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Serbava queste cose, meditandole... (Lc.2,19)

Ultimo Aggiornamento: 24/03/2024 09:21
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01/02/2018 09:21
 
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Gesù chiamò a sé i Dodici e prese a mandarli a due a due (...) Ed essi, partiti, proclamarono che la gente si convertisse»

+ Rev. D. Josep VALL i Mundó
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo parla della prima delle missioni apostoliche. Cristo invia i dodici a predicare a curare ogni sorta di ammalati e a preparare i cammini della salvazione definitiva. Questa è la missione della Chiesa e, anche quella , di ogni cristiano. Il Concilio Vaticano II affermò che «la vocazione cristiana implica, come tale, la vocazione all’apostolato. Nessun cristiano ha una funzione passiva. Per cui, chi non cercasse la crescita del corpo sarebbe, perciò stesso, inutile per tutta la Chiesa, come per se stesso».

Il mondo attuale ha bisogno –come diceva Gustavo Thibon- di un “supplemento di anima” per poterlo rigenerare. Solamente Cristo, con la Sua dottrina, è medicina per le malattie di tutto il mondo. Questo ha le sue crisi. Non si tratta soltanto di una parziale crisi morale o di valori umani: è una crisi dell’insieme; e l’espressione più precisa per definirla è quella di una “crisi dell’anima”.

I cristiani, con la grazia e la dottrina di Gesù, ci troviamo in mezzo alle strutture temporali per vivificarle e dirigerle verso il Creatore: «Che il mondo, per la predicazione della Chiesa, ascoltando possa credere, credendo possa sperare e sperando possa amare» (Sant’Agostino). Il cristiano non può fuggire da questo mondo. Così, come scriveva Bernanos «Ci hai lanciato in mezzo alla massa, in mezzo alle moltitudini, come lievito; riconquisteremo palmo a palmo, l’universo che il peccato ci ha carpito; Signore, Te lo restituiremo esattamente come lo ricevemmo in quel primo mattino di tutti i tempi, in tutto il suo ordine e in tutta la sua santità».

Uno dei segreti consiste nell’amare il mondo con tutta l’anima e vivere con amore la missione affidata da Cristo agli Apostoli e a tutti noi. Detto con parole di San Giuseppe Maria, «l’apostolato è amore di Dio, che trabocca, dando sé stessi agli altri (...). E l’ansia di apostolato è l’espressione precisa, adeguata e necessaria della vita interiore». Questo dev'essere il nostro testimonio giornaliero tra gli uomini e nel trascorso di tutte le epoche.
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02/02/2018 09:12
 
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Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)


Oggi, sopportando il freddo dell’inverno, Simeone aspetta l’arrivo del Messia. Cinquecento anni prima, quando si cominciava a costruire il Tempio, ci fu una penuria tale che i costruttori si scoraggiarono. Fu allora quando Aggeo profetizzò: «La gloria futura di questa casa sarà più grande di quella di una volta, dice il Signore degli eserciti; in questo luogo porrò la pace» (Agg 2,9); e aggiunse «Affluiranno qui le ricchezze di tutte le genti» (Agg 2,7). Frase che ammette diversi significati: «il più apprezzato» diranno alcuni, «il desiderato da tutte le nazioni», affermerà san Geronimo.

A Simeone «lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore» (Lc 2,26), ed oggi, «mosso dallo Spirito», è salito al Tempio. Lui non è levita, nè scriba, nè dottore della Legge, è solo un povero uomo «giusto e pietoso che aspettava la consolazione d’Israele» (Lc 1,25). Ma lo Spirito soffia lì dove vuole (cf. Gv 3,8).

Adesso comprova con sorpresa che non c´è stata nessuna preparazione; non si vedono bandiere nè ghirlande, nè scudi da nessuna parte. Giuseppe e Maria attraversano lo spiazzo portando il Bambino tra le braccia. «Alzate, o porte, la vostra fronte, alzatevi, soglie antiche, ed entri il re della gloria!» (Sal 24,7), canta il salmista.

Simeone si fa avanti, con le braccia tese per salutare la Madre, riceve il Bambino e benedice Dio dicendo: «Ora puoi lasciare, o Signore, che il tuo servo vada in pace, secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli: luce per rivelarti alle genti e gloria del tuo popolo, Israele» (Lc 2,29-32).

Dice poi a Maria: «e anche a te una spada trafiggerà l’anima!» (Lc 2,35). «Madre, -dirò rivolgendomi alla Vergine- quando arriverà il momento di andare alla casa del Padre, portami tra le tue braccia, come portavi Gesù, perché anch’io sono figlio tuo e bambino!».
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02/02/2018 23:47
 
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Perché avete paura? Non avete ancora fede?»

Rev. D. Joaquim FLURIACH i Domínguez
(St. Esteve de P., Barcelona, Spagna)


Oggi, il Signore rimprovera i suoi discepoli per la loro mancanza di fede: <> (Mc 4,40). Gesù aveva già dimostrato con sufficienti prove di essere l’Inviato e tuttavia non credono ancora. Non si rendono conto che, avendo con loro lo stesso Signore, non hanno nulla da temere. Gesù fa un chiaro parallelismo tra “fede” e “coraggio”.

In un’altro brano del Vangelo, di fronte a una situazione in cui gli Apostoli dubitano, si dice che loro non potevano credere perchè non avevano ricevuto lo Spirito Santo. Il Signore avrà bisogno di molta pazienza per continuare a insegnare ai primi tutto quello che loro ci insegneranno dopo, e quello di cui saranno testimoni forti e coraggiosi.

Sarebbe bello che anche noi ci sentissimo “rimproverati”. Per un motivo in più!: noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo che ci permette di capire veramente come il Signore è con noi nel cammino della vita, se veramente cerchiamo di fare sempre la volontà del Padre. Oggettivamente, non abbiamo nessun motivo per essere codardi. Egli è l’unico Signore dell’Universo, perché <> (Mc 4,41), come affermano ammirati i discepoli.

Allora, cos’è ciò che mi spaventa? Sono motivi così gravi da mettere in dubbio il potere infinitamente grande come l’Amore che il Signore ha per noi? Questa è la domanda con cui i nostri fratelli martiri hanno saputo rispondere, non con parole, ma con la propria vita. Come tanti fratelli nostri che, con la grazia di Dio, ogni giorno fanno di ogni contraddizione un passo avanti nella crescita della fede e della speranza. E noi, perché no? Non sentiamo dentro di noi il desiderio di amare il Signore con tutto il pensiero, tutte le nostre forze e con tutta l’anima?

Uno dei grandi esempi di coraggio e di fede, ce l’abbiamo in Maria, Aiuto dei cristiani, Regina dei confessori. Ai piedi della croce seppe mantenere in piedi la luce della fede... che diventò risplendente nel giorno della resurrezione!
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04/02/2018 09:53
 
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Tutti ti cercano!»

Rev. D. Francesc CATARINEU i Vilageliu
(Sabadell, Barcelona, Spagna)


Oggi, vediamo Gesù a Cafarnao, centro del Suo ministero, e, più precisamente, in casa di Simone Pietro: «Usciti dalla sinagoga, andarono (...) a casa di Simone e Andrea» (Mc 1,29). Lì trova la Sua famiglia, quella di chi ascolta la Parola e la mette in pratica (cf. Lc 8,21). La suocera di Pietro è a letto, ammalata e Lui, con un gesto che va oltre il fatto aneddotico, le offre la mano, la solleva dalla sua prostrazione e le restituisce la sua capacità di badare alle attività domestiche.

Si avvicina ai poveri-sofferenti che Gli presentano e li guarisce semplicemente porgendo loro la mano; solo con un breve contatto con Lui, che è fonte di vita, restano liberati-salvi.

Tutti cercano Cristo, alcuni in un modo esplicito e coraggioso, altri, forse, senza esserne coscienti, giacché «il nostro cuore è intranquillo e non trova pace fino a quando non riposi in Lui» (Sant’Agostino).

