatto piuttosto irrituale.5) Le gambe dell’uomo della Sindone sono integre, mentre quelle dei condannati alla crocifissionevenivano generalmente rotte per affrettarne la morte, che sarebbe avvenuta solo molto più tardi per soffocamento.6) La Sindone non contiene tracce di liquidi e gas putrescenti: questi segni sono prodotti dopo circa 40 ore dalla morte, e quindi il corpo non c’era già più prima di allora ma non troppo prima, per via delle macchie di sangue che hanno richiesto del tempo per formarsi per la liquefazione del sangue già coagulato, processo di emolisi.7) Il corpo non è stato rimosso manualmente: non ci sono tracce di trascinamento in corrispondenza delle macchie di sangue.

Secondo l’ipotesi del falso, si dovrebbe supporre che «un’altra persona sia stata sottoposta alla stesse torture del Gesù descritto dai Vangeli, tenendo conto però che nessuno all’epoca conosceva le conseguenze di tali azioni, e che sarebbe stato praticamente impossibile riprodurre le stesse condizioni temporali e spaziali». La spiegazione più logica è che «la Sindone è stata realmente il lenzuolo utilizzato per coprire il cadavere di Gesù circa 2.000 anni fa, dopo essere stato flagellato e crocifisso in una città della Galilea chiamata Gerusalemme, come è stato descritto nei Vangeli canonici».

 

Rispetto alle ipotesi scientifiche sulla formazione dell’immagine«quella della esplosione di energia radiante (REB) è la più credibile attualmente, e la sua variante AMA (annichilazione materia-antimateria) risolve alcune difficoltà non altrimenti superabili». Attualmente, «l’unico modo di spiegare la Sindone nella sua interezza è che l’uomo descritto dai Vangeli come Gesù Cristo abbia subito un processo di annichilazione quando era cadavere e avvolto nella Sindone». Baldacchini riflette che «se la Resurrezione è realmente avvenuta allora, secondo la mia opinione, deve anche essere stato come per la creazione dell’universo. Infatti l’inizio del Big Bang può essere considerato un evento casuale (dagli agnostici) o sovrannaturale (dai credenti), ma il suo sviluppo è sicuramente avvenuto seguendo le leggi della Fisica, che molto probabilmente sono nate come le conosciamo oggi nel momento stesso del Big Bang. Quindi anche alla Resurrezione si può applicare lo stesso modello di una causa iniziale casuale o sovrannaturale, seguita poi da eventi spiegabili con le leggi della Fisica».

In conclusione, il fisico dell’ENEA ha affermato: «la Sindone di Torino è un testimonio muto della Resurrezione di Gesù Cristo, che quindi è realmente il figlio di Dio come più volte egli stesso ha asserito personalmente. Ma allora anche quello che ha detto, e che in parte ci è stato tramandato nei Vangeli e dalla tradizione della Chiesa, sulla vita e sulla morte è importante per noi».

 

UCCR

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16/10/2012 21:50
 
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Sindone: «l’esito del C14: la più grande truffa scientifica di sempre»

Questi due ultimi anni sono stati davvero importanti per laSacra Sindone e i suoi appassionati, ovviamente per la contrapposta disperazione dei militanti del CICAP, l’associazione italiana che spreca risorse andando a caccia di fantasmi.

Il documento principale del 2011 è stato senza dubbio il report di alcuni ricercatori di ENEA, coordinati dal fisico Paolo Di Lazzaro, i quali hanno respinto con ragionevoli argomentazioni la possibilità di un falsario medioevale. Proprio su UCCR il dott. Di Lazzaro ha presentato in anteprima i risultati (prima parteseconda parte), pubblicati successivamente in un vero e proprio documento scientifico. I ricercatori hanno dimostrato anche la possibilità di colorare tessuti di lino in modo similsindonico (cioè abbastanza somigliante all’originale) soltanto tramite la luce UV e VUV di un laser eccimero impulsato della durata di alcuni miliardesimi di secondo (diversi video su Youtube, come questo, ripropongono le varie interviste di approfondimento al ricercatore dell’ENEA).

Nel febbraio 2012 è invece apparso il documentario “La notte della Sindone”, prodotto da Polifemo e RAI con la regia di Francesca Saracino, il quale ha fatto luce sulle ricerche, i personaggi e le misteriose manovre che hanno caratterizzato la controversa datazione al radiocarbonio eseguita nel 1988. Un responso, quello del c14, che vede oggi decisamente scettici sulla sua validità la maggior parte degli studiosi (ovviamente a parte quelli ideologicamente impegnati). In questa pagina viene riassunta la situazione attuale, qui basterà citare la relazione della Società Italiana di Statistica, con la quale sono stati rilevati errori di calcolo e la modificazione di alcuni dati per arrivare al livello di attendibilità dall’1 al 5%, ovvero la soglia minima per poter presentare l’esame scientificamente.

UCCR aveva per l’occasione intervistato la regista, la quale aveva preannunciato contenuti inediti e sconvolgenti. Ancora non siamo riusciti a visionare il documentario, che è divenuto acquistabile proprio in questi giorni, ma la recensione apparsa in questi giorni su Vatican Insider ha certamente confermato le parole della dott.ssa Saracino. Gli autori dell’inchiesta hanno infatti intervistato Franco Faia, che insieme a Luigi Gonella e a Giovanni Riggi di Numana fu protagonista e testimone dell’operazione di datazione della Sindone con il Carbonio 14, il quale ha definito così ciò che accadde allora: «Si tratta della più grande truffa scientifica di tutti i tempi».

Tre laboratori (Tucson, Zurigo, Oxford), come sanno i nostri lettori, ebbero qualche minuscolo frammento della Sindone per datarlo con il metodo del radicarbonio. I risultati fecero risalire la Sindone al periodo tra il 1290 e il 1360 (guarda caso proprio il momento in cui i dati storici segnalano la prima presenza certa della Sindone), ma tale esito venne raggiunto in una continua e persistente violazione delle procedure che ha gettato un’ombra pesante sulla serietà dell’ente di coordinamento. I “dati grezzi” degli esami, cioè le cifre di base che sono servite a stilare il rapporto, non sono però mai stati resi pubblici nonostante le richieste della diocesi di Torino. Francesca Saracino e Paolo Monaci sono riusciti ad arrivare ad una copia di questi.

