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Ultimo Aggiornamento: 01/07/2021 13:52
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23/03/2015 19:30
 
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Bagnasco mette al bando i gender: "Crea transumani senza identità"

I vescovi prestano la loro voce alla preoccupazione di moltissimi genitori: "Reagire è doveroso e possibile"

di Raffaello Binelli


"Non possiamo non dar voce alla preoccupazione di moltissimi genitori e non solo per la dilagante colonizzazione da parte della cosiddetta 'teoria del gender', sbaglio della mente umana, come ha detto Papa Francesco a Napoli". Lo afferma con forza il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, aprendo i lavori del Consiglio permanente della Conferenza episcopale italiana. Nel chiedere "un risveglio della coscienza individuale e collettiva", Bagnasco sottolinea che "il gender si nasconde dietro a valori veri come parità, equità, autonomia, lotta al bullismo e alla violenza, promozione, non discriminazione - avverte il cardinale Bagnasco - ma, in realtà, pone la scure alla radice stessa dell’umano, per edificare un transumano in cui l’uomo appare come un nomade privo di meta e a corto di identità".

Il presidente della Cei punta il dito contro chi intende "costruire delle persone fluide, che pretendano che ogni loro desiderio si trasformi in bisogno e quindi diventi diritto: individui fluidi per una società fluida e debole. Una manipolazione da laboratorio - denuncia Bagnasco - dove inventori e manipolatori fanno parte di quella governance mondiale che va oltre i governi eletti e che spesso rimanda ad organizzazioni non governative che, come tali, non esprimono nessuna volontà popolare". "Vogliamo questo per i nostri bambini, ragazzi, giovani? Genitori che ascoltate - prosegue il cardinale - volete questo per i vostri figli? Che a scuola, fin dall’infanzia, ascoltino e imparino queste cose, così come avviene in altri Paesi d’Europa?". Bagnasco sottolinea che "reagire è doveroso e possibile; basta essere vigili, senza lasciarsi intimidire da nessuno, perché il diritto di educare i figli nessuna autorità scolastica, legge o istituzione politica può pretendere di usurparlo. È necessario un risveglio della coscienza individuale e collettiva, della ragione dal sonno indotto a cui è stata via via costretta".

Per i vescovi italiani l’Europa deve fare un serio esame di coscienza sul fenomeno di occidentali che si arruolano negli squadroni della morte. "Non si può liquidare la questione - afferma il presidente della Cei - sul piano sociologico incolpando la mancanza di lavoro nei vari Paesi: ciò può essere una concausa. Il problema - afferma il porporato aprendo i lavori del Consiglio episcopale permanente - è innanzitutto di ordine culturale: non si può svuotare una cultura dei propri valori spirituali, morali, antropologici senza che si espongano i cittadini a suggestioni turpi". "In questo senso - conclude il cardinale di Genova - la cultura occidentale è minacciata da se stessa e favorisce il totalitarismo".

Un pensiero Bagnasco lo rivolge anche all’emergenza immigrazione: "La Chiesa, attraverso le Caritas e i centri Migrantes, le parrocchie e le associazioni specifiche, risponde con ogni mezzo, anche grazie all’otto per mille, e mira a un processo di vera integrazione nel rispetto delle comunità di accoglienza e dei cittadini".

Dopo le recenti parole de Papa Francesco a Napoli, non poteva mancare un accenno alla corruzione. In Italia "malcostume e malaffare sembrano diventati un regime talmente ramificato da essere intoccabile". Il presidente della Cei fa sua l’espressione forte pronunciata sabato dal pontefice: "La corruzione 'spuzza'. "Esempi ne emergono ogni giorno: come corpi in stato di corruzione, ammorbano l’aria che si respira, avvelenano la speranza e indeboliscono le forze morali". "Ciò è insopportabile!", tuona il cardinale di Genova.

"Un coacervo dove chi è più forte fa lezione e detta legge". Così appare l’Europa a Bagnasco, quanto alla sua capacità di rispondere "alla tragedia di uomini, donne, bambini, che attraversano il mare per raggiungere le nostre coste con la speranza di una vita migliore; fuggono dai loro Paesi per le ragioni che conosciamo: guerre, carestia, miseria, violenza. Cosa trovano?, si chiede il presidente della Cei. "Molto - rileva - ma certamente ancora insufficiente al fine di una vera integrazione e di una vita nuova. Le forze in campo non sono poche, ma la situazione richiede visione, energie e risorse, che attestino che l’Europa esiste come casa comune e non come un insieme di interessi individuali ancorché nazionali".

La prolusione del cardinale rende omaggio al nuovo Capo dello Stato, Sergio Mattarella: "Tutto il popolo - assicura il porporato - guarda alla sua persona con fiducia. I vescovi, fedeli alla loro missione di pastori e nel rispetto delle istituzioni democratiche, danno voce alla gente con l’unico intendimento di contribuire alla costruzione del bene comune, a partire dai più deboli e bisognosi", spiega il cardinale di Genova che infine promette a nome dell’intera conferenza episcopale: "Mentre gli esprimiamo la nostra lealtà di cittadini, gli rivolgiamo altresì l’assicurazione della nostra preghiera per il suo altissimo compito di riferimento unitario e di supremo garante della democrazia e delle tradizioni del Paese".
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25/05/2015 19:14
 
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Luzzatto e Prosperi non si arrendono: «la Sindone è un falso, capito? Un falso!»




SindoneGli unici liberi pensatori sono coloro che non sono affatto obbligati a credere ai miracoli, perché la loro fede non si basa su alcun prodigio, su alcuna apparizione, su alcuna guarigione miracolosa. Al contrario, chi non crede in Dio è obbligato a negare a prescindere ogni miracolo, non può concedere nulla ma ha bisogno di smentire sempre tutto altrimenti sarebbe costretto a cambiamenti esistenziali troppo sconvolgenti da accettare.


Per chi desidera un esempio concreto potrebbe leggere il divertente articolo contro la Sindone diSergio Luzzatto, laicissimo docente di Storia moderna a Torino. E’ talmente alto il fastidio verso il sacro telo che non c’è spazio per alcuna prudenza: «è un falso», si legge già alla prima riga. «Basta. La verità sulla Sindone esiste, non c’è più alcun dubbio né alcun mistero. La Sindone è una fabbricazione medievale, è un finto sudario del I secolo d.C. approntato da un qualche falsario in una data compresa fra la metà del Duecento e la metà del Trecento». Più odio invece trasparenell’articolo anti-sindone di qualche giorno dopo dello storico (in pensione) Adriano Prosperi, secondo cui la Sindone è «un falsoche trionfa col regno dei Savoia, li accompagna sul trono d’Italia fino al termine inglorioso del loro regno e si trasferisce poi nelle mani della curia di Torino e del Vaticano per la felicità di un popolo di feticisti».


Su cosa basano i due storici anticlericali la loro fiera sicurezza? Entrambi si appoggiano all’ultimo libro di Andrea Nicolotti, assegnista presso l’Università di Torino, anch’egli noto avversario dell’autenticità della Sindone. Eppure le tesi storiche avanzate da Nicolotti sono note da anni e decisamente scarse, alle quali oltretutto è stato più volte risposto in altrettanti libri. L’argomento principale di Nicolotti è l’opinione di un vescovo francese del 1389, Pierre d’Arcis-sur-Aube, secondo cui a Troyes ci sarebbe «una stoffa raffigurata con artifizio, su cui in modo abile è stata raffigurata l’immagine duplice di un uomo», che viene spacciata come quella che avvolte il corpo di Gesù Cristo dopo la crocifissione. Secondo il vescovo francese «quello in realtà non poteva essere il sudario del Signore, dal momento che il Santo Vangelo non fa alcuna menzione di un’impressione di tal fatta, mentre invece, se fosse vero, non è verosimile che sia stato taciuto od omesso dai santi evangelisti, né che sia stato nascosto od occultato fino a quel tempo». Tale vescovo avrebbe anche riferito che in passato un artista avrebbe ammesso di esserne stato l’autore, ovviamente rigorosamente anonimo e ovviamente senza spiegare come avrebbe fatto.


Tutto qui, Nicolotti crede all’opinione di un vescovo scettico del 1300. Eppure, è fin troppo facile ricordare che nel 1300 nessuno poteva sapere che l’immagine sindonica avrebbe manifestato tutta la sua incredibilità soltanto diversi secoli dopo grazie all’avvento della scienza moderna: l’immagine si comporta infatti come un negativo fotografico e contiene informazioni tridimensionali del corpo, caratteristiche eccezionali ma invisibili a occhio nudo. Se il vescovo francese avesse avuto modo di saperlo certamente non solo non avrebbe capito nulla -dato che non esisteva ancora né il concetto di negativo fotografico né la possibilità di creare immagini su stoffe con caratteristiche tridimensionali- ma sarebbe stato decisamente più cauto nelle sue affermazioni. Come ha spiegato mons. Giuseppe Ghiberti, presidente onorario della Commissione diocesana per la Sindone, proprio in risposta a Luzzatto,«una cosa però è ormai acquisita: l’immagine non è frutto di un intervento pittorico. Su questo punto la discussione dovrebbe dirsi chiusa e la letteratura è ormai abbondante. Le conseguenze sono importanti e orientative: non si potranno prendere in considerazione ipotesi che si muovano nel contesto di una origine pittorica. È la ragione che sottrae i presupposti alla diatriba sorta nel secolo XIV tra i canonici di Lirey, che custodivano ed esponevano la Sindone, e il vescovo di quella diocesi, Pierre d’Arcis. Il fatto che tale vescovo, per comprovare l’origine dolosa dell’immagine sul telo, affermasse che un suo predecessore ne avesse individuato l’autore, senza che peraltro venga fornito alcun dato per identificarlo, fa solo pensare o che si trattasse di un’altra realtà “sindonica” o che l’inganno stesse dalla parte degli informatori del vescovo. Su questo punto è possibile affermare che la ricerca scientifica ha detto una parola definitiva». E’ la scienza che ha l’ultima parola in questo caso, non la storia.


Anche l’obiezione che le Scritture non parlano dell’immagine sindonica è stata spiegata dagli scienziati moderni: i ricercatori dell’ENEA di Frascati hanno realizzato un’immagine similsindonica irraggiando un telo di lino con luce UV e VUV, l’immagine apparsa è simile a quella sacro lino anche se ancora non è possibile riprodurne tutte le incredibili proprietà (non riescono i laboratori di fisica oggi, figuriamoci gli artisti medievali). In ogni caso è stato rilevato che la luce UV e VUV è in grado di generare una colorazione invisibile, che appare soltanto dopo invecchiamento del tessuto«Il processo di invecchiamento può provocare una colorazione dei fili nella sola area irraggiata dalla luce laser anche quando non appare nessuna colorazione subito dopo l’irraggiamento. In altre parole, è possibile ottenere una colorazione latente, che si manifesta uno o più anni dopo l’irraggiamento»ci ha spiegato il fisicoPaolo Di Lazzaro. Se dunque si assume che la Resurrezione di Cristo abbia prodotto quell’esplosione di energia tale da irraggiare le fibre del tessuto, l’immagine sarebbe apparsa soltanto tempo dopo grazie al processo di invecchiamento del tessuto (andando direttamente a sfidare la cultura scientista del XX e XXI secolo). Dunque per questo, probabilmente (risposte certe non ce ne sono, a parte quelle degli scientisti), chi entrò nel sepolcro vuoto non si accorse di nulla.


Il secondo argomento, prevedibile, è la radiodatazione al carbonio del 1988 che stabilì l’origine medievale della Sindone. Peccato che più nessuno crede all’autenticità di questo test, e non soltanto perché il campione prelevato fu quello sull’angolo maggiormente contaminato. A prendere le distanze dal responso sono stati Harry Gove, il coordinatore degli scienziati per la datazione della Sindone (che ha cambiato idea mostrando in uno studio scientifico seri dubbi), il chimico Raymond N. Rogers, tra i maggiori esperti a livello internazionale in analisi termica, il responsabile di uno dei laboratori in cui è stata realizzata la datazione, Christopher Ramsey di Oxford, che ha affermato in un comunicato«Ci sono un sacco di altre prove che suggeriscono a molti che la Sindone è più vecchia della data rilevata al radiocarbonio». Andrebbe citata anche la relazione della Società Italiana di Statistica, con la quale sono stati rilevati errori di calcolo e la fraudolenta modificazione di alcuni dati per arrivare al livello di attendibilità dall’1 al 5%, ovvero la soglia minima per poter presentare l’esame scientificamente. Un recente documentarioLa notte della Sindone, ha anche rivelato uno strano giro di denaro e numerose anomalie dietro l’operazione del 1988.


Queste sarebbero le due prove “definitive” che galvanizzano Prosperi ad insultare tutti i pellegrini che si recano a Torino (Papa Francesco compreso) e basterebbero per Luzzatto a smentire la «fucina di assurdità “autenticiste” non si sa se più esilaranti o più inquietanti». Su Avvenire giustamente hanno commentato«Sergio Luzzatto, “lanciato” come sempre superbamente cellofanato nelle sue certezze di bronzo. Ma nelle 4 colonne seguenti, 200 righe e circa 8.000 battute, a giustificare la tesi del libro e la sua fede di recensore non trovi alcunché che giustifichi la tesi del falso. «Ma perché “falso”?» Perché è un falso!».


Come detto inizialmente comprendiamo il bisogno di Prosperi e Luzzatto di affrettarsi in questi giudizi perentori, non potrebbero fare altrimenti. Lo scettico di professione è costretto dal dogma a negare ad oltranza, senza accorgersi di avvallare tesi imbarazzanti: bisognerebbe infatti ricordare ai tre storici che se davvero credono in quello che affermano allora dovrebbero coerentemente iniziare ad insegnare nei loro corsi di storia che i principi della fotografia non sono nati nel 1800 ma ben cinquecento anni prima, inventati dal falsario della Sindone. Un artista anonimo, sparito nel nulla, talmente geniale che avrebbe inventato la fotografia (conoscendo la differenza tra immagine positiva e negativa), appunto, il microscopio (indispensabile per realizzare le micro-caratteristiche sindoniche), la possibilità di creare immagini tridimensionali su un tessuto invisibili a occhio nudoe irriproducibili con la moderna tecnologia e tante altre capacità e conoscenze impossibili per l’epoca storica medioevale (ad esempio la differenza tra sangue venoso e sangue arterioso ecc.). Tenendo tutto nascosto, ovviamente, e utilizzando il suo incredibile genio per produrre soltanto la Sindone (non esiste infatti alcun reperto neanche lontanamente simile).



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13/06/2015 18:45
 
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Da Cei e Caritas 2,2 milioni
per aiutare i profughi cristiani iracheni

Alcuni rifugiati cristiani

ALCUNI RIFUGIATI CRISTIANI

Tra i progetti finanziati pozzi, scuole, cibo. Galantino: non dimentico la frase detta da quelle famiglie: “Siamo perseguitati, fate in modo che non siamo abbandonati”

REDAZIONE
ROMA

In seguito alla visita in Italia e alle richieste di aiuto di monsignor Bashar Warda, arcivescovo caldeo di Erbil, per le 13.000 famiglie di profughi che nella sua diocesi sono assistite da giugno 2014, la presidenza della Cei ha deciso di finanziare con uno stanziamento di un milione 237 mila euro (attinti dai fondi dell'8xmille) i tre seguenti progetti: fornitura di alloggi per le famiglie sfollate dalla pianura di Ninive (375 mila euro); quattro pozzi a Erbil per i rifugiati di Mosul e Ninive (214 mila euro); costruzione di una scuola per i rifugiati sempre a Erbil (652 mila euro).

 

Inoltre Caritas Italiana, organismo che fa capo alla stessa Cei, con un impegno di 975 mila euro, provvederà ad assicurare il cibo per il mese di agosto alle famiglie sfollate a Erbil.

  «È l'impegno che come Chiesa italiana abbiamo prontamente fatto nostro, traducendolo sia in iniziative di preghiera che di solidarietà», ha dichiarato il segretario Generale della Cei, monsignor Nunzio Galantino confidando che c'è una frase che, da quando qualche mese fa in Iraq le famiglie dei profughi me l'hanno detta, non ho potuto più dimenticare: `siamo perseguitati, fate in modo che non siamo abbandonati´


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24/08/2015 19:10
 
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Da una parte, le religioni, che possono davvero dare un contributo alla pace e al bene comune. Dall’altra, la diplomazia, che ne potrebbe essere uno strumento, se solo le organizzazioni internazionali fossero in grado di operare in maniera concreta. Sono due diplomatici d’alta scuola a intervenire al Meeting di Rimini: il Cardinal Jean Louis Tauran, presidente del Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso, e l’Arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede all’Ufficio ONU di Ginevra. Mettono sul piatto due temi complementari, e fondamentali nel dibattito di oggi.

