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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol.1)

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2010 09:53
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29/11/2010 22:37
 
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Tratto da una riflessione di Mons.Riboldi

Ci fu, nella storia dell'uomo, un inizio, che coincide con la sua stessa creazione.

Sappiamo che Dio, dopo aver creato tutte le cose, i famosi giorni della creazione progressiva, alla fine creò l'uomo. Era 'necessario', poiché Dio, creando il mondo, meravigliosamente bello, infinitamente bello, aveva di fronte a Sé una bellezza 'senza cuore', incapace di mettersi in dialogo con Lui e contraccambiare il Suo amore. Dio, 'grande nell'amore', sentiva l'esigenza di partecipare questo Suo amore a qualcuno che ne potesse avere piena consapevolezza, il più possibile. L'Amore 'esige' amore, ma libero per sua natura, ossia capace di dire sì o no. Un rischio che Dio non ebbe paura di correre...

In questa prima domenica di Avvento, che fa memoria della storia della creazione, è bello ricordare da dove veniamo e la ragione della nostra esistenza.

"Alla fine – racconta la Bibbia – Dio creò l'uomo a Sua immagine... lo collocò nel giardino dell'Eden, con l'ordine di saziarsi di tutti gli alberi che erano sulla terra, con la sola eccezione dell'albero che infonde la conoscenza di tutto'.

La fedeltà all'amore ebbe la sua prova con la tentazione del serpente. Questi nella sua malizia cercò di guidare l'uomo a diventare antagonista di Dio e l'uomo e la donna si lasciarono ingannare, per poi, subito, accorgersi dell'errore – quello che noi definiamo il peccato originale - ; rinnegando Dio si accorsero di avere perso tutto e quindi di essere 'nudi'.

Quello che stupisce è che, anche se lo stesso peccato ha come conseguenza una 'pena' o 'punizione', cioè di escluderci dalla comunione con Lui, Dio cercò l'uomo, come continua oggi a cercarci: ' Uomo, dove sei? '. 'Mi sono nascosto, perché sono nudo'.

In quel momento era avvenuta la rottura del nostro necessario rapporto con Dio. E sappiamo tutti, per esperienza, quali siano le conseguenze della storia dell'uomo, dell'umanità senza Dio: è lo stesso smarrimento, inferno, che conobbero i nostri progenitori.

E la vita sarebbe un'impossibile via crucis, se il Padre non fosse rimasto fedele al Suo Amore per noi, lo stesso Amore che lo aveva spinto a crearci.

Lui solo poteva tenderci una mano, Lui solo riaprire le porte della speranza. E lo fece in un modo incredibile, offrendo a noi, come riscatto, la vita del Suo stesso Figlio, Gesù, che accettò di venire da noi, mettersi nei nostri miserabili panni, provare cosa sia vivere senza l'amore del Padre e alla fine pagare il prezzo più alto, per tornare 'nell'Eden', nella 'Casa del Padre', cioè la comunione con Lui, vera ragione del nostro esistere... sempre che lo accettiamo!

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30/11/2010 13:54
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Vi farò pescatori di uomini

È difficile per noi immaginare come un voce, un invito, un richiamo possa essere decisivo per la vita di una persona. Solo pensando al fascino che Gesù esercitava con tutta la sua persona, e con la sua divina autorità, riusciamo a comprendere come semplici e rozzi pescatori, abbiano potuto, senza esitazione, lasciate le reti, e con esse tutte le loro umane sicurezze, mettersi alla sua sequela. È evidente che l'eco di quanto il Maestro di Nazaret andava facendo e dicendo, fosse arrivato anche sulle spiagge del lago di Tiberiade, anche agli orecchi e al cuore dei due fratelli pescatori Pietro e Andrea. Resta comunque vero che per giungere alla determinazione di «lasciare tutto», cambiare completamente vita, occorre una grandissima fiducia in colui che chiama. A maggior ragione se si pensa che Gesù non fa promesse, non dà sicurezze, non offre compensi, anzi ad uno scriba che esprime il desiderio di volerlo seguire dice: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo».
A Pietro e ad Andrea ha da scandire solo una proposta, non di immediata comprensione: «Vi farò pescatori di uomini». «Ed essi subito, lasciate le reti lo seguirono». Gesù non si ferma! «Andando oltre vide altri due fratelli». Davvero è andata oltre quella voce suadente: quanti e quante hanno sentito lo stesso invito di Andrea e con la stessa sollecitudine, hanno lasciato tutto per seguirlo. Questo ricordo degli apostoli ci sprona a rendere grazie per la chiamata e per tutte le chiamate. Ringraziamo perché sul fondamento degli apostoli poggia la nostra fede. Ringraziamo tutti coloro che in modi e momenti diversi offrono la stessa loro preziosa testimonianza. Ringraziamo il buon Dio se ciascuno di noi si sente concretamente impegnato a vivere ed annunciare la stessa fede trasmessa da Andrea a da tutti gli apostoli.

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01/12/2010 13:52
 
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Eremo San Biagio Commento a Mt 15,32

Dalla Parola del giorno
“Sento compassione di questa folla”.

Come vivere questa Parola?
In questa frase la chiave di lettura dell’incarnazione. Dio ha compassione dell’uomo, di questa folla sbandata che vaga senza meta, incapace di dare un senso alla propria vita. Questa folla oppressa dal male che si affaccia nella sua esistenza assumendo volti diversi, ma la cui radice è l’allontanamento da Dio.
Sì, da quel lontano inizio, l’uomo è in fuga da Dio: ne ha un bisogno estremo, eppure lo sfugge, perché proietta su di Lui il suo desiderio di onnipotenza e il conseguente senso di colpa. Il volto di Dio, allora, assume al suo sguardo i connotati di un tiranno geloso del proprio potere, di un giudice implacabile. Non resta che fuggire, magari negandone l’esistenza, o tentare di propiziarselo.
E gli altri? Potenziali nemici da cui guardarsi, di cui prevenire i possibili attacchi: ed è il dilagare della violenza (furti, omicidi, abuso dell’altro…).
Il cuore di un Padre non può restare indifferente. Lo vediamo fin dall’inizio rivestire amorevolmente l’uomo che gli ha voltato le spalle e che si allontana da Lui. Tornerà a prendersi cura del suo popolo oppresso dagli dei stranieri. Non si stancherà di richiamarlo perché non si autodistrugga… Finché, giunta la pienezza dei tempi, invierà il stesso Figlio a redimerlo.
Una compassione che ancor oggi ci avvolge, anche quando non ce ne accorgiamo perché troppo impegnati a rincorrere una parvenza di felicità.
L’avvento è il tempo propizio per fermare il passo e lasciarci raggiungere da questo Dio-Amore.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi chiederò: presto attenzione al richiamo di Dio-Amore? So riconoscere nella mia vita i segni della sua compassione? La mia ricerca di Lui è motivata dal timore o dall’amore?

Perdona, Signore, se ho tenuto in poco conto la tua compassione. Apri i miei occhi perché la possa cogliere nella mia vita e, modellando su di essa il mio comportamento, sappia accorgermi del pianto dei fratelli e tergerne le lacrime.

La voce di missionario
Dio ci ama nella misura in cui abbiamo bisogno di lui. Ci ama a causa della nostra sofferenza, della nostra povertà, della nostra fame e sete di lui, della nostra ansia del meglio.
P. Monier
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02/12/2010 21:54
 
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Eremo San Biagio
Commento su Is 26,4

Dalla Parola del giorno
Confidate nel Signore sempre, perché il Signore è una roccia eterna.

