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I SETTE VIZI CAPITALI

Ultimo Aggiornamento: 19/12/2017 12:29
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19/12/2017 12:17
 
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IRA


Il quarto vizio capitale è l'ira o col­lera, che può definirsi, in senso stretto, come il desiderio disordinato della ven­detta. Considerata in senso largo, la col­lera è una viva commozione dell'animo, che ci fa respingere con forza e sdegno ciò che ci dispiace.


Qualche volta la collera non è pec­cato; questo avviene quando è conforme alla retta ragione. Un esempio l'abbia­mo nel Vangelo. Gesù trovò nel Tempio i profanatori; allora prese il cingolo, ne fece come un flagello e con esso battè i profanatori, mandandoli fuori dalla Casa di Dio.


Anche quando la collera è conforme alla retta ragione, potrebbe divenire peccato, più o meno grave, per quello che si fa durante l'ira o per il modo con cui si fa. Nella collera infatti si può pec­care o perché si punisce chi non merita, o perché si punisce più gravemente che non comporti la colpa, o perché si ha di mira più la vendetta anzichè la cor­rezione del colpevole, o perchè si esage­ra nella maniera di adirarsi.


Da ciò ne segue che è meglio non arrabbiarsi mai, piuttosto che arrab­biarsi giustamente, poichè è difficile mantenersi nei giusti limiti.


 


Simile alla pazzia.


Chi è pazzo, parla ed opera senza ri­flettere; può recare del male a se ed agli altri. Non è però responsabile del suo agire. Chi si lascia dominare dalla collera, finché è in preda alla passione, è come un pazzo: non sa ciò che dice o fa. Quante stranezze si commettono nella rabbia! Si battono i piedi, si tira­no i capelli, si mordono le mani, si bestemmia, s'impreca, si getta addosso al primo che capita ciò che si ha fra le mani, sì ferisce il prossimo e si può an­che dargli la morte. Cessata la rabbia, il collerico suole restare umiliato e dice a se stesso: Ma cosa ho fatto?... Guarda un po' a che estremi sono arrivato!... Ah! questi nervi! Invece di pentirsi dopo, è meglio pensarci prima e non montare in col­lera.


Il collerico è di tormento agli altri ed a se. Guai a contrastarlo! Ne sanno qualche cosa le spose ed i figli, quando hanno da fare con il capo di famiglia assai nervoso. Sono ingiurie, minacce e botte! La presenza del collerico in casa tronca il sorriso dei familiari.


Chi facilmente monta sulle furie, vive nell'inquietudine, credendo che tutte le cose avverse capitino proprio a lui; pensa e ripensa i torti ricevuti, torti che a volte sono immaginari; suole avere la mente eccitata, per cui si rende inquieto lo stesso sonno.


Questi caratteri sono simili alle pen­tole in ebollizione; basta un poco più di calore ed ecco saltare il coperchio e riversarsi l'acqua; è necessario togliere legna dal fuoco, oppure aggiungere nella pentola un poco d'acqua fresca.


Al collerico si devono togliere le oc­casioni che possano eccitarlo; gli si fa così un vero atto di carità.


Quando si mantiene il dominio di se, si vede meglio la situazione delle cose e si possono prendere delle decisio­ni prudenti.


Invece il nervoso, alterandosi, non può vedere chiaramente, non è in gra­do di valutare le circostanze e facilmente può sbagliare negli affari d'importanza.


La nervosità è madre della precipi­tazione. Si sa per esperienza che la preci­pitazione è causa di tanti e tanti sbagli.


Il danno maggiore che arreca questo vizio, è quello spirituale, perché duran­te la collera si sogliono commettere di­versi peccati, con i pensieri, con le pa­role e con le azioni.


 


PAZIENZA


La virtù della pazienza è molto ma­gnificata dal Signore. Infatti Gesù dice: Beati i mansueti, poichè essi possederan­no la terra!


Queste parole significano che chi è paziente può divenire padrone del cuore degli uomini, è stimato dagli altri e bene­detto da Dio.