Soprattutto perché in Medio Oriente lo Stato Islamico continua la sua opera di sistematica distruzione senza che le autorità internazionali riescano a fare niente per fermarlo, in una indecisione dovuta in parte anche alle lungaggini burocratiche per l’intervento internazionale. E intanto, gli episodi si moltiplicano, e la distruzione dell’antico monastero cattolico di Mar Elian è solo l’ultimo degli episodi.

Era stato il dicastero guidato dal Cardinal Tauran, per primo, a lanciare un appello a tutti i leader islamici per condannare il Califfato e i suoi orrori, ad agosto del 2014. “Se non lo facessero, non avrebbe senso il dialogo,” disse il Cardinal Tauran. Che in questo intervento al Meeting parte da Nietsche, dalla morte di Dio, cui fa seguito lo scientismo, che “rivela all’uomo che la scienza ha rivelato all’uomo alla verità”.

Eppure, oggi – osserva – nel mondo c’è un ritorno “di una certa religiosità,” più che del sacro, perché “si scarta ogni idea di rivelazione, si condividono esperienze spirituali senza preoccuparsi dei dogmi.”

“Dopo la fine dell’unananimità culturale, lo sviluppo del pluralismo, la messa in quarantena della religione, la religione è diventata nel giro di pochi anni un fattore fondamentale nella vita politica economica e culturale. Ma questa nuova società, pancretista e sincretista, tradisce in realtà un bisogno di trascendenza,” spiega il Cardinale.

L’analisi della situazione è precisa: il paesaggio religioso dell’Occidente è mutato, a causa di quattro fattori: la proliferazione delle sette; il sorgere di nuove comunità nate dal movimento carismatico cattolico; il successo delle religioni dell’Oriente, e la presenza duratura dei musulmani in Europa.

Il problema è che – spiega il Cardinal Tauran – “le religioni sono spesso percepite come un pericolo… derive settarie, fanatismo, sono associati alla religione, specialmente a causa di atti terroristici ispirati ad una forma estremista della religione.” Eppure “non sono le religioni ad essere violente, ma i loro seguaci, onde la necessità di insegnare il contenuto delle loro religioni, coniugando fede e ragione. Non esistono oggi conflitti religiosi.”

Spiega il cardinal Tauran che le religioni sono usate come strumento in conflitti che definiamo identitari, si creano riferimenti etnici utilizzando anche il fattore religioso, dall’ “ethos si passa all’ethnos,” fa gli esempi della Grande Serbia, o della Nigeria, ma – aggiunge – in questi casi “non è in discussione la fede, non si presentano come guerre di religione, ma la religione serve piuttosto per definire delle posizioni.”

Afferma il Cardinal Tauran: “La religione non può essere leva di potere non si può sostituire ai governi. Considerando ciò che ho appena esposto si impone un dialogo tra le autorità politiche/religiose per il bene comune. Una religione si pratica sempre in una comunità. Per il loro numero, la visibilità dei loro riti e istituzioni, i credenti sono visibili e reperibili. Le autorità civili sono indotte a collaborare con i rappresentanti religiosi senza contrapporsi con loro. Lo Stato laico non riconosce alcuna confessione per conoscerle tutte. Quando le istituzioni hanno relazioni di fiducia con le religioni, possono attingere dal patrimonio delle religioni.”

Anche perché “tutte le religioni difendono la vita e la dignità umana, sono consapevoli dell’importanza della famiglia, promuovono fraternità, aiuto reciproco. Già svolgono un grande ruolo in termini di carità e cultura, già esiste una cooperazione possibile.”

E allora i credenti devono avere la possibilità di “vivere con libertà, con dignità e nella sicurezza. I credenti esistono, appartengono a questo mondo, sono cittadini a pieno titolo, offrono a tutti quel supplemento di anima di cui ogni società ha bisogno.”

Il Cardinal Tauran rivendica il ruolo delle religioni. “Noi credenti siamo cittadini di questo mondo, non siamo richiedenti asilo. Le religioni e i loro seguaci devono essere sul terreno, benevoli e solidali con tutti.”

E di certo la Santa Sede è sul terreno, lavora anche ad alti livelli diplomatici. L’Osservatore Permanente a Ginevra ha fatto firmare una dichiarazione al Consiglio dei Diritti Umani per “Sostenere i diritti umani dei cristiani e di altre comunità, in particolar modo nel Medio Oriente.” Era la prima volta che la persecuzione dei cristiani era riconosciuta formalmente, e da così tanti Stati, in una sessione ONU. 

Al Meeting, l’Osservatore Silvano Maria Tomasi ha parlato appunto di come le organizzazioni internazionali possono rispondere alle crisi. D’altronde, anche il Cardinal Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana, ha messo le Nazioni Unite sul Banco d’accusa per la situazione dei migranti.

Per quanto riguarda la situazione dei migranti, l’arcivescovo Tomasi sottolinea che “siamo di fronte ad una crisi umanitaria che ogni anno coinvolge nel mondo quasi 60 milioni di sfollati e 240 milioni di migranti internazionali. Parliamo di una persona su sette al mondo che è costretta ad abbandonare tutto spinta dalla disperazione e con la consapevolezza che suo può essere l'ultimo viaggio. Di fronte ad uno scenario che si sta profilando di perenne emergenza gli organismi internazionali si dimostrano di fatto incapaci a dare un nuovo indirizzo politico nella gestione del fenomeno.” E questo succeed perché “le Nazioni Unite e le organizzazioni attraverso cui operano sono condizionate dagli Stati membri e quindi limitate nella loro azione. Le strutture internazionali, così come le normative a livello internazionale, esistono ormai da lungo tempo, quello che manca è la volontà politica, una mancanza di quella globalizzazione della solidarietà di cui parla Papa Francesco.”

Per gli immigrati in Italia si parla molto del caso Libia, ma l’arcivescovo Tomasi allarga lo sguardo, sottolinea che “il problema degli Stati disintegrati, ‘failed States’, non riguarda solo la Libia, ma anche la Somalia, la dittatura Eritrea, la Siria ed altri Paesi. Nel caos e nella violenza che ne segue la popolazione cerca scampo in tutti i modi possibili. È il diritto alla sopravvivenza. L'intervento armato in questi casi rischia di complicare ulteriormente e la via del dialogo rimane il metodo preferibile. In casi estremi, quando tutte le altre opzioni sono esaurite, scatta il dovere di proteggere che la Comunità internazionale si deve assumere secondo le regole e gli organismi che si è data. Prevenire la disintegrazione di Stati potrebbe essere un servizio efficace delle Nazioni Unite.”

E ritorna comunque il problema della riforma delle Nazioni Unite. Una riforma per cui la Santa Sede si batte da sempre, e che è stata affrontata anche da Benedetto XVI nella sua enciclica “Caritas in Veritate.” Chissà se Papa Francesco ne parlerà il prossimo 25 settembre alle Nazioni Unite. 


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29/08/2015 17:48
 
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Dalla Santa Sede nessun avallo alla teoria "gender"



Un uso strumentale di una lettera privata con la quale si intendeva ringraziare per l’invio di alcuni libri e benedire chi aveva usato questa gentilezza al Papa. È il succo del piccolo caso mediatico sorto attorno ad alcune dichiarazioni di Francesca Pardi, fondatrice con la compagna Maria Silvia Fiengo dell’editrice per bambini «Lo Stampatello» e autrice di libri come 
Piccolo uovo, che nella forma di una bella fiaba intende convincere i più piccoli della possibilità di modelli familiari diversi rispetto a quello centrato su una mamma e un papà del quale hanno esperienza sin dalla nascita.

Il libro, al pari di altri con modalità narrativa, pubblico di riferimento e obiettivo identici, era stato inviato dalla Pardi al Papa insieme a una lettera con la quale intendeva invitare Francesco a verificare che nelle sue pubblicazioni – al centro di argomentate proteste da parte di genitori in varie città dove sono stati proposti, ultima in ordine di tempo Venezia – non si rinverrebbe, a suo parere, «neanche l’ombra di quella teoria del gender di cui questi libri sarebbero lo strumento principale: dov’è che diciamo ai bambini che possono scegliere il proprio genere? Dove parliamo loro di sesso?». L’autrice-editrice aveva annunciato che dalla Segreteria di Stato le era pervenuta una lettera in cui il Papa, secondo la sua interpretazione, «mi invita ad andare avanti e mi impartisce la benedizione». 

In realtà si tratta di una lettera come molte altre inviate dagli uffici competenti della Segreteria di Stato ringraziando per l’invio di libri e omaggi che a migliaia giungono ogni giorno in Vaticano per il Papa da ogni parte del mondo. In questo caso la lettera, a firma di monsignor Peter B. Wells e datata 9 luglio, spiegava che «Sua Santità, grato per il gesto e per i sentimenti che lo hanno suggerito, auspica una sempre più proficua attività al servizio delle giovani generazioni e della diffusione degli autentici valori umani e cristiani e, mentre chiede di pregare a sostegno del suo universale ministero, imparte a Lei e a Maria Silvia Fiengo, la benedizione apostolica». 

È dunque una risposta di routine a una lettera «dai toni educati e rispettosi», come spiega il vice-direttore della Sala Stampa della Santa Sede padre Ciro Benedettini, e che non costituisce un’approvazione di libri che hanno per motivo conduttore l’equiparazione di vari tipi di famiglia, etero e omosessuali.

La lettera vaticana, aggiunge Benedettini, «con uno stile semplice e pastorale» voleva essere «una risposta privata e quindi non destinata alla pubblicazione (cosa che purtroppo è avvenuta). In nessun modo la lettera della Segreteria di Stato – dice ancora padre Benedettini – intendeva avallare comportamenti e insegnamenti non consoni al Vangelo». «La benedizione del Papa nella chiusa della lettera – precisa il vicedirettore della Sala Stampa – è alla persona e non a eventuali insegnamenti non in linea con la dottrina della Chiesa sulla teoria del gender, che non è minimamente cambiata, come più volte ha ribadito anche recentemente il Santo Padre. Quindi è del tutto fuori luogo una strumentalizzazione del contenuto della lettera».

Il chiarimento di padre Benedettini mette in risalto quella che Fabrizio Azzolini, presidente dell’Age (Associazione italiana genitori)definisce senza mezzi termini «una vergognosa la strumentalizzazione del contenuto della lettera del Papa per fini ideologici o per farsi pubblicità». Occorre «accogliere tutti – aggiunge Azzolini – ma i genitori sono costituzionalmente i primi educatori dei figli».
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30/08/2015 07:53
 
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«In Italia gli atei sono una minoranza, ma il 70% della popolazione è lontana dalla Chiesa»






Chiara Sirianni






Intervista a Massimo Introvigne (Cesnur): «Il 63 per cento della popolazione italiana interpreta la religione come un retaggio della tradizione. La Chiesa ha delle responsabilità ma il processo di secolarizzazione coinvolge tutte le religioni».



 


 

 


Quanti sono i cattolici in Italia? Quanti si dichiarano praticanti? Quali sono le cause che hanno fatto allontanare a poco a poco tanti italiani dalla religione, e in particolare dalla Chiesa Cattolica? Sono alcuni degli interrogativi a cui il sociologo Massimo Introvigne, fondatore del Cesnur (Centro Studi sulle Nuove Religioni) insieme a PierLuigi Zoccatelli, ha cercato di dare una risposta nella ricerca Gentili senza cortile. ‘Atei forti’ e ‘atei deboli’ nella Sicilia centrale. La Sicilia è stata scelta in quanto zona esemplificativa del trend nazionale. Spiega Introvigne: «Sono vent’anni che in Sicilia si eseguono indagini più accurate che in altre regioni, per quanto ci riguarda è il quarto volume che pubblichiamo sullo stesso territorio, ma c’è stato un fiorire di indagini che ha coinvolto, negli anni, numerose equipe. Gela è una città storicamente socialista e anti-clericale, mentre Enna è tradizionalmente cattolica. Poi ci sono situazioni mediane e i centri agricoli».


Perché “Gentili senza cortile”?
È un riferimento a un episodio evangelico, in cui Gesù caccia i mercanti dal tempio, o meglio dalla zona -detta appunto “cortile dei gentili” – che doveva servire ai non ebrei curiosi di assistere alle attività del tempo. Papa Benedetto XVI ha ripreso il concetto recentemente, auspicando un’apertura da parte della Chiesa a una sorta di cortile dei gentili in cui gli uomini possano in qualche modo agganciarsi a Dio, aprendo un dialogo con chi sente la religione come una cosa estranea e Dio come uno sconosciuto. Noi invece abbiamo dedicato il nostro studio non tanto agli intellettuali incuriositi dal cristianesimo, ma alle masse che sono senza cortile. Vale a dire, coloro che si dichiarano completamente disinteressati alla Chiesa e al cristianesimo.

Quali sono i dati più significativi emersi dall’indagine?
I numeri sono coerenti con altre indagini svolte a livello nazionale: gli atei veri e propri, in Italia, non arrivano all’8 per cento. Mentre più del 70 per cento della popolazione frequenta la messa soltanto in occasione di matrimoni e funerali e può essere quindi qualificata come “lontana” dalla Chiesa.

E per quanto riguarda gli atei?
Solo il 2,4% possono essere definiti “atei forti”, cioè in grado di motivare il loro ateismo con ragioni ideologiche. Si tratta di una fascia anziana, e meno istruita, dove è ancora forte un retaggio comunista. Il rimanente 5% di “atei deboli” considerano semplicemente le religioni come irrilevanti e non influenti nel loro universo regolato dalla carriera, dal denaro e dalle relazioni affettive. Si tratta di persone più colte e di giovane età. Se si proietta il numero degli atei sul totale della popolazione italiana (escludendo in bambini) si tratta di circa tre milioni di persone. Un numero pressoché invariato da dieci anni a questa parte.

Qual è la percentuale delle persone che si dichiarano lontane dalle forme istituzionali della religione?
Sono il 63 per cento le persone che professano un cattolicesimo solo culturale. Interpretano la religione come un retaggio della tradizione, piuttosto che come una risorsa spirituale. Frequentano la Messa solo in occasione di battesimi, matrimoni e funerali.

Quali sono le ragioni di questo allontanamento?
Abbiamo riscontrato sia motivazioni “perpetue”, che ricorrono da quando esiste la sociologia, come la vita frenetica, che non lascerebbe tempo per pensare a Dio e alla religione, o la percezione di comandamenti di carattere morale come limitanti della libertà individuale. Alcune motivazioni sono del tutto nuove e, con diversi toni di aggressività, fanno riferimento allo scandalo dei preti pedofili e alle recenti polemiche sulle ricchezze e sui privilegi fiscali della Chiesa. Ma sono due le concause che hanno cambiato la mentalità delle persone: il boom industriale, perché il benessere nella storia genera materialismo e individualismo, e la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta.

Che ruolo gioca la Chiesa in questa presa di distanza?
Certamente ci sono delle responsabilità. Il caso dei preti pedofili, per esempio, inizialmente è stato gestito male dal punto di vista della comunicazione. In generale si è privilegiato il dialogo con fasce intellettuali che le indagini notano essere molto poco rappresentative da un punto di vista statistico, e il rapporto con le grandi masse ne è uscito svilito. Come cattolici non dobbiamo però nemmeno flagellarci, perché questo processo di macro-secolarizzazione lo si riscontra in tutte le grandi religioni. E non si può certo ricondurre agli scandali della Chiesa cattolica. Aggiungo un elemento: se facciamo uno studio comparato delle religioni, scopriamo che le Chiese che si sforzano di essere liberali, come gli anglicani di Canterbury o i luterani tedeschi (che hanno dimostrato apertura rispetto al tema dei matrimoni tra omosessuali, per esempio) ricevono forse più applausi dalla stampa, ma sono in completo disfacimento.Perché chi è ancora interessato alla religione, la vuole old-style.


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19/09/2015 09:44
 
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Scuola e gender, la chiarezza necessaria 



di Massimo Introvigne)

Il ministro dell'Istruzione Stefania Giannini ha inviato una circolare alle scuole italiane per precisare che la «teoria del gender» non rientra nei programmi scolastici ai sensi della legge sulla «buona scuola», e in un'intervista ha parlato di «truffa culturale» perpetrata da chi insiste che la teoria, in quei programmi, c'è. 
Ha ragione? Ha torto?