Come vivere questa Parola?
Se lasciassimo sedimentare dentro di noi questa affermazione, quanto più serena scorrerebbe la nostra vita! Ma si tratta di abbandonare tutto nelle mani del Signore e in noi fa sempre capolino il protagonismo. E poi... ci fidiamo ma... è meglio che alle cose nostre provvediamo direttamente noi.
Certo, la Parola di Dio non vuole incoraggiare il disimpegno. Per convincercene basta sfogliare il testo sacro per imbatterci, proprio nelle sue prime pagine, in un preciso comando di Dio: "Coltivate e custodite il giardino dell'Eden" (cioè il creato e noi stessi). Se il 'custodite' potrebbe insinuare l'idea di una statica e passiva conservazione, il 'coltivate' viene a rimuovere ogni equivoco: l'uomo è chiamato a collaborare in modo attivo intelligente e creativo, innanzitutto alla realizzazione di se stesso, e poi allo sviluppo delle altre realtà. Ma tutto ciò ricordando che il 'progetto' è di Dio e Dio stesso si impegna a garantirne il compimento. Quindi bando a ogni eccessiva preoccupazione e abbandono sereno e fiducioso.
Le prove non mancheranno, le difficoltà continueranno a richiedere la nostra vigilanza, i problemi ad attendere le nostre tempestive soluzioni. Ma nella pace, perché fondati nella certezza che stiamo nelle mani di un Padre da cui siamo infinitamente amati. Un padre che vuole il nostro bene, anche quando non capiamo.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, farò esercizi di abbandono, consegnando al Padre ogni preoccupazione, ogni ansietà per il presente e per il futuro.

Signore, tu sei 'roccia' che non vacilla, 'roccia eterna', stabile per sempre. Anche quando tutto sembra franare irreparabilmente, chi confida in te non resta travolto. Aiutami ad ancorarmi saldamente a te, a non contare che su di te, ad abbandonarmi con serena fiducia al tuo amore che non conosce tramonto.

La voce di una donna di fede
Come è bello avere un Padre nel cielo che ci aiuta e ci ama più di noi stessi; un Padre che conosce anche il numero dei capelli del nostro capo! Come amo il Signore! Lui, che veramente mi ha sempre custodita, ed è accorso ad aiutarmi tutte le volte che io l'ho invocato.
Benedetta Bianchi Porro

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04/12/2010 11:03
 
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a cura dei Carmelitani L’annuncio di Giovanni Battista nel deserto

1. Orazione iniziale

Signore Gesù, invia il tuo Spirito, perché io sappia di essere piccolo come Zaccheo, piccolo di statura morale, ma dammi la forza di alzarmi un poco da terra spinto dal desiderio di vederti passare in questo periodo di avvento, di conoscerti e di sapere chi sei tu per me. Signore Gesù, maestro buono, suscita nel nostro cuore con la potenza del tuo Spirito il desiderio di comprendere la tua Parola che ci rivela l'amore salvifico del Padre

2. Leggi la Parola

1 In quei giorni comparve Giovanni Battista a predicare nel deserto della Giudea, 2 dicendo: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino!». 3 Egli è colui che fu annunziato dal profeta Isaia quando disse: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri!
4 Giovanni portava un vestito di peli di cammello e una cintura di pelle attorno ai fianchi; il suo cibo erano locuste e miele selvatico. 5 Allora accorrevano a lui da Gerusalemme, da tutta la Giudea e dalla zona adiacente il Giordano; 6 e, confessando i loro peccati, si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano.
7 Vedendo però molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: «Razza di vipere! Chi vi ha suggerito di sottrarvi all'ira imminente? 8 Fate dunque frutti di conversione, 9 e non crediate di poter dire fra voi: Abbiamo Abramo per padre. Vi dico che Dio può far sorgere figli di Abramo da queste pietre. 10 Già la scure è posta alla radice degli alberi: ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco».
11 «Io vi battezzo con acqua per la conversione; ma colui che viene dopo di me è più potente di me e io non son degno neanche di portargli i sandali, egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco. 12 Egli ha in mano il ventilabro, pulirà la sua aia e raccoglierà il suo grano nel granaio, ma brucerà la pula con un fuoco inestinguibile».

3. Momento di silenzio orante

Ogni uomo ha in cuore molte domande da rivolgere a qualcuno che lo ascolti, ma ha anzitutto bisogno di saper ascoltare, accorgendosi che c'è Gesù che gli sta parlando. Lasciati guidare verso l'interiorità, là dove la Parola risuona con tutto il suo peso di verità e di amore, con tutta la sua forza terapeutica e trasformante. Il silenzio orante ti chiede di fermarti «dentro», fermarti completamente ai piedi del Signore e raccogliere tutte le proprie energie per ascoltare solo Lui. Fermati e ascolta.

4. Per comprendere la Parola

a) Come si articola la trama del brano:
In questa domenica d'avvento ci viene incontro la figura di Giovanni Battista, un personaggio simile ad una quercia, come ebbe a dire Gesù un giorno nel delineare la sua personalità: «Siete forse andati a vedere una canna sbattuta dal vento?» (Mt 11, 7). Il profilo del Battista che la liturgia ci propone viene presentato in due grandi blocchi: 3,1-6, figura e attività di Giovanni; 3,7-12, la sua predicazione. All'interno di queste due parti si possono individuare delle unità più piccole che determinano l'articolazione del testo. In 3,1-2 Giovanni è presentato come colui che predica la «conversione» perché il «regno dei cieli si è fatto vicino». Tale appello è come un filo rosso che attraversa tutta l'attività di Giovanni: viene ripreso in 3,8.12. Il motivo di tale annuncio della conversione è dato dall'imminente giudizio di Dio che viene paragonato al taglio di ogni albero secco da gettare nel fuoco per essere bruciato (3,10) e a quell'operazione della vagliatura che i contadini eseguono sull'aia per separare il grano dalla pula, anch'essa da bruciare nel fuoco (3,12). L'immagine del fuoco che caratterizza l'ultima parte del nostro brano liturgico mostra l'urgenza di prepararsi a questo evento del giudizio di Dio.
Il testo presenta la seguente articolazione:
Matteo 3,1-3: in questa prima piccola unità «la voce che grida nel deserto» di Isaia 40,2 viene identificata con la voce del Battista che invita alla conversione «nel deserto di Giuda»;
Matteo 3,4-6: segue una breve unità che in modo pittoresco delinea la figura tradizionale di Giovanni: è un profeta e un asceta; per la sua identità profetica viene accostato ad Elia, infatti veste alla maniera del profeta di Tisbe. Un dettaglio geografico e spaziale descrive il movimento di molta gente per ricevere il battesimo d'immersione nelle acque del Giordano, in un clima penitenziale. L'influenza della sua attività profetica non è circoscritta ad un luogo ristretto ma investe tutta la regione della Giudea e che comprende Gerusalemme e il territorio intorno al Giordano.
Matteo 3,7-10: viene introdotto un gruppo particolare che si reca da Giovanni per ricevere il battesimo, sono i «farisei e sadducei». A loro Giovanni si rivolge con un linguaggio molto duro perché desistano dalla loro falsa religiosità e pongano la loro attenzione nel «portare frutto» per sfuggire al giudizio di condanna.
Matteo 3,11-12: viene puntualizzato il significato del battesimo in relazione alla conversione e soprattutto la diversità dei due battesimi e dei rispettivi protagonisti: quello di Giovanni è con acqua per la conversione; quello di Gesù, «il più forte che viene dopo» Giovanni, è con Spirito santo e fuoco.

