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COMMENTO DELLA LETTERA AGLI EFESINI

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2018 10:51
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03/11/2018 10:44
 
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CAPITOLO SESTO


VIRTÙ DOMESTICHE


[1]Figli, obbedite ai vostri genitori nel Signore, perché questo è giusto.


La famiglia non si compone solo del marito e della moglie; nella famiglia il marito diviene padre, la moglie madre. Qual è il giusto rapporto che deve governare le relazioni tra genitori e figli?


Sappiamo quali sono i rapporti che intercorrono tra l’uomo e la donna uniti in matrimonio. Quali i rapporti tra genitori e figli che scaturiscono dalla fede?


Quando si vuole stabilire una relazione tra gli uomini bisogna sempre trovare il principio che le dona consistenza, validità, stabilità, verità, giustizia.


Ogni relazione che non viene fondata su un principio di verità e di giustizia, è una relazione arbitraria. Mai questa relazione potrà generare un bene.


Tutto ciò che non è vero e non è giusto, non può produrre amore e quindi genera malessere, non benessere nei cuori.


Qual è la verità e la giustizia che governano le relazioni tra genitori e figli?


La relazione di verità e di giustizia bisogna trovarla nella fede, nella volontà di Dio, in ciò che Dio ha stabilito.


Sia i genitori che i figli sono del Signore, appartengono a Lui. È Lui la legge sia dei genitori che dei figli.


Questo deve essere proclamato con chiarezza, determinazione, con tutta la fortezza che è dono dello Spirito Santo.


Se genitori e figli sono di Dio, appartengono a Lui, non può esserci volontà dei genitori sui figli che non sia manifestazione, espressione, rivelazione della volontà di Dio.


E qual è la volontà di Dio sui figli: il loro sommo bene. È il bene che nasce dalla verità e dalla giustizia. È il bene che nasce dalla fede. È il bene che nasce dall’adorazione di Dio e dall’ascolto della sua voce.


C’è una parola che è detta da Dio a proposito di Abramo che può illuminarci a riguardo: “Il Signore diceva: Devo io tener nascosto ad Abramo quello che sto per fare, mentre Abramo dovrà diventare una nazione grande e potente e in lui si diranno benedette tutte le nazioni della terra? Infatti io l'ho scelto, perché egli obblighi i suoi figli e la sua famiglia dopo di lui ad osservare la via del Signore e ad agire con giustizia e diritto, perché il Signore realizzi per Abramo quanto gli ha promesso” (Gn 18,17-19).


È questo il principio di giustizia, di verità che deve governare l’atto del comando dei genitori verso i figli. Essi devono insegnare la via del bene, della verità, dell’osservanza dei comandamenti di Dio, devono condurre i loro figli su una via santa, la via di Dio.


È questo l’oggetto dell’obbedienza. Non c’è obbedienza quando ci si pone fuori della verità e della giustizia, fuori della volontà di Dio manifestata.


In questo ci è di esempio Cristo Gesù, il quale avendo ricevuto dal Padre un comandamento, una particolare volontà da osservare, senza dire nulla a Maria e a Giuseppe si fermò a Gerusalemme.


La sua azione è mossa dall’obbedienza diretta al Padre suo celeste. La Madre questo non lo sapeva. Gesù glielo ricorda con queste precise parole:


Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui. I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.


Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.


Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo.


Ed egli rispose: Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?.


Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2,40-52).


Per vivere questo principio, cioè quello dell’obbedienza, è necessario che ogni bambino venga educato secondo la legge della fede. Venga cioè istruito nel mistero che si vive all’interno della famiglia.


I genitori hanno l’obbligo di condurre ogni figlio sulla via di Dio, di farlo camminare nella sua volontà.


I genitori donano al figlio la volontà di Dio. A questo essi sono preposti. I figli obbedendo ai genitori sanno di obbedire a Dio, del quale essi hanno il posto per educare i propri figli nella sua volontà.


Entriamo qui in un duplice obbligo. Come c’è l’obbligo dei figli di obbedire ai genitori, così c’è anche l’obbligo dei genitori di dare ai figli la volontà di Dio.