Inoltre Gesù vuole mettersi a model­lo della pazienza e proclama a tutti gli uomini: Imparate da me, che sono mite!


 


Pazienza con se stessi.


La pazienza è necessaria a tutti e sempre. Non mancano le occasioni in cui essa viene messa alla prova. Si deve esercitare questa virtù prima di tutto con noi stessi. Essere pa­zienti significa frenare la commozione dell'animo o mantenere in calma le po­tenze spirituali e sensitive. Non è sem­pre facile conservare il dominio di se stessi e mostrarsi sereni quando avvie­ne qualche contrarietà. La padronanza di se si acquista con un continuo eser­cizio e con l'aiuto della preghiera.


San Francesco di Sales aveva un'in­dole rabbiosa; sin da fanciullo si propo­se di correggersi e riuscì ad avere un grande dominio di se.


La pazienza deve farci sopportare i nostri stessi difetti. Tutti abbiamo del­le deficienze e per conseguenza cadia­mo in molti mancamenti. Anche quan­do commettiamo uno sbaglio, non dob­biamo arrabbiarci. Del resto, cosa giova adirarci quando lo sbaglio è avvenuto? Invece, dopo un mancamento, dobbiamo con calma dirci: Questa volta ho sba­gliato; starò più attento in seguito. -


E’ bene comportarsi così anche quan­do si commettono gravi colpe morali, poiché taluni, facendo il proposito di non cadere più in un dato vizio, si ri­tengono sicuri di sé, e, se per casa mancano, s'indispettiscono, perdono il coraggio e forse depongono il pensiero di migliorarsi.


 


Pazienza. col prossimo.


Il pretendere che nessuno manchi verso di noi, è assurdo. Coloro con i qua­li abbiamo da trattare, sono come noi ri­pieni di difetti e conseguentemente ci dispiacciono in molte cose. Ognuno ha i propri gusti e le proprie vedute, ed è difficile trovare due che se la inten­dano perfettamente. A questo si ag­giunge anche l'antipatia, che suole in­grandire i difetti del prossimo.


Dato questo, è necessario avere una buona dose di pazienza, per vivere in discreta armonia in famiglia ed in so­cietà. Per riuscire, è bene partire da questo principio di carità cristiana: Co­me voglio essere io sopportato e compatito nei miei difetti, così devo sop­portare e compatire il prossimo.


 


I pensieri.


Giova fare qualche riflessione d'in­dole pratica.


Tu, ad esempio, provi risentimento e rabbia interna verso una persona per il suo fare scortese e nervoso. Per compatirla, tieni conto dell'indole sua forse irascibile, dei dispiaceri, che forse avrà avuto in famiglia per cui è esaspe­rata; tieni conto pure della sua età, per­chè ad un certo periodo della vita l'orga­nismo è logoro ed il sistema nervoso ne risente gli effetti; tieni ancora conto dell'educazione che avrà avuto nell'in­fanzia. Insomma hai da tenere presenti tante cose, per non arrabbiarti nella tua mente contro il prossimo.


 


Le parole.


Quando si perde la pazienza, è la lin­gua a prendere il sopravvento. E’ necessario perciò frenarla, tenendo, se fa bi­sogno, la bocca chiusa quando si è trat­tati male e si sente già la fiamma della collera. Di certo questo è ottimo rime­dio! Si cominci a parlare quando, passa­ta la prima eccitazione interna, si rico­nosce di poter conservare la calma nelle parole e nelle opere.


L'Imperatore Augusto era d'indole collerica; avendo da trattare con ogni categoria di persone, era sovente nell'oc­casione di perdere la pazienza. Conosce­va la necessità di dominare i nervi, ma non sempre vi riusciva. Domandò con­siglio al filosofo Atenodoro. Questi gli rispose: Imperatore, se tu senti la rab­bia e vuoi subito parlare, comincia a recitare le lettere dell'alfabeto greco; quando avrai finito, comincerai a par­lare; ti troverai bene. -


Il rimedio era molto buono, poiché recitando lentamente le lettere dell'al­fabeto, la mente si distraeva un poco, il sangue circolava con più regolarità, i nervi si calmavano e così dopo era facile dominare la lingua e parlare con serenità e prudenza.