Si deve dare atto al ministro Giannini di non essersi mai appassionata, a differenza di altri politici italiani, all'uso delle scuole come «campi di rieducazione» alla teoria del gender: l'espressione è del cardinale Bagnasco, presidente dei vescovi italiani, ma è stata ripresa e fatta propria da Papa Francesco in un discorso dell'11 aprile 2015. Il ministro, inoltre, si era impegnata di fronte al Parlamento, quando la «buona scuola» fu approvata, a intervenire presso i presidi precisando che la legge non doveva essere usata per introdurre nelle scuole propaganda a favore della teoria del gender. Con la circolare rispetta questo impegno, e fa bene. 
Parlando di «truffa culturale» c'è però il rischio che la Giannini sia arruolata, forse contro le sue intenzioni, nel partito - in cui militano alcuni suoi collaboratori - di chi sostiene che la teoria del gender «non esiste» ed è una «invenzione del Vaticano» o di Papa Francesco, che l'ha denunciata una decina di volte definendola durante la sua visita a Napoli un «errore della mente umana». No, la teoria del gender esiste, è nata negli Stati Uniti proprio con questo nome, ed è la teoria che distingue il «genere», maschile o femminile, che ciascuno potrebbe liberamente scegliersi, dal «sesso» biologico, determinato dall'anatomia per cui nasciamo maschio o femmina con certe caratteristiche evidenti. Certamente ci sono versioni diverse della teoria del gender, da quelle pionieristiche di Margaret Sanger alla versione classica di Simone de Beauvoir e a quella più radicale di Judith Butler, che assorbe totalmente il sesso nel genere. Ma il nucleo è sempre lì, ed è bene espresso in un documento, che lo promuove, di un organismo governativo italiano, l'Ufficio Nazionale Antidiscriminazione Razziale (UNAR), nelle sue linee guida per i giornalisti intese a evitare la discriminazione degli omosessuali.

Qui si parla del «senso intimo, profondo e soggettivo di appartenenza alle categorie sociali e culturali di uomo e donna, ovvero ciò che permette a un individuo di dire: “Io sono un uomo, io sono una donna”, indipendentemente dal sesso anatomico di nascita». La possibilità di definirsi uomo o donna indipendentemente dalle caratteristiche anatomiche è appunto il cuore della teoria del gender. È la teoria è accolta anche da sentenze italiane che ammettono la possibilità di cambiare sesso all'anagrafe sulla base di un semplice «sentirsi» uomo o donna, anche qui prescindendo totalmente dall'anatomia.

Che c'entra il gender con la «buona scuola»? Che l'allarme non fosse totalmente infondato lo ha ammesso la stessa Giannini in Parlamento, promettendo l'intervento che ha ora messo in atto, e la Camera, su iniziativa dei deputati Roccella e Pagano, ha approvato insieme con la «buona scuola» un ordine del giorno che ha impegnato il governo, nell'applicazione della legge, «ad escludere ogni interpretazione che apra alle cosiddette “teorie del gender”». 
Dov'era il problema? Nella norma della legge sulla «buona scuola», che chiede di promuovere nelle scuole iniziative per studenti, docenti e genitori «sulle tematiche indicate dall'articolo 5, comma 2, del decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre 2013, n.119».

Queste «tematiche» sono indicate dalla legge 119, quella sul cosiddetto femminicidio, con riferimento, tra l'altro, all'esigenza di «superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazzi e ragazze, bambine e bambini nel rispetto dell’identità di genere». Certo, le leggi sono sempre interpretabili, ma non è poi così difficile leggere in questa norma un invito a superare lo «stereotipo» secondo cui si è uomini o donne in relazione a un dato anatomico insuperabile: e questo «superamento» è appunto l'essenza della teoria del gender.

Il problema non è nato con la «buona scuola». Se anche la legge sulla «buona scuola» fosse abrogata rimarrebbero la legge sul femminicidio, i piani anti-discriminazione, le attività dell'UNAR: tutte cose in gran parte antecedenti al governo Renzi. È contro una dinamica quotidiana di penetrazione del gender nelle scuole che tanti genitori protestano e un milione di persone sono andate in piazza il 20 giugno a Roma. Non si tratta di politicizzare lo scontro o di prendersela con il ministro Giannini, che si è impegnata a cercare di frenare la deriva. Ma anche il ministro e il Ministero farebbero bene a prendere atto che il problema esiste, lasciando ai propagandisti più ideologizzati tesi bizzarre come quella, davvero esotica, secondo cui a non esistere sarebbe la stessa teoria del gender.

 
foto di Voce di uno che grida nel deserto: preparate la via del Signore.

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26/10/2015 11:41
 
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IL TESTO INTEGRALE E CONCLUSIVO DEL SINODO SULLA FAMIGLIA

- Relazione Finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco (24 ottobre 2015)
Pubblichiamo di seguito il testo della Relazione finale del Sinodo dei Vescovi al Santo Padre Francesco, al termine della XIV Assemblea generale ordinaria (4-25 ottobre 2015) sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.
INTRODUZIONE
INDICE
I PARTE
LA CHIESA IN ASCOLTO DELLA FAMIGLIA
Capitolo I
La famiglia e il contesto antropologico-culturale
Il contesto socio-culturale
Il contesto religioso
Il cambiamento antropologico Le contraddizioni culturali Conflitti e tensioni
Fragilità e forza della famiglia
Capitolo II
La famiglia e il contesto socio-economico
La famiglia insostituibile risorsa della società Politiche in favore della famiglia
Solitudine e precarietà
Economia ed equità
Povertà ed esclusione Ecologia e famiglia
Capitolo III
Famiglia, inclusione e società
BOLLETTINO N. 0816 - 24.10.2015 2
La terza età
La vedovanza
L’ultima stagione della vita e il lutto in famiglia Persone con bisogni speciali
Le persone non sposate
Migranti, profughi, perseguitati
Alcune sfide peculiari
I bambini
La donna
L’uomo
I giovani
Capitolo IV
Famiglia, affettività e vita
La rilevanza della vita affettiva La formazione al dono di sé Fragilità e immaturità
Tecnica e procreazione umana La sfida per la pastorale
II PARTE
LA FAMIGLIA NEL PIANO DI DIO
Capitolo I
La famiglia nella storia della salvezza
La pedagogia divina
L’icona della Trinità nella famiglia La famiglia nella Sacra Scrittura Gesù e la famiglia
Capitolo II
La famiglia nel Magistero della Chiesa
L’insegnamento del Concilio Vaticano II Paolo VI
Giovanni Paolo II
Benedetto XVI
Francesco
Capitolo III
La famiglia nella dottrina cristiana
Matrimonio nell’ordine della creazione e pienezza sacramentale Indissolubilità e fecondità dell’unione sponsale
I beni della famiglia
Verità e bellezza della famiglia
Capitolo IV
Verso la pienezza ecclesiale della famiglia
L’intimo legame tra Chiesa e famiglia
La grazia della conversione e del compimento La misericordia nel cuore della rivelazione
Capitolo I
La formazione della famiglia
III PARTE
LA MISSIONE DELLA FAMIGLIA
BOLLETTINO N. 0816 - 24.10.2015 3
La preparazione al matrimonio
La celebrazione nuziale
I primi anni della vita familiare
La formazione dei presbiteri e di altri operatori pastorali
Capitolo II
Famiglia, generatività, educazione
La trasmissione della vita
La responsabilità generativa
Il valore della vita in tutte le sue fasi Adozione e affido
L’educazione dei figli
Capitolo III
Famiglia e accompagnamento pastorale
Situazioni complesse Accompagnamento in diverse situazioni Discernimento e integrazione
Capitolo IV
Famiglia ed evangelizzazione
La spiritualità familiare
La famiglia soggetto della pastorale
Il rapporto con le culture e con le istituzioni L’apertura alla missione
CONCLUSIONE
Preghiera alla Santa Famiglia SIGLE
AA Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Apostolicam Actuositatem (18 novembre 1965) AG Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Ad Gentes (7 dicembre 1965)
CCC Catechismo della Chiesa Cattolica (15 agosto 1997)
CiV Benedetto XVI, Lettera Enciclica Caritas in Veritate (29 giugno 2009)
DC Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Istruzione Dignitas Connubii (25 gennaio 2005) DCE Benedetto XVI, Lettera Enciclica Deus Caritas Est (25 dicembre 2005)
DeV San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Dominum et Vivificantem (18 maggio 1986)
GS Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (7 dicembre 1965) EdE San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003)
EG Francesco, Esortazione Apostolica Evangelii Gaudium (24 novembre 2013)
EN Beato Paolo VI, Esortazione Apostolica Evangelii Nuntiandi (8 dicembre 1975)
EV San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Evangelium Vitae (25 marzo 1995)
FC San Giovanni Paolo II, Esortazione Apostolica Familiaris Consortio (22 novembre 1981) IL III Assemblea Generale Straordinaria del Sinodo dei Vescovi, Le sfide pastorali sulla
famiglia nel contesto dell’evangelizzazione, Instrumentum Laboris (24 giugno 2014)
LF Francesco, Lettera Enciclica Lumen Fidei (29 giugno 2013)
LG Concilio Ecumenico Vaticano II, Costituzione Dogmatica Lumen Gentium (21 novembre1964)
LS Francesco, Enciclica Laudato Si' (24 maggio 2015)
MV Francesco, Bolla Misericordiae Vultus (11 aprile 2015)
NA Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Nostra Aetate (28 ottobre 1965)
NMI San Giovanni Paolo II, Lettera Apostolica Novo Millennio Ineunte (6 gennaio 2001) RM San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Redemptoris Missio (7 dicembre 1990)
VS San Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Veritatis Splendor (6 agosto 1993)
INTRODUZIONE
BOLLETTINO N. 0816 - 24.10.2015 4
1. Noi Padri, riuniti in Sinodo intorno a Papa Francesco, Lo ringraziamo per averci convocato a riflettere con Lui, e sotto la Sua guida, sulla vocazione e la missione della famiglia oggi. A Lui offriamo il frutto del nostro lavoro con umiltà, nella consapevolezza dei limiti che esso presenta. Possiamo tuttavia affermare che abbiamo costantemente tenuto presenti le famiglie del mondo, con le loro gioie e speranze, con le loro tristezze e angosce. I discepoli di Cristo sanno che «nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore. La loro comunità, infatti, è composta di uomini i quali, riuniti insieme nel Cristo, sono guidati dallo Spirito Santo nel loro pellegrinaggio verso il Regno del Padre, ed hanno ricevuto un messaggio di salvezza da proporre a tutti. Perciò la comunità dei cristiani si sente realmente e intimamente solidale con il genere umano e con la sua storia» (GS, 1). Ringraziamo il Signore per la generosa fedeltà con cui tante famiglie cristiane rispondono alla loro vocazione e missione, anche dinanzi a ostacoli, incomprensioni e sofferenze. A queste famiglie va l’incoraggiamento di tutta la Chiesa che unita al suo Signore e sorretta dall’azione dello Spirito, sa di avere una parola di verità e di speranza da rivolgere a tutti gli uomini. Lo ha ricordato Papa Francesco nella celebrazione con cui si è aperta l’ultima tappa di questo cammino sinodale dedicato alla famiglia: «Dio non ha creato l’essere umano per vivere in tristezza o per stare solo, ma per la felicità, per condividere il suo cammino con un’altra persona che gli sia complementare [...]. È lo stesso disegno che Gesù [...] riassume con queste parole: “Dall’inizio della creazione [Dio] li fece maschio e femmina; per questo l’uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie e i due diventeranno una carne sola. Così non sono più due, ma una sola carne” (Mc 10,6-8; cf. Gen 1,27; 2,24)». Dio «unisce i cuori di un uomo e una donna che si amano e li unisce nell’unità e nell’indissolubilità. Ciò significa che l’obiettivo della vita coniugale non è solamente vivere insieme per sempre, ma amarsi per sempre! Gesù ristabilisce così l’ordine originario ed originante. [...] solo alla luce della follia della gratuità dell’amore pasquale di Gesù apparirà comprensibile la follia della gratuità di un amore coniugale unico e usque ad mortem» (Omelia della Messa di apertura del Sinodo, 4 ottobre 2015).
2. Grembo di gioie e di prove, la famiglia è la prima e fondamentale “scuola di umanità” (cf. GS, 52). Nonostante i segnali di crisi dell’istituto familiare, nei vari contesti, il desiderio di famiglia resta vivo nelle giovani generazioni. La Chiesa, esperta in umanità e fedele alla sua missione, annuncia con convinzione profonda il “Vangelo della famiglia”: ricevuto con la Rivelazione di Gesù Cristo e ininterrottamente insegnato dai Padri, dai Maestri della spiritualità e dal Magistero della Chiesa. La famiglia assume per il cammino della Chiesa un’importanza speciale: «Tanto era l’amore che [Dio] ha incominciato a camminare con l’umanità, ha incominciato a camminare con il suo popolo, finché giunse il momento maturo e diede il segno più grande del suo amore: il suo Figlio. E suo Figlio dove lo ha mandato? In un palazzo? In una città? A fare un’impresa? L’ha mandato in una famiglia. Dio è entrato nel mondo in una famiglia. E ha potuto farlo perché quella famiglia era una famiglia che aveva il cuore aperto all’amore, aveva le porta aperte» (Francesco, Discorso alla Festa delle Famiglie, Philadelphia, 27 settembre 2015). Le famiglie di oggi sono inviate come “discepoli missionari” (cf. EG, 120). In questo senso è necessario che la famiglia si riscopra come soggetto imprescindibile per l’evangelizzazione.
3. Sulla realtà della famiglia, il Papa ha chiamato a riflettere il Sinodo dei Vescovi. «Già il convenire in unum attorno al Vescovo di Roma è evento di grazia, nel quale la collegialità episcopale si manifesta in un cammino di discernimento spirituale e pastorale» (Francesco, Discorso in occasione della Veglia di preghiera in preparazione al Sinodo Straordinario sulla famiglia, 4 ottobre 2014). Nell’arco di due anni si sono svolte l’Assemblea Generale Straordinaria (2014) e l’Assemblea Generale Ordinaria (2015), che hanno assunto il compito di ascolto dei segni di Dio e della storia degli uomini, nella fedeltà al Vangelo. Il frutto del primo appuntamento sinodale, al quale il Popolo di Dio ha dato il suo importante contributo, è confluito nella Relatio Synodi. Il nostro dialogo e la nostra riflessione sono stati ispirati da un triplice atteggiamento. L’ascolto della realtà della famiglia oggi, nella prospettiva della fede, con la complessità delle sue luci e delle sue ombre. Lo sguardo sul Cristo, per ripensare con rinnovata freschezza ed entusiasmo la rivelazione, trasmessa nella fede della Chiesa. Il confronto nello Spirito Santo, per discernere le vie con cui rinnovare la Chiesa e la società nel loro impegno per la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna. L’annuncio cristiano che riguarda la famiglia è davvero una buona notizia. La famiglia, oltre che sollecitata a rispondere alle problematiche odierne, è soprattutto chiamata da Dio a prendere sempre nuova coscienza della propria identità missionaria. L’Assemblea sinodale è stata arricchita dalla presenza di coppie e di famiglie all’interno di un dibattito che le riguarda direttamente. Conservando il prezioso frutto dell’Assemblea precedente, dedicato alle sfide sulla famiglia, abbiamo rivolto lo sguardo alla sua vocazione e missione nella Chiesa e nel mondo contemporaneo.
BOLLETTINO N. 0816 - 24.10.2015
I PARTE
LA CHIESA IN ASCOLTO DELLA FAMIGLIA
4. Il mistero della creazione della vita sulla terra ci riempie di incanto e stupore. La famiglia basata sul matrimonio dell’uomo e della donna è il luogo magnifico e insostituibile dell’amore personale che trasmette la vita. L’amore non si riduce all’illusione del momento, l’amore non è fine a se stesso, l’amore cerca l’affidabilità di un “tu” personale. Nella promessa reciproca di amore, nella buona e nella cattiva sorte, l’amore vuole continuità di vita, fino alla morte. Il desiderio fondamentale di formare la rete amorevole, solida ed intergenerazionale della famiglia si presenta significativamente costante, al di là dei confini culturali e religiosi e dei cambiamenti sociali. Nella libertà del “sì” scambiato dall’uomo e dalla donna per tutta la vita, si fa presente e si sperimenta l’amore di Dio. Per la fede cattolica il matrimonio è segno sacro in cui diventa efficace l’amore di Dio per la sua Chiesa. La famiglia cristiana pertanto è parte della Chiesa vissuta: una “Chiesa domestica”.
La coppia e la vita nel matrimonio non sono realtà astratte, rimangono imperfette e vulnerabili. Per questo è sempre necessaria la volontà di convertirsi, di perdonare e di ricominciare. Nella nostra responsabilità, come Pastori, ci preoccupiamo per la vita delle famiglie. Desideriamo prestare ascolto alla loro realtà di vita e alle loro sfide, ed accompagnarli con lo sguardo amorevole del Vangelo. Desideriamo dare loro forza ed aiutarle a cogliere la loro missione oggi. Desideriamo accompagnarle con cuore grande anche nelle loro preoccupazioni, dando loro coraggio e speranza a partire dalla misericordia di Dio.
.....
.....
80. Le famiglie monoparentali hanno origini diverse: madri o padri biologici che non hanno voluto mai integrarsi nella vita familiare, situazioni di violenza da cui un genitore è dovuto fuggire con i figli, morte di uno dei genitori, abbandono della famiglia da parte di uno dei genitori, e altre situazioni. Qualunque sia la causa, il genitore che abita con il bambino deve trovare sostegno e conforto presso le altre famiglie che formano la comunità cristiana, così come presso gli organismi pastorali parrocchiali. Queste famiglie sono spesso ulteriormente afflitte dalla gravità dei problemi economici, dall’incertezza di un lavoro precario, dalla difficoltà per il mantenimento dei figli, dalla mancanza di una casa. La stessa sollecitudine pastorale dovrà essere manifestata nei riguardi delle persone vedove, delle ragazze madri e dei loro bambini.
81. Quando gli sposi sperimentano problemi nelle loro relazioni, devono poter contare sull’aiuto e l’accompagnamento della Chiesa. L’esperienza mostra che con un aiuto adeguato e con l’azione di riconciliazione della grazia dello Spirito Santo una grande percentuale di crisi matrimoniali si superano in maniera soddisfacente. Saper perdonare e sentirsi perdonati è un’esperienza fondamentale nella vita familiare. Il perdono tra gli sposi permette di riscoprire la verità di un amore che è per sempre e non passa mai (cf. 1 Cor 13,8). Nell’ambito delle relazioni familiari la necessità della riconciliazione è praticamente quotidiana. Le incomprensioni dovute alle relazioni con le famiglie di origine, il conflitto tra abitudini culturali e religiose diverse, la divergenza circa l’educazione dei figli, l’ansia per le difficoltà economiche, la tensione che sorge a seguito di dipendenze e della perdita del lavoro. Sono alcuni dei motivi ricorrenti di tensioni e conflitti. La faticosa arte della riconciliazione, che necessita del sostegno della grazia, ha bisogno della generosa collaborazione di parenti ed amici, e talvolta anche di un aiuto esterno e professionale. Nei casi più dolorosi, come quello dell’infedeltà coniugale, è necessaria una vera e propria opera di riparazione alla quale rendersi disponibili. Un patto ferito può essere risanato: a questa speranza occorre educarsi fin dalla preparazione al matrimonio. È fondamentale l’azione dello Spirito Santo nella cura delle persone e delle famiglie ferite, la recezione del sacramento della Riconciliazione e la necessità di cammini spirituali accompagnati da ministri esperti.
82. Per tanti fedeli che hanno vissuto un’esperienza matrimoniale infelice, la verifica dell’invalidità del matrimonio rappresenta una via da percorrere. I recenti Motu Proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e Mitis et Misericors Iesus hanno condotto ad una semplificazione delle procedure per la eventuale dichiarazione di nullità matrimoniale. Con questi testi, il Santo Padre ha voluto anche «rendere evidente che il Vescovo stesso nella sua Chiesa, di cui è costituito pastore e capo, è per ciò stesso giudice tra i fedeli a lui affidati» (MI, preambolo, III). L’attuazione di questi documenti costituisce dunque una grande responsabilità per gli Ordinari diocesani, chiamati a giudicare loro stessi alcune cause e, in ogni modo, ad assicurare un accesso più facile dei fedeli alla giustizia. Ciò implica la preparazione di un personale sufficiente, composto di chierici e laici, che si consacri in modo prioritario a questo servizio ecclesiale. Sarà pertanto necessario mettere a disposizione delle persone separate o delle coppie in crisi, un servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, legato alla pastorale familiare, che potrà pure accogliere le persone in vista dell’indagine preliminare al processo matrimoniale (cf. MI, Art. 2-3).
83. La testimonianza di coloro che anche in condizioni difficili non intraprendono una nuova unione, rimanendo fedeli al vincolo sacramentale, merita l’apprezzamento e il sostegno da parte della Chiesa. Essa vuole mostrare loro il volto di un Dio fedele al suo amore e sempre capace di ridonare forza e speranza. Le persone separate o divorziate ma non risposate, che spesso sono testimoni della fedeltà matrimoniale, vanno incoraggiate a trovare nell’Eucaristia il cibo che le sostenga nel loro stato.
Discernimento e integrazione
84. I battezzati che sono divorziati e risposati civilmente devono essere più integrati nelle comunità cristiane nei diversi modi possibili, evitando ogni occasione di scandalo. La logica dell’integrazione è la chiave del loro accompagnamento pastorale, perché non soltanto sappiano che appartengono al Corpo di Cristo che è la Chiesa, ma ne possano avere una gioiosa e feconda esperienza. Sono battezzati, sono fratelli e sorelle, lo Spirito Santo riversa in loro doni e carismi per il bene di tutti. La loro partecipazione può esprimersi in diversi servizi ecclesiali: occorre perciò discernere quali delle diverse forme di esclusione attualmente praticate in ambito liturgico, pastorale, educativo e istituzionale possano essere superate. Essi non solo non devono sentirsi scomunicati, ma possono vivere e maturare come membra vive della Chiesa, sentendola come una madre che li accoglie sempre, si prende cura di loro con affetto e li incoraggia nel cammino della vita e del Vangelo. Quest’integrazione è necessaria pure per la cura e l’educazione cristiana dei loro figli, che debbono essere considerati i più importanti. Per la comunità cristiana, prendersi cura di
BOLLETTINO N. 0816 - 24.10.2015 29
queste persone non è un indebolimento della propria fede e della testimonianza circa l’indissolubilità matrimoniale: anzi, la Chiesa esprime proprio in questa cura la sua carità.
85. San Giovanni Paolo II ha offerto un criterio complessivo, che rimane la base per la valutazione di queste situazioni: «Sappiano i pastori che, per amore della verità, sono obbligati a ben discernere le situazioni. C’è infatti differenza tra quanti sinceramente si sono sforzati di salvare il primo matrimonio e sono stati abbandonati del tutto ingiustamente, e quanti per loro grave colpa hanno distrutto un matrimonio canonicamente valido. Ci sono infine coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido» (FC, 84). È quindi compito dei presbiteri accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno.
Inoltre, non si può negare che in alcune circostanze «l’imputabilità e la responsabilità di un’azione possono essere sminuite o annullate» (CCC, 1735) a causa di diversi condizionamenti. Di conseguenza, il giudizio su una situazione oggettiva non deve portare ad un giudizio sulla «imputabilità soggettiva» (Pontificio Consiglio per i testi legislativi, Dichiarazione del 24 giugno 2000, 2a). In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. Perciò, pur sostenendo una norma generale, è necessario riconoscere che la responsabilità rispetto a determinate azioni o decisioni non è la medesima in tutti i casi. Il discernimento pastorale, pure tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi.....
....