Il professore di statistica Pierluigi Conti, dell’Università a Sapienza, ha studiato il rapporto pubblicato allora dalla rivista Nature, osservando l’esistenza di un errore aritmetico«Un errore semplicissimo, di cui non sono stati il primo ad accorgermi. Un piccolo errore aritmetico che però è decisivo: perché fa sì che si concluda che il materiale esaminato dai tre laboratori è omogeneo». Se questo errore viene corretto, ha continuato, «si arriva a una conclusione opposta: e cioè che l’età del materiale sindonico datato dal laboratorio di Arizona è diversa – 50, 60, 70 anni – dal materiale datato dagli altri due laboratori». La conclusione è dunque inevitabile: «Questo inficia completamente le conclusioni statistiche che derivano dall’articolo di Nature». Un risultato analogo, condotto con altri metodi di calcolo statistico, è stato ottenuto in maniera indipendente dal prof. Marco Riani, docente di statistica presso l’università di Parma.

Così come ha dunque osservato la Società Italiana di Statistica citata più sopra, questi errori sono fondamentali perché se in un campione così piccolo – qualche centimetro di stoffa – si trova una disomogeneità così forte nell’età del tessuto, nel momento in cui si considera l’intera Sindone  – quattro metri di lino – «potremmo avere variazioni di centinaia e anche di parecchie migliaia di anni». E, da un punto di vista strettamente scientifico, «non c’è un’evidenza sufficiente a favore dell’ipotesi che la Sindone sia un reperto medievale» ha concluso lo statistico. Occorre ricordare che il chimico Raymond N. Rogers, considerato uno dei maggiori esperti a livello internazionale in analisi termica, ha effettivamente individuato proprio nella zona in cui è stato prelevato il campione per la datazione del 1988, delle inserzioni di rammendo invisibile con filo di cotone, probabilmente di origine medioevale, arrivando ad affermare«La data emersa dall’esame al radiocarbonio non è da considerarsi valida per determinare la vera età della Sindone». Perfino il responsabile di uno dei laboratori in cui è stata realizzata la datazione,Christopher Ramsey di Oxford, ha dichiarato in un comunicato ufficiale del 2008: «Ci sono un sacco di altre prove che suggerisce a molti che la Sindone è più vecchia della data rilevata al radiocarbonio».

Tutto questo è ancora una volta una anticipazione, possibile grazie al fatto che Vatican Insider ha potuto visionare in anteprima il DVD e i contenuti extra, ma “La Notte della Sindone” presenta molti altri elementi decisivi e altamente sospetti. 

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21/04/2013 06:09
 
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"Molto alte le probabilità che la Sindone sia vera"

 
L MISTERIOSO VOLTO DELLA SINDONE

Irrompe una nuova ipotesi sul sacro lino avanzate dallo studioso francese Tristan Casabianca

MARCO TOSATTI
ROMA

 

 

L’Heythrop Journal, edito dall’omonimo college dell’Università di Londra, pubblica un interessante articolo di uno studioso francese, Tristan Casabianca (Università di Aix-Marseille), che utilizza i criteri normalmente riconosciuti e usati dagli specialisti nel lavoro di “valutazione storica” alla Sindone di Torino. L’obiettivo è quello di determinare quale ipotesi sia la più probabile in relazione alla formazione dell’immagine sul telo. Prima di entrare in dettaglio nella metodologia usata, vi diciamo che la conclusione a cui giunge Casabianca è la seguente: “Il risultato indica che le probabilità che la Sindone di Torino sia il reale lenzuolo funerario di Gesù di Nazareth sono molto alte”.

 

Nella sua ricerca lo studioso usa quattro strumenti che appartengono alla metodologia usata normalmente dagli storici. Plausibilità; Potere esplicativo; Ampiezza dell’ambito esplicativo; Minor uso possibile di dati non verificabili, e criterio di semplicità. E infine, “illuminazione”, cioè la capacità di un’ipotesi di gettare luce su altri fenomeni accettati ampiamente. Obiettivo, la creazione di uno “strato roccioso” di fatti su cui tutti o quasi tutti possano concordare, indipendentemente dalle loro posizioni filosofiche o ideologiche, usando il sistema del “minimal facts”.

 

Casabianca sottopone tre ipotesi a questa griglia. La prima è l’ipotesi di un falso, e la ricostruzione compiuta dal chimico Luigi Garlaschelli, che ha tentato di riprodurre una “Sindone” usando oggetti e  metodi reperibili da parte di un artigiano medievale. Ma il tentativo di Garlaschelli, secondo Casabianca, risulta insoddisfacente per tutte cinque le categorie di valutazione usate. Sarebbe lungo entrare nel dettaglio, in questo articolo; ma chi vuole può esaminare gli argomenti in questo link:http://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1111/heyj.12014/abstract

 

C’è poi l’ipotesi “Naturale”, che si basa soprattutto sul fatto che un fenomeno particolare, chiamato “effetto Corona”, o l’effetto Maillard, possano avere creato l’immagine sul telo, con tutto il complesso sistema di elementi fisico-chimici (compreso l’effetto 3D) che rendono problematica una riproduzione. Di recente questa ipotesi è stato sostenuta in particolare dal prof. Giulio Fanti di Padova. Ma Casabianca da’ semaforo verde solo al “potere esplicativo”, e, parzialmente, all’ampiezza dell’ambito esplicativo. Gli altri tre elementi della valutazione storiografica non appaiono soddisfatti dall’ipotesi naturale.

 

Infine, c’è l’ipotesi della Resurrezione. Che da risultato negativo solo nel potere esplicativo: “Se la Sindone di Torino è il nostro solo testimone dell’istante della resurrezione, la nostra conoscenza attuale non ci consente di indicare quale processo ha creato l’immagine”.

 

Conclude Casabianca: “L’ipotesi resurrezione è la più probabile fra le tre ipotesi prese in considerazione . Il suo livello di plausibilità è alto…questo non significa comunque, che si prova come storica l’ipotesi resurrezione: è semplicemente l’ipotesi più probabile quando adottiamo un approccio di ‘Minimal Facts’ per cercare la migliore spiegazione. Se abbiamo buone ragione filosofiche per dubitare che Dio possa intervenire sulla Terra, la plausibilità dell’ipotesi è insufficiente”. Ma Casabianca conclude lamentando il fatto che la Sindone sia quasi scomparsa dalla discussione fra teologi e studiosi del Nuovo testamento. “Storici e teologi della natura dovrebbero trattare seriamente, anche se con prudenza, la Sindone, quando si discute della vita e della morte di Gesù”.

 

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27/08/2013 13:54
 
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L’ipotesi resurrezione è la più attendibile a spiegare la Sindone

Un recente studio (The Shroud of Turin: A Historiographical Approach, aprile 2013) torna sull’argomento dell’autenticità, prodotto dal ricercatore francese Tristan Casabianca (Università di Aix-Marseille) e pubblicato sull’accademico “Heythrop Journal”.