A tutti sarebbe utile questo rimedio. Però i Cristiani, invece di recitare le lettere dell'alfabeto, farebbero bene a dire lentamente il « Padre Nostro » o « 1'Ave Maria »; in questo modo, oltre a calmarsi prima di parlare, si può pre­gare per chi ha mancato.


 


Un Parroco.


Celebrandosi qualche Matrimonio, era solito un Parroco rivolgere la parola ai novelli sposi, raccomandando l'accordo ed il compatimento vicendevole. In par­ticolare diceva: Ogni volta che tra voi due sta per avvenire qualche contesa o diver­bio dovete subito dire: « Rimandiamo la contesa a domani! Per ora non ne par­liamo affatto! ». La mattina seguente, o sposi, voi non penserete più alla contesa, oppure se vi penserete, farete tutto con calma. -


Non solo gli sposi, ma tutti dovrebbero seguire questa norma. Quanti di­spiaceri e quanti peccati si potrebbero evitare!


 


La risposta dolce.


La risposta dolce rompe l'ira. Par­lando aspramente a chi è in collera, non si ottiene niente, anzi lo si irrita di più. Se gli si parla dolcemente e con garbo, naturalmente il collerico resta disarmato. Viene a proposito il prover­bio: Si prendono più mosche con una goccia di miele, anziché con un barile di aceto.


Il Santo Curato d'Ars aveva conver­tito alla fede cattolica una donna ebrea. Il marito di essa, pure ebreo, montò sul­le furie e si presentò al Santo con un col­tello in mano, minacciando:


- Siete voi, gli disse, colui che ha pervertito mia moglie? - Sono stato io a convertirla! ... Cosa volete adesso? - Son venuto per strapparvi un occhio con questo coltello! - Quale volete strapparmi, il destro o il sinistro? - Vi strappo l'occhio destro. - Allora mi resterà il sinistro per guardarvi ed amarvi! - Vi strapperò anche il sini­stro! - Mi resterà il cuore per amarvi e vi aiuterò in ciò che potrò! -


A queste parole, improntate a calma e dolcezza, l'ebreo da leone diventò agnello e sentì il bisogno d'inginocchiar­si davanti al Santo Sacerdote per chie­dergli perdono.


La pazienza cristiana non solo mo­dera la lingua, ma tiene a freno tutti i sensi del corpo. Cosa vale non aprire bocca quando si è arrabbiati, se poi si alzano le mani, oppure si scaraventano a terra sedie, bottiglie od altro?


Bisogna sforzarsi di non apparire arrabbiati, anche quando l'animo è tur­bato assai. Il fare certi gesti sgarbati e sprezzanti, il guardare con occhio bieco, il sorridere sarcasticamente ... so­no cose contrarie alla virtù della pazienza.


 


Norme pratiche.


Credo di fare cosa utile ai lettori, presentando norme pratiche da seguire in famiglia e fuori. Metterò sott'occhio alcune categorie di persone. Voglio spe­rare di contribuire in tal modo alla pace domestica di certe famiglie ed al loro bene spirituale.


 


Gli sposi.


La convivenza dell'uomo con la don­na nei primi mesi dopo la celebrazione del Matrimonio, non è difficile; il loro affetto in quel primo tempo suole es­sere grande e quindi facilmente si com­patiscono. Coll'andare del tempo, gli sposi manifestano apertamente il loro carattere e per conseguenza cominciano le dolenti note; l'uomo vuole coman­dare e la donna pure; l'uno vuol sem­pre ragione e l'altra non vuole mai torto; lo sposo alza la voce e la sposa grida; lui minaccia e lei si avventa.