Per poter leggere tutta la relazione conclusiva del Sinodo cliccare sul seguente link:


CONCLUSIONI DEL SINODO
[Modificato da Credente 26/10/2015 11:50]
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05/11/2015 12:30
 
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MA AL SINODO COSA SI E' DECISO ?

Ci sono, riguardo al Sinodo, quattro bugie in una. Esaminiamole, e capiremo nello stesso tempo che cosa ha veramente detto il Sinodo.

Bugia numero uno: nessuna parrocchia, comunità, prete o fedele è chiamato da oggi ad «applicare» il Sinodo. Il Sinodo non ha deciso nulla e non ha prescritto nulla a sacerdoti e fedeli. Non poteva farlo. Non voleva farlo. Due volte, all'inizio e a metà del Sinodo, è intervenuto papa Francesco a ricordare che «un Sinodo non è un parlamento» ed è regolato, in attesa di eventuali riforme, dal motu proprio Apostolica sollicitudo del 1965 di Papa Paolo VI che lo ha istituito. Questo documento precisa che scopo del Sinodo non è introdurre riforme, ma fornire «informazioni e consigli» al Papa in vista di decisioni che lui, e lui solo, potrà eventualmente prendere La relazione finale del Sinodo, non è un testo rivolto immediatamente ai fedeli per regolare la loro vita cristiana. È una sintesi dei consigli e delle informazioni che i padri sinodali intendono fare giungere al Papa, rimettendosi alle sue decisioni.

È vero che al Sinodo si è votato sulle singole proposizioni, ma si è votato su che cosa consigliare al Papa, non su che cosa prescrivere ai fedeli. Ha ancora minore senso scrivere - come altri fanno - che al Sinodo il Papa avrebbe «perso» perché su alcuni punti la relazione non si sarebbe espressa come avrebbe preferito. Forse per essere chiari occorre esprimersi in termini brutali: il Papa «vince» sempre, perché alla fine fa maggioranza da solo anche contro tutti gli altri.

Bugia numero due: il Sinodo non consiglia da nessuna parte al Papa di aprire le porte della comunione ai divorziati risposati. L'espressione «comunione ai divorziati risposati» o altre analoghe nella relazione semplicemente non ci sono. La relazione ribadisce che il matrimonio cristiano è indissolubile e non contiene nessuna apertura al divorzio. Invita ad accogliere i divorziati risposati nelle comunità cristiane, esortandoli a partecipare alla Messa e alla vita parrocchiale, ma questo era stato detto tante volte in passato e non è certo una novità. Quanto alla «più piena partecipazione alla vita della Chiesa» dei divorziati risposati, il numero 85 della relazione invita a un discernimento. Tra i criteri di discernimento si suggerisce riguardo ai divorziati di «chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l'unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio». Ma il numero 86 esclude ogni gradualità della legge: «dato che nella stessa legge non c’è gradualità (cf. Familiaris consortio 34), questo discernimento non potrà mai prescindere dalle esigenze di verità», anche se dovrà mettere insieme verità è misericordia.

Non è dunque neppure esatto scrivere che sulla comunione ai divorziati il Sinodo ha consigliato al Papa di invitare i sacerdoti a «decidere caso per caso». È vero che la «più piena partecipazione» potrebbe in astratto comprendere l'accesso ai sacramenti e questo spiega perché il numero 85 della relazione ha ottenuto la maggioranza prescritta per un solo voto. Ricordando sempre - a costo di sembrare ripetitivi - che la votazione riguardava semplicemente che cosa consigliare al Papa, si possono comprendere le ragioni di chi ha votato contro, osservando però che il numero 85 non consiste di punti esclamativi, ma di punti interrogativi, certo sintesi di posizioni diverse, a proposito delle quali spetterà al Pontefice sciogliere ogni dubbio. Per loro natura, i punti interrogativi si possono leggere in modi diversi. Ma affermare che nel numero 85 c'è scritto che è opportuno dare la comunione ai divorziati risposati significa, molto semplicemente, non averlo letto.

Bugia numero tre. Chi legge certi quotidiani ha l'impressione che il Sinodo si sia riunito per parlare di divorziati risposati e di omosessuali. Il Papa aveva già messo in guardia: qual dei divorziati non è la questione principale. Ma nessuno gli ha dato retta. Di divorziati si parla in una paginetta e mezza di un documento molto ampio. La relazione finale vuole anzitutto che ovunque nella Chiesa si parli di più della bellezza della famiglia, del matrimonio, dell'amore fedele e indissolubile di un uomo e di una donna. Il Sinodo sa che in molti Paesi, Italia compresa, il primo problema non è la sorte dei matrimoni, ma il fatto che un numero crescente di giovani sceglie di convivere senza sposarsi. I padri sinodali non raccomandano al Papa anatemi e condanne, ma gli chiedono di guidare la Chiesa in una grande campagna mondiale perché i giovani si innamorino nuovamente del matrimonio e decidano di spendere la loro vita nel rischio e insieme nella bellezza della famiglia e dei figli.

Nel discorso conclusivo Papa Francesco ha certo parlato di misericordia, ma ha anzitutto «sollecitato tutti a comprendere l’importanza dell’istituzione della famiglia e del matrimonio tra uomo e donna, fondato sull’unità e sull’indissolubilità, e ad apprezzarla come base fondamentale della società e della vita umana». La relazione propone un'amplissima trattazione della grandezza del matrimonio e del ruolo cruciale della famiglia nella Chiesa e nella società. Questo è il cuore del Sinodo.

Quarta bugia: riguarda solo alcuni giornali e giornalisti, ma forse è la più grossa. Qualcuno - a partire dal New York Times - ha voluto trovare nella relazione del Sinodo perfino un'apertura alle unioni omosessuali. Il Sinodo si è occupato poco di omosessuali, ma se n'è occupato abbastanza per dire precisamente il contrario. Certo, il Sinodo ha ripetuto quanto il Catechismo della Chiesa Cattolica del 1992 già affermava: le persone omosessuali vanno accolte nelle famiglie e comunità con «rispetto, compassione e delicatezza». Nello stesso tempo, il Sinodo ribadisce che il matrimonio è solo fra un uomo e una donna, e che la Chiesa non accetta «analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia». L'inciso «neppure remote» è molto importante. Significa che la Chiesa rifiuta non solo il «matrimonio» omosessuale ma anche istituti, comunque si chiamino, che presentano «analogie» anche soltanto «remote» con il matrimonio. La senatrice Cirinnà, che aveva detto di aspettarsi dal Sinodo aperture alle sue unioni civili, che ovviamente hanno ben più di «analogie remote» con il matrimonio, è stata respinta con danni, e non solo lei.

Lungi poi dal cedere a chi cerca d’intimidire la Chiesa sostenendo che la teoria del gender non esiste, il documento afferma al n. 8 che «una sfida culturale odierna di grande rilievo emerge da quell’ideologia del “gender” che nega la differenza e la reciprocità naturale di uomo e donna. Essa prospetta una società senza differenze di sesso, e svuota la base antropologica della famiglia. Questa ideologia induce progetti educativi e orientamenti legislativi che promuovono un’identità personale e un’intimità affettiva radicalmente svincolate dalla diversità biologica fra maschio e femmina». Nelle scuole e in altri ambiti educativi, denuncia il n. 58, «spesso vengono presentati modelli in contrasto con la visione cristiana della famiglia. La sessualità è spesso svincolata da un progetto di amore autentico. In alcuni Paesi vengono perfino imposti dall’autorità pubblica progetti formativi che presentano contenuti in contrasto con la visione umana e cristiana»: rispetto ad essi, «vanno affermati con decisione la libertà della Chiesa di insegnare la propria dottrina e il diritto all’obiezione di coscienza da parte degli educatori».

La relazione stigmatizza pure le organizzazioni internazionali che vogliono imporre la teoria del gender ai Paesi in via di sviluppo. Su questo punto come su altri – si condannano duramente aborto ed eutanasia, e in tema di anticoncezionali si afferma che la Humanae Vitae dev’essere «riscoperta», «al fine di ridestare la disponibilità a procreare in contrasto con una mentalità spesso ostile alla vita» – le bugie hanno le gambe corte. Ma non cortissime. Quanti, non solo fra i fedeli ma anche i sacerdoti, leggono solo i quotidiani laici anziché il testo della relazione del Sinodo e i discorsi del Papa?

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15/11/2015 20:22
 
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Negare l’esistenza dell’Islam moderato
significa avvantaggiare l’Isis

musulmani messaNon esiste un Islam moderato. Questo è quello che si legge e si sente dire in queste ore che seguono il terribileattentato di Parigi da parte di fanatici terroristi di fede islamica.

Ognuno sta sfruttando i fatti per la propria ideologia religiosa-politica: la destra fomenta l’odio scrivendo“Bastardi islamici” in prima pagina, la sinistra persiste nella sua immaturità identitaria con i girotondi per la pace e gli slogan “Je suis Paris”, i tradizionalisti cattolici gioiscono per aver trovato un nuovo motivo per aggredire mediaticamente l’apostata Papa Francesco che “ci mette nelle mani dell’Islam”, mentre i cattolici progressisti si arrampicano sugli specchi per evitare di riconoscere che siamo in guerra e anche il Magistero cattolico contempla il concetto di legittima difesa.

Non entriamo nel merito, i toni sono troppo caldi e c’è poca lucidità negli antagonisti. Vogliamo però ricordare che non sarà certo la guerra -seppur appaia sempre più come atto inevitabile-, a risolvere qualcosa. Quello che potrà davvero servire è l’isolamento del fondamentalismo da parte del mondo islamico, per questo chi nega l’esistenza di un islam pacifico mette sotto accusa proprio le comunità islamiche moderate che invece possono (e devono) avere un ruolo fondamentale contro il terrorismo islamico. Il documento magisteriale della Nostra Aetate firmato da Paolo VI, afferma che la Chiesa cattolica «nulla rigetta di quanto è vero e santo» nelle religioni non cristiane. «Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini». In particolare per quanto riguarda l’Islam, la «Chiesa guarda con stima i musulmani che adorano l’unico Dio […]. Se, nel corso dei secoli, non pochi dissensi e inimicizie sono sorte tra cristiani e musulmani, il sacro Concilio esorta tutti a dimenticare il passato e a esercitare sinceramente la mutua comprensione, nonché a difendere e promuovere insieme per tutti gli uomini la giustizia sociale, i valori morali, la pace e la libertà».