 

L’analisi verte sull’esame delle tre principali ipotesi circa l’origine del “sacro lino”:

1) ipotesi Garlaschelli, chimico italiano che si è cimentato in un tentativo di riproduzione dell’immagine sindonica. Sarebbe un falso del 1300;

2) ipotesi della risurrezione. La Sindone sarebbe l’autentico lenzuolo (sindone in greco) che ha avvolto il corpo del Signore, recandone miracolosamente impressa l’immagine “in Polaroid”;

3) ipotesi naturale. Sarebbe il prodotto di cause naturali, riconducibile comunque alla Palestina del I secolo.

 

Per ognuna di queste tre ipotesi l’autore ne esamina la verosimiglianza sotto cinque aspetti:

plausibilità: le nostre conoscenze scientifiche spiegano l’immagine?

spiegabilità: l’ipotesi giustifica tutti i dati?

chiarezza: l’ipotesi è specifica e accurata e non ambigua?

semplicità: implica dati non reali o non verificabili?

illuminazione: l’ipotesi rende ragione degli altri dati conosciuti?

 

Questa in sintesi il risultato dell’analisi:

 

Garlaschelli

Risurrezione

Ip. naturale

Plausibilità

No

No

Spiegabilità

No

Chiarezza

No

No

Semplicità

No

No

Illuminazione

No

No

 

L’ipotesi di Garlaschelli, che vede la Sindone come l’artefatto di un falsario medievale, non spiega nessuno dei cinque aspetti esaminati. Anche l’ipotesi naturale presenta complessivamente più luci che ombre. Rimane l’ipotesi della “Polaroid” della risurrezione, che permette di spiegare quasi tutti gli aspetti esaminati. Secondo l’autore l’unico aspetto non chiarificatore è il modo in cui l’evento della risurrezione possa aver prodotto l’immagine. Ma questo è tautologico: di fronte a un evento soprannaturale e misterioso, la ragione scientifica deve alzare bandiera bianca e ammettere la propria limitatezza.

Roberto Reggi

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31/08/2013 19:01
 
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LA SINDONE: LA PIU’ INSIGNE RELIQUIA DELLA

 RISURREZIONE?  

 

     Cosa c’entra il tessuto Sindonico con la persona di Gesù? Questa è la domanda che molti possono farsi e che a tutt’oggi rappresenta l’interrogativo di fondo degli Studiosi che si avvicinano alla Sindone.

   La prima domanda che dobbiamo porci è se questo telo risale al tempo di Gesù. La seconda è conseguente: se le impronte presenti sul telo sono proprio quelle della Sindone che avvolse il corpo di Gesù dopo la sua morte in croce. La terza, invece, è relativa alla domanda sulla formazione delle impronte. Come si è formata l’immagine Sindonica. Ed è appunto la terza che potrebbe interessare particolarmente il nostro discorso sulla risurrezione di Gesù.

   Intanto partiamo da una breve descrizione del lenzuolo: Si tratta di un tessuto lino tessuto a spina di pesce, lungo 442 centimetri e largo 113 centimetri.

   Un primo particolare attira la nostra attenzione: la tessitura a spina di pesce. Si tratta di un tipo di tessitura che rende verosimile l'origine del tessuto nell'area siro-palestinese(http://www.shroud.it/STUDI.HTM).

   La palinologia, ovvero lo studio dei pollini, ha recato un altro considerevole contributo allo studio della Sindone.  Infatti, già nel 1973 la ricerca di Max Frei, esperto in indagini criminali attraverso la rilevazione di microtracce, aveva confermato la presenza, sul lenzuolo della Sindone, di pollini presenti solo in un'area mediorientale. Delle 58 specie identificate da Frei solo 17 crescono in Europa. 

   Altri indizi: presenza di aloe e mirra; la presenza di un tipo di carbonato di calcio (aragonite) simile a quello ritrovato nelle grotte di Gerusalemme; tracce sugli occhi di monete coniate il 29 d.C. sotto Ponzio Pilato; una cucitura laterale identica a quelle esistenti su stoffe ebraiche del primo secolo rinvenute a Masada, un’altura vicina al Mar Morto(http://www.shroud.it/STUDI.HTM). 

   Anche il prof. Avinoam Danin, botanico della Hebrew University di Gerusalemme,  si è pronunciato sui pollini presenti  sulla Sindone.  In particolare vi sono alcune specie di piante che crescono insieme solo nella zona di Gerusalemme, tra cui il Cistus Creticus, la Gundelia tournefortii e lo Zygophyllum dumosum Boiss (http://www.sindone.org/it/ostens/sindstam/congr6gi.htm). 

   Così il 16 giugno 1999 il quotidiano IL MESSAGGERO, pubblicò la notizia: "Tracce di polline di piante tipiche di Gerusalemme e del vicino deserto di Giudea sono state rinvenute nella Sindone in un nuova ricerca condotta da due scienziati israeliani che conferma indicazioni precedenti. Lo studio è stato condotto dai professori Avinoam Danin e Uri Baruch dell'Università di Gerusalemme"(Il Messaggero, 16 giugno 1999, Esteri).

   Un altro contributo alla nostra indagine, ci viene dalla Numismatica. Grazie al computer ed alla lettura digitale, sono state riscontrate, sul telo sindonico, tracce di monete romane del I secolo d.C.: si tratta di due monete rinvenute nelle prossimità delle orbite degli occhi dell’Uomo della Sindone.  I numismatici hanno verificato che le due monete sono il Dilepton Lituus e il Simpulum, coniate e in uso durante l’epoca di Tiberio dal procuratore della Giudea al tempo di Gesù, Ponzio Pilato. Le due monete, analizzate al computer, proverebbero che, diversamente dalla datazione al Radiocarbonio che negherebbe l’antichità e l’autenticità come lenzuolo funebre di Cristo, l'età della Sindone è di molto antecedente. Infatti, le due monete ora citate, coinciderebbero con l'epoca della morte di Gesù. Infatti, porre delle monete sugli occhi del morto era consuetudine ebraica, confermata da altri ritrovamenti di crani di 2000 anni fa al cui interno erano state rinvenute monete, cadute nelle cavità orbitali.

   Le monete recano la scritta «Tiberiu Kaisaros», invece di «Tiberiou Kaisaros», come avrebbero dovuto essere. Era stato proprio Ponzio Pilato, procuratore dell’imperatore Tiberio – come scrive Antonio Persili nel suo libro Sulle tracce del Cristo Risorto -  ad emettere monete con questo errore grafico. Ciò esclude ogni possibilità che la tela della Sindone non sia autentica: essa certamente risale al tempo di Gesù e si trova in Giudea al tempo di Ponzio Pilato.

