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MEDITIAMO LE SCRITTURE (Vol.1)

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2010 09:53
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05/08/2010 17:59
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Gesù parla agli Apostoli in un luogo ritirato, vuole che le sue parole siano comprese bene. Si prepara a porre una domanda importante, ognuno deve esprimere la sua Fede verso la sua Persona. Devono dire cosa pensano di Gesù, non solo cosa dice la gente.

Questo luogo ritirato scelto da Gesù esprime la necessità che abbiamo tutti noi di fare dei ritiri, e ritirarci significa appartarsi dai frastuoni e dalle preoccupazioni del mondo. Proprio in questi momenti si scoprono lati della propria persona non ancora esplorati, intuizioni spirituali che cambiano il modo di pregare, il dono del perdono fatto da Gesù che noi dobbiamo esportare agli altri.

In questi ritiri scopriamo veramente Gesù, perché il raccoglimento, il silenzio interiore, la mancanza di preoccupazioni, la preghiera intensa e l’Adorazione Eucaristica, facilitano la comunione ravvicinata con Dio. È veramente opportuno dedicare almeno un giorno al mese al ritiro o mezza giornata ogni settimana.

Ogni volta che si partecipa al ritiro aumenta la conoscenza di Gesù e quella personale, si comincia a credere con maggiore convinzione e la Fede aumenta.

Come si può credere fermamente nella divinità di Gesù? Con una Fede salda e matura. Ma non è sufficiente credere solo questo, bisogna condividere gli insegnamenti di Gesù e rinnegare le cattive inclinazioni.

È la Fede ad interpellare la nostra esistenza, dalla Fede che abbiamo si agisce di conseguenza. Le nostre opere esprimono ciò che siamo.

La Fede richiede sempre una risposta giornaliera.
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06/08/2010 09:06
 
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Monaci Benedettini Silvestrini E li condusse in disparte, su un alto monte

La Festa della Trasfigurazione, trasfigurazione del Signore. La manifestazione particolare della sua vera identità, identità divina, identità gloriosa, identità che Gesù, anzi che Dio stesso concede oggi ai discepoli, ai tre discepoli più vicini a lui, gli apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni, e grazie a loro anche a noi... Una celebrazione allora che ha come suo fondamento un avvenimento storico, una cosa realmente accaduta, un miracolo della vita pubblica di Gesù, prima della sua Pasqua, prima della sua morte e della risurrezione gloriosa, prima di questi ma che racchiude in sé significati profondi, significati che vanno al di là di questa sua morte e della risurrezione, perché il Signore si mostra, si fa vedere così come è veramente, glorioso.
Un punto fondamentale di questo evento, un punto che la caratterizza questa festa, che la caratterizza in modo particolare, univoco è la Teofania. Che cosa significa questa parola? Teofania è la manifestazione, manifestazione di Dio, ma una manifestazione solenne, grande... Nell'Antico Testamento abbiamo molti esempi, molti casi delle manifestazioni di Dio. Dio appariva spesso al popolo eletto. Lo sapevano vedere, riconoscere gli israeliti, forse più di noi... Uno dei segni della sua presenza, di Dio, era la nube, la nube che sia alzava sopra la tenda, nel deserto. O roveto ardente, o terremoto, o la vittoria miracolosa sui nemici... Erano tutte le manifestazioni, teofanie appunto di Dio che voleva essere vicino all'uomo, vicino a noi.
Ma tutte queste manifestazioni veterotestamentarie erano solo un anticipo, una preparazione alla manifestazione definitiva, alla manifestazione massima, la manifestazione della redenzione, della venuta del Signore Gesù Cristo, nato, vissuto tra noi, morto e risuscitato; Gesù, Uomo – Dio. Anche se noi aspettiamo ancora un'altra manifestazione del Signore, l'ultima manifestazione di Gesù, quella della fine dei tempi. Quando ritornerà il Signore con le schiere degli angeli, quando dividerà i buoni dai cattivi.
La manifestazione dunque... la teofania sul Monte, la conferma da parte di Dio Padre, della missione del Cristo della missione che Gesù ha da compiere nel mondo... «Questi è il mio figlio prediletto, ascoltatelo» è il massimo della Teofania. Dio Padre, in presenza dei profeti antichi, di Mosé, di Elia, dei profeti, coloro che hanno preparato la venuta del Messia; in presenza poi dei discepoli, degli Apostoli, dei testimoni prescelti... ecco Dio Padre proclama Cristo suo Figlio, anzi, Figlio prediletto, in cui egli si compiace...
Nel brano di oggi c'è però un'altra parola che non vorrei ci sfuggisse. Questo è il Figlio prediletto, dice, ma dice anche: «Ascoltatelo». Il Padre ci dà un ordine preciso, l'ordine di ascoltare il messaggio del Figlio, di ascoltare Gesù. Anche la Madonna Ss.ma alle nozze di Cana, lei che «ascoltava, meditava e portava le parole di Dio nel proprio cuore, dice ai servi: ascoltatelo, «fate quello che vi dirà». Che significa dunque ascoltare Gesù? Ascoltare... non sentire...! Ascoltare è compiere i suoi comandamenti e particolarmente il primo dei comandamenti, quello dell'Amore. Ascoltare il Signore è comportarsi come egli si è comportato, come lui è vissuto sulla terra, vivere dall'esempio che Gesù ci ha lasciato... E lui ha trascorso tutta la sua vita facendo la volontà di Dio, facendo del bene a tutti, aiutando i bisognosi, sanando i malati, predicando la Buona Novella del Regno di Dio.
Tanti parteciperanno all'Eucaristia oggi. L'Eucaristia è la manifestazione, la nostra teofania di Dio. Non le accompagnano né terremoti, né nubi o saette. Qui però abbiamo tra noi, nelle nostre mani Dio stesso, Dio che si lascia pregare, sentire, toccare, gustare, perfino mangiare... Dio che mangiato nel pane inizia in noi l'opera sua, inizia in noi la nostra trasfigurazione, entra dentro di noi e ci trasfigura, trasforma dal di dentro, quasi dall'interno... Ecco la festa della trasfigurazione, di Dio, di Gesù, ma anche la festa della nostra trasfigurazione, la profezia di ciò che dobbiamo diventare noi. E quando scenderemo dal monte, quando torneremo a casa nostra, ai nostri impegni, dopo l'Eucaristia, possiamo continuare ad essere trasfigurati, luminosi, bianchi, per contagiare con la nostra esperienza, con il nostro esempio anche gli altri. Il Signore ce lo conceda.
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07/08/2010 08:45
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
La forza della fede

“Nulla è impossibile a Dio”: egli è l’onnipotente, il suo stesso pensiero è in se creativo. A chi agisce nel suo nome viene dato il potere di compiere le sue stesse opere. Egli ha promesso: “In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch’egli le opere che io faccio; anzi ne farà di più grandi di queste, perché io vado al Padre “. In questo contesto comprendiamo la delusione e l’amarezza di Gesù sentendo dire da un padre che implora la guarigione del figlio epilettico: “L’ho portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo”. Deve costatare di avere a che fare con una generazione incredula e perversa e con discepoli ai quali deve dire di non aver potuto scacciare quel demonio: “Per la vostra poca fede”. È significativo che Gesù non chiede ai suoi e a noi una fede eroica, ma ci dice semplicemente: «Se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: “Spostati da qui a là”, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile». Dobbiamo ricordarci però che i doni di Dio, la fede è sicuramente uno dei più importanti, sono conservati in vasi di argilla ed sono simili alle lampade delle vergini che attendono l’arrivo dello sposo nel cuore della notte: devono essere opportunamente alimentate e con prudenza bisogna conservare sempre una scorta si olio. Ciò significa concretamente: la pratica della vita cristiana, la frequenza ai sacramenti, le opere buone, la carità fraterna. Mosè nella prima lettura di oggi ci ricorda i precetti da vivere ed insegnare: “Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze. Questi precetti che oggi ti do, ti stiano fissi nel cuore; li ripeterai ai tuoi figli, ne parlerai quando sarai seduto in casa tua, quando camminerai per via, quando ti coricherai e quando ti alzerai”. Così quel granellino di fede potrà germogliare anche in ciascuno di noi.
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08/08/2010 12:50
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Dopo la meditazione del Vangelo di domenica scorsa, con l’uomo ricco che faceva progetti su come godere inutilmente i suoi molti beni perché dopo poche ore morirà; questa domenica Gesù ci dice di rimanere pronti, perché non sappiamo l’ora dell’incontro con Lui.

Gesù ci ha detto domenica scorsa di arricchirci davanti a Dio, nessuno è in grado di determinare la sua vita, né può prolungarla, siamo tenuti in vita dal soffio vitale di Dio. La vita è dono di Dio, si può volontariamente spegnere ma non allungarla. Nessuno prima di nascere aveva stabilito di nascere… non esisteva, è stato un dono di Dio. Per questo Gesù oggi ci dice di procurarci un tesoro che nessuno potrà mai distruggere né rubare.

Allora cos’è la nostra vita terrena?

Cerchiamo di capire il significato della vita. Gesù spiega una parabola che riguarda i suoi seguaci che Lo seguono con obbedienza, rimangono attenti all’arrivo del padrone, cioè, vigilano. Ci sono seguaci che rimangono in attesa e si trovano pronti quando il Signore arriva, mentre altri seguaci si distraggono nel mondo e sperperano le Grazie accumulate. Si rovinano.

C’è chi rimane sveglio, cioè pieno di Luce Divina, altri si addormentano nelle tenebre.

Praticamente Gesù spiega la differenza tra chi aspetta l’incontro finale in uno stato spirituale di Grazia, e chi perde di vista l’aldilà e si inebria di nulla, pensa solo a mangiare, a bere e a ubriacarsi. L’ubriacatura non riguarda solo l’alcool, indica ogni forma di agitazione, sfrenatezza, esaltazione. Chi non prega o prega poco non si rende conto che la vita gli sfugge sotto gli occhi. Ma si illude di vivere la vita…

Per questo Gesù ci invita alla vigilanza, a controllare i nostri comportamenti spesso non equilibrati, a dirigere la volontà esclusivamente al bene. Siamo noi a decidere il tipo di comunione da mantenere con Gesù e chi vogliamo diventare. Il futuro lo decidiamo noi.

È significativa la parabola del Vangelo di questa domenica, è ambientata di notte perché Gesù mostra la vita come una veglia di attesa, per arrivare al giorno luminoso, del grande incontro con Dio in Paradiso.

L’aldilà è una di quelle verità annullate nella mentalità corrente, come se questa vita dovesse durare mille anni. Sarebbe bello se si vivessero nell’obbedienza a Dio per evangelizzare il mondo, se invece si moltiplicano i peccati, non è certamente una buona cosa.

L’aldilà è l’altro mondo, quello eterno, non lo possiamo ignorare o esorcizzare per tenerlo lontano. Dovunque andiamo, ci segue e ci aspetta per la nostra gloria o per la rovina.