E’ curioso che tra i tanti accusatori dell’Islam ci siano i tradizionalisti “difensori della Dottrina”, i quali però stanno rinnegando il Magistero della Chiesa cattolica della Nostra Aetate. Senza contare che l’esortazione del Concilio Vaticano II è stata ascoltata in tantissime occasioni: esistono tante comunità islamiche che vivono a stretto contatto con quelle cristiane, in armonia e pace, così come ci sono comunità musulmane che vengono massacrate dagli stessi terroristi islamici, all’interno della guerra tra sciiti e sunniti. Sarebbe anche interessante approfondire il pensiero di Farhad Khosrokhvar, sociologo iraniano, secondo cui la rottura con il mondo occidentale da parte dei giovani musulmani immigrati è dovuta al laicismo, al vuoto di regole morali che trovano.

Citiamo alcuni esempi che impediscono di parlare di “Islam intrinsecamente violento”: in Iraq, ovvero a “casa loro” potremmo dire, gruppi musulmanihanno manifestato in favore dei cristiani perseguitati con cartelli con scritto: «Anch’io sono un cristiano iracheno», ricevendo il ringraziamento dimons. Sako, Patriarca di Baghdad. A Mosul, monsignor Emil Shimoun Nona ha raccontato«i vicini, appartenenti a famiglie musulmane, sono scesi in strada a difesa del luogo di culto cristiano. Alla fine sono riusciti a cacciare gli assalitori. In città tante persone rimaste, anche musulmani, stanno cercando di difendere per quanto possibile case e luoghi di culto cristiani». Ricordiamo la Dichiarazione di Beirut sulla libertà religiosa”, pubblicata dalla Makassed di Beirut, autorevole associazione sunnita, nella quale si legge«Non si può costringere alla conversione né perseguire chi ha una fede diversa dalla propria. L’islam vieta di condurre una guerra contro chi è diverso, scacciarlo dalle proprie terre e limitarne la libertà in nome della religione. Beirut si fa portavoce dell’islam liberale che vuole la convivenza con i cristiani, di cui è ricca la tradizione del Libano».

Georges Isaac, politico cristiano in Egitto, ha ricordato«La gente comune di fede musulmana, che nulla ha che vedere con il partito di Morsi, sta difendendo le chiese ancora di più degli stessi cristiani. Non si rischia uno scontro settario tra i cristiani e i musulmani, perché è un’ipotesi che non fa parte della mentalità della stragrande maggioranza degli egiziani». In Pakistan, una catena di “scudi umani” formata da circa 300 musulmani, membri dell’associazione “Pakistan For All”ha protetto una chiesa cristiana in cui era in corso la Messa per evitare possibili attacchi terroristici. Il Mufti che ha organizzato l’evento ha letto alcuni brani del Corano sulla tolleranza e la pace, innalzando cartelli con scritto “One Nation, One Blood” (una sola nazione, un solo sangue). 

Qui in Italia, invece, pochi mesi fa Yahya Pallavicini, numero uno della comunità musulmana milanese e Abbas Damiano Di Palma, presidente dell’Associazione islamica “Imam Mahdi, hanno pubblicamente detto«No alla rimozione del crocifisso dagli spazi pubblici», poiché per Pallavicini il crocifisso è un «irrinunciabile valore culturale», mentre secondo Di Palma si tratta di un «richiamo della sacralità di ogni essere umano». Il leader della comunità musulmana milanese ha poi aggiunto: «Quelli dell’Isis non sono veri musulmani. Quello che succede nei territori in cui sunniti e sciiti sono in conflitto non è una guerra di fede somiglia invece a quanto successe in Europa con la Guerra dei Trent’anni. Anche quella, secondo l’Imam, poteva apparire una guerra di religione interna alle confessioni cristiane, ma in realtà si trattava di un conflitto determinato da ragioni politiche e di puro potere. Oggi noi assistiamo alla strumentalizzazione della religione in politica: ma questo fenomeno va separato dalle nostre divisioni. Non dobbiamo dire che i sunniti sono buoni e gli sciiti cattivi, o viceversa. Questa semplificazione è un atto di fondamentalismo, al pari della volgarizzazione della religione per scopi terreni e di potere».

Allo stesso modo, in queste ore moltissime condanne stanno arrivando dal mondo islamico agli attentati di Parigi, come quella dell‘imam di Al Azhar, la più prestigiosa istituzione dell’Islam sunnita, quella del Centro Islamico Culturale italiano o quella del presidente dell’Unione delle comunità islamiche italiani (Ucoii), il quale ha sottolienato la condanna dell’omicidio all’interno del Corano.  Certamente hanno ragione coloro che invitano le comunità islamiche a isolare i violenti, a denunciarli, a collaborare con le autorità per rendere inoffensivi i fondamentalisti. Questo implica una collaborazione con queste realtà, riconoscendo anche le numerose occasioni in cui esse hanno preso le difese dei cristiani, disarmando i violenti.

Ci vuole un punto di vista complessivo, riconoscendo un grave problema di convivenza con la violenza nella religione islamica ma non riducendo l’Islam ad una religione di violenza. L’alleanza con gli islamici moderati contribuirà a riportare il sacro al centro delle nostre società fallimentarmente laiciste (così come si potranno condividere battaglie comuni, ad esempio in difesa della famiglia come avviene in Senegal) e allo stesso tempo servirà per contrastare efficacemente chi usa Dio per giustificare la violenza. Questa è la soluzione che noi proponiamo.“


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12/12/2015 13:07
 
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IL PAPA: LA RIFORMA NULLITÀ MATRIMONIALI È PER TUTTI, IL GIUDIZIO GRATIS


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Con un rescritto Francesco abolisce tutte le norme precedenti, compreso il motu proprio di Pio XI – citato esplicitamente – che istituiva i tribunali regionali in Italia. La Rota Romana dovrà giudicare le cause «secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio»


11/12/2015 –


andrea tornielli – Città del Vaticano –


La riforma dei processi per la nullità matrimoniale promulgata da Francesco lo scorso agosto ed entrata in vigore lo scorso 8 dicembre, che snellisce le procedure e dà la facoltà a ogni vescovo di istituire un tribunale diocesano vale fin da ora anche per l’Italia. È stato infatti pubblicato oggi un rescritto del Papa datato 7 dicembre, con il quale vengono specificamente abrogate le norme precedenti, anche quelle approvate in forma specifica dai Pontefici, come nel caso del motu proprio di Pio XI nel 1938 che istituiva in Italia i tribunali regionali per le cause matrimoniali.


Come si ricorderà, lo scorso 13 ottobre il Pontificio consiglio per i testi legislativi – con una risposta a firma del presidente Francesco Coccopalmerio e del segretario Juan Ignacio Arrieta – aveva dichiarato che le disposizioni date da Pio XI «vigenti finora, sulla cui base sono stati poi adottati dall’episcopato italiano altri provvedimenti, anche di natura economica» dovevano «ritenersi in pieno vigore».


Con il documento odierno, Francesco chiarisce ogni dubbio e nel primo paragrafo del rescritto specifica che le nuove leggi di riforma del processo matrimoniale «abrogano o derogano ogni legge o norma contraria finora vigente, generale, particolare o speciale, eventualmente anche approvata in forma specifica (come ad es. il Motu Proprio Qua cura, dato dal mio Antecessore Pio XI in tempi ben diversi dai presenti)». Dunque tutte le norme di snellimento, semplificazione e di maggiore potere dato ai singoli vescovi sono già in vigore senza eccezioni.


Molto più tecnico il secondo paragrafo, suddiviso in sei distinti punti. Il Papa stabilisce che nelle cause di nullità di matrimonio davanti alla Rota Romana «il dubbio sia fissato secondo l’antica formula: «An constet de matrimonii nullitate, in casu», dunque con la formula del dubbio generico, senza cioè la formulazione specifica dell’eventuale motivo di nullità da verificare. Inoltre viene stabilito che «non si dà appello contro le decisioni rotali in materia di nullità di sentenze o di decreti» (cioè nei rari casi in cui la Rota interviene in merito all’ipotesi che una sentenza emessa da un tribunale diocesano sia nulla, la sua decisione è definitiva e non appellabile presso la Segnatura Apostolica).


Ancora, «dinanzi alla Rota Romana non è ammesso il ricorso per la nova causae propositio, dopo che una delle parti ha contratto un nuovo matrimonio canonico, a meno che consti manifestamente dell’ingiustizia della decisione».


Viene poi concesso al decano della Rota il potere «di dispensare per grave causa dalle Norme Rotali in materia processuale». Su richiesta dei patriarchi delle Chiese orientali si rimette ai tribunali territoriali «la competenza sulle cause iurium connesse con le cause matrimoniali sottoposte al giudizio della Rota Romana in grado d’appello». Infine, Francesco stabilisce che la Rota «giudichi le cause secondo la gratuità evangelica, cioè con patrocinio ex officio, salvo l’obbligo morale per i fedeli abbienti di versare un’oblazione di giustizia a favore delle cause dei poveri».


«Le leggi che ora entrano in vigore – scrive il Papa riferendosi alla riforma – vogliono manifestare la prossimità della Chiesa alle famiglie ferite, desiderando che la moltitudine di coloro che vivono il dramma del fallimento coniugale sia raggiunta dall’opera risanatrice di Cristo, attraverso le strutture ecclesiastiche, nell’auspicio che essi si scoprano nuovi missionari della misericordia di Dio verso altri fratelli, a beneficio dell’istituto familiare».


http://www.lastampa.it/2015/12/11/vaticaninsider/ita/vaticano/il-papa-la-riforma-delle-nullit-matrimoniali-vale-per-tutti-il-giudizio-in-rota-sia-gratuito-SEMQGQZ9jEqSqWbJrwIh4M/pagina.html



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01/02/2016 14:53
 
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Per le unioni civili, ecco i numeri dell'ultimo sondaggio Istat:
"Sono meno di 8mila e solo in 500 hanno figli"



ROMA 
- Non esiste un sondaggio esaustivo e definitivo sul tema "quanti sono i gay in Italia, quante le coppie gay, quante le famiglie gay con figli". Esistono, però, alcuni numeri certi che - interpretati con un filo logico - fanno pensare che il timore di un'invasione in Italia dei genitori omosessuali con prole affidata-adottata sia una paura mal riposta.

Allora, l'Istat nell'ultimo censimento nazionale, quello del 2011, dice che da noi ci sono 16 milioni e 648 mila famiglie. Tra queste, 13.997.000 sono le coppie che vivono in una condizione di stabilità il proprio rapporto sentimentale. Bene, le coppie composte da un uomo e da una donna sono 13 milioni e 990 mila. Il 99,95 per cento. Lo dice il censimento nazionale dell'Istituto nazionale di statistica. Le coppie dello stesso sesso che nel 2011 si autodichiarano famiglia sono, invece, soltanto 7.513.

L'Istat, al proposito, ha dichiarato in una nota che ci sono state coppie dello stesso sesso che "hanno preferito non dichiararsi". Questo può significare sia che diversi gay, dopo aver barrato la casella sulla loro singola omosessualità, non hanno voluto dare dettagli sulla relazione. Il "non dichiararsi", però, può contemporaneamente significare che diverse coppie gay non si percepiscono come "una famiglia". Di certo, sono 7.513 le coppie dello stesso sesso che, invece, nel 2011 hanno rivendicato e dichiarato questo stato: siamo una famiglia. Il numero è esiguo, ecco.

Seguendo le risposte del 2011, si scopre che su 7.513 coppie autodichiaratesi "dello stesso sesso", solo 529 avevano figli. Rappresentano - le coppie gay con figli - lo 0,0005 per cento delle coppie italiane. Vista dal punto di vista del censimento Istat in Italia, fino al 2011, non si è registrata l'esplosione dei genitori gay.

Ci sono osservatori conservatori (il cattodem Mario Adinolfi) che ritengono sottostimati questi dati e osservatori del mondo Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e transgender) che pensano che molti omosessuali non abbiano voluto dettagliare la loro vita all'Istat per le difficoltà del quotidiano e l'ostilità del mondo eterosessuale. Ritiene bassi questi valori anche il sociologo Raffaele Lelleri, curatore della più importante indagine sul mondo gay, "Modi di", purtroppo datata 2006. In quella ricerca, il 17,2 per cento dei gay e il 20,2 delle lesbiche con più di 40 anni hanno dichiarato di avere un figlio. Con una stima di 3 milioni di "lgbt" nel paese, nel 2006 si sono desunti 100.000 bambini in Italia con almeno un genitore omosessuale. Questa cifra, trascorsi dieci anni, si è pietrificata nell'immaginario collettivo: centomila bambini da coppie omo. Siamo in un altro ordine di grandezza rispetto alle 529 "coppie gay con figli" del censimento Istat. La particolarità della ricerca "Modi di", tuttavia, è che tiene conto degli ex eterosessuali che hanno avuto un figlio in una relazione uomo-donna e poi hanno cambiato direzione sessuale. Sono la maggior parte. Il figlio, spesso, è un figlio naturale che è stato poi cresciuto anche da un genitore omosessuale.

C'è un terzo lavoro sulla questione. È un'indagine, sempre Istat, del 2012: "La popolazione omosessuale nella società italiana", studio statistico mirato. Lì si dice che "un milione di persone si è dichiarato omosessuale o bisessuale, altri due milioni hanno sperimentato rapporti o attrazione sessuale per persone dello stesso sesso". La distanza rispetto al censimento chiuso solo un anno prima - un milione di omosessuali in Italia nel 2012, solo 529 quelli che avevano dichiarato di
avere figli nel 2011 - può significare due cose: o che lo strumento del censimento (non anonimo) del 2011 ha fatto nascondere molte più persone dell'indagine mirata (e anonima) del 2012 o che gli omosessuali che vogliono essere genitori nel nostro paese sono una netta minoranza.
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08/02/2016 23:22
 
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250 studiosi islamici chiedono libertà religiosa per tutti



Un appello per sviluppare una giurisprudenza islamica sul concetto di cittadinanza, che sia inclusiva di tutti i gruppi, è stato firmato il 27 gennaio da 250 eminenti studiosi islamici riuniti a Marrakech, su invito del Ministero della Promozione e degli Affari Islamici del Regno del Marocco e del Forum per la Promozione della Pace nelle società islamiche, con sede negli Emirati Arabi Uniti.

La Dichiarazione di Marrakech riprende la Carta di Medina
Secondo un comunicato ripreso dall'agenzia Fides, la Dichiarazione di Marrakech riprende la Carta di Medina, della quale quest’anno ricorrono i 1.400 anni della stipulazione, “un contratto costituzionale tra il Profeta Muhammad e il popolo di Medina che garantiva la libertà religiosa per tutti, indipendentemente dalla fede”.

Eliminare ogni argomento che istighi all’aggressione e all’estremismo
Oltre a chiedere agli studiosi e agli intellettuali islamici di sviluppare il concetto di cittadinanza nella giurisprudenza islamica, si lancia un appello alle istituzioni educative per “una coraggiosa revisione dei programmi educativi, per eliminare ogni argomento che istiga all’aggressione e all’estremismo, portando alla guerra e al caos”; e ai politici perché “stabiliscano un contratto costituzionale tra i cittadini”. Si chiede infine ai diversi gruppi religiosi di ricordarsi che per secoli hanno condiviso la stessa terra, vivendo insieme, e di respingere ogni forma di denigrazione dell’altro.

Non usare la religione per colpire i diritti delle minoranze religiose in Paesi musulmani
La Dichiarazione di Marrakech conclude affermando che è “inconcepibile usare la religione per colpire i diritti delle minoranze religiose in Paesi musulmani”. All’incontro di Marrakech erano presenti cinquanta leader di altre religioni che hanno espresso il loro ringraziamento per la Dichiarazione. 


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12/02/2016 10:39
 
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Unioni civili, la fallacia logica del “così fan tutti”



Family day


di Giovanni Maddalena*
*docente di Filosofia Teoretica presso l’Università del Molise

 Uno degli epiteti scagliati contro coloro che non sono d’accordo sulla proposta di legge Cirinnà è quello di “retrogrado”. Nella scorsa settimana ho avuto l’occasione di dare un’occhiata a due trasmissioni televisive, dove questo era l’argomento principale: ormai la legge sui matrimoni omosessuali ce l’hanno tutti e dunque deve averla anche l’Italia. Un signore americano, di cui non conosco il nome, sbeffeggiava per questo Roberto Formigoni su un canale, mentre su un altro Ivan Scalfarotto indugiava su quest’argomento con Daniela Santanché. A prescindere dalle persone, a me interessa l’argomento.