Quando è manifesto che non viene data la volontà di Dio non c’è l’obbligo dell’obbedienza. Un genitore mai può comandare ad un bambino qualcosa che è contro la volontà di Dio. Mai può un genitore obbligare un bambino a non osservare la legge dei comandamenti.


In questo caso si compie l’altra parola di Gesù contenuta nel Vangelo. È la parola che sancisce la separazione tra genitori e figli, ma anche tra marito e moglie, a causa della volontà di Dio.


Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso! C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!


Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione. D'ora innanzi in una casa di cinque persone si divideranno tre contro due e due contro tre; padre contro figlio e figlio contro padre, madre contro figlia e figlia contro madre, suocera contro nuora e nuora contro suocera”(Lc 12,49-53)


Qual è il compito dei genitori? Quello di condurre i propri figli nella volontà di Dio. Per questo essi esistono.


Qual è l’obbedienza dei figli nei confronti dei genitori: quella di ascoltare la volontà di Dio.


Quando non c’è un comando di Dio, già rivelato perché contenuto nel Vangelo, o manifestato personalmente, il figlio è obbligato in coscienza a dire il motivo del non ascolto.


Ogni figlio si deve comportare come ha fatto Cristo Gesù: “Il Padre mio mi ha detto cosa devo fare oggi, e oggi ho fatto cosa mi ha detto di fare il Padre”.


È obbligo però dei figli dire sempre il motivo della loro non obbedienza e il motivo è uno solo: il compimento della volontà di Dio.


[2]Onora tuo padre e tua madre: è questo il primo comandamento associato a una promessa:


L’obbedienza e l’onore non sono la stessa cosa. L’obbedienza non obbliga quando ciò che si comanda non è la volontà di Dio, secondo la specificazione or ora puntualizzata.


Gesù obbedisce a Dio, resta a Gerusalemme. Compie ciò che il Padre in quel momento gli ha chiesto. Non informa neanche Maria e Giuseppe.


Perché non lo fa non lo sappiamo. Forse per insegnarci che quando Dio parla, ci deve essere un solo pensiero nella mente e una sola preoccupazione: quella di fare ciò che Dio ci ha detto, manifestato, chiesto.


Per le spiegazioni con gli uomini, anche con i genitori, c’è il tempo, dopo. Ora invece è il tempo dell’obbedienza, dell’ascolto, della realizzazione della parola che Dio ci ha detto.


L’onore invece è per sempre. Non c’è nessuna circostanza in cui si è dispensati dall’onorare il padre e la madre.


Nell’Antico Testamento abbiamo diverse parole forti che inculcano questo onore da tributare loro e sempre. La prima parola la troviamo nella Genesi ed è proferita in merito a Noè: “I figli di Noè che uscirono dall'arca furono Sem, Cam e Iafet; Cam è il padre di Canaan. Questi tre sono i figli di Noè e da questi fu popolata tutta la terra.


Ora Noè, coltivatore della terra, cominciò a piantare una vigna. Avendo bevuto il vino, si ubriacò e giacque scoperto all'interno della sua tenda.


Cam, padre di Canaan, vide il padre scoperto e raccontò la cosa ai due fratelli che stavano fuori. Allora Sem e Iafet presero il mantello, se lo misero tutti e due sulle spalle e, camminando a ritroso, coprirono il padre scoperto; avendo rivolto la faccia indietro, non videro il padre scoperto.


Quando Noè si fu risvegliato dall'ebbrezza, seppe quanto gli aveva fatto il figlio minore; allora disse: Sia maledetto Canaan! Schiavo degli schiavi sarà per i suoi fratelli!


Disse poi: Benedetto il Signore, Dio di Sem, Canaan sia suo schiavo! Dio dilati Iafet e questi dimori nelle tende di Sem, Canaan sia suo schiavo!” (Gn 9,18-27).


Cam non rende onore al padre, anzi lo disonora, perché non copre il padre nudo, anzi lo svela anche agli altri fratelli che nulla sapevano del loro padre.


Nei sapienziali invece leggiamo:


Figli, ascoltatemi, sono vostro padre; agite in modo da essere salvati. Il Signore vuole che il padre sia onorato dai figli, ha stabilito il diritto della madre sulla prole. Chi onora il padre espia i peccati; chi riverisce la madre è come chi accumula tesori.