Gesù ci indica come affrontare questa vita e non sprecarla, evitando le trappole di satana e dominando le passioni disordinate. Ci dice di vigilare sulla sua venuta, puntando decisamente all’impegno più importante: accumulare ricchezze per il Regno dei Cieli, che nessuno ci potrà rubare. Tutti i beni materiali si possono perdere, così la macchina si guasta o rompe, la casa se crolla, anche il denaro si può perdere per diversi motivi, ma le Grazie accumulate nessuno le porterà via.

Il premio preparato da Gesù viene elargito a coloro che in questa vita Lo hanno seguito ed atteso, che si sono trovati pronti e non hanno temuto di incontrarlo. Una delle tentazioni di satana è di non fare pensare all’aldilà o di incutere paura. Chi prega bene e pratica le virtù, non vive nel panico e non si esaurisce nella preoccupazione.

Gesù ci dice di non temere, di non lasciarci prendere dall’angoscia, e indica l’uomo spirituale se ha fiducia in Dio e si abbandona al suo Amore, sicuro che riceverà incalcolabili aiuti e la vita eterna.

“Dove è il vostro tesoro, lì sarà anche il vostro cuore”, è una verità che si sperimenta con facilità, si prova attrazione verso ciò che il cuore adora. Se adora Gesù l’uomo vive per Lui, sapendo che riceverà ricchezze spirituali inestimabili; se è un idolo, il cuore soffrirà nell’agitazione, proverà tutti i vizi, sarà oppresso dalla superbia e dall’odio.

Solo Gesù ci libera da ogni oppressione e ci rende liberi, cioè, distaccati dai vizi e dai disordini morali. Questo significa essere pronti, determinati a cogliere ogni momento di Grazia e di comunione con Gesù, a cogliere l’occasione per il bene da compiere, perché se non si è vigilanti non si coglieranno mai i momenti buoni per fare del bene.
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09/08/2010 17:45
 
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padre Lino Pedron Commento su Matteo 17, 14-20

Il brano si articola sull'impotenza dei discepoli di guarire il fanciullo a causa della loro poca fede (v.20), nel mezzo di una generazione senza fede (v.17) e conclude presentando la potenza della vera fede (v.20).

Per Matteo questo ragazzo è simbolo del popolo d'Israele incredulo (cfr Dt 32,5) che non ha percepito la presenza di Dio in mezzo a sé (v.17).

I discepoli non possono scacciare il demonio con le loro forze, ma solo con la potenza di Dio. La fede è l'unico mezzo per mettersi in contatto con Dio e usufruire della sua potenza.

Matteo richiama la parabola del granello di senapa (13,31-32) la cui crescita va molto al di là delle attese iniziali.

Questo testo sembra contenere una contraddizione. Gesù rimprovera i discepoli per la loro poca fede e poi dice che un granellino di fede sposta le montagne.

Alcuni codici non parlano di poca fede (oligopistìa), ma di "nessuna fede" o di "incredulità". Comunque si voglia leggere il testo, si tratta nel primo caso di "nessuna fede" o di "poca fede" esitante, contraddittoria e dubbiosa; nel secondo caso si parla di un granellino di fede autentica.
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10/08/2010 15:45
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Il chicco di grano germoglia solo se muore, se marcisce sotto terra, per liberare tutta l’energia vitale che contiene e rinascere per produrre altri grani. Questo avviene al chicco di grano seminato, inoltre c’è da considerare che deve cadere sul terreno buono, fertile, accogliente.

Gesù è come il chicco di grano che cade a terra, e Lui volle cadere dal Cielo obbedendo al Padre, abbandonando la sua dimora alla destra del Padre. Gesù si è staccato dalla spiga per venire in mezzo a noi terreni impastati di terra, sapendo perfettamente tutto quello che avrebbe compiuto: marcire volontariamente e per causa dei nemici, per poi morire in Croce.

Dalla sua morte ci è stata data la vita. Come il chicco di grano che muore, germoglia e produce altri chicchi.

Viene seminato per crescere, prima però deve fare la triste esperienza della sua morte, lenta ed inevitabile, ma c’è un principio vitale che non lo abbandona, così ritorna in vita, risuscita secondo il linguaggio del Vangelo.

Il riferimento alla superbia è evidente, essa quando è viva rende la persona sterile, incapace di fare del bene, di vivere. Occorre uscire da se stessi, causare la morte alla superbia, comportandoci secondo la legge dell’Amore e del perdono.

Chi resiste è come un chicco di grano che non cade per terra e non produce altri chicchi, rimane sospeso in una altalena di dubbi e risentimenti. Occorre abbandonarsi e mettersi nelle mani di Gesù, per cadere e rimanere nella terra fruttuosa che fa rinascere la vera vita spirituale.

Chi non accetta di cadere come il grano e non fa marcire la propria superbia, rimarrà sempre con le stesse problematiche e senza ottenere alcuna vittoria. Cercherà di ricevere Grazie mantenendo posizioni non conformi al Vangelo, quindi, chiudendosi all’Amore di Gesù.

Essere come un seme di grano vuol dire darsi a Gesù e al prossimo con generosità senza calcoli umani e senza interessi da coltivare. La vera donazione si manifesta quando si muore a se stessi per rinascere in Gesù. C’è un atto di coraggio da compiere.

Chi non fa morire la superbia, rimane solo con se stesso.
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10/08/2010 17:41
 
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Dal Vangelo secondo Giovanni 12,24-26
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: “In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna.
Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà”.
______

Il nostro brano contiene delle parole solenni e cruciali sulle modalità con cui la missione di Gesù e dei suoi discepoli «produce molto frutto». Ma in questa dichiarazione solenne e centrale di Gesù, «se il chicco di frumento caduto a terra non muore, rimane solo; se muore, invece, produce molto frutto» (v.24), è inserita in quel contesto narrativo di 12,12-36 dove si narra dell’incontro di Gesù come messia con Israele e del rifiuto di quest’ultimo della sua proposta messianica. Quali sono i temi principali che descrivono il messianismo di Gesù? I giudei attendevano un messia sotto le vesti di un re potente, che continuasse lo stile regale di Davide e restituisse a Israele il suo passato glorioso. Gesù, invece, pone al centro del suo messianismo il dono della sua vita e la possibilità data all’uomo di poter accettare il progetto di Dio sulla sua vita.
La storia di un seme. Il dono della sua vita, come caratteristica cruciale del suo messianismo, Gesù lo tratteggia con una mini-parabola. Un evento centrale e decisivo della sua vita lo descrive attingendo all’ambiente agricolo, da cui prende le immagini per rendere interessanti e immediate le sue parole. È la storia di un seme: una piccola parabola per comunicare in modo semplice e trasparente con la gente: un seme inizia il suo percorso nei meandri oscuri della terra, ove soffoca e marcisce ma in primavera diventa uno stelo verdeggiante e nell’estate una spiga carica di chicchi di grano. Due sono i punti focali della parabola: il produrre molto frutto; il trovare la vita eterna. Il seme che sprofonda nell’oscurità della terra è stato interpretato dai Primi Padri della Chiesa un’allusione simbolica all’Incarnazione del Figlio di Dio. Nel terreno sembra che la forza vitale del seme sia destinata a perdersi perché il seme marcisce e muore. Ma poi la sorpresa della natura: in estate quando biondeggiano le spighe, viene svelato il segreto profondo di quella morte. Gesù sa che la morte sta per incombere sulla sua persona tuttavia qui non la vede come una bestia che divora. È vero che essa ha le caratteristiche di tenebra e di lacerazione, ma per Gesù contiene una forza segreta tipica del parto, un mistero di fecondità e di vita. Alla luce di questa visione si comprende un’altra espressione di Gesù: «Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna». Chi considera la propria vita come una fredda proprietà da vivere nel proprio egoismo, è come un seme chiuso in se stesso e senza prospettive di vita. Chi invece «odia la sua vita», un’espressione semitica molto incisiva per indicare la rinuncia a realizzare unicamente se stessi, sposta l’asse del significato di un’esistenza sulla donazione agli altri; solo così la vita diventa creativa: è fonte di pace, di felicità e di vita. È la realtà del seme che germoglia. Ma il lettore può cogliere nella miniparabola di Gesù un’altra dimensione, quella «pasquale». Gesù è consapevole che per portare l’umanità al traguardo della vita divina deve passare per la via oscura della morte in croce. Sulla scia di questa via anche il discepolo affronta la sua «ora», quella della morte, con la certezza che essa approderà alla vita eterna, vale a dire, alla comunione piena con Dio.
In sintesi. La storia del seme è quella di morire per moltiplicarsi; la sua funzione è quella di un servizio alla vita. L’annientamento di Gesù è paragonabile al seme di vita sepolto nella terra. Nella vita di Gesù amare è servire e servire è perdersi nella vita degli altri., morire a se stessi per far vivere. Mentre sta per avvicinarsi la sua «ora», il momento conclusivo della sua missione, Gesù assicura i suoi con la promessa di una consolazione e di una gioia senza fine, accompagnata, da ogni tipo di turbamento. Egli porta l’esempio del seme che deve marcire e della donna che deve partorire nelle doglie. Cristo ha scelto la croce per sé e per i suoi: chi vuole essere suo discepolo è chiamato a condividerne il suo stesso itinerario. Egli ha sempre parlato ai suoi discepoli con radicalità: «Chi vorrà salvare la propria vita la perderà. Chi la perderà per me la salverà» (Lc 9,24).
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11/08/2010 12:12
 
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padre Lino Pedron
Matteo 18,15-20

Nel brano della correzione fraterna e della preghiera concorde Matteo sviluppa l'iniziativa di colui che vuole aiutare il peccatore a ritrovare la comunione fraterna. L'espressione "tuo fratello" (vv.15.21) manifesta l'intenzione teologica di Matteo: la Chiesa è una comunità di fratelli.

Il passo da compiere si esprime in una triplice gradazione: se il colloquio da solo a solo non porta il frutto sperato, si potrà fare appello ai fratelli e solo in ultima istanza si deve ricorrere a tutta la comunità.

Alla luce della parabola precedente (vv.12-14: la pecora perduta), il triplice passo va inteso come uno sforzo per riportare nella comunità colui che si era allontanato: è una traduzione umana della pazienza di Dio.

Colui che rifiuta dev'essere considerato come un pagano o un pubblicano, ossia come persona di fronte alla quale i fedeli si trovano impotenti. Nei confronti di questo fratello che rifiuta di ascoltare, il cristiano ha ancora un dovere da compiere, il più importante: affidarlo alle mani del Padre, riconoscendo che l'aiuto di cui necessita sorpassa totalmente le possibilità della comunità. Dove falliscono gli uomini può riuscire Dio.

La Chiesa è dunque una comunità nella quale i fratelli sono responsabili della fede dei loro fratelli. Ma questa comunità dipende meno dagli sforzi umani, che possono finire in un insuccesso, che dal Padre che è nei cieli: è lui il Pastore che va in cerca della pecora perduta.

L'espressione "Io sono in mezzo a loro" (v.20) richiama l'inizio del vangelo (1,23: Gesù è il "Dio con noi") e la fine (28,20: "Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del tempo"). Con questa frase Matteo ci indica dove possiamo trovare Dio e fare un'autentica esperienza della sua presenza: dove c'è la comunità riunita nel suo nome, lì c'è Dio.
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12/08/2010 12:43
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Quante volte bisogna attraversare il Mar Rosso?