Se non c'è pazienza, la vita degli sposi diviene un purgatorio e qualche volta un vero inferno. I fiori dei novelli sposi di­ventano spine e forse anche chiodi. Que­sta è la ragione per cui si domanda da taluni la separazione legale.


Perchè ci sia la pace, è necessario che gli sposi conoscano il vicendevole carat­tere; conosciutolo, facciano di tutto per non toccare i lati deboli.


Tu, o donna, sai che il marito non vuole essere contrariato? Cedi subito, anche con tuo sacrificio! Sai che egli ha un dato gusto e gli piace quel modo di pensare e di agire? Fa' di tutto per accontentarlo, prevenendo anche i suoi desideri! Se tu agisci così, lo sposo ti apprezzerà di più ed anch'eglí si sforzerà di fare altrettan­to con te.


Tu, o sposo, ti accorgi che la con­sorte qualche giorno ha la luna a tra­verso? Sai che quando si altera non vede più dagli occhi? Compatiscila in quel gior­no, non irritarla di più, togli ogni occa­sione di contrasto! Tu forse dici: Ma io sono il capo di casa! Io devo coman­dare ... e la donna mi deve stare sogget­ta! - Hai ragione; però non dimenticare che la sposa è compagna e non serva e tanto meno schiava. Ama la tua donna come te stesso e perciò compatiscila!


Ci vuole lo spirito di sacrificio e l'aiuto del Signore. È bene quindi che gli sposi, dicendo le preghiere del mattino o della sera, recitino anche un Padre Nostro con questa intenzione: « Per la pace in fami­glia ». Chi persevera in tale preghiera, presto ne vedrà i buoni frutti.


 


Correzione fruttuosa.


Un operaio aveva il vizio di bere trop­po, specialmente il sabato sera. La moglie era stanca di convivere con lui. A vederlo ritornare barcollante in casa, a sentirlo bestemmiare e vomitare ingiurie e paro­lacce ... provava i brividi. Questo non era tutto. Sovente il marito nell'ubria­chezza rompeva qualche cosa e rovesciava le sedie; alla fine si sdraiava e si addor­mentava a terra.


La sposa sopportava sino ad un certo punto; ma dopo montava sulle furie e lo rimproverava aspramente. Finita la tempesta, quando cioè il marito si era addormentato a terra, con grande fatica lo prendeva di peso e lo metteva a letto; dopo rassettava la camera e finalmente si coricava. L'indomani riprendeva i rimpro­veri contro il marito per quello che aveva fatto la sera precedente. L'uomo, non ri­cordando niente perchè la sera era in ba­lia del vino, non faceva caso dei rimpro­veri, anzi rispondeva con una risatina. La cosa non poteva più durare.


Un giorno la donna ebbe la felice idea di chiedere consiglio ad un Sacerdote; ebbe un buon suggerimento e si affrettò ad attuarlo.


La prima sera che il marito era rinca­sato ubriaco, non gli rivolse la parola, anzi lo lasciò libero di fare. Nel bollore del vino, il misero uomo afferrò il lume e lo buttò a terra; rovesciò il piccolo tavolo su cui era la cena e tutto andò a male, minestra, piatti e bicchieri; in ultimo, come al solito, si addormentò sul pavimen­to. Questa volta la moglie si contentò di guardare; subito dopo andò a letto, senza rassettare la camera e lasciando il marito a terra. L'indomani mattina si sve­gliò l'uomo ed a vedersi in quello stato, chiamò la donna; questa con calma gli disse: Dunque cosa desideri? - Come mai mi trovo qui a terra?... Ho le ossa rotte! ... E questo tavolo perché è rove­sciato? E questi, piatti ed i bicchieri?... Guarda quanta minestra per terra!... - La moglie rispose: Sono i miracoli che fai tu quando ritorni a casa ubriaco! - Sono stato io a fare questo? - Proprio tu! ... Se vuoi continuare ad ubriacarti, continua pure; ma ti lascerò tutta la notte a terra. -


Quando il marito constatò con i pro­pri occhi il male che proveniva dall'u­briachezza. propose fermamente di cor­reggersi e poco per volta ci riuscì.


