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BRANI SCELTI DI S.AGOSTINO

Ultimo Aggiornamento: 19/06/2023 00:52
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15/11/2015 07:25
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

(Sal 95, 14. 15; CCL 39, 1351-1353)
Non opponiamo resistenza alla prima venuta
per non dover poi temere la seconda

«Allora si rallegreranno gli alberi della foresta davanti al Signore che viene, perché viene a giudicare la terra» (Sal 95, 12-13). Venne una prima volta, e verrà ancora in futuro. Questa sua parola è risuonata prima nel vangelo: «D'ora innanzi vedrete il Figlio dell'uomo venire sulle nubi del cielo» (Mt 26, 64). Che significa: «D'ora innanzi»? Forse che il Signore deve venire già fin d'ora e non dopo, quando piangeranno tutti i popoli della terra? Effettivamente c'è una venuta che si verifica già ora, prima di quella, ed è attraverso i suoi annunziatori. Questa venuta ha riempito tutta la terra.
Non poniamoci contro la prima venuta per non dover poi temere la seconda.
Che cosa deve fare dunque il cristiano? Servirsi del mondo, non farsi schiavo del mondo. Che significa ciò? Vuol dire avere, ma come se non avesse. Così dice, infatti, l'Apostolo: «Del resto, o fratelli, il tempo ormai si è fatto breve: d'ora innanzi quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero; coloro che piangono, come se non piangessero; e quelli che godono, come se non godessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che usano del mondo, come se non ne usassero, perché passa la scena di questo mondo. Io vorrei vedervi senza preoccupazioni» (1 Cor 7, 29-32).
Chi è senza preoccupazione, aspetta tranquillo l'arrivo del suo Signore. Infatti che sorta di amore per Cristo sarebbe il temere che egli venga? Fratelli, non ci vergogniamo? Lo amiamo e temiamo che egli venga! Ma lo amiamo davvero o amiamo di più i nostri peccati? Ci si impone perentoriamente la scelta. Se vogliamo davvero amare colui che deve venire per punire i peccati, dobbiamo odiare cordialmente tutto il mondo del peccato.
Lo vogliamo o no, egli verrà. Quindi non adesso; il che ovviamente non esclude che verrà. Verrà, e quando non lo aspetti. Se ti troverà pronto, non ti nuocerà il fatto di non averne conosciuto in anticipo il momento esatto.
«E si rallegreranno tutti gli alberi della foresta». È venuto una prima volta, e poi tornerà a giudicare la terra. Troverà pieni di gioia coloro che alla sua prima venuta «hanno creduto che tornerà».
«Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti» (Sal 95, 13). Qual è questa giustizia e verità? Unirà a sé i suoi eletti perché lo affianchino nel tribunale del giudizio, ma separerà gli altri tra loro e li porrà alcuni alla destra, altri alla sinistra. Che cosa vi è di più giusto, di più vero, che non si aspettino misericordia dal giudice coloro che non vollero usare misericordia, prima che venisse il giudice? Coloro invece che hanno voluto usare misericordia, saranno giudicati con misericordia. Si dirà infatti a coloro che stanno alla destra: «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo» (Mt 25, 34). E ascrive loro a merito le opere di misericordia: «Perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere» (Mt 25, 35-40) con quel che segue.
A quelli che stanno alla sinistra, poi, che cosa sarà rinfacciato? Che non vollero fare opere di misericordia. E dove andranno?: «Nel fuoco eterno» (Mt 25, 41). Questa terribile sentenza susciterà in loro un pianto amaro. Ma che cosa dice il salmo? «Il giusto sarà sempre ricordato; non temerà annunzio di sventura» (Sal 111, 6-7). Che cos'è questo «annunzio di sventura»? «Via da me nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli» (Mt 25, 41). Chi godrà per la buona sentenza non temerà quella di condanna. Questa è la giustizia, questa è la verità.
O forse perché tu sei ingiusto, il giudice non sarà giusto? O forse perché tu sei bugiardo, la verità non dirà ciò che è vero? Ma se vuoi incontrare il giudice misericordioso, sii anche tu misericordioso prima che egli giunga. Perdona se qualcuno ti ha offeso, elargisci il superfluo. E da chi proviene quello che doni, se non da lui? Se tu dessi del tuo sarebbe un'elemosina, ma poiché dai del suo, non è che una restituzione! «Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?» (1 Cor 4, 7).
Queste sono le offerte più gradite a Dio: la misericordia, l'umiltà, la confessione, la pace, la carità. Sono queste le cose che dobbiamo portare con noi e allora attenderemo con sicurezza la venuta del giudice il quale «Giudicherà il mondo con giustizia e con verità tutte le genti» (Sal 95, 13).
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18/11/2015 09:36
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 21, 1-4; CCL 41, 276-278)
Il cuore del giusto esulterà nel Signore

«Il giusto gioirà nel Signore e riporrà in lui la sua speranza, i retti di cuore ne trarranno gloria» (Sal 63, 11). Questo abbiamo cantato non solo con la voce, ma anche col cuore. Queste parole ha rivolto a Dio la coscienza e la lingua cristiana. «Il giusto gioirà», non nel mondo, ma «nel Signore». «Una luce si è levata per il giusto», dice altrove, «gioia per i retti di cuore» (Sal 96, 11). Forse vorrai chiedere donde venga questa gioia. Ascolta: «Si rallegrerà in Dio il giusto» e altrove: «Cerca la gioia nel Signore, esaudirà i desideri del tuo cuore» (Sal 36, 4).
Che cosa ci viene ordinato e che cosa ci viene dato? Che cosa ci viene comandato e che cosa ci viene donato? Di rallegrarci nel Signore! Ma chi si rallegra di ciò che non vede? O forse noi vediamo il Signore? Questo è solo oggetto di promessa. Ora invece «camminiamo nella fede, finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore» (2 Cor 5, 7. 6). Nella fede e non nella visione. Quando nella visione? Quando si compirà ciò che dice lo stesso Giovanni: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2).
Allora conseguiremo grande e perfetta letizia, allora vi sarà gioia piena, dove non sarà più la speranza a sostenerci, ma la realtà stessa a saziarci. Tuttavia anche ora, prima che arrivi a noi questa realtà, prima che noi giungiamo alla realtà stessa, rallegriamoci nel Signore. Non reca infatti piccola gioia quella speranza a cui segue la realtà.
Ora dunque amiamo nella speranza. Ecco perché la Scrittura dice: «Il giusto gioirà nel Signore» e subito dopo, perché questi ancora non vede la realtà, essa aggiunge: «e riporrà in lui la sua speranza».
Abbiamo tuttavia le primizie dello spirito e forse già qualcosa di più. Infatti già ora siamo vicini a colui che amiamo. Già ora ci viene dato un saggio e una pregustazione di quel cibo e di quella bevanda, di cui un giorno ci sazieremo avidamente.
Ma come potremo gioire nel Signore, se egli è tanto lontano da noi? Lontano? No. Egli non è lontano, a meno che tu stesso non lo costringa ad allontanarsi da te. Ama e lo sentirai vicino. Ama ed egli verrà ad abitare in te.
«Il Signore è vicino: non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6). Vuoi vedere come egli sta con te, se lo amerai? «Dio è amore» (1 Gv 4, 8).
Ma tu vorrai chiedermi: Che cos'è l'amore? L'amore è la virtù per cui amiamo. Che cosa amiamo? Un bene ineffabile, un bene benefico, il bene che crea tutti i beni. Lui stesso sia la tua delizia, poiché da lui ricevi tutto ciò che causa il tuo diletto. Non parlo certo del peccato. Infatti solo il peccato tu non ricevi da lui. Eccetto il peccato, tu hai da lui tutte le altre cose che possiedi.
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21/11/2015 08:33
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 25, 7-8; PL 46, 937-938)
Colei che credette in virtù della fede,
in virtù della fede concepì

Fate attenzione, vi prego, a quello che disse il Signore Gesù Cristo, stendendo la mano verso i suoi discepoli: «Ecco mia madre ed ecco i miei fratelli; perché chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, questi è per me fratello, sorella e madre» (Mt 12, 49-50). Forse che non ha fatto la volontà del Padre la Vergine Maria, la quale credette in virtù della fede, concepì in virtù della fede, fu scelta come colei dalla quale doveva nascere la nostra salvezza tra gli uomini, fu creata da Cristo, prima che Cristo in lei fosse creato? Ha fatto, sì certamente ha fatto la volontà del Padre Maria santissima e perciò conta di più per Maria essere stata discepola di Cristo, che essere stata madre di Cristo. Lo ripetiamo: fu per lei maggiore dignità e maggiore felicità essere stata discepola di Cristo che essere stata madre di Cristo. Perciò Maria era beata, perché, anche prima di dare alla luce il Maestro, lo portò nel suo grembo.
Osserva se non è vero ciò che dico. Mentre il Signore passava, seguito dalle folle, e compiva i suoi divini miracoli, una donna esclamò: «Beato il grembo che ti ha portato!» (Lc 11, 27). Felice il grembo che ti ha portato! E perché la felicità non fosse cercata nella carne, che cosa rispose il Signore? «Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano» (Lc 11, 28). Anche Maria proprio per questo è beata, perché ha ascoltato la parola di Dio e l'ha osservata. Ha custodito infatti più la verità nella sua mente, che la carne nel suo grembo. Cristo è verità, Cristo è carne; Cristo è verità nella mente di Maria, Cristo è carne nel grembo di Maria. Conta di più ciò che è nella mente, di ciò che è portato nel grembo.
Santa è Maria, beata è Maria, ma è migliore la Chiesa che la Vergine Maria. Perché? Perché Maria è una parte della Chiesa: un membro santo, un membro eccellente, un membro che tutti sorpassa in dignità, ma tuttavia è sempre un membro rispetto all'intero corpo. Se è membro di tutto il corpo, allora certo vale più il corpo che un suo membro. Il Signore è capo, e il Cristo totale è capo e corpo. Che dire? Abbiamo un capo divino, abbiamo per capo Dio.
Perciò, o carissimi, badate bene: anche voi siete membra di Cristo, anche voi siete corpo di Cristo. Osservate in che modo lo siete, perché egli dice: «Ecco mia madre, ed ecco i miei fratelli» (Mt 12, 49). Come potrete essere madre di Cristo? Chiunque ascolta e chiunque fa la volontà del Padre mio che è nei cieli, egli è per me fratello, sorella e madre (cfr. Mt 12, 50).
Quando dico fratelli, quando dico sorelle, è chiaro che intendo parlare di una sola e medesima eredità. Perciò anche nella sua misericordia, Cristo, essendo unico, non volle essere solo, ma fece in modo che fossimo eredi del Padre e suoi coeredi nella medesima sua eredità.
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28/11/2015 09:33
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 256, 1. 2. 3; PL 38, 1191-1193)
Cantiamo l'alleluia a Dio che è buono,
che ci libera da ogni male