Il racconto dal libro di Giosuè ripropone la pagina certamente più epica del passaggio del Mar Rosso. Infatti, qui gli Israeliti si trovano "solo" a guadare un fiume, ma esso è il confine che li divide dalla terra promessa e dunque riveste un'importanza fondamentale per la storia di questo popolo disperso per tanti anni nel deserto. Le cose non saranno state di certo così facili, la convivenza e/o lo scontro con altre popolazioni indigene avranno senz'altro portato delle integrazioni a scapito della purezza della fede, oppure delle lotte per salvaguardarne l'integrità. Ma tutto questo ci dice ancora una volta che quella del credente è una vita in cui bisogna ricominciare sempre da capo, in cui occorre attraversare mari (o fiumi) che ci fanno agognare la terra promessa. È insomma un essere "gettati" senza sicurezze nel grande mare dell'avventura con Dio che ci provoca a scoprire sempre nuovi orizzonti, a dirigerci verso mete inesplorate, ad osare di continuo senza farci troppe domande. È il medesimo procedimento che dovremmo applicare per il perdono cristiano, così come è espresso nel vangelo. Anche questa maniera essenziale di "esserci" del cristiano, si sostanzia come una magnifica avventura, in cui si è chiamati, non solo a dare il perdono, ma ad essere segno del medesimo perdono di cui ognuno di noi è stato fatto oggetto da parte di Dio. Il perdono, però, non è qualcosa che si improvvisa dall'oggi al domani, ma cresce con il crescere della consapevolezza di essere stati amati prima di tutto noi dal Signore. E queste possono risuonare ancora una volta come belle espressioni prive di qualsivoglia contenuto. E di nuovo occorre sottolineare come il cristianesimo si vive sulla propria pelle, facendone esperienza, non è un espressione intellettuale o cultuale. A tal proposito guardate le pagine infuocate di Isaia 1, 10-17, e vi accorgerete come, già nel Primo Testamento, ciò che Dio ricerca non è una fede da teatro ("l'incenso è un abominio per me"), ma una modalità del credere che trova la sua espressione più alta nel farsi prossimo e nel rendere giustizia.
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12/08/2010 14:35
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

È difficile perdonare, ancora più faticoso per chi non crede o anche non prega.

La mancata riflessione sul perdono che riceviamo sempre da Gesù, fa agire con molto istinto e con risentimento. Vogliamo il perdono da Gesù ma non siamo disponibili a darlo agli altri.

Spesso si reagisce con rabbia dopo avere ricevuto piccoli torti, e questa è una manifestazione di un vizio che l’uomo ha con sé dalla nascita fino alla morte. La superbia istiga contro i nemici ed annebbia, fa perdere la capacità di ragionare con serenità.

Spesso un buon rapporto finisce per incomprensioni e quello che rimane è il rancore, non i buoni ricordi. Si dimenticano gli aiuti ricevuti, l’amicizia, l’affetto. Forse per piccoli torti.

Se la persona è debole non riesce mai a perdonare, lo fa anche con premura se ne ha dei vantaggi, qualche interesse magari non molto visibile. Qui manca l’amore e la verità, si agisce con piena disonestà intellettuale.

Vediamo come bisogna fare per riuscire a perdonare.

È lo Spirito Santo ad aiutarci, senza la sua presenza trionfa la superbia e il rancore. Quindi, è necessario compiere degli sforzi spirituali, elevarci dalla terra, assorbire lo Spirito del Cielo.

Per raggiungere la capacità del perdono, bisogna entrare nel cammino di vita, nella fase della vera conversione che pian piano elimina lo spirito umano, incline al male e corrotto. Così lo Spirito Santo trova lo spazio per entrare e prendere dimora.

L’anima comincia a vedere la realtà come essa è, non come la superbia ce la dipingeva. Inoltre, comincia ad assaporare il senso del perdono e talvolta perdona senza sforzo.

Qualcuno si preoccupa sul perdono da dare, perché non considera più possibile incontrare alcune persone. Infatti, non è richiesto l’incontro con chi ci ha fatto del male, è importante donare il perdono nel tuo cuore, quindi, eliminare ogni risentimento ed amare, desiderare il bene di chi ci ha odiati.

Si ama in modo infinito, si perdona senza limiti.

Non sette volte ma sempre. Gesù non indica un numero quando ci perdona.
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13/08/2010 14:46
 
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Monaci Benedettini Silvestrini

Fedeltà creativa

 


Mt 19,3-12
Per la durezza del vostro cuore Mosè vi ha permesso di ripudiare le vostre mogli; all’inizio però non fu così.

 


 


Se il discorso sul perdono spinge ad irrobustire la nostra fede e a viverla coerentemente, non meno esigente si mostra la richiesta di fedeltà di cui è portatore il vangelo.
I farisei da rigidi custodi della legge sanno che c'è una norma, fatta risalire a Mosé (Dt 24, 1), per cui è lecito ripudiare la propria moglie, ma Gesù PRECISA, richiamandosi all'originale progetto di Dio sull'unità della coppia, che forma UNA SOLA CARNE,  facendo così prevalere i diritti-doveri della persona sulla legge stessa. È la legge a servizio della persona e non questa sottomessa a quella. Nel libro di Giosuè troviamo una grande liturgia commemorativa, probabilmente una celebrazione di rinnovamento dell'Alleanza, in cui Israele fa memoria, attraverso l'ascolto, delle grandi gesta compiute da Dio in favore del suo popolo. Ascolto e Parola sono due dimensioni che troviamo in entrambe le letture. Se l'ascolto avviene come memoriale allora la Parola si attualizza: ciò che viene letto non è la storia di altre persone, ma è la mia storia, ne sono coinvolto personalmente. Così il vangelo ci indica che verso la Parola occorre una "fedeltà creativa": sappiamo quanto siano deleteri i fondamentalismi di ogni genere, specialmente dove hanno a che fare con il letteralismo. Preservare la lettera è certamente cosa buona, ma esserne ostinatamente vittime è distruttivo per sé e per gli altri. Non c'è bisogno di scandalizzarci per la rigidità dei farisei, pensiamo invece ai vari fondamentalismi, in campo religioso e non, che scorgiamo oggi in questo nostro mondo ed anche, perché no, dentro di noi!
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14/08/2010 14:32
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Negli insegnamenti di Gesù si trovano diversi riferimenti ai bambini, ha una predilezione per la loro innocenza, per l’onestà intellettuale. Le più grandi apparizioni della Madonna hanno coinvolto sempre bambini, ricordo per esempio La Salette, Lourdes, Fatima, Medjugorje.

Le caratteristiche dei bambini -oltre l’innocenza che è sublime-, sono contrassegnate dalla semplicità, dall’ascolto, dall’amore autentico e sincero per i genitori. Caratteristiche che ogni cristiano è chiamato ad avere per fare parte del Regno dei Cieli.

Il cristiano che non considera Dio come Padre, che non Lo avverte come Amore che salva, aiuta e protegge, è cristiano solamente di titolo. Le persone semplici vanno diritte al Cuore di Gesù, non si fermano a considerare cose irrilevanti che hanno lo scopo di frenare il cammino spirituale.

Gesù ci invita a diventare bambini dentro, a raggiungere quella spiritualità che Santa Teresina indicava come infanzia spirituale, che però troviamo spiegata chiaramente nelle parole di Gesù. Leggiamo alcune sue espressioni:

“In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,3.5).

“Non avete mai letto: Dalla bocca dei bambini e dei lattanti ti sei procurata una lode?” (Mt 21,16).

“Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37).

Sono molti i cattolici che non riescono a comprendere il significato di farsi come bambini, hanno difficoltà a comprendere e a distinguere l’aspetto spirituale dalla mentalità che ognuno si ritrova. Come ho già avuto modo di spiegare, tutto ciò che facciamo e diciamo è espressione di ciò che siamo dentro, per cui, se la vita interiore è impregnata di semplicità e verità, ogni manifestazione esteriore sarà di conseguenza.

Si tratta di essere bambino davanti a Dio nella semplicità ma non nella semplicioneria spirituale, perché è maturità, saggezza, padronanza della volontà. Innanzitutto è necessario che ci sia la sottomissione dell'intelletto, ed è un lavoro che dobbiamo curare ogni giorno per liberarlo da pensieri intrisi di superbia e di orgoglio. L’intelletto deve abbandonarsi all’Amore di Dio, essere convinto che Dio è Padre e provvede a tutto.

È importante la Grazia di Dio, ma non è da trascurare lo sforzo della persona, anche nel dominio della volontà, evitando di compiere o pensare ciò che si oppone al Vangelo. Questi atti di rinnegamento ripetuti ogni giorno, rafforzano la volontà e l’abbandono in Dio. È richiesto lo sforzo della persona che vuole entrare nella cammino dell’infanzia spirituale.

Bisogna farsi piccoli dentro, come bambini di tre anni, non più grandi, questi diventano furbi e raccontano bugie, cercano solo i loro interessi. Dobbiamo credere come i bambini di tre anni, e questo, ripeto, trasforma la persona, la rende matura e forte nella volontà.
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15/08/2010 16:30
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Pubblico oggi un estratto dal mio libro Maria Madre di Dio.

Maria è Colei che solo amò, la Creatura delle Delizie di Dio, il Sole del suo Sole, il Fiore del suo giardino, il Tabernacolo Santo di Dio, la Carezza dell’Eterno, la Perla del Paradiso, la Vergine che non conosce che il bacio del Signore, il Capolavoro della creazione universale, l’Immagine e la somiglianza perfetta di Dio, destinata a divenire l’Arca del Verbo, la Pace di Dio, la Colomba soave di Dio, Colei che da sola sa amare più di tutta l’umanità messa insieme, inferiore in santità solo a Dio, la Creatura più grande dopo Dio, la gioia del Paradiso, ma ancora, Maria è la Rosa di Dio.

Maria è la Mediatrice universale di tutte le Grazie, è Portatrice di Grazia, perché Lei diede la Vita fisica alla Grazia stessa: a Gesù. Maria, perché Madre del Signore è la Vergine Madre, l’Assunta in Cielo in Anima e Corpo, la Regina degli Angeli e dell’universo, la Corredentrice del genere umano, la Madre spirituale dell’umanità, la Regina del Cielo e della terra, la Madre della Chiesa, Colei che innamora la Santissima Trinità, la Misericordia del Padre: è l’Immacolata. Ma tutte queste prerogative scaturiscono dalla Maternità Divina: Maria è Madre di Dio. La Maternità Divina è la base e il motivo di tutti i privilegi di Maria Santissima.

Immacolata perché non poteva essere macchiata da alcun peccato e quindi in potere di satana, Colei che doveva ospitare nel proprio Grembo il vincitore del peccato e del demonio. Vergine Madre, perché ha concepito Gesù per opera dello Spirito Santo, ed è rimasta Vergine, perchè ciò era conveniente alla Madre di Dio. Assunta in Cielo perché “occorreva che la Madre della Vita (Gesù) condividesse la dimora della Vita”.

