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Ultimo Aggiornamento: 01/07/2021 13:52
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17/04/2010 18:21
 
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Non ringrazieremo mai abbastanza il cardinale Caffarra per il coraggio e la precisione con cui sta svolgendo il suo ruolo di vescovo, cioè di colui che etimologicamente sta “in un luogo sopraelevato di osservazione” per custodire e guidare il suo gregge. Una condizione di grande responsabilità, che si carica su di sé il destino delle anime di un’intera diocesi, pronto a rispondere di ciascuna davanti a Cristo giudice. Un vescovo si espone a una grave colpa se decide di tacere la verità, ad esempio quando la voce della Chiesa entra in risonanza con la mentalità del mondo e con il terreno accidentato della politica. Come ad esempio nella questione ormai sempre più critica del “riconoscimento giuridico” delle unioni omosessuali. L’antico adagio per cui “chi tace acconsente” trova qui una evidente conferma.

Caffarra, appunto, non è tra coloro che tacciono. Parla e parla chiaro, evitandoci la fatica di doverlo interpretare. Nel documento, si dicono essenzialmente sette cose.

Primo: il matrimonio è un’istituzione fondamentale per l’umanità, un «bene pubblico» di rilevanza giuridica, il che spiega perché lo Stato riservi agli sposi un trattamento di favore. Allo stesso tempo, il matrimonio attraversa una crisi che Caffarra definisce senza precedenti. La crisi non si colloca tanto sul piano delle debolezze personali – ci sono tanti divorzi e separazioni – quanto sul piano del bene del “giudizio circa il bene del matrimonio”. I nostri contemporanei non capiscono più quanto sia prezioso l’istituto matrimoniale.

Secondo: la prova di questa «disistima intellettuale» sta proprio nelle iniziative che gli Stati vogliono adottare per equiparare le unioni omosessuali all’unione legittima fra uomo e donna, compresa anche l’adozione di figli. Per Caffarra – e per la Chiesa – questa è una ferita al bene comune. Dunque – sottolineiamo noi – non si tratta solo di una deviazione dalla morale cattolica, ma di un vulnus che colpisce le fondamenta della convivenza civile, e che configura così l’attuazione di una vera e propria legge gravemente ingiusta. Cioè, a rigore, una “non-legge”. Lo Stato – spiega Caffarra – non può dichiararsi neutrale di fronte a due modi di vivere la sessualità «che non sono in realtà ugualmente rilevanti per il bene comune» perché «la società deve la sua sopravvivenza non alle unioni omosessuali, ma alla famiglia fondata sul matrimonio».

Terzo: in questa materia le mezze misure non possono salvare capra e cavoli: Caffarra sottolinea a scanso di equivoci che è inaccettabile «l’equiparazione in qualsiasi forma o grado della unione omosessuale al matrimonio». In questo modo viene chiuso ogni spiraglio alla «invenzione» di soluzioni pasticciate di compromesso, inventate per “tenere buoni” i cattolici e accontentare le lobby omosessuali.

Quarto: la materia è grave perché – scrive Caffarra - l’equiparazione fra matrimonio e legame omosessuale avrebbe «effetti devastanti nell’ordinamento giuridico e poi nell’ethos del nostro popolo».

Quinto: tutte le argomentazioni a favore di tale equiparazione sono razionalmente infondate, e la “nota dottrinale” si premura di smontarle una ad una, senza ricorrere a dogmatismi o ad argomenti fideistici, ma facendo appello al buon senso comune, che può essere condiviso da ogni persona di buona volontà, che non sia accecata da furore ideologico anticattolico e anti-matrimoniale.

Sesto: un cattolico impegnato in politica non può adottare simili scelte, pretendendo di restare nella Chiesa: «La presente Nota intende (…) illuminare quei credenti cattolici che hanno responsabilità pubbliche di ogni genere, perché non compiano scelte che pubblicamente smentirebbero la loro appartenenza alla Chiesa». Un politico cattolico ha il dovere «di una piena coerenza fra ciò che crede e ciò che pensa e propone a riguardo del bene comune». E, quindi, «è impossibile fare coabitare nella propria coscienza e la fede cattolica e il sostegno alla equiparazione fra unioni omosessuali e matrimonio: i due si contraddicono».

Settimo: se un cattolico propone e sostiene tale equiparazione nel nostro ordinamento giuridico compie «un atto pubblicamente e gravemente immorale». Ma «esiste anche la responsabilità di chi dà attuazione, nella varie forme, ad una tale legge. Se ci fosse bisogno, quod Deus avertat, al momento opportuno daremo le indicazioni necessarie. È impossibile ritenersi cattolici se in un modo o nell’altro si riconosce il diritto al matrimonio fra persone dello stesso sesso».
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