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STRANI PASSI BIBLICI

Ultimo Aggiornamento: 07/04/2019 19:45
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27/01/2010 11:03
 
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 In Marco 11 leggiamo:

12 La mattina seguente, mentre uscivano da Betània, ebbe fame.

13E avendo visto di lontano un fico che aveva delle foglie, si

avvicinò per vedere se mai vi trovasse qualche cosa; ma giuntovi

sotto, non trovò altro che foglie. Non era infatti quella la

stagione dei fichi. 14E gli disse: <Nessuno possa mai più mangiare

i tuoi frutti>.  E i discepoli l'udirono.


E' spontaneo chiedersi:

1) Perchè Gesù maledice anzichè benedire ?

2) Perchè pretende di trovare fichi fuori stagione e maledice l'albero non trovandone?

3) Perchè non lascia che quell'albero continuasse a produrre i frutti a suo tempo, visto che aveva il fogliame e quindi era ancora vegeto ?

4) Perchè si sfoga contro una pianta per non aver avuto la possibilità di appagare la sua fame ?

5) Perchè non ha fatto il miracolo di far fruttificare istantaneamente il fico invece di fare il miracolo contrario di farlo istantaneamente seccare?


Questo comportamento di Gesù appare assai strano conoscendolo alla luce del resto di tutto il Vangelo: Egli che ha insegnato a benedire e a non maledire, che ha digiunato ben quaranta giorni, che ha sfamato folle intere quando ha voluto, che ha sopportato pazientemente tutte le difficoltà della vita fino alla sua passione e morte;

Gesù spiega il suo gesto dicendo che tutto è possibile a chi crede; ma a ben riflettere ci si chiede anche: a chi crede è proprio così opportuno far seccare un albero?

Cerchiamo perciò di scoprire che tipo di albero era mai quello e il motivo per cui Gesù lo maledisse.

Il significato dell'avvenimento potrebbe essere collegato a un avvenimento apparentemente remoto ma che evidentemente era ben presente a Gesù: Egli, il Signore, nuovo Adamo, cercava su quell'albero il frutto che aveva riservato a se stesso ma che il primo Adamo aveva già mangiato ed ora erano rimaste solo foglie, foglie di fico appunto, che gli erano servite per coprire la propria vergogna. Ecco perchè Gesù non trovò altro che foglie; la fame che Gesù aveva era il suo diritto su quel frutto che aveva riservato per sè; ma Adamo aveva strappato alla fame di Dio, l'unico frutto che in tutto il giardino si era riservato, commettendo la più grande ingiustizia. Gesù non poteva dunque far fruttificare l'albero che simboleggiava il peccato di Adamo ma lo maledice dicendo appunto "nessuno possa mai più mangiare i tuoi frutti" che sono i frutti della ribellione.


C'è ancora un altro particolare del Vangelo che può essere collegato a quanto finora osservato: Gesù infatti non a caso disse a Natanaele: "io ti ho visto quando eri sotto il fico". In Adamo siamo stati tutti scorti sotto il fico.

Ma il miracolo che Gesù non volle fare, cioè far fruttificare l'albero della morte, lo fece invece facendo fruttificare un nuovo albero. E il frutto che doveva maturare su quell'albero, l'albero della croce, doveva essere egli stesso per essere colto e mangiato da tutti per ottenere la salvezza.

Quello che era stato inopportunamente mangiato dal primo Adamo, porto da Eva, Gesù, il frutto benedetto della nuova Eva, Maria, ricollocò sull'Albero della vita, per sfamare tutti noi, lui che da uomo e da Dio, ebbe fame, fame del nostro amore.


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24/02/2011 22:26
 
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Leggendo la Bibbia si incontrano dei versetti strani:


Mentre Mosè era in viaggio, il SIGNORE gli venne incontro nel luogo dov'egli pernottava, e cercò di farlo morire. (Es 4,24)


Perchè Dio cerca di fare morire Mosè dopo avergli dato il mandato? se poi avesse voluto ucciderlo ci sarebbe riuscito benissimo!


Come è noto, la mentalità semitica rifugge dall’astrazione, ignora praticamente i nostri concetti di cause seconde, le nostre distinzioni tra volontà antecedente e conseguente, tra volontà attiva e volontà permissiva da parte di Dio.Tutto ciò che esiste è attribuito globalmente a Dio e in maniera diretta (cf Is 45,7)


Probabilmente questo versetto, alla luce dell’intera rivelazione potrebbe essere compreso in questo modo: secondo il nostro linguaggio risulterebbero contradditorie le parole "cercò di ucciderlo" visto che Mosè era stato scelto per una missione tanto speciale; mentre forse, più verosimilmente, Dio permise solo che Mosè si ammalasse gravemente.


 


Mentre tu parti per tornare in Egitto, sappi che tu compirai alla presenza del faraone tutti i prodigi che ti ho messi in mano; ma io indurirò il suo cuore ed egli non lascerà partire il mio popolo. (Es 4,21)


Ma Dio non rispetta sempre il libero arbitrio?


Il dilemma che tu poni è stato proposto anche dallo stesso Paolo nella lettera ai Romani 9 quando dice:


14 Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! 15 Egli infatti dice a Mosè: Userò misericordia con chi vorrò, e avrò pietà di chi vorrò averla. 16 Quindi non dipende dalla volontà né dagli sforzi dell'uomo, ma da Dio che usa misericordia. 17 Dice infatti la Scrittura al faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra. 18 Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole 19 Mi potrai però dire: "Ma allora perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere?". 20 O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Oserà forse dire il vaso plasmato a colui che lo plasmò: "Perché mi hai fatto così?". 21 Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 22 Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, 23 e questo per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria, 24 cioè verso di noi, che egli ha chiamati non solo tra i Giudei ma anche tra i pagani, che potremmo dire?



Paolo non risolve il dilemma nella sua lettera. Tuttavia alla luce di quanto emerge da tutta la Scrittura si può trarre qualche conclusione come fa questo commento al brano citato:


Dio, nell'attuale piano di salvezza, si riserva sempre ed in modo esclusivo l’ iniziativa e l’azione, trascendendo ogni aspettativa umana. È Dio, con la più assoluta indipendenza da ogni elemento umano, che salva, mantenendo le sue promesse. Paolo esprime queste verità usando molti antropomorfismi e mantenendosi nell'ambito della mentalità semitica. Antropomorfìsmi: in noi la libertà di iniziativa è compresa quando, davanti alla possibilità di un'azione, sappiamo di poter fare il contrario. Paolo per dire che Dio è sommamente indipendente nella sua azione salvifica e per farlo capire, si esprime in termini di scelta e di alternativa: ha misericordia di chi ha misericordia, non l’ha di chi non l'ha, usa bontà verso chi vuole, indurisce chi vuole. Ciò non porta ad una discriminazione di fatto e solo un modo di dire che Dio usa misericordia, salva, solo in base a se stesso e alla sua bontà. Non si afferma che ci sia una parte dell'umanità e nemmeno un solo uomo, verso cui Dio, di fatto, non usi misencordia. Non deve perciò essere frainteso il modo di esprimersi di Paolo quando parla dell'indurimento del Faraone e Io attribuisce semplicemente a Dio (come fa anche l'Esodo, ma con varie sfumature che proprio permettono di isolare le diverse tradizioni "Dio indurisce " 9,12, 10,27, "il Faraone si indurisce" 7,15, 9,55), non vuol dire affatto che Dio abbia voluto direttamente quel fatto negativo, ma, preso atto del fatto concreto, lo riferisce a Dio globalmente, secondo la mentalità semitica, indicando come Dio sa trarre il bene dal male.


 


l9-23 Paolo avverte che il suo 'modo di dire potrebbe essere frainteso. Se Dio è autore di tutto e vuole tutto, se è lui che indurisce, come può poi lamentarsi, minacciare, biasimare: come può rimproverare l'uomo del suo comportamento peccaminoso, se è Dio che, irresistibilmente, vuole tutto questo? Il problema è posto in termini chiari. Ma Paolo avverte subito la difficoltà di una risposta adeguata: quindi, mentre implicitamente afferma che l'uomo è libero è responsabile, e che quindi Dio ha tutti i diritti di rimproverare, situa il problema nel suo contesto naturale: la trascendenza divina. Fa questo anzitutto con una interrogazione retorica: come può l'uomo mettersi a discutere, quasi da pari a pari con Dio fino a contraddirlo? È la posizione assurda con cui l'uomo pone dei problemi che toccano la trascendenza divina, posizione che Dio rimprovera, ad esempio, a Giobbe (58-39). Paolo porta poi l'esempio del vasaio; nello sviluppare l'esempio secondo il suo solito, mette in risalto un solo fatto: il vasaio è padrone assoluto, può costruire i vasi che vuole e come vuole, ha sempre lui la piena iniziativa: è assurdo che un vaso d'argilla si metta a discutere col vasaio. L'applicazione a Dio ribadisce la piena libertà di iniziativa e di azione, assoluta e senza alcun limite, che Dio ha nella salvezza. Ma non vuol dire di più: non ha senso perciò sviluppare i dettagli dell'esempio, facendone l'applicazione all'uomo. Anche nell'esempio del vasaio e nella sua applicazione a Dio abbiamo lo stesso antropomorfismo di cui sopra: la libertà espressa mediante la contrapposizione della possibilità contraria. A proposito in particolare del v. 24, notiamo l'anacoluto: Paolo non conclude il discorso, non dà esplicitamente una risposta alla domanda posta al versetto 19.


sopportò... vasi di ira approntati per la perdizione: si tratta in concreto degli uomini che, per i loro peccati e la non accettazione del messaggio evangelico, sono oggetto dell'ira divina, sono cioè in assoluta antitesi con Dio che salva. Essi sono stati e permangono approntati per la rovina eterna. Chi li ha messi in questa situazione? Il testo usa il perfetto passivo e lascia quindi la questione aperta: si potrebbe intendere come forma verbale media e allora si avrebbe la spiegazione: che si sono, essi stessi, approntati per la rovina, ma da altri contesti in cui si parla di ira di Dio (cf Rm 1,18; 2,5; 4,15; 13,4; ecc.) si suppone sempre un male morale che la provochi e che quindi le è antecedente. Come si comporta Dio di fronte a questi vasi di ira? Ci aspetteremmo una condanna radicale. Il testo invece dice: li sopportò con molta longanimità e la longanimità di Dio attende un possibile cambiamento. Infatti Dio manifesta, nella situazione attuale in cui essi si trovano, la sua ira, e se essi vi permangono la manifesterà ancora di più nel giorno dell'ira; ma Dio nel sopportare ha anche un altro scopo: mostra ciò di cui è capace, la sua potenza giustificante: potrà cambiare i vasi d'ira in vasi di misericordia.