Maria è Creatura tutta singolare, si trova tra Dio e noi. Vuole che Dio sia conosciuto, amato ed adorato, ma vuole anche che noi ci salviamo, andiamo in Paradiso, e ci riusciremo solo se conosceremo, ameremo ed adoreremo sempre più Dio.

Ella ha ricevuto da Dio quelle perfezioni che convengono solo a una Madre di un Dio, per questo Maria è grandissima. La sua Santità è così alta che sfiora l’infinito. Dice Sant’Alberto Magno, che “Maria ebbe in grado superlativo tutte e singole le virtù, a differenza dei Santi, i quali ebbero solo qualche virtù eminente”. È Madre di Gesù, e se Gesù concede grandi Grazie ai Santi, quante più deve concederne alla Madre, che è Piena di Grazia?

È la Donna bellissima, che innamorò la Santissima Trinità. È lo Specchio del Signore, perché Ella rimanda sempre al Figlio Divino; è la Maestra dei Santi, come lo fu del Santissimo, Uomo unico ed irripetibile; la Luce del mattino o l'Aurora, perché dopo Lei viene il Sole, che illumina le tenebre.

Maria è l'Altissima, e mente umana non può comprendere quanto sia Potentissima. Sant'Alselmo dice: “Dio che creò ogni cosa, fece se stesso da Maria e così tutto rifece”.

Maria fu L'obbediente, la Maestra di obbedienza, perché la sua risposta a Dio, fu sempre “Sì”. La Vergine Maria fu “Colei che per la sua Fede ed Obbedienza generò sulla terra lo stesso Figlio del Padre, senza contatto con uomo, ma adombrata dallo Spirito Santo”, come è scritto nella Marialis Cultus. “Se il peccato di Eva fu quello della disubbidienza, la novella Maria, con la sua perfetta ubbidienza, riparò questo peccato”, sostiene Sant'Agostino. Fra tutti i più grandi Santi, solo l'ubbidienza di Maria fu perfetta.

“Gesù La onorò dall'eternità e La onorerà per l’eternità -afferma San Massimiliano Maria Kolbe-. Nessuno si avvicina a Lui, si rende simile a Lui, si salva, si santifica, se non onora Maria: nessuno, nè un Angelo, nè un uomo, nè un altro essere”. Tra tutte le donne, Maria è la Donna eletta, tanto che l'Immortale Creatore si nutrì al suo petto.

La Vergine Madre ha detto alla mistica Venerabile Maria d'Agreda: “Fui preparata dall'Altissimo per essere la Madre dell'Unigenito, e da questa Santa Maternità provengono alla mia Anima tutte le perfezioni, le Grazie e i Doni. Appresi l'arte della perfetta Maternità quando nel mio Seno il mio dolce Bene dava istruzioni al mio Cuore e insegnava alla mia Anima; talvolta in colloqui dolcissimi mi intrattenevo con Lui, e il mio Amato si accostava alla Fonte sigillata, e alle mie orecchie sussurrava parole divine che nessun udito umano mai ha udito”.

Maria Santissima è l'Amata da Dio e la Prediletta di Dio da tutta l'eternità, la più grande di tutte le creature, perché Dio riversò su di Lei come pioggia fertile Grazie, Privilegi ed infinito Amore.

La Santa Chiesa, dice che non reca meraviglia, se presso i Santi Padri, c’era l’uso di chiamare la Madre di Dio: “La Tutta Santa; immune da ogni macchia di peccato; dallo Spirito Santo quasi plasmata e resa nuova Creatura; adornata fin dal primo istante della sua Concezione dagli splendori di una Santità tutta singolare”.

Precisa Sant'Agostino, che “pur essendo così grande, Maria fu tanto umile, che meritò di diventare l'arcana Scala per la quale Dio discese in terra”. “Sembra quasi che tra Maria e Dio si stabilisca una gara: più Dio innalza Maria più Lei si abbassa nella sua umiltà”, afferma San Bernardo.

Maria è il Mare delle virtù di Dio, Colei che porta ogni bene, l'Ostensorio di Dio, la Porta del Cielo, l'Arca di Dio, l'Inno dei Cieli, il Tempio dello Spirito Santo, l’Avvocata nostra, la Mediatrice e Dispensiera di Grazie. Le meraviglie compiute da Dio in Maria sono state più numerose delle stelle del Cielo e più luminose del sole.

Per San Massimiliano “la Madonna è la più perfetta tra le creature, è stata elevata al di sopra delle creature, ed è una Creatura Divina in un modo ineffabile. Ella è strumento di Dio. Con piena consapevolezza si lascia volontariamente condurre da Dio, si conforma alla sua Volontà, desidera solo ciò che Dio vuole. Opera secondo sa Sua Volontà nel modo più perfetto possibile, senza il minimo difetto, senza alcuna deviazione della propria Volontà, dalla Volontà di Lui”.

“Tutte le generazioni mi chiameranno Beata”(Lc 1,48), profetizzò Maria, ma il popolo di Dio La invoca Beatissima, Santissima, Onnipotente per Grazia, Regina dell’universo e Madre di Dio. Infatti, ogni cuore innamorato di Maria ripete insieme a Sant’Elisabetta: “Beata Te che hai creduto, poiché si compiranno in Te le cose che Ti sono state dette dal Signore”.

In Maria la Grazia ricevuta, corrisponde ad una santità quasi infinita, ed è proporzionata all'Amore che Ella ebbe verso Dio. E Dio essendo Onnipotente, adornò Maria di incalcolabili gemme preziose. Come Creatore Egli poteva creare una Creatura così Altissima sopra tutti gli Angeli; volle avere per Madre una Donna grandiosa; creò senza alcun interrogativo una Madre, che è Santissima ed umilissima: Maria.

Sì, Maria è la Casa d’oro e vivente dell'Incarnazione Divina. Maria è la Casa di santità, del sacrificio, di preghiera, la Casa di Dio. Ella è il Tesoro di tutti i beni celesti; il Tesoro di bontà e di Grazia. Maria è Creatura specialissima, creata con potenza, sapienza e bontà da Dio. Maria è la mistica Città di Dio, la Tesoriera del Cuore di Dio e la prima degli Eletti.

È la Misericordia di Dio, in cui trovano riparo e salvezza i figli disperati. È il Giardino fiorito, da dove germogliò il Fiore più prezioso e più bello: Gesù. È l'Orto fruttuoso, che produsse quel Frutto Divino dolce e sazievole, che è l'Uomo-Dio.

Sì, per nostra consolazione e conforto, la Grandezza e la Dignità di Maria è senza uguale, fino a toccare i limiti dell'infinito.

Maria vuol portare in Cielo tutti i suoi figli. L'Assunta.

Nell’Annunciazione l’Arcangelo La chiamò “Piena di Grazia”, e chiaramente non poteva intendere solo l’Anima, ma anche il Corpo, perché la persona è costituita da anima e corpo, e dato che l’anima si riversa sul corpo, Maria deve dirsi Piena di Grazia anche nel Corpo, oltre che nell’Anima. E il Corpo pieno di Grazia, come quello di Maria, è necessariamente pieno di Gloria. Per questo, non poteva marcire il Corpo di Maria nel sepolcro.

D’altronde, Gesù come Dio poteva liberamente portare la Madre oltre i Cieli in Anima e Corpo. Poteva farlo e lo ha fatto. Come Dio poteva e lo fece; come Figlio voleva e lo fece. Gesù può tutto, e non lasciò corrompere il Cuore della Madre, che è simile al suo; non lasciò decomporre la Carne della Madre che aveva dato a Lui la Carne.

San Lorenzo da Brindisi afferma che “Maria è la Mistica Arca di Dio, glorificata per il merito infinito della Grazia”. Però Bossuet precisa nei discorsi mariani, che “in Cielo Maria ancora piange sui peccatori, prevedendone l'eterna rovina”.

P. Roschini sostiene che “Maria fu Assunta perché Immacolata, ma essendo stata associata all'opera redentrice del Redentore, è consequenziale dire, che fu Assunta perché Corredentrice”.

Il Corpo di Maria è stato Assunto in Anima e Corpo, perché il suo Corpo non poteva decomporsi nel sepolcro, non poteva essiccarsi quel Sangue che ha dato la Vita fisica al Verbo eterno.

Aveva dato la vita fisica a Colui che è la Vita stessa, a Colui che è la Grazia, per questo nascendo da Maria, Ella diventa la Madre della Grazia, la Tesoriera della Grazia, la Mediatrice di tutte le Grazie.

Ogni battito del Cuore di Maria è stato un atto d’amore verso Dio, perciò la sua Vita è stata un battito d’amore a Dio. Per questo, il Sacro Cuore di Gesù nulla rifiuta a Maria, a sua Madre, che è la più degna delle Madri, Colei che per amore di tutte le madri, dei loro figli e di tutti gli esseri umani rinunciò ai diritti di Madre su Gesù, dando al Padre il proprio Figlio come Vittima per la salvezza di tutti noi.

Il giorno dell'Assunzione della Madre di Dio, schiere innumerevoli di Angeli sono venuti sulla terra ad accompagnarla. Gli Angeli formano una scia di splendida Luce che collega il Cielo e la terra. Gesù attendeva Maria per abbracciarla e ringraziarla ancora. Maria si era addormentata nella morte in un'estasi d'amore e la sua Anima era piena della cognizione di Dio.

L'Assunzione di Maria segue il risveglio dal dolce sonno, perché sale al Cielo in Anima e Corpo, integra, come era nata, senza alcuna piccola imperfezione. Afferma Sant'Ambrogio che “l'Anima di Maria fu così splendida che Dio, splendore eterno, se ne invaghì e La scelse per Madre”. E San Pier Damiani continua: “L'Anima di Maria non solo fu tutta bella, ma, dopo l'Incarnazione del Verbo, fu l'opera più grande fatta da Dio”.

Sale il Corpo di Maria, che racchiude un Cuore che ha cercato e amato solo Dio, e non può fermarsi di battere questo Cuore, perché ogni atto d'amore fatto da Maria, vale molto, molto di più, di tutti quelli fatti dalla moltitudine di Angeli e le schiere dei Santi.

Maria è la Signora potentissima e può tutto. È il Mare di Grazie, Cumulo delle Grazie, Fonte della Grazia e di ogni consolazione, Pienezza di ogni bene e amorosissima Madre nostra.

“L'Assunzione di Maria è l'effetto della Onnipotenza Divina e dell'affetto filiale di Gesù verso la Madre sua”, afferma San Modesto, Patriarca di Gerusalemme.

Maria in Cielo è sempre nostra Madre, dolce e premurosa, non vuole che nessun figlio suo si perda. La Gloria di Maria in Cielo, è stata proporzionata ai meriti acquistati sulla terra. E chi potrà mai riuscire a comprendere quanta Grazia acquistò Maria nella sua vita, se già alla nascita era Piena di Grazia?

La sua bell'Anima, libera da ogni impedimento, fin dall'inizio amò sommamente Dio e poi sempre L'amò, crescendo sempre nell'amore. Dal Cielo, Maria non toglie i misericordiosi occhi da tutti i suoi figli, per aiutarli, proteggerli, guidarli e salvarli. Ma coloro che rifiutano l’aiuto di Maria avranno innumerevoli difficoltà nel trovare la Via per il Paradiso.