Chi onora il padre avrà gioia dai propri figli e sarà esaudito nel giorno della sua preghiera. Chi riverisce il padre vivrà a lungo; chi obbedisce al Signore dà  consolazione alla madre. Chi teme il Signore rispetta il padre e serve come padroni i genitori. Onora tuo padre a fatti e a parole, perché scenda su di te la sua benedizione. La benedizione del padre consolida le case dei figli, la maledizione della madre ne scalza le fondamenta.


Non vantarti del disonore di tuo padre, perché il disonore del padre non è gloria per te; la gloria di un uomo dipende dall'onore del padre, vergogna per i figli è una madre nel disonore.


Figlio, soccorri tuo padre nella vecchiaia, non contristarlo durante la sua vita.


Anche se perdesse il senno, compatiscilo e non disprezzarlo, mentre sei nel pieno vigore. Poiché la pietà verso il padre non sarà dimenticata, ti sarà computata a sconto dei peccati. Nel giorno della tua tribolazione Dio si ricorderà di te; come fa il calore sulla brina, si scioglieranno i tuoi peccati.


Chi abbandona il padre è come un bestemmiatore, chi insulta la madre è maledetto dal Signore (Sir 3,1-16).


L’onore è rispetto, aiuto, sostegno, misericordia, scusa, perdono, benevolenza. Tutto è l’onore e tutto è onore. L’onore per i genitori è la ricerca del loro bene supremo: bene spirituale, bene materiale.


Questo onore lo si deve dare sempre. E tuttavia c’è un solo caso, sancito sempre dalla volontà di Dio, in cui si è dispensati dall’onorare materialmente i genitori. Questo unico caso è la vita consacrata al regno, alla missione evangelizzatrice.


Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai. Gli rispose Gesù: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo.


E un altro dei discepoli gli disse: Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre. Ma Gesù gli rispose: Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti”(Mt 8,19-22).


Solo in questo caso il figlio può lasciare i genitori, andarsene lontano, predicare il Vangelo, condurre gli uomini alla fede. Negli altri casi l’onore dei genitori ha la prevalenza su ogni altra scelta.


Quest’onore è sancito da un comandamento: il quarto, che è il primo comandamento che segue immediatamente dopo i primi tre che riguardano l’onore e la gloria di Dio.


[3]perché tu sia felice e goda di una vita lunga sopra la terra.


Leggiamo nel libro dell’Esodo: “Onora tuo padre e tua madre, perché si prolunghino i tuoi giorni nel paese che ti dá il Signore, tuo Dio” (Es 20,12).


In questa prima formulazione manca la promessa della felicità. È contenuta invece quella della lunga vita. In sé però la lunga vita è una benedizione di Dio e nella benedizione di Dio c’è sempre la felicità.


È felice quella vita che è benedetta da Dio. Nel caso dei figli, essa è benedetta perché rispettano, hanno rispettato, rispetteranno i genitori fino all’ultimo istante dei loro giorni.


La felicità viene aggiunta a questo comandamento nella seconda formulazione che troviamo nel Deuteronomio:


Onora tuo padre e tua madre, come il Signore Dio tuo ti ha comandato, perché la tua vita sia lunga e tu sii felice nel paese che il Signore tuo Dio ti dà” (Dt 5,16).


In questa seconda formulazione, scritta dopo l’esilio, la felicità è mirabilmente unita anche all’onore da tributare ai genitori.


La felicità nasce dall’amore, dalla carità, dalla misericordia. Sulla terra essa è unita, come a sua fonte, all’amore verso i genitori.


D’altronde, la felicità eterna nel regno di Dio, non è forse unita, anzi generata dall’amore verso i fratelli tutti?


Il nostro giudizio universale non si baserà forse sulla legge della carità e della sua osservanza senza fare preferenze di persone?


Un figlio che vuole la benedizione di Dio, che vuole vivere felice su questa terra, che vuole essere protetto e custodito da Dio, deve portare felicità, custodire e proteggere i suoi genitori.