   Dopo aver verificato la localizzazione del tessuto sindonico nell'area Palestinese e dopo aver visto, grazie al contributo invisibile delle tracce di monete che il tempo a cui risale è pressappoco quello in cui muore Gesù di Nazaret, con l'aiuto del Collegamento Pro Sindone vediamo perché la Sindone è il lenzuolo funerario di Cristo

   "C'è una perfetta coincidenza tra le narrazioni dei quattro Vangeli sulla Passione di Cristo e quanto si osserva sulla Sindone, anche riguardo ai particolari "personalizzati" del supplizio.


* La flagellazione come pena a sé stante, troppo abbondante per essere il preludio della crocifissione (120 colpi invece degli ordinari 21).
* La coronazione di spine, fatto del tutto insolito.
* Il trasporto del patibulum.
* La sospensione ad una croce con i chiodi invece delle più comuni corde.
* L'assenza di crurifragio.
* La ferita al costato inferta dopo la morte, con fuoruscita di sangue e siero.
* Il mancato lavaggio del cadavere (per la morte violenta e una sepoltura affrettata).
* L'avvolgimento del corpo in un lenzuolo pregiato e la deposizione in una tomba propria invece della fine in una fossa comune.
* Il breve tempo di permanenza nel lenzuolo(http://www.shroud.it/STUDI.HTM). 

   Ed è sempre lo stesso Collegamento Pro Sindone, che in tre punti indica come la Sindone sia un Segno della risurrezione di Cristo:

   "Il corpo dell'Uomo della Sindone non presenta il minimo segno di putrefazione; è rimasto avvolto nel lenzuolo per un tempo di 30-36 ore.

   La formazione dell'immagine potrebbe essere spiegata con un effetto fotoradiante connesso alla Risurrezione.

   Non c'è traccia di spostamento del lenzuolo sul corpo. È come se questo avesse perso all'improvviso il suo volume"(http://www.shroud.it/STUDI.HTM).  

   Queste deduzioni sono confermate anche nel Documento del IV Symposium Scientifique International du CIELT, tenutosi a Parigi nei giorni 25-26 aprile 2002. In tale documento, raggiungibile attraverso il sito del Collegamento pro Sindone, è scritto, tra l'altro: 

   "...le caratteristiche tridimensionali dell'immagine corporea conducono all'ipotesi di una radiazione come causa della formazione dell'immagine perché una sorgente che agisce a distanza con un effetto inversamente proporzionale alla distanza, almeno per definizione è chiamato radiazione (Gonella 1984).

   Il fatto che l'immagine corporea penetra nel lenzuolo per una profondità di non più di poche fibrille di lino sulla corona dei fili, suggerisce l'ipotesi di un lampo di energia.

   L'aloe ha un effetto catalitico se un campo elettromagnetico (come la luce) agisce su un lenzuolo di lino e su di esso forma un immagine.

    I contorni ben definiti delle macchie di sangue fanno pensare che non vi furono movimenti fra cadavere e ST (Sindone Torino, n.d.a. di questo sito). dopo la deposizione nella tomba...

   ...

   La scienza ha inoltre verificato che il sangue fu impresso sulla ST prima dell'immagine corporea e che il processo di fibrinolisi(ridiscioglimento dei coaguli a contatto con il lenzuolo imbevuto di aloe e mirra)  durò dalle 10 alle 40 ore; che il corpo umano fu avvolto per un tempo non superiore alle 40 ore perché non si riscontrano segni di putrefazione.

   Ma c'è un ultimo dato che ci interessa da vicino. Le macchie di sangue dell'uomo della Sindone, appartengono alla specie umana. Si tratta di sangue umano maschile di gruppo AB che all'analisi del DNA è risultato molto antico. Il sangue è dello stesso tipo di quello riscontrato sul Sudario conservato nella Cattedrale di Oviedo (Spagna), una tela di 83 x 52 cm che presenta numerose macchie di sangue simmetriche, passate da una parte all'altra mentre era piegata in due. La tradizione la definisce Santo Sudario o Sagrado Rostro, cioè Sacro Volto. La preziosa stoffa giunse ad Oviedo nel IX secolo, in un'Arca Santa di legno con altre reliquie, proveniente dall'Africa settentrionale. Il sangue presente sul Sudario è umano, appartiene al gruppo AB e il DNA presenta profili genetici simili a quelli rilevati sulla Sindone. Il Centro Español de Sindonologia (http://www.linteum.com/) ha ulteriori informazioni sul Sudario di Oviedo nel suo website.

   Anche il confronto con il sangue del miracolo eucaristico di Lanciano (Chieti) mostra dati convergenti. Qui nel sec. VIII, nella chiesa di san Legonziano, nelle mani di un monaco basiliano che dubitava della presenza reale di Cristo nelle specie eucaristiche, al momento della consacrazione l'ostia diventò carne e il vino si mutò in sangue. Dalle indagini compiute nel 1970 da Odoardo Linoli, libero docente in anatomia e istologia patologica e in chimica e microscopia clinica all'Università di Siena, risultò che la carne è vero tessuto miocardico di un cuore umano e il sangue è autentico sangue umano del gruppo AB(http://www.shroud.it/STUDI.HTM).  

   Ma non sono solo le impronte delle monete a far propendere per un'identificazione del lenzuolo con la Sindone che ha avvolto il corpo di Gesù morto. Altri studi, compiuti da Andrè Marion e Anne-Laure Courage hanno portato alla luce delle scritte presenti sulla Sindone, di cui risulta interessante la scritta maiuscola NAZARENUS, e quella, appena sotto il mento, in greco maiuscolo, HSOU, cioè IESOU; la I è probabilmente caduta o si è cancellata. Sono state trovate ancora altre scritte, non solo nei pressi del Volto, ma anche in varie altre parti del telo sindonico.   

   Considerato tutto questo, torniamo a verificare quanto scrive don Antonio Persili nel suo libro Sulle tracce del Cristo Risorto:

   “La risurrrezione  è avvenuta con una esplosione di energia, che ha influito su tutti gli elementi presenti sulla pietra sepolcrale: il corpo di Gesù, gli aromi, le fasce, il sudario, le tele in genere, la Sindone....

   I fenomeni, provocati dalla risurrezione, si possono dividere in tre gruppi: fenomeni di sparizione, fenomeni di posizione delle tele, fenomeni di impressione delle immagini”(Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo Risorto, Edizioni C.P.R., seconda ristampa 2000, 230).

   Nel sepolcro sono scomparsi sia il corpo di Gesù che  gli aromi. Quanto cioè fosse di più pesante (solo gli aromi pesavano 100 libbre, cioè 32 chili e 700 grammi circa), mentre invece erano rimasti gli elementi più leggeri, come la Sindone, le bende, etc.