Ma, così come noi lo cerchiamo perché abbiamo bisogno che ci liberi dal male e dal Maligno; Lui ci si avvicina per rendere possibile ciò che mai potremmo ottenere da soli. Lui si è fatto debole per guadagnare noi che siamo deboli, «Mi son fatto tutto per tutti, per salvare ad ogni costo qualcuno» (!Cor 9,22).

C’è una mano tesa verso di noi che ci troviamo prostrati da tanti mali; basta che apriamo la nostra mano e ci troveremo in piedi e rinnovati per il da fare. Possiamo “aprire” la mano per mezzo della preghiera, seguendo l’esempio del Signore: «Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava» (Mc 1,35).

Inoltre, l’Eucaristia di ogni domenica è l’incontro del Signore che viene a toglierci dal peccato dell’abitudine e dello scoraggiamento per trasformarci in testimoni viventi di un incontro che ci rinnova costantemente e che ci rende veramente liberi con Gesù Cristo.
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04/02/2018 22:56
 
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«E quanti lo toccavano [il lembo del suo mantello] venivano salvati»

Fr. John GRIECO
(Chicago, Stati Uniti)


Oggi, nel Vangelo, vediamo il grande "potere del contatto" con la persona di Nostro Signore: «Deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati» (Mc 6,56). Il minimo contatto fisico può fare miracoli per coloro che si avvicinano a Cristo nella fede. Il suo potere di guarire trabocca dal suo cuore amoroso e si estende anche ai suoi vestiti. Entrambi, la sua capacità e il suo grande desiderio di curare, sono abbondanti e facilmente accessibili.

Questo passaggio può aiutarci a meditare su come stiamo ricevendo il Signore nella Santa Comunione. ¿Accettiamo con fede che questo contatto con Cristo può fare miracoli nella nostra vita? Ê molto di più che toccare «il lembo del suo mantello», noi riceviamo veramente il Corpo di Cristo nei nostri corpi. Più che una semplice guarigione delle nostre malattie fisiche, la Comunione guarisce le nostre anime e garantisce la partecipazione nella propria vita di Dio. Sant' Ignazio di Antiochia, così, considerava l'Eucaristia come «il farmaco della immortalità e l'antidoto per prevenirci dalla morte, in modo da produrre ciò che eternamente dobbiamo vivere in Gesù Cristo».

L'utilizzazione di questo "farmaco d'immortalità" consiste nell’essere curato di tutto ciò che ci separa da Dio e dagli altri. Essere curati da Cristo nell'Eucaristia, quindi, implica superare il nostro stato di estasi. Come insegna Benedetto XVI, «Nutrirsi di Cristo è la via per non rimanere estranei o indifferenti davanti alla sorte dei fratelli (...). Una spiritualità eucaristica, allora, è un autentico antidoto davanti all’individualismo e all’egoismo che spesso caratterizzano la vita quotidiana, porta alla riscoperta della gratuità, della centralità delle relazioni, a partire dalla famiglia, con particolare attenzione ad alleviare le ferite di quelle disgregate».

Come quelli che furono guariti dalle loro malattie toccando i suoi vestiti, anche noi possiamo essere curati dal nostro egoismo e il nostro isolamento dagli altri, ricevendo Nostro Signore con fede.
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06/02/2018 08:17
 
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Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?»

Rev. D. Iñaki BALLBÉ i Turu
(Terrassa, Barcelona, Spagna)


Oggi, contempliamo come alcune tradizioni tardive dei maestri della Legge avevano manipolato il vero senso del quarto comandamento della Legge di Dio. Quegli scribi insegnavano che i figli che offrivano al Tempio danaro e beni facevano la cosa migliore. Secondo questo insegnamento, accadeva che i genitori non potevano più disporre di tali beni. I figli, formati in questa coscienza erronea, credevano di aver compiuto così il quarto comandamento, anzi, di averlo compiuto nella forma migliore. In realtà, però, si trattava di un inganno.

«Siete veramente abili nel rifiutare il comandamento di Dio per osservare la vostra tradizione!» (Mc 7,9): Gesù Cristo è l’interprete autentico della Legge; perciò spiega il vero senso del quarto comandamento, correggendo il lamentevole errore del fanatismo giudeo.

«Mosè infatti disse: Onora tuo padre e tua madre» (Mc 7,10): il quarto comandamento ricorda ai figli le responsabilità che hanno verso i loro genitori. D’accordo alle loro possibilità, devono offrire loro l’aiuto materiale e morale negli anni della vecchiaia e nei periodi di malattie, di solitudine o difficoltà. Gesù ricorda questo dovere di riconoscenza.

Il rispetto verso i genitori (amore filiale) deriva dalla riconoscenza che dobbiamo avere verso di loro per il dono della vita e per i lavori svolti con fatica per i loro figli, perché questi potessero crescere in età, in scienza ed in grazia. «Onora tuo padre con tutto il cuore e non dimenticare le doglie di tua madre. Ricorda che essi ti hanno generato: che cosa darai loro in cambio di quanto ti hanno dato?» (Sir 7,27-28).

Il Signore glorifica il padre nei suoi figli, ed in essi riafferma il diritto della madre. Chi onora il padre, viene purificato dei suoi peccati; chi rende gloria alla madre è somigliante a colui che accumula un tesoro (cf.Sir 3,2-6). Tutti questi consigli ed altri ancora, sono come una luce chiara nella nostra vita nei riguardi dei nostri genitori. Chiediamo al Signore la grazia che non venga mai a mancare il vero amore che dobbiamo avere verso i genitori e sappiamo, con l’esempio, trasmettere agli altri questo dolce “dovere”.
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07/02/2018 22:58
 
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Andò e si gettò ai suoi piedi... Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia»

Rev. D. Enric CASES i Martín
(Barcelona, Spagna)


Oggi, ci viene mostrata la fede di una donna che non apparteneva al popolo eletto, ma che aveva fiducia in che Gesù avrebbe potuto curare sua figlia. Infatti quella madre era pagana «di lingua greca e di origine siro-fenicia. Ella le supplicava di scacciare il demonio da sua figlia» (Mc 7,26). Il dolore e l’amore la spingono a chiedere con insistenza, senza badare ne a disprezzi, ne a indugi ne a indegnità. E ottiene quello che chiede, infatti «Tornata a casa sua, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n’era andato» (Mc 7,30).

Sant’Agostino dice che molti non ottengono quello che chiedono perché sono «aut mali, aut male, aut mala». O sono cattivi, e la prima cosa che dovrebbero chiedere è di essere buoni; oppure chiedono in una forma impropria, senza costanza, invece di farlo con pazienza, con umiltà, con fede e per amore; oppure chiedono cose disonorevoli, che se fossero ottenute, sarebbero dannose all’anima o al corpo o agli altri. Bisogna, dunque, cercare di chiedere correttamente. La donna siro-fenicia è una buona madre, sa chiedere bene («venne e si prostrò ai Suoi piedi» e chiede una cosa buona («che scacciasse da sua figlia il demonio»).

Il Signore ci invita ad usare con perseveranza la preghiera di richiesta. Indubbiamente esistono altri generi di preghiere –di adorazione, di riparazione, la preghiera di ringraziamento- ma Gesù insiste perché usiamo con molta più frequenza la preghiera di richiesta.

Perché? I motivi potrebbero essere molti: perché abbiamo bisogno dell’aiuto divino per raggiungere il nostro fine; perché esprime speranza e amore; perché è un grido di fede. Esiste, però, una preghiera che non è presa molto in considerazione. Dio vuole che le cose siano un po’ come noi vogliamo. In questo modo, la nostra richiesta –che è un atto libero- unita alla libertà onnipotente di Dio, fa che il mondo sia come lo vuole Lui ed un po’ come lo vogliamo noi. Così meraviglioso è il potere della preghiera!
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08/02/2018 20:31
 
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Ha fatto bene ogni cosa»

Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci presenta un miracolo di Gesù: restituì l’udito e districò la lingua a un sordomuto. La gente rimase stupita e diceva: «Ha fatto bene ogni cosa» (Mc 7,37).