Cantiamo qui l'alleluia, mentre siamo ancora privi di sicurezza, per poterlo cantare un giorno lassù, ormai sicuri. Perché qui siamo nell'ansia e nell'incertezza. E non vorresti che io sia nell'ansia, quando leggo: Non è forse una tentazione la vita dell'uomo sulla terra? (cfr. Gb 7, 1). Pretendi che io non stia in ansia, quando mi viene detto ancora: «Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione»? (Mt 26, 41). Non vuoi che io mi senta malsicuro, quando la tentazione è così frequente, che la stessa preghiera ci fa ripetere: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori»? (Mt 6, 12).
Tutti i giorni la stessa preghiera e tutti i giorni siamo debitori! Vuoi che io resti tranquillo quando tutti i giorni devo domandare perdono dei peccati e aiuto nei pericoli? Infatti, dopo aver detto per i peccati passati: «Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori», subito, per i pericoli futuri, devo aggiungere: «E non ci indurre in tentazione» (Mt 6, 13).
E anche il popolo, come può sentirsi sicuro, quando grida con me: «Liberaci dal male»? (Mt 6, 13). E tuttavia, o fratelli, pur trovandoci ancora in questa penosa situazione, cantiamo l'alleluia a Dio che è buono, che ci libera da ogni male.
Anche quaggiù tra i pericoli e le tentazioni, si canti dagli altri e da noi l'alleluia. «Dio infatti è fedele; e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze» (1 Cor 10, 13). Perciò anche quaggiù cantiamo l'alleluia. L'uomo è ancora colpevole, ma Dio è fedele. Non dice: «Non permetterà che siate tentati», bensì: «Non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze, ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e la forza per sopportarla» (1 Cor 10, 13). Sei entrato nella tentazione, ma Dio ti darà anche il modo di uscirne, perché tu non abbia a soccombere alla tentazione stessa: perché, come il vaso del vasaio, tu venga modellato con la predicazione e consolidato con il fuoco della tribolazione. Ma quando vi entri, pensa che ne uscirai, «perché Dio è fedele». Il Signore ti proteggerà da ogni male ... veglierà su di te quando entri e quando esci (cfr. Sal 120, 7-8).
Ma quando questo corpo sarà diventato immortale e incorruttibile, allora cesserà anche ogni tentazione, perché «il corpo è morto». Perché è morto? «A causa del peccato». Ma «lo Spirito è vita». Perché? «A causa della giustificazione» (Rm 8, 10). Abbandoneremo dunque come morto il corpo? No, anzi ascolta: «Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Cristo dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti, darà la vita anche ai vostri corpi mortali» (Rm 8, 10-11). Ora infatti il nostro corpo è nella condizione terrestre, mentre allora sarà in quella celeste. O felice quell'alleluia cantato lassù! O alleluia di sicurezza e di pace! Là nessuno ci sarà nemico, là non perderemo mai nessun amico. Ivi risuoneranno le lodi di Dio. Certo risuonano anche ora qui. Qui però nell'ansia, mentre lassù nella tranquillità. Qui cantiamo da morituri, lassù da immortali. Qui nella speranza, lassù nella realtà. Qui da esuli e pellegrini, lassù nella patria. Cantiamo pure ora, non tanto per goderci il riposo, quanto per sollevarci dalla fatica. Cantiamo da viandanti. Canta, ma cammina. Canta per alleviare le asprezze della marcia, ma cantando non indulgere alla pigrizia. Canta e cammina. Che significa camminare? Andare avanti nel bene, progredire nella santità. Vi sono infatti, secondo l'Apostolo, alcuni che progrediscono sì, ma nel male. Se progredisci è segno che cammini, ma devi camminare nel bene, devi avanzare nella retta fede, devi progredire nella santità. Canta e cammina.
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09/12/2015 07:56
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

(Sal 109, 1-3; CCL 40, 1601-1603)
Le promesse di Dio sono compiute
per mezzo del Cristo suo Figlio

Dio stabilì un tempo per le sue promesse e un tempo per il compimento di esse. Dai profeti fino a Giovanni Battista fu il tempo delle promesse; da Giovanni Battista fino alla fine dei tempi è il tempo del loro compimento.
Fedele è Dio che si fece nostro debitore non perché abbia ricevuto qualcosa da noi, ma perché ci ha promesso cose davvero grandissime. Pareva poco la promessa: Egli volle vincolarsi anche con un patto scritto, come obbligandosi con noi con la cambiale delle sue promesse, perché, quando cominciasse a pagare ciò che aveva promesso, noi potessimo verificare l'ordine dei pagamenti. Dunque il tempo dei profeti era di predizione delle promesse.
Dio promise la salvezza eterna e la vita beata senza fine con gli angeli e l'eredità incorruttibile, la gloria eterna, la dolcezza del suo volto, la dimora santa nei cieli, e, dopo la risurrezione, la fine della paura della morte. Queste le promesse finali verso cui è volta tutta la nostra tensione spirituale: quando le avremo conseguite, niente più cercheremo, niente più domanderemo.
Ma nel promettere e nel preannunciare Dio volle anche indicare per quale via si giungerà alle realtà ultime. Promise agli uomini la divinità, ai mortali l'immortalità, ai peccatori la giustificazione, ai disprezzati la glorificazione. Sembrava però incredibile agli uomini ciò che Dio prometteva: che essi dalla loro condizione di mortalità, di corruzione, di miseria, di debolezza, da polvere e cenere che erano, sarebbero diventati uguali agli angeli di Dio. E perché gli uomini credessero, oltre al patto scritto, Dio volle anche un mediatore della sua fedeltà. E volle che fosse non un principe qualunque o un qualunque angelo o arcangelo, ma il suo unico Figlio, per mostrare, per mezzo di lui, per quale strada ci avrebbe condotti a quel fine che aveva promesso. Ma era poco per Dio fare del suo Figlio colui che indica la strada: rese lui stesso via perché tu camminassi guidato da lui sul suo stesso cammino.
Si doveva dunque preannunciare con profezie che l'unico Figlio di Dio sarebbe venuto tra gli uomini, avrebbe assunto la natura umana e sarebbe così diventato uomo e sarebbe morto, risorto, asceso al cielo, si sarebbe assiso alla destra del Padre; egli avrebbe dato compimento tra i popoli alle promesse e, dopo questo, avrebbe anche compiuto la promessa di tornare a riscuotere i frutti di ciò che aveva dispensato, a distinguere i vasi dell'ira dai vasi della misericordia, rendendo agli empi ciò che aveva minacciato, ai giusti ciò che aveva promesso.
Tutto ciò doveva essere preannunziato, perché altrimenti egli avrebbe destato spavento. E così fu atteso con speranza perché già contemplato nella fede.
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13/12/2015 08:43
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 293, 3; PL 1328-1329)
Giovanni è la voce, Cristo la Parola

Giovanni è la voce. Del Signore invece si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è la voce che passa, Cristo è il Verbo eterno che era in principio.
Se alla voce togli la parola, che cosa resta? Dove non c'è senso intelligibile, ciò che rimane è semplicemente un vago suono. La voce senza parola colpisce bensì l'udito, ma non edifica il cuore.
Vediamo in proposito qual è il procedimento che si verifica nella sfera della comunicazione del pensiero. Quando penso ciò che devo dire, nel cuore fiorisce subito la parola. Volendo parlare a te, cerco in qual modo posso fare entrare in te quella parola, che si trova dentro di me. Le dò suono e così, mediante la voce, parlo a te. Il suono della voce ti reca il contenuto intellettuale della parola e dopo averti rivelato il suo significato svanisce. Ma la parola recata a te dal suono è ormai nel tuo cuore, senza peraltro essersi allontanata dal mio.
Non ti pare, dunque, che il suono stesso che è stato latore della parola ti dica: «Egli deve crescere e io invece diminuire»? (Gv 3, 30). Il suono della voce si è fatto sentire a servizio dell'intelligenza, e poi se n'è andato quasi dicendo: «Questa mia gioia si è compiuta» (Gv 3, 29). Teniamo ben salda la parola, non perdiamo la parola concepita nel cuore.
Vuoi constatare come la voce passa e la divinità del Verbo resta? Dov'è ora il battesimo di Giovanni? Lo impartì e poi se ne andò. Ma il battesimo di Gesù continua ad essere amministrato. Tutti crediamo in Cristo, speriamo la salvezza in Cristo: questo volle significare la voce.
E siccome è difficile distinguere la parola dalla voce, lo stesso Giovanni fu ritenuto il Cristo. La voce fu creduta la Parola; ma la voce si riconobbe tale per non recare danno alla Parola. Non sono io, disse, il Cristo, né Elia, né il profeta. Gli fu risposto: Ma tu allora chi sei? Io sono, disse, la voce di colui che grida nel deserto: Preparate la via del Signore (cfr. Gv 1, 20-23). Voce di chi grida nel deserto, voce di chi rompe il silenzio.
Preparate la via significa: Io risuono al fine di introdurre lui nel cuore, ma lui non si degna di venire dove voglio introdurlo, se non gli preparate la via.
Che significa: Preparate la via, se non: chiedete come si deve? Che significa: Preparate la via, se non: siate umili di cuore? Prendete esempio dal Battista che, scambiato per il Cristo, dice di non essere colui che gli altri credono sia. Si guarda bene dallo sfruttare l'errore degli altri ai fini di una sua affermazione personale. Eppure se avesse detto di essere il Cristo, sarebbe stato facilmente creduto, poiché lo si credeva tale prima ancora che parlasse. Non lo disse, riconoscendo semplicemente quello che era. Precisò le debite differenze. Si mantenne nell'umiltà. Vide giusto dove trovare la salvezza. Comprese di non essere che una lucerna e temette di venire spenta dal vento della superbia.
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24/12/2015 07:13
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 185; Pl 38, 997-999)
La verità è germogliata dalla terra
e la giustizia si è affacciata dal cielo

Svégliati, o uomo: per te Dio si è fatto uomo. «Svégliati, o tu che dormi, destati dai morti e Cristo ti illuminerà» (Ef 5, 14). Per te, dico, Dio si è fatto uomo.
Saresti morto per sempre, se egli non fosse nato nel tempo. Non avrebbe liberato dal peccato la tua natura, se non avesse assunto una natura simile a quella del peccato. Una perpetua miseria ti avrebbe posseduto, se non fosse stata elargita questa misericordia. Non avresti riavuto la vita, se egli non si fosse incontrato con la tua stessa morte. Saresti venuto meno, se non ti avesse soccorso. Saresti perito, se non fosse venuto.
Prepariamoci a celebrare in letizia la venuta della nostra salvezza, della nostra redenzione; a celebrare il giorno di festa in cui il grande ed eterno giorno venne dal suo grande ed eterno giorno in questo nostro giorno temporaneo così breve. «Egli è diventato per noi giustizia, santificazione e redenzione perché, come sta scritto, chi si vanta si vanti nel Signore» (1 Cor 1, 30-31).
«La verità è germogliata dalla terra» (Sal 84, 12): nasce dalla Vergine Cristo, che ha detto: «Io sono la verità» (Gv 14, 6). «E la giustizia si è affacciata dal cielo» (Sal 84, 12). L'uomo che crede nel Cristo, nato per noi, non riceve la salvezza da se stesso, ma da Dio. «La verità è germogliata dalla terra», perché «il Verbo si fece carne» (Gv 1, 14). «E la giustizia si è affacciata dal cielo», perché «ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto» (Gv 1, 17). «La verità è germogliata dalla terra»: la carne da Maria. «E la giustizia si è affacciata dal cielo», perché «l'uomo non può ricevere nulla se non gli è stato dato dal cielo» (Gv 3, 27).
«Giustificati per la fede, noi siamo in pace con Dio» (Rm 5, 1) perché «la giustizia e la pace si sono baciate» (Sal 84, 11) «per il nostro Signore Gesù Cristo», perché «la verità è germogliata dalla terra» (Sal 84, 12). «Per mezzo di lui abbiamo l'accesso a questa grazia in cui ci troviamo e di cui ci vantiamo nella speranza della gloria di Dio» (Rm 5, 2). Non dice «della nostra gloria», ma «della gloria di Dio», perché la giustizia non ci venne da noi, ma si è «affacciata dal cielo». Perciò «colui che si gloria» si glori nel Signore, non in se stesso.
Dal cielo, infatti per la nascita del Signore dalla Vergine... si fece udire l'inno degli angeli: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e pace sulla terra agli uomini di buona volontà» (Lc 2, 14). Come poté venire la pace sulla terra, se non perché la verità è germogliata dalla terra, cioè Cristo è nato dalla carne? «Egli è la nostra pace, colui che di due popoli ne ha fatto uno solo» (Ef 2, 14) perché fossimo uomini di buona volontà, legati dolcemente dal vincolo dell'unità.
Rallegriamoci dunque di questa grazia perché nostra gloria sia la testimonianza della buona coscienza. Non ci gloriamo in noi stessi, ma nel Signore. È stato detto: «Sei mia gloria e sollevi il mio capo» (Sal 3, 4): e quale grazia di Dio più grande ha potuto brillare a noi? Avendo un Figlio unigenito, Dio l'ha fatto figlio dell'uomo, e così viceversa ha reso il figlio dell'uomo figlio di Dio. Cerca il merito, la causa, la giustizia di questo, e vedi se trovi mai altro che grazia.
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03/01/2016 07:54
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