b) Il messaggio del testo:
Con uno stile tipicamente biblico-narrativo Matteo presenta la figura e l'attività di Giovanni Battista nel deserto della Giudea. Quest'ultima indicazione geografica intende situare l'attività di Giovanni nella regione della Giudea, mentre Gesù svolgerà la sua nella Galilea. Per Matteo l'attività di Giovanni è completamente orientata e subordinata verso «colui che deve venire», la persona di Gesù. Inoltre Giovanni è presentato come il grande e coraggioso predicatore che ha preannunciato l'imminente giudizio di Dio.
Il messaggio del Battista consiste in un preciso imperativo, «convertitevi» e in un motivo altrettanto chiaro: «perché il regno dei cieli è vicino». La conversione acquista un grande risalto nella predicazione del Battista anche se all'inizio non appare ancora chiara nel suo contenuto. In 3,8, invece, vengono indicati i frutti della conversione per esprimere un nuovo orientamento da dare alla propria esistenza. Tale indicazione, per un verso, si colloca nella linea dei profeti che intendevano la concretezza della conversione nel distacco radicale da tutto ciò che finora aveva un valore; dall'altro, và oltre e intende mostrare che la conversione è un volgersi verso il «regno dei cieli», verso una novità che si presenta imminente con le sue esigenze e prospettive. Si tratta di dare una svolta decisiva alla vita orientandola in una nuova direzione: il «regno dei cieli» fonda e definisce la conversione e non una serie di sforzi umani. L'espressione «regno dei cieli» sta a indicare che Dio si rivelerà a tutti gli uomini e con grande potenza. Giovanni dice che tale rivelazione di Dio è imminente, non è lontana.
L'attività profetica di Giovanni ha il compito di preparare i suoi contemporanei alla venuta di Dio in Gesù con i tratti della figura di Elia. Interessanti sono i motivi, le immagini con cui la figura del Battista viene interpretata, tra queste la cintura di cuoio legata intorno ai fianchi, un segno di riconoscimento del profeta Elia (2 Re 1,8); il mantello intessuto di peli di cammello è l'indumento tipico del profeta secondo Zaccaria 13,4. Si tratta di una identificazione diretta tra il profeta Elia e Giovanni. Sicuramente tale interpretazione è la risposta dell'evangelista a una obiezione giudaica di quel tempo: come può Gesù essere il messia, se prima non viene Elia?
Con la sua attività profetica Giovanni riesce a muovere intere folle, anche Elia aveva ricondotto l'intero popolo a ritornare alla fede in Dio (1 Re 18). Il battesimo di Giovanni non è importante perché numerose sono le folle che si recano per riceverlo, ma ha valore perché è accompagnato da precisi impegni di conversione. Inoltre non è un battesimo che ha il potere di cancellare i peccati, solo la morte di Gesù ha questo potere, ma imprime un nuovo orientamento da dare alla propria vita.
Anche i «farisei e i sadducei» si recano per riceverlo, ma vi si accostano con animo ipocrita, senza una vera decisione di convertirsi. Così facendo non potranno sfuggire al giudizio di Dio. L'invettiva di Giovanni verso questi gruppi, impastati di falsa religiosità, sottolinea che la funzione del suo battesimo, accolto con sincera decisione di cambiare vita, protegge chi lo riceve dall'imminente giudizio purificatore di Dio.
In che modo si farà visibile una tale decisione di convertirsi? Giovanni si astiene dal dare delle precise indicazioni contenutistiche, ma si limita solo a indicarne il motivo: evitare il giudizio punitivo di Dio. Si potrebbe dire in un linguaggio propositivo che lo scopo della conversione è Dio, il radicale riconoscimento di Dio, l'orientare in modo del tutto nuovo la propria vita a Dio.
Intanto i «farisei e i sadducei» non sono disponibili a convertirsi in quanto pongono la loro fiducia e speranza nella discendenza da Abramo: in quanto appartenenti al popolo eletto sono sicuri che Dio, per i meriti dei loro padre, concederà loro la salvezza. Giovanni mette in dubbio questa loro falsa sicurezza con due immagini: dell'albero e del fuoco.
Innanzitutto l'immagine dell'albero che viene tagliato, nell'AT rimanda al giudizio di Dio. Un testo di Isaia così lo descrive: «Ecco il Signore, Dio degli eserciti, che strappa i rami con frastuono, le punte più alte sono troncate, le cime sono abbattute». Invece l'immagine del fuoco ha la funzione di esprimere l' «ira imminente» che si manifesterà con il giudizio di Dio (3,7). In sintesi, viene mostrata l'incalzante imminenza della venuta di Dio: gli ascoltatori devono aprire gli occhi su ciò li attende.
Infine la predicazione di Giovanni pone un confronto tra i due battesimi, le due persone di Giovanni e di colui che deve venire. La differenza sostanziale è che Gesù battezza con spirito e fuoco mentre Giovanni solo con acqua, un battesimo per la conversione. Tale distinzione sottolinea che il battesimo di Giovanni è completamente subordinato a quello di Gesù. Matteo annota che il battesimo con spirito già è stato realizzato, precisamente nel battesimo cristiano, come afferma la scena del battesimo di Gesù, mentre quello con il fuoco deve ancora avvenire e si realizzerà nel giudizio che Gesù darà.
Il finale della predicazione di Giovanni presenta, poi, la descrizione del giudizio che incombe sulla comunità con l'immagine della pula. La stessa azione che il contadino compie sull'aia quando pulisce il grano dalla pula così sarà attuata da Dio nel giudizio sulla comunità.

5. Per meditare

a) Attesa di Dio e conversione:
La predicazione di Giovanni mentre ci ricorda che la venuta di Dio nella nostra vita è sempre imminente, ci invita anche con energia alla penitenza che purifica il cuore, lo rende capace all'incontro con Gesù che viene nel mondo degli uomini e lo apre alla speranza e all'amore universale.
C'è un' espressione del cardinale Newmann che può aiutarci a comprendere questo nuovo orientamento che la Parola di Dio intende suggerire come urgente: «Qui in terra vivere è cambiare ed essere perfetto è aver cambiato spesso». Cambiare è da intendere nell'ottica della conversione; un cambiamento intimo del cuore dell'uomo. Vivere è cambiare. Nel momento in cui questa spinta a cambiare venisse meno, tu non saresti più vivo. Una conferma ci viene dal libro dell'Apocalisse quando il Signore dice: «Sembri vivo, ma sei morto» (3,1). Inoltre «essere perfetto è aver cambiato spesso». Sembra che il cardinale Newmann voglia dire: «Il senso del tempo è la mia conversione». Anche questo tempo di avvento è commisurato in funzione del progetto che Dio ha su di me. Devo continuamente aprirmi alla novità di Dio, essere disponibile a lasciarmi rinnovare da Lui.

b) Accettare il Vangelo:
è la condizione per convertirsi. Il Vangelo non è solo un contenuto di messaggio, ma è una Persona che ti chiede di venire nella tua vita. Accettare il Vangelo in questa domenica d'Avvento significa aprire la porta della propria vita a colui che Giovanni il Battista ha definito come il più forte. Tale idea è stata espressa bene da Giovanni Paolo II: «Aprite le porte a Cristo...». Accettare Cristo che mi viene incontro con la sua parola definitiva di salvezza. Ci vengono in mente le parole di S. Agostino che diceva: «Temo il Signore che passa». Tale passaggio del Signore potrebbe trovarci in questo momento della nostra vita distratti e superficiali.

c) L'avvento - il tempo delle anime interiori:
Un'evocazione mistica attinta agli scritti della Beata Elisabetta della Trinità ci aiuta a scoprire la conversione come tempo, occasione per immergersi in Dio, per esporsi al fuoco dell'amore che trasforma e purifica la nostra vita: «Eccoci al sacro tempo dell'avvento che più di ogni altro potremmo chiamare il tempo delle anime interiori, di quelle che vivono sempre e in ogni cosa "nascoste in Dio con Cristo", al centro di se stesse. Nell'attesa del grande mistero [del Natale]...domandiamogli di renderci veri nel nostro amore, cioè di trasformarci...è bello pensare che la vita di un sacerdote, come quella della carmelitana, è un avvento che prepara l'incarnazione nelle anime! Davide canta in un salmo che il "fuoco camminerà davanti al Signore". E non è l'amore quel fuoco? E non è anche la nostra missione preparare le vie del Signore attraverso la nostra unione a colui che l'Apostolo chiama un "fuoco divoratore"? Al suo contatto la nostra anima diventerà come una fiamma d'amore che si espande per tutte le membra del corpo di Cristo che è la Chiesa». (Lettera al Rev. Sacerdote Chevignard, in Scritti, 387-389).


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06/12/2010 08:55
 
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Eremo San Biagio
Commento su Is 35,3-4

Dalla Parola del giorno
Irrobustite le mani fiacche, rendete salde le ginocchia vacillanti. Dite agli smarriti di cuore: "Coraggio! Non temete; ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi".