Questa è la biografia di Gesù fatta dai suoi contemporanei. Una biografia breve e completa. Chi è Gesù? E’ colui che ha fatto bene ogni cosa. Nel doppio senso della parola: nel che e nel come, nella sostanza e nel modo. E’ Colui che ha fatto solamente opere buone è Colui che ha fatto bene le buone opere, in un modo perfetto, compiuto. Gesù è colui che fa tutto bene, perché solo fa buone azioni, e ciò che fa, lo lascia terminato. Non lascia niente incompiuto; e non aspetta a compierlo più tardi.

-Anche tu cerca di completare adesso tutto quello che fai: la preghiera, le relazioni con i familiari e le altre persone, il lavoro, l’apostolato, l’assiduità nella tua formazione spirituale e professionale, etc. Sii esigente con te stesso e prudentemente cerca di esserlo pure verso quelli che dipendono da te. Non permettere lavori fatti alla meno peggio. Non piacciono a Dio e danno fastidio al prossimo. Non assumere questo atteggiamento solo per compiacere, ne perché questa forma di procedere ti dia più reddito, anche umanamente; no! Perché a Dio non sono le opere non buone ne quelle ”buone” fatte male. La Sacra Scrittura afferma che «sono perfette le sue opere» (Dt 32,4). Il Signore, per mezzo di Mosè, dice al popolo d’Israele; «Non offrite nulla con qualche difetto, perché non sarebbe gradito» (Lev 22,20). Chiedi l’aiuto materno della Vergine Maria. Come Gesù, anche Lei fece bene ogni cosa.

San Josemaría ci offre il segreto per ottenerlo: «Fa quello che devi fare e concentrati in quello che fai» E’ questo il tuo modo di agire?
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11/02/2018 09:02
 
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Se vuoi, puoi purificarmi!»

Rev. D. Ferran JARABO i Carbonell
(Agullana, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci invita a contemplare la fede di questo lebbroso. Sappiamo che ai tempi di Gesù, i lebbrosi erano marginati socialmente e considerati impuri. La guarigione del lebbroso è, anticipatamente, una visione della salvazione, offerta da Gesù a tutti e un richiamo perché Gli apriamo il nostro cuore affinché venga da Lui trasformato.

La sequenza dei fatti è chiara. In primo luogo, il lebbroso chiede la guarigione e professa la sua fede: «Se vuoi, puoi purificarmi» (Mc 1,40). In secondo luogo, Gesù –che letteralmente si arrende davanti alla nostra fede- lo guarisce («Lo voglio, sii purificato»), e gli chiede di realizzare quello che la Legge prescrive, mentre gli chiede di osservare silenzio su quanto gli è accaduto. Ma, in verità, il lebbroso «si mise a proclamare e a divulgare il fatto» (Mc 1,45). In un certo qual modo disubbidisce all’ultima indicazione di Gesù, ma l’incontro con il Salvatore suscita in lui un sentimento che non riesce a silenziare.

La nostra vita assomiglia a quella del lebbroso. A volte viviamo, a causa del peccato, separati da Dio e dalla comunità. Questo Vangelo, però, ci incoraggia offrendoci un modello: professare tutta la nostra fede in Gesù, aprire a Lui tutto il nostro cuore, ed appena guariti dallo Spirito, andare dovunque e proclamare ai quattro venti che abbiamo trovato il Signore. Questo è l’effetto del sacramento della Riconciliazione, il sacramento della gioia.

Come ben dice sant’Anselmo: «L’anima deve dimenticare se stessa e restare totalmente in Gesù Cristo che è morto per riscattarci dal peccato ed è risuscitato perché noi risuscitassimo per le opere di giustizia». Gesù vuole che percorriamo assieme a Lui il cammino, vuole guarirci. Quale sarà la nostra risposta? Dobbiamo andare a cercarLo con l’umiltà del lebbroso e permettere che Lui ci aiuti a respingere il peccato per vivere la Sua Giustizia.
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12/02/2018 08:28
 
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In verità io vi dico: a questa generazione non sarà dato alcun segno»

Rev. D. Jordi POU i Sabater
(Sant Jordi Desvalls, Girona, Spagna)


Oggi, il Vangelo sembra che non ci dica molto, ne su Gesù, ne su noi stessi. «Perché questa generazione chiede un segno?» (Mc 8,12). Giovanni Paolo II, commentando quest’episodio della vita di Gesù Cristo, dice: «Gesù invita al discernimento oltre le parole e le opere che testimoniano (sono “segni di”) l’arrivo del regno del Padre». Sembra che ai giudei che interrogano Gesù manca la capacità o la volontà di discernere quella segnale che –infatti- è tutto il compimento, opere e parole del Signore.

Anche oggi si chiedono segni a Gesù: evidenziare la sua presenza nel mondo, o mostrare in un modo evidente come dobbiamo agire. Il Papa ci fa vedere che la negativa di Gesù Cristo a rendere un segno ai giudei –e, per tanto, anche a noi- è dovuta alla sua volontà di «cambiare la logica del mondo, indirizzata a cercare segni che confermino il desiderio di autoaffermazione e di potere dell’uomo». I giudei non volevano un segno qualsiasi, ma quello che indicasse che Gesù era il tipo di messia che loro aspettavano. Non aspettavano quello che veniva per salvarli, ma quello che veniva a dare sicurezza alla sua visione di come dovevano farsi le cose.

In conclusione, quando i giudei del tempo di Gesù, come anche i cristiani di ora chiediamo –di un modo o un’altro- un segno, quello che facciamo è chiedere a Dio di agire d’accordo al nostro modo, che noi crediamo più certo e che infatti sostiene il nostro modo di pensare. E Dio, che sa e può di più (e per quello chiediamo nel Padre Nostro che sia fatta la “sua” volontà), ha le sue strade, anche se a noi non ci sia semplice capirle. Ma Lui, che si lascia trovare per tutti quelli che lo cercano, se anche gli chiediamo discernimento, ci farà capire qual’è il suo modo di agire, e come possiamo riconoscere oggi i suoi segni.
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13/02/2018 10:25
 
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Guardatevi dal lievito dei farisei»

Rev. D. Juan Carlos CLAVIJO Cifuentes
(Bogotá, Colombia)


Oggi, -ancora una volta- vediamo la sagacia del Signore. Il suo agire è stupefacente, in quanto è diverso dalla gente comune, è originale. Egli viene di fare dei miracoli e si muove in un’altra zona dove la Grazia di Dio deve anche arrivare. In questo contesto di miracoli, a un nuovo gruppo di persone in attesa per Lui, è quando gli avverte: «Fate attenzione, guardatevi del lievito dei farisei e dal lievito di Erode!» (Mc 8,15), perché loro –i farisei e quelli di Erode- non vogliono che la Grazia di Dio sia conosciuta, piuttosto diffondono nel mondo del lievito cattivo, seminando discordia.

La fede non dipende di opere, dato che “una fede che noi stessi possiamo determinare non è affatto una fede” (Benedetto XVI). Invece, sono le opere che dipendono dalla fede. Avere una vera e autentica fede comporta una fede attiva, dinamica; non una fede condizionata e che rimane solo sulla parte esterna, nelle apparenze, che divaga... La nostra fede deve essere vera. Bisogna vedere attraverso gli occhi di Dio e non con gli occhi dell’uomo peccatore: «Non capite ancora e non comprendete? Avete il cuore indurito?» (Mc 8,17).

Il regno di Dio nel mondo si espande come quando appare collocata una misura di lievito nella massa; che cresce non si sa come. Così deve essere la fede autentica, crescendo nell’amore di Dio. Quindi, niente e nessuno ci distraggono dal vero incontro con il Signore e dal suo messaggio salvifico. Il Signore non perde occasione per insegnare e lo fa ancora oggi: “Liberiamo l’idea falsa che la fede non ha nulla da dire agli uomini di oggi” (Benedetto XVI).
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13/02/2018 22:44
 
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State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro»

Pbro. D. Luis A. GALA Rodríguez
(Campeche, Messico)


Oggi, iniziamo il nostro itinerario verso la Pasqua, e il Vangelo ci ricorda i doveri fondamentali del cristiano, non solo come preparazione verso un tempo liturgico, ma come preparazione verso la Pasqua Eterna: «State attenti a non praticare la vostra giustizia davanti agli uomini per essere ammirati da loro, altrimenti non c’è ricompensa per voi presso il Padre che è nei cieli» (Mt 6,1). La giustizia, della quale parla Gesù, consiste nel vivere d’accordo ai principi evangelici, senza dimenticare che «se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt 5,20).