Ora, si può prendere questo argomento in due sensi. Il primo è quello più banale, che è allo stesso tempo un errore logico elementare e una falsità storica. Dire che qualcosa è vero o falso, giusto o sbagliato perché lo fanno tutti gli altri nei dintorni è semplicemente sbagliato logicamente ed è il modo con cui si sono appoggiate le peggiori aberrazioni della storia, inclusi razzismo e leggi razziali, la tranquilla ammissione del sistema concentrazionario come strumento di lotta politica, l’accettazione supina della legge del capo o del mercato. “Così fan tutti”, non è mai stato un buon metodo per decidere qualcosa di buono, dalla vita privata quando si comincia a fumare da ragazzini a quella pubblica quando si decide che l’adulterio o l’appartenenza religiosa valga la lapidazione.

Inoltre, come ormai noto, nel caso in questione “tutti” sono i Paesi dell’Europa occidentale, mentre quelli dell’Europa orientale tutti non sono. Anzi, l’on. Scalfarotto, che presta il suo nome a una proposta di legge che include un’estrema attenzione alla discriminazione linguistica, dice che certo non ci confronteremo con la Bulgaria (!) perché i nostri punti di riferimento sono Francia, Irlanda, Inghilterra e Germania. Non mi ferisce affatto l’incoerenza, che anzi parla a favore dell’uomo e a sfavore della sua legge, ma il perché alcuni sì e altri no non lo dice. Così fan tutti quelli giusti? Superiori? Ricchi? Fatto sta che l’errore è logico e storico. Ma forse la verità (con la minuscola) non ci interessava tanto.

A proposito di verità, ecco invece l’altro punto di vista, più discutibile e interessante che emerge. “Così fan tutti” vorrebbe dire che da quella parte soffia il vento della storia e non si potrà fermare, argomento spesso usato in alternanza all’argomento sulla libertà come autonomia. E’ l’antico refraindi Hegel che si trova sotto tante versioni del marxismo ed è anche un certo fatalismo che si accompagna a molte religioni orientali, ad alcune versioni del cristianesimo e all’eredità della filosofia stoica in occidente. Mille versioni nobili di convinzioni che teoricamente affermano grandezza e autonomia dell’uomo e di fatto ne sviliscono la libertà, rendendolo incapace di essere protagonista della storia. Avanguardia e retroguardia sono così decise da coloro che conoscono il divenire della storia. Sono i preti di queste religioni, che siano preti veri e propri, intellettuali, vati di mercato, che sanno dove andrà a finire inevitabilmente tutto. Contro questa ricorrente filosofia/religione fatalista ci sono i mille controesempi della storia, spesso decisa da gesti singoli e singole personalità, ma anche il pensiero che la storia sia certo una grande ricchezza che ci precede – che venga da Dio, dalla Natura, dalla pura tradizione, dall’evoluzione – ma che noi, pur piccoli e fallibili, siamo in dialogo con essa e ne possiamo modificare il corso. Non siamo creatori – diceva Tolkien – ma “sub-creatori”: non possiamo inventare l’esistenza delle cose ma possiamo collaborare alla loro realtà.

A coloro che pensano in questo secondo modo, vicino al senso comune, interessa molto che in metà Europa, e quella più giovane e con più fame in ogni senso, si voglia difendere la famiglia naturale, e che lo stesso accada in molti paesi africani e asiatici. Non perché si rovesci il “così fan tutti”ma perché in tal modo si capisce che la Storia non è il Fato cieco e insensibile e che nulla al mondo toglie all’uomo la responsabilità di dire “vero” e “falso”, “buono” e “cattivo”, “bello” e “brutto” , le sole tre cose – diceva il filosofo americano Peirce – che sollevano l’umanità al di sopra dell’animalità. E non a caso, salvo gesti di libertà, dopo l’eutanasia, sarà proprio la soglia antropologica – la differenza tra esseri umani e animali, ultima soglia della responsabilità – a essere presto attaccata, e orrido retrogrado chi non acconsentirà.


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11/04/2016 15:24
 
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Papa Francesco. L’Amoris Laetitia è un vero cambio di paradigma, radicato nel Vangelo. Cambierà la Chiesa?

Di Pino Salerno

Era molto attesa l’esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris Laetitia. Con questo testo si porta a termine un lungo lavoro di riflessioni e di confronti che ha avuto inizio, in tutta la Chiesa, nel febbraio del 2014, stimolato dalla necessità di dare soluzione al dibattito aperto fin dal luglio del 1968 con la pubblicazione dell’Enciclica di Paolo VI Humane Vitae. Dal 1968, il dibattito sulla coppia, sulla famiglia, sul controllo delle nascite, sulla sessualità e su tutti i temi legati all’educazione dei figli, non ha mai smesso di suscitare polemiche, controversie, posizioni contrapposte, dentro il mondo ecclesiastico, e al suo esterno. L’esortazione apostolica Amoris Laetitia, insomma, aveva la missione di risolvere il conflitto tra dottrina morale e atteggiamento pastorale che su questi temi aveva diviso papi, cardinali, vescovi, sacerdoti e fedeli.

E oggi papa Francesco invita a costruire un ponte tra la rigidità schematica della dottrina e la necessità della pastorale misericordiosa (Misericordes sicut Pater, Misericordiosi come il Padre è non a caso l’inno del Giubileo). Un ponte che non può essere vissuto o interpretato con i paradigmi della razionalità laica tipici del compromesso politico o giuridico, o della “conciliazione” degli opposti, ma come qualcosa d’altro, di più complesso e profondo. È per questo che l’esortazione ha inizio con le due parole che, come da tradizione, diventano il titolo stesso: Amoris Laetitia, la gioia dell’amore, ma anche l’allegria dell’amore, oppure, parafrasando papa Francesco, la leggera tenerezza dell’amore. Così, questo straordinario papa sposta l’asse paradigmatico della riflessione dalla morale all’amore, e usa esplicitamente tre verbi per fornire un indirizzo pastorale: accompagnare, discernere, integrare. Era l’aporia irrisolta di cui aveva già parlato papa Giovanni Paolo II nella esortazione del 22 novembre 1981, Familiaris Consortio, al Sinodo sulla famiglia, quando sollevò l’enorme questione della contraddizione obiettiva in cui certi fedeli erano costretti a trovarsi per essere divorziati, e dunque non ammessi al sacramento centrale dell’Eucarestia. La regola del “divieto di accesso” al sacramento per tanti fedeli è perciò apparsa molto dura da osservare, così come molto dura è sembrata a tanti giovani la regola del “divieto della contraccezione artificiale”. Incomprensibile, secondo i canoni della modernità, ma ragionevole secondo i canoni della dottrina vaticana.

L’esortazione Amoris Laetitia è un lungo testo di 260 pagine, che ha questo incipit: “la gioia dell’amore che si vive nelle famiglie è anche il giubilo della Chiesa”, e fin dalle prime parole l’intento programmatico è di analizzare la “crisi della famiglia” nel mondo contemporaneo cercando di offrire una soluzione basata sul Vangelo, perché anche in questa esortazione la bussola è la Parola evangelica. Né più né meno. Si potrebbe dire che è normale per un papa fare riferimento alla Parola, eppure ogni volta che si rende pubblico un suo intervento, una sua enciclica, o una esortazione, ecco che le necessità della divulgazione mediatica hanno il sopravvento sulla riflessione teologica, durissima e complessa. L’Amoris laetitia non sfugge certo a questa dinamica. Intanto, è lo stesso papa Francesco che dedica il capitolo di apertura “Alla luce della Parola”, ricordando come la Bibbia sia “popolata da famiglie, da storie d’amore e di crisi familiari”. En passant, notiamo qui, che insieme con la giusta ricerca biblica, il papa un testo di Borges, e non è una sorpresa, “ogni casa è un candelabro”.

È la casa l’elemento simbolico e materiale che unisce la riflessione teologico-biblica alla cultura laica. Quella casa che, secondo le parole di Gesù, si può costruire sulla sabbia oppure sulla roccia, altri due elementi fortemente simbolici e molto ricorrenti. Ed anche la Chiesa, ricorda il papa, si riunisce in una “casa”, per celebrare la sua unità intorno all’Eucarestia. La famiglia che si riunisce nella casa, in virtù dell’amore e del dono che ha condotto i coniugi a rendere sacra la loro unione nel matrimonio, è dunque, ribadisce il papa, indissolubile. Non poteva certo dire qualcosa di diverso. Tuttavia, il papa ricorda spesso nella esortazione che nella stessa Bibbia la famiglia viene descritta anche come il luogo del dolore e del lutto, dell’odio tra fratelli (a partire dall’episodio di Caino e Abele, e da Giobbe), e di tante sofferenze tra i coniugi. E come accade dalla notte dei tempi, scrive il papa, la casa è il luogo in cui in famiglia ci si ama, oppure in cui ci si odia. Il papa, a questo punto, introduce anche il tema del lavoro, come dignità dell’uomo e forza di coesione dei membri della casa e della famiglia. Senza un lavoro, che rende la vita degna, anche la famiglia si frantuma, si scioglie, si nega.

Lo dice apertamente: “disoccupazione e precarietà diventano sofferenza”. Il papa trova e riproduce episodi evangelici a sostegno della sua tesi, e denuncia con forza come uno degli assi portanti della crisi della famiglia contemporanea risieda proprio nel fenomeno della disoccupazione di massa. Perché questo passaggio non è stato colto dai media di larga diffusione? Perché è semplicemente una critica del capitalismo, ed è meglio parlare della comunione ai divorziati piuttosto che delle cause della crisi delle unioni matrimoniali. E poiché “il bene della famiglia è decisivo per il futuro del mondo e della Chiesa” (p. 23) il papa esorta gli stati, i leader delle nazioni, gli industriali, i ricchi della Terra a dare soluzione alla crisi del lavoro, che contraddice il futuro stesso dell’umanità. Senza il lavoro, privato della dignità, il marito disoccupato o la moglie disoccupata perde perfino il senso del suo ruolo di primo educatore nei confronti dei figli, e funge da modello negativo, dell’intera società. Senza questo decisivo passaggio, che lega la crisi della famiglia alla sua ragione più profonda, la crisi del lavoro nelle società occidentali, non si capisce il capitolo 8 dedicato interamente alle cosiddette “famiglie irregolari”, sulle quali invece hanno puntato le luci i media a larga diffusione. Ma il papa insiste a dettare il comportamento in famiglia con alcune “parole d’ordine”: tenerezza, speranza, perdono, fiducia, allegria, generosità, amabilità, umiltà, carità coniugale, tra le altre che formano l’intero lunghissimo capitolo quarto (pp. 71-125). Dunque, più della metà dell’esortazione è dedicata ai fondamenti biblici, evangelici e teologici della famiglia, considerata in tutte le sue forme, contraddittorie e aporetiche.

Sulle famiglie irregolari, quelle che si formano proprio per effetto della crisi diffusa della famiglia tradizionale, il papa conferma il divieto dell’Eucaristia ai divorziati che vivano “more uxorio”. E fin qui nulla di nuovo, ma colpisce il tono con cui è scritto l’intero capitolo 8, nessun giudizio universale, nessuna condanna definitiva alla Geenna, nessun cedimento a “lapidare” l’adulterio. No, papa Francesco è artefice (per usare un’altra parola cara a Borges) di una pastorale della carità e della misericordia in cui il pastore accompagna il fedele verso il perdono, esattamente come Gesù fece con l’adultera, nell’episodio evangelico. La salvezza viene prima di tutto, scrive il papa, ed è compito della Chiesa integrare non cacciare, in base all’irrigidimento dogmatico della dottrina. Il conflitto tra dottrina e pastorale del perdono viene dunque qui risolto, forse una volta per tutte, sostenendo che l’accesso alla sacralità dell’Eucaristia resta un problema legato alla conversione del singolo fedele che dovesse trovarsi in quella condizione “irregolare”.

Ma con il discernimento, la pietas, il perdono e l’accoglienza, la pastorale della misericordia può spingere quel cattolico a ritrovare la strada maestra per riavvicinarsi alla liturgia, alla sacralità dell’Eurcarestia. Non è un caso che il capitolo 8 abbia per titolo “Accompagnare, discernere e integrare la fragilità” (pp. 225-247) e che la sua funzione sia quella di eliminare ogni “morale fredda da scrivania nel trattare i temi più delicati” (pp.246-47). Il cambio di paradigma di papa Francesco sulla famiglia è tutto qui. Ora vedremo quali sviluppi avrà nella vita quotidiana della Chiesa, di ogni singolo vescovo, di ogni parroco, e di ogni fedele.
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22/05/2017 08:14
 
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Tutte le novità su Medjugorje dopo le parole di Papa Francesco


Andrea Mainardi –

La sortita su Medjugorje di Papa Francesco dall’aereo papale di ritorno da Fatima ha avuto larga eco. Su migliaia di apparizioni, solo sette sarebbero autentiche, ha detto il pontefice. Ma sul lungo corso l’effetto deflagrante potrebbe essere meno clamoroso di quanto ci si potrebbe aspettare osservando le accese reazioni al giudizio di Bergoglio. Almeno stando ad alcuni precedenti che arrivano proprio dalla terra del Papa, l’Argentina.

IMPAZZA LA POLEMICA

Sconcerto per chi crede alle presunte apparizioni. Malcelata soddisfazione per chi guarda con scetticismo al fenomeno. Occasione per i critici del pontificato di attaccare Bergoglio. C’è poi una posizione limite che ogni tanto fa capolino sui social: tra Medjugorje e il Papa, si scelgono i messaggi della presunta Gospa. Un caso esplosivo. In una lettera ad Avvenire, un frate carmelitano definisce “offensive” le parole del Papa per il popolo che segue i messaggi di Medjugorje. Marina Corradi, rispondendogli, riassume i termini del pericolo: se si dovesse fare a meno del messaggio di Medjugorje, a certe persone cosa resterebbe?

IL PRIMO COMMENTO DI PADRE LIVIO DI RADIO MARIA

Padre Livio Fanzaga, direttore di Radio Maria, si trova in questi giorni a Medjugorje. Lunedì ha affidato a una lunga diretta il suo commento alle parole di Francesco. La sua fedeltà al Papa è assoluta, fino a non accettare nella sua emittente nessuna voce citica nei confronti di Bergoglio, anche se di cattolici come gli apologeti Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro o il giornalista e saggista Antonio Socci. Ma padre Livio crede anche fermamente a quella Medjugorje a cui il Papa guarda in maniera interrogativa. Delle sue parole valorizza il giudizio positivo sulla prima fase delle apparizioni, sulle quali si può continuare ad investigare. Padre Livio è intervenuto lunedì mattina. Attribuisce il periodo delle prime apparizioni al lasso di tempo che va dal 1981 al 1984. Non aveva ancora potuto leggere il resoconto più completo fino ad oggi uscito sulla relazione della commissione dottrinale presieduta dal cardinale Camillo Ruini, fornita da Andrea Tornielli poche ore dopo. Quel documento, frutto di una indagine durata quattro anni e al quale il Papa si riferisce, rivela che tredici dei quindici membri della commissione si sono espressi favorevolmente al riconoscimento della soprannaturalità delle prime sette apparizioni. Quindi dal 24 giugno al 2 luglio 1981. Non alle altre. E questo può far problema ai devoti della Gospa.

IL NODO DEI PRESUNTI SEGRETI

A Medjugorje la presunta Apparente avrebbe consegnato ai veggenti dieci segreti a cominciare dal dicembre 1982. Compreso un segno visibile e indistruttibile che dovrebbe palesarsi sulla collina della città bosniaca. Segreti che dovranno essere annunciati prima del loro attuarsi. “È chiaro che nel momento in cui questo avvenisse, i dubbi sulla verità delle apparizioni si scioglierebbero”, commenta padre Livio. Sostiene che anche il Papa, il quale ha espresso i suoi dubbi come “opinione personale” basandosi sui dati attualmente a sua disposizione, potrebbe ricredersi. Fanzaga cita l’attuarsi dei segreti come nuovo elemento di valutazione. Ma, appunto, i presunti segreti sarebbero stati affidati dalla Madonna in una fase delle apparizioni su cui la Commissione Ruini nutre dubbi. E sulla quale il Papa si è detto “ancora più cattivo”, per una fase che “non ha tanto valore”.