Si suppone una situazione diversa. Ci sono vasi di misericordia, cioè uomini che, aderendo a Dio e accettando la salvezza del vangelo, sono oggetto attualmente dell'azione salvifica di dìo. In essi Dio manifesta la ricchezza della sua gloria, cioè una partecipazione quanto mai abbondante di se stesso, della sua vita divina. E fa ciò attivamente: li prepara (in contrapposizione con "preparati" del v. 22).


 



Da S.Agostino: 83 questioni.



Tratto dalla questione n.68



….Anche a proposito del Faraone si può facilmente rispondere che un tale indurimento del cuore, da non credere neppure ai segni più manifesti del volere divino, era la giusta conseguenza dei precedenti demeriti con i quali aveva perseguitato i forestieri nel suo regno. Da un’unica massa, vale a dire di peccatori, ha tratto fuori vasi di misericordia a cui prestare soccorso, quando i figli d’Israele lo avrebbero invocato, e vasi d’ira, cioè il Faraone e il suo popolo: col loro castigo avrebbe istruiti quelli; perché, sebbene gli uni e gli altri fossero peccatori, e di conseguenza appartenessero all’identica massa, era necessario tuttavia trattare in un modo coloro che avevano supplicato nei gemiti l’unico Dio, perché li soccoresse, e in un altro coloro che li avevano afflitti con ingiusti gravami. Ha sopportato dunque con grande pazienza i vasi di collera, già pronti per la perdizione 282. Con l’espressione con grande pazienza ha indicato a sufficienza i loro precedenti peccati, per i quali li aveva sopportati: li avrebbe vendicati a tempo opportuno, quando dalla loro punizione avrebbe prestato soccorso a quelli che sarebbero stati liberati. E questo per far comprendere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria 283. A questo punto forse sei confuso e ritorni sulla questione precedente. Egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole. Perché ancora rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere? 284 Senza dubbio usa misericordia a chi vuole e indurisce chi vuole, eppure questa volontà di Dio non può essere ingiusta. Scaturisce difatti da meriti assai occulti; anche gli stessi peccatori, sebbene a causa del comune peccato costituiscano un’unica massa, non sono tuttavia senza qualche differenza tra loro. In alcuni peccatori precede dunque qualcosa per cui, sebbene non siano ancora giustificati, sono degni di essere giustificati; e in altri peccatori precede ugualmente qualcosa per cui sono meritevoli di ostinazione. Altrove scopri lo stesso Apostolo che dice: Poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d’una intelligenza depravata 285. Averli abbandonati a un’intelligenza depravata equivale ad aver indurito il cuore del Faraone 286. L’aver disprezzato la conoscenza di Dio è stato il motivo per cui hanno meritato di essere abbandonati a un’intelligenza depravata.



5. È vero però che non dipende dalla volontà né dagli sforzi, ma dalla misericordia di Dio 287. Sebbene, infatti, qualcuno si renda degno della misericordia di Dio con grande gemito e dolore tanto per i peccati più lievi quanto per quelli più gravi e addirittura numerosi, ciò non dipende da lui, che si perderebbe se fosse abbandonato, ma dalla misericordia di Dio che viene in aiuto alle sue preghiere addolorate. Non basta infatti volere se Dio non usa misericordia. Ma Dio, che chiama alla pace, non usa misericordia se non precede la volontà, perché la pace in terra è per gli uomini di buona volontà 288. E poiché nessuno può volere, senza essere prevenuto e chiamato sia interiormente, dove nessun uomo vede, che esteriormente per mezzo della predicazione o di altri segni manifesti, risulta che è Dio a suscitare in noi questo stesso volere 289. Infatti a quella cena, che nel Vangelo il Signore dice di aver preparato, non tutti gli invitati hanno voluto partecipare, e quelli che sono venuti non sarebbero potuti venire senza essere stati invitati 290. Pertanto quelli non devono attribuire a se stessi di essere venuti, perché sono venuti su invito: né devono incolpare altri, ma se stessi, coloro che non sono voluti venire, perché erano chiamati a partecipare in piena libertà. La chiamata dunque suscita la volontà prima del merito. Di conseguenza se qualcuno attribuisce a se stesso di aver corrisposto alla chiamata, non può attribuire a se stesso di essere stato chiamato. Chi invece non ha risposto all’invito, come non ha avuto alcun merito per essere chiamato, così inizia a meritare il castigo per aver trascurato l’invito a venire. Ci saranno così due cose: Canterò, Signore, la tua misericordia e la tua giustizia 291. La chiamata dipende dalla misericordia; dalla giustizia dipende la felicità di coloro che hanno risposto all’appello e il castigo di coloro che hanno rifiutato di venire. Non si rendeva forse conto il Faraone dei vantaggi derivati al suo paese dalla venuta di Giuseppe 292? La conoscenza di questo fatto costituiva dunque per lui l’appello a non essere ingrato, trattando con indulgenza il popolo d’Israele. Rifiutando di corrispondere a quest’invito e rendendosi crudele verso coloro ai quali doveva umanità e indulgenza, ha meritato come punizione l’indurimento del suo cuore e una tale cecità di spirito da non credere ai numerosi e così grandi ed evidenti prodigi di Dio. Con questo castigo dell’ostinazione e del suo definitivo e visibile naufragio in mare, si poteva istruire il popolo che, a motivo della sua sofferenza, il Faraone aveva meritato, sia l’occulta ostinazione del cuore che la manifesta scomparsa tra i flutti 293.



6. Ora questa chiamata, rivolta secondo l’opportunità dei tempi, sia agli individui che ai popoli e all’intero genere umano, è segno di una disposizione elevata e profonda. Ad essa si riferiscono anche queste parole: Io ti ho santificato nel seno materno 294; e: Ti ho visto quando eri ancora nei lombi di tuo padre 295 e: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaù 296, che sono state pronunciate prima che essi nascessero. Forse possono comprenderle soltanto coloro che amano il Signore loro Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutta la loro mente e amano il prossimo come se stessi 297. Fondati in una così grande carità forse possono già comprendere con i santi la lunghezza, l’ampiezza, l’altezza e la profondità 298. Bisogna però ritenere con fermissima fede che Dio non fa nulla d’ingiusto e che non c’è alcuna natura che non debba a Dio ciò che è. A Dio si deve infatti ogni splendore, bellezza e armonia delle parti: se tu l’analizzerai a fondo e la eliminerai dalle cose fino alle ultime parti, non rimane più nulla.


[Modificato da Credente 07/04/2019 17:45]
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04/04/2011 21:48
 
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Genesi 2,21-22 viene così tradotta:

Gen 2,21 Allora il Signore Dio fece scendere un torpore sull'uomo, che si addormentò; gli tolse una delle costole e rinchiuse la carne al suo posto. 22 Il Signore Dio plasmò con la costola, che aveva tolta all'uomo, una donna e la condusse all'uomo.

Il fatto che Dio tolga la costola ad Adamo appare un pò strano, anche se può essere possibile al fine di plasmare la donna.

Tuttavia da una indagine sul termine originario da cui deriva la traduzione fatta,  possiamo giungere a un altro significato


Il testo descrive la creazione della donna come uscita da una costola di Adamo, potrebbe anche essere ma vi sono non  pochi problemi.

In primo luogo in tutto la Bibbia non vi è alcuna eco a questo fatto, cioè la questione della donna tratta da una  costola non ha alcuna citazione in nessuna parte altra parte della Scrittura.

La parola costola è tradotta nelle lingue moderne dal termine ebraico   (Tsela); si trova esattamente 40 volte nel testo Ebraico. Esaminando tutti i riferimenti ed il loro contesto la parola costola non è possibile in nessuna testo a parte Genesi 2:21-22. In tutti gli altri testi il testo ed il contesto obbliga ad una traduzione che alternativamente può essere lato, parte, divisione, metà. E, ripetiamo, mai costola! La parola costola la troviamo nella Bibbia solo in un altro testo dove la lingua originale non è l’ebraico  (Tsela), ma l’aramaico   (hala), un termine totalmente diverso.

La parola costola non risulta neppure nella traduzione greca dall’A.T., il testo della LXX, che traduce con il termine  (pleura) che non significa costola ma lato, fianco. Il testo è utilizzato solo 10 volte in tutta la bibbia di cui 6 nell’A.T. e 4 nel N.T., anche qui a parte Genesi 2:21, mai lo ritroviamo con il significato di costola, ma sempre con il senso di lato o parte.

La sola traduzione antica che traduce costola è la vulgata che traduce con il termine “costis” chiaramente costola. E lo si ritrova solo in Genesi 2:21. ciò significa che il bravo Girolamo trovandosi davanti al testo  (Tsela), lo ha interpretato e non ha considerato tutti i 40 testi ed il loro contesto per trarre il suo significato. È evidente che le traduzioni delle lingue moderne (inglese, francese, spagnolo, tedesco, italiano ecc….) nel tradurre questo testo si sono rifatte la testo latino e non hanno fatto un’analisi di tutti testi nel loro contesto.

Alla luce di questa riflessione testuale il testo dovrebbe essere tradotto diversamente e ed avere quindi un significato assai diverso. Dovrebbe essere tradotto come segue: Allora Dio il SIGNORE fece cadere un profondo sonno sull'uomo, che si addormentò; prese una delle costole parte(metà, lato) di lui, e richiuse la carne al posto d'essa” (Genesi 2,21).