   La posizione delle tele - perché ormai accettiamo la tesi di Persili - dimostra che il corpo di Gesù era scomparso dall’interno di queste tele, senza sfasciarle. Una scomparsa spiegabile solo con la sua risurrezione. Quindi il lenzuolo che ha avvolto il corpo di Gesù di Nazaret, con la formazione dell’immagine su di esso, è divenuto il primo testimone visibile, anche se silenzioso, della risurrezione; la prima reliquia di questo straordinario evento storico.

   Nelle testimonianze evangeliche circa il sepolcro vuoto, non c’è presenza di aromi sulla pietra sepolcrale. Eppure Nicodemo e Giuseppe d’Arimatea avevano comprato, per il rito di sepoltura, 100 libbre, di una mistura di mirra ed aloe. Come spiegare la sparizione di questi aromi, di cui Pietro nella sua ricognizione nella tomba non fa assoluta menzione? Solo con questa luce improvvisa sprigionatasi dal corpo di Cristo si può spiegare questa dissoluzione degli aromi. Una luce che può aver dissolto quasi 33 chili di misture aromatiche. La sparizione degli aromi accompagnata anche, secondo Persili, da un fenomeno concomitante con l’improvviso asciugamento delle tele che avvolgevano il corpo di Gesù”(Cfr. Antonio Persili, Sulle tracce del Cristo Risorto, Edizioni C.P.R., seconda ristampa 2000, 232).

 

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24/04/2014 09:32
 
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Chi è l'uomo della Sindone?






Siamo in grado di ricostruire un identikit
della persona che venne avvolta nella Sindone?

Mirko Testa
 
 
© P.M WYSOCKI / LUMIÈRE DU MONDE
La tradizione della Chiesa e i risultati della ricerca scientifica affermano che con altissima probabilità il corpo senza vita impresso sul lino di Torino sia quello di Gesù. Infatti, il tessuto rivela un uomo adulto, sulla quarantina, robusto, alto circa un metro e ottanta, che mostra i segni della flagellazione e della crocefissione, cui fu tributata una sepoltura onorifica.


1) L'immagine che emerge dalla Sindone è quella di un cadavere martirizzato, con il capo e la nuca feriti da un insieme di oggetti appuntiti, le ginocchia e il setto nasale escoriati e cosparsi di terra come in seguito a una caduta, un'ampia ferita al costato apertasi dopo il decesso, i polsi e i piedi trafitti da chiodi, e le scapole segnate probabilmente da una pesante trave.

L'immagine rimasta impressa sul telo sindonico ci parla di un corpo che manifesta tutti i sintomi del rigor mortis, il particolare irrigidimento muscolare che segue la morte: il capo è forzatamente flesso sul petto senza che vi siano segni di un sostegno al di sotto della nuca, gli arti superiori e inferiori hanno una posizione del tutto innaturale. In particolare, la foratura in corrispondenza dei polsi e dei piedi, la posizione contratta del torace e dei muscoli delle cosce, le lacerazioni lasciate da un grosso supporto rigido sulla schiena mostrano che l'uomo fu giustiziato con la crocifissione. Prima di essere flagellato venne denudato, e infatti su quasi tutta la superficie corporea, tranne che sul volto, sono state contate 120 lesioni affiancate due a due provocate quasi sicuramente da un flagello composto da un manico al quale erano state applicate due funicelle o lunghe striscioline di cuoio terminanti con due piccoli pesi di piombo. In questo caso si deve pensare che fossero stati vibrati 60 colpi. In tutto le tracce di ferite visibili contate sono invece 372. La maggior parte degli studiosi è concorde nel ritenere che fosse alto sul metro e ottanta. I segni dell'invecchiamento che si manifestano sul volto dell'uomo sindonico inducono ad affermare che potesse avere circa quarant'anni. Il setto nasale presenta una frattura scomposta, la parte destra del viso è completamente tumefatta. Il sangue rinvenuto sul telo, come dimostrato per primo dal medico chirurgo Pierluigi Baima Bollone, è umano di gruppo AB – quello statisticamente più raro, in Europa corrisponde al 5% della popolazione, mentre negli ebrei è molto più elevata la percentuale – e contiene una grande quantità di bilirubina, un fatto tipico in chi ha subito una morte violenta. Nella zona del cranio compare l'impronta di 13 ferite inferte da oggetti appuntiti tutti dello stesso tipo, disposti nella parte superiore della testa a formare una specie di elmo o casco. Le emorragie dipendono alcune da ferite che l'uomo subì da vivo, altre invece gli vennero inflitte quando era già morto. L'esame del flusso sanguigno indica che l'uomo fu avvolto nel telo in un tempo preciso, non oltre due ore e mezzo dopo la sua morte. Nella zona delle scapole le ferite appaiono ulteriormente ingrandite e abrase, come se avesse trasportato un grosso oggetto rigido, un dato che fa pensare al trasporto del patibulum, la trave di legno pesante oltre cinquanta chilogrammi, che veniva portata dal condannato fino al luogo dell'esecuzione e che avrebbe formato il braccio orizzontale della croce da issare sopra un palo infisso a terra, detto stipes.

2) Alcune anomalie – il trasporto del patibulum, l'utilizzo di chiodi per mani e piedi, la corona di spine, il fatto che non fosse finito in una fosse comune – oltre a rendere questa crocifissione molto particolare, fanno pensare che sia stata una esecuzione esemplare particolarmente dura.

Le lesioni appaiono numericamente molto superiori a quelle prevedibili per un condannato che avrebbe dovuto subire successivamente un'esecuzione capitale. La flagellazione denota un duro accanimento, una severa punizione. Nell'ordinamento romano il numero dei colpi di flagello era limitato dal divieto di uccidere il condannato, mentre presso i giudei il numero dei colpi è fissato a quaranta, un numero sacro, come si legge in Deuteronomio 25,3. Per questo quando usavano una frusta con tre estremità, i giudei vibravano soltanto tredici frustate per non esporsi al pericolo di oltrepassare questo numero limite. Inoltre, l'immagine impressa testimonia che il corpo subì due forme di violenza non riconducibili all'uso romano: la presenza delle ferite puntiformi sul cranio e presso la nuca, oltre alla ferita da arma da punta e taglio inferta fra la quinta e la sesta costola. Un'altra anomalia è che al suppliziato non furono spezzate le ossa delle gambe, cosa che gli ebrei usavano fare per esigenze rituali: sempre il Deuteronomio proibiva di lasciare i cadaveri sulla croce oltre il tramonto, e la pratica di fratturare le gambe (crurifragium) affrettava la morte e quindi permetteva di tirarli giù prima della sera. L'impronta di sangue più vistosa fra tutte corrisponde a quella riportata sulla parte destra del torace, provocata da un'ampia ferita da punta e taglio, possibilmente una lancia. Il sangue risulta diviso nelle sue due componenti, ovvero la parte sierosa e quella corpuscolata (i globuli rossi): la divisione denominata “dissierazione” si compie solo dopo la morte, perciò la ferita che ha provocato lo squarcio sul torace è stata inferta quando l'uomo era già cadavere. L'impronta si è prodotta prima che si sciogliesse il rigor mortis, quindi prima che cominciasse il naturale processo di decomposizione dopo 36-48 ore.