La giustizia ci porta all’amore, espresso nell’elemosina e in opere di misericordia: «Mentre fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra» (Mt 6,3). Non è che si debbano nascondere le opere buone, ma che non si deve pensare nella lode umana al compierle, né desiderare nessun altro bene. In altre parole, devo fare l’elemosina in modo tale che neppure io abbia l’impressione di star facendo qualcosa di buono che meriti una ricompensa da parte di Dio e lode da parte degli uomini.

Benedetto XVI diceva insistentemente che aiutare i bisognosi è un dovere di giustizia ancor prima di essere un atto di carità: «La carità va oltre la giustizia (...), però mai manca di giustizia, che ci porta a dare al prossimo quello che è “suo”, cioè quello che tocca a lui,» in virtù della sua persona ed al suo agire. Non dobbiamo dimenticare che non siamo proprietari assoluti dei beni che possediamo, ma solo amministratori. Cristo ci ha insegnato che l’autentica carità è quella che non si limita a “dare” l’elemosina, ma quella che ci porta a “dare noi stessi”, che si offre a Dio quale culto spirituale (cf.Rom 12,1) Questo sarà il vero gesto di giustizia e di carità cristiana, «e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà» (Mt 6,4).
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15/02/2018 08:39
 
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Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua»

Fray Josep Mª MASSANA i Mola OFM
(Barcelona, Spagna)


Oggi, è il primo giovedì di Quaresima. Abbiamo ancora fresche le ceneri che la Chiesa ci poneva ieri sulla fronte, e che ci introducevano in questo tempo santo, che è un percorso di quaranta giorni. Gesù, nel Vangelo ci indica due rotte: la “Via crucis” che Lui ha percorso, ed il nostro cammino, seguendo Lui.

Il Suo sentiero è il “Cammino della croce” e della morte, ma anche quello della Sua glorificazione: «Il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, (...) venire ucciso e risorgere il terzo giorno» (Lc 9,22). Il nostro sentiero, essenzialmente, non è differente da quello di Gesù, e ci indica qual’è il modo di seguirLo: «Se qualcuno vuole venire dietro a me...» (Lc 9,23).

Abbracciato alla Sua Croce, Gesù seguiva la volontà del Padre, noi, caricando la nostra sulle spalle, lo accompagniamo nella Sua “Via Crucis”.

Il cammino di Gesù, viene sintetizzato in tre parole: sofferenza, morte, risurrezione. Il nostro sentiero, viene anch'esso costituito da tre aspetti (due atteggiamenti e l’essenza della vocazione cristiana): negare noi stessi, prendere ogni giorno la croce e accompagnare Gesù.

Se qualcuno non nega sé stesso e non prende la croce, vuole riaffermarsi ed essere sé stesso, vuole «salvare la sua vita», come dice Gesù. Ma, volendo salvarla, la perderà. Invece, chi cerca di non evitare la sofferenza e la croce, per Gesù, salverà la sua vita. E’ il paradosso di seguire Gesù: «Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso?» (Lc 9,25).

Questa parola del Signore che chiude il Vangelo di oggi, scosse il cuore di San Ignazio e ne provocò la sua conversione: «Che succederebbe se io facessi quello che fece san Francesco e quello che fece san Domenico?». Voglia il Cielo che, in questa Quaresima, la stessa parola aiuti a convertire anche noi!
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16/02/2018 08:58
 
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Ma verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno»

Rev. D. Xavier PAGÉS i Castañer
(Barcelona, Spagna)


Oggi, primo venerdì di Quaresima, compiuti il digiuno e l’astinenza del Mercoledì delle Ceneri, abbiamo procurato offrire il digiuno e la recitazione del Santo Rosario per la “pace” così urgente nel nostro mondo. Noi siamo disposti a realizzare questo esercizio quaresimale che la Chiesa, Madre e Maestra, ci chiede di osservare, ricordandoci che lo stesso Signore disse: «Verranno giorni quando lo sposo sarà loro tolto, e allora digiuneranno» (Mt 9,15). Abbiamo il desiderio di vivere questo tempo, non solo per compiere un precetto che siamo obbligati ad osservare, ma, -soprattutto- procurando di arrivare a incontrare lo spirito che ci conduce a vivere questa pratica quaresimale e che ci aiuterà nel nostro progresso spirituale.

Cercando questo senso profondo, possiamo chiederci: qual’è il vero digiuno? Già il profeta Isaia, nella prima lettura di oggi, commenta qual’è il digiuno che Dio valuta di più: «Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli occhi da quelli della tua carne? Allora la tua luce sorgerà come l'aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà» (Is 58,7-8). A Dio piace così e aspetta da noi tutto quello che conduce all’autentico amore verso i nostri fratelli.

Ogni anno, il Santo Padre Giovanni Paolo II ci scriveva un messaggio di Quaresima. In uno di questi messaggi, sotto il lemma «Si è più felici nel dare che nel ricevere!» (At 20,35), le sue parole ci aiutarono a scoprire questa stessa “dimensione caritativa” del digiuno che ci dispone –dall’intimo del nostro cuore- a prepararci per la Pasqua, con uno sforzo, per identificarci sempre di più con l’amore di Cristo che lo ha portato fino a dare la vita sulla Croce. In definitiva, «ciò che ogni cristiano deve fare sempre, adesso deve farlo con più diligenza e con maggior devozione» (il papa san Leone Magno).
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16/02/2018 22:23
 
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«Io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori perché si convertano»

Rev. D. Joan Carles MONTSERRAT i Pulido
(Cerdanyola del Vallès, Barcelona, Spagna)


Oggi, vediamo come avanza la Quaresima e l’intensità della conversione alla quale il Signore ci chiama. L’immagine dell’apostolo ed evangelista Matteo risulta molto rappresentativa per chi possiamo pensare che, a causa del nostro istoriale, o per i peccati personali o situazioni complicate, è difficile che il Signore si fissi in noi per collaborare con Lui.

Dunque, Gesù Cristo, per toglierci da ogni dubbio ci mette come primo evangelista l’ “esattore delle imposte” Levi, al quale, senza preamboli dice: «Seguimi» (Lc 5,27). Con lui fa esattamente il contrario di ciò che una mentalità “prudente” farebbe, se volessimo sembrare “politicamente corretti”. Levi –invece- veniva da un ambiente dove pativa il rifiuto di tutti i suoi compatrioti, giacché veniva giudicato, solamente per il fatto di essere pubblicano, collaborazionista dei romani e, possibilmente, defraudatore per le “provvigioni”, colui che opprimeva i poveri al riscuotere le imposte, infine, un peccatore pubblico.

Quelli che si consideravano perfetti non potevano assolutamente pensare che Gesù non solo non li chiamasse a seguirlo, ma nemmeno che si sedessero alla stessa mensa.

Ma, con questo atteggiamento di sceglierlo, Nostro Signore Gesù Cristo ci dice che piuttosto è di questo tipo di gente di cui Gli piace servirsi per estendere il suo Regno; ha scelto i malvagi, i peccatori, quelli che non sono creduti giusti: «Quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti» (1Cor 1,27). Sono questi quelli che hanno bisogno del medico, e soprattutto, sono quelli che capiranno che gli altri hanno bisogno di loro.

Dobbiamo, quindi, evitare di pensare che Dio voglia espedienti puliti e immacolati per servirlo. Tale espediente lo preparò solo per Nostra Madre. Per noi, invece, soggetti della salvazione di Dio e protagonisti della Quaresima, Dio vuole un cuore pentito ed umiliato. Precisamente «Dio ti ha scelto debole per darti il suo proprio potere» (Sant’Agostino). E’ questo il tipo di gente che, come dice il salmista, Dio non disdegna.
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18/02/2018 10:30
 
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Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana»

Rev. D. Joan MARQUÉS i Suriñach
(Vilamarí, Girona, Spagna)


Oggi, la Chiesa celebra la liturgia della Prima Domenica di Quaresima. Il Vangelo presenta Gesù preparandosi alla vita pubblica. Va al deserto dove passa quaranta giorni nella preghiera e nella penitenza. Lì viene tentato da Satana.