Questo episodio insegna che tra gli sposi è necessaria la mutua correzione; questa però si deve fare con calma e prudenza; soltanto allora è fruttuosa.


 


I genitori.


Hanno i genitori la missione di educa­re i figlioli. Il compito dell'educazione è delicato e non tutti i genitori sono all'altez­za di soddisfarlo. Tuttavia, chi desidera avere dei figli docili e virtuosi, faccia di tutto per bene educarli.


Taluni credono di educare bene i figliuo­li rimproverandoli per ogni piccola cosa, alzando spesso la voce in atto di minaccia ed adoperando con frequenza la verga. Con i figliuoli, specialmente di tenera età, ci vogliono piccoli richiami; quando ciò non basta, si dà loro un piccolo castigo, consistente nel privarli di un atto di be­nevolenza o nel negare loro un piccolo piacere.


Quando ciò non fosse sufficiente, si ricorra a qualche piccola minaccia; in casi estremi si ricorra alla verga. Ma anche in questo caso procurino i genitori di essere giusti, cioe’ proporzionino il castigo al grado di colpevolezza dei figli.


Molte mancanze dai bambini si commettono per irriflessione o per leggerezza. Dice San Paolo: Voi, o genitori, non provocate all’ira i vostri figliuoli! – Quando un figliuolo si vede punito piu’ del giusto, si arrabbia contro i genitori, dice loro parole ingiuriose e qualche volta si avventa.


Dunque i genitori siano pazienti, frenino la lingua non pronunziando ingiurie ed imprecazioni e moderino l’uso della verga o delle mani.


Non dimentichino che anche loro un tempo furono fanciulli e che forse mancanze ne fecero piu’ dei loro figliuoli.


 


I figli


Iddio ha dato un comandamento> “Onora il padre e la madre”. I figli hanno percio’ il dovere di amare, ubbidire e amare i genitori.


Quando i figli sono piccoli, danno pic­coli dispiaceri; divenuti grandi, danno grandi dispiaceri. Facciano di tutto per alleggerire al padre ed alla madre il peso della famiglia; usino con loro modi deli­cati e parole dolci.


Fanno tanto male quei figli che ri­spondono con insolenza ai genitori, o li trattano da uguali e peggio ancora.


La pazienza maggiore si deve avere con i genitori avanzati in età. Quando comincia la vecchiaia, sogliono essi di­venire ciarlieri ed irrequieti; quando la vecchiaia è inoltrata, diventano alle volte come i bambini, per il modo di fare e di pensare; vogliono essere subito acconten­tati nei loro piccoli desideri e fanno anche dei capricci. In queste circostanze si rico­noscono i buoni figliuoli, se cioè trattano con pazienza ed amore le due creature che rappresentano Iddio nella famiglia.


Pazienza molto grande devono avere i figli, allorchè il padre e la madre si am­malano. I genitori sogliono assistere i fi­gli ammalati con un amore particolare, sino all'eroismo; i figli invece perdono la pazienza, se hanno da assistere i geni­tori infermi e possono arrivare al punto di desiderare ad essi la morte.


 


I fratelli.


- Amor di fratelli, dice un prover­bio, amor di coltelli. - Questo può av­venire quando si tratta di dividere i be­ni dei genitori. - Tra fratelli e sorelle d'ordinario c'è la benevolenza, ma diffi­cilmente c'è la pazienza. Si paragonano infatti i fratelli e le sorelle ai cani ed ai gatti, che si bisticciano di frequente.


Si dovrebbe fare di tutto perchè tra loro regni la pace, tenendo lontane le parole ingiuriose ed impedendo che al­zino le mani.


 


Parenti e vicini.


La pazienza si suole perdere con le persone con cui si ha più da fare. Le relazioni tra parenti e vicini sogliono essere frequenti e per conseguenza si pre­sentano spesso le occasioni di dissensi. Per conservare l'armonia, si stia atten­ti a non far conoscere le faccende intime della propria famiglia e nello stesso tem­po non si metta il naso negli affari inti­mi altrui.