(Tratt. 17,7-9; CCL 36,174-175)
I due precetti dell'amore

È venuto il Signore, maestro di carità, pieno egli stesso di carità, a ricapitolare la parola sulla terra (cfr. Rm 9, 28), come di lui fu predetto, e ha mostrato che la Legge e i Profeti si fondano sui due precetti dell'amore. Ricordiamo insieme, fratelli, quali sono questi due precetti. Essi devono esservi ben noti e non solo venirvi in mente quando ve li richiamiamo: non si devono mai cancellare dai vostri cuori. Sempre in ogni istante abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi (cfr. Mt 22, 37. 39). Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare. L'amore di Dio è il primo come comandamento, ma l'amore del prossimo è primo come attuazione pratica. Colui che ti dà il comando dell'amore in questi due precetti, non ti insegna prima l'amore del prossimo, poi quello di Dio, ma viceversa.
Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio, come chiaramente afferma Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (cfr. 1Gv 4,20). Se sentendoti esortare ad amare Dio, tu mi dicessi: Mostrami colui che devo amare, io non potrei che risponderti con Giovanni: Nessuno mai vide Dio (cfr. Gv 1,18). Ma perché tu non ti creda escluso totalmente dalla possibilità di vedere Dio, lo stesso Giovanni dice: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio» (1Gv 4,16). Tu dunque ama il prossimo e guardando dentro di te donde nasca quest'amore, vedrai, per quanto ti è possibile, Dio.
Comincia quindi ad amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, introduci in casa i miseri senza tetto, vesti chi vedi ignudo, e non disprezzare quelli della tua stirpe (cfr. Is 58,7). Facendo questo che cosa otterrai? «Allora la tua luce sorgerà come l'aurora» (Is 58,8). La tua luce è il tuo Dio, egli è per te la luce mattutina perché verrà dopo la notte di questo mondo: egli non sorge ne tramonta, risplende sempre.
Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l'abbiamo sempre con noi. Aiuta, dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a colui con il quale desideri rimanere.
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05/01/2016 07:41
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 194,34; PL 38,1016-1017)
Saremo saziati dalla visione del Verbo

Chi potrà mai conoscere tutti i tesori di sapienza e di scienza che Cristo racchiude in sé, nascosti nella povertà della sua carne? Per noi, da ricco che era, egli si è fatto povero, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr. 2 Cor 8,9). Assumendo la mortalità dell'uomo e subendo nella sua persona la morte, egli si mostrò a noi nella povertà della condizione umana: non perdette però le sue ricchezze quasi gli fossero state tolte, ma ne promise la rivelazione nel futuro. Quale immensa ricchezza serba a chi lo teme e dona pienamente a quelli che sperano in lui!
Le nostre conoscenze sono ora imperfette e incomplete, finché non venga il perfetto e il completo. Ma proprio per renderci capaci di questo egli, che è uguale al Padre nella forma di Dio e simile a noi nella forma di servo, ci trasforma a somiglianza di Dio. Divenuto figlio dell'uomo, lui unico figlio di Dio, rende figli di Dio molti figli degli uomini. Dopo aver nutrito noi servi attraverso la forma visibile di servo, ci rende liberi, atti a contemplare la forma di Dio.
Infatti «noi siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è» (1Gv 3,2). Ma che cosa sono quei tesori di sapienza e di scienza, che cosa quelle ricchezze divine, se non la grande realtà capace di colmarci pienamente? Che cosa è quell'abbondanza di dolcezza se non ciò che è capace di saziarci?
Dunque: «Mostraci il Padre e ci basta» (Gv 14,8). E in un salmo una voce che ci interpreta o parla per noi, dice rivolgendosi a lui: Sarò saziato all'apparire della tua gloria (cfr. Sal 16,15). Egli e il Padre sono una cosa sola e chi vede lui vede anche il Padre. «Il Signore degli eserciti è il re della gloria» (Sal 23,10). Facendoci volgere a lui, ci mostrerà il suo volto e saremo salvi; allora saremo saziati e ci basterà.
Ma fino a quando questo non avvenga e non ci sia mostrato quello che ci appagherà, fino a quando non berremo a quella fonte di vita che ci farà sazi, mentre noi camminiamo nella fede, pellegrini lontani da lui, e abbiamo fame e sete di giustizia e aneliamo con indicibile desiderio alla bellezza di Cristo che si svelerà nella forma di Dio, celebriamo con devozione il Natale di Cristo nato nella forma di servo.
Se non possiamo ancora contemplarlo perché è stato generato dal Padre prima dell'aurora, festeggiamolo perché nella notte è nato dalla Vergine. Se non lo comprendiamo ancora, perché il suo nome rimane davanti al sole (cfr. Sal 71,17), riconosciamo il suo tabernacolo posto nel sole. Se ancora non vediamo l'Unigenito che rimane nel Padre, ricordiamo lo sposo che esce dalla stanza nuziale (cfr. Sal 18,6). Se ancora non siamo preparati al banchetto del nostro Padre, riconosciamo il presepe del nostro Signore Gesù Cristo.
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07/02/2016 08:31
 
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Dal «Commento alla Lettera ai Galati» di sant'Agostino, vescovo

(Introduzione; PL 35, 2105-2107)
Comprendere la grazia di Dio

L'Apostolo scrive ai Galati perché capiscano che la grazia li ha sottratti dal dominio della Legge. Quando fu predicato loro il vangelo, non mancarono alcuni venuti dalla circoncisione i quali, benché cristiani, non capivano ancora il dono del vangelo, e quindi volevano attenersi alle prescrizioni della Legge che il Signore aveva imposto a chi non serviva alla giustizia, ma al peccato. In altre parole, Dio aveva dato una legge giusta a uomini ingiusti. Essa metteva in evidenza i loro peccati, ma non li cancellava. Noi sappiamo infatti che solo la grazia della fede, operando attraverso la carità, toglie i peccati. Invece i convertiti dal giudaismo pretendevano di porre sotto il peso della Legge i Galati, che si trovavano già nel regime della grazia, e affermavano che ai Galati il vangelo non sarebbe valso a nulla se non si facevano circoncidere e non si sottoponevano a tutte le prescrizioni formalistiche del rito giudaico.
Per questa convinzione avevano incominciato a nutrire dei sospetti nei confronti dell'apostolo Paolo, che aveva predicato il vangelo ai Galati e lo incolpavano di non attenersi alla linea di condotta degli altri apostoli che, secondo loro, inducevano i pagani a vivere da Giudei. Anche l'apostolo Pietro aveva ceduto alle pressioni di tali persone ed era stato indotto a comportarsi in maniera da far credere che il vangelo non avrebbe giovato nulla ai pagani se non si fossero sottomessi alle imposizioni della Legge. Ma da questa doppia linea di condotta lo distolse lo stesso apostolo Paolo, come narra in questa lettera. Dello stesso problema si tratta anche nella lettera ai Romani. Tuttavia sembra che ci sia qualche differenza, per il fatto che in questa san Paolo dirime la contesa e compone la lite che era scoppiata tra coloro che provenivano dai Giudei e quelli che provenivano dal paganesimo. Nella lettera ai Galati, invece, si rivolge a coloro che erano già stati turbati dal prestigio dei giudaizzanti che li costringevano all'osservanza della Legge. Essi avevano incominciato a credere a costoro, come se l'apostolo Paolo avesse predicato menzogne invitandoli a non circoncidersi. Perciò così incomincia: «Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo» (Gal 1, 6).
Con questo esordio ha voluto fare un riferimento discreto alla controversia. Così nello stesso saluto, proclamandosi apostolo, «non da parte di uomini, né per mezzo di uomo» (Gal 1, 1), - notare che una tale dichiarazione non si trova in nessun'altra lettera - mostra abbastanza chiaramente che quei banditori di idee false non venivano da Dio ma dagli uomini. Non bisognava trattare lui come inferiore agli altri apostoli per quanto riguardava la testimonianza evangelica. Egli sapeva di essere apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre (cfr. Gal 1, 1).
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14/02/2016 07:44
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

(Sal 60, 2-3; CCL 39, 766)
In Cristo siamo stati tentati e in lui abbiamo vinto il diavolo

«Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera» (Sal 60, 1). Chi è colui che parla? Sembrerebbe una persona sola. Ma osserva bene se si tratta davvero di una persona sola. Dice infatti: «Dai confini della terra io t'invoco; mentre il mio cuore è angosciato» (Sal 60, 2).
Dunque non si tratta già di un solo individuo: ma, in tanto sembra uno, in quanto uno solo è Cristo, di cui noi tutti siamo membra. Una persona sola, infatti, come potrebbe gridare dai confini della terra? Dai confini della terra non grida se non quella eredità, di cui fu detto al Figlio stesso: «Chiedi a me, ti darò in possesso le genti e in dominio i confini della terra» (Sal 2, 8).
Dunque, è questo possesso di Cristo, quest'eredità di Cristo, questo corpo di Cristo, quest'unica Chiesa di Cristo, quest'unità, che noi tutti formiamo e siamo, che grida dai confini della terra.
E che cosa grida? Quanto ho detto sopra: «Ascolta, o Dio, il mio grido, sii attento alla mia preghiera; dai confini della terra io t'invoco». Cioè, quanto ho gridato a te, l'ho gridato dai confini della terra: ossia da ogni luogo.
Ma, perché ho gridato questo? Perché il mio cuore è in angoscia. Mostra di trovarsi fra tutte le genti, su tutta la terra non in grande gloria, ma in mezzo a grandi prove.
Infatti la nostra vita in questo pellegrinaggio non può essere esente da prove e il nostro progresso si compie attraverso la tentazione. Nessuno può conoscere se stesso, se non è tentato, né può essere coronato senza aver vinto, né può vincere senza combattere; ma il combattimento suppone un nemico, una prova.
Pertanto si trova in angoscia colui che grida dai confini della terra, ma tuttavia non viene abbandonato. Poiché il Signore volle prefigurare noi, che siamo il suo corpo mistico, nelle vicende del suo corpo reale, nel quale egli morì, risuscitò e salì al cielo. In tal modo anche le membra possono sperare di giungere là dove il Capo le ha precedute.
Dunque egli ci ha come trasfigurati in sé, quando volle essere tentato da Satana. Leggevamo ora nel vangelo che il Signore Gesù era tentato dal diavolo nel deserto. Precisamente Cristo fu tentato dal diavolo, ma in Cristo eri tentato anche tu. Perché Cristo prese da te la sua carne, ma da sé la tua salvezza, da te la morte, da sé la tua vita, da te l'umiliazione, da sé la tua gloria, dunque prese da te la sua tentazione, da sé la tua vittoria.
Se siamo stati tentati in lui, sarà proprio in lui che vinceremo il diavolo. Tu fermi la tua attenzione al fatto che Cristo fu tentato; perché non consideri che egli ha anche vinto? Fosti tu ad essere tentato in lui, ma riconosci anche che in lui tu sei vincitore. Egli avrebbe potuto tener lontano da sé il diavolo; ma, se non si fosse lasciato tentare, non ti avrebbe insegnato a vincere, quando sei tentato.
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23/02/2016 07:25
 
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Dai «Commenti sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