Dove andranno, se non salgono per la Scala che conduce alla salvezza? “Per ogni anima che si danna il Cuore di Maria soffre di nuovo le stesse pene del Tempio e del Calvario”, dice Santa Caterina da Genova.

La Venerabile Maria d'Agreda sentì queste parole dalla Madonna: “Gli uomini sappiano che Io sto in Cielo come loro Madre, Avvocata e Protettrice per difenderli, soccorrerli e incamminarli alla vita eterna. Avendo avuto Io, da Dio, tanti poteri a loro vantaggio, ma, tanti si perdono per non avermi invocata”.

Dice l'Abate Roberto, che “Maria nella nascita fu un'Aurora, nella vita fu una Luce e nella morte un Sole”. E San Pietro Canisio gioisce quando attesta che “Maria vede sopra di sé solo Dio e Cristo, e sotto di sé tutte le altre creature”. San Bonaventura La implora così: “Tu sei la Scala per la quale Dio scese a noi e per la quale noi dobbiamo risalire a Lui”.

Maria è in Paradiso, noi siamo chiamati a seguirla in Paradiso, ma occorre vita pura; santità di cuore, mente e corpo; passioni e vizi eliminati; fedeltà agli insegnamenti di Gesù; amore verso tutti e specialmente a chi fa del male; carità nel servire e nel donare sempre un sorriso.
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16/08/2010 13:04
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Un dialogo serrato e preciso tra Gesù e il giovane ricco, domande e risposte che emanano un sapore di efficacia e resistenza a Dio. Si alternano le risposte alle domande poste da uno e dall’altro, prende l’iniziativa il giovane. La sua domanda è interessante, nasce da un cuore appesantito dalle ricchezze, e non intendo esclusivamente quelle economiche.

Era già ricco della sua sicurezza, motivata dai beni economici è vero, ma spesso è una eccessiva fiducia personale a fare trascurare le cose essenziali. Il giovane pone la domanda, ma aspetta una risposta favorevole ai suoi programmi, và in tilt quando la risposta è diversa, opposta addirittura.

Ogni uomo è fatto così quando viene contraddetto o non trovano accoglienza le sue richieste. La mancata purificazione dei sensi e del contrasto ai vizi capitoli, non favorisce nella persona la capacità di pensare ed agire in modo superiore alla sfera naturale, c’è sempre una fortissima inclinazione carnale.

E rimane impossibile porre a Gesù la stessa domanda del giovane ricco: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?». Nonostante le sue riserve mentali, il giovane cerca di capire cosa deve fare per salvare l’anima.

Quanti giovani oggi si pongono domande sul fine ultimo della vita?

Quanti esseri umani vivono senza sapere di vivere?

La tremenda azione di satana è inarrestabile, ed è vittoriosa soprattutto dove non incontra ostacoli, egli spinge l’umanità a tradire Dio e adorare ogni forma di idolo. Satana porta quasi tutti gli uomini a non pensare più che sono figli di Dio, redenti da Gesù e chiamati alla santità.

Gesù indica a tutti come già al giovane ricco, cosa bisogna osservare: «Non ucciderai, non commetterai adulterio, non ruberai, non testimonierai il falso, onora il padre e la madre e amerai il prossimo tuo come te stesso».

Molti si illudono di osservare perfettamente i Comandamenti perché non riflettono sulla loro vita, sulle parole che pronunciano e le azioni compiute. Anche il giovane era convinto di fare tutto bene, però c’era una cosa importante che non considerava: le sue ricchezze lo rendevano accecato e non poteva osservare bene i Comandamenti.

L’ultima risposta di Gesù nasce dopo aver letto nel cuore del giovane, così avvinghiato alle sue ricchezze. Gli dice di staccarsi, di fare beneficienza ai poveri, gli apre la prospettiva del Cielo, ma il giovane non accoglie l’invito alla santità.

Preferisce le sue ricchezze alla vita eterna, all’Amore di Gesù.

In questo tempo di crisi economica, la preoccupazione ha colpito soprattutto le persone ricche o benestanti, hanno terrore di perdere la sicurezza della loro vita. Sono ingannati e non possono capire che fare del bene ai poveri, o donare offerte per le opere cristiane e la diffusione della stampa cattolica, li arricchisce della Grazia di Dio come mai nessuna ricchezza avuta in passato. Chi ha la possibilità economica e non si preoccupa dei bisogni materiali e spirituali del prossimo, non può ricevere grandi Grazie. Loro stessi chiudono questa possibilità.

Lo dice oggi Gesù al giovane ricco, è la verità di Dio.
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18/08/2010 16:08
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Ci sono alcune parole di Gesù che dobbiamo analizzare all’inizio per poi passare ad altro. Vediamo prima il dialogo dal Vangelo di ieri: «Pietro gli rispose: “Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito; che cosa dunque ne avremo?”. E Gesù disse loro: “In verità io vi dico: voi che mi avete seguito (…) e chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi per il mio nome, riceverà cento volte tanto e avrà in eredità la vita eterna”».

Capisco che pochissimi hanno avuto modo di riflettere sulla vita eterna, punto principale della nostra Fede, desiderio che hanno avuto in ogni istante tutti i Santi e le anime buone. Si tratta dell’eternità di gloria e felicità, come mai nessuno ha saputo gustare su questa terra. È la più grande conquista e la piena realizzazione di ogni persona.

Non bisogna spaventarsi o scongiurare questa riflessione, la vita eterna è l’ingresso alla vera vita, godendo Dio, incontrando le persone amate, che arriva quando vorrà Dio. Chi si preoccupa è legato al mondo carnale, vive un’esistenza egoista. La vera Fede dona serenità e coraggio.

Poi chiudendo l’insegnamento di ieri Gesù ha detto: “Molti dei primi saranno ultimi e molti degli ultimi saranno primi”, mentre oggi ritorna a ricordare l’importanza di essere ultimi e riprende: “Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi”. Due espressioni dallo stesso significato, annunciate in alcuni minuti.

È la verità che si manifesterà nel Giudizio, la retribuzione che moltissimi non riescono a ricevere in questa vita, ma li aspetta una infinita felicità in Cielo, mentre i cattivi che qui si consideravano i migliori e i primi, davanti a Gesù saranno ultimi e probabilmente non abilitati a prendere parte al banchetto celeste. Non godranno la vita eterna.

Veniamo al Vangelo di oggi. La parabola sviluppa una verità importante e fondata sulla giustizia, è la retribuzione che Dio utilizzerà secondo i meriti di ogni uomo.

Gesù parla della vigna che rappresenta la Chiesa e degli operai che vi lavorano. Non tutti lavorano le stesse ore, addirittura alcuni vengono chiamati poco prima del termine del lavoro. E riceveranno la stessa ricompensa, quindi, si potrebbe supporre che si sia trattato di un errore da parte del padrone di casa. Non paga secondo il lavoro svolto, dona a tutti la stessa paga.

Gli operai che si lamentano sono convinti di avere ricevuto una ingiustizia, e spinti dall’invidia chiedono al padrone una spiegazione. Rileviamo che il padrone era libero di dare la paga che decideva, ma fa notare che con i primi operai aveva stabilito come paga un denaro. Nessuno poteva obbligarlo a dare una paga diversa, la sua decisione era incontestabile.

Nessuno è escluso dall’Amore di Gesù, la sua Misericordia è uguale per tutti.

Quanto sbagliano quelli che fanno poco per Gesù e pensano di non essere apprezzati da Lui. Invece, Egli ama ognuno così come è, coi suoi vizi e virtù. Ma chiede a tutti di migliorare.

Per il Regno dei Cieli lavorano apostoli con poca o molta attività, ciò che conta è la disponibilità, il desiderio di farne parte, l’impegno sincero e fedele, l’obbedienza al Vangelo. A tutti Gesù darà il premio, li inonderà della sua Grazia che trasforma e divinizza.
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19/08/2010 21:23
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il banchetto e l'abito nuziale

Nasce dal un bisogno irrefrenabile di comunione da parte di Dio nei nostri confronti l'invito al suo banchetto. Vuole renderci partecipe dei suo beni, ci vuole come suoi commensali. Per questo ci ha fatto somiglianti a se con un innato desiderio di essere sfamati e dissetati nel corpo e nello spirito. Il nostro primo peccato e tutti quelli che ne sono seguiti hanno la stessa radice e la stessa origine: abbiamo scelto noi il banchetto a cui sederci e mangiare e ne siamo rimasti avvelenati dentro. È iniziata immediatamente l'opera risanatrice di Dio: ci ha invitati di nuovo alla mensa della sua parola, ha ripreso il dialogo con noi. Poi il banchetto di nozze! Il Figlio di Dio che sposa la nostra umanità, s'incarna, si dona, s'immola, diventa cibo e bevanda di salvezza per noi. È un banchetto di festa per un ritorno alla casa del Padre perché eravamo perduti e morti e siamo tornati in vita. Ci è stato dato un abito nuovo, un abito nuziale dal giorno del nostro battesimo ed abbiamo assunto l'impegno di conservare limpido quell'abito e di non smetterlo mai. È la veste candida che ci rende degni del banchetto e ci autorizza ad entrare nell'intimità di Dio. Dobbiamo stare desti perché l'invito non ci colga distratti e distolti, senz'abito o impegnati nelle nostre cose e diretti a banchetti non salutari o addirittura venefici. È un assurdo, ma ci può capitare di rifiutare l'invito del Signore perché impegnati nelle nostre vicende quotidiane, magari a bramare le carrube. "Ho paura del Signore che passa!" – solleva ripetersi Sant'Agostino. Costatiamo che il mondo è pieno di affamati, che dissertano però la mensa del Signore. Nelle scorsa settimana il Signore ci ha parlato a lungo del pane di vita. Ci ha ripetuto che non mangia di quel pane e non beve quel sangue non ha la vita. Il festeggiato si fa pane per noi, è Lui ha nutrirci di sé. Siamo noi a godere di quel germe di immortalità che solo al banchetto divino possiamo trovare. Il banchetto è ora la nostra Messa, quella cena eterna che ad ogni festa si ripete. Sono ancora pochi a rispondere all'invito e ancora tantissimi gli affamati di Dio.
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20/08/2010 08:50
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

L’invito al banchetto è il tema centrale della parabola, è una iniziativa del re cui seguirà una reazione quando verrà a conoscere che molti invitati hanno rifiutato di partecipare al più importante dei banchetti, per di più organizzato dal più ricco e nobile re.

Le scuse degli invitati sono puerili, essi però privilegiano i loro affari ed ignorano la festa del re. Eppure il re li aveva scelti e contava su loro, aveva un progetto su ognuno.

Questi invitati rinunciano e il re comanda di chiamare altri.

Fino qui Gesù spiega ai presenti che Dio aveva invitato gli ebrei a fare parte del suo regno, ma essi rifiutano e continuano ad occuparsi dei loro affari. Dio si deve rivolgere ad altri.

Continua la parabola. Il re dopo avere comandato di invitare tutti quelli della strada, si accorge che un invitato non ha l’abito nuziale, quello della festa, e lo fa allontanare. L’abito nuziale è la Grazia, senza Grazia non si entra in Paradiso.