Come vivere questa Parola?
Quanto sono vitali e consolanti le letture di oggi! Presentano la salvezza come un incontro tra Dio e l'uomo. Isaia, per esprimere l'intima gioia che l'attesa dell'incontro suscita, prende a prestito tutti gli elementi della natura: dal deserto al fiore di narciso, dalle paludi ai torrenti, dalle sorgenti ai canneti. Le ginocchia vacillanti diventeranno gambe robuste, capaci di percorrere la "via santa"! Qui nessuno più potrà vivere nel pianto e nella tristezza, solo gioia e canto.
Sì, la salvezza che ci è promessa è come lo scaturire di acqua nel deserto della storia, è lo scorrere di torrenti salvifici nella steppa di una quotidianità a volte tanto arida e faticosa.
Dio, in Gesù, è il Dio che viene. E viene a ‘muoverci' dalle nostre paralisi, a rinvigorire i nostri passi verso di Lui.
Gesù accoglie il paralitico: perdonandogli i peccati sblocca la sua paralisi interiore e con la sua grazia dà nuova forza alle sue gambe, ed "egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e andò a casa sua, glorificando Dio."
Quando il divino ‘scende' sulle nostre strade, le trasforma dal di dentro ed è subito vita!

Oggi, nella mia pausa contemplativa, chiederò allo Spirito Santo di effondere la sua forza nella mia vita perché si sblocchi ogni mia paralisi interiore e io possa camminare incontro al Signore con la stessa esultanza con cui Egli viene a me.

Vieni Spirito di esultanza, danza in me così che io possa saltellare di gioia presso il mio Dio!

La voce di una santa di oggi
Quando a causa degli anni non potrai correre, cammina veloce. Quando non potrai camminare veloce, cammina. Quando non potrai camminare, usa il bastone. Però non trattenerti mai!
Madre Teresa di Calcutta

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08/12/2010 09:12
 
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don Roberto Rossi
Piena di grazia

«Rallegrati, piena di grazia»
Maria viene salutata dall'Angelo come «piena di grazia». «Hai trovato grazia presso Dio». Dio colma Maria del suo favore chiamandola a diventare madre di suo Figlio. L'iniziativa è di Dio.
È lui che l'ha scelta e preparata per questa vocazione che ora le propone. Maria resta turbata. Come Mosè e i profeti viene colta di sorpresa. Ragazza semplice, povera e umile, mai pensava che Dio si sarebbe rivolto proprio a lei. Il mistero di ogni chiamata divina è racchiuso qui. Da una parte Dio sceglie e pian piano prepara la persona alla sua missione, ma dall'altra, il chiamato sperimenta la sua vocazione come un'irruzione divina che rompe il flusso tranquillo della sua esistenza... e teme.
«Ecco la serva del Signore».
Maria allora fa le sue domande. Vuole discernere prima di dare il suo assenso. Cerca di capire quanto può, poi si arrende, si getta in questa avventura che Dio le propone, perché crede che «nulla è impossibile a Dio». Dio sarà davvero con lei e compirà in lei e per mezzo suo le sue meraviglie. Maria si abbandona a Dio, piena di fiducia. Ma questo non vuoi dire che diventa schiava, oggetto passivo nelle mani di Dio. «Servo di Dio» è un titolo di onore che nell'Antico Testamento viene dato a quelle persone che esercitano, per vocazione divina, una funzione decisiva nella storia di salvezza, come ad esempio Abramo, Mosè, Giosuè, Davide e i profeti. Quindi Maria si riconosce collaboratrice di Dio e dà una risposta fervorosa: "Sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto".

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09/12/2010 09:57
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Io sono il Signore tuo Dio che ti tengo per la mano destra e ti dico: "Non temere, io ti vengo in aiuto".

Come vivere questa Parola?
Una delle preghiere della Messa di oggi dice:"Risveglia, o Dio, la fede del tuo popolo perché prepari le vie del Tuo unico Figlio".
Questa parola di Isaia ci aiuta a risvegliare la fede in quelle profondità del cuore dove credere davvero significa fidarsi pienamente del Signore. Un Dio che dice al suo popolo, al tempo dell'esilio, ma anche a me in questo tempo di eclissi dei valori: "Ti tengo per la mano destra".
Dunque Lui no, non si ‘eclissa', non mi lascia solo nello sconcerto dell'ora presente. Sulle paure che possono annidarsi nel mio cuore, il Signore pronuncia quel: "Non temere, io ti vengo in aiuto". Senza squalificare ogni mia iniziativa e volontà e capacità buona, Egli mi presta man forte. Risuona anche per me il 'Non temere" che ha dato a Mosè il coraggio di presentarsi al faraone a chiedere la liberazione del suo popolo. Risuonano tanti "Non temere", fino a quello pronunciato dall'Angelo, in nome di Dio, a Maria. È questo "Non temere" del Mistero dell'Incarnazione, ciò che può sconfiggere, anche oggi, il buio di tante mie e nostre situazioni.

Oggi, passerò il tempo della mia pausa contemplativa, a ringraziare con cuore semplice e pieno di fiducia.
Prego:

Grazie a Te, mio Signore, mia forza, mio canto. Vieni Gesù, vieni! Maranatha!

La voce di un grande vescovo
Abbiamo forse vissuto e magari vivremo ancora momenti duri, ma abbiamo la certezza che Dio non ci ha mai lasciato, che Dio è fedele a se stesso. Il Signore ci consoliderà sulla roccia del suo amore, ci aiuterà a credere che ci sta preparando a cose grandi, di cui non dobbiamo temere, continuerà ad operare in noi con forza e ad allargare il nostro cuore agli orizzonti di Dio e di tutta l'umanità.
Cardinal Martini

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10/12/2010 08:23
 
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Eremo San Biagio
Commento su Is 48,17

Dalla Parola del giorno
“Io sono il Signore tuo Dio che t’insegno per il tuo bene, che ti guido per la strada su cui devi andare.”

Come vivere questa Parola?
La storia dell’umanità sembra segnata da un ricorrente atteggiamento di diffidenza verso Dio, in cui l’uomo è tentato di vedere un pesante limite al proprio bisogno di espandersi e affermarsi. L’autore del libro della Genesi individua in questo atteggiamento il tarlo roditore di Adamao ed Eva: “Non morirete affatto! Anzi, Dio sa che quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio”.
Quante volte, anche ai nostri giorni, quella mano torna ad allungarsi sul frutto proibito di una volontà che vuole primeggiare a tutti i costi! E la morte torna a dilagare nel disfacimento più totale di una società che ha instaurato la legge del più forte. I deboli, gli inermi vengono schiacciati, mentre gli altri sono costretti a trincerarsi dietro le sbarre della paura di ritorsioni violente. È questo il ‘di più’ di vita che cercavamo? Su questo squallido panorama torna a levarsi la voce del profeta: No, Dio non è un rivale da cui difendersi, ma colui che fonda e vuole la nostra stessa grandezza. Egli ci insegna per il nostro bene, ci guida per la strada su cui andare per entrare nella pienezza della vita, già qui e ora.
Accogliere il suo invito a vivere nell’amore, cessando dal ridicolo gioco di cercare nell’altro il terrorista di turno, è segnare la strada per una convivenza arricchente per tutti. Perché non lasciare che in questo avvento torni a rifiorire sulle nostre labbra la parola “fratello-sorella”, con cui cancellare ogni pregiudizio e stereotipo?

Oggi, nella mia pausa contemplativa, mi chiederò onestamente: credo sul serio in Dio? La risposta la troverò nel mio amore per ciascuno dei miei prossimi, quelli con cui vivo gomito a gomito.

Dammi la forza di decidermi per l’amore, Signore, oggi, qui e non domani o in un chimerico altrove.

La voce di un politico santo
Alla superficie, le acque dei mari ci appaiono agitate, ci suggeriscono l’immagine di un divenire caotico, in balia di forze incontrollabili, ma nel profondo vi sono potenti e misteriose correnti che governano il loro moto. Anche nel profondo della storia umana, così agitata nella superficie, vi sono delle grandi e misteriose correnti che trascinano in un senso ben preciso: verso l’unità e la pace. Bisogna saperle individuare.
Giorgio La Pira

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11/12/2010 08:53
 
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Eremo San Biagio
Commento su Sir 48,1

Dalla Parola del giorno
“Sorse Elia profeta, simile al fuoco; la sua parola bruciava come fiaccola.”