 

Ne consegue che Eva sarebbe da considerare come una parte di Adamo,  come la sua metà. Il che rende la donna colei che è posta "a fianco" dell'uomo e con la quale egli ritrova il suo completamento.

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24/06/2011 12:19
 
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PERCHE' DIO ORDINO' LA DISTRUZIONE DEI SETTE POPOLI DI CANAAN E PERCHE' NON DIEDE AL SUO POPOLO LA POSSIBILITA' DI CONQUISTARE SUBITO LA TERRA PROMESSA

Il Signore promette a Mosè di far conquistare al Suo popolo la terra promessa in modo progressivo cacciando un popolo cananeo alla volta  e non tutti insieme. La Scrittura spiega questo così: " per evitare che le  bestie selvatiche riempissero il paese infestandolo". A prescindere dal significato immediato e materiale, è possibile che questa motivazione abbia un senso spirituale.
   Nel territorio dell'anima si possono vincere i vizi un poco alla volta e non di colpo, in modo che essa non si insuperbisca e in modo da far consolidare progressivamente in noi le virtù e il dominio su noi stessi in forza dei doni dello Spirito Santo acquisendo così con la collaborazione della nostra volontà un abitudine positiva. 
Le bestie che avrebbero potuto infestare il paese sono da mettere in relazione con quanto afferma Gesù dicendo che lo spirito impuro, scacciato da una casa (l'anima) trovandola spazzata e adorna prende con se altri sette spiriti peggiori ( sette vizi spirituali) per insediarsi in quella casa e rovinarla definitivamente. Tali bestie significano perciò altrettanti vizi.     Pertanto occorre combattere in modo mirato contro un vizio alla volta concentrando tutti gli sforzi contro di esso; con l'aiuto della Grazia riusciremo a vincere tutti i vizi che infestano il territorio dell'anima e far acquisire a Dio il completo dominio su di essa.

Il Signore poi comandò  a Giosuè di distruggere tutti gli abitanti della terra di Canaan formata da sette popoli; grandi e piccoli senza alcuna distinzione, con tutti i loro averi.
Significa che per poter arrivare a conquistare il Regno di Dio bisogna combattere senza tregua nè commiserazione ciascuno dei sette vizi capitali fino a distruggere ogni più piccolo e apparentemente innocuo attaccamento o passione dell'anima.

L'uscita dall'Egitto indica il distacco dal peccato e l'attraversamento del Mar Rosso indica la gioiosa liberazione attraverso il battesimo che immette in una nuova condizione di vita: l'attraversamento del deserto in cui la mancanza di gioie vane esteriori e l'assenza apparente di Dio significano per l'anima la purificazione da tutti i vani attaccamenti e a diffidare di se per imparare a confidare solo in Dio che la guida nascosto nella nube oscura simbolo della fede.
Se in questa condizione di deserto l'anima resta fedele come Giosuè e Caleb merita di essere introdotta nella terra promessa dove scorre latte e miele simbolo del conforto divino che nutre l'anima e la fortifica; questa è la condizione dei proficienti che con più gusto amorevole godono la luce interiore di Dio che si comunica ad essi con più facilità e provandoli con un combattimento proporzionato alle loro capacità e dando le vittorie nella misure della loro confidenza e fedeltà a Lui. Il Signore perciò combatte insieme all'anima per sottomettere al suo dominio ciascuno dei sette vizi.
Dopo queste vittorie frammiste però a sconfitte ed infedeltà, il Signore prepara il terzo stadio: quello del regno su tutto il territorio dell'anima simboleggiato dal regno di Davide che riunifica il popolo e diviene re di tutte le 12 tribù che simboleggiano la completezza del regno di Dio sull'anima, con tutti i suoi frutti.

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05/07/2011 13:46
 
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Che senso può avere il segno del bastone di Mosè che diventava un serpente?

L'ASTUZIA DELLA CROCE

Il Signore disse a Mosè di mostrare al Faraone come segno di essere inviato da Dio stesso, un bastone che si trasformò in serpente e divorò i bastoni trasformatisi in serpenti ad opera dei maghi egiziani.
    Successivamente nel deserto il Signore comandò a Mosè di innalzare un serpente di rame su un'asta di legno per guarire chiunque fosse stato morso dai serpenti velenosi.
Il significato è stato accennato da Gesù stesso dicendo: "Come Mosè innalzò il serpente nel deserto così sarà innalzato il Figlio dell'uomo";  

Ma viene spontanea la domanda: perchè proprio un serpente come simbolo per la salvezza? 
Il serpente
non è forse l'animale maledetto nel giardino di Eden che incarnava il tentatore e ne è il simbolo?

    La risposta la possiamo scoprire attraverso una raccomandazione che Gesù fece ai suoi discepoli: "siate astuti come serpenti".
   
Dunque anche Lui stesso, volendo essere raffigurato prima dal bastone serpente che divora i bastoni serpenti dei maghi e poi da un serpente su un'asta di legno, ha voluto mostrarci che con la sua morte sulla Croce è stato più  astuto dell'astuto serpente antico. 
A proposito di questa sapiente astuzia della croce S.Paolo dice in 1 Cor. 2,6:
"Tra i perfetti parliamo, sì, di sapienza, ma di una sapienza che non è di questo mondo, nè‚ dei dominatori di questo mondo che vengono ridotti al nulla; 7 parliamo di una sapienza divina, misteriosa, che è rimasta nascosta, e che Dio ha preordinato prima dei secoli per la nostra gloria. 8 Nessuno dei dominatori di questo mondo ha potuto conoscerla; se l'avessero conosciuta, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria. "

   Con questa sua immolazione, Gesù ha messo in atto un'opera imprevedibile che ha spiazzato completamente l'astutissimo avversario, il quale pur conoscendo molto bene le Scritture profetiche non ha saputo prevedere una mossa di quel genere e di tale portata, tale da poter soddisfare la INFINITA GIUSTIZIA DI DIO, pagando al Padre il totale prezzo del riscatto di infinito valore, in quanto Uomo completamente innocente e al contempo, vero Figlio di Dio, perfetto sotto ogni punto di vista.

1 Pietro 2,24 Egli portò i nostri peccati nel suo corpo
        sul legno della croce,
        perchè, non vivendo più per il peccato,
        vivessimo per la giustizia;
        25 dalle sue piaghe siete stati guariti.

Dunque l'astuzia del diavolo, il serpente che aveva affondato il dente avvelenato sull'umanità intera,  è stata vinta da Uno più astuto di lui e che anche noi siamo stati invitati a vincere mettendo in atto l'unica vera invincibile, astuta arma contro le forze malefiche che ci assediano, guardando e unendoci a Lui che è stato trafitto per darci la guarigione.

[Modificato da Credente 07/04/2019 18:09]
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05/07/2011 13:52
 
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LO STRANO INDOVINELLO DI SANSONE


"DAL DIVORATORE E' USCITO IL CIBO E DAL FORTE E' USCITO IL DOLCE" (Giudici 14,12-18)

Il leone che Sansone aveva squarciato, dopo che ebbe deciso di andare a prendere la donna che amava, si era riempito di uno sciame d'api e di miele; per cui Sansone promette a chi avesse indovinato il suo enigma trenta mute di vesti e trenta tuniche.
    Ma visto che nessuno riusciva a capire l'enigma, la donna di Sansone lo prega di spiegarglielo ed egli le rivela:
"CHE C'E' DI PIU' DOLCE DEL MIELE ?
 CHE C'E' DI PIU' FORTE DEL LEONE ?"

La donna confida il segreto agli amici ed essi ottengono il premio promesso.

Ma quale significato potrebbe ulteriormente nascondere un tale indovinello, considerato che nella Bibbia, anche i particolari apparentemente meno importanti possono invece contenere delle perle di valore.

 Questa storia e l'indovinello potrebbe racchiudere questo significato:
    Il leone squarciato rappresenta il Signore Crocifisso ( in Apocalisse Gesù viene definito "il leone di Giuda") da cui è uscito il dolcissimo miele del suo Amore che lo sciame delle anime succhiano e depongono in esso. La donna amata raffigura la Chiesa: essa non appartiene al suo popolo ma a quello dei pagani;  Sansone le rivela il segreto e lei lo divulga facendo ottenere il premio.

Divulghiamo anche noi il segreto del miele che sgorga dal cuore di Cristo e vi sarà abbondanza di salvezza e misericordia per tutti.
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10/03/2012 08:39
 
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Pontifex.RomaUna apparente contraddizione.

Dalla parola di Cristo, ad uno sguardo superficiale, confrontando le sue affermazioni fatte in due episodi diversi, potrebbe sembrare che Egli si sia contraddetto. 

Vediamoli. "Essendo giunto Gesù nella regione di Cesarèa di Filippo, chiese ai suoi discepoli: «La gente chi dice che sia il Figlio dell'uomo?». Risposero: «Alcuni Giovanni il Battista, altri Elia, altri Geremia o qualcuno dei profeti». Disse loro: «Voi chi dite che io sia?». Rispose Simon Pietro: «Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente». E Gesù: «Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la carne né il sangue te l'hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli. E io ti dico: Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia chiesa e le porte degli inferi non prevarranno contro di essa. A te darò le chiavi del regno dei cieli, e tutto ciò che legherai sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto nei cieli»" (Mt 16,13-19). In questo episodio Gesù dice a Pietro chiaramente che è stato ispirato da Dio, che non ha parlato secondo la logica e la falsa sapienza umana, delle "forze" umane: la "carne" ed il "sangue". Ma che ha parlato da parte di Dio.

Tuttavia, immediatamente dopo, nello stesso capitolo del cronologico Vangelo di San Matteo, avviene un altro episodio, collegato al suddetto dalle parole "da allora" del versetto 21; in questa occasione Gesù sembra dire all'Apostolo l'esatto contrario di quanto affermato in precedenza:

"Da allora Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno. Ma Pietro lo trasse in disparte e cominciò a protestare dicendo: «Dio te ne scampi, Signore; questo non ti accadrà mai». Ma egli, voltandosi, disse a Pietro: «Lungi da me, satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini!»" (Mt 16,21-23).