Il banchetto indica il desiderio irrefrenabile di Dio di entrare in comunione con tutti i suoi figli. Vuole incontrarli, dialogare, fare conoscere la sua bontà e la sua misericordia.

Inoltre, vuole incontrarli per donare i suoi beni spirituali, farli partecipi della sua divinità.

Il banchetto Gesù lo fa preparare ogni volta che un peccatore si pente e ritorna a mettere l’abito della Grazia. In questo banchetto si mangia la Parola di Dio, l’anima si nutre e si trasfigura. Ma è facile perdere l’occasione di parteciparvi se rimaniamo legati alle nostre cose, se ignoriamo l’invito di Gesù.

Ogni giorno Gesù ci passa accanto e non ce ne accorgiamo.

Se Gesù ci invita e rifiutiamo, Egli invita altri.
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21/08/2010 18:07
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Molto spesso nel linguaggio comune si ripetono frasi lapidarie: “Dicono e non fanno”; “Predica bene e razzola male”. La prima è una affermazione di Gesù, ripetuta nel Vangelo di oggi, mentre la seconda frase è una deduzione della prima. Ma il popolo le utilizza a convenienza quando si parla degli altri.

Per usare le parole in modo appropriato, dobbiamo seguire gli insegnamenti di Gesù. Oggi Egli spiega il significato di apostasia del cuore, la malattia spirituale che aveva colpito molti ebrei. Mentre oggi è quasi generalizzata l’apostasia nella Chiesa. Quanti sono quelli che credono fedelmente al Vangelo e alla potenza mediatrice della Madonna?

L’apostasia è la perdita della Fede, anche se continuano a frequentare la Messa, o a celebrarla, ad insegnare e a fare catechesi. Ma tutto è svuotato del soprannaturale, non c’è più Gesù, sia in chi parla sia nel contenuto delle sue parole. Fiato che si spreca.

Se non c’è più Gesù nel cuore e nello spirito, cosa deve trasmettere?

Qui arriviamo ad un altro punto: se non c’è Gesù nel cuore, cerca di trasmettere se stesso, di essere il centro delle attenzioni dei presenti. Badate che non riguarda solo il Sacerdote, ogni credente può arrivare all’apostasia del cuore e non avere più un briciolo di Fede, anche se viene poi camuffata con finte esibizioni spirituali. Ma il cuore è senza Dio.

Non è un atteggiamento voluto, si arriva all’apostasia del cuore senza accorgersene, a causa di continui peccati e di una condotta di vita immorale. Molti sono convinti di essere arrivati molto in alto. Sono illusi dall’euforia e la scambiano per spiritualità. Significa che la persona senza più Fede, supplisce con il suo entusiasmo e vivacità, spesso anche con l’esaltazione.

Devo fare una distinzione importante. Quando Gesù rimproverava gli ebrei senza più Fede verso Dio, diceva però che insegnavano bene, la verità biblica. Oggi non è così, oltre ad avere perduto la Fede, molti cattolici hanno perduto anche la testa, non insegnano la verità del Vangelo e del Magistero autentico della Chiesa.

Molti cattolici non dicono bene su Gesù e la Madonna, inoltre non fanno nulla di buono.

Hanno da ridire su molte verità insegnate dalla Chiesa e giustificano la loro vita immorale.

D’altronde, se insegnano male come possono operare bene? Una continua contraddizione. Sarebbe il contrario dell’insegnamento di Gesù.

Ed è sempre quell’esempio a darci la misura della vera Fede: “Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi? Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi; un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni” (Mt 7,16-18).

La vera Fede si manifesta quando si vive quello che si crede.

Ma se uno nel suo cuore non segue più Gesù, potrà mai vivere il Vangelo?
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23/08/2010 09:17
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Guai a voi... che chiudete il regno dei cieli davanti agli uomini.


E' stato proprio Gesù che, con l'Incarnazione ha aperto i cieli, chiusi dal peccato dell'uomo. L'immagine dei cieli aperti indica quella profonda ed intima comunione con Dio per il quale siamo tutti predestinati e che avevano perduto con l'originaria innocenza. I cieli si aprono al Battesimo di Gesù al Giordano; evento che inaugura la missione pubblica dello stesso Gesù e che prefigura, nel mistero della Trinità, il mistero Pasquale come mistero di salvezza. La partecipazione a questi misteri, misteri d'amore, è vista proprio come l'apertura dei cieli. Santo Stefano, nel suo martirio glorioso, contempla già il Volto di Dio attraverso i cieli aperti. L'ammonizione di Gesù ai farisei riportato dal brano odierno, significa l'incapacità dei cuori dei suoi ascoltatori ad aprirsi al nuovo Regno di Dio che irrompe. L'aspettativa messianica che pur era viva tra i contemporanei di Gesù, perde perciò tutta la sua forza redentiva; il Messia da loro cercato doveva compiere i loro piani umani, si chiudono quindi al piano della salvezza di Dio. Il messaggio delle Beatitudini risuona, quindi, in modo sordo nei loro cuori, inefficaci di comprenderne a pieno tutta la forza redentrice e salvifica. L'insegnamento di Gesù diventa solo una collezione di buone norme morali. Gesù diventa soltanto istruttore da eliminare quando dà troppo fastidio. Cosa dice ai nostri cuori, allora oggi la Parola di Dio? Per ognuno di noi i cieli sono stati aperti nel battesimo, siamo capaci di vivere nella coerenza di questa realtà d'amore?
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24/08/2010 08:01
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Un vero Israelita in cui non c'e' falsita'

Gesù proclamando le beatitudini aveva annoverato tra i beati i puri di cuore, motivando: perché vedranno Dio. Natanaele, l'apostolo che oggi festeggiamo, viene definito dal Signore un vero israelita in cui non c'è falsità. Dove non c'è falsità c'è purezza di cuore, la virtù che consentirà all'apostolo di incontrare il Signore e lo indice a fare la sua bella confessione di fede: "Rabbì, tu sei il figlio di Dio, tu sei il re d'Israele". Ecco come Bartolomeo ha trovato il suo Dio e il suo re nella persona del Cristo. Gesù in premio della sua fede gli predice la risurrezione: «In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo». Ci viene così offerto uno splendido esempio di come incontrare il Signore e poi seguirlo in piena fedeltà. Occorre alimentare la fede, accettare la mediazione di chi può condurci verso Cristo (è Filippo ad indicare il Messia a Natanaele), lasciarsi guardare e riconoscere da lui. vedere in fine in Lui la risposta ultima a tutti i nostri interrogativi. Natanaele, che era un intellettuale onesto, un vero israelita, comprende la novità di Cristo e ne professa esplicitamente la superiorità, riconoscendolo figlio di Dio.

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25/08/2010 10:10
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Gesù usa una immagine pesante per raffigurare gli scribi ed i farisei. Li assomiglia ai sepolcri imbiancati, e certamente non è un complimento. Il peggio che poteva dire di questi uomini falsi, furbastri che caricavano pesanti pesi sulle spalle degli altri, mentre loro non li toccavano con un dito.

Era una religiosità bigotta, puntava a mostrare un aspetto esteriore religioso ma all’interno c’erano cadaveri putrefatti. Ingannavano con facilità il popolo, solo Gesù scopre la loro vera identità. Prende come immagine i sepolcri che venivano imbiancati ogni anno di colore bianco, risultando puliti, ordinati, decorosi. Ma dentro questi sepolcri s’erano cadaveri, ossa di morti. C’era la morte distesa e remissiva.

Solo Gesù riesce a scoprire cosa si cela dietro il bianco candido, guarda oltre la vernice che mascherava la parete del sepolcro, ed afferma che di bianco nei scribi e farisei c’era solamente la maschera.

Anche oggi molti indossano una maschera per ingannare gli altri, familiari ed amici, ma traspare sempre quello che si è dentro. Si scopre nelle scelte di vita e nelle opere. Si evidenzia nel linguaggio e nelle virtù se praticate o nei vizi se adorati.

Oggi sono innumerevoli quelli che hanno trasformato il corpo in un idolo a cui si deve culto, ignorando che ciò che informa, quindi che dà forma al corpo, è l’anima. Togli l’anima in una persona e il corpo si sgonfia… finito. Comincia a deteriorarsi, a decomporsi, mentre l’anima immortale, vivrà eternamente.

Anche il corpo merita le adeguate attenzioni e cure, ma non di idolatrarlo. La pulizia, il decoro, la compostezza, i capelli ordinati, l’abbigliamento adeguato secondo i gusti normali e le possibilità economiche, sono importanti per la cura della propria persona.

Ovunque nel mondo si vive disperatamente per offuscare l’anima spirituale e soddisfare il corpo. Non si fermano neanche dinanzi a dispiaceri, delusioni continue, fallimenti. Non riescono a vedere che l’unica possibilità è di rientrare in sé e di rivitalizzare l’anima. Con la Confessione, i Sacramenti che donano la Grazia, le preghiere, le penitenze e i rinnegamenti.

Dobbiamo andare al nucleo centrale che è il principio di attività, senza cui non c’è vita.

Invece di pensare follemente a curare la propria immagine sociale, si deve curare l’anima.

In questo Vangelo Gesù toglie la maschera a scribi e farisei, gliele dice davanti, e non è un giudizio, lo sappiano quanti si preoccupano eccessivamente di proteggere quei cattolici che vivono nell’immoralità causando scandali che allontanano chissà quante migliaia di fedeli dalla Messa. Scoprire l’ipocrita che si serve di Gesù e della Chiesa per condurre i suoi intrallazzi, è un dovere, chi non lo fa, non è un cristiano, non ama Gesù.

L’ipocrita ricerca se stesso in quello che fa, ed elimina Gesù.

Anche se non c’è l’autorità per richiamare chi sbaglia, avvisare della presenza di sepolcri imbiancati è un gesto di carità, così gli altri non finiranno nelle trappole degli ipocriti.

Anche noi siamo chiamati a controllare i nostri comportamenti esteriori, gli affetti familiari, l’immagine sociale, tutto quanto appartiene alla nostra sfera. Alle volte, guardare troppo gli altri, comporta la dimenticanza di se stesso. Chiediamo a Gesù il suo aiuto per conoscerci bene ed essere sempre autentici e sinceri.

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26/08/2010 08:37
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Ritorniamo a meditare sulla vigilanza, una delle virtù della vita cristiana, sicuramente determinante per mantenere l’anima in Grazia di Dio. È il controllo di sé, facile a dire ma alquanto impegnativo a praticarlo. La mancanza di vigilanza indica trascuratezza della vita spirituale e, di conseguenza dell’intera persona.

Si può cercare ogni sforzo per studiare e creare a tavolino la propria immagine sociale, ma se la persona è senza Dio, si manifestano molto spesso contraddizioni tra ciò che è realmente e ciò che vuole apparire. Le incoerenze sono di casa in quelle persone che vivono nell’ipocrisia. Anche loro hanno una vigilanza strampalata, si tratta di non svelare ciò che sono dentro. Ieri abbiamo visto che i sepolcri imbiancati mascherano cose brutte.