Noi dobbiamo prepararci alla Pasqua. Satana è il nostro grande nemico. Ci sono persone che non credono alla sua esistenza, dicono che è un prodotto della nostra fantasia, o che è il male in astratto, disperso tra le persone e nel mondo. No!

La Sacra Scrittura parla spesso di lui come di un essere spirituale e concreto. E’ un angelo caduto. Gesù lo definisce dicendo: «E’ menzognero e padre della menzogna» (Gv 8,44). San Pietro lo paragona ad un leone ruggente: «Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede» (1Pie 5,8). Paolo VI insegna: «Il diavolo è il nemico numero uno, è il tentatore per eccellenza. Sappiamo che quest’essere tenebroso e perturbatore esiste realmente e che continua ad agire».

Come? Mentendo, ingannando. Dove c’è bugia ed inganno, lì c’è azione diabolica. «La maggior vittoria del Demonio consiste nel far credere che non esiste» (Baudelaire). Ma come inganna? Presentandoci azioni perverse come se fossero buone; ci spinge a fare opere cattive; ed in terzo luogo, ci suggerisce ragioni per giustificare i peccati. Dopo di ingannarci, ci colma d’inquietudine e di tristezza. Non ne hai forse esperienza?

Quale deve essere il nostro atteggiamento di fronte alla tentazione? “Prima”:vigilare, pregare ed evitare le occasioni. “Durante”: se hai vinto, ringrazia Dio. Se non hai vinto, chiedi perdono ed approfitta l’esperienza. Qual’ è stato il tuo atteggiamento fino ad ora?

La Vergine Maria schiacciò la testa del serpente infernale. Che Lei ci ottenga dal Signore la forza per superare le tentazioni di ogni giorno.
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18/02/2018 23:27
 
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Tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me»

Rev. D. Joaquim MONRÓS i Guitart
(Tarragona, Spagna)


Oggi, ci viene ricordato il giudizio finale, «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria e tutti gli angeli con Lui» (Mt 25,31), e ci rimarca che dare da mangiare, bere, vestire... diventano opere d’amore per un cristiano, quando, al realizzarle, si sa scorgere in esse lo stesso Cristo.

Dice San Giovanni della Croce: «Alla fine ti giudicheranno sull’amore. Impara ad amare Dio come Dio vuol essere amato e lascia la tua propria condizione». Il non fare una cosa che bisogna fare, a favore degli altri figli di Dio e fratelli nostri, suppone lasciare Cristo senza questi particolari di un amore dovuto: è un peccato di omissione.

Il Concilio Vaticano II, nella “Gaudium et spes”, spiegando le esigenze della carità cristiana, che dà senso alla ”chiamata assistenza sociale”, dice: «Nella nostra epoca, urge specialmente l’obbligo di approssimarci a qualunque uomo sia e di servirlo con affetto, sia che si tratti di un anziano abbandonato da tutti o di un bambino nato da un’unione illegittima e che si vede esposto a pagare, senza ragione, il peccato che lui non ha commesso, o di chi ha fame e appella alla nostra coscienza, ricordandoci le parole del Signore: «Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40).

Ricordiamo che Cristo vive nei cristiani... e ci dice: «Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (Mt 28,20).

Il Concilio Lateranense IV definisce il giudizio finale quale verità di fede: «Gesù Cristo verrà alla fine del mondo per giudicare vivi e morti e per dare a ciascuno, d’accordo alle sue opere, tanto ai reprobi come agli eletti (...) per ricevere secondo le loro opere, buone o cattive:quelli, con il diavolo al castigo eterno, questi, con Cristo alla gloria eterna».

Chiediamo a Maria che ci aiuti nelle azioni, servendo Suo Figlio nei nostri fratelli.
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19/02/2018 06:35
 
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INVOCAZIONE

Benedetto Gesù, nostro salvatore, che con la sua morte ci ha aperto la strada della salvezza. Uniti nella preghiera di lode, invochiamo il suo nome.
Guidaci, Signore, nella via del tuo amore.

Dio misericordioso, che mediante il battesimo ci hai fatti rinascere ad una vita nuova,
- fa' che di giorno in giorno diveniamo sempre più conformi alla tua immagine.

Insegnaci a far sempre ciò che è vero, giusto e santo davanti a te,
- e a cercare te in ogni parola e in ogni avvenimento.

Aiutaci a portare un messaggio di bontà e di gioia ai poveri e ai sofferenti,
- per incontrare te presente nei nostri fratelli.

Perdonaci le colpe commesse contro l'unità della tua famiglia,
- forma di tutti noi un cuore solo e un'anima sola.

Padre Nostro


ORAZIONE

Convertici a te, o Dio, nostra salvezza, e formaci alla scuola della tua sapienza, perché l'impegno quaresimale lasci una traccia profonda nella nostra vita. Per il nostro Signore Gesù Cristo.

Il Signore ci benedica, ci preservi da ogni male, e ci conduca alla vita eterna.
R. Amen.

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20/02/2018 07:39
 
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Pregando, non sprecate parole (...) perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno»

Rev. D. Joaquim FAINÉ i Miralpech
(Tarragona, Spagna)


Oggi, Gesù –che è figlio di Dio- mi insegna a comportarmi come un figlio di Dio. Un primo aspetto è quello della fiducia, quando parlo con Lui. Ma il Signore ci avverte: «Non sprecate parole» (Mt 6,7). Ed è che i figli, quando parlano con i loro genitori, non lo fanno con ragionamenti complicati, né dicendo un mucchio di parole, ma con semplicità chiedono tutto quello di cui hanno bisogno. Ho sempre la fiducia di essere ascoltato perché Dio –che è Padre- mi ama e mi ascolta. Di fatto, pregare non è informare Dio, ma chiederGli tutto quello di cui ho bisogno, giacché «Il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno prima ancora che glie le chiediate» (Mt 6,8). Non sarò buon cristiano se non prego, come non può essere buon figlio chi non parla frequentemente con i suoi genitori.

Il “Padrenostro” è la preghiera che lo stesso Gesù ci ha insegnato, ed è una sintesi della vita cristiana. Ogni volta che recito il Padre nostro, mi lascio trasportare dalla sua mano e Gli chiedo ciò di cui ho bisogno ogni giorno per cercare di essere sempre miglior figlio di Dio. Ho bisogno non solo del pane materiale, ma, -soprattutto- del Pane del Cielo. «Chiediamo che non ci manchi mai il Pane dell’Eucaristia». Imparare pure a perdonare e ad essere perdonati: «Per poter ricevere il perdono che Dio ci offre, dirigiamoci al Padre che ci ama», dicono le formule introduttorie al “Padrenostro” della Messa.

Durante la Quaresima, la Chiesa mi chiede di approfondire nella preghiera. «La preghiera, il colloquio con Dio, è il bene più alto, perché costituisce (...)una unione con Lui» (San Giovanni Crisostomo). Signore, ho bisogno di imparare a pregare e ad estrarre conseguenze concrete per la mia vita. Soprattutto per vivere la virtù della carità: la preghiera mi darà forza per viverla meglio giorno dopo giorno. Perciò chiedo quotidianamente che mi aiuti a viverla sempre meglio. Perciò chiedo ogni giorno che mi aiuti a perdonare tanti piccoli dispetti degli altri, come perdonare le parole e gli atteggiamenti offensivi e, soprattutto a non avere rancori, e così, potrò dire sinceramente che perdono di tutto cuore i miei debitori. Lo potrò conseguire perché mi aiuterà in ogni istante la Madre di Dio.
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21/02/2018 07:32
 
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«Come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell’uomo lo sarà per questa generazione»

Fr. Roger J. LANDRY
(Hyannis, Massachusetts, Stati Uniti)


Oggi, Gesù ci dice che il segno che darà alla “generazione malvagia” sarà Lui stesso come il “segno di Giona” (cf.Lc 11,30). Allo stesso modo di Giona che permise che lo lanciassero dal bordo della nave per calmare la tempesta che minacciava di farli naufragare e così salvare la vita dell’equipaggio-, allo stesso modo Gesù permise che lo lanciassero dal bordo della vita per calmare le tempeste del peccato che mettono a repentaglio le nostre vite. «Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra prima di abbandonare la tomba» (Mt 12,40).