(Salmo 140, 4-6; CCL 40, 2028-2029)
La Passione di tutto il Corpo di Cristo

Signore, a te ho gridato, accorri in mio aiuto (cfr. Sal 140, 1). Questo lo possiamo dire tutti. Non lo dico io, bensì il Cristo totale. Ma fu detto da Cristo più specialmente in persona del corpo, perché mentre era quaggiù, pregò portando la nostra umanità, pregò il Padre in persona del corpo. Mentre infatti pregava, da tutto il suo corpo stillavano gocce di sangue, secondo quanto troviamo nel vangelo: «Gesù pregò più intensamente, e sudò sangue» (Lc 22, 44). Che cosa significa questa effusione di sangue da tutto il corpo, se non la passione che tutta la Chiesa continua a sopportare nei suoi martiri?
Signore, a te ho gridato, accorri in mio aiuto; ascolta la mia voce quando ti invoco (cfr. Sal 140, 1). Credevi che fosse già terminata la pena del gridare, quando dicevi: «Ho gridato a te». Hai gridato, sì, ma non crederti ormai al sicuro. Se fosse passata definitivamente la tribolazione, non occorrerebbe più gridare; ma, se la tribolazione della Chiesa, cioè del corpo di Cristo, continua sino alla fine del mondo, non dire soltanto: «Ho gridato a te, accorri in mio aiuto», ma aggiungi: «ascolta la mia voce, quando ti invoco».
«Come incenso salga a te la mia preghiera, le mie mani alzate come sacrificio della sera» (Sal 140, 2).
Ogni cristiano sa che questa espressione viene attribuita al capo stesso. Infatti sul finire della sera il Signore esalò in croce il suo spirito, che poi di nuovo avrebbe ripreso. Non lo esalò infatti contro la sua volontà. Però siamo stati raffigurati anche in questo caso.
Qual parte di lui, infatti, pendeva dalla croce, se non ciò che aveva assunto da noi? Ed allora, come potrebbe avvenire che in un dato momento il Padre lasci e abbandoni l'unico suo Figlio, che è con lui un solo Dio? Tuttavia Cristo, crocifiggendo la nostra debolezza sulla croce, in cui, come dice l'Apostolo: «Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con Lui» (Rm 6, 6), gridò con la voce della nostra stessa umanità: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).
Questo, dunque, è il sacrificio vespertino: la passione del Signore, la croce del Signore, l'offerta della vittima di salvezza, l'olocausto gradito a Dio. E nella sua risurrezione cambiò quel sacrificio vespertino in offerta mattutina. La preghiera, dunque, che si eleva incontaminata da un cuore fedele, sale come incenso dal santo altare.
Niente è più gradito del profumo del Signore. Di questo soave profumo olezzino tutti i credenti.
«Il nostro uomo vecchio, sono parole dell'Apostolo, è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato, e noi non fossimo più schiavi del peccato» (Rm 6, 6).
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28/02/2016 07:27
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

(Trattato 15, 10-12. 16-17; CCL 36, 154-156)
Arrivò una donna di Samaria ad attingere acqua

«E arrivò una donna» (Gv 4, 7): figura della Chiesa, non ancora giustificata, ma ormai sul punto di esserlo. È questo il tema della conversazione.
Viene senza sapere, trova Gesù che inizia il discorso con lei.
Vediamo su che cosa, vediamo perché «Venne una donna di Samaria ad attingere acqua». I samaritani non appartenevano al popolo giudeo: erano infatti degli stranieri. È significativo il fatto che questa donna, la quale era figura della Chiesa, provenisse da un popolo straniero. La Chiesa infatti sarebbe venuta dai pagani, che, per i giudei erano stranieri.
Riconosciamoci in lei, e in lei ringraziamo Dio per noi. Ella era una figura non la verità, perché anch'essa prima rappresentò la figura per diventare in seguito verità. Infatti credette in lui, che voleva fare di lei la nostra figura. «Venne, dunque, ad attingere acqua». Era semplicemente venuta ad attingere acqua, come sogliono fare uomini e donne.
«Gesù le disse: Dammi da bere. I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. Ma la Samaritana gli disse: Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana? I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani» (Gv 4, 7-9).
Vedete come erano stranieri tra di loro: i giudei non usavano neppure i recipienti dei samaritani. E siccome la donna portava con sé la brocca con cui attingere l'acqua, si meravigliò che un giudeo le domandasse da bere, cosa che i giudei non solevano mai fare. Colui però che domandava da bere, aveva sete della fede della samaritana.
Ascolta ora appunto chi è colui che domanda da bere. «Gesù le rispose: Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: Dammi da bere, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva» (Gv 4, 10).
Domanda da bere e promette di dissetare. È bisognoso come uno che aspetta di ricevere, e abbonda come chi è in grado di saziare. «Se tu conoscessi», dice, «il dono di Dio». Il dono di Dio è lo Spirito Santo. Ma Gesù parla alla donna in maniera ancora velata, e a poco a poco si apre una via al cuore di lei. Forse già la istruisce. Che c'è infatti di più dolce e di più affettuoso di questa esortazione: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è Colui che ti dice: Dammi da bere, forse tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva»?
Quale acqua, dunque, sta per darle, se non quella di cui è scritto: «È in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Infatti come potranno aver sete coloro che «Si saziano dell'abbondanza della tua casa»? (Sal 35, 9).
Prometteva una certa abbondanza e sazietà di Spirito Santo, ma quella non comprendeva ancora, e, non comprendendo, che cosa rispondeva? La donna gli dice: «Signore dammi di quest'acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua» (Gv 4, 15). Il bisogno la costringeva alla fatica, ma la sua debolezza non vi si adattava volentieri. Oh! se avesse sentito: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò»! (Mt 11, 28). Infatti Gesù le diceva questo, perché non dovesse più faticare, ma la donna non capiva ancora.
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06/03/2016 08:47
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

(Tratt. 34, 8-9; CCL 36, 315-316)
Cristo è via alla luce, alla verità, alla vita

Il Signore in maniera concisa ha detto: «Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12), e con queste parole comanda una cosa e ne promette un'altra. Cerchiamo, dunque, di eseguire ciò che comanda, perché altrimenti saremmo impudenti e sfacciati nell'esigere quanto ha promesso, senza dire che, nel giudizio, ci sentiremmo rinfacciare: Hai fatto ciò che ti ho comandato, per poter ora chiedere ciò che ti ho promesso? Che cosa, dunque, hai comandato, o Signore nostro Dio? Ti risponderà: Che tu mi segua.
Hai domandato un consiglio di vita. Di quale vita, se non di quella di cui è stato detto: «È in te la sorgente della vita»? (Sal 35, 10).
Dunque mettiamoci subito all'opera, seguiamo il Signore: spezziamo le catene che ci impediscono di seguirlo. Ma chi potrà spezzare tali catene, se non ci aiuta colui al quale fu detto: «Hai spezzato le mie catene»? (Sal 115, 16). Di lui un altro salmo dice: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore rialza chi è caduto» (Sal 145, 7. 8).
Che cosa seguono quelli che sono stati liberati e rialzati, se non la luce dalla quale si sentono dire: «Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre»? (Gv 8, 12). Sì, perché il Signore illumina i ciechi. O fratelli, ora i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Prima, infatti, mescolò la sua saliva con la terra, per ungere colui che era nato cieco. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. Egli mescolò la saliva con la terra: «Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Mescolò la saliva con la terra, perché era già stato predetto: «La verità germoglierà dalla terra» (Sal 84, 12) ed egli dice: «Io sono la via, la verità e la vita» (Gv 14, 6).
Godremo della verità, quando la vedremo faccia a faccia, perché anche questo ci viene promesso. Chi oserebbe, infatti, sperare ciò che Dio non si fosse degnato o di promettere o di dare?
Vedremo faccia a faccia. L'Apostolo dice: Ora conosciamo in modo imperfetto; ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia (cfr. 1 Cor 13, 12). E l'apostolo Giovanni nella sua lettera aggiunge: «Carissimi, noi fin d'ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che, quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è» (1 Gv 3, 2). Questa è la grande promessa.
Se lo ami, seguilo. Tu dici: Lo amo, ma per quale via devo seguirlo? Se il Signore tuo Dio ti avesse detto: Io sono la verità e la vita, tu, desiderando la verità e bramando la vita, cercheresti di sicuro la via per arrivare all'una e all'altra. Diresti a te stesso: gran cosa è la verità, gran bene è la vita: oh! se fosse possibile all'anima mia trovare il mezzo per arrivarci!
Tu cerchi la via? Ascolta il Signore che ti dice in primo luogo: Io sono la via. Prima di dirti dove devi andare, ha premesso per dove devi passare: «Io sono», disse, «la via»! La via per arrivare dove? Alla verità e alla vita. Prima ti indica la via da prendere, poi il termine dove vuoi arrivare. «Io sono la via, Io sono la verità, Io sono la vita». Rimanendo presso il Padre, era verità e vita; rivestendosi della nostra carne, è diventato la via.
Non ti vien detto: devi affaticarti a cercare la via per arrivare alla verità e alla vita; non ti vien detto questo. Pigro, alzati! La via stessa è venuta a te e ti ha svegliato dal sonno, se pure ti ha svegliato. Alzati e cammina!
Forse tu cerchi di camminare, ma non puoi perché ti dolgono i piedi. Per qual motivo ti dolgono? Perché hanno dovuto percorrere i duri sentieri imposti dai tuoi tirannici egoismi? Ma il Verbo di Dio ha guarito anche gli zoppi.
Tu replichi: Sì, ho i piedi sani, ma non vedo la strada. Ebbene, sappi che egli ha illuminato perfino i ciechi.
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16/03/2016 06:00
 
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Dal «Commento sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

(Salmo 85, 1; CCL 39, 1176-1177)
Gesù Cristo prega per noi, prega in noi, è pregato da noi

Dio non poteva elargire agli uomini un dono più grande di questo: costituire loro capo lo stesso suo Verbo, per mezzo del quale creò l'universo. Ci unì a lui come membra, in modo che egli fosse Figlio di Dio e figlio dell'uomo, unico Dio con il Padre, un medesimo uomo con gli uomini.
Di conseguenza, quando rivolgiamo a Dio la nostra preghiera, non dobbiamo separare da lui il Figlio, e quando prega il corpo del Figlio, esso non deve considerarsi come staccato dal capo. In tal modo la stessa persona, cioè l'unico Salvatore del corpo, il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, sarà colui che prega per noi, prega in noi, è pregato da noi.
Prega per noi come nostro sacerdote, prega in noi come nostro capo, è pregato da noi come nostro Dio.
Riconosciamo, quindi, sia le nostre voci in lui, come pure la sua voce in noi. E quando, specialmente nelle profezie, troviamo qualche cosa che suona umiliazione, nei riguardi del Signore Gesù Cristo, e perciò non ci sembra degna di Dio, non dobbiamo temere di attribuirla a lui, che non ha esitato a unirsi a noi, pur essendo il padrone di tutta la creazione, perché per mezzo di lui sono state fatte tutte le creature.
Perciò noi guardiamo alla sua grandezza divina quando sentiamo proclamare: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di Lui e senza di Lui niente è stato fatto» (Gv 1, 1-3). In questo passo ci è dato di contemplare la divinità del Figlio di Dio, tanto eccelsa e sublime da sorpassare ogni più nobile creatura.
In altri passi della Scrittura, invece, sentiamo che egli geme, prega, dà lode a Dio. Ebbene ci è difficile attribuire a lui queste parole. La nostra mente stenta a discendere immediatamente dalla contemplazione della sua divinità al suo stato di profondo abbassamento. Temiamo quasi di offendere Cristo, se riferiamo alla sua umanità le parole che egli dice. Prima rivolgevamo a lui la nostra supplica, pregandolo come Dio. Rimaniamo perciò perplessi davanti a quelle espressioni e ci verrebbe fatto di cambiarle. Ma nella Scrittura non si incontra se non ciò che gli si addice e che non permette di falsare la sua identità.
Si desti dunque il nostro animo e resti saldo nella sua fede. Tenga presente che colui che poco prima contemplava nella sua natura di Dio, ha assunto la natura di servo. È divenuto simile agli uomini, e «apparso in forma umana, umiliò se stesso, facendosi obbediente fino alla morte» (Fil 2, 7-8). Inoltre ha voluto far sue, mentre pendeva dalla croce, le parole del salmo: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Sal 21, 1).
È pregato dunque per la sua natura divina, prega nella natura di servo. Troviamo là il creatore, qui colui che è creato. Lui immutato assume la creatura, che doveva essere mutata, e fa di noi con sé medesimo un solo uomo: capo e corpo.
Perciò noi preghiamo lui, per mezzo di lui e in lui; diciamo con lui ed egli dice con noi.
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21/03/2016 07:22
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. Guelf. 3; PLS 2, 545-546)
Gloriamoci anche noi nella Croce del Signore