Come vivere questa Parola?
L’immagine del fuoco non è nuova nella Sacra Scrittura: Dio stringe il suo patto con Abramo nel segno di una fiaccola ardente, parla a Mosè nella fiamma di un roveto, una colonna di fuoco guida il popolo nel deserto, un fiume di fuoco scende davanti al trono di Dio e fuoco è venuto a portare Gesù sulla terra… Un’immagine quindi evocativa del mistero di Dio e dei suoi interventi.
Il profeta viene assimilato a questo fuoco, da cui la parola attinge forza per “rimproverare i tempi futuri” e così “placare l’ira prima che divampi”.
Il profeta, e tale è ogni cristiano in forza del battesimo, non può “parlare a nome di Dio” se non si lascia prima trasformare da questo fuoco divorante e purificatore. È necessario un contatto continuo e prolungato con Dio, una preghiera incessante che assimili al suo pensiero e al suo sentire, fino a renderci incandescenti così che quanti ci avvicinano non restino legati alla nostra persona, ma siano spinti a risalire a Colui che ci manda. E la parola, anch’essa infuocata, è dono che rivela l’amore preveniente di un Dio che non vuol punire, perché è misericordia e perdono. Oggi, come ieri. L’accoglierla è lasciare che questo amore dilaghi in noi e attorno a noi, fiamma benefica che brucia le scorie del nostro peccato e illumina la via.

Oggi, nel mio rientro al cuore, mi esporrò a questo ‘fuoco’ in un incontro di preghiera più intenso e prolungato, lasciando che esso metta a nudo quanto in me non collima con il pensiero e il sentire di Dio.

Spirito Santo, incendia il mio cuore, perché arda del fuoco di Dio.

La voce di un Padre della Chiesa
Quando l’ardore di questo fuoco è entrato nell’anima dell’uomo, esso scaccia l’indifferenza e la pigrizia.
S.Giovanni Crisostomo

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16/12/2010 13:37
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Egli è colui di cui sta scritto: Ecco, dinanzi a te mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via.

Come vivere questa Parola?
Con la sua parola e testimonianza, Giovanni Batista aveva preparato il cuore di tante persone ad accogliere Gesù, il Messia. Aveva battezzato con acqua coloro che avevano riconosciuto con sincerità il proprio peccato. Aveva dato compimento alle promesse! (vedi Ml 3,1; Es 23,20).
Ora Gesù è la Promessa di Dio, il Messia, il Salvatore del mondo. Quindi, la missione del Battista è ormai compiuta e i discepoli battezzati da Giovanni devono accettare che d'ora in poi, per essere coerenti all'insegnamento del Battista, devono seguire lui, Gesù: Promessa di Dio come lo stesso Giovanni aveva indicato: "Ecco, l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! Egli è colui del quale ho detto: dopo di me viene un uomo che è avanti a me, perché era prima di me. Io non lo conoscevo; ma sono venuto a battezzare nell'acqua, perché egli fosse manifestato a Israele" (Gv 1,29).
Gesù commenta la fede e la grandezza di Giovanni Battista: fedele a Dio e coerentemente radicale lungo tutta la sua vita e la sua gravosa missione.

Nella mia pausa contemplativa oggi, apro il cuore alla Promessa di Dio, al mio Salvatore, a Colui che mi cerca sempre per condurmi nel suo regno di amore e di pace.

Signore Gesù, Giovanni Battista non solo ha preparata la strada per la tua venuta nel mondo, ma ha sacrificato la sua vita per essere coerente alla Verità. Accresci la mia fede, dammi il coraggio di annunciarti con la parola e con la vita. Vieni Signore Gesù!

La voce di una guida spirituale di oggi
Quando il mondo come l'abbiamo conosciuto si disgrega, quando la vita come l'abbiamo vissuto non funziona più per noi, la fedeltà richiede che vediamo i nuovi problemi come un invito di Dio a crescere. Ma cresciamo dobbiamo o rischiamo di restare adolescenti per tutta la nostra vita adulta.
Joan Chittister

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18/12/2010 12:26
 
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Eremo San Biagio Commento su Matteo 1,22

Dalla Parola del giorno
"Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta".

Come vivere questa Parola?
Oggi, Matteo continua a radicare Gesù nella storia del popolo d'Israele, segnalando la continuità tra le profezie circa il messia tanto atteso e la generazione e nascita di Gesù, compimento delle promesse; cita il profeta Isaia: "Ecco la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome Emmanuele, che significa Dio con noi" (Is 7,14). E nel Vangelo il grande progetto di Dio sta realizzandosi; ne è coinvolto, suo malgrado, anche Giuseppe, fidanzato di Maria.
Il fatto che Maria fosse incinta l'aveva sconvolto e confuso perché era un uomo giusto che viveva secondo la legge. Amava Maria, non voleva pensare male di lei, ma c'era la legge …; e mentre Giuseppe si preoccupava cercando una soluzione umana al problema, Dio interviene nel sogno per rassicurarlo e affidargli una missione nella storia della salvezza: "Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccatti".
Giuseppe accoglie umilmente la volontà di Dio e prende Maria nella sua casa. Sarà lui a dare il nome a Gesù (prerogativa del padre che voleva dire: accettazione piena del figlio). E Gesù diviene così, a pieno titolo, ‘figlio di Davide', Salvatore del suo popolo.

Nella pausa contemplativa di oggi rifletto sulla ‘forza' dell'intervento di Dio nella vita di Giuseppe: tutti i suoi progetti di giovane sposo vengono capovolti e riorientati per un Progetto più grande, quello di Dio.

Signore, anche su di me tu hai progetti di amore. Fa' che anch'io, come Giuseppe, riconosca ciò che tu vuoi da me e lo accolga con fede semplice e amore generoso.

La voce di un grande mistico
Il più alto raggiungimento della fede è rimanere in silenzio e far sì che Dio parli e operi internamente.
Meister Eckhart
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19/12/2010 09:03
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Abbiamo già meditato questa pagina del Vangelo ieri, viene riproposta anche questa domenica per presentarla al popolo dei fedeli che frequenta in massa nelle festività. Non è proprio una grande affluenza, in Italia i cattolici che frequentano la Messa domenicale sono meno del 10%. Questa crisi non si fermerà, perché non c’è un progetto per richiamare quelli che non frequentano, sono stati abbandonati al loro destino.

Richiamarli in Chiesa non è una cosa semplice o uno schiocco delle dita, solo la santità dei parroci attrae i fedeli. Lo testimoniano molto bene quei parroci dediti interamente alla missione apostolica, sempre disponibili a confessare, pieni di amore per tutti i parrocchiani. Senza distinzioni.

Non è facile il compito di un parroco, riesce a resistere a tentazioni ed incomprensioni solamente se si applica con maturità alla preghiera costante e profonda. La sua responsabilità è immensa e richiede una altrettanta donazione per salvare le anime. Oggi è in piena crisi l’identità sacerdotale, sono molti quelli che vivono come se fosse un mestiere, senza rendersene conto. Non c’è più amore, interesse per i fedeli, né preoccupazioni per la salvezza delle anime.

Il modello più grande per amare Gesù, per servirlo come vuole Lui e per obbedire alla sua Parola, è San Giuseppe. Come ho già scritto, dopo la Madonna è Lui il discepolo perfetto di Gesù, compenetrato nella sua missione di custodire il Bambino nato dalla Vergine Madre.

Anche noi abbiamo il compito di custodire Gesù nel cuore e nella mente, è un impegno costante per evitare di occupare il cuore con l’adorazione di idoli e di infiltrare nella mente teorie infauste per l’onestà intellettuale. Non vigilare su quanto può inquinare la nostra spiritualità, è certamente una superficialità radicata nell’anima. Bisogna reagire a questa tiepidezza, soprattutto in questo periodo di Avvento.