Qualcuno che legge si sentirà toccato dal richiamo di Gesù sui sepolcri imbiancati, ma non bisogna agitarsi o abbattersi, se c’è qualche incoerenza nella vita, questo è il momento per cominciare, preferibilmente davanti un confessore per cancellare tutti i peccati passati e dare inizio ad un vero e santo cammino spirituale.

Gesù ci parla per aiutarci nella conversione, non per condannarci, non bisogna innervosirsi se qualche suo richiamo ci riguarda, anzi, dobbiamo fermarci a rimeditarlo per incarnare l’insegnamento nella nostra vita. Se parla di sepolcri imbiancati, è chiaro che si tratta di un richiamo che interpella soprattutto i Sacerdoti, i suoi eletti, i quali se agiscono in modo diverso dal suo Vangelo, tradiscono e indossano la maschera del moralismo.

Ma cascano sempre nella mancata vigilanza personale.

Chi invece attua una ordinata vigilanza, mostra già un atteggiamento interiore responsabile, è un’anima che vuol camminare sul serio sulle orme di Gesù, e mostra una buona docilità del cuore.

Chi non è vigilante sulla sua vita spirituale, è arrogante, indiscreto, privo di scrupoli.

Basta poco per capire con chi abbiamo a che fare, ma questo non viene usato per giudicare gli altri, serve solo a stabilire una comunicazione parallela, equivalente, corrispondente. Se frequenti un gruppo di preghiera e noti che i partecipanti sono poco raccolti e disinvolti, comprendi subito che quella non è vera preghiera ma un incontro ricreativo. Che può essere anche piacevole e divertente, ma non è preghiera cristiana.

Invece è necessaria la vigilanza per conoscerci dentro.

L'esortazione conosci te stesso è un motto greco, riassume l'insegnamento di Socrate, morto nel 399 a. C. Questa esortazione spinge a trovare la verità dentro di sé anziché nel mondo delle apparenze.

Sant'Agostino nel 350 d. C. affermerà un concetto simile: “Non andare fuori, rientra in te stesso: è nel profondo dell'uomo che risiede la verità”.


Essere vigilanti comporta l’adempimento della volontà di Gesù, oltre il controllo sulle opere, sui pensieri, sulle parole. Questa è la sana amministrazione della propria vita, e davanti a Gesù si è buoni amministratori dei beni che Lui ci ha donato. Ma Lui ci aiuta ogni giorno, sempre Gesù ci è vicino e ci chiede di rispondere con amore ai suoi inviti.

Se manca la vigilanza, la casa della nostra vita viene scassinata dalla nostra stessa stoltezza, ipocrisia e superficialità. Ma Gesù ha dato ad ognuno di noi una missione da compiere, realizzabile solo con il suo aiuto. Siamo chiamati a lavorare per la causa del Vangelo.

“Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così!”.

Senza la vigilanza prevale l’egoismo, ci affanniamo per noi stessi e le nostre cose.

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27/08/2010 08:47
 
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mons. Vincenzo Paglia

Scrive il Vangelo che dieci donne aspettavano l'arrivo dello sposo. Cinque di loro sono stolte e le altre sagge. E la saggezza, secondo la narrazione, consiste nel prendere con sé non solo le lampada con la sua scorta ordinaria di olio ma anche dell'altro olio di riserva. Le cinque stolte, sicure di sé, pensano di aver previsto tutto. Ma lo sposo ritarda... sino a notte, anzi a notte fonda. Ovviamente nulla di più facile per quelle dieci ragazze che lasciarsi sorprendere dal sonno. Ed in effetti, è facile addormentarsi sulle proprie abitudini e sulle proprie sicurezze; è facile lasciarsi sopraffare dal torpore dell'amore per se stessi. Da notare che tutte si addormentano. Non è qui la distinzione; non ci sono eroi che vegliano, e vigliacchi che si addormentano. Tutte, tutti, anche i migliori si lasciano sorprendere dal sonno. Quelle dieci donne perciò siamo tutti noi, spesso rinchiusi in un modo di vivere avaro e sonnolento, senza grandi sogni e ideali. Del resto, l'importante è star tranquilli, non aver noie, problemi, scocciature. Oppure ci angustiamo soprattutto per le nostre cose; ci affanniamo e ci ostiniamo per difendere noi stessi. Questa è la notte di una vita grigia, sempre uguale, senza sprazzi di luci, senza stelle; è la notte di un egoismo diffuso che nasce dal profondo del cuore di ognuno, saggio o stolto non importa.
Ma in questa notte si alza improvviso un grido che annuncia l'arrivo dello sposo. Cos'è questo grido? E' il grido che sale dalle terre lontane dei paesi poveri, è il grido che viene dai popoli in guerra, è il grido degli anziani soli che invocano compagnia, è il grido dei poveri sempre più numerosi e abbandonati, è il grido di chi sprofonda nell'angoscia; ed è anche il grido del Vangelo e della predicazione domenicale. Ebbene, di fronte a queste grida, ci si sveglia pure magari di soprassalto e ancora assonnati, ma se non si ha la riserva d'olio tutte le scuse sono buone per non rispondere. Non sapremo far brillare la piccola ma indispensabile fiammella della speranza per chi chiede conforto, compagnia, amore, sostegno. Se non si ha nel cuore quel supplemento d'olio, ossia un poco dell'energia evangelica, né risponderemo, né accompagneremo e neppure entreremo in una vita felice perché piena di senso. Né vale andare a comprare l'olio da altre botteghe; non servirebbe, perché arriveremmo in ritardo. Ci sono momenti in cui se manchiamo abbiamo perso, o meglio abbiamo mancato un fratello, una sorella, lasciandoli nella loro tristezza, nella loro disperazione.
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28/08/2010 08:58
 
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Commento di padre Scozzaro


Il Vangelo ci parla di talenti. Il talento è l'inclinazione naturale di una persona a far bene una certa attività. Ma il talento era una moneta romana, per questo Gesù parla di talenti, intesi come beni o ricchezze che il padrone aveva consegnato ai servi. Al ritorno del padrone i servi dovevano riconsegnare i talenti, ma qui si sarebbe manifestato il servo buono e quello infedele.

Gesù a noi ha consegnato doni, disposizioni interiori che dobbiamo praticare per accrescerli.

Il nucleo della Parola di oggi è rappresentato dai beni spirituali che ci dona Gesù, ognuno di noi decide se utilizzarli o meno, ma chi non li impiega, commette certamente un grave errore. Ogni talento è un dono, quindi, disposizioni spirituali per fare bene nella vita, ma se quel dono non viene utilizzato si mostra infedeltà a Dio. Però, bisogna conoscere questi doni.

Chi ha la capacità di ricevere i doni di Dio, non li spreca né li mette da parte senza praticarli. Gesù ci ha già donato e continua a donare a tutti, ma Lui chiede una risposta, la restituzione dei doni, vale a dire, l’utilizzo degli stessi doni. Chi li mette in pratica secondo la volontà di Gesù, contemporaneamente li restituisce a Lui, perché Gesù vuole che viviamo i suoi doni. Chi li trascura o li disprezza, è un cristiano infedele.

Un piccolo dono può fruttare molto se viene posto nelle mani giuste.

Ogni dono diventa una prova per noi: o aumenta la Fede o la distrugge.

Non è un buon esercizio indagare su quali e quanti doni riceviamo, conta mettere in pratica la Parola di Gesù, solo così scopriamo i suoi doni, gli aiuti che ci offre per praticare virtù impegnative, faticose. Ma tutto sarà ricompensato cento volte tanto in questa vita e poi la vita eterna. E non è un regalo piccolo.

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29/08/2010 09:11
 
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La virtù al centro delle parole di Gesù è l’umiltà, fondamento di tutte le altre. È una virtù importante, Gesù spesso la cita o fa esempi su essa. L’umiltà è fondamento dell’edificio spirituale che dobbiamo costruire in noi, un edificio invisibile ma che si manifesta nelle opere e nel linguaggio.

Gesù prende spunto dai commensali che scelgono i primi posti. Non erano colpevoli solo loro, ogni essere umano nasce con questa tremenda ambizione, tanto curiosa da mettere spesso in ridicolo e spinge a compiere anche abomini per salire nella scala sociale ed economica. È una salita al contrario, dà l’illusione di salire anche oltre il Cielo, dopo essere diventati come Dio, purtroppo in seguito si rivelerà una illusione, in quanto, il salire spinti dall’ambizione corrisponde alla discesa verso il baratro della perdizione.

Gesù ha la ricetta per frenare l’ambizione: “Quando sei invitato a nozze da qualcuno, non metterti al primo posto”. E qui nasce un dilemma insoluto, quasi tutti si chiedono quale posto bisognerà occupare, forse il secondo, l’ultimo… E se poi si rimane ultimi? È assolutamente importante spiegare una differenza determinante per la vita spirituale. Seguite bene.

Gesù con la parabola ci spiega che è opportuno restare al nostro posto, di non farci soffocare dall’ambizione, perché ci spingerà follemente a ricercare i posti più importanti, elevati. Spesso succede che il raggiungimento di posti elevati fa seguire una umiliazione, perché non era quello il posto giusto. Di conseguenza si dovrà cercare il compromesso per evitare complicazioni, accettando finanche di entrare a fare parte di società segrete.

Un patto con gli uomini che cancella l’alleanza con Gesù Cristo.

L’ambizione allora è una forma di superbia da distruggere? Consideriamo che l’uomo ha la natura corrotta, deve trovare l’equilibrio per arrivare all’armonia interiore e al dominio dei sensi. Senza questo dominio si crede onnipotente, capace di fare tutto e il suo contrario. Ma allora il desiderio di onore e di gloria nell’uomo è solo superbia? No, non è superbia.

È normale per ogni uomo cercare un miglioramento sociale, economico, personale. Questo desiderio però con molta facilità può uscire dagli argini, straripare, a causa del disordine che arriva dall’ambizione, cioè, di un sentimento che ambisce, aspira fortemente alla gloria, le lodi, la potenza.

Qui sta la vera differenza tra l’uomo che cerca legittimamente un miglioramento sociale ed economico, e l’ambizioso che cerca potere, gloria umana, ambisce il raggiungimento di posti onorifici per ricevere grandezza, elogi, notorietà.

L’umiltà non è mai presente nell’ambizioso, mentre nell’uomo che desidera un avanzamento personale è conciliabile la presenza di questa virtù.

L’uomo non purificato ed ambizioso si considera onnipotente, invece l’uomo che prega e fa penitenze per purificarsi, può legittimamente cercare onore e dignità che in realtà è un diritto di ogni persona. Ma non agisce con arroganza, al contrario può esserci una sincera umiltà.

È l’umiltà spinge a non ricercare i primi posti né l’apparenza.

Se dovesse essere chiamato ad occupare posti di rilievo, si impegna con determinazione. Una cosa è cercare di elevarsi socialmente e questa ricerca si compie con umiltà e senza pagare bustarella o altri debiti, altra cosa è cercare il potere con ambizione per comandare e considerarsi migliore degli altri.