3) Dal tipo di tessuto di lino e da come venne trattata la salma, possiamo dedurre che l'uomo avesse ricevuto una sepoltura senza la purificazione rituale prevista dalla legge giudaica ma comunque molto onorevole: i tessuti di quella fattura, nell'ebraismo antico, erano infatti riservati agli usi del Tempio di Gerusalemme e agli uomini consacrati a Dio.

Al contrario di quanto previsto dagli usi funerari degli ebrei menzionati nel Talmud, il cadavere staccato dalla croce è stato adagiato su un lungo lenzuolo nudo, non lavato e non rasato. Secondo quanto scrive Emanuela Marinelli in “La Sindone. Testimone di una speranza” (Edizioni San Paolo, 2010): “Quattro categorie di persone non ricevevano la purificazione rituale secondo la legge giudaica: vittime di una morte violenta; giustiziati per crimini di natura religiosa; proscritti dalla comunità giudaica; uccisi da non Giudei”. Tuttavia, l'uomo della Sindone, in accordo con la cultura ebraica venne sepolto in un candido lino e per di più di estremo valore. La Sindone è stata infatti tessuta con una tecnica detta “a spina di pesce”, utilizzata sicuramente già prima dell'era cristiana ma di cui ci rimangono rari esemplari, soprattutto in lino. Il filato presenta, invece, la complessa e molto rara torcitura a Z, nel quale le fibre vengono condizionate a torcersi nel verso contrario rispetto a quello che prenderebbero spontaneamente nel seccarsi al sole. Il sudario è stato sicuramente prodotto in ambiente ebraico poiché dalle analisi non sono emerse tracce di fibre di origine animale, in ottemperanza alla legge mosaica (Dt 22,11) che prescriveva di tenere separata la lana dal lino. Semmai sono state rilevate tracce di fibre di cotone identificate come Gossypium herbaceum, diffuso in Medio Oriente ai tempi di Cristo. Questo tipo di telo richiama un tessuto assai pregiato e ritualmente puro con cui, negli usi liturgici dell'ebraismo antico, venivano confezionati i velari del Tempio di Gerusalemme e che veniva usato dal sommo sacerdote – il presidente del Sinedrio, il consiglio supremo che reggeva la comunità ebraica – per avvolgersi dopo aver compiuto per cinque volte il bagno rituale obbligatorio nel giorno in cui celebrava il rito dell'Espiazione (lo Yom Kippur), la festa più sacra. E' strano quindi che il corpo di un condannato a un supplizio infamante da cui erano esenti i cittadini romani e che era riservato a traditori, disertori e spesso agli schiavi, sia stato avvolto in un sudario estremamente prezioso per poi esservi rimosso poco tempo dopo, invece di essere gettato direttamente in una fossa comune o finire in pasto alle belve.

4) Il luogo in cui l'uomo della Sindone fu sepolto o in cui il lenzuolo rimase esposto più a lungo può essere ricavato da due elementi: i pollini rimasti imbrigliati nella sua trama e appartenenti a varie specie vegetali esistenti solo in Medio Oriente o per lo più concentrate in un'area che circonda la zona di Gerusalemme; il terriccio rinvenuto e contenente aragonite, un minerale abbastanza raro però diffuso nei dintorni di Gerusalemme.

Le analisi sul tessuto sindonico hanno permesso di accertare la presenza sia di pollini europei (in quantità più esigua) che di pollini di piante che vivono nella regione di Costantinopoli, nella steppa anatolica e sulla sponde del Mar Morto. Studiando i diversi spostamenti del telo sindonico ricavabili sin dalle testimonianze cristiane più antiche, gli esperti di botanica hanno trovato riscontri al tragitto di questo sudario che parte da Gerusalemme, passando per la Palestina, Edessa, Costantinopoli, Budapest, Lirey, Chambery, fino ad arrivare a Torino nel 1578. Lo studioso Max Frei, dopo aver raccolto campioni di piante durante la stagione della fioritura nelle regioni geografiche in cui la Sindone può aver soggiornato, aveva individuato i pollini di 58 piante diverse sul misterioso lenzuolo, nessuna specie anemofila, cioè trasportata dal vento: 45 di queste crescono in un unico territorio al mondo, l'area cioè circostante Gerusalemme. In seguito, Uri Baruch esaminando i preparati di Frei confermò la presenza di Gundelia tourneforti – che fiorisce nel periodo primaverile tra Gerusalemme e il Mar Morto e alla quale appartiene oltre il 50% dei pollini rinvenuti sulla Sindone – di Zygophillum dumosum e diCistus creticus. piante che vivono e fioriscono insieme in un'unica area al mondo: quella tra la città di Hebron e Gerusalemme. In seguito l'individuazione di altre quattro specie oltre a quelle tre spinse il docente di botanica Avinoam Danin ad affermare che la sepoltura doveva aver avuto luogo in marzo-aprile. Un indizio per capire che questo cadavere venne deposto con onori assolutamente non permessi per i condannati a morte, che secondo la norma dovevano restare per dodici mesi nello spazio infamante di un sepolcreto pubblico prima che i loro resti potessero essere resi ai parenti. Inoltre, in alcuni campioni prelevati nella zona dei piedi c'era del terriccio: l'uomo aveva quindi camminato scalzo per un certo lasso di tempo. Le stesse tracce furono rinvenute in corrispondenza della punta del naso e del ginocchio sinistro, che risulta vistosamente tumefatto, come se l'uomo poi avvolto nel telo fosse caduto a terra battendo violentemente anche il viso senza la possibilità di ripararsi con le mani (come per l'impedimento del patibulum). L'esperto di cristallografia Joseph A. Kohlbeck e il fisico Ricardo Levi-Setti hanno notato che quel terriccio contiene aragonite, un minerale abbastanza raro però molto diffuso nel terreno di Gerusalemme. Inoltre nel telo è stata rintracciata la presenza del natron, un composto usato in Palestina ed Egitto per la conservazione delle salme.