L’attesa dell’incontro con il Bambino nella notte di Natale, è il significato dell’Avvento, che non può terminare con la Natività, ma si prolunga in tutta la nostra vita, perché noi siamo sempre in attesa dell’incontro con il signore Risorto. Questa attesa si chiama speranza, e chi non coltiva questa virtù teologale, non vive in pienezza la sua esistenza.

Vivere di speranza è importante per la stabilità interiore, non c’è abbattimento né tristezza nonostante le sofferenze e le persecuzioni. Ma la speranza deve avere come oggetto Gesù, non può esistere la speranza senza un contenuto, una forte finalità. Bisogna alimentare ogni giorno la conoscenza della speranza, con buone letture e la convinzione che vicini a Gesù tutto è possibile, di nulla dobbiamo preoccuparci.

Niente può scoraggiarci se teniamo viva la speranza, neanche gli apparenti insuccessi nella lotta interiore o nell’apostolato. La speranza è la certezza che Gesù interverrà nella nostra vita e nelle situazione dolorose che ci affliggono, soprattutto, l’incontro con Lui alla fine.

Se viene meno la speranza, subentrano lo sconforto e lo scoraggiamento. Dobbiamo valutarli sotto l’aspetto interiore e come atteggiamento di vita, non come sentimenti che si manifestano all’esterno.

Lo sconforto è presente quando si abbandona l’impegno spirituale e si cade nell’incredulità, nell’imborghesimento, nelle tiepidezza e nell’eccessivo attaccamento ai beni materiali. Lo sconforto si oppone alla speranza, conduce la persona a preoccuparsi esclusivamente delle cose mondane e diventa pienamente insensibile verso le cose di Dio.

Mentre lo scoraggiamento porta alla paralisi delle buone opere, non si è in grado di agire con amore e con desiderio di aiutare gli altri. Questo succede anche a coloro che in passato pregavano e poi hanno lasciato il colloquio con Dio, perché impegnati in altre opere mondane.

Sono occupazioni che ricolmano il cuore di orgoglio ed allontanano l’amore, questo conduce alla paralisi di operare bene e di vincere le difficoltà. Chi è colpito dallo scoraggiamento non vuole e non riesce a superare le difficoltà.

La speranza, invece, ci spinge ad abbandonarci in Dio e ad utilizzare tutti i mezzi a disposizione per lottare nella vita quotidiana, e a ricominciare molte volte quando si pecca, oltre ad un forte impegno nell’apostolato. Si diventa energici nelle avversità, si guardano con spirito soprannaturale tutti gli avvenimenti della vita.

La speranza è una forza interiore che permette di vincere ogni abbattimento.

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20/12/2010 07:54
 
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Eremo San Biagio


Dalla Parola del giorno
Il Signore parlò ad Acaz: "Chiedi un segno dal Signore tuo Dio [... ]. Ma Acaz rispose: "Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore". Allora Isaia disse: "Ascoltate, casa di Davide! Non siete contenti di stancare la pazienza degli uomini, perché ora vogliate stancare anche quella del mio Dio? Pertanto il Signore stesso vi darà un segno. Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio-con-noi.

Come vivere questa Parola?
Ieri le letture sottolineavano il mistero di un Dio, che per realizzare il suo progetto che è vita e salvezza, rompe le resistenze della sterilità nel grembo di due donne: sterilità che è immagine di morte. Oggi siamo inoltrate nella consapevolezza che l'iniziativa di Dio è per i suoi salvezza del tutto gratuita e viene messa in atto nonostante la volontà riottosa dell'uomo. "Chiedi un segno" dice Dio ad Acaz. "Non lo chiederò" risponde, evidenziando la sua indisposizione ribelle che finge di "non voler stancare il Signore". Ma ecco, il Signore stesso darà un segno: "una vergine partorirà un figlio".
E' importantissimo il collegamento col vangelo odierno dell'Annunciazione, dove Maria, alla cui naturale perplessità l'Angelo dice che "niente è impossibile a Dio", risponde con l'abbandono più pieno: "Ecco, sono la serva del Signore. Si faccia di me secondo la tua Parola". La ribelle posizione di Acaz e l'umile collaborazione di Maria mettono comunque in luce che l'iniziativa è di Dio, in assoluto. Avvicinarsi al Natale con un cammino spirituale è proprio respirare questa certezza e gioirne e lodare Colui che "per il Primo ci ha amati" (1Gv 4,10).

Lo farò oggi, nella mia pausa contemplativa, con una consapevolezza più profonda che trasformerò nel canto di grazie dentro il cuore .

La voce di un antico Padre
Gesù Cristo, incarnandosi, si è rivelato il sommo sacerdote del nostro offrirci al Padre, l'aiuto per la nostra debolezza, la via nella quale troviamo la salvezza.
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21/12/2010 14:52
 
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Messa Meditazione
La gioia dell'incontro

Gioisci! Questo è il senso della formula standardizzata 'Ave'. E' la gioia che ha attraversato l'Antico Testamento e che trova il culmine nelle due letture proposte oggi a libera scelta, dal Cantico o da Sofonia. Si gioisce per una presenza, per uno che ci viene donato. E' lo sposo del Cantico, immagine splendente di Dio che ci ama; è il Re d'Israele 'in mezzo a te' come Salvatore potente. Elisabetta lo riconosce già nel bambino presente nel grembo di Maria; il bambino Giovanni Battista ne accoglie in un rimbalzo gioioso l'effetto salvifico. La gioia della vita è Uno che è presente.

L'incontro tra Elisabetta e Maria è l'incontro tra l'attesa e il compimento, tra la promessa e il suo realizzarsi. Avviene il primo riconoscimento del Fatto nuovo che è entrato nella storia: 'il mio Signore', come esclama Elisabetta. Ciascuna delle due mamme è contenta per il proprio figlio e per il figlio dell'altra: già questo è un raddoppio di gioia. Ma qui arriva a compimento l'attesa dei secoli. Si incontrano le acque che scendono scroscianti dalle rocce della storia di Israele e quelle del nuovo ruscello sgorgato dalla potenza di Dio. L'anziana Elisabetta e la giovane Maria. Colui che porta a termine l'Antico Testamento, e il Messia che inizia una nuova storia. I discepoli di Giovanni passeranno al nuovo Maestro, all'Uomo nuovo, iniziatore della nuova umanità. Tutto questo comincia ad accadere nel buon terreno delle Madri, e queste donne realizzano la propria vocazione e missione materna riconoscendo e accogliendo l'identità, la vocazione e la missione dei figli.
L'esito è la gioia. Si gioisce per una persona presente. E quale persona! La gioia vera della vita coincide con un bimbo che nasce, con un amico che si incontra, con un amore che sboccia. La gioia è l'altro. Qui, l'altro coincide con l'Altro, con Colui che è il tutto della vita, il Valore supremo e il senso di ogni cosa. La gioia non sta nell'avere delle cose, ma in un rapporto vero, capace di riconoscere l'altro, la sua dignità, la sua personalità; capace di riceverlo, ospitarlo, e quindi amarlo e seguirlo. Ci sono tante piccole e normali esperienze umane che documentano la verità di questo fatto nei rapporti familiari, amicali, amorosi. Ma tutto viene esaltato al massimo, quando l'altro è riconosciuto come segno di Dio e quindi la sua accoglienza coincide con l'accoglienza di Dio stesso, divenuto visibile e vicino come un amico.

'Benedetta tu fra tutte le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!". Lo dico a te o Maria, e nello stesso tempo lo dico alla Chiesa Madre, che mi dona Cristo rendendolo presente come un amico e come un figlio.

Ogni rapporto umano, di amicizia o di amore, trova compimento nella sua apertura a Cristo. La pienezza della gioia non sta nel contrapporre gli affetti umani all'amore di Cristo, ma nel viverli come segno che apre a un amore più grande. Domando di vivere in questo modo le mie amicizie e i miei amori.