La passione del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo è pegno sicuro di gloria e insieme ammaestramento di pazienza.
Che cosa mai non devono aspettarsi dalla grazia di Dio i cuori dei fedeli! Infatti al Figlio unigenito di Dio, coeterno al Padre, sembrando troppo poco nascere uomo dagli uomini, volle spingersi fino al punto di morire quale uomo e proprio per mano di quegli uomini che aveva creato lui stesso.
Gran cosa è ciò che ci viene promesso dal Signore per il futuro, ma è molto più grande quello che celebriamo ricordando quanto è già stato compiuto per noi. Dove erano e che cosa erano gli uomini, quando Cristo morì per i peccatori? Come si può dubitare che egli darà ai suoi fedeli la sua vita, quando per essi, egli non ha esitato a dare anche la sua morte? Perché gli uomini stentano a credere che un giorno vivranno con Dio, quando già si è verificato un fatto molto più incredibile, quello di un Dio morto per gli uomini?
Chi è infatti Cristo? È colui del quale si dice: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio»? (Gv 1, 1). Ebbene questo Verbo di Dio «si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1, 14). Egli non aveva nulla in se stesso per cui potesse morire per noi, se non avesse preso da noi una carne mortale. In tal modo egli immortale poté morire, volendo dare la vita per i mortali. Rese partecipi della sua vita quelli di cui aveva condiviso la morte. Noi infatti non avevamo di nostro nulla da cui aver la vita, come lui nulla aveva da cui ricevere la morte. Donde lo stupefacente scambio: fece sua la nostra morte e nostra la sua vita. Dunque non vergogna, ma fiducia sconfinata e vanto immenso nella morte del Cristo.
Prese su di sé la morte che trovò in noi e così assicurò quella vita che da noi non può venire. Ciò che noi peccatori avevamo meritato per il peccato, lo scontò colui che era senza peccato. E allora non ci darà ora quanto meritiamo per giustizia, lui che è l'artefice della giustificazione? Come non darà il premio dei santi, lui fedeltà personificata, che senza colpa sopportò la pena dei cattivi?
Confessiamo perciò, o fratelli, senza timore, anzi proclamiamo che Cristo fu crocifisso per noi. Diciamolo, non già con timore, ma con gioia, non con rossore, ma con fierezza.
L'apostolo Paolo lo comprese bene e lo fece valere come titolo di gloria. Poteva celebrare le più grandi e affascinanti imprese del Cristo. Poteva gloriarsi richiamando le eccelse prerogative del Cristo, presentandolo quale creatore del mondo in quanto Dio con il Padre, e quale padrone del mondo in quanto uomo simile a noi. Tuttavia non disse altro che questo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6, 14).
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23/03/2016 05:54
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

(Tratt. 84, 1-2; CCL 36, 536-538)
La pienezza dell'amore

Il Signore, o fratelli carissimi, ha definito la pienezza dell'amore con cui dobbiamo amarci gli uni gli altri con queste parole: «Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici» (Gv 15, 13). Ne consegue ciò che il medesimo evangelista Giovanni dice nella sua lettera: Cristo «ha dato la sua vita per noi, quindi anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli», (1 Gv 3, 16) amandoci davvero gli uni gli altri, come egli ci ha amato, fino a dare la sua vita per noi.
Questo appunto si legge nei Proverbi di Salomone: Quando siedi a mensa col potente, considera bene che cosa hai davanti; e poni mano a far le medesime cose che fa lui (cfr. Pro 23, 1-2).
Ora qual è la mensa del grande e del potente, se non quella in cui si riceve il corpo e il sangue di colui che ha dato la vita per noi? E che significa assidersi a questa mensa, se non accostarvisi con umiltà? E che vuol dire considerare bene che cosa si ha davanti, se non riflettere, come si conviene, a una grazia sì grande? E che cosa è questo porre mano a far le medesime cose se non ciò che ho detto sopra e cioè: come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo essere disposti a dare la nostra vita per i fratelli? È quello che dice anche l'apostolo Pietro: «Cristo patì per voi, lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme» (1 Pt 2, 21). Questo significa fare le medesime cose. Così hanno fatto con ardente amore i santi martiri e, se non vogliamo celebrare inutilmente la loro memoria, se non vogliamo accostarci infruttuosamente alla mensa del Signore, a quel banchetto in cui anch'essi si sono saziati, bisogna che anche noi, come loro, siamo pronti a ricambiare il dono ricevuto.
A questa mensa del Signore, perciò, noi non commemoriamo i martiri come facciamo con gli altri che ora riposano in pace, cioè non preghiamo per loro, ma chiediamo piuttosto che essi preghino per noi, per ottenerci di seguire le loro orme. Essi, infatti, hanno toccato il vertice di quell'amore che il Signore ha definito come il più grande possibile. Hanno presentato ai loro fratelli quella stessa testimonianza di amore, che essi medesimi avevano ricevuto alla mensa del Signore.
Non vogliamo dire con questo di poter essere pari a Cristo Signore, qualora giungessimo a rendergli testimonianza fino allo spargimento del sangue. Egli aveva il potere di dare la sua vita e di riprenderla, mentre noi non possiamo vivere finché vogliamo, e dobbiamo morire anche contro nostra voglia. Egli, morendo, uccise subito in sé la morte, mentre noi veniamo liberati dalla morte solo mediante la sua morte. La sua carne non conobbe la corruzione, mentre la nostra, solo dopo aver subito la corruzione, rivestirà per mezzo di lui l'incorruttibilità alla fine del mondo. Egli non ebbe bisogno di noi per salvarci, ma noi, senza di lui, non possiamo far nulla. Egli si è mostrato come vite a noi che siamo i tralci, a noi che, senza di lui, non possiamo avere la vita.
In fine, anche se i fratelli arrivano a dare la vita per i fratelli, il sangue di un martire non viene sparso per la remissione dei peccati dei fratelli, cosa che invece egli ha fatto per noi. E con questo ci ha dato non un esempio da imitare, ma un dono di cui essergli grati.
I martiri dunque, in quanto versarono il loro sangue per i fratelli, hanno ricambiato solo quanto hanno ricevuto dalla mensa del Signore.
Manteniamoci sulla loro scia e amiamoci gli uni gli altri, come Cristo ha amato noi, dando se stesso per noi.
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27/03/2016 07:55
 
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DISCORSO 242/A

NEI GIORNI DI PASQUA
SULLA RISURREZIONE DEI CORPI

Cristo risorgendo anticipò la nostra risurrezione.

1. Che il nostro Signore Gesù Cristo sia risorto dai morti il terzo giorno lo attestano i santi Evangeli, e l'intero universo abitato ormai lo professa ogni volta che recita il santo Simbolo. Che il fatto sarebbe un giorno avvenuto, lo predissero i profeti pur senza vederlo. Non lo videro ma lo previdero illuminati dallo Spirito. Dato questo, penso che debbano vergognarsi tutti quegli altri che, non osando negare la resurrezione di Cristo, negano la nostra resurrezione. Essi dicono: Lui, certo, è risorto, ma è a lui solo che competeva risorgere con quella carne che si era degnato assumere. Da questo fatto, che cioè è risorta la carne di Cristo, consegue forse che debba risorgere anche la nostra carne? La potenza di lui e le sue risorse sono ovviamente molto superiori alle nostre. A costoro rispondiamo: È vero che la divinità di Cristo è molto distante da te, ma la debolezza di Cristo te lo ha reso vicino. In se stesso è Dio, ma per te si è fatto uomo; con la sua potenza ti aveva creato, nella tua natura per te ha subìto la passione. Se ti ha creato col suo potere, è risorto in quel che aveva preso da te. In effetti, il Verbo era senza carne. In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state create ad opera di lui 1. Anche l'uomo è stato creato per opera di lui, ma colui ad opera del quale l'uomo era stato creato in un secondo momento si fece uomo e, perché l'uomo non andasse in perdizione, Cristo subì la morte. Ma Cristo risuscitò: e cosa risuscitò in lui? Il Verbo si fece carne ed abitò in mezzo a noi 2. Il Verbo assunse ciò che non era senza mai perdere ciò che era: rimase Verbo. Ma allora cosa risuscitò? Il Verbo. Perché allora scese così in basso? Per rialzarsi. Perché questo Verbo volle morire? Per tornare in vita. Al riguardo però dobbiamo precisare che egli morì nella carne assunta, non nella divinità che aveva conservata. Pertanto, circa la natura in cui Cristo risuscitò, constatiamo com'egli affrontò uno smacco per sé, mentre a te offriva un esempio. In effetti, vista in lui, anche la sua resurrezione fu una umiliazione, uno smacco. Ripensa al Verbo, ripensa a quanto si dice: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio 3, e ti accorgerai che cosa sia stato per lui lo stesso risorgere. Orbene, colui che risuscitò il suo corpo risusciterà anche il tuo. Per questo infatti volle che il suo corpo risorgesse: perché tu credessi che anche il tuo risorgerà.
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03/04/2016 06:44
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 8 nell'ottava di Pasqua 1, 4; PL 46, 838. 841)
Nuova creatura in Cristo

Rivolgo la mia parola a voi, bambini appena nati, fanciulli in Cristo, nuova prole della Chiesa, grazia del Padre, fecondità della Madre, pio germoglio, sciame novello, fiore del nostro onore e frutto della nostra fatica, mio gaudio e mia corona, a voi tutti che siete qui saldi nel Signore.
Mi rivolgo a voi con le parole stesse dell'apostolo: «Rivestitevi del Signore Gesù Cristo e non seguite la carne nei suoi desideri» (Rm 13, 14), perché vi rivestiate, anche nella vita, di colui del quale vi siete rivestiti per mezzo del sacramento. «Poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c'è più Giudeo, né Greco; non c'è più schiavo, né libero; non c'è più uomo, né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3, 27-28).
In questo sta proprio la forza del sacramento. È infatti il sacramento della nuova vita, che comincia in questo tempo con la remissione di tutti i peccati, e avrà il suo compimento nella risurrezione dei morti. Infatti siete stati sepolti insieme con Cristo nella morte per mezzo del battesimo, perché, come Cristo è risuscitato dai morti, così anche voi possiate camminare in una vita nuova (cfr. Rm 6, 4).
Ora poi camminate nella fede, per tutto il tempo in cui, dimorando in questo corpo mortale, siete come pellegrini lontani dal Signore. Vostra via sicura si è fatto colui al quale tendete, cioè lo stesso Cristo Gesù, che per voi si è degnato di farsi uomo. Per coloro che lo temono ha riserbato tesori di felicità, che effonderà copiosamente su quanti sperano in lui, allorché riceveranno nella realtà ciò che hanno ricevuto ora nella speranza.
Oggi ricorre l'ottavo giorno della vostra nascita, oggi trova in voi la sua completezza il segno della fede, quel segno che presso gli antichi patriarchi si verificava nella circoncisione, otto giorni dopo la nascita al mondo. Perciò anche il Signore ha impresso il suo sigillo al suo giorno, che è il terzo dopo la passione. Esso però, nel ciclo settimanale, è l'ottavo dopo il settimo cioè dopo il sabato, e il primo della settimana. Cristo, facendo passare il proprio corpo dalla mortalità all'immortalità, ha contrassegnato il suo giorno con il distintivo della risurrezione.
Voi partecipate del medesimo mistero non ancora nella piena realtà, ma nella sicura speranza, perché avete un pegno sicuro, lo Spirito Santo. «Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio; pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra. Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio. Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria» (Col 3, 1-4).
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12/04/2016 09:09
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 34, 1-3. 5-6; CCL 41, 424-426)
Cantiamo al Signore il canto dell'amore