Il segno che Gesù darà ai “malvagi” di ogni generazione è la Sua morte e risurrezione. La Sua morte, liberamente accettata, è il segno dell’incredibile amore di Dio verso di noi: Gesù diede la Sua vita per salvare la nostra. E la Sua risurrezione dai morti costituisce il segno del Suo potere divino. Si tratta del segno più poderoso e commovente decisamente dato mai.

Ma, inoltre, Gesù è pure il segno di Giona, in un altro senso. Giona fu un immagine ed un mezzo di conversione. Quando nella sua predizione: «Ancora quaranta giorni e Ninive sarà distrutta» (Gion 3,4) , mette sull’avviso i niniviti pagani, costoro si convertono, giacché tutti loro – dal re fino ai bambini e agli animali vengono coperti di invoglia e ceneri. Lungo questi quaranta giorni di Quaresima abbiamo Qualcuno molto «più grande di Giona» (Lc 11,32) predicando a tutti noi la conversione: lo stesso Gesù. Conseguentemente, la nostra conversione dovrebbe essere altrettanto convincente.

«Giacché Giona era un servo», San Giovanni Crisostomo scrive, parlando di Gesù Cristo, «ma io sono il Maestro; lui fu gettato alla balena, ma io risuscitai tra i morti; e, mentre lui minacciava la distruzione, Io sono venuto a predicare la Buona Nuova e il Regno».

La settimana scorsa, il Mercoledì delle Ceneri, ci siamo coperti di ceneri, ed ognuno ha ascoltato le parole del primo discorso di Gesù Cristo: «Pentitevi e credete nel Vangelo» (Mc 1,15). La domanda che dobbiamo rivolgerci è: -abbiamo già risposto con una profonda conversione come quella dei niniviti ed abbiamo abbracciato quel Vangelo?
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23/02/2018 07:44
 
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Lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello»

Fr. Thomas LANE
(Emmitsburg, Maryland, Stati Uniti)


Oggi, il Signore, parlandoci di quello che avviene nei nostri cuori, ci invita alla conversione. Il comandamento dice «Non ucciderai» (Mt 5,21), ma Gesù ci ricorda che vi sono altre forme per togliere la vita agli altri. Questo può accadere albergando nel nostro cuore un’ira eccessiva verso il prossimo o non trattandolo con rispetto o insultandolo («imbecille», «rinnegato» cf.Mt5,22).

Il Signore ci invita ad essere `persone integre´; «Lascia lì il tuo dono davanti all’altare, va prima a riconciliarti con il tuo fratello» (Mt 5,24), cioè che la fede che professiamo nella celebrazione liturgica dovrebbe influire sulla nostra vita giornaliera ed interessare la nostra condotta. Perciò, Gesù ci chiede di riconciliarci con i nostri nemici. Un primo passo nel cammino della riconciliazione è`pregare per i nostri nemici´, come Gesù richiede. Se questo ci risulta difficile, allora, sarebbe bene ricordare e rivivere, nella nostra immaginazione, la figura di Gesù morendo per quelli, verso i quali sentiamo fastidio. Se siamo stati gravemente offesi, preghiamo perché venga cicatrizzato il doloroso ricordo e per ottenere la grazia di poter perdonare. E, mentre preghiamo, chiediamo al Signore che retroceda con noi nel tempo e nel luogo dove è avvenuto l’affronto –sostituendola con il Suo amore- perché, in questo modo possiamo sentirci liberi per poter perdonare.

Ricordiamo le parole di Benedetto XVl, «se vogliamo presentarci davanti a Lui, dobbiamo anche metterci in cammino per incontrarci con gli altri. Perciò è necessario imparare la grande lezione del perdono; non lasciare annidare nel cuore il tarlo del risentimento, ma aprire il cuore alla magnanimità di saper ascoltare l’altro, aprire il cuore alla comprensione, alla possibile accettazione delle sue scuse ed alla generosa offerta delle proprie».
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24/02/2018 08:00
 
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Amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano»

Rev. D. Joan COSTA i Bou
(Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo ci esorta all’amore più perfetto. Amare è volere il bene dell’altro, e in questo si basa la nostra relazione personale. Non amiamo per cercare il nostro bene ma per quello della persona amata, e, così facendo, cresciamo come persone. L’essere umano, affermò il Concilio Vaticano ll «non può trovare la sua pienezza se non nella donazione sincera di se stesso agli altri» A questo si riferiva santa Teresa del Bambino Gesù quando chiedeva di fare della nostra vita un olocausto.´L’amore è la vocazione umana. Tutta la nostra condotta, perché sia veramente umana, deve esprimere la realtà del nostro essere, realizzando la vocazione all’amore. Come ha scritto Giovanni Paolo ll, «l’uomo non può vivere senza amore. Egli resta per se stesso un essere incomprensibile; la sua vita è priva di senso se non gli si rivela l’amore, se non si incontra con l’amore, se non lo sperimenta e lo assimila, se non partecipa vivamente in esso».

L’amore ha il suo fondamento e la sua pienezza nell’amore di Dio in Cristo. La persona è invitata ad un dialogo con Dio. Uno esiste per l’amore di Dio che ci creò e per l’amore di Dio che ci conserva, «e solo può dirsi che si vive nella pienezza della verità, quando liberamente si riconosce quest’amore e ci si affida totalmente al Creatore» (Concilio Vaticano ll): questa è la ragione più alta della sua dignità. L’amore umano deve, perciò, essere custodito dall’Amore divino, che ne è la fonte; in Esso trova il suo modello e lo porta alla pienezza. Per tutto ciò, l’amore, quando è veramente umano, ama con il cuore di Dio e abbraccia incluso i nemici. Se non è così uno non ama veramente. Conseguentemente, l’esigenza del dono sincero di se stesso, diventa un comandamento divino.: «Voi dunque, siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.» (Mt 5,48).
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25/02/2018 09:47
 
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Fu trasfigurato davanti a loro»

Rev. D. Jaume GONZÁLEZ i Padrós
(Barcelona, Spagna)


Oggi, contempliamo la scena «nella quale i tre apostoli Pietro, Giacomo e Giovanni appaiono quasi in estasi per la bellezza del Redentore» (Giovanni Paolo ll): «Fu trasfigurato davanti a loro e le Sue vesti divennero splendenti» (Mc 9,2-3). Riguardo a noi, possiamo estrarre un messaggio: «Ha vinto la morte e ha fatto risplendere la vita e l’incorruttibilità per mezzo del Vangelo» (2 Tim 1,10) afferma san Paolo al suo discepolo Timoteo. E’ quello che ammiriamo pieni di stupore, come allora i tre Apostoli prediletti, in questo episodio proprio della seconda domenica di Quaresima: la Trasfigurazione.

Risulta opportuno che nel nostro esercizio quaresimale riceviamo questa esplosione di sole e di luce sul volto e sugli abiti di Gesù. E’ un’immagine meravigliosa dell’umanità redenta, che non ci viene presentata nella bruttezza del peccato, ma in tutta la bellezza che la divinità trasmette alla nostra carne. La gioia di Pietro esprime ciò che si sente quando ci si lascia invadere dalla grazia divina.

Lo Spirito Santo trasfigura anche i sensi degli Apostoli, per cui possono vedere la gloria divina dell’Uomo Gesù. Occhi trasfigurati per vedere quello che brilla di più; uditi trasfigurati per ascoltare la voce più sublime e vera: quella del Padre che si compiace nel Figlio. Tutto l’insieme risulta troppo sorprendente per noi, abituati, come siamo, al colore grigiastro della mediocrità. Solo se ci lasciamo toccare dal Signore, i nostri sensi saranno capaci di vedere ed ascoltare quello che c’ è di più bello e gioioso in Dio, e negli uomini divinizzati da Colui che risuscitò dai morti.