È l’umiltà a guidarci in questi momenti della vita, ecco il motivo della sua importanza. L’umiltà non è stupidità o mediocrità, è la consapevolezza dei doni ricevuti da Gesù, una conoscenza che spinge a metterli in pratica.
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30/08/2010 11:08
 
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Dalla Parola del giorno
“Lo Spirito del Signore è sopra di me (…) mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione.”

Come vivere questa Parola?
Riprendiamo il cammino del quotidiano ‘Servizio della Parola di Dio’ con la pagina esemplare che ci offre il Vangelo odierno. Si tratta infatti della prima volta che Gesù si presenta pubblicamente nella sinagoga di Nazaret e, proprio lì, nel suo villaggio per nulla famoso, proclama di essere colui che Isaia (e altri profeti) avevano annunciato. Gesù si presenta come il vero e definitivo INVIATO da Dio, sostanzialmente come il Messia promesso.
Ciò che il testo evidenzia è qualcosa di esistenzialmente vero: qualcosa di cui il cuore umano, anche oggi, ha essenzialmente bisogno. Il messaggio infatti è “lieto” (v. 18), consiste nel proclamare un evento di “liberazione” per i “prigionieri” e “gli oppressi” (v. 18b).
Ecco: in queste solenni asserzioni di Isaia, Gesù riconosce la sua identità e verbalizza la sua missione. Finora tutto era stato velato da anni di quotidiano silente lavoro nella bottega dello sposo di Maria, sua madre. Ora si rivela che Lui è il centro della storia, anche della mia della tua storia, proprio perché è il Figlio di Dio che, incarnandosi, non a caso ha preso su di sé il peso, le oppressioni, le catene dell’uomo che, da quando ha detto “no” a Dio, si è infilato da sé le catene della sua prigionia.
Quello da cui oggi voglio lasciarmi provocare è la letizia anzitutto! Si, perché il messaggio – dice il testo – è lieto., ed è indirizzato ai poveri di ogni tipo, dunque anche a me. E poi, ecco desidero penetrare nelle regioni profonde di questa gioia. Si tratta della consapevolezza di sapermi prigioniera di pensieri, preoccupazioni, sentimenti troppo spesso negativi e angustianti. Che respiro sapere per certo che il Signore è venuto come mio, nostro LIBERATORE! In tutto questo non ho tanto da guardare ai pesi che mi opprimono, ma alle divine mani che li sollevano perché io sia un uomo, una donna libero/a.
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31/08/2010 12:11
 
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Eremo San Biagio :

Dalla Parola del giorno
:   1Ts 5,5-6
Voi tutti siete figli della luce e figli del giorno; noi non siamo della notte, né delle tenebre. Non dormiamo dunque (come gli altri); ma restiamo svegli e siamo sobri.

Come vivere questa Parola
C'è della gente che è nottambula e notturna: ha scambiato il giorno con la notte, vive (ma è poi viai?) più di notte che di giorno. Pensieri, sentimenti e azioni di costoro sono "intrisi" di tenebra. Noi invece chiediamo al Signore di vivere dentro la nostra splendida identità di "figli della luce". Sì, noi che vogliamo seguire Gesù vivendo la sua Parola, giacché Egli ha detto: " Io sono la luce del mondo; chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita" (Gv 8, 12)
Interessante e fortemente attuale il fatto che, proprio come "figli della luce" e non delle tenebre, siamo invitati da San Paolo a uscire da quel "sonno di morte" che è ogni tipo di connivenza col peccato: trasgressione alla legge di Dio, sostanzialmente alla legge dell'amore.
San Paolo aggiunge due altre raccomandazioni: "restiamo svegli e siamo sobri". Si tratta di prendere coscienza di quanto oggi, più di sempre, ci vengono propinati "sonniferi": quelli della persuasione (soprattutto "mediatica") a vivere di piacevolezze a buon mercato, dentro l'imperativo occulto: "compra-consuma-getta e compra nuovamente". Così la vita viene banalizzata, la fede è annacquata, la pratica religiosa si riduce spesso a "rassicurazione contro gl'infortuni". Insomma è un assopimento generale; se non tutto tenebra, certo più vicino al sonno che alla veglia. Ecco perché, proprio nel nostro oggi, importa molto anche l'altro invito di San Paolo: siamo sobri .
Si tratta di opporre a questa società addormentata nella superficialità e nel vuoto di valori, un tenore di vita non godereccio e compiacente al... "mercato".
La gioia, tipica dei "figli della luce" sta decisamente da un'altra parte.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, ringrazio il Signore che ha ispirato San Paolo di consegnarmi questo appellativo: "figli della luce". Chiederò poi uno sguardo lucido e critico su tutto quello che in me e attorno a me è connivenza con la mollezza, il rifiuto del sacrificio, l'adeguamento a un sistema imposto da chi fa soldi a palate, annebbiando i valori, addormentando le coscienze, spegnendo la gioia.

Signore, fammi in verità, "Figlio della luce". Crea in me l'amore alla vita semplice, il coraggio di scelte di sobrietà che portino a uno stile essenziale e libero.
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01/09/2010 15:15
 
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Commento su 1Cor 3,6

Dalla Parola del giorno
Io ho piantato, Apollo ha irrigato ma è Dio che ha fatto crescere.

Come vivere questa Parola?
Questa affermazione tanto importante è collocata da S. Paolo all’interno di un argomentare circa il suo servizio di apostolato. Anzitutto ha reso consapevoli i suoi destinatari di un loro modo d’essere che ha dell’infantilismo. No, non è l’infanzia evangelica, cioè la trasparenza dell’essere e dell’agire! Si tratta piuttosto di un modo di giudicare terra-terra, dettato dall’ego per cui nascono “invidia e discordia” dentro un orizzonte su cui più non splende il sole della verità evangelica.
È proprio la mentalità di Gesù che, al contrario, ti porta a fare sempre riferimento a Dio. Anche in ordine al servizio apostolico, S. Paolo sa molto bene che, se è stato lui a piantare il ‘seme’ della Parola e se il suo collaboratore Apollo ha portato a buon compimento l’opera apostolica ‘irrigando’ la mente e i cuori con ulteriori insegnamenti e provvide cure di ministero, sostanzialmente la vitalità del bene compiuto si deve a Dio. È lui che “fa crescere”!
Com’è bello quel tirarne le conseguenze: “Siamo infatti collaboratori di Dio e voi siete il campo di Dio, l’edificio di Dio” (v.9)!
È dal ricordo vivo di questa centralità operativa del Signore che viene a noi un costante operare il bene nella pace, con profondo e confidente rimanere nelle sue mani.

Oggi, nella mia pausa contemplativa, apro gli occhi alla constatazione di tante stolte divisioni e polemiche che indeboliscono il cristianesimo a diversi livelli. E comprendo l’invito del profeta Ezechiele “formatevi uno spirito nuovo e un cuore nuovo […]. Convertitevi e vivrete” (Ez 18,31).

Signore, convertimi nel cuore e nello spirito alla continua novità del credere che sei tu il centro luminoso di tutto il bene che io stesso sono chiamato a compiere, ma insieme agli altri, come collaboratori tuoi e come campo dove tu fai crescere l’amore.
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03/09/2010 09:43
 
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Commento di Padre Giulio Maria Scozzaro

Gesù parla di nozze, dello sposo presente, del digiuno, del  vino e di otri nuovi.

Come succedeva spesso, l’inizio lo danno i farisei, sempre intenti a tendere trappole e a minimizzare Gesù. Prendono spunto dal presunto digiuno e dalle preghiere dei loro discepoli, mentre accusano i discepoli di Gesù di non fare penitenze.

La risposta di Gesù spiega l’importanza della sua presenza, Egli è lo Sposo e gli invitati devono festeggiare. Ma non festeggiavano di continuo, insieme a Gesù praticavano il digiuno, ma in alcuni momenti mangiavano insieme per la grande gioia di stare alla presenza del Messia.

I farisei approfittano di questi momenti e lanciano le accuse.

Vedete che le critiche e le cattiverie esistono da sempre, possiamo arrivare addirittura al tempo di Adamo, quando il figlio Caino uccise l’altro figlio Abele per invidia. Quando una persona non riesce a controllarsi, è capace di tutto.

Gesù sgonfia l’accusa dei farisei e spiega che il digiuno era praticato anche dai suoi discepoli e lo faranno quando Lui non sarà più presente in mezzo a loro. Ma il digiuno più importante riguarda la superbia, e se si riesce a non fare agire questo vizio capitale, la pace comincia ad invadere i cuori e a portare la vera gioia.

È necessario introdurre una nuova mentalità in un nuovo cuore. Questo significa vino nuovo in otri nuovi. È Gesù che deve prendere dimora nei nostri cuori.

Si tratta di cambiare mentalità, modi di fare, l’agire accompagnato dalle virtù e non più dai vizi. Ma è impegnativo, è uno sforzo che deve fare la nostra natura incapace di elevarsi da sola, bisognosa di ricevere impulsi attraverso la riflessione.

È il proposito giornaliero, un impegno che stabiliamo nel nostro cuore da vivere nella giornata. Questa disposizione favorisce immensamente la capacità operativa perché aiutata dalla volontà. E la volontà riceve l’impulso dall’intelletto.

L’intelletto pensa, la volontà agisce, le opere sante rimangono.

04/09/2010 16:07
 
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Monaci Benedettini Silvestrini
Il Signore del Sabato

Gli scribi e i farisei, convinti di essere loro i depositari di tutte le verità e i depositari, custodi e interpreti autentici della legge, guardavano con crescente diffidenza Gesù e i suoi apostoli e, con occhio indagatore, cercavano ogni pretesto per coglierli in fallo e poi accusarli e screditarli presso il popolo. L'ultimo pretesto lo colgono dal fatto che i discepoli, passando per i campi, con le messi già biondeggiante, raccolgono delle spighe di grano e ne mangiano il frutto. Ecco pronta l'accusa rivolta allo stesso Gesù: «Perché fate ciò che non è permesso di sabato?» Il Signore confuta l'accusa ricorrendo alla stessa fonte biblica da cui i farisei hanno tratto i motivi dell'accusa: «Allora non avete mai letto ciò che fece Davide, quando ebbe fame lui e i suoi compagni? Come entrò nella casa di Dio, prese i pani dell'offerta, ne mangiò e ne diede ai suoi compagni, sebbene non fosse lecito mangiarli se non ai soli sacerdoti?». Gesù vuol proclamare una nuova legge di libertà, egli vuole svincolare l'uomo dall'osservanza solo esteriore e formale della legge. Sta per enunciare un comandamento nuovo che si basa sull'amore; egli non vuole che la legge diventi un capestro per l'uomo, ma che la pratichi come strumento di comunione con Dio, come segnali che indicano la strada del ritorno a lui. è significativa la frase conclusiva del vangelo di oggi: «Il Figlio dell'uomo è signore del sabato». Vuole così dirci che egli sta annunziando un nuovo sabato, che sta dando compimento alla legge antica, sta proclamando la libertà, che è vincolata solo dall'amore e che ci pone dinanzi a Dio come figli e non più come servi e schiavi. Il nuovo Sabato sarà il suo giorno, la sua risurrezione, la nostra domenica. La pasqua settimanale.
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