Questa è la verità che bisogna oggi insegnare ai cristiani, che spesso dimenticano questo comandamento e pensano di poter trovare la felicità in quello che loro autonomamente decidono di fare. La felicità è un dono di Dio, come è un dono di Dio la vita lunga. La gioia viene dal Signore e il Signore ci ha indicato la fonte dove attingerla: nell’onore che si riversa sul padre e sulla madre.


Altre fonti non esistono. Ogni altra fonte della gioia è sempre nell’osservanza dei comandamenti. Questo comandamento però sta in modo del tutto particolare nel cuore di Dio ed è per questo che lo ha benedetto con un dono particolare, anzi con due doni: con il dono della vita lunga e della gioia e della felicità.


Cosa è la nostra vita senza la fede? Un niente. Anzi: una miseria continua, una illusione perenne, una fatica non solo inutile, quanto dannosa, poiché quella vita vissuta senza la fede conduce direttamente all’inferno.


Insegnare la fede è aprire le porte della vita ad ogni uomo, le porte della felicità e della gioia, le porte del ritrovarsi e dell’essere pienamente se stessi, senza le cose della terra, nelle quali inutilmente l’uomo spera di trovare felicità e gioia assieme alla lunga vita.


[4]E voi, padri, non inasprite i vostri figli, ma allevateli nell'educazione e nella disciplina del Signore.


Viene in questo versetto specificato qual è l’obbligo dei genitori verso i figli.


Essi devono allevare i figli nell’educazione e nella disciplina del Signore.


Per noi del Nuovo Testamento c’è una sola disciplina e una sola educazione del Signore: il suo Santo Vangelo.


I genitori devono educare i propri figli ad amare il Vangelo, a vivere il Vangelo, a testimoniare il Vangelo.


Il Vangelo è Cristo. I genitori devono educare i propri figli ad amare Cristo, vivere in Cristo, con Cristo, per Cristo, testimoniare Cristo.


Loro devono creare nei figli una coscienza evangelica e per questo devono illuminare il loro cuore con la luce che è la Parola di Cristo Gesù.


Devono fare tutto questo con pazienza, dolcezza, benignità, senso di accompagnamento, perfetta esemplarità.


Devono porre ogni attenzione a che i loro figli non si inaspriscono, o non vengano inaspriti.


Quando si inasprisce un cuore? Quando si toglie il respiro. Quando c’è un incalzare continuo di richieste, di comandi, di imposizioni.


Quando non si vede il figlio come un soggetto messo e posto da Dio nelle nostre mani perché lo aiutiamo a camminare verso di Lui, ma come un oggetto che noi possiamo modellare a nostro piacimento, per fare di lui non ciò che è gradito al Signore, ma ciò che è gradito a noi, che a noi piace.


Questo vale in ogni relazione in cui è richiesta l’obbedienza. Chi comanda deve sempre comandare per il compimento della volontà di Dio e chi obbedisce deve obbedire anche per il medesimo fine. Dio è il Signore della vita di chi comanda e di chi obbedisce. Chi è stato posto per comandare, è stato posto per dire solo la volontà di Dio; chi è stato posto per obbedire, è stato posto solo per fare la volontà di Dio.


Quando un cuore percepisce che non c’è volontà di Dio in quello che si comanda, il cuore soffre, geme, è nel dolore.


Per questo assieme al comando è sempre giusto offrire la motivazione per cui un’obbedienza è richiesta.


La motivazione legata all’obbedienza non priva del merito dell’obbedienza l’atto che si compie, gli dona verità, sapienza, intelligenza ed è proprio dell’uomo agire con verità, sapienza, intelligenza, conoscenza.


Se leggiamo il Vangelo di Luca al momento dell’Annunciazione, troviamo che a Maria Santissima fu data la verità, l’intelligenza e la sapienza perché il suo atto di fede fosse un vero atto umano, atto posto da una donna che è chiamata a consegnarsi interamente a Dio.


Leggiamo il passo, ci aiuterà a capire tante cose quando si chiede l’obbedienza ad un comando:


Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te.


A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto. L'angelo le disse: Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio. Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù. Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine.


Allora Maria disse all'angelo: Come è possibile? Non conosco uomo.


Le rispose l'angelo: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio. Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile: nulla è impossibile a Dio.