Quando sorge un contrasto, si faccia morire subito, non parlandone più. Ricevuto uno sgarbo oppure un'offesa, si ricambi il male con un favore, per fare comprendere che si perdona generosa­mente, vincendo il male con il bene. Questo sistema è fonte di merito e di pace.


 


Padroni e servi.


Grande carità e pazienza dovrebbe re­gnare tra padroni e persone di servizio. I padroni, pur esigendo il giusto ser­vizio, trattino con garbo i dipendenti. È già un'umiliazione grande il dovere servire gli altri; non si aggravi quest'u­miliazione con le maniere superbe e con le parole irritanti. Pensino i padroni: Se per un rovescio di fortuna dovessi anda­re io a servizio, come vorrei essere trat­tato? Dunque, è giusto che io tratti bene il personale dipendente! - Quanti pa­droni purtroppo maltrattano i servi, stra­pazzandoli come se fossero delle bestie o degli stracci!


I servi siano sottomessi ai padroni per amore di Dio e si mantengano umi­li in tale stato, anche per scontare i pec­cati. Sopportino i difetti dei padroni spe­cialmente se nervosi o vecchi, e siano loro di esempio nell'esercizio della pa­zienza. Una persona di servizio paziente è un rimprovero continuo ai padroni collerici e superbi; essa per la sua virtù vale molto di più dei suoi padroni, ai quali è inferiore solamente per il portafoglio.


 


Gl'insegnanti


Una particolare pazienza si richiede ne­gli insegnanti. Se chi insegna è pazien­te, non si guasta il sangue, è più stimato dagli alunni e riesce con più frutto nel­l'istruzione. Se al contrario non sa domi­nare i nervi, è di cattivo esempio per le parole offensive che dice e fa progredire poco nello studio o nell'arte.


Per lo più gl'insegnanti sono nervosi, per effetto di stanchezza mentale; è per­ciò necessario che si facciano molta vio­lenza per non perdere la pazienza. Per istruire i piccoli si richiede una pazien­za superiore; con essi si adoperi il si­stema della madre, che è sistema di a­more, di comprensione e di grande com­patimento.


 


Pazienza in tutti gli eventi.


Quando capita una disgrazia, una ma­lattia, una perdita, ecc.... è inutile ar­rabbiarsi. Anche quando si desse libero sfogo alla collera, con bestemmie, paro­lacce ed imprecazioni, non si aggiuste­rebbe niente. Come comportarsi in simi­li eventi? Fare di necessità virtù! Dire subito con calma: La disgrazia è avvenuta; la croce l'ho addosso. Se mi arrab­bio, la croce rimane lo stesso, anzi si fa più pesante; è meglio prendere tutto in pazienza ed a penitenza dei peccati. Signo­re, sia fatta la vostra volontà! -


Si smarrisce un oggetto. Perché mon­tare in collera? Forse facendo cosi’, si troverà più presto? E’ ridicolo il pen­sarlo. Cosa fare allora? Senza inquietar­si, fare di tutto per rinvenirlo e rivolgersi a Dio per aiuto. Un Padre Nostro recitato con devozione e con fede a Sant'Anto­nio spesso toglie dall'imbarazzo.


S'inciampa e si cade; ci pestano un piede; ci urtano per inavvertenza ... È il caso di arrabbiarsi? Cosa se ne guadagna? È meglio sopportare con merito quel po­co di molestia.


Il sole dardeggia; un giorno piove a dirotto; il vento soffia con furia; le mo­sche od altri insetti ci danno noia ... Conviene perdere la pazienza? Forse im­precando contro il vento o le mosche, si riesce ad accomodare la partita? Oh, no certamente!


 


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Questa è la vita: che conoscano Te, solo vero Dio, e Colui che hai mandato, Gesù Cristo. Gv.17,3
 
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