5) Attraverso la ricostruzione dell'impronta di due monete e di alcune scritte rinvenute sul lenzuolo della Sindone, si può ipotizzare che l'uomo venne sepolto attorno al 29-30 d.C.

In seguito a delle analisi iniziate nel 1951, padre F. L. Filas affermò di aver individuato sulla palpebra destra del volto sindonico impronte estremamente simili a quelle esistenti sulla faccia di una moneta, un “dilepton lituus”, che presenta sul diritto il simbolo del “lituo” – cioè di una specie di bastone da pastore, presente su tutte le monete di Pilato coniate dopo il 29 d.C. – circondato dalla scritta greca TIBEPIONƳ KAIƩAPOƩ: una moneta che risale quindi ai tempi di Tiberio. Pierluigi Baima Bollone e Nello Balossino attraverso l'elaborazione dell'immagine bidimensionale dell'arcata sopraccigliare sinistra hanno invece evidenziato la presenza di segni riconducibili a un “lepton simpulum”, una moneta bronzea che oltre alla riproduzione sul verso di una coppa rituale con manico (“simpulo”), recava anche la scritta TIBEPIONƳ KAIƩAPOƩ LIS, ovvero risalente all'anno XVI dell'imperatore Tiberio, che corrisponde all'anno 29-30 d.C. La presenza di monetine, riflesso di un'usanza pagana entrata nella consuetudine ebraica, è stata confermata dal ritrovamento di monetine nelle cavità orbitali di teschi rinvenuti a Gerico, e risalenti all'epoca di Cristo e a En Boqeq, nel deserto di Giuda, dell'inizio del II sec. d.C. Sono stati poi osservati anche dei segni grafici sul lenzuolo che i diversi paleografi hanno tentato di interpretare in vario modo. Le immagini più definite riguardano la scritta INNƩCE, che potrebbe corrispondere alla forma abbreviata latina di in necem ibis, “andrai a morte”, che era la sentenza di condanna. Altri studiosi hanno invece ravvisato la presenza anche di scritte in caratteri ebraici. Secondo Barbara Frale, le scritte trasferitesi per contatto da cartigli identificativi del nome del condannato e dell'autorizzazione legale a eseguire la pena, andrebbero tradotte così: “Gesù Nazareno. Trovato [che sobillava il popolo, cfr. Lc 23,2]. Messo a morte nell'anno 16 di Tiberio. Sia deposto (oppure: veniva rimosso) all'ora nona. [Sia reso in] Adar [sheni]. Chi esegue gli obblighi è [...]”. Adar sheni è il mese nel quale i parenti, un anno dopo, avrebbero potuto recuperare i resti del defunto. Barbara Frale nel volume “La Sindone di Gesù Nazzareno” (Il Mulino, 2009) riferisce che a Gerusalemme l'unico modo per identificare a distanza di un anno i cadaveri dei condannati a morte che per un anno era stati nel sepolcreto pubblico prima di essere riconsegnati ai parenti erano questi certificati di sepoltura.

CONCLUSIONE:
Anche se la Chiesa non si è mai pronunciata ufficialmente e in maniera definitiva sull'identità dell'uomo raffigurato nella Sindone ma continua a incoraggiare la ricerca scientifica sul lino di Torino, tutte le indagini condotte sinora convergono su una risposta: il corpo misteriosamente impresso può essere con altissima probabilità solo quello del Cristo deposto dalla croce. Tutto sembra stringere il cerchio delle ricerche attorno alla Palestina del I sec. Inoltre, vi è una sostanziale concordanza tra il racconto dei Vangeli sulla Passione di Cristo e le informazioni che riusciamo a ricavare dalla Sindone, tanto più grande in quanto alcune particolarità risultano divergere dalla crocifissione romana del I sec.:

    •    l'efferata flagellazione, smisurata prima di una crocifissione (sono stati ipotizzati 60 colpi di frusta) → Gesù venne flagellato e percosso sul volto e sul corpo [Mc 15,15-19; Mt 27,26-30; Lc 23,16; Gv 19,1-3];
    •    la coronazione di spine (non abbiamo documenti che riportino una tale usanza per le crocifissioni né presso i romani né presso altri popoli)→ Gesù venne rivestito dai soldati romani della corona di spine e della porpora per essere schernito come re dei Giudei [Mc 15,17; Mt 27,29; Gv 19,2];
    •    il trasporto del patibulum, il palo orizzontale della croce (nelle crocifissioni, soprattutto in quelle di massa, si preferivano alberi o croci occasionali) → Gesù trasportò la propria croce fino al Golgota (Mc 15,20-21; Mt 27,31-32; Lc 23,26; Gv 19,17)
    •    la sospensione alla croce con i chiodi invece delle più comuni corde (una particolarità che sembra fosse riservata a crocifissioni ufficiali) → Nel Vangelo di Giovanni, nell'episodio dell'apostolo Tommaso, si dice che Gesù portava i segni della crocifissione sulle mani, mentre Luca fa riferimento sia alle mani che ai piedi [Gv 20,25 e 20,27; Lc 24,39-40];
    •    l'assenza di crurifragium, la frattura delle gambe inflitta per accelerare la morte → A Gesù non vennero spezzate le gambe come ai due ladroni perché morì in maniera insolitamente rapida, tanto che Pilato se ne stupì [Gv 19,32-33; Mc 15,44];
    •    la ferita al costato inferta dopo la morte (un fatto raro) → Gesù venne colpito con una lancia al costato da un centurione per accertare che fosse morto. Dalla ferita fuoriuscì acqua mista a sangue [Gv 19,34];
    •    la mancata unzione, rasatura e vestizione del cadavere com'era previsto dagli usi dell'epoca e la sepoltura affrettata → Gesù venne avvolto nudo in un lenzuolo e posto in un sepolcro subito dopo la deposizione dalla croce, perché stava sopraggiungendo la sera ed era la vigilia della Pasqua ebraica che coincideva quell'anno con lo shabbat, il giorno di riposo della settimana in cui è vietato qualsiasi lavoro manuale;
    •    l'avvolgimento del cadavere in un lenzuolo pregiato e la deposizione in una tomba propria invece della fine in una fossa comune→ Giuseppe di Arimatea, un ricco membro del Sinedrio, acquistò il lino in cui venne avvolto Gesù e lo seppellì in un sepolcro da lui stesso fatto scavare nella roccia [Mc 15, 42-46; Mt 27, 57-60; Lc 23, 50-54; Gv 19, 38-41];
    •    il breve tempo di permanenza nel lenzuolo → Gesù morì all'età di 37 anni venerdì 7 aprile dell'anno 30 d.C., intorno alle 15:00, dopo sole tre ore di agonia, il suo corpo rimase nella tomba dalle 18:00 circa di quello stesso giorno fino alle 6:00 circa di domenica 9 aprile, quando Maria di Magdala insieme ad altre donne trovò il sepolcro vuoto [Mc 16,1-8; Mt 28,1-10; Lc 24,1-10; Gv 20,1-10).