Allora Maria disse: Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto. E l'angelo partì da lei” (Lc 1,26-38).


In questi brevi versetti è contenuto tutto il mistero dell’obbedienza. Dio tratta sempre l’uomo da uomo. Non sempre l’uomo tratta l’uomo da uomo.


L’inasprimento è quando l’altro non è più uomo, ma diviene una cosa, un oggetto, uno schiavo, un servo.


L’attenzione a che questo non avvenga deve essere sempre alta, anzi altissima. A volte è necessario, altre volte è utile non intervenire, piuttosto che inasprire. Altre volte ancora è indispensabile valutare tutto nella preghiera, perché il comando sia vero comando che viene da Dio e non da noi.


Spesso infatti capita, e non è raro, che tutto si attribuisca a Dio, mentre in realtà altro non è che volontà e desiderio del nostro cuore. La preghiera, l’invocazione allo Spirito Santo, attendere che il Signore risponda al nostro cuore e al nostro spirito, dopo averlo lungamente implorato, ci aiuta e ci preserva dal dare un comando che non sia sua volontà.


Quanto dobbiamo pregare e quanto dobbiamo attendere? Tutto il tempo necessario perché si abbia in noi una certezza sicura, anzi infallibile.


Se non si ha questa certezza, è giusto che lo si manifesti, che lo si dica: il mio cuore pensa questo, ma non so se è volontà di Dio.


Ti manifesto il mio cuore. Va’ tu dal Signore e chiedi che ti venga in aiuto. Lui ti ama, tu lo ami e di certo ti darà risposta sicura.


La risposta che non ha dato a me, la darà sicuramente a te.


Questa è l’umiltà che è richiesta a chiunque ha un posto di comando, a chiunque si rivolge agli altri chiedendo l’obbedienza. I genitori hanno questo posto, hanno il posto di Dio in seno alla famiglia.

[5]Schiavi, obbedite ai vostri padroni secondo la carne con timore e tremore, con semplicità di spirito, come a Cristo,

Abbiamo esaminato la relazione familiare. Essa non è l’unica e la sola relazione nella quale un uomo è chiamato a vivere. C’è anche una relazione sociale.

Qual è la differenza tra la relazione sociale e quella familiare? Quella familiare è sancita dalla legge di Dio e quindi è immutabile.

Quella sociale invece è regolata dalla legge degli uomini e a volte anche da strutture che si tramandano lungo il corso della storia. Non sono la volontà di Dio e tuttavia anche queste bisogna che vengano ricondotte nella volontà di Dio.

In queste strutture sociali bisogna però prestare molta attenzione. Bisogna distinguere in esse: la giustizia che sempre deve essere osservata, dalle modalità che possono variare da luogo a luogo e da tempo a tempo.

Quali erano le relazioni sociali al tempo di Paolo? Esse si fondavano esclusivamente su due categorie. Padroni e schiavi. Molti uomini schiavi, pochi uomini liberi.

Qual è la regola che Paolo detta a questo mondo sociale, che caratterizzava quel tempo?

Paolo chiede agli schiavi l’obbedienza. Chiede lo stesso stato d’animo che domanda per la propria santificazione.

Così nella Lettera ai Filippesi: “Quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore. E` Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita. Allora nel giorno di Cristo, io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato” (Fil 2,12-16).

L’obbedienza richiede, esige una quadruplice modalità:

Con timore: il timore è cosa santa. Per un cristiano il timore è tutto. Timore per noi è stare sempre alla presenza di Dio e fare ogni cosa perché sua volontà.

Per sapere cosa è il timore del Signore, è sufficiente leggere il primo capitolo del libro del Siracide:

Il timore del Signore allieta il cuore e dà  contentezza, gioia e lunga vita. Per chi teme il Signore andrà bene alla fine, sarà benedetto nel giorno della sua morte.

Principio della sapienza è temere il Signore; essa fu creata con i fedeli nel seno materno. Tra gli uomini essa ha posto il nido, fondamento resterà fedelmente con i loro discendenti.

Pienezza della sapienza è temere il Signore; essa inebria di frutti i propri devoti. Tutta la loro casa riempirà di cose desiderabili, i magazzini dei suoi frutti.