«Cantate al Signore un canto nuovo; la sua lode nell'assemblea dei fedeli» (Sal 149, 1).
Siamo stati esortati a cantare al Signore un canto nuovo. L'uomo nuovo conosce il canto nuovo. Il cantare è segno di letizia e, se consideriamo la cosa più attentamente, anche espressione di amore.
Colui dunque che sa amare la vita nuova, sa cantare anche il canto nuovo. Che cosa sia questa vita nuova, dobbiamo saperlo in vista del canto nuovo. Infatti tutto appartiene a un solo regno: l'uomo nuovo, il canto nuovo, il Testamento nuovo. Perciò l'uomo nuovo canterà il canto nuovo e apparterrà al Testamento nuovo.
Non c'è nessuno che non ami, ma bisogna vedere che cosa ama. Non siamo esortati a non amare, ma a scegliere l'oggetto del nostro amore. Ma che cosa sceglieremo, se prima non veniamo scelti? Poiché non amiamo, se prima non siamo amati. Ascoltate l'apostolo Giovanni: Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (cfr. 1 Gv 4, 10).
Cerca per l'uomo il motivo per cui debba amare Dio e non troverai che questo: perché Dio per primo lo ha amato. Colui che noi abbiamo amato, ha dato già se stesso per noi, ha dato ciò per cui potessimo amarlo.
Che cosa abbia dato perché lo amassimo, ascoltatelo più chiaramente dall'apostolo Paolo: «L'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5, 5). Da dove? Forse da noi? No. Da chi dunque? «Per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato» (Rm 5, 5).
Avendo dunque una sì grande fiducia, amiamo Dio per mezzo di Dio.
Ascoltate più chiaramente lo stesso Giovanni: «Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui» (1 Gv 4, 16).
Non basta dire: «L'amore è da Dio» (1 Gv 4, 7). Chi di noi oserebbe dire ciò che è stato detto: «Dio è amore»? Lo disse colui che sapeva ciò che aveva.
Dio ci si offre in un modo completo. Ci dice: Amatemi e mi avrete, perché non potete amarmi, se già non mi possedete.
O fratelli, o figli, o popolo cristiano, o santa e celeste stirpe, o rigenerati in Cristo, o creature di un mondo divino, ascoltate me, anzi per mezzo mio: «Cantate al Signore un canto nuovo».
Ecco, tu dici, io canto. Tu canti, certo, lo sento che canti. Ma bada che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua voce.
Cantate con la voce, cantate con il cuore, cantate con la bocca, cantate con la vostra condotta santa. «Cantate al Signore un canto nuovo».
Mi domandate che cosa dovete cantare di colui che amate? Parlate senza dubbio di colui che amate, di lui volete cantare. Cercate le lodi da cantare? L'avete sentito: «Cantate al Signore un canto nuovo». Cercate le lodi? «La sua lode risuoni nell'assemblea dei fedeli».
Il cantore diventa egli stesso la lode del suo canto.
Volete dire le lodi a Dio? Siate voi stessi quella lode che si deve dire, e sarete la sua lode, se vivrete bene.
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21/04/2016 06:46
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

(Tratt. 65, 1-3; CCL 36, 490-492)
Il comandamento nuovo

Il Signore Gesù afferma che dà un nuovo comandamento ai suoi discepoli, cioè che si amino reciprocamente: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34).
Ma questo comandamento non esisteva già nell'antica legge del Signore, che prescrive: «Amerai il tuo prossimo come te stesso»? (Lv 19, 18). Perché allora il Signore dice nuovo un comandamento che sembra essere tanto antico? È forse un comandamento nuovo perché ci spoglia dell'uomo vecchio per rivestirci del nuovo? Certo. Rende nuovo chi gli dà ascolto o meglio chi gli si mostra obbediente. Ma l'amore che rigenera non è quello puramente umano. È quello che il Signore contraddistingue e qualifica con le parole: «Come io vi ho amati» (Gv 13, 34).
Questo è l'amore che ci rinnova, perché diventiamo uomini nuovi, eredi della nuova alleanza, cantori di un nuovo cantico. Quest'amore, fratelli carissimi, ha rinnovato gli antichi giusti, i patriarchi e i profeti, come in seguito ha rinnovato gli apostoli. Quest'amore ora rinnova anche tutti i popoli, e di tutto il genere umano, sparso sulla terra, forma un popolo nuovo, corpo della nuova Sposa dell'unigenito Figlio di Dio, della quale si parla nel Cantico dei cantici: Chi è colei che si alza splendente di candore? (cfr. Ct 8, 5). Certo splendente di candore perché è rinnovata. Da chi se non dal nuovo comandamento?
Per questo i membri sono solleciti a vicenda; e se un membro soffre, con lui tutti soffrono, e se uno è onorato, tutti gioiscono con lui (cfr. 1 Cor 12, 25-26). Ascoltano e mettono in pratica quanto insegna il Signore: «Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri» (Gv 13, 34), ma non come si amano coloro che seducono, né come si amano gli uomini per il solo fatto che sono uomini. Ma come si amano coloro che sono dèi e figli dell'Altissimo, per essere fratelli dell'unico Figlio suo. Amandosi a vicenda di quell'amore con il quale egli stesso ha amato gli uomini, suoi fratelli, per poterli guidare là dove il desiderio sarà saziato di beni (cfr. Sal 102, 5).
Il desiderio sarà pienamente appagato, quando Dio sarà tutto in tutti (cfr. 1 Cor 15, 28).
Questo è l'amore che ci dona colui che ha raccomandato: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13, 34). A questo fine quindi ci ha amati, perché anche noi ci amiamo a vicenda. Ci amava e perciò ha voluto ci trovassimo legati di reciproco amore, perché fossimo il Corpo del supremo Capo e membra strette da un così dolce vincolo.
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30/04/2016 09:33
 
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Dai «Commenti sui salmi» di sant'Agostino, vescovo

(Sal. 148, 1-2; CCL 40, 2165-2166)
L'alleluia pasquale

La meditazione della nostra vita presente deve svolgersi nella lode del Signore, perché l'eterna felicità della nostra vita futura consisterà nella lode di Dio; e nessuno sarà atto alla vita futura, se ora non si sarà preparato. Perciò lodiamo Dio adesso, ma anche innalziamo a lui la nostra supplica. La nostra lode racchiude gioia, la nostra supplica racchiude gemito. Infatti ci è stato promesso ciò che attualmente non possediamo; e poiché è verace colui che ha promesso, noi ci rallegriamo nella speranza, anche se, non possedendo ancora quello che desideriamo, il nostro desiderio appare come un gemito. È fruttuoso per noi perseverare nel desiderio fino a quando ci giunga ciò che è stato promesso e così passi il gemito e gli subentri solo la lode. La storia del nostro destino ha due fasi: una che trascorre ora in mezzo alle tentazioni e tribolazioni di questa vita, l'altra che sarà nella sicurezza e nella gioia eterna. Per questo motivo è stata istituita per noi anche la celebrazione dei due tempi, cioè quello prima di Pasqua e quello dopo Pasqua. Il tempo che precede la Pasqua raffigura la tribolazione nella quale ci troviamo; invece quello che segue la Pasqua, rappresenta la beatitudine che godremo. Ciò che celebriamo prima di Pasqua, è anche quello che operiamo. Ciò che celebriamo dopo Pasqua, indica quello che ancora non possediamo. Per questo trascorriamo il primo tempo in digiuni e preghiere. L'altro, invece, dopo la fine dei digiuni lo celebriamo nella lode. Ecco perché cantiamo: alleluia.
Infatti in Cristo, nostro capo, è raffigurato e manifestato l'uno e l'altro tempo. La passione del Signore ci presenta la vita attuale con il suo aspetto di fatica, di tribolazione e con la prospettiva certa della morte. Invece la risurrezione e la glorificazione del Signore sono annunzio della vita che ci verrà donata.
Per questo, fratelli, vi esortiamo a lodare Dio; ed è questo che noi tutti diciamo a noi stessi quando proclamiamo: alleluia. Lodate il Signore, tu dici a un altro. E l'altro replica a te la stessa cosa.
Impegnatevi a lodare con tutto il vostro essere: cioè non solo la vostra lingua e la vostra voce lodino Dio, ma anche la vostra coscienza, la vostra vita, le vostre azioni.
Noi lodiamo il Signore in chiesa quando ci raduniamo. Al momento in cui ciascuno ritorna alle proprie occupazioni, quasi cessa di lodare Dio. Non bisogna invece smettere di vivere bene e di lodare sempre Dio. Bada che tralasci di lodare Dio quando ti allontani dalla giustizia e da ciò che a lui piace. Infatti se non ti allontani mai dalla vita onesta, la tua lingua tace, ma la tua vita grida e l'orecchio di Dio è vicino al tuo cuore. Le nostre orecchie sentono le nostre voci, le orecchie di Dio si aprono ai nostri pensieri.
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06/05/2016 06:57
 
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Dai «Trattati su Giovanni» di sant'Agostino, vescovo

(Tratt. 124, 5,7; CCL 36, 685-687)
Le due vite

La Chiesa conosce due vite che le sono state divinamente predicate ed affidate: una è nella fede, l'altra nella visione; una nel tempo del pellegrinaggio, l'altra nell'eternità della dimora; una nella fatica, l'altra nel riposo; una lungo la via, l'altra nella patria; una nell'attività, l'altra nel premio della contemplazione.
La prima vita è stata rappresentata dall'apostolo Pietro, la seconda da Giovanni. La vita terrena si svolge sino alla fine di questo mondo e trova la sua conclusione nell'aldilà; la vita celeste, nella sua fase perfetta, verrà dopo la fine di questo mondo, ma nell'eternità non avrà termine. Perciò il Signore dice a Pietro: «Seguimi» (Gv 21, 19); mentre di Giovanni dice: «Se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? Tu seguimi» (Gv 21, 22).
Il significato della risposta di Gesù è il seguente: Tu seguimi nel tollerare i mali temporali. Lui rimanga in attesa fino a quando non ritornerò per concedere i beni eterni. O più chiaramente: Mi segua l'opera che, sul modello della mia passione, è già terminata. Rimanga in attesa, fino a quando non verrò a renderla totale, la contemplazione appena iniziata. Effettivamente chi accetta tutto santamente perseverando fino alla morte, segue Cristo. Invece la conoscenza di Cristo, prima di arrivare al suo culmine, deve attendere la sua venuta. Si tratta di due aspetti connessi con le due fasi dell'esistenza terrena e celeste del cristiano. Nella prima si sopportano i mali di questo mondo propri della terra dei morenti, nella seconda si vedranno i beni del Signore caratteristici della terra dei viventi.
Ciò che il Signore dice: «Voglio che rimanga finché io venga» (Gv 21, 23), non significa fermarsi, arrestarsi, ma rimanere in attesa, perché la condizione significata da Giovanni non raggiungerà la sua pienezza adesso, bensì alla venuta di Cristo. Quello poi che è significato da Pietro, che ha ricevuto l'invito: «Tu seguimi» (Gv 21, 22), è qualcosa che va compiuto ora, altrimenti non si arriverà a ciò che si attende. Tuttavia nessuno osi dissociare questi due grandi apostoli. Tutti e due facevano ciò che significava Pietro. Tutti e due avrebbero conseguito quanto significava Giovanni. Sul piano del simbolo, Pietro seguiva, Giovanni restava in attesa. Sul piano della fede vissuta, tutti e due sopportavano le sofferenze presenti di questo misero mondo, tutti e due attendevano i beni futuri della beatitudine eterna.
E questo atteggiamento lo riproducono non solo essi, ma tutta la Chiesa, Sposa di Cristo, tutta tesa da una parte a superare le prove di questo mondo e dall'altra a possedere la felicità della vita futura. Due vite dunque simboleggiate dai due apostoli Pietro e Giovanni, ognuno dei quali significa un tipo solo di vita, anche se tutti e due vissero la vita temporale nella fede e tutti e due avrebbero goduto l'altra vita nella visione.
Pietro, primo degli apostoli, ha ricevuto le chiavi del Regno dei cieli. Con esse lega e scioglie i peccati di tutti i santi, congiunti inseparabilmente al corpo di Cristo (cfr. Mt 16, 19), ed indica ai fedeli la giusta rotta da seguire in questa vita agitata da tutte le tempeste. Invece Giovanni, l'evangelista, posò il capo sul petto di Cristo. Il gesto fa pensare al riposo dei santi, al riposo, che troveranno in quel seno pienamente riparato dai flutti e segreto, che è la vita beata.
Però non solo Pietro lega e scioglie i peccati, ma tutta la Chiesa. Non solo Giovanni ha attinto dalla sorgente che era Cristo. Non solo lui gode del Verbo - che era in principio, Dio presso Dio - e di tutte le prerogative divine del Cristo. Non solo lui contempla tutte quelle realtà sublimi che si riferiscono alla Trinità divina e all'unità delle tre divine Persone. Non è solo lui il privilegiato che si sazia di quelle cose che si contemplano faccia a faccia nel regno celeste, dopo essere state viste come in uno specchio e in maniera confusa in questa terra (cfr. 1 Cor 13, 12). Non è solo lui che attinge tutti questi tesori dal petto di Cristo, ma a tutti è aperta dal Signore stesso la fonte del Vangelo, perché tutti in tutta la terra bevano, ognuno secondo la propria capacità.
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08/05/2016 07:46
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. sull'Ascensione del Signore, ed. A. Mai, 98, 1-2; PLS 2, 494-495)
Nessuno è mai salito al cielo,
fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo