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10/05/2014 12:26
 
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Nuovo studio: le braccia «disarticolate»
dell'Uomo della Sindone

 
 
Un nuovo studio sulla Sindone

UN NUOVO STUDIO SULLA SINDONE

Quattro docenti universitari firmano un articolo sulla rivista «Injury»: il crocifisso avvolto nel telo ha riportato una lussazione dell’omero e la paralisi di un braccio, subendo un violento trauma al collo e al torace. Tracce di una doppia inchiodatura dei polsi

ANDREA TORNIELLI
CITTÀ DEL VATICANO

L’Uomo della Sindone, «ha subito una lussazione sottoglenoidea dell’omero e un abbassamento della spalla ed ha la mano piatta e un enoftalmo, condizioni che non sono state descritte finora, nonostante i numerosi studi sul soggetto. Queste lesioni indicano che l’Uomo ha sofferto un violento trauma al collo, al torace e alla spalla da dietro, causando danno neuromuscolare e lesioni all’intero plesso brachiale».

 

È la conclusione alla quale sono arrivati quattro docenti universitari che si sono concentrati sull'immagine sindonica, osservando anche che «l’incrocio delle mani sul pube, e non sopra il pube come avviene normalmente, sono in relazione alla trazione che le braccia hanno subito durante l’inchiodatura sul patibolo». Lo studio - una parte del quale è già stato pubblicato, mentre un'altra parte sta per esserlo - è firmato da Matteo Bevilacqua (già Direttore della S.C. di Fisiopatologia Respiratoria, Ospedale-Università di Padova); Giulio Fanti (Associato al Dipartimento di Ingegneria Meccanica, Università di Padova); Michele D'Arienzo, (Direttore della Clinica Ortopedica, Università di Palermo) e Raffaele De Caro (Direttore dell'Istituto di Anatomia Normale, Università di Padova), e viene ospitato da «Injury» - International Journal of the Care of the Injured - prestigiosa rivista internazionale di ortopedia.

 

La prima scoperta di questi studiosi è che l'Uomo sindonico ha subito la lussazione della spalla e la paralisi del braccio destro. La persona la cui impronta è rimasta sul telo di lino sarebbe dunque caduta sotto il peso della croce, o meglio del «patibolum», la sua trave orizzontale. L'Uomo sindonico, spiegano, «è caduto in avanti battendo violentemente con il corpo a terra. La trave gli lacerò i nervi alla base del collo e gli provocò la lussazione della spalla (l’omero è risultato 3,5 cm sotto l’articolazione) cosicché il braccio rimase paralizzato e penzoloni. In queste condizioni era impossibile continuare a portare il patibolo». E qui non si può non citare la circostanza riportata nel vangelo: i soldati costrinsero Simone di Cirene a sostituire il condannato. Non dunque un gesto compassionevole, ma una necessità. «Si spiega pure - affermano gli studiosi - perché l’Uomo della Sindone presenta una spalla destra più bassa di 15° rispetto alla sinistra e perché ha l’occhio destro un po’ retratto, per la paralisi dell’intero plesso brachiale».

 

La seconda scoperta descritta nell'articolo per «Injury» riguarda la doppia inchiodatura alle mani subita dall'Uomo sindonico. «Finora non si riusciva a spiegare l’assenza d’impronta dei pollici con una inchiodatura eseguita lontano dal nervo mediano e dal tendine flessore lungo del pollice. L’analisi attenta delle macchie di sangue sul polso della mano sinistra e le prove sperimentali fatte su arti di cadavere, di persone che avevano fatto testamento biologico a favore dell’Istituto di Anatomia, hanno permesso di chiarire il mistero: l’Uomo della Sindone è stato inchiodato due volte. Molto probabilmente è stato inchiodato due volte anche al polso destro che sulla Sindone non si vede, coperto dalla mano sinistra».

 

A che cosa è dovuta questa doppia inchiodatura? «Una motivazione convincente può essere perché non si riusciva a inchiodare le mani nei fori già preformati sul patibolo, fori che venivano praticati per evitare che i chiodi si torcessero battendoli su legno duro come il noce». Dopo aver inchiodato il primo polso e non essere riusciti a inchiodare il secondo nel foro preparato, i carnefici dell'Uomo sindonico li avrebbero dunque schiodati entrambi. E li avrebbero quindi inchiodati «più in basso, a livello della terza piega superficiale del polso, fra prima e seconda fila delle ossa del carpo dal lato ulnare della mano».

 

La terza scoperta presentata dall'equipe di studiosi riguarda il piede destro dell'Uomo della Sindone che «è stato inchiodato due volte. L’analisi dell’impronta della pianta del piede destro fa riconoscere che esso ha subito due inchiodature: una fra il secondo e il terzo metatarso e un’altra, che non era stata notata chiaramente da altri studiosi, anche a livello del tallone».

 

Per gli studiosi l'Uomo della Sindone «ha certamente sofferto di una gravissima e diffusa causalgia (dolore con calore intenso, spesso con shock, ai minimi movimenti degli arti) dovuta: alla paralisi totale del braccio destro (causalgia paradossa); all’inchiodatura del braccio sinistro per danno al nervo mediano; all’inchiodatura dei piedi per danno ai nervi tibiali». L’inchiodatura ha compromesso la respirazione in due modi: «I polmoni, con le braccia sollevate di circa 15°, e quindi con gabbia toracica più espansa erano in difficoltà a espirare e questo riduceva la capacità ventilatoria. Inoltre, ogni profonda inspirazione, per parlare o per prendere fiato, ottenuta facendo leva sugli arti inferiori, gli procurava dolori fortissimi, lancinanti».

 Gli autori dei due articoli su «Injury» ritengono che le chiazze di siero separate da quelle di sangue provenienti dal torace e riscontrabili sul telo sindonico, dovute presumibilmente al colpo di lancia sferrato post-mortem, siano dovute a un sanguinamento polmonare iniziato prima ancora della crocifissione, dopo la violenta caduta con il patibolo sulle spalle. Gli studiosi non concordano con quanto finora ipotizzato circa il fatto che il sangue fuoriuscito dal costato «sia stato causato da ferita con la lancia del pericardio, perché il sacco pericardico in caso di rottura di cuore può contenere una modesta quantità di sangue, da 50 a 300 ml, che si sarebbero depositati sul diaframma senza essere drenati all’esterno».


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