Gesù accusa l'Apostolo di non pensare secondo Dio ma secondo gli uomini. Proprio il contrario di quanto detto prima!

E per rincarare la dose lo chiama "satana"! Non penso che una persona potrebbe ricevere un appellativo peggiore e più grave di questo, e dalla bocca dello stesso Verbo!

Qualcuno potrebbe dire, superficialmente, che Gesù Cristo si è contraddetto.

Potrebbe dire che egli non conosceva il futuro. E che non aveva previsto che Pietro avrebbe preso quella grossa cantonata, parlando "secondo gli uomini".

Ma il Cristo è il Verbo del Padre, conosce ogni cosa, e lo ha dimostrato più e più volte. Perciò si potrebbe dire, sempre con superficialità, che, conoscendo lo sbaglio futuro di Pietro, sarebbe stato meglio se Gesù non avesse fatto quella domanda agli Apostoli (quella dei versetti 13-19 visti all'inizio) in quell'occasione, ma lasciare prima sbagliare Pietro e poi, dopo un bel pò di tempo, portarlo a quella risposta ispirata da Dio: così non vi sarebbe stata una contraddizione molto evidente.

Avremmo potuto pensare che Pietro PRIMA parlava secondo gli uomini, e poi dopo, progredito nello spirito, sarebbe diventato ispirato da Dio.

Invece anche noi, come la gente di allora, "pieni di stupore" (Mc 7,37) affermiamo con piena convinzione che il Cristo: "Ha fatto bene ogni cosa" (ibid.).

E' sapientissima la scelta del Signore.

Se infatti avesse fatto come proposto qui sopra, avrebbe rischiato di mandarci allo sbaraglio, “come fanciulli sballottati dalle onde e portati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, secondo l'inganno degli uomini" (Ef 4,14).

Perché non avremmo cercato la guida dell'insegnamento sicuro nell'istituzione VISIBILE che si tramanda per successione apostolica mediante “l'imposizione delle mani" (cfr. Atti 8,18; 1 Timoteo 4,14; 2 Timoteo 1,6; Ebrei 6,2), istituzione sempre viva, visibile e continua, ininterrotta: la Chiesa.

Ma l'avremmo cercata nella santità PERSONALE degli individui; nell'ispirazione (presunta o reale) privata PERSONALE di persone progredite e virtuose, o apparentemente tali. Il che avrebbe aperto la via al caos più totale. La santità infatti è cosa interiore.

Come distinguere il vero dal falso santo? Come distinguere il vero dal falso ispirato? Come distinguere il vero virtuoso dal simulatore? Come distinguere il vero ispirato da quello ipocrita, o da quello anche in buona fede ma ingannato dal maligno, il quale:

“si maschera da angelo di luce"? (2 Corinzi 11,14)

Ogni uomo, ogni pecorella sarebbe rimasta esposta all'arbitrio del Tizio di turno creduto ispirato, creduto la voce per mezzo della quale Dio parla agli uomini.

Non a caso la Divina e Sapiente Provvidenza ha ritenuto utile pubblicarci nell'Apocalisse un fatto apparentemente privato e personale accaduto durante la visione dell'angelo al grande San Giovanni Apostolo, il prediletto:

“Allora mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo, ma egli mi disse: «Non farlo! Io sono servo come te e i tuoi fratelli, che custodiscono la testimonianza di Gesù. È Dio che devi adorare»" (Apocalisse 19,9.10).

San Giovanni potrebbe forse essere il più grande santo della storia: cronologicamente il primo discepolo; Apostolo; Evangelista; Prediletto; unico degli Apostoli ad essere rimasto ai piedi della Croce; Mistico sapientissimo, il cui vangelo è il più mistico tra tutti e quattro; persino Profeta!!! Unico ad aver ricevuto da Dio in visione la conoscenza degli eventi futuri fino alla fine del mondo, al grande giorno del ritorno di Cristo. Colui che ha posato il capo sul Cuore Sacratissimo di Gesù.

Ebbene, questo portento e gigante di santo, mistico e profeta, Apostolo ed Evangelista, San Giovanni, vero e più grande Amante di Cristo, ha sbagliato il discernimento, e proprio durante un'esperienza mistica elevatissima: durante una visione recante la pubblica rivelazione da riportare nell'ultimo libro della divina Scrittura!

Ha scambiato la creatura col Creatore. Non si è accorto che quello era un angelo, e lo ha scambiato per Dio!

Ovviamente non ha la minima colpa per tutto ciò, perché lo ha fatto in buona fede. Ed infatti appena è stato redarguito dall'angelo, subito si è corretto.

Ma ciò per mostrare chiaramente che Giovanni è Santo, è Mistico, è Profeta, ma non è PietroE solo Pietro ha le chiavi del discernimento infallibile. Non altri. Nemmeno tutto l'episcopato della Chiesa, finché non riceve l'approvazione da Pietro.

Ebbene, è bellissimo vedere come la Provvidenza abbia ordinato gli eventi apposta in quel modo, per mostrare la differenza tra l'uomo, santo o non santo che sia, ed il MANDATO che Cristo fa all'uomo-suo-vicario: Pietro.

Ed ecco conciliata l'apparente contraddizione:

Nel primo episodio Pietro prende la parola e risponde per tutti: Pietro è il Pastore universale che guida la Chiesa... sta usando le Chiavi. E' ispirato da Dio. E' il Vicario di Cristo. Cristo parla per bocca di lui.

Nel secondo episodio non parla Pietro. Parla l'uomo Simone. Simone non usa la sua autorità di Pastore universale. Esprime un parere personale, come uomo. E sbaglia.

Traspare chiarissimamente la voce rassicurante del Cristo, come se volesse dire alle pecorelle di ogni secolo di non spaventarsi nel vedere gli eventuali peccati e sbagli personali persino dei Papi: quando parlano in qualità di Pietro, di Pastore universale, non sono loro a parlare ma “il Padre mio che è nei cieli". Per cui anche se peccano, quando insegnano in modo definitivo possiamo essere sicuri.

Possiamo essere sicuri di ciò che ci dice la Chiesa guidata da Pietro.

Per questo San Paolo nella prima lettera a Timoteo, al capitolo 3, definisce non la scrittura ma la Chiesa come colonna della verità:

“...voglio che tu sappia come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità".

Perché senza questa colonna persino la verità della Scrittura cade nel mare tumultuoso delle multiple interpretazioni umane e dei pareri discordanti degli uomini. Il protestantesimo lo testimonia benissimo: da quando Lutero ha introdotto il metodo del “sola Scriptura", escludendo la Chiesa nell'interpretazione, sono nate più di 25mila religioni pseudo-cristiane differenti.

Ecco tutto sintetizzato in modo mirabile e sapiente dal grande Papa San Pio X:

“Ma la verità, che si vedrà risultare dalla storia, è questa: che i primi Papi per vari secoli furono giustamente innalzati agli onori degli altari, avendo molti versato il sangue per la fede; che quasi tutti gli altri splendettero per egregie doti di sapienza e di virtù, sempre intenti ad istruire, a difendere e santificare il popolo cristiano, sempre pronti, come i loro predecessori, a dare la vita per rendere testimonianza alla parola di Dio.

 - Che importa (dacché sgraziatamente vi fu tra i dodici un apostolo malvagio), che importa se pochissimi fra tanti fossero stati meno degni di salire su quella suprema Sede, dove ogni macchia appare gravissima? - Dio lo permise per far conoscere la sua potenza nel sostenere la Chiesa, mantenendo un uomo infallibile nel suo insegnamento, benché fallibile col suo personale operare. (San Pio X, Catechismo Maggiore, Parte Terza, 142).

Pubblicazione a cura di Carlo Di Pietro (M.S.M.A.

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05/06/2012 11:43
 
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Il curatore del sito laparola.net ha inserito una serie di possibili risposte alle domande comuni che generalmente si pongono leggendo la Bibbia.
Siccome sostanzialmente possiamo concordare con le risposte offerte, almeno per quanto riguarda quelle date per il Vecchio Testamento, riportiamo  il link alla pagina dove vengono elencati i versetti considerati con le relative questioni svolte:

Domande su passi strani del Vecchio Testamento


[Modificato da Credente 07/10/2016 22:56]
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31/10/2012 17:37
 
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COSA VOLEVA DIRE S.PAOLO in 1Cor 15,29 ?
"Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?"

Cerchiamo di comprendere tale espressione.
Nel contesto della lettera non troviamo nessuna riprovazione esplicita a tale pratica e pertanto non ci è possibile concludere nè che l'apostolo la condividesse nè che la vietasse. Siamo quindi di fronte ad una tra le tante espressioni bibliche, vaghe e scritte quasi incidentalmente  e non certo  per farne ricavare una dottrina definita.

Sta di fatto che alcune sette del passato, ma anche del presente, hanno preso  questa usanza dei Corinti, come se si trattasse di una prassi corrente ed avallata da s.Paolo.
Per poter definire la questione però, ancora una volta, non basta la Scrittura, che in nessun altro punto lascia comprendere meglio questa usanza, per poter concludere che battezzandosi a favore di persone morte senza battesimo, tale battesimo abbia un qualche valore salvifico.