Corona della sapienza è il timore del Signore; fa fiorire la pace e la salute. Dio ha visto e misurato la sapienza; ha fatto piovere la scienza e il lume dell'intelligenza; ha esaltato la gloria di quanti la possiedono.

Radice della sapienza è temere il Signore; i suoi rami sono lunga vita. La collera ingiusta non si potrà giustificare, poiché il traboccare della sua passione sarà la sua rovina. Il paziente sopporterà per qualche tempo; alla fine sgorgherà la sua gioia; per qualche tempo terrà nascoste le parole e le labbra di molti celebreranno la sua intelligenza. Fra i tesori della sapienza sono le massime istruttive, ma per il peccatore la pietà è un abominio. Se desideri la sapienza, osserva i comandamenti; allora il Signore te la concederà.

Il timore del Signore è sapienza e istruzione, si compiace della fiducia e della mansuetudine. Non essere disobbediente al timore del Signore e non avvicinarti ad esso con doppiezza di cuore. Non essere finto davanti agli uomini e controlla le tue parole. Non esaltarti per non cadere e per non attirarti il disonore; il Signore svelerà i tuoi segreti e ti umilierà davanti all'assemblea, perché non hai ricercato il timore del Signore e il tuo cuore è pieno di inganno” (Sir 1,10-29).

Per noi cristiani, battezzati, il timore del Signore è dono dello Spirito Santo. Con questo dono sappiamo sempre cosa il Signore vuole da noi e disponiamo il nostro cuore e la nostra volontà ad una obbedienza perfetta.

La nostra vita è nel timore del Signore. Se la poniamo fuori dal timore, la perdiamo, perché la esponiamo alla tentazione e al peccato, la consegniamo semplicemente al male.

Se bisogna obbedire ai padroni, lo si deve fare vedendo in essi l’unico nostro Padrone, l’unico Signore. Questa obbedienza è la via della nostra santificazione, sempre però che il loro comando non contrasti la volontà di Dio, non sia cioè in opposizione, o contrario al volere del Signore manifestato nel Suo Vangelo.

Con tremore: il tremore ci deve insegnare invece che per ogni azione dobbiamo domani presentarci al cospetto del Signore e rendere ragione di tutto.

Niente di ciò che viene fatto sfuggirà al giudizio di Dio. Poiché su ogni nostra azione incombe l’infallibile giudizio del Signore, Paolo ci esorta a pensare anche a quel giorno, al giorno del nostro giudizio.

Questo ci aiuterà a svolgere l’azione in modo vero, giusto, santo. Sappiamo così che chi ci giudica non è un uomo oggi, è Dio, domani.

Questo principio deve regolare ogni nostra azione. È questo il segreto della verità e della santità della nostra vita.

Ecco perché c’è questa unità mirabile tra l’obbedienza agli uomini e la nostra santificazione. La santificazione altro non è che obbedienza agli uomini e questa obbedienza deve essere fatta con timore e tremore.

Ogni azione deve essere fatta perché volontà di Dio, ma anche come dinanzi a Dio. Se mettiamo questo principio in ogni relazione sociale, avremo posto nel mondo il principio della verità, della giustizia, della bontà di ogni cosa, ma anche della bellezza di tutte le relazioni umane.

Possono cambiare i soggetti. Il padrone può non essere più padrone e lo schiavo non essere più schiavo, può anche modificarsi ogni regola pratica che controlla e guida le relazioni, mai però deve cambiare il timore e il tremore.

Fare ogni cosa perché volontà di Dio. Farla sempre alla sua presenza, sapendo che domani saremo convocati in giudizio e a lui dobbiamo rendere conto anche di un semplice pensiero della mente, sorto in essa, ma senza la partecipazione della nostra volontà.

Una società non si può fondare se non su questi due principi: del timore e del tremore. Oggi però Dio è bandito dalla nostra vista. La sua volontà non esiste più, neanche tra i cristiani. Come fare per inculcare a tutti questo principio? Come operare perché entri nel cuore il timore del Signore?

Bisogna riprendere la via della nuova evangelizzazione. Bisogna ridare il Vangelo al cristiano, perché lo viva, ad esso si converta, ad esso creda, esso ami, annunzi, proclami, realizzi nella sua vita e lo faccia interamente.