Commento a cura di don Angelo Busetto

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22/12/2010 09:03
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Dopo avere ascoltato dall’Arcangelo Gabriele il disegno di Dio, la Vergine Maria si recò dalla cugina Elisabetta per aiutarla nelle faccende domestiche, in quanto anche lei era rimasta incinta ed era in età avanzata. Dopo l’annuncio della Maternità Divina qualsiasi donna sarebbe esplosa di gioia, si tratta di un evento unico, irripetibile. La Madonna invece domina pienamente la sua volontà e si umilia dinanzi il disegno di Dio.

Non si preoccupa di sé, pensa alle difficoltà della cugina, ma non trascura la Creatura che porta in grembo, anche se in realtà si trattava del Creatore che si fa Bambino per salvarci dai nostri egoismi. E Gesù che si trovava nel grembo, doveva essere felice della carità praticata dalla Santa Madre.

Appare chiaro nel Vangelo di oggi che la Madonna porta l’allegria dovunque passa, lo dice Elisabetta: “Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo”. Dinanzi a questi complimenti e alla festa che Le mostra la cugina, la Vergine Maria risponde con un bellissimo canto di giubilo: è il Magnificat. Chiamato anche il Cantico della Vergine. “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”.

Nel Magnificat viene espressa la ragione profonda di ogni umiltà, è la manifestazione della riconoscenza di una Creatura speciale all’Amore di Dio per averla prescelta come la Vergine Madre, l’unica Donna nella storia che partorisce, rimanendo vergine.

Tutta la vita della Madonna trascorre in un continuo ringraziamento dell’Onnipotenza di Dio, perché ha fatto “grandi cose” verso la più piccola delle creature, come si riteneva la Madonna.

La sua vita trascorre in questa atmosfera di grandezza e di umiltà.

Diventa Maestra di virtù perché alla base c’è l’umiltà. Senza questa virtù è difficile costruire sopra altre virtù. L’umiltà è verità, si tratta di riconoscere quello che siamo veramente, ma se non ci conosciamo, non potremo mai giungere alla verità.

La Madonna ci insegna come diventare piccoli, come vivere l’umiltà, dobbiamo metterci alla sua scuola, pregarla spesso nella giornata e chiederle espressamente il dono dell’umiltà. Se la nostra richiesta è sincera, saremo aiutati a svuotarci di noi stessi e di riempirci dello Spirito di Dio. La vita spirituale richiede questo passaggio: perdere ciò che è cattivo e riempirci di ciò che è buono.

Praticare l’umiltà non deve farci pensare a comportamenti paurosi, al contrario, la pratica dell’umiltà ci irrobustisce delle altre virtù e non avremo comportamenti fondati sulla timidezza, sulla paura e sulla mediocrità. L’umiltà fa emergere quanto di buono portiamo dentro, si praticano facilmente le altre virtù, e ciò che emerge è il buono che abbiamo dentro.

Ognuno di noi ha molti talenti, molto spesso rimangono soffocati per il prevalere di comportamenti negativi. Quando l’umiltà si radicalizza in noi, conosciamo anche i nostri talenti, le buone disposizioni e ci sentiamo anche premiati da Gesù. Anche noi dobbiamo ringraziarlo per tutte le grandi cose che ha compiuto e continua a compiere nella nostra vita.

Ripetiamo spesso nelle nostre preghiere questo inno di lode a Gesù: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio Salvatore”.

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26/12/2010 12:56
 
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LaParrocchia.it
Imitare la Santa Famiglia di Nazaret

Fratelli nella fede, dopo aver meditato ed aver accolto Gesù bambino nei nostri cuori, oggi siamo invitati a guardare alla sacra famiglia che Dio ha dato al genere umano come un vero modello di vita, dove regna amore, armonia, contemplazione e silenzio. Siamo invitati a vivere e rivivere le virtù di Maria e l'umiltà di S. Giuseppe e l'obbedienza di Cristo.

"La famiglia è lo specchio in cui Dio si guarda quando sta per fare i suoi due miracoli più belli: dare la vita e ispirare l'amore". (Didier Decoin). In questi ultimi anni la famiglia è stata posta di continuo sotto processo. Si è attribuito ad essa, di volta in volta, la responsabilità di quasi tutti i mali e i fallimenti della società e dei singoli. Purtroppo, la nostra, oggi, è una famiglia in cui spesso, più che l'amore che dovrebbe essere il collante sicuro, trionfano l'egoismo, l'edonismo, la chiusura alla vita nascente. È vero: molti sono i fattori negativi: l'ignoranza, la slealtà, la disonestà, la violenza, la droga, la criminalità, la corruzione, ma non per questo dobbiamo perdere la fiducia e la speranza nel futuro.

Cristo è venuto nella nostra carne umana e ha scelto di essere uno di noi nascendo in una normale famiglia. Gesù è nato solo da qualche ora, e la sua vita è già in pericolo. La sua venuta mette in apprensione Erode che sente vacillare il trono. Coetanei innocenti di Gesù pagano con la vita la follia del sovrano, e Gesù è costretto a cercare asilo lontano da casa. L'angelo, che aveva guidato i passi in giorni meno travagliati, ricorda a Giuseppe la sua nuova missione di custode: "Alzati, e prendi con te il bambino e sua madre, e fuggi in Egitto, e resta là finché non ti avvertirò, perché Erode sta cercando il bambino per ucciderlo. E Giuseppe, destatosi, prese con sé il bambino e sua madre, nella notte, e fuggì in Egitto". (Mt 2,13-14). Nei due versetti è racchiuso il mistero della vita di Giuseppe. La fede e la docilità al Signore saranno i cardini della sua esistenza.

Anche oggi, su ogni famiglia, come è stato per la famiglia di Nazareth, si addensano minacce che ne mettono in pericolo e in fuga tante famiglie. Ci sono sempre Erodi nell'ombra che tramano contro i progetti di fedeltà, di relazioni fondate su sentimenti delicati e pacificati, di crescita nell'accoglienza reciproca, rispettando ciascuno la libertà dell'altro. Non si può tacere, per esempio, il fatto che Erode di oggi si nasconda dietro il potere economico, il quale con l'assolutezza delle sue leggi altera gli equilibri familiari imponendo ritmi di vita spesso disumani o mortificando pesantemente le decisioni riguardanti i figli e la loro educazione. Sono tante le forze che lavorano per disgregare ciò che l'amore ha unito. Per questo, oggi, celebrare il Natale significa ricevere il bambino Gesù con l'animo di Giuseppe, pronto ad affidare a Dio il proprio futuro.

"Nazareth ci ricordi cos'è la famiglia, cos'è la comunione d'amore, la sua bellezza austera e semplice, il suo carattere sacro e inviolabile" (Paolo VI). Preghiamo il Signore affinché le nostre famiglie possano vivere pienamente nella fede la realtà sacramentale del matrimonio. Maria e Giuseppe hanno atteso, pregato, sperato.
Le difficoltà le hanno affidate al Padre, contemplando quel bambino che della presenza di Dio era il segno più luminoso. La famiglia si salva se non si rinuncia mai a cercare, se non si stanca mai di sperare, se non si rinunci mai a pregare. Chi crede in Dio sa con certezza che ogni ostacolo può essere superato, ogni Erode può essere vinto.
Sia lodato Gesù Cristo.

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29/12/2010 09:27
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Alla fine dell’anno la liturgia ci propone la riflessione sul cantico evangelico del vecchio Simeone che finalmente può stringere fra la sue braccia il Messia tanto atteso. Questo uomo Santo si sente spinto dallo Spirito del Signore al Tempio proprio nel momento in cui i genitori di Gesù, Giuseppe e Maria, vi conducono il Bambino per la circoncisione. Non è stato un caso, Dio dispone ogni cosa, anche questo incontro tanto atteso da Simeone.

La Sacra Famiglia si trova là per la presentazione al Tempio del Bambino Gesù, ma anche la Vergine Immacolata, Madre di Dio, si sottopone umilmente al rito della purificazione, anche se Lei non aveva mai contratto nessuna impurità. È stata una alta lezione di umiltà.