«La spiritualità cristiana –ha scritto Giovanni Paolo ll- ha quale caratteristica il dovere del discepolo di `assomigliarsi´ sempre più pienamente al Suo Maestro», in tal modo che –per mezzo di una frequenza che potremmo chiamare “amichevole”- arriviamo al punto di «respirare i Suoi sentimenti». Mettiamo nelle mani della Vergine Maria la meta della nostra vera “trasfigurazione” nel Suo Figlio, Cristo Gesù.
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26/02/2018 09:18
 
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Date e vi sarà dato»

+ Rev. D. Antoni ORIOL i Tataret
(Vic, Barcelona, Spagna)


Oggi, il Vangelo di Luca proclama un messaggio più denso che breve, nonostante sia molto breve. Lo possiamo ridurre a due punti: un inquadramento di misericordia ed un contenuto di giustizia.

In primo luogo, un `inquadramento di misericordia´. Infatti, la consegna di Gesù si distingue come una norma e risplende come un ambiente. Norma assoluta: se il nostro Padre del cielo è misericordioso, noi, quali figli Suoi, dobbiamo esserlo pure. E il Padre è così misericordioso! Nel versicolo precedente afferma: «(...) e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i maligni» (Lc 6,35).

In secondo luogo, un `contenuto di giustizia´. Infatti ci troviamo di fronte a una specie di “legge del taglione” ma agli antipodi (all’inversa) di quella respinta da Gesù («occhio per occhio, dente per dente»). Qui, in quattro momenti successivi, il Maestro divino ci istruisce, prima con due negazioni; poi con due affermazioni. Negazioni: «Non giudicate e non sarete giudicati»; «Non condannate e non sarete condannati». Affermazioni: «Perdonate e sarete perdonati»; «Date e vi sarà dato».

Applichiamolo, in forma concisa, alla nostra vita quotidiana, soffermandoci specialmente sulla quarta ingiunzione, come fa Gesù. Facciamo un coraggioso e chiaro esame di coscienza: se in materia familiare, culturale, economica e politica il Signore giudicasse e condannasse il nostro mondo come il mondo giudica e condanna, chi potrebbe reggersi di fronte al tribunale? (Quando torniamo a casa e leggiamo il giornale o ascoltiamo le notizie, pensiamo solo nel al mondo della politica). Se il Signore ci perdonasse come lo fanno ordinariamente gli uomini, quante persone ed istituzioni otterrebbero il totale perdono?

La quarta ingiunzione, però, merita una riflessione particolare, giacchè in essa, la benedetta (?) legge del taglione che stiamo considerando, risulta, in qualche modo superata. Infatti, se diamo , ci daranno nella stessa proporzione? No! Se diamo, riceveremo –notiamolo bene- «una misura buona, pigiata, colma e traboccante» (Lc 6,38). Ed è la luce di questa straordinaria sproporzione che ci si esorta a dare previamente. Domandiamoci: Quando do, do bene? do considerando il meglio, do pienamente?
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28/02/2018 11:33
 
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Chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore»

Rev. D. Francesc JORDANA i Soler
(Mirasol, Barcelona, Spagna)


Oggi la Chiesa —Ispirata dallo Spirito Santo— ci propone in questo tempo di Quaresima un testo in cui Gesù imposta ai suoi discepoli —e per tanto anche a noi— un cambio di mentalità. Gesù oggi capovolge le visioni umane e terrestri dei suoi discepoli e gli apre un nuovo orizzonte di comprensione su quale dovrà essere lo stile di vita dei suoi proseliti.

Le nostre tendenze naturali ci suscitano il desiderio di dominare le cose e le persone, dirigere e dare ordini, che si faccia ciò che a noi piace, che la gente possa riconoscere in noi uno status, una posizione. Invece il cammino che Gesù ci propone è l’opposto: «Tra voi non sarà così, ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo» (Mt 20,26-27). “Servitore”, “schiavo”: non possiamo rimanere nell’enunciato delle parole!. Le abbiamo sentite centinaia di volte dobbiamo, essere capaci di entrare in contatto con la realtà che significano, e confrontare questa realtà con le nostre attitudini e comportamenti.

Il Concilio Vaticano II ha affermato che «L’uomo acquisisce la sua pienezza attraverso il servizio di donarsi agli altri». In questo caso, ci sembra che diamo la vita, quando in realtà la stiamo incontrando. L’uomo che non vive per servire non serve per vivere. E con questa attitudine il nostro modello è lo stesso Cristo, -l’uomo pienamente uomo- giacché «il Figlio dell’uomo, non è venuto per farsi servire ma a servire e a dare la sua vita come riscatto per molti».

Essere servo, essere schiavo così come ce lo chiede Gesù, è impossibile per noi. Rimane fuori dalla capacità della nostra povera volontà: dobbiamo implorare, attendere e desiderare intensamente che ci siano concessi questi doni. La Quaresima e le sue pratiche quaresimali -digiuno, elemosina e preghiera– ci ricordano che per ricevere questi doni dobbiamo prepararci adeguatamente.
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01/03/2018 08:34
 
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Se non ascoltano Mosè e i Profeti, non saranno persuasi neanche se uno risorgesse dai morti»

Rev. D. Xavier SOBREVÍA i Vidal
(Castelldefels, Spagna)


Oggi, il Vangelo é una parabola che ci scopre le realtà dell’uomo dopo la morte. Gesù ci parla del premio o del castigo che avremo a seconda di come ci siamo comportati.

Il contrasto tra il ricco e il povero è molto forte. Il lusso e l’indifferenza del ricco; la situazione patetica di Lazzaro, con i cani che gli leccano le piaghe (cf. Lc 16,19-21). Tutto con un gran realismo, che fa si che entriamo nello scenario.

Possiamo pensare: dove sarei io, se fossi uno dei protagonisti della parabola? La nostra società, costantemente, ci ricorda che dobbiamo vivere bene, con comodità e benessere, ricreandoci e senza preoccupazioni. Vivere per se stessi senza preoccuparsi degli altri o preoccupandosi solo dell’essenziale affinché la coscienza stia tranquilla, però non per un senso di giustizia, amore o solidarietà.

Oggi ci si presenta la necessità di ascoltare Dio in questa vita, di convertirci in questa vita e approfittare il tempo che Lui ci concede. Dio chiede un rendiconto. In questa vita mettiamo a repentaglio la “vita”.

Gesù lascia chiara l’esistenza dell’inferno descrivendo alcune delle sue caratteristiche: la pena che soffrono i sensi –«intingere nell’acqua la punta del dito e a bagnarmi la lingua, perché soffro terribilmente in questa fiamma». (Lc 16,24)- e la sua eternità –«tra noi e voi è stato fissato un grande abisso» (Lc 16,26)-.

San Gregorio Magno ci dice che «tutte queste cose si dicono affinché nessuno possa scusarsi a causa della sua ignoranza». Bisogna spogliarsi dell’uomo vecchio ed essere liberi per poter amare il prossimo. Dobbiamo rispondere alla sofferenza dei poveri, dei malati o degli abbandonati. Sarebbe bene che ricordassimo questa parabola con frequenza perché ci faccia più responsabili della nostra vita. A tutti giunge il momento della morte. E dobbiamo essere sempre preparati perché un giorno saremo giudicati.
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01/03/2018 22:43
 
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La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo»

Rev. D. Melcior QUEROL i Solà
(Ribes de Freser, Girona, Spagna)


Oggi, Gesù attraverso la parabola dei viticoltori omicidi ci parla dell’infedeltà; paragona la vigna a Israele e i viticoltori ai capi del popolo prediletto. A loro e a tutta la discendenza di Abramo era stato affidato il Regno di Dio, ma hanno sperperato l’eredità: «Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti» (Mt 21,43).