Se il Vangelo non viene dato agli uomini, neanche il timore e il tremore vengono dati e l’uomo si trova su un declino morale dal quale non c’è alcuna via di uscita. È condannato per sempre alla conflittualità e alla guerra tra le classi sociali, tra gli stessi uomini.

Si pensi oggi alla litigiosità sociale, politica, economica, religiosa. Come può essere superata se non mettendo ogni uomo dinanzi alla volontà di Dio e al suo giudizio sulle azioni degli uomini? Ma per fare questo bisogna iniziare dalla fede. Bisogna costruire il tessuto della fede in ogni cuore.

È questa l’opera ardua che deve compiere la Chiesa. Questo significa che essa si deve liberare da tutte quelle sovrastrutture e false strutture che la caricano di pesi inutili e che le fanno consumare invano il tempo in cose fatue, mentre in verità altro compito non le è stato dato, se non quello di creare il timore e il tremore nel cuore degli uomini, perché tutti attendano alla propria santificazione.

Con semplicità di spirito: assieme al timore vi è anche la semplicità di spirito. Cosa è la semplicità di spirito? In una parola sola: fare le cose senza chiedersi. Obbedire prontamente, immediatamente, subito. Rispondere con brevità di parole. Ma soprattutto non mettere il pensiero dentro il comando.

Il pensiero serve per fare bene le cose comandate, non per stabilire la bontà o meno del comando.

Questo non spetta a noi. A noi spetta obbedire prontamente – sempre però nel rispetto della legge dell’obbedienza – il resto non ci compete, perché il resto appartiene al padrone e non allo schiavo, del resto è responsabile chi comanda, mai chi obbedisce.

La semplicità di spirito è virtù assai difficile da acquisire. Il motivo è questo: l’uomo è pensiero, intelligenza, razionalità, saggezza, mente, oltre che cuore.

Come si fa a ricevere un comando e non farlo passare attraverso la nostra mente e quindi la nostra razionalità ed intelligenza? Se facciamo questo, alla fine potremmo anche decidere per la non bontà del comando.

Ma la bontà o la non bontà non siamo noi a deciderla. Chi decide è Dio. A noi è chiesto di fare bene l’opera che Dio ci comanda, non di stabilire se l’opera comandata è buona, utile, o altro.

Una volta che sappiamo che l’opera comandata non è in opposizione alla volontà di Dio che conosciamo – è ininfluente la via attraverso noi conosciamo la volontà di Dio – bisogna che vi mettiamo tutta la mente per farla bene, santamente, perfettamente.

La semplicità di spirito dice abolizione della nostra mente nella decisione da prendere; rinnegamento di noi stessi nello stabilire ciò che bisogna realizzare. L’ordine, il comando viene da altri. Questi altri hanno il posto di Dio. Dio ci parla attraverso di loro. Noi ci asteniamo dal commentare, dal giudicare, dal mormorare, da ogni pettegolezzo e ogni altra parola vana.

Non è forse questo che ci vuole dire Gesù quando ci raccomanda di “essere prudenti come i serpenti e semplici come le colombe”?

Prudenti nella realizzazione, semplici nell’accettazione del comando. Spesso però accade proprio il contrario: si è semplici, senza mettere la nostra mente nella realizzazione, mentre tutta la mente la mettiamo nell’accettazione.

come a Cristo: viene chiesto agli schiavi di non vedere in chi li comanda semplicemente un uomo. Se vogliono obbedire secondo la legge dell’obbedienza cristiana – con timore, con tremore, con semplicità di spirito – non devono vedere un uomo in loro, devono vedere lo stesso Cristo.

Entriamo qui nel mistero profondo dell’uomo. Qual è questo mistero?

L’uomo deve passare dalla terra al cielo. Non è ciò che fa che lo conduce al cielo. È lo spirito che mette in ciò che fa che lo porta al cielo. Che faccia questa o quell’altra cosa non ha nessuna incidenza nella sua vita, nessuna importanza, nessuna superiorità per rapporto ad un’altra cosa.

Ciò che fa la cosa vera, santa, buona, giusta è l’obbedienza che vi si pone in essa. Per obbedire Paolo vuole che si veda in chi comanda Cristo.