Oggi nostro Signore Gesù Cristo è asceso al cielo. Con lui salga pure il nostro cuore.
Ascoltiamo l'apostolo Paolo che proclama: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio. Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra» (Col 3, 1-2). Come egli è asceso e non si è allontanato da noi, così anche noi già siamo lassù con lui, benché nel nostro corpo non si sia ancora avverato ciò che ci è promesso.
Cristo è ormai esaltato al di sopra dei cieli, ma soffre qui in terra tutte le tribolazioni che noi sopportiamo come sue membra. Di questo diede assicurazione facendo sentire quel grido: «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9, 4). E così pure: «Io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare» (Mt 25, 35).
Perché allora anche noi non fatichiamo su questa terra, in maniera da riposare già con Cristo in cielo, noi che siamo uniti al nostro Salvatore attraverso la fede, la speranza e la carità? Cristo, infatti, pur trovandosi lassù, resta ancora con noi. E noi, similmente, pur dimorando quaggiù, siamo già con lui. E Cristo può assumere questo comportamento in forza della sua divinità e onnipotenza. A noi, invece, è possibile, non perché siamo esseri divini, ma per l'amore che nutriamo per lui. Egli non abbandonò il cielo, discendendo fino a noi; e nemmeno si è allontanato da noi, quando di nuovo è salito al cielo. Infatti egli stesso dà testimonianza di trovarsi lassù mentre era qui in terra: Nessuno è mai salito al cielo fuorché colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo (cfr. Gv 3, 13).
Questa affermazione fu pronunciata per sottolineare l'unità tra lui nostro capo e noi suo corpo. Quindi nessuno può compiere un simile atto se non Cristo, perché anche noi siamo lui, per il fatto che egli è il Figlio dell'uomo per noi, e noi siamo figli di Dio per lui.
Così si esprime l'Apostolo parlando di questa realtà: «Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo» (1 Cor 12, 12). L'Apostolo non dice: «Così Cristo», ma sottolinea: «Così anche Cristo». Cristo dunque ha molte membra, ma un solo corpo.
Perciò egli è disceso dal cielo per la sua misericordia e non è salito se non lui, mentre noi unicamente per grazia siamo saliti in lui. E così non discese se non Cristo e non è salito se non Cristo. Questo non perché la dignità del capo sia confusa nel corpo, ma perché l'unità del corpo non sia separata dal capo.
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24/05/2016 06:13
 
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Dalle «Confessioni» di sant'Agostino, vescovo

(Lib. 10, 1. 1 - 2, 2; 5. 7; CSEL 33, 226-227. 230-231)
A te, o Signore, chiunque io sia, sono manifesto

Conoscerò te, o mio conoscitore, ti conoscerò come anch'io sono conosciuto (cfr. 1 Cor 13, 12). Forza della mia anima, entra in essa e uniscila a te, per averla e possederla «senza macchia né ruga» (Ef 5, 27). Questa è la mia speranza, per questo oso parlare e in questa speranza gioisco, perché gioisco di cosa sacrosanta. Tutto il resto in questa vita tanto meno richiede di essere rimpianto, quanto più si rimpiange, e tanto più merita di essere rimpianto, quanto meno si rimpiange. «Ma tu vuoi la sincerità del cuore» (Sal 50, 8), poiché chi la realizza, viene alla luce (cfr. Gv 3, 21). Voglio quindi realizzarla nel mio cuore davanti a te nella mia confessione e nel mio scritto davanti a molti testimoni.
Davanti a te, o Signore, è scoperto l'abisso dell'umana coscienza: può esserti nascosto qualcosa in me, anche se m'impegnassi di non confessartelo? Se mi comportassi così, io nasconderei te a me, anziché me a te. Ma ora il mio gemito manifesta che io dispiaccio a me stesso, e che tu rifulgi e piaci e meriti di essere amato e desiderato, al punto che arrossisco di me e rifiuto me per scegliere te, e non bramo di piacere né a te né a me, se non in te.
Dunque, o Signore, tu mi conosci veramente come sono. Ho già espresso il motivo per cui mi manifesto a te. Non faccio questo con parole e voci della carne, ma con parole dell'anima e grida della mente, che il tuo orecchio ben conosce. Quando sono cattivo, l'atto di confessarmi a te non è altro che un dispiacere a me; quando invece sono buono, l'atto di confessarmi a te non è altro che un non attribuire a me questa bontà, poiché, «Signore, tu benedici il giusto» (Sal 5, 13), ma prima lo giustifichi quando è empio (cfr. Rm 4, 5). Perciò, o mio Dio, la mia confessione dinanzi a te avviene in forma tacita e non tacita: avviene nel silenzio, ma è forte il grido dell'affetto.
Tu solo, Signore, mi giudichi; infatti «chi conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui?» (1 Cor 2, 11). Tuttavia c'è qualcosa nell'uomo che non è conosciuto neppure dallo spirito che è in lui. Tu però, Signore, conosci tutto di lui, perché l'hai creato. Io invece, quantunque mi disprezzi davanti a te e mi ritenga terra e cenere, so di te qualcosa che non so di me.
«Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia» (1 Cor 13, 12), e perciò, fino a quando sono pellegrino lontano da te, sono più vicino a me stesso che a te, e tuttavia so che tu sei inviolabile in modo assoluto. Ma io non so a quali tentazioni possa resistere e a quali no. Io ho speranza, perché tu sei fedele e non permetti che siamo tentati oltre le nostre forze, ma con la tentazione tu ci darai anche la via d'uscita e la forza per sopportarla (cfr. 1 Cor 10, 13).
Confesserò, dunque, quello che so e quello che non so di me; perché anche quanto so di me, lo conosco per tua illuminazione; e quanto non so di me, lo ignorerò fino a quando la mia tenebra non diventerà come il meriggio alla luce del tuo volto (cfr. Is 58, 10).
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25/05/2016 06:20
 
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Dalle «Confessioni» di sant'Agostino, vescovo

(Lib. 10, 26. 37 - 29. 40; CSEL 255-256)
Tutta la mia speranza è riposta
nella tua grande misericordia

Dove ti ho trovato per conoscerti? Sicuramente non eri presente alla mia memoria prima che ti conoscessi. Dove dunque ti ho trovato per conoscerti se non in te al di sopra di me? Ma tale sede non è per nulla un luogo. Ci allontaniamo e ci avviciniamo ad essa, è vero, ma, pur tuttavia, non è assolutamente un luogo. Dovunque ti trovi, o Verità, tu sei al di sopra di tutti quelli che ti interrogano e contemporaneamente rispondi a quanti ti interpellano sulle cose più diverse.
Tu rispondi con chiarezza, ma non tutti ti comprendono con chiarezza. Tutti ti interrogano su ciò che cercano, ma non sempre ascoltano quanto cercano. Si dimostra tuo servo migliore non colui che pretende di sentire da te quello che egli vuole, ma che piuttosto vuole quello che ha udito da te.
Tardi ti ho amato, o bellezza così antica e così nuova, tardi ti ho amato! Ed ecco che tu eri dentro e io fuori, e lì ti cercavo. Deforme come ero, mi gettavo su queste cose belle che hai creato. Tu eri con me, ma io non ero con te. Mi tenevano lontano da te le tue creature, che non esisterebbero se non fossero in te. Mi hai chiamato, hai gridato, e hai vinto la mia sordità. Hai mandato bagliori, hai brillato, e hai dissipato la mia cecità. Hai diffuso la tua fragranza, io l'ho respirata, e ora anelo a te. Ti ho assaporato, e ho fame e sete. Mi hai toccato, e aspiro ardentemente alla tua pace.
Quando aderirò a te con tutto me stesso, non vi sarà più posto per il dolore e la fatica, e la mia vita sarà viva, tutta piena di te. È un fatto che tu sollevi chi riempi; e poiché io non sono ancora pieno di te, sono di peso a me stesso. In me le mie deprecabili gioie contrastano con le mie tristezze di cui dovrei rallegrarmi, e non so da quale parte stia la vittoria.
Ahimè! Abbi pietà di me, Signore. Le mie cattive tristezze contrastano con le gioie oneste, e non so da quale parte stia la vittoria. Ahimè! Abbi pietà di me, Signore! Ahimè! Ecco, io non nascondo le mie ferite: tu sei il medico, io il malato; tu sei misericordioso, io misero. Non ha forse un duro lavoro l'uomo sulla terra? (cfr. Gb 7, 1). Chi vorrebbe molestie e difficoltà? Tu ci comandi di sopportarle, non di amarle. Nessuno ama quello che sopporta, anche se ama di sopportare; avviene che uno può godere di sopportare, ma tuttavia preferisce che non esista quello che deve sopportare. Nelle avversità desidero prosperità, nella prosperità temo le avversità. Qual è il giusto mezzo tra questi estremi, dove l'uomo non abbia un simile duro lavoro sulla terra? Guai alle prosperità del mondo, doppiamente indesiderabili e per il timore dell'avversità e per la caducità della gioia! Guai alle avversità del mondo, e una e due e tre volte e per il desiderio della prosperità, e perché l'avversità stessa è ben dura e la sopportazione fa naufragio! La vita dell'uomo sulla terra non è forse un duro lavoro (cfr. Gb 7, 1) senza mai una pausa?
E allora ogni mia speranza è posta nella tua grande misericordia.
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26/05/2016 08:35
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 171, 1-3. 5; PL 38, 933-935)
Rallegratevi nel Signore, sempre