All’inizio del Vangelo di Matteo, la Buona Nuova sembra diretta unicamente ad Israele. Il popolo eletto, già nell’Antica Alleanza, ha la missione di annunciare e portare la salvezza a tutte le nazioni. Ma Israele non è stato fedele alla sua missione. Gesù, il mediatore della Nuova Alleanza, congregherà attorno a sé i dodici Apostoli, simbolo del “nuovo” Israele, chiamato a dare frutti di vita eterna e ad annunciare a tutti i popoli la salvezza.

Questo nuovo Israele è la Chiesa, formata da tutti i battezzati. Noi abbiamo ricevuto, nella persona di Gesù e nel suo messaggio, un regalo unico che dobbiamo far fruttificare. Non possiamo accontentarci con una vivenza individualista e chiusa alla nostra fede; dobbiamo comunicarla e donarla ad ogni persona che ci avvicina. Da lì si deriva che il primo frutto, è che viviamo la nostra fede nel calore della famiglia, rappresentata dalla comunità cristiana. E questo sarà semplice, perché: «Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

Però si tratta, di una comunità cristiana aperta, cioè eminentemente missionaria (secondo frutto). Per la forza e la bellezza del Risorto “in mezzo a noi”, la comunità è attraente in tutti i suoi gesti e azioni, e ognuno dei suoi membri gode della capacità di generare uomini e donne alla nuova vita del Risorto. E un terzo frutto è che viviamo con la convinzione e la certezza che nel Vangelo troviamo la soluzione a tutti i problemi.

Viviamo nel santo timor di Dio, non sia mai che ci si tolga il Regno e venga dato ad altri.
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03/03/2018 21:25
 
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Non fate della casa del Padre mio un mercato!»

Rev. D. Lluís RAVENTÓS i Artés
(Tarragona, Spagna)


Oggi, si avvicina la pasqua dei Giudei, ed è successo un fatto insolito nel tempio. Gesù ha cacciato dal tempio il bestiame dei mercanti, ha rovesciato i tavoli dei cambisti e ha detto ai venditori di colombe: «Portate via da qui queste cose e non fate della casa di mio Padre un mercato» (Gv 2,16). E mentre i vitelli e gli arieti correvano per la spianata, i discepoli hanno scoperto un nuovo aspetto dell’anima di Gesù: la gelosia per la casa di suo Padre, per il tempio di Dio.

Il tempio di Dio diventato un mercato! Che barbarie! Dovette cominciare poco a poco. Qualche pastore che saliva per vendere un agnello, una vecchietta che voleva guadagnare qualche moneta vendendo piccioni..., e il globo fu crescendo. Tanto che l’autore del Cantico dei cantici invocava: «Pigliateci le volpi, le volpicine che guastano le vigne, poiché le nostre vigne sono in fiore!» (Cant 2,15). Però chi faceva caso? La spianata del tempio era come un mercato in un giorno di fiera.

—Anch’io sono tempio di Dio. Se non veglio le volpicine, l’orgoglio, la ricchezza, la gola, l’invidia e le tante maschere dell’egoismo, filtrano dentro deteriorandolo tutto. Perciò il Signore ci mette sull’avviso: «Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!». Perché il desiderio non invada la coscienza. «L’incapacità di riconoscere la colpevolezza è la maniera più pericolosa di un inimmaginabile riempimento spirituale, perché fa migliorare l’incapacità delle persone» (Benedetto XVI).

Vegliare? —Cerco di farlo ogni notte. Ho offeso qualcuno? Sono rette le mie intenzioni? Sono disposto a compiere sempre e pienamente la volontà di Dio? Ho ammesso qualche attitudine che dispiaccia al Signore? Però a quest’ora, sono stanco e il sogno mi supera.

—Gesù tu mi conosci a fondo, tu che sai molto bene cosa c’è nell’intimo di ogni uomo, fammi conoscere le colpe, dammi la forza, e un po di questo tuo zelo per cacciare fuori dal tempio tutto quello che mi allontani da te.
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04/03/2018 22:22
 
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Nessun profeta è bene accetto nella sua patria»

Rev. P. Higinio Rafael ROSOLEN IVE
(Cobourg, Ontario, Canada)


Oggi, nel Vangelo, Gesù ci dice «nessun profeta è bene accetto nella sua patria» (Lc 4,24). Gesù, utilizzando questo proverbio, viene presentato come un profeta.

“Profeta” è chi parla per conto di un'altro, chi porta il messaggio di un'altro. Tra gli Ebrei, i profeti erano uomini mandati da Dio per annunciare, sia con le parole che con i segni, la presenza di Dio, l’arrivo del Messia, il messaggio di salvezza di pace e speranza.

Gesù è il profeta per eccellenza, il Salvatore atteso. In Lui tutte le profezie hanno complimento. Ma, come è accaduto nei giorni di Elia ed Eliseo, Gesù non è “ben accolta” in mezzo al suo popolo, perché son questi colui che pieni di rabbia «lo cacciarono fuori della città» (Lc 4,29).

Ognuno di noi, in ragione della loro battesimo, è chiamato anche ad essere un profeta. Pertanto:

1º. Dobbiamo proclamare la Buona Novella. Per questo, come ha detto il Papa Francesco, dobbiamo ascoltare la Parola con apertura sincera, permetterla di toccare le nostre vite, che ci reclami, che ci esorti, che ci mobilizzi, perché se non troviamo il tempo per pregare con questa Parola, allora sì saremmo un "falso profeta", un " truffatore" o un "ciarlatano vuoto".

2º Vivere il Vangelo. Ancora una volta il Papa Francisco: «Non ci viene chiesto di essere immacolati, ma piuttosto che siamo sempre in crescita, che viviamo il desiderio profondo di progredire nella via del Vangelo, e non ci lasciamo cadere le braccia ». È indispensabile aver la certezza che Dio ci ama, che Gesù Cristo ci ha salvati, che il suo amore è per sempre.

3º Come discepoli di Gesù, essere consapevoli del fatto che, così come Gesù ha sperimentato il rifiuto, la rabbia, l’essere scacciato fuori, questo sarà presente anche l' orizzonte della nostra vita quotidiana.
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06/03/2018 08:17
 
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Il padrone ebbe compassione (...) e gli condonò il debito»

Rev. D. Enric PRAT i Jordana
(Sort, Lleida, Spagna)


Oggi, il Vangelo di Matteo ci invita a una riflessione sul mistero del perdono, proponendo un parallelismo tra lo stile di Dio e il nostro nel momento di perdonare.

L’uomo si azzarda a misurare e a calcolare la sua magnanimità nel perdonare. «Signore, se il mio fratello commette colpe contro di me, quante volte dovrò perdonargli? Sette volte?» (Mt 18,21). A Pietro sembra che `sette volte´ è già un po’ troppo o che, forse, sia il massimo che possiamo sopportare. Riflettendoci meglio, Pietro si rivela essere ancora più generoso se lo paragoniamo all’uomo della parabola, che, quando incontrò un suo compagno che gli doveva cento danari, «lo prese per il collo e soffocandolo gli diceva: «Restituisci quello che devi» Mt 18,28), negandosi ad ascoltare la sua supplica ne la promessa di restituzione.

A conti fatti, l’uomo o si rifiuta di perdonare o riduce alla minima espressione il suo perdono. Realmente, nessuno direbbe che abbiamo appena ricevuto, da Dio, un perdono, infinitamente reiterato e senza limiti. La parabola dice: «Il padrone ebbe compassione di quel servo, lo lasciò andare e gli condonò il debito» (Mt 18,27). E pensare che il debito era molto importante.

La parabola, però, che stiamo commentando fa risaltare lo stile di Dio, al momento di concedere il perdono. Dopo aver richiamato il suo debitore e di avergli fatto osservare la serietà della situazione, si lasciò improvvisamente intenerire dalla sua richiesta compunta ed umile: «Prostrato a terra, lo supplicava dicendo: «Abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa» Il padrone ebbe compassione...» (Mt 18,26-27). Questo episodio mette in evidenza quello che ognuno di noi sa per propria esperienza e con profonda riconoscenza, cioè che Dio perdona senza limiti chi si pente e si converte. Il finale negativo e triste della parabola, dopo tutto, fa onore alla giustizia e mette in evidenza la veracità di quell’altra espressione di Gesù in Lc 6,38: « Con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio».
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