Quello che conta, e che può aiutarci a dare una definizione, ancora una volta, è la prassi trasmessa e seguita da tutta la Chiesa nel corso dei secoli. In parole povere anche in questo caso è impossibile discostarsi dalla tradizione costante vigente nelle comunità cristiane per poter risalire alle effettive disposizioni che si venivano consolidando nell'ambito di esse.
E' un altro classico esempio di come sia importante la tradizione non scritta per capire  cosa è meglio fare, e questo caso ne offre uno spunto significativo.
Ma cerchiamo di approfondirne il senso del versetto fin dove ci è possibile:
L'Apostolo pare alludere ad una pratica accettata da alcuni cristiani bene intenzionati, e consistente nel farsi ribattezzare per conto di un credente, o forse addirittura non ancora convinto cristiano, loro congiunto od amico, morto prima di avere, col battesimo, professato pubblicamente la sua fede. Sulla base di talune dichiarazioni del Signore, come Matteo 10:32-33; Marco 16:16 «Chi avrà creduto e sarà stato battezzato sarà salvato...», poteva nascere in molti catecumeni, colti dall'avvicinarsi della morte, il timore di non aver parte alla gloriosa risurrezione in Cristo Giovanni 6:39-40 se non erano entrati a far parte visibilmente della sua Chiesa quaggiù.
Da questo il loro desiderio d'esser battezzati per procura, affidata ad un cristiano.
C'era in questa pratica, senza dubbio, la convinzione che il battesimo fosse necessario per ottenere la salvezza, anche se per ottenerla ai propri cari morti si ricorreva ad una pratica libera. In questo contesto della lettera ai Corinti 15,29, Paolo non entra nel merito sulla opportunità o meno di tale pratica, ma si serve dell'argomento solo per convincere i destinatari della lettera che con quella pratica essi esprimevano consequenzialmente la fede nella resurrezione a cui tale battesimo per i morti era direttamente finalizzata. A tempo più opportuno, Paolo non avrà mancato di dare al riguardo le sue istruzioni; tanto che la pratica, d'altronde poco estesa finì collo sparire dalla Chiesa, e non la troviamo menzionata in nessuno dei Padri della Chiesa. Questo di per sè è molto importante e significativo perchè se la pratica fosse stata seguita nell'abito delle Chiese apostoliche, qualcuno dei Padri ne avrebbe fatto una qualche menzione. Ma non ne troviamo traccia. E' anche vero che l'argomento a silenzio non è sufficiente. Tuttavia, mancando gli scritti e mancando anche la prassi viva trasmessa attraverso il modo corrente di amministrare il sacramento del battesimo, non lasciano adito a dubbi che questa pratica non fosse in sintonia con il sentire unanime della Chiesa.Era, in fondo, il sentimento, più che la riflessione, che aveva fatto nascere la pratica in questione tra i primi Corinti.
Solo se ne trovano tracce al secondo secolo, tra gli eretici Cerintiani, Montanisti e Marcioniti. E' significativo, penso, il fatto che i Montanisti, che si possono considerare in un certo senso i precursori degli attuali pentecostali, usassero battezzare addirittura per procura le persone morte e quindi non disponibili a ricevere il battesimo; mentre i pentecostali attuali non ammettono neppure il battesimo fatto direttamente ai bambini: dovrebbero riflettere su quanto i primi cristiani di Corinto ritenessero importante il battesimo per ottenere la salvezza, addirittura ricorrendo ad un battesimo per procura.

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07/06/2013 23:55
 
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I versetti “imbarazzanti” della Bibbia:
una buona risposta

Una delle numerose accuse al cristianesimo cattolico è senz’altro quella di prendere alla lettera alcune partiaccettabili della Bibbia, chiedendo di contestualizzare in relazione all’epoca in cui furono scritte e alla mentalità allora diffusa, le parti oggi inaccettabili. Un esempio è il versetto21, 9 del Levitico (“Se la figlia di un sacerdote si disonora prostituendosi, disonora suo padre; sarà arsa con il fuoco.”) o i versetti 39 e 40 del capitolo 10 del libro di Giosuè (“La prese con il suo re e tutti i suoi villaggi; li passarono a fil di spada e votarono allo sterminio ogni essere vivente che era in essa; non lasciò alcun superstite. Trattò Debir e il suo re come aveva trattato Ebron e come aveva trattato Libna e il suo re. Così Giosuè battè tutto il paese: le montagne, il Negheb, il bassopiano, le pendici e tutti i loro re. Non lasciò alcun superstite e votò allo sterminio ogni essere che respira, come aveva comandato il Signore, Dio di Israele.”).

L’accusa è ovviamente quella di ignorare, o fingendo di ignorare, che in tali versetti – a quel che i cristiani stessi sostengono – parla pur sempre il Dio in cui dicono di credere. Si tratta di un’accusa che giustamente Marco Beccarianel suo blog su Panorama, ha definito la cherry picking fallacy (letteralmente, la “fallacia del raccogliere ciliegie”, altresì detta “fallacia di evidenza incompleta”), sostenendo e tentando di dimostrare, però, che «questo argomento sia a sua volta fallace, almeno nei confronti del cattolicesimo».

Infatti il cattolicesimo, spiega Beccaria, «non è una “religione del Libro”», lo dice il Catechismo della Chiesa cattolica al paragrafo 108«La fede cristiana tuttavia non è una “religione del Libro”. Il cristianesimo è la religione della “Parola” di Dio, di una parola cioè che non è “una parola scritta e muta, ma del Verbo incarnato e vivente”. Perché le parole dei Libri Sacri non restino lettera morta, è necessario che Cristo, Parola eterna del Dio vivente, per mezzo dello Spirito Santo ci “apra la mente all’intelligenza delle Scritture” (Lc 24,45)». Il cristianesimo è un avvenimento, un’esperienza di vita nella comunità ecclesiale, e la Bibbia è -ha proseguito Beccaria- «il racconto, composito e articolato in una gran varietà di forme, di come questa esperienza si è svolta e sviluppata in una storia lunga più di tre millenni». Un cattolico non si approccia ad essa come un manuale da seguire pedissequamente, un libretto di istruzioni, un elenco di istanze etiche alle quali obbedire. Come invece sono tenuti a fare ebrei, sopratutto, e islamici.

Sempre proseguendo con le indicazioni della Chiesa, leggiamo che «nella Sacra Scrittura, Dio parla all’uomo alla maniera umana. Per una retta interpretazione della Scrittura, bisogna dunque ricercare con attenzione che cosa gli agiografi hanno veramente voluto affermare e che cosa è piaciuto a Dio manifestare con le loro parole [...]. Si deve tener conto delle condizioni del loro tempo e della loro cultura, dei “generi letterari” allora in uso, dei modi di intendere, di esprimersi, di raccontare, consueti nella loro epoca. “La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa nei testi in varia maniera storici o profetici, o poetici, o con altri generi di espressione». La Parola di Dio, dunque, va interpretata alla luce della Tradizione e della vita della Chiesa.

In molti ritengono che la Chiesa abbia iniziato ad “interpretare” la Sacra Scrittura soltanto in seguito allo scontro con la modernità (dopo Darwin, Copernico o Galileo), ma in realtà «chi conosca anche superficialmente un po’ di storia culturale della civiltà occidentale sa che le cose non stanno così e che l’idea che la Sacra Scrittura vada interpretata su più livelli, con strumenti culturalmente raffinati e anche al di là della mera ricezione letterale è antica come il cristianesimo stesso», ha commentato Beccaria. Origene di Alessandria, ad esempio, all’inizio del III secolo dopo Cristo spiega come la Sacra Scrittura possa e debba essere interpretata allegoricamente, in relazione al fatto che i suoi autori umani non sono meri strumenti inconsci, bensì contribuiscono alla nascita del testo biblico con le loro conoscenze e con il loro stile. Nei primi Concili ecumenici (Nicea, Costantinopoli, Efeso, Calcedonia), ancora, i dogmi fondamentali del cristianesimo – trinitario e cristologico – sono affermati mediando la rivelazione biblica in termini e concetti presi di peso dal contesto culturale greco (ousiaphysishypostasis). Anche Agostino, ha proseguito con gli esempi Beccaria, dopo la conversione ha superato  le sua difficoltà nei confronti del testo biblico ascoltando le prediche di Ambrogio, vescovo di Milano, il quale faceva largo uso dell’interpretazione allegorica e filosofica dell’Antico Testamento.

Fin dalle sue origini il pensiero cristiano «ha letto e interpretato la Bibbia come un racconto e una riflessione teologica stratificata, complessa, articolata, e perciò bisognosa del dispiegamento di tutti i mezzi culturali disponibili per decodificarne appieno il senso». La Chiesa ha sempre insistito nella necessità di abbinare sempre, come fonti della fede cristiana, Sacra Scrittura e Tradizione, cioè il testo sacro e la storia delle sue interpretazioni alla luce della fede e del Magistero della Chiesa.

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26/11/2013 08:22
 
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Come spiegare le espressioni violente
dell’Antico Testamento?

Occorre innanzitutto rilevare che Dio ha sempre due aspetti, quello della giustizia e quello della misericordia. Nell’Antico Testamento, come ha spiegato il compianto card. Carlo Maria Martini«Dio prende per mano il suo popolo, lo corregge, lo educa e lo colloca nuovamente nel suo originario progetto di felicità». La sua è «un’opera di educatore [...]. Solo la malvagità dell’uomo lo provoca all’ira. Allora egli diventa un guerriero (Is 42,13) e combatte con potenza invincibile, servendosi anche delle forze della natura (Ger 30,23; 51,1) o di eserciti umani che diventano suoi strumenti di battaglia (Is 10,5; 13,3-5). Ma il suo scopo non è mai uno sterminio definitivo, come dimostra già la storia del diluvio, con Noè e la sua famiglia che sopravvivono (Gn 6,5-9,17). I suoi interventi, anche se a volte severissimi per la durezza di mente e di cuore degli uomini, sono interventi di punizione e di correzione, perché l’uomo si renda conto di avere sbagliato, di non poter farsi gioco di Dio, e così ritorni umilmente a lui, sempre pronto a perdonare (Is 10,24-25; 57,16-18).» (“Guida alla lettura della Bibbia”, p. 14,75).

A volte un padre amoroso e a volte un educatore severo che intende forgiare Israele,“popolo di dura cervice”. Un esempio: Dio chiede ad Abramo l’incomprensibile sacrificio di suo figlio Isacco, quando egli lo sta per uccidere viene però da Lui bloccato: questa è una sfida alla fede, è un’opera di educazione non è sadismo. Se dunque in questo modo si spiega il duro agire di Dio che talvolta si intravede nell’Antico Testamento, rimane la perplessità di fronte a diversi Salmi e cantici, in cui viene invocato il male, maledicendo i nemici propri e di Dio, chiedendo per loro distruzione, annientamento, scomparsa. Vari esempi sono nel Salterio e vengono definiti «salmi imprecatori». Una discontinuità con il messaggio evangelico del Nuovo Testamento.