Cristo può comandare attraverso chiunque. Tutti possono essere Cristo. Uno riceve il comando, vi presta la sua obbedienza, lo compie con scienza e coscienza, lo fa come davanti al Signore, la via del cielo si apre dinanzi a lui.

È questa la libertà cristiana, che è libertà dalla propria mente, ma anche libertà da ogni opera.

Il cristiano è colui che ascolta, colui che obbedisce, colui che esegue, colui che realizza tutto ciò che gli si chiede. Tutto il resto non entra nemmeno nella sua mente. Per questo egli è libero della stessa libertà di Cristo Gesù, che fece tutto per comando del Padre, per obbedire ad un suo ordine eterno.

[6]e non servendo per essere visti, come per piacere agli uomini, ma come servi di Cristo, compiendo la volontà di Dio di cuore,

Viene qui insegnata la retta intenzione. Cosa è in verità la retta intenzione?

È compiere ogni azione alla presenza di Dio, secondo la sua volontà, per manifestare nel mondo la sua verità, il suo amore, la sua salvezza, aspettando la ricompensa solo da Lui e non dagli uomini. La ricompensa di Dio è benedizione su questa terra e nell’eternità.

Il Signore dell’uomo è sempre Dio. Giudice dell’uomo è solo il Signore. Colui che giudica e che ricompensa sulla terra e nel cielo è il Signore. Se Lui è tutto per noi, nel presente e nel futuro, nel tempo e nell’eternità, è assai evidente che tutto bisogna fare per Lui e non per gli uomini, anche se il comando viene dagli uomini e il servizio viene fatto agli uomini.

La retta intenzione è la ricerca costante di come fare per piacere al Signore, per essere graditi a Lui, per servire Lui secondo la sua volontà, per amare Lui secondo il suo comandamento.

Si agisce con retta intenzione se si fa ogni cosa con gli occhi della fede, se non si vede con gli occhi di carne, ma con gli occhi dello spirito e gli occhi dello spirito devono vedere solo il Signore che ci chiede l’opera e solo a chi l’opera viene fatta che è sempre e solo il Signore.

È retta intenzione fare ogni cosa evitando la vanagloria, il desiderio di essere ammirati, la superbia, la gelosia, la contrapposizione, la mormorazione, il pettegolezzo, ogni altra cosa che può viziare l’opera e renderla non meritevole di gloria eterna dinanzi al Signore.

Nella retta intenzione l’uomo scompare, resta solo il Signore. Non si è servi dell’uomo, mai, nella retta intenzione, si è solo servi di Cristo Gesù e in Lui, con Lui e per Lui si compie ogni cosa, si realizza ogni opera.

Inoltre nella retta intenzione la volontà deve assumere l’opera, farla propria, compierla con gioia, con amore, nella più grande libertà, mettendoci tutto il cuore, la mente, l’intelligenza, la sapienza, pregando perché Dio ci venga in aiuto in modo che alla fine solo la sua gloria si manifesti attraverso quanto noi abbiamo fatto e mai la gloria degli uomini.

La retta intenzione, e solo essa, fa sì che la nostra opera sia santa ed è santa solo quell’opera che è riconducibile alla volontà di Dio e fatta secondo la volontà di Dio.

Si fa la volontà di Dio, secondo la volontà di Dio. La volontà di Dio è il dono della nostra vita all’amore, alla verità, alla giustizia, al servizio di Cristo nei fratelli. Secondo la volontà di Dio è fare ogni cosa per adempiere la legge perenne che regola ogni azione degli uomini e questa legge è il comandamento della carità.

Tutto, l’uomo deve fare per amore. Dall’amore l’opera deve nascere, nell’amore compiersi, per amore terminare. L’uomo non esiste più. Esiste solo come strumento di Dio per amare, perché Dio possa amare attraverso di lui. Questa è l’opera e il servizio che è richiesto al cristiano.






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Filippo corse innanzi e, udito che leggeva il profeta Isaia, gli disse: «Capisci quello che stai leggendo?». Quegli rispose: «E come lo potrei, se nessuno mi istruisce?». At 8,30
 
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