L'Apostolo ci comanda di rallegrarci, ma nel Signore, non nel mondo. «Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio» (Gc 4, 4), come ci assicura la Scrittura. Come un uomo non può servire a due padroni, così nessuno può rallegrarsi contemporaneamente nel mondo e nel Signore.
Quindi abbia il sopravvento la gioia nel Signore, finché non sia finita la gioia nel mondo. Cresca sempre più la gioia nel Signore, mentre la gioia nel mondo diminuisca sempre finché sia finita. E noi affermiamo questo, non perché non dobbiamo rallegrarci mentre siamo nel mondo, ma perché, pur vivendo in questo mondo, ci rallegriamo già nel Signore.
Ma qualcuno potrebbe obiettare: Sono nel mondo, allora, se debbo gioire, gioisco là dove mi trovo. Ma che dici? Perché sei nel mondo, non sei forse nel Signore? Ascolta il medesimo Apostolo che parla agli Ateniesi e negli Atti degli Apostoli dice del Dio e Signore nostro creatore: «In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17, 28).
Colui che è dappertutto, dove non è? Forse che non ci esortava a questo quando insegnava: «Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla»? (Fil 4, 5-6).
È una ineffabile realtà questa: ascese sopra tutti i cieli ed è vicinissimo a coloro che si trovano ancora sulla terra. Chi è costui, lontano e vicino al tempo stesso, se non colui che si è fatto prossimo a noi per la sua misericordia?
Tutto il genere umano è quell'uomo che giaceva lungo la strada semivivo, abbandonato dai ladri. Il sacerdote e il levita, passando, lo disprezzarono, ma un samaritano di passaggio gli si accostò per curarlo e prestargli soccorso. Lontano da noi, immortale e giusto, egli discese fino a noi, che siamo mortali e peccatori, per diventare prossimo a noi.
«Non ci tratta secondo i nostri peccati» (Sal 102, 10). Siamo infatti figli. E come proviamo questo? Morì per noi l'Unico, per non rimanere solo. Non volle essere solo, egli che è morto solo. L'unico Figlio di Dio generò molti figli di Dio. Si acquistò dei fratelli con il suo sangue. Rese giusti i reprobi. Donandosi, ci ha redenti; disonorato, ci onorò; ucciso, ci procurò la vita.
Perciò, fratelli, rallegratevi nel Signore, non nel mondo; cioè rallegratevi nella verità, non nel peccato; rallegratevi nella speranza dell'eternità, non nei fiori della vanità. Così rallegratevi: e dovunque e per tutto il tempo che starete in questo mondo, «il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla» (Fil 4, 5-6).
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24/06/2016 07:37
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 293, 1-3; PL 38, 1327-1328)
Voce di chi grida nel deserto

La Chiesa festeggia la natività di Giovanni, attribuendole un particolare carattere sacro. Di nessun santo, infatti, noi celebriamo solennemente il giorno natalizio; celebriamo invece quello di Giovanni e quello di Cristo. Giovanni però nasce da una donna avanzata in età e già sfiorita. Cristo nasce da una giovinetta vergine. Il padre non presta fede all'annunzio sulla nascita futura di Giovanni e diventa muto. La Vergine crede che Cristo nascerà da lei e lo concepisce nella fede.
Sembra che Giovanni sia posto come un confine fra due Testamenti, l'Antico e il Nuovo. Infatti che egli sia, in certo qual modo, un limite lo dichiara lo stesso Signore quando afferma: «La Legge e i Profeti fino a Giovanni» (Lc 16, 16). Rappresenta dunque in sé la parte dell'Antico e l'annunzio del Nuovo. Infatti, per quanto riguarda l'Antico, nasce da due vecchi. Per quanto riguarda il Nuovo, viene proclamato profeta già nel grembo della madre. Prima ancora di nascere, Giovanni esultò nel seno della madre all'arrivo di Maria. Già da allora aveva avuto la nomina, prima di venire alla luce. Viene indicato già di chi sarà precursore, prima ancora di essere da lui visto. Questi sono fatti divini che sorpassano i limiti della pochezza umana. Infine nasce, riceve il nome, si scioglie la lingua del padre. Basta riferire l'accaduto per spiegare l'immagine della realtà.
Zaccaria tace e perde la voce fino alla nascita di Giovanni, precursore del Signore, e solo allora riacquista la parola. Che cosa significa il silenzio di Zaccaria se non la profezia non ben definita, e prima della predicazione di Cristo ancora oscura? Si fa manifesta alla sua venuta. Diventa chiara quando sta per arrivare il preannunziato. Il dischiudersi della favella di Zaccaria alla nascita di Giovanni è lo stesso che lo scindersi del velo nella passione di Cristo. Se Giovanni avesse annunziato se stesso, non avrebbe aperto la bocca a Zaccaria. Si scioglie la lingua perché nasce la voce. Infatti a Giovanni, che preannunziava il Signore, fu chiesto: «Chi sei tu?» (Gv 1, 19). E rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto» (Gv 1, 23). Voce è Giovanni, mentre del Signore si dice: «In principio era il Verbo» (Gv 1, 1). Giovanni è voce per un po' di tempo; Cristo invece è il Verbo eterno fin dal principio.
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27/06/2016 06:53
 
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Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo

(Disc. 47, 1. 2. 3. 6; CCL 41, 572-573. 575-576)
Egli è il nostro Dio e noi il popolo del suo pascolo

Le parole che abbiamo cantato contengono la nostra pubblica professione che siamo gregge di Dio: «Riconoscete che il Signore è Dio, egli ci ha fatti e noi siamo suoi» (Sal 99, 3). Egli è il nostro Dio; «noi il popolo del suo pascolo, il gregge che egli conduce» (Sal 94, 7). I pastori, che sono uomini, non hanno fatto loro le pecore che posseggono, non hanno creato le pecore che pascolano. Invece il Signore Dio nostro, perché è Dio e creatore, si è procurato il gregge che egli possiede e che porta al pascolo. Né un altro ha creato quello che egli pasce, né un altro pasce quello che egli ha creato.
Poiché abbiamo proclamato in questo salmo che siamo suo gregge, popolo del suo pascolo, pecore delle sue mani, ascoltiamo quello che egli dice a noi come al suo gregge. Altre volte parlava ai pastori. Ora invece parla al gregge. In quelle sue parole noi ascoltavamo con tremore, voi con sicurezza. Perciò che cosa scaturirà da queste parole di oggi? Forse che la situazione si rovescerà e noi ascolteremo con sicurezza, e voi con tremore? Niente affatto. Innanzi tutto perché, anche se siamo pastori, il pastore ascolta con tremore non soltanto quanto viene rivolto ai pastori, ma anche ciò che viene indirizzato al gregge. Chi ascolta con indifferenza ciò che riguarda le pecore, dimostra di non avere alcuna preoccupazione del gregge. Secondariamente già abbiamo esposto alla vostra carità due punti che devono essere attentamente considerati: che cioè siamo anche cristiani, oltre ad essere capi. Per il fatto che siamo cristiani, anche noi facciamo parte del gregge con voi. Perciò sia che il Signore parli ai pastori, sia che parli al gregge, noi dobbiamo ascoltare tutto il suo insegnamento con tremore, e la preoccupazione non deve allontanarsi dai nostri cuori.
E allora, fratelli, ascoltiamo come il Signore riprenda le pecore cattive e che cosa prometta alle sue pecore. Dice: «Voi, mie pecore» (Ez 34, 31). Fratelli, quale grande gioia essere il gregge di Dio! È un fatto che genera grande gaudio anche in mezzo alle lacrime e alle tribolazioni di questa terra. Infatti colui al quale è stato detto: «Tu che pasci Israele», è il medesimo di cui si afferma: «Non si addormenterà, non prenderà sonno il custode di Israele» (Sal 120, 4). Egli dunque vigila sopra di noi quando noi vegliamo, vigila anche quando noi dormiamo. Perciò se un gregge umano si ritiene sicuro sotto un pastore umano, quanto maggiore deve essere la nostra sicurezza allorché è Dio che ci pasce! E non soltanto perché ci pasce, ma anche perché ci ha creato.
A voi che siete mio gregge queste cose dice il Signore Dio: Ecco, io giudico tra pecora e pecora, e tra arieti e capri (cfr. Ez 34, 17). Che cosa fanno qui nel gregge di Dio i capri? Negli stessi pascoli, presso le medesime fonti? Anche quegli intrusi destinati alla sinistra si sono mescolati agli eletti, destinati alla destra. Ma ora vengono tollerati, poi, però, saranno separati. E qui si esercita la pazienza delle pecore a somiglianza della pazienza di Dio. Da lui infatti verrà operata quella separazione che porterà gli uni alla sinistra, e gli altri alla destra.
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29/06/2016 00:53
 
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Dai «Discorsi» di Sant'Agostino, vescovo

(Disc. 295, 1-2. 4. 7-8; PL 38, 1348-1352)
Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato

Il martirio dei santi apostoli Pietro e Paolo ha reso sacro per noi questo giorno. Noi non parliamo di martiri poco conosciuti; infatti «per tutta la terra si diffonde la loro voce e ai confini del mondo la loro parola» (Sal 18, 5). Questi martiri hanno visto ciò che hanno predicato. Hanno seguito la giustizia. Hanno testimoniato la verità e sono morti per essa.
Il beato Pietro, il primo degli apostoli, dotato di un ardente amore verso Cristo, ha avuto la grazia di sentirsi dire da lui: «E io ti dico: Tu sei Pietro» (Mt 16, 18). E precedentemente Pietro si era rivolto a Gesù dicendo: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16, 16). E Gesù aveva affermato come risposta: «E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Mt 16, 18). Su questa pietra stabilirò la fede che tu professi. Fonderò la mia chiesa sulla tua affermazione: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». Tu infatti sei Pietro. Pietro deriva da pietra e non pietra da Pietro. Pietro deriva da pietra, come cristiano da Cristo.
Il Signore Gesù, come già sapete, scelse prima della passione i suoi discepoli, che chiamò apostoli. Tra costoro solamente Pietro ricevette l'incarico di impersonare quasi in tutti i luoghi l'intera Chiesa. Ed è stato in forza di questa personificazione di tutta la Chiesa che ha meritato di sentirsi dire da Cristo: «A te darò le chiavi del regno dei cieli» (Mt 16, 19). Ma queste chiavi le ha ricevute non un uomo solo, ma l'intera Chiesa. Da questo fatto deriva la grandezza di Pietro, perché egli è la personificazione dell'universalità e dell'unità della Chiesa. «A te darò» quello che è stato affidato a tutti. È ciò che intende dire Cristo. E perché sappiate che è stata la Chiesa a ricevere le chiavi del regno dei cieli, ponete attenzione a quello che il Signore dice in un'altra circostanza: «Ricevete lo Spirito Santo» e subito aggiunge: «A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete, resteranno non rimessi» (Gv 20, 22-23).
Giustamente anche dopo la risurrezione il Signore affidò allo stesso Pietro l'incombenza di pascere il suo gregge. E questo non perché meritò egli solo, tra i discepoli, un tale compito, ma perché quando Cristo si rivolge ad uno vuole esprimere l'unità. Si rivolge da principio a Pietro, perché Pietro è il primo degli apostoli.
Non rattristarti, o apostolo. Rispondi una prima, una seconda, una terza volta. Vinca tre volte nell'amore la testimonianza, come la presunzione è stata vinta tre volte dal timore. Deve essere sciolto tre volte ciò che hai legato tre volte. Sciogli per mezzo dell'amore ciò che avevi legato per timore.
E così il Signore una prima, una seconda, una terza volta affidò le sue pecorelle a Pietro.
Un solo giorno è consacrato alla festa dei due apostoli. Ma anch'essi erano una cosa sola. Benché siano stati martirizzati in giorni diversi, erano una cosa sola. Pietro precedette, Paolo seguì. Celebriamo perciò questo giorno di festa, consacrato per noi dal sangue degli apostoli.
Amiamone la fede, la vita, le fatiche, le sofferenze, le testimonianze e la predicazione
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È Lui che ha stabilito alcuni come apostoli, altri come profeti, altri come evangelisti, altri come pastori e maestri.. Ef 4,11
 
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