Davvero illuminante la riflessione su questo, apparsa su “Avvenire”, del teologo Enzo Bianchi, priore della Comunità monastica di Bose. Innanzitutto ha rilevato che nonostante lo scandalo provocato, la Chiesa «non ha mai permesso di separare i due Testamenti, ha condannato chi lacera le Scritture, ha sempre proclamato che la parola di Dio è contenuta nelle Scritture di Israele e nelle Scritture dei cristiani in modo inseparabile». Tuttavia è comprensibile che «un cristiano che non sia ancora giunto alla piena maturità della fede fatichi a conciliare queste espressioni bibliche di violenza con la sua fede e la sua preghiera».

Eppure, ha spiegato, cosa ci sarebbe di contraddittorio? Perché scandalizzarsi? Perché essere ipocriti, come chi afferma che leggere la Bibbia allontana dalla fede? La preghiera non è solo ringraziamento o domanda. «Verso Dio», dice Bianchi, «si grida, si urla nei momenti dell’angoscia, della disperazione, della violenza subita (Gesù grida sulla croce!)»«La preghiera è una potenza che agisce nella storia, una forza da opporre allo strapotere del male e dei malvagi [...], pregare contro l’oppressore è pregare con l’oppresso, è invocare e annunciare il giudizio di Dio nella storia e sulla storia. Ci può essere, in questo, una “parzialità” che disturba il nostro buonismo: in realtà si prega nella storia e non fuori della storia, e la storia non è già redenta, né tutta santificata, ma esige giudizio, opzione, discernimento».

La preghiera, ha proseguito, «è scegliere di stare dalla parte della vittima piuttosto che dell’aguzzino; di essere vittima dell’ingiustizia piuttosto che artefice di essa. Nel Salterio abbondano queste espressioni in bocca a chi soffre, alla presenza di nemici, nemici suoi personali, nemici di Israele, oppure nemici di Dio: quei nemici che lo perseguitano, lo torturano, gli vogliono dare la morte. Ma, non lo si dimentichi, sono imprecazioni presenti sempre in salmi di supplica, comunque sempre rivolte a Dio o confessate davanti a Dio [...]. Sono gemiti, urla, suppliche accorate formulate in situazioni di disperazione. Certamente sono suppliche a volte eccessive; ma chi può mai pesarle e condannarle, se non si è trovato nella stessa situazione di violenza sofferta nella propria persona? Che cosa grideremmo noi in simili situazioni? E soprattutto: grideremmo stando davanti a Dio, invocando lui?».

Mutilare questi brani «significa diventare più poveri di quella testimonianza in “carne e sangue” che è presente nella Bibbia. Di fronte al male operante nella storia le “preghiere contro”, le invettive contenute nei salmi di supplica sono uno strumento di preghiera dei poveri, degli oppressi, dei giusti perseguitati: essi intervengono con le loro grida, visto che nella storia per loro non ci sono altri spazi!». Inoltre è significativo che di fronte all’ingiustizia subita, il credente si vieta di farsi giustizia da sé e non cede alla tentazione di rispondere al male con il male, alla violenza con la violenza, ma lascia fare alla giustizia di Dio.

Nell’Antico Testamento, ha concluso Enzo Bianchi, questi salmi imprecatori «costituiscono un radicale superamento della legge del taglione». Essi, se letti in verità, «non ci portano a scandalizzarci ma ci danno invece una grande lezione: questi oranti mostrano una grande pazienza. Non si fanno giustizia da soli, non ricorrono a strumenti di guerra, anzi mettono un freno all’istinto di violenza e si affidano unicamente a Dio. Questa la loro fede: ecco da dove nasce il loro grido a Dio».

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19/08/2014 14:59
 
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Cosa scrisse per terra Gesù ?
 C'è una cosa che mi ha sempre incuriosito: quando Gesù dice alla folla di perdonare l’adultera («Chi è senza peccato scagli la prima pietra») scrive con il dito sulla terra. Cosa scriveva? 





Risponde padre Filippo Belli, docente di Teologia biblica.

Il vangelo di Giovanni afferma, raccontando dell’episodio dell’adultera (Gv 8,1-11) che Gesù tracciava segni (8,6) e scriveva per terra (8,8). Il vangelo però non ci riporta né cosa scriveva Gesù né il significato del gesto.

Fin dall’antichità si sono susseguite numerose interpretazioni a riguardo. Una delle più famose e ancora oggi in voga - formulata per primo da Girolamo (IV-V secolo) - è quella secondo la quale Gesù scrive i singoli peccati di coloro che conducono la donna sorpresa in flagrante adulterio. Altri ritengono che, in consonanza con l’uso romano, Gesù scriva il suo verdetto nei riguardi della donna e dei suoi detrattori prima di pronunciarlo. Altri ancora segnalano che il gesto di Gesù col dito richiama la scrittura della Legge da parte di Dio su tavole (Es 31,18; Dt 9,10). Gesù scriverebbe, quindi, la nuova Legge dell’amore misericordioso. Per alcuni infine Gesù fa riferimento a Ger 17,13 in cui il profeta parla del tempio (proprio dove si trova Gesù in quel momento): O speranza d’Israele, Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva.

Questi tentativi a cui se ne possono sempre aggiungere altri, hanno tutti un medesimo risultato: ci lasciano con la bocca asciutta rispetto alla nostra sete di sapere. In effetti, nonostante il fascino che alcune ipotesi possono suscitare, nessuna di esse è convincente perché nessuna di esse è pienamente verificabile. Il mistero di quella scrittura rimane e forse deve rimanere tale in quanto almeno cattura l’attenzione.

In effetti il racconto evangelico ci fa vedere il gesto di Gesù che traccia segni e scrive per terra, ma non ci fa vedere ciò che ha scritto. Occorre allora guardare il gesto e comprenderlo nel suo attuarsi più che lasciarsi prendere dall’ansia di sapere che cosa ha scritto o disegnato. La scena così guadagna in spessore e in impressione visiva.

Un gruppo di facinorosi trascina la donna colpevole davanti a Gesù. Ma il motivo è malizioso, è per metterlo alla prova. Gli scribi e farisei in questione ce l’hanno più con Gesù che con la donna. Ha peccato, la Legge dice di lapidarla, tu che dici? È un chiaro tranello. La risposta secca - è da lapidare oppure no - lo metterebbe in fallo. Da una parte andrebbe contro la Legge, dall’altra lascerebbe attuarsi una condanna e un delitto perpetuati come vendetta nei suoi confronti. La donna è utilizzata come pretesto per questo.

Come a non volerli ascoltare, e disdegnando la propria attenzione, Gesù si china per terra a scrivere, lasciandoli nel loro livore. Ma quelli insistono. Il motivo dell’insistenza è proprio il gesto di Gesù che sembra non volerli ascoltare, né degnarli del proprio sguardo e parola. Gesù allora si erge in una risposta che li ammutolisce e che li riporta alla loro ipocrisia e infine alla propria responsabilità davanti a Dio: chi è senza peccato scagli la prima pietra. E di nuovo si china a scrivere. Il gesto di Gesù non impone nulla, non risponde alla cattiveria, se ne distoglie. Non è una battaglia a campo aperto, Egli non discute, non argomenta, non discetta, lascia che tutto si compia, ovvero che ognuno prenda le proprie responsabilità.

Non condanna Gesù: né la donna, né quei figuri. Che ognuno abbia la possibilità di andarsene per non peccare più. Alla donna lo dirà esplicitamente: non ti condanno, vai, e d’ora in poi non peccare più. Ma anche i facinorosi farisei e scribi ricevono la stessa possibilità, attraverso i silenziosi e enigmatici gesti di Gesù: che vadano, anch’essi, per non peccare più.

A volte i gesti - lo sappiamo - hanno più efficacia di molte parole.

-------------------------------------------

Il commento riportato sopra tuttavia non appaga la nostra curiosità di sapere cosa Gesù abbia effettivamente SCRITTO, e, considerato che non ci è pervenuto nulla di scritto di suo pugno, considerata l'estrema importanza della Sua Persona divina e della Sua missione per tutta l'umanità, sarebbe quantomeno comprensibile fare qualche tentativo per cercare una risposta a questa domanda.
E' pur vero che se l'evangelista non ha riferito il contenuto di quei due testi, può significare o che non hanno molta importanza, oppure più verosimilmente, avvolgendoli nel mistero, vuole spingere noi a ricercarne il senso.
Gesù non ci ha lasciato nulla di scritto. Ma ha voluto che altri scrivessero di Lui.
L'unica testimonianza che abbiamo, e cioè che Egli, il Signore ed il Maestro, abbia scritto qualcosa, la troviamo in Gv 8,6-8 dove risulta che si è chinato per ben due volte a scrivere qualcosa. Ma di tali Scritture,  non ci viene riferito il prezioso e misterioso contenuto.


Rileggiamo intanto le parole dell'evangelista, oggetto della ricerca:

Giov 8,6-8  Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra. E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei».
E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.

-------


Inquadriamo la scena.
PRESENTANO  a Gesù il caso di una peccatrice su cui esprimere un GIUDIZIO.
Viene interpellato e Gesù non si sottrae alla difficile questione.
Salomone fu interpellato per un giudizio molto difficile, e diede una illuminata sentenza che mostrò la sua sapienza come ispirata.
Ma ora lì c'era Uno che era ben più di Salomone e che ben poteva uscire da una simile controversia apparentemente senza via di scampo, dove si trattava nientemeno che di conciliare la giustizia di Dio con la misericordia che quel Maestro andava predicando e praticando.
Come poteva uscirne senza far prevalere una misericordia senza giustizia, oppure una giustizia senza la misericordia?
Ma il Giudice mostra la Sua Sapienza e la sua Grandezza.