“LA CHIESA È TENUTA A INTERVENIRE”

“Francesco non improvvisa. Se ha affermato ciò che ha avuto una così vasta eco è perché chi ha orecchie per intendere intenda”. Padre Salvatore Maria Perrella, uno dei membri della Commissione Ruini, commenta con Avvenire le parole del Papa: “A lui sta a cuore preservare la purezza della devozione mariana”. Questo è il nocciolo. Bergoglio è scettico sul fatto che la “Madonna di Medjugorje” mandi messaggi a getto continuo. Chiarisce il padre: “È un fatto assodato che la Vergine sia latrice di messaggi di Dio”. Ma le apparizioni sono di aiuto alla fede, e “se il popolo che si reca a Medjugorje non vive un clima di incontro con il Signore, la Chiesa è tenuta a intervenire”.

IL RUOLO DEI VEGGENTI

La Commissione Ruini si è espressa ovviamente anche sui presunti sei veggenti di Medjugorje. Non in modo concorde sul loro comportamento. Veggenti che, riporta Tornielli, la commissione ritiene non siano mai stati seguiti adeguatamente dal punto di vista spirituale. Dei ragazzi del 1981 oggi adulti, nessuno ha abbracciato la vita religiosa o il sacerdozio. Tutti hanno più o meno intrapreso professioni legate alle apparizioni, come l’apertura di case d’accoglienza per i pellegrini. Uno di loro trascorre una parte dell’anno in una villa con piscina negli Stati Uniti. La veggente di Lourdes, Bernadette, pur poverissima non accettò mai un centesimo dai pellegrini. Dal monastero dove si era ritirata si disse dispiaciuta perché alcuni parenti avevano cominciato a fare commercio di immagini sacre nella sua Lourdes, ormai meta di migliaia di pellegrini. Bernadette ebbe le apparizioni nel 1858. I tempi cambiano. E la vita personale dei veggenti non è per la Chiesa evidentemente un criterio assoluto per la valutazione delle apparizioni. I veggenti di La Salette – fenomeno riconosciuto dalla Chiesa – ebbero dopo le apparizioni una vita inquieta. Sui sei di Medjugorje padre Perrella specifica che “le apparizioni prescindono dallo stato di grazia di chi le ha. Anche Gesù non ha scelto dei santi come apostoli”.

SANTUARIO ANCHE SENZA PLACET PONTIFICIO

“La Commissione Ruini ha votato a maggioranza in favore della costituzione a Medjugorje di un’autorità dipendente dalla Santa Sede per la trasformazione della parrocchia in santuario pontificio”. Così riporta il vaticanista Tornielli. Una decisione dettata per “evitare che si formino chiese parallele” e “fare chiarezza sulle questioni economiche”. Una decisione “che non implicherebbe il riconoscimento della soprannaturalità delle apparizioni”. Insomma: la Chiesa deve trovare il modo di dare una risposta ai milioni di pellegrini che ogni anno visitano la città dell’Erzegovina e che nel mondo ne seguono i messaggi. Gruppi e fedeli sparsi, ma anche fedeli che si ritrovano in movimenti pienamente riconosciuti. Tra i più devoti alla “Madonna di Medjugorje”, ci sono gli appartenenti al Rinnovamento nello Spirito. Molti di loro seguono fedelmente le indicazioni della Gospa: il rosario e lettura quotidiana della Bibbia, confessione mensile, Eucaristia tutti i giorni, digiuno due volte a settimana. Del Rinnovamento, Francesco ha fiducia e stima, anche se, nei primi anni Ottanta, ha detto lui stesso, “non li potevo vedere”. “Mi sono ricreduto – ha ammesso nel 2013 tornando da Rio – Fanno tanto bene alla Chiesa”. Di loro e con loro parla sempre con affetto. Qualche anno fa era trapelata un’indiscrezione secondo la quale il Papa avrebbe pensato al Rinnovamento per affidargli la cura pastorale di Medjugorje. Indiscrezione smentita dai vertici del movimento.

BERGOGLIO E LA DEVOZIONE POPOLARE

In più occasioni il Papa ha criticato la “Madonna postina” o “superstar” che mette al centro se stessa. Da cardinale, in un libro intervista con l’amico rabbino Abraham Skorka, aveva detto di provare immediata diffidenza davanti a rivelazioni private e visioni: “Sono tutte cose che mi mettono sulla difensiva”. Questo non significa che non sia “mariano”. Anzi. Devoto di Nostra Signora di Aparecida, spesso ha parlato di Fatima. Prima e al termine di ogni viaggio saluta la Salus Popoli Romani in Santa Maria Maggiore a Roma. E ha un profondo rispetto per la pietà popolare e i santuari mariani. Scrive Francesco in Evangelii gaudium, il manifesto programmatico del pontificato: “Nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura”. E sui santuari aggiunge: “Il camminare insieme verso i santuari e il partecipare ad altre manifestazioni della pietà popolare è in sé stesso un atto di evangelizzazione. Non coartiamo né pretendiamo di controllare questa forza missionaria”. Infatti in aprile ha trasferito la competenza sui santuari dalla Congregazione per il clero al Consiglio per la nuova evangelizzazione. La sua preoccupazione è richiamare alla “Madonna vera, quella che genera Cristo nel nostro cuore, che è Madre”.

LA ROADMAP DI FRANCESCO E I PRECEDENTI ARGENTINI

Valorizzazione dei frutti spirituali tramite un adeguato accompagnamento dei fedeli per un’autentica devozione mariana. Per attuare questo programma il Papa ha inviato in Bosnia un suo inviato. Se questa è la road map tracciata da Francesco per Medjugorje, ci sono un paio di esempi argentini che la dettagliano e smontano gli allarmismi dei medjugorjani e deludono chi si attende una stroncatura netta. Si tratta di due apparizioni. Una è a Salta. La Chiesa non ha riconosciuto il fenomeno, ma non impedisce al milione di persone che ogni anno vi si reca di andare a pregare e assicura la celebrazione dei sacramenti. Più esemplificativo quello di Nuestra Señora del Rosario di San Nicolás. Qui le apparizioni sono cominciate nel 1983, due anni dopo Medjugorje. Anche lì non sono ancora terminate e ci sono migliaia di messaggi comunicati alla veggente, come a Medjugorje. Il vescovo di quei primi tempi considerò i messaggi “degni di fede”, ne autorizzò la pubblicazione e consacrò un santuario nel 1988. Il 22 maggio 2016 il vescovo Héctor Cardelli con decreto diocesano ha dichiarato le apparizioni di “carattere soprannaturale”. Ma nel marzo scorso l’attuale vescovo, Hugo Santiago, ha deciso di interrompere la pubblicazione dei messaggi. Osservava Andrés Beltramo Alvarez su Vatican Insider che la decisione sembra parte di una risposta pastorale “che riconosce la presenza della Vergine, mira a soddisfare i fedeli e promuovere le conversioni, ma mette al centro la figura di Gesù Cristo e minimizza l’impatto delle rivelazioni private, cercando di evitare la tentazione di protagonismi individuali”. Una decisione che, analizza il vaticanista, “potrebbe fornire indizi su come affrontare la situazione a Medjugorje
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17/06/2018 23:51
 
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Il Papa: «famiglia solo tra uomo e donna».
Ecco come reagiranno polemisti e falsi adulatori…

Ora non avranno più alibi. O forse, si? I contestatori del Papa, che lo accusano di parlare solo di immigrati e non occuparsi di altre tematiche care ai cristiani, ed i falsi adulatori, che usano il suo nome per giustificare pratiche contrarie al suo pensiero (la “cattolica” Michela Marzano è una specialista) come reagiranno alle parole di ieri? «Oggi si parla di diversi tipi di famiglia», ha detto Francesco, «ma la famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola. È una sola».

Per chi segue i discorsi del Santo Padre non c’è nulla di nuovo, le stesse cose le ha ripetute ovviamente molte volte (si veda immagini più sotto). La vera novità è che questa volta tutti i principali quotidiani hanno ripreso, fin dal titolo, le sue parole: Il Fatto Quotidiano, Il Corriere, Repubblica, L’Huffington Post (da notare quanto sia infastidita Lucia Annunziata, che riempie l’articolo con immagini di coppie gay) e perfino Libero.

Incontrando il Forum delle Associazioni Familiari, il Pontefice ha riflettuto sull’immagine della famiglia, osservando che oggi «la parola “famiglia” è una parola analogica, perché si parla della “famiglia” delle stelle, delle “famiglie” degli alberi, delle “famiglie” degli animali… è una parola analogica». Ma «la famiglia umana come immagine di Dio, uomo e donna, è una sola. È una sola. Può darsi che un uomo e una donna non siano credenti: ma se si amano e si uniscono in matrimonio, sono immagine e somiglianza di Dio, benché non credano».

Quindi no, nemmeno per Papa Francesco (come per la Costituzione ed il codice civile italiano) esistono le sedicenti “famiglie Arcobaleno”, secondo la famosa ed impeccabile affermazione del ministro per la Famiglia, Lorenzo Fontana. Il Manifesto ha avuto l’onore di riconoscerlo, titolando: “Il papa pro life che parla come il ministro Fontana”. L’autore è il catto-progressista Luca Kocci -amico di don Gallo e delle inesistenti comunità di base-, scrive mordendosi le mani.

In un altro passaggio, Papa Bergoglio si è soffermato sull’aborto dei bambini disabili: «Ho sentito dire che è di moda, o almeno è abituale che quando nei primi mesi di gravidanza si fanno gli studi per vedere se il bambino non sta bene o viene con qualcosa, la prima offerta è: “lo mandiamo via”. L’omicidio dei bambini: per risolvere la vita tranquilla si fa fuori un innocente. Da ragazzo», ha aggiunto Francesco, «la maestra che faceva storia ci diceva della rupe, per buttarli giù, per salvaguardare la purezza dei bambini. Una atrocità, ma noi facciamo lo stesso». Raramente si vedono disabili per strada, «perché il protocollo di tanti medici dice: viene male, mandiamolo via. Il secolo scorso tutto il mondo si è scandalizzato per quello che facevano i nazisti. Oggi facciamo lo stesso ma con i guanti bianchi».

Un incisivo doppio passo (famiglia, aborto), che -questa volta- ha fatto presto il giro del mondo. Ma polemisti e falsi adulatori già stanno reagendo (basta leggere gli imbarazzati Camillo Langone e Marcello Veneziani), sostenendo che è la prima volta che ne parla, che si è “finalmente svegliato”, che “ora è il nostro Papa” (la fede cattolica si riduce al “no” alle nozze gay??), che è stata un’eccezione ecc. Ma nel nostro apposito dossier abbiamo raccolto tutti i suoi discorsi, tra cui quelli su aborto e famiglia, mostrando che anche tali affermazioni sono una costante nel suo pontificato.

Qui sotto alcuni esempi di come non ci sia alcuna novità nelle parole di Francesco. Quindi no, tradizionalisti e progressisti non hanno più alibi. In realtà, non ne hanno mai avuti.





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04/08/2018 16:39
 
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Pena di morte, di fatto era già inammissibile:
risposta alle perplessità

Questa volta i quotidiani hanno scritto il vero: Papa Francesco non solo si è posto in continuità con i suoi predecessori nell’opporsi radicalmente alla pena di morte, ma ha ottenuto l’introduzione della sua inammissibilità, senza alcuna eccezione, nel Catechismo cattolico (modificando il punto numero 2267). Ma è davvero una radicale novità?

In realtà, no. Il Catechismo avvertiva che la pena capitale era inaccettabile, ad eccezione di un caso: l’impossibilità di rendere inoffensivo il reo (o criminale). Tuttavia, citando Giovanni Paolo II, si conveniva che, grazie ai moderni sistemi carcerari, tale eccezione era «praticamente inesistente». La logica vuole che dichiarando inesistente l’unica eccezione, di conseguenza l’inammissibilità della pena di morte era già respinta integralmente. Francesco ha quindi reso categorico ciò che era logicamente sottinteso nel Catechismo, volendo rendere più solida la posizione del “favor vitae”.

 

 

La tematica, piuttosto semplice, include dei corollari che la rendono più complessa. Questo giustifica parzialmente molte perplessità in merito. L’errore più gettonato è quello di ritenere la dottrina sulla pena di morte una verità rivelata, irriformabile, esibendo la posizione favorevole di Tommaso d’Aquino e sostenendo che l’attuale decisione di modifica andrebbe contro l’insegnamento secolare della Chiesa. Eppure, come chiunque dovrebbe sapere, non siamo di fronte ad un dogma di fede ma a una questione di disciplina e morale, per sua natura riformabile al mutare delle circostanze. Ed infatti -lo ha spiegato il teologo morale Mauro Cozzoli- la posizione di grande apertura di San Tommaso e del Concilio di Trento nei confronti della pena di morte è stata radicalmente superata nel tempo, fino al testo in voga oggi e nelle battaglie di Giovanni Paolo II per una abolizione internazionale della pena capitale, da lui definita “inutile” e “crudele”. Superata ma non sconfessata, in quanto era legittima in passato come forma di difesa in un contesto di precarietà del sistema carcerario. Riteniamo comunque utile pubblicare una serie di risposte alle posizioni più riscontrate -sia critiche che esultanti o deridenti- che abbiamo colto sui quotidiani e sui social network, mostrando che vi è soltanto un’obiezione fondata alla recente modifica del Catechismo, seppur vi sia modo di replicare adeguatamente anche ad essa.

 

LA CHIESA ARRIVA IN RITARDO RISPETTO ALLA MODERNITA’?
Molti anticlericali stanno vantando in queste ore la superiorità dell’etica laica che sarebbe arrivata prima a condannare la pena di morte, rispetto alla Chiesa. Eppure, non è affatto sinonimo di modernità l’opposizione alla pena di morte, considerando che nei modernissimi Stati Uniti, 23 stati contro 19 ancora oggi prevedono e applicano tale condanna. Inoltre, la pena capitale è ampiamente prevista e legittimata in Corea del Nord, dove l’ateismo è ufficialmente la guida morale dello Stato. Non si conoscono prese di distanza ufficiali da parte delle associazioni atee verso l’applicazione nordcoreana dell’etica laica. Si dimenticano, infine, i ripetuti ed incessanti interventi degli ultimi tre Pontefici nel condannare universalmente il ricorso alla pena di morte. Giovanni Paolo II pronunciò decine di discorsi ufficiali -sopratutto a partire dal 1998- chiedendo una moratoria sull’abolizione della pena capitale, intervenendo di volta in volta negli Stati Uniti per invocare clemenza verso i condannati.

 

LA CHIESA CHE LEGITTIMAVA LA PENA DI MORTE, SI CONTRADDICEVA SULLA SACRALITA’ DELLA VITA?
Questa posizione è riscontrabile non solo in molti atei e anticlericali, ma anche in tanti cattolici che stanno salutando con favore la recente iniziativa della Congregazione per la dottrina della fede, liberati da una presunta contraddizione. Il punto chiave è che l’esecuzione della pena di morte è stata considerata ammissibile solamente come extrema ratio nell’alveo della legittima difesa della stessa vita (seppur senza essere ad essa ridotta), sopratutto in situazioni passate di arretratezza nella capacità di rendere inoffensivo il reo. Per questo, non c’è contraddizione con il principio di sacralità della vita (dunque con l’opposizione all’aborto) e nemmeno con il quinto comandamento, che si riferisce all’uccisione dell’innocente. E’ legittimo difendere la propria vita o la vita di altre persone di cui si ha responsabilità anche arrivando, come atto estremo, all’uccisione dell’attentatore. Sempre che l’atto di difesa sia proporzionato a quello di attacco.

 

IL VECCHIO CATECHISMO QUINDI SBAGLIAVA? LA CHIESA DEVE CONSERVARE LA TRADIZIONE SENZA MODIFICHE?
E’ la posizione classica di chi fatica ad accettare il Concilio Vaticano II, i cui documenti -come la Dei verbum-, esprimono invece un concetto di Tradizione non fissa e non immutabile. «La sacra tradizione», si legge infatti, «progredisce…cresce…tende incessantemente alla verità finché non giungano a compimento le parole di Dio». Vi sono, inoltre, dottrine irriformabili ed altre no. Il Magistero sulla pena di morte non è verità di fede, non è dogma irriformabile e lo dimostra il fatto che l’insegnamento magisteriale è stato via via modificato nel tempo.

Un esempio pratico: il Concilio di Trento (1545-63) permise la condanna a morte per «reprimere i facinorosi e difendere gli innocenti. Applicandola, i magistrati non solamente non sono rei di omicidio, ma, al contrario, obbediscono in una maniera superiore alla Legge divina, che vieta di uccidere, poiché il fine della Legge è la tutela della vita e della tranquillità umana. Ora. le decisioni dei magistrati, legittimi vendicatori dei misfatti, mirano appunto a garantire la tranquillità della vita civile, mediante la repressione punitiva dell’audacia e della delinquenza». In seguito la posizione della Chiesa si è modificata/evoluta radicalmente: la legittimità morale della pena capitale venne via via accordata solo agli omicidi (escludendo i “facinorosi” e i “delinquenti”) e non più vista come “obbedienza alla Legge divina”, ma come eccezione e decisione estrema allorquando gli altri mezzi di contenimento del reo non fossero sufficienti. Già nel 1975, il Dizionario di antropologia pastorale approvato dalla Conferenza episcopale tedesca, precisava che «il cristiano non ha il minimo motivo di invocare la pena di morte o di dichiararsi favorevole ad essa». Nel 1978, nel documento Elementi di riflessione redatto dall’episcopato francese, si indicava come l’esecuzione capitale fosse «incompatibile con il Vangelo».