Sono diversi i punti da focalizzare in questo Vangelo, viene anche preannunciata la dolorosa vita che attendeva la purissima Vergine Maria. “Anche a te una spada trafiggerà l’anima”, è la stessa lancia mistica che ferirà invece il Cuore di Gesù morente in Croce. La stessa missione attendeva il Bambino e sua Madre, anche se Gesù è stato il Mediatore per eccellenza, ma ha voluto condividere tutto con l’unica Creatura perfetta uscita dalle mani di Dio. L’ha voluta come socia e collaboratrice nel piano della redenzione e della salvezza dell’umanità.

Questo ruolo nei secoli sarà vissuto da migliaia di Santi e anime vittime, si tratta di quei seguaci di Gesù, veramente immersi nella vita Divina e disponibili a condividere con Lui la sua stessa Passione. Anime vittime che nella vita subiscono ogni sorta di patimento, ogni forma di persecuzione e le più acerbe diffamazioni.

La Vergine Addolorata fu la prima a condividere la Passione con Gesù.

La spada che trapassò il Cuore Immacolato di Maria fu la tremenda morte del diletto Figlio, della Persona che amava più di se stessa, a cui aveva dato la volontà e la propria vita, proprio Lei che aveva fornito a Dio un Corpo per incarnarsi. Aveva dato a Dio il suo sangue e tutto ciò che possedeva.

La spada preannunciata da Simeone non spaventa la Madonna, anzi è più felice perché nel Tempio và ad offrire al Padre eterno il Figlio che hanno in comune. È un gesto sacerdotale, viene presentata nel Tempio la Vittima anche se di pochi giorni, ma già è l’anticipazione dell’offerta che questa Madre potentissima farà trentatré anni dopo sotto la Croce.

La Madonna offrì al Padre il Figlio crocifisso e massacrato.

Non è stata un’offerta facile, quale mamma avrebbe offerto il figlio in cambio della vita di estranei. La Vergine offrì il Figlio innocente in cambio della salvezza di un’umanità peccatrice.

Quel Bambino che Simeone abbraccia e adora, riconoscendolo come il Salvatore, diventerà la Vittima di espiazione gradita al Padre, e solo per questo immane sacrifico del Calvario, si considera soddisfatto.

Simeone aveva sperato nella sua vita di vedere il Messia e fu accontentato, perché chi chiede a Dio Grazie utili all’anima, sempre le ottiene, ed è più felice Dio di donare le Grazie che noi di riceverle. L’esempio di Simeone ci dice che Dio è sempre in ascolto, non ci abbandona mai, a meno che non siamo noi a rifiutare la sua comunione.

Dobbiamo accettare il progetto di Dio nella nostra vita, vivere di Fede e di umiltà per attirarci la sua benevolenza, chiedere tutto quello che ci necessita e disporci con una vita onesta e virtuosa a riceverle.

Occorre ricercare l’amore e il perdono per trovare la vera pace interiore.

Chi pratica le virtù, raggiunge una gioiosa pace interiore e niente riesce a scalfirla.
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30/12/2010 09:43
 
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Movimento Apostolico -
 Parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme

Dove c'è un cuore disponibile sempre il Signore lo ricolma di verità con la sua rivelazione mediata e immediata, diretta e indiretta. Le modalità sono molteplici. Dio conosce le vie attraverso le quali la sua verità dovrà raggiungere i cuori semplici, puri, timorati, bramosi e assetati di verità e di giustizia. Possiamo dire che per ogni cuore vi è una via speciale, particolare, unica.
In Gerusalemme vi è una profetessa, Anna, figlia di Fanuele, della tribù si Aser. Essa è una vera santa donna. Vive di preghiera. Si nutre spiritualmente di digiuni. Coltiva una grande comunione con Dio. Ha fatto del tempio la sua casa. Giorno e notte è con il Signore. Non si vuole distaccare da Lui neanche per un istante.
Persone come queste sono quasi l'anticipazione del Paradiso sulla nostra terra. Il Paradiso è comunione perfetta con il Signore. Comunione senza lacune, spazi vuoti, tempo occupato in altre faccende. È una comunione lassù senza alcuna interruzione, per questo è eterna. Anna vuole quasi eternizzare la sua presenza presso il Signore, per questo ha scelto di abitare nella sua casa per quanto più tempo è possibile.
Ella loda Dio per la salvezza venuta sulla nostra terra. Parla del Bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme. Ella può far conoscere a tutti i presenti la verità di Gesù solo per luce diretta dello Spirito Santo, per rivelazione immediata. Lo Spirito Santo mette la verità di Gesù sulle sue labbra ed Ella la proclama a quanti sono nel tempio ed anche fuori. Il vero profeta è sempre un fiume in piena. Ovunque passa feconda i cuori di verità, di giustizia, di sana e santa conoscenza di Dio.
Quanto la Legge prescrive Maria e Giuseppe lo adempiono senza nulla tralasciare. La loro obbedienza alla Legge del Signore è puntuale, precisa, esatta, fatta con il cuore, la mente, lo stesso corpo. Vi è un'adesione spirituale, dell'anima e non solo una presenza fisica. Se l'obbedienza non è dello spirito e dell'anima, del cuore e della mente, ma solo del corpo, non si può parlare di vera risposta a Dio. Dio vuole di noi anima, spirito, desideri, pensieri, volontà, cuore, corpo. Vuole tutto di noi e non solo una minima parte. Maria e Giuseppe donano tutto a Dio. Niente conservano per se stessi.
Gesù è vero uomo. Come vero uomo cresce e si fortifica. Come vero uomo deve ricolmarsi di ogni sapienza e grazia. Per questo ha bisogno della costante presenza di Dio nella sua vita. Dio viene e lo prende con sé. Lo assume. Lo cura. Lo protegge. Lo aiuta. Lo ricolma di sé. Gesù da parte sua mette il suo cuore, la sua volontà, il suo spirito, la sua obbedienza al fine di essere sempre tutto di Dio, del Padre suo. La crescita spirituale è insieme dono di Dio e volontà dell'uomo. La comunione è essenziale perché si possa crescere bene. Cristo Gesù è l'uomo dalla perfetta comunione con Dio nella potenza e luce dello Spirito Santo. È questo l'errore della moderna società: pensare che un bambino possa crescere senza comunione con Dio.
Vergine Maria, Madre della Redenzione, aiutaci a crescere in perfetta comunione di verità e di grazia con il Signore. Angeli e Santi di Dio, sostenete il nostro cammino.
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31/12/2010 09:53
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La luce e le tenebre

Il pensiero dominante, che oggi accompagna la stragrande maggioranza della gente, è la fine dell’anno; un giorno e soprattutto una notte da festeggiare con riti diversi, ma con la costante di voler rigettare tutti i mali passati e propiziare il futuro. È sorprendente costatare come la liturgia, che la chiesa ci propone per questo giorno ignori completamente questa realtà. Addirittura, quasi in tono di sfida, ci fa ancora una volta riflettere sul prologo del Vangelo di Giovanni proponendoci le stesse parole con cui inizia anche la Genesi, il primo libro della Scrittura Sacra: “in principio…”. Si parla di un principio senza data, quasi ci si volesse far astrarre dal tempo, ma per dirci che è stato lo stesso Dio a creare e riempire il tempo di tutto ciò che esiste, cominciando da noi uomini, creati a sua immagine e somiglianza. Siamo sollecitati perciò, a partire dalle nostre artificiose suddivisioni, a guardare al tempo in prospettiva di eternità e a riempirlo di sacro. Allora principio e fine si fondono nella continuità e noi a vivere quello spazio che ci è concesso. Il tempo senza Dio diventa un susseguirsi di istanti che consumano e bruciano il tempo perché non vissuto nella verità e nella fecondità. In questa prospettiva comprendiamo meglio l’alternanza della luce e delle tenebre, della cronaca senza significati reali e della storia che diventa sacra. Si tratta in fin dei conti o di accettare Dio come Signore della storia o di abbandonarci ai nostri calcoli umani e alle nostre penose solitudini. San Giovanni ci ricorda che venne la luce vera che illumina ogni uomo, che venne tra la sua gente, ma che i suoi non l’hanno accolta. A coloro che però l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio. Ecco la vera qualifica e la suprema aspirazione a cui dobbiamo tendere ogni giorno, per tutto il tempo che ci è concesso.

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