Si china due volte a scrivere per terra .
Il Giudice emette delle sentenze e siccome riguardano molto più che il solo caso specifico ma un problema generale, è molto interessante indagare su cosa possa aver sentenziato.
Davanti a Lui c'era infatti non solo quella donna ma anche i suoi accusatori.
Nelle parole che Gesù rivolse agli accusatori, possiamo arguire cosa potrebbe aver scritto, tenendo presente che Egli era anche il Legislatore e il Giudice supremo, e che quindi non poteva ignorare la Legge.
Ma non poteva ignorare neppure che gli accusatori, secondo tale Legge, erano tutti passibili della stessa sorte che sarebbe dovuta toccare alla donna.
La legge fu data per far conoscere la peccaminosità dell'umana natura e per la Legge tutti sono sotto la condanna.
Cosa dunque potrebbe aver scritto, tenendo presente questa tragica realtà umana, secondo la Legge, che Egli giusto Giudice doveva necessariamente rilevare?

Gesù scrisse la inevitabile sentenza prevista dalla Legge,  non solo riferita alla donna  ma anche ai suoi accusatori il cui cuore Gesù conosceva:

TUTTI CONDANNATI


La infinita giustizia divina esigeva questo, senza sconti. Con tale sentenza Egli dichiarava valida la Legge e l'esigenza di ottemperare alla giusta condanna di chi non la metteva in pratica. E siccome TUTTI SONO VINCOLATI DA ESSA per tutti valeva quella sentenza.

Ricordiamo che in Ger 17,13 vi è una emblematica espressione: "  Signore, quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato la fonte di acqua viva, il Signore.

Tutti, messi a nudo nelle loro coscienze, dalla imperiosa Parola del Giudice, che li invitava ad eseguire la condanna, rimasero freddati dalla condizione posta da Lui e cioè la necessità di essere  puri da colpe per poterla eseguire.
La loro reazione di fronte a tali parole del Giudice, mostrò che essi riconobbero di essere stati peccatori come lo era stata la donna e sentirono come applicabile anche  a loro, la condanna che volevano venisse inflitta solo alla donna.
Mentre essi, uno ad uno abbandonavano il consesso di quel singolare tribunale, Gesù si chinò di nuovo per scrivere una seconda sentenza.
Cosa scrisse questa volta il Giudice divino, mentre tutti riconoscevano il loro stato di miseria?
Sia la donna che tremante taceva al cospetto di Colui che ben avrebbe potuto colpirla con quella condanna appena scritta, sia anche gli accusatori che avevano appena ammesso andandosene, la loro colpevolezza.

 Gesù scrisse la sua seconda sentenza, ed ancora una volta si riferiva a tutti:
TUTTI RISCATTATI

Il prezzo del riscatto sarebbe stato da Lui stesso pagato con la sua passione e morte per i peccati non solo della donna ma anche di quei suoi accusatori che non erano senza peccato, e scrive così sulla faccia della terra la Legge nuova della Grazia fondata sul suo sacrificio.
S.Paolo precisa infatti:
Col 2,14 "annullò il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli.
Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce.
"


Gesù dunque è stato convocato in giudizio e il Giudice ha emesso una sentenza che interessa non solo quella peccatrice ma che coinvolge tutti indistintamente.
Nessuno infatti,  con quell'invito a scagliare la pietra, può dirsi esente da peccato. 
Il Giudice lo sa bene e scrive sulla terra il suo terribile verdetto.

Ma proprio nel momento in cui tutti riconoscono di essere dei peccatori, il Giudice  della terra scrive sulla polvere la sua adorabile decisione, il VERDETTO FINALE, che prevede che la giusta pena non è revocata, bensì comminata in tutta la sua drammatica durezza. Tutti i peccatori saranno riscattati dalla pena che il Giudice pagherà per tutti alla giustizia divina, in qualità di uomo innocente.
Ecco dunque in che modo quel nuovo Salomone è riuscito a trovare la soluzione ad una controversia senza vie d'uscita, conciliando la infinita giustizia di Dio con la sua infinita misericordia.
Quale giudice umano ha mai decretato una così dura e giusta pena che egli stesso si sia impegnato a pagare per il condannato?  Solo Gesù ha fatto questo !!!




[Modificato da Credente 07/04/2019 19:45]
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28/08/2014 10:46
 
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In una lettera di Paolo di Tarso a Timoteo si legge: «La donna impari in silenzio, in piena sottomissione. Non permetto alla donna di insegnare né di dominare sull’uomo; rimanga piuttosto in atteggiamento tranquillo. Perché prima è stato formato Adamo e poi Eva; e non Adamo fu ingannato, ma chi si rese colpevole di trasgressione fu la donna, che si lasciò sedurre». Come si giustifica questa scarsa considerazione di San Paolo, che considero grandissimo, verso la donna?
Gian Gabriele Benedetti


Risponde don Filippo Belli, docente di Teologia biblica alla Facoltà teologica dell'Italia centrale.

Il testo in questione è tratto dalla prima lettera a Timoteo. È certo che brani di questo genere scandalizzino un po’ la nostra sensibilità attuale. Nessuno si permetterebbe di pronunciare simili parole, soprattutto in pubblico e apoditticamente. Ora, occorre perlomeno precisare alcune cose del contesto in cui queste parole furono scritte, capirne il significato, ma anche cercare di comprendere se esse hanno ancora un valore oggi e quale.

Quattro considerazioni su questo testo mi sembrano importanti.

La prima è che praticamente tutta la prima lettera a Timoteo è, direi, una messa in guardia da  abusi, deviazioni, confusioni che possono minare la vita della Chiesa. Paolo stesso indica lo scopo dello scritto: «voglio che tu sappia come comportarti nella Casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente» (1Tm 3,14-15). Non deve sorprendere allora di ritrovare in numerosi punti della lettera richiami, ammonizioni e correzioni. Fa parte del ministero apostolico, come succede anche oggi. Evidentemente sul punto in questione c’era qualche problema, diciamo dei rischi di abuso. È proprio in forza della novità cristiana, la quale aveva introdotto una sostanziale uguaglianza (non c’è Giudeo né Greco, né uomo né donna, né schiavo né libero, ma tutti siete Uno in Cristo Gesù Gal 3,28) che potevano accadere fatti spiacevoli, soprusi, protagonismi, come molti punti delle lettere paoline ci testimoniano.

La seconda considerazione è che se è vero che Paolo ha qualcosa da dire sul comportamento delle donne in assemblea, è vero anche che lo stesso fa per gli uomini richiamandoli a una preghiera che sia sincera: voglio dunque che in ogni luogo gli uomini (leggi i maschi) preghino, alzando al cielo mani pure, senza collera e senza polemiche (1Tm 2,8). Ce n’è dunque anche per loro. Ma la stessa cosa vale per ogni categoria di persona: vescovo, presbitero, diacono, schiavo, insegnanti, ecc. ai quali Paolo rivolge severi ammonimenti.

La terza considerazione parte da una constatazione: nella stessa lettera ci sono due accenni al un ruolo positivo e costruttivo della donna nella vita della Chiesa. In 3,11 Paolo sembra alludere alla possibilità di un ministero diaconale anche femminile (la cosa a dire il vero è molto discussa, ma non si può escludere) e in 5,3ss anche le vedove sono ritenute una risorsa per la Chiesa, qualora non deviino dal loro status. Nonostante la durezza del linguaggio, non si può dire allora che Paolo abbia una visione totalmente e assolutamente negativa della donna.  Tanto più se teniamo in conto tutto l’epistolario paolino e non soltanto la nostra lettera.

Infine, è da ricordare che Paolo scrive in un contesto culturale certamente diverso dal nostro, nel quale la donna era vista in modo sicuramente diverso da come oggi la consideriamo e che l’idea della sua sottomissione all’uomo era l’idea fondamentale (è arrivata fino ai giorni nostri comunque!). In questo caso Paolo, come anche in altri - vedi gli schiavi - non fa rivoluzioni, ben cosciente che la vera rivoluzione avviene con il cambiamento del cuore e non con cambiamenti strutturali immediati (che invece seguiranno nel tempo grazie anche al cristianesimo). È da considerare per esempio che in ambito giudaico era impensabile (e lo è tutt’ora in gran parte dell’ebraismo) che una donna partecipi attivamente e ministerialmente  alla liturgia sinagogale. Anche le motivazioni teologiche addotte, la primazia creaturale dell’uomo sulla donna e la fragilità della prima donna alle lusinghe del peccato sono tipicamente giudaiche e alle queste Paolo si attiene da buon giudeo.
Detto tutto questo, abbiamo cercato di «giustificare» Paolo e le sue affermazioni nel loro contesto.

Ma dobbiamo domandarci se queste parole abbiano ancora un valore per noi oggi e quale, o se non dobbiamo invece tralasciarle come retaggi culturali ormai sorpassati. Ma quest’ultima soluzione significherebbe non lasciare che la Parola di Dio illumini il nostro cammino e decidere da noi stessi quello che vale in essa e quello che si può abbandonare. Essa però non sarebbe più, secondo l’espressione della lettera agli Ebrei, viva, efficace e più tagliente di una spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e del corpo, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore (Eb 4,12)

Mi permetto quindi tre brevi riflessioni.

La prima, forse molto utile oggi in un contesto in cui si vuole a tutti i costi eliminare la differenza sessuata tra maschio e femmina, consiste nel fatto che è nella struttura stessa delle cose che l’uomo e la donna siano diversi. La differenza sessuale non è un mero dato fisiologico e funzionale, ma stabilisce anche caratteristiche diverse come temperamento fondamentale, come attitudini generali, e quindi anche come ruolo nell’economia globale della vita, soprattutto familiare e sociale, ma anche ecclesiale. Non a caso la Chiesa cattolica si rifiuta di cedere a istanze egualitarie che non rispettino, per il bene della donna stessa, tale differenza. Le parole di  Paolo richiamando ciascuno dei due sessi ai loro fondamentali difetti e derive possibili (l’ira e la vis polemica per gli uomini e la chiacchiera, la vanità e la volontà di riscatto per la donna) non fanno che avvertire tutti noi ancora oggi di questo dato fondamentale che, se vissuto bene, assicura un ordine e una pacifica convivenza.