Nel 1992 il Catechismo cattolico ha subito la prima modifica, nel 1997 la legittimità è stata ufficialmente ancor più ristretta, fino ai tanti pronunciamenti di Giovanni Paolo II: «Rinnovo quindi l’appello per abolire la pena di morte, che è crudele e inutile»(1999). Nel 2000, il cardinale Silvano Piovanelli, vicepresidente della Conferenza Episcopale Italiana guidata dal Ruini, emise un documento a nome dei vescovi della Toscana con scritto: «Una più profonda comprensione del Vangelo nella Chiesa, e una più matura esperienza umana forgiata dalle tante tragedie del secolo scorso, ci spingono oggi, insieme a tutti gli uomini di buona volontà, a considerare inaccettabili sia sul piano morale che su quello giuridico tutte le ragioni che hanno sostenuto la pena di morte e che ancora in molti Paesi della terra vengono addotte per giustificarla». Una posizione distante anni luce da quella del Concilio di Trento, modificata ulteriormente da Benedetto XVI nel 2002: «L’insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l’unica via praticabile per difendere efficacemente dall’aggressore ingiusto la vita di esseri umani». Ma «i casi di assoluta necessità di soppressione del reo « sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti».

 

LA PENA DI MORTE E’ SEMPRE STATA LEGITTIMATA? VA INCLUSA NELL’ACCETTAZIONE DELLA LEGITTIMA DIFESA?
La pena di morte era autorevolmente legittimata nel lontano passato, in contesti completamente differenti. Con il mutare dei tempi la sua necessità si è ridotta, fino al renderla ammissibile solo in caso di impossibilità di contenimento della reiterazione del delitto. La posizione ecclesiale su questo specifico tema si è giustamente modificata al rafforzamento dei sistemi di difesa carcerari. Questo ha dato modo alla Chiesa di perfezionare il proprio insegnamento. Non c’entra nulla la “pena vendicativa”, il fattore deterrente o l’espiazione della colpa, come invece è stato scritto confondendo la pena capitale con la generale funzione della pena (carceraria, ad esempio) conseguente ad un delitto. Il Catechismo cattolico (citando Giovanni Paolo II) conviene che allo stato attuale «i mezzi incruenti sono più che sufficienti» e, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo «sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti». Si esclude la pena di morte, tranne che in casi d’eccezione. Dato che i casi d’eccezione sono ormai “inesistenti”, si esclude la legittimità della pena di morte. Venendo meno tale casistica, mancando la condizione giustificante, infatti, cade di conseguenza l’unica eccezione all’illegittimità della pena capitale. Questa è la posizione logica che emerge dal Catechismo, già prima della modifica apportata da Francesco.

Sbaglia anche chi assimila del tutto la pena di morte alla legittima difesa. Nel secondo caso c’è un rischio diretto ed imminente di uccisione della vita, nel primo caso invece è supposto, probabile, indiretto. L’inammissibilità, senza eccezioni, della pena di morte, così come voluta da Francesco, non intacca per nulla l’ammissibilità della legittima difesa: «resta in piedi», si dichiara infatti, «il dovere della pubblica autorità di difendere la vita dei cittadini, come è stato sempre insegnato dal Magistero e come conferma il Catechismo della Chiesa Cattolica nei numeri 2265 e 2266».

 

NON C’E’ PIU’ L’OPPORTUNITA’, MA NON SI POTEVA MANTENERE IL PRINCIPIO PER UN IPOTETICO FUTURO?
Ribadiamo il punto chiave, senza il quale si perde di vista la questione: secondo la visione moderna della Chiesa cattolica (dagli anni ’90 in poi, in modo sostanziale), l’impossibilità di difendere i cittadini è l’unica eccezione ammessa al giudizio di generale inammissibilità della pena di morte. Un’eccezione concretamente «inesistente», secondo Giovanni Paolo II, in quanto i sistemi di detenzione assicurano -senza eccezioni- la doverosa difesa dei cittadini. Nell’eliminare l’accenno di tale eccezione dal Catechismo, Papa Francesco ha agito in totale e corretta coerenza con la realtà e con la visione dei suoi predecessori (ampiamente citati nella Lettera di modifica del n. 2267 del Catechismo). «Il nuovo testo», si legge, «seguendo le orme dell’insegnamento di Giovanni Paolo II in Evangelium vitae, afferma che la soppressione della vita di un criminale come punizione per un delitto è inammissibileperché attenta alla dignità della persona, dignità che non viene perduta neanche dopo aver commesso dei crimini gravissimi. A questa conclusione si arriva anche tenendo conto della nuova comprensione delle sanzioni penali applicate dallo Stato moderno, che devono orientarsi innanzitutto alla riabilitazione e reintegrazione sociale del criminale. Infine, visto che la società odierna possiede sistemi di detenzione più efficaci, la pena di morte risulta non necessaria come protezione della vita di persone innocenti».

Preso atto di tutto questo, se è certamente vero che la situazione attuale ha fatto decadere il senso dell’extrema ratio della pena di morte, che dire del futuro? Non è così remoto, purtroppo, uno scenario apocalittico di guerra mondiale, dove ipoteticamente potrebbero (ri)diventare insufficienti i moderni sistemi di contenimento dei criminali. Era davvero necessario, perciò, arrivare a modificare così radicalmente l’articolo del Catechismo, senza lasciare più prudentemente aperta la possibilità del ritorno di una situazione di caos e, perciò, del riaffacciarsi della necessità della pena capitale in difesa della vita dei cittadini? Tale obiezione è l’unica ragionevole e la condividiamo in parte, ma è anche vero che riflettere su casi ipotetici futuri e linee di principio non è di aiuto per nessuno e risulta essere uno sforzo di fantasia e di casistica. Inoltre, come già visto, il tema specifico della pena di morte è uno di quelli sottoposti a riforma e sviluppo: in caso futuro di ritorno dell’eccezione all’inammissibilità, potrà nuovamente venire ripristinata la precisazione dell’esistenza di un’eccezione alla regola. La necessità di rinforzare il “favor vitae” della Chiesa ha giustificato la modifica del Catechismo, anche considerando che la posizione sulla pena di morte, come già detto, rientra in quella dottrina riformabile che si perfeziona rispetto alle nuove circostanze storiche di tempi e luoghi.

 

AGGIORNAMENTO ORE 21:30
Ottimo l’intervento dell’arcivescovo Rino Fisichella, stretto collaboratore di Benedetto XVI e del card. Camillo Ruini, nonché attuale presidente del Pontificio Consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione. «Adesso, Papa Francesco – in continuità con il magistero di Giovanni Paolo II e di Papa Benedetto – accetta di esplicitare ulteriormente l’argomento facendo compiere un passo ulteriore», afferma mons. Fisichella. «E questo passo, come viene detto “alla luce del Vangelo”, fa comprendere che la pena di morte è inammissibile. E quindi ci sono parole chiare, nette, che non lasciano equivoci di sorta su questo insegnamento». Oltre a ben spiegare la motivazione che ha portato al cambiamento del numero 2267 del Catechismo («il superamento di una visione restrittiva perché a nessuno può essere tolta la possibilità di una riabilitazione, quindi di una reintegrazione, anche nel tessuto sociale»), il teologo ha esplicitato come la tradizione sulle materie riformabili (come la pena di morte, appunto), «è viva, per sua stessa natura. Questo è l’insegnamento del Concilio. Questa è anche la comprensione della tradizione e che la tradizione dà di sé stessa. La tradizione, se non è viva, se non è mantenuta viva da un magistero sempre vivo, come insiste la “Dei Verbum”, la Costituzione dogmatica sulla Rivelazione, non è più la tradizione. Quindi penso che siamo davanti a una considerazione notevole, importante. Si compie un passo veramente decisivo che aiuterà anche l’impegno dei cattolici nella vita sociale e politica dei propri Paesi».


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02/01/2021 15:55
 
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Il Vaticano: nessun legame morale tra vaccini anti covid e feti abortiti





La Congregazione per la Dottrina della Fede pubblica un documento in cui spiega perché i vaccini possono essere la soluzione al problema coronavirus, anche se non sono eticamente perfetti


Via libera del Vaticano ai vaccini anti covid. Non ci sono legami morali tra i vaccini stessi, il prelievo di materiale per la realizzazioni degli stessi da feti abortiti, e l’aborto stesso.


Lo chiarisce con un documento della Congregazione per la Dottrina della Fede. «Non si intende giudicare la sicurezza ed efficacia dei vaccini – si legge – pur eticamente rilevante e necessaria, la cui valutazione è di competenza dei ricercatori biomedici e delle agenzie per i farmaci».


Ma soltanto «riflettere sull’aspetto morale dell’uso di quei vaccini contro il Covid-19 che sono stati sviluppati con linee cellulari provenienti da tessuti ottenuti da due feti abortiti non spontaneamente». Il Vaticano rileva 6 punti a favore dei vaccini anti covid.


PERU
Diris Lima Centro

1. Responsabilità “differenziata” di cooperazione al male


Come afferma l’Istruzione Dignitas Personae, nei casi di utilizzazione di cellule procedenti da feti abortiti per creare linee cellulari da usare nella ricerca scientifica, “esistono responsabilità differenziate” di cooperazione al male. Per esempio, “nelle imprese, che utilizzano linee cellulari di origine illecita, non è identica la responsabilità di coloro che decidono l’orientamento della produzione rispetto a coloro che non hanno alcun potere di decisione

2. La indisponibilità di vaccini eticamente ineccepibili

In questo senso, spiega il Vaticano, quando non sono disponibili vaccini contro il Covid-19 eticamente ineccepibili è moralmente accettabile utilizzare i vaccini anti-Covid-19 che hanno usato linee cellulari provenienti da feti abortiti nel loro processo di ricerca e produzione.

Ad esempio in Paesi dove non vengono messi a disposizione dei medici e dei pazienti vaccini senza problemi etici. Oppure Paesi in cui la loro distribuzione è più difficile a causa di particolari condizioni di conservazione e trasporto. O, ancora, quando si distribuiscono vari tipi di vaccino nello stesso Paese ma, da parte delle autorità sanitarie, non si permette ai cittadini la scelta del vaccino da farsi inoculare.

VACCINE
PhotobyTawat | Shutterstock

3. Nessun legame tra vaccini e aborto

La ragione fondamentale per considerare moralmente lecito l’uso di questi vaccini anti covid, prosegue il Vaticano, è che il tipo di cooperazione al male (cooperazione materiale passiva) dell’aborto procurato da cui provengono le medesime linee cellulari, da parte di chi utilizza i vaccini che ne derivano, è remota. Il dovere morale di evitare tale cooperazione materiale passiva non è vincolante se vi è un grave pericolo,come la diffusione, altrimenti incontenibile, di un agente patogeno grave.

É da sottolineare tuttavia, che l’utilizzo moralmente lecito di questi tipi di vaccini, per le particolari condizioni che lo rendono tale, non può costituire in sé una legittimazione, anche indiretta, della pratica dell’aborto. E presuppone la contrarietà a questa pratica da parte di coloro che vi fanno ricorso.




4. “No” a problemi di coscienza

Infatti, l’uso lecito di tali vaccini non comporta e non deve comportare in alcun modo un’approvazione morale dell’utilizzo di linee cellulari procedenti da feti abortiti. Si chiede, quindi, sia alle aziende farmaceutiche che alle agenzie sanitarie governative, di produrre, approvare, distribuire e offrire vaccini eticamente accettabili. Che non creino problemi di coscienza, né a gli operatori sanitari, né ai vaccinandi stessi.

SZCZEPIONKA NA KORONAWIRUSA
M-Foto | Shutterstock

5. La moralità della vaccinazione

Nello stesso tempo, appare evidente alla ragione pratica che la vaccinazione non è, di norma, un obbligo morale. Perciò, deve essere volontaria. In ogni caso, dal punto di vista etico, la moralità della vaccinazione dipende non soltanto dal dovere di tutela della propria salute, ma anche da quello del perseguimento del bene comune. Bene che, in assenza di altri mezzi per arrestare o anche solo per prevenire l’epidemia, si può raccomandare la vaccinazione, specialmente a tutela dei più deboli ed esposti.

Chi, per motivi di coscienza, rifiutana i vaccini anti covid prodotti con linee cellulari procedenti da feti abortiti, secondo il Vaticanodeve adoperarsi per evitare, con altri mezzi profilattici e comportamenti idonei, di divenire veicoli di trasmissione dell’agente infettivo.




6. La mancanza di accesso ai vaccini

Infine, il Vaticano solleva la questione “accessibilità” ai vaccini anti covid anche ai Paesi più poveri ed in modo non oneroso per loro. La mancanza di accesso ai vaccini, altrimenti, diverrebbe un altro motivo di discriminazione e di ingiustizia. L’appello è rivolto alle industrie farmaceutiche e ai governi, affinchè questo problema venga affrontato in modo rapido e concreto.

fonte ALETEIA


[Modificato da Credente 02/01/2021 15:59]
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01/07/2021 13:52
 
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L'INTERVENTO DEL PRIMO MINISTRO STEPHEN HARPER DURANTE IL 'DISCORSO DAL TRONO'


Violenze sui nativi, il Canada chiede scusa


Il governo ha ammesso che abusi fisici e sessuali erano stati compiuti in 132 scuole su oltre 150mila bambini


 


WASHINGTON - Passo storico del Canada. Per la prima volta nella storia del Paese degli aceri, il governo ha chiesto ufficialmente scusa agli indiani nativi delle cosiddette Prime Nazioni (Inuit, Meticci) per gli abusi compiuti su centinaia di migliaia di loro, e per le violenze di cui sono stati vittima almeno 150 mila bambini indigeni. Il primo ministro Stephen Harper nell'ambito del suo 'Discorso dal Trono', che si tiene in Canada ogni anno per la chiusura dell'anno parlamentare, ha presentato alle comunità indiane native le scuse di Stato per una vicenda dai contorni inquietanti.


L'OLOCAUSTO CANADESE - Una decina di anni fa il governo ammise che abusi fisici e sessuali erano stati compiuti in 132 scuole del Canada su oltre 150mila bambini delle Prime Nazioni, strappati alle famiglie e rinchiusi nelle cosiddette «scuole residenziali». Violenze subite dai nativi canadesi a partire dall'inizio del XIX secolo, quando vennero rinchiusi centinaia di migliaia di indigeni, per lo più bambini rapiti alle loro famiglie. Nelle scuole furono costretti a parlare solo inglese, a dimenticare la propria cultura e a rinunciare alla loro religione per professare la religione cattolica. E avrebbero subito violenze fisiche e sessuali, elettroshock, sterilizzazioni. Molti sono morti per tali trattamenti. Le scuole residenziali sono state chiuse a partire dal 1969, ma l'ultima solo una decina di anni fa, nel 1996. Alcuni studiosi parlano di un vero e proprio «olocausto canadese» nascosto dalla storia e per anni negato. Fino a quando, dopo aver avviato un'inchiesta, il governo ha cominciato ad ammettere le proprie responsabilità, fino a decidere a settembre di stanziare quasi due miliardi di dollari come compenso per gli aborigeni.



IL REVERENDO ANNETT - Da allora ad oggi sono stati risarciti oltre 64mila nativi, ma hanno chiesto il compenso più di 92mila. Le scuse di Stato fanno seguito all'istituzione di una Commissione per la Verità e la Riconciliazione, insediatasi il 1° giugno, che ha il compito di esaminare tutti i singoli casi. Tra le figure più attive nel denunciare l'olocausto canadese il reverendo Kevin Annett, 64 anni, autore del documentario «Nascosto dalla Storia», dove denuncia altro che oltre il 95% dei 2 milioni di indiani nativi che vivevano sulla West Coast canadese sono stati uccisi, mentre ne sono morti altri 10 milioni per le condizioni di vita estreme a cui erano stati costretti. Oggi i nativi rimasti, secondo Annett, sono solo 20 mila.



11 giugno 2008

FONTE
https://www.corriere.it/esteri/08_giugno_11/canada_scuse_nativi_indiani_violenze_bambini_265a4c44-37f1-11dd-a7f3-00144f02aabc.shtml


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