In secondo luogo, per entrare nel vivo, gli ammonimenti di Paolo sono buoni in sé, tenendo conto delle possibili derive e abusi che un comportamento smodato possono ingenerare. Senza generalizzare e assolutizzare, non è tanto raro trovare nelle nostre comunità cristiane combriccole di donne che soprattutto con chiacchiere, pettegolezzi, pretese, minano la serenità della vita comunitaria. Quindi le parole di Paolo in questi casi valgono ancora, eccome!

Infine la finale di questo brano mi sembra sia un bell’elogio a ciò che è più proprio alla donna, e cioè la maternità, con la quale essa esprime al meglio la sua precipua condizione femminile. Se è vero che tutti siamo peccatori, Paolo vede nella maternità, nella cura e educazione dei figli la possibilità concreta per ogni donna di riscattare a pieno se stessa, di nobilitare la propria vita davanti a Dio e agli uomini vivendo ciò che è più importante vivere: le virtù teologali e la santità e sapienza, ma non in astratto, ma nella concreta maternità. Quanto abbiamo oggi bisogno di donne che facciano figli, e che li educhino nella fede, nella carità e santificazione. Che queste parole di Paolo ci siano di aiuto e sprone a favorire questa grande opera della vita che è la maternità.

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12/10/2017 13:48
 
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Perchè le due genealogie di Gesù fornite da Matteo e da Luca non coincidono


Quesito


Gentile padre Angelo, 
ci terrei tanto che mi aiutasse a capire una questione che fino ad ora mi ha lasciato sempre un po' perplesso, mi riferisco alla genealogia di Gesù.
Il vangelo di oggi riporta la genealogia secondo Matteo, partendo quindi da Abramo. Luca invece nel suo vangelo espone un'altra linea genealogica partendo da Gesù di figlio in padre fino ad Adamo. La domanda che mi sono sempre fatto e alla quale difficilmente ho avuto risposte soddisfacenti è: Perchè queste due genealogie non coincidono? Perchè mentre Matteo parte da Abramo Luca parte da Adamo? 
La ringrazio e auguro di vivere a Lei e ai Suoi cari un Santo Natale!!!
Gaetano


Risposta del sacerdote

Caro Gaetano,
1. La genealogia riferita da S. Luca e quella riferita da S. Matteo hanno gli stessi nomi da Davide fino ad Abramo, ma da Gesù a Davide hanno solo due nomi comuni, Giuseppe e Zorobabele.
Due sono le tesi escogitate dagli esperti per sciogliere tale difficoltà.

2. Alcuni pensano che S. Matteo abbia tramandato la genealogia ufficiale di Gesù, e cioè gli antenati di S. Giuseppe e che S. Luca offra invece la genealogia reale, ossia gli antenati di Maria.
Secondo questa sentenza, da parte di san Giuseppe Gesù discenderebbe da Davide per la linea di Salomone, mentre da parte della madre discenderebbe da Davide ma per la linea secondaria di Natan.

3. La maggior parte degli interpreti sia antichi che moderni ritiene che i due Evangelisti riferiscano entrambi la genealogia di S. Giuseppe, e per spiegare le divergenze ricorrono alla legge del levirato (Dt 25,5-10; Mt 22,24ss.), la quale voleva che se un uomo fosse morto senza figli, il suo più prossimo parente ne dovesse sposare la vedova, e il primo figlio che fosse nato venisse considerato come figlio del defunto, a cui succedeva nei diritti e nell'eredità.
Se perciò Giuseppe secondo S. Matteo è figlio di Giacobbe e secondo S. Luca invece è figlio di Eli, ciò proviene dal fatto che Giacobbe ed Eli erano due fratelli solo da parte di madre.
Morto Giacobbe senza lasciar figli, Eli sposò la vedova cognata e generò Giuseppe, il quale, benché figlio naturale di Eli, dalla legge però veniva considerato come figlio di Giacobbe.
S. Matteo quindi riferirebbe la genealogia legale di Gesù, mentre S. Luca riporterebbe la reale.
Giulio Africano che fu il primo a dare questa spiegazione, dice di averla ricevuta dagli stessi parenti di Gesù, che ancora vivevano.
Questa opinione è più probabile.

4. San Luca parte da Adamo perché scrive il Vangelo per dei cristiani convertiti dal paganesimo e con questo vuole sottolineare che Gesù non è Messia solo per gli ebrei ma per tutto il genere umano.
Matteo, invece, poiché scrive il Vangelo per degli ebrei convertiti. Inizia da Abramo perché secondo la promessa il Messia doveva nascere dalla stirpe di Abramo.

-----------------------------------

Per illustrare meglio la seconda ipotesi ecco una spiegazione più articolata:

Le due genealogie di Gesù Cristo



Le genealogie di Gesù Cristo sono presentate in Matteo 1:1-17 e in Luca 3:23-38. Non deve sembrarci strano il fatto che esistano due genealogie. Tutti hanno due genealogie: una da parte del padre ed una da parte della madre. Il padre di Gesù era Dio, quindi non poteva avere una genealogia dal suo padre naturale. Tuttavia la sua condizione legale nella società dipendeva dall’uomo che si pensava fosse suo padre, cioè Giuseppe. Questo è il motivo per cui la Parola di Dio dà due genealogie. Ci sono due problemi che riguardano queste genealogie. Il primo è collegato al fatto che, mentre Matteo nella sua genealogia (Matteo 1:16) ci dice questo:

“Giacobbe generò Giuseppe, il marito di Maria”

e cioè che Giuseppe era figlio di Giacobbe, Luca, nella sua genealogia ci dice:

Luca 3:23
“E Gesù aveva circa trent’anni e lo si credeva figlio di Giuseppe, figlio di Eli; figlio di Matthat…”

Si crea questo problema perché le persone di solito considerano questa genealogia come la genealogia di Giuseppe. Ma la genealogia non è di Giuseppe, è di GESÙ. Gesù, che secondo la società era figlio di Giuseppe, figlio di Eli, figlio di Matthat ecc., non era figlio di Eli da parte di Giuseppe poiché, secondo Matteo, Giuseppe non era stato generato da Eli ma da Giacobbe. In che modo, quindi, Gesù era figlio di Eli? La risposta è questa: naturalmente attraverso Maria1.

Un altro punto che è stato una fonte di polemica riguarda il conteggio delle generazioni nel verso 17 di Matteo, dove leggiamo:

Matteo 1:17
“Così, tutte le generazioni da Abrahamo fino a Davide sono quattordici generazioni; e da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni; e dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni.”

Leggendo questo passo, molte persone che leggono i 3 quattordici menzionati, invece di trovare quei tre quattordici, trovano un quarantadue (42). Ma in realtà, dove la Parola parla di quarantadue generazioni? In nessun punto. Semplicemente parla di tre gruppi di quattordici generazioni ciascuno. Quali sono questi gruppi? La risposta delle Scritture è molto chiara:

Il primo gruppo va da Abrahamo fino a Davide. In realtà:

da Abrahamo fino a Davide sono quattordici generazioni”

“Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda, Fares, Esrom, Aram, Aminadab, Naasson, Salmon, Booz, Obed, Iesse, Davide”

Il secondo gruppo va da Davide fino alla deportazione in Babilonia. L’errore di molti è di cominciare a contare da Salmon, nonostante la Parola dica “DA DAVIDE”. Seguendo la Parola abbiamo quindi:

da Davide fino alla deportazione in Babilonia, quattordici generazioni”

“Davide, Salomone, Roboamo, Abia, Asa, Giosafat, Ioram, Ozia, Ioatam, Acaz, Ezechia, Mannasse, Amon, Iosia”

Questo è il gruppo regale di quattordici generazioni poiché tutti, in questo gruppo, sono stati re. Il gruppo comincia con Davide e si chiude con Iosia, l’ultimo re del regno.

Per quanto riguarda il terzo gruppo, ci viene detto che va dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo. Quindi:

“dalla deportazione in Babilonia fino a Cristo, quattordici generazioni.”

Ieconia2, Salatiel, Zorobabel, Abiud, Eliakim, Azor, Sadok, Achim, Eliud, Eleazar, Matthan, Giacobbe, Giuseppe, Gesù.

Risulta evidente, quindi, che quando la Parola dice tre gruppi di quattordici generazioni intende esattamente quello. Se proviamo a cercare quarantadue generazioni, cerchiamo qualcosa che la Parola non dice e ovviamente avremmo delle difficoltà.

Anastasio Kioulachoglou

Italiano: Alesia M. (Christian-translation.com)

 



Note

1. Non deve apparire strano il fatto di trovare il nome del marito di Maria, piuttosto che quello di Maria stessa. Se andiamo a leggere le varie genealogie menzionate nella Bibbia, avremmo la conferma che è davvero raro trovare il nome di una donna. Lo stesso accade con le genealogie date in Matteo e in Luca in cui non viene menzionata nessuna donna. La ragione di questo probabilmente va cercata nei costumi orientali delle terre e dei tempi della Bibbia

2. Sebbene si faccia riferimento a Ieconia due volte, la prima volta in Matteo 1:11, dove si dice che lui e i suoi fratelli sono stati generati “AL tempo della deportazione in Babilonia”, e la seconda volta in Matteo 1:12, dove si dice che “DOPO la deportazione in Babilonia, Ieconia generò Salatiel…”, Ieconia deve essere incluso in uno solo dei due gruppi che hanno come confine la deportazione in Babilonia. Questo perché (rispetto a Davide nel caso del primo e del secondo gruppo) il confine non è Ieconia ma la deportazione in Babilonia, e quindi Ieconia, nel conteggio, deve essere inserito solo da una parte di questo confine. Il gruppo in cui è incluso Ieconia è il terzo, poiché in qualunque altro caso il secondo gruppo avrebbe avuto quindici generazioni e il terzo soltanto tredici, e questo non è quello che dice la Parola.




[Modificato da Credente 12/10/2017 